Nella concentrazione si vedono uomini i quali provocarono a qualunque costo lo scioglimento del Consiglio e la venuta del commissario governativo, mentre ve ne sono altri che nel penultimo Consiglio dicevano indegno di ogni cittadino non solo accettare la nomina di commissario governativo, ma nemmeno dignitoso di prendere una qualsiasi partecipazione all ’opera del commissario governativo. Le testuali si leggono in un protocollo del 21 dicem- bre 1903. Ironia della sorte: questo protocollo in cui si proclamava indegno d’ogni cittadino accettare la carica di commissario o diventare suoi collaboratori, è firmato dal conte Manci, e firmato dal dr. Stefenelli Giuseppe, direttore dell’Alto Adige, il quale volle questa volta lo scioglimento e quindi il commissario governativo e (tragica ironia della sorte imposta ad un uomo dai suoi) è firmato dal signor... commissario governativo, il dr. Silli! (Applausi e battimani). Ci dovremmo quindi chiedere: se tante sono le diversità di linea che si riscontrano nella lista liberale, la quale dichiarava di marciare contro di noi, che cosa è che la unisce? Qual è stato il perché di codesta famosa concentrazione?
Circa le prime due tocca a voi, essenzialmente, quali amministratori della Comunità e come rappresentanti economici della valle dare il vostro voto ed assumere la responsabilità di accettare o respingere la proposta finanziazione. La terza parte tocca la questione dal punto di vista generale in relazione cogli interessati di Trento e della valle di Cembra; e quale rappresentante politico della valle, raccomando vivamente al consesso di accettare le proposte del comitato, poiché esse non solo esprimono solidarietà a Trento ed alla valle di Cembra, che ora raggiungono solo parte del postulato comune, ma sono un impegno che nell’avvenire tutti gli interessati lavoreranno in comune per ottenere l’intiera avisiana che servirà anche ai paesi della bassa valle di Fiemme. Questa parte contiene anche le condizioni di carattere nazionale. Sono questi raccomandabili non solo dal punto di vita dell’indipendenza della valle, di cui codesta Magnifica Comunità fu sempre gelosa, ma anche dal punto di vista politico. Della proposta finanziazione dovrà infatti occuparsi a suo tempo ed al più tardi nella prossima tornata la deputazione dietale, perché si dovrà proporre il contributo della provincia. Ora è noto, anche perché allora ne ho data ampia relazione ai comuni, insieme al collega Trettel, che l’ultima proposta della deputazione dietale italiana era appunto che si finanziassero contemporaneamente da una parte la linea di San Lugano, dall’altra la Lavis-Cembra. Condizione imprescindibile però era che la linea di San Lugano si finanziasse coi contributi dello Stato, della Provincia e della Comunità, escludendo altri fattori. La Comunità, stabilendo anche per conto suo tale condizione, può quindi avere tutte le prospettive che la deputazione italiana voti il contributo della Provincia. Signori! Il momento è grave per la valle di Fiemme. Vi trovate per la prima volta di fronte a una proposta concreta del Ministero per cominciare la soluzione del vostro complicato problema ferroviario. Voi dovete decidere dal punto di vista della Comunità se volete nella misura e nel modo domandatovi. Decidete in modo affermativo, allora vi raccomando di accogliere anche le condizioni proposte dal vostro Comitato. Qualunque sia la deliberazione del consesso, io mi riservo di spiegare a tempo opportuno queste trattative ed il mio contegno dinanzi ai miei elettori di fronte ai quali sono responsabile. In ogni caso però dichiaro fin d’ora che se il consesso deliberasse di trattare coi circoli di Bolzano o di associarsi ad essi, combatterei a spada tratta tale deliberato, preferendo anche rinunziare alla rappresentanza politica di Fiemme, piuttosto che mostrarmi connivente al suo tradimento.
Se questa non le vorrà accettare, allora scenderanno in piazza e potranno dire agli operai: Ecco che i borghesi in Parlamento non vogliono cedere: bisogna ricorrere ad altri mezzi. La dittatura del proletariato non deve spaventare: la borghesia non esercita la sua dittatura da secoli? In Russia la dittatura di Lenin c’è voluta per abbattere la dittatura dello zar. I bolscevichi avranno dovuto fare delle vittime, ma quanti milioni non ha ammazzato lo zar? Il Degasperi ebbe facile gioco a replicare: Benché in veste da moderato, il Flor sostiene in realtà il principio della dittatura contro il principio democratico della rappresentanza parlamentare. I deputati socialisti, dice egli, metteranno le loro condizioni: se la borghesia le respinge, scenderanno in piazza. Ciò vuol dire che se la maggioranza della Camera eletta a suffragio universale dai cittadini italiani, non accetta le condizioni della minoranza socialista, essi ricorreranno alla violenza. Ecco il principio con cui non si può andare d’accordo, senza conculcare la libertà e la giustizia sociale. I socialisti, se vogliono attuare il loro programma, devono guadagnarvi l’adesione della maggioranza degli eletti o degli elettori. Altra via legale non esiste. Fuori di essa non c’è che la tirannide. Non è vero che Lenin in Russia sia ricorso alla dittatura per abbattere lo zar. Lo zar era già caduto, la rivoluzione era già fatta pacificamente. Erano al governo socialisti e democratici, ed è contro l’assemblea costituente, rappresentante tutti i cittadini, che Trotzki e Lenin fecero funzionare le mitragliatrici.
Ma intanto quello che certamente non si può accettare è il sistema generale che si è voluto colà introdurre, cioè l’espropriazione violenta mediante la dittatura politica e militarista del governo dei soviet. Il sistema ha portato alla guerra civile. Abbiamo bisogno in Italia di una altra guerra, più sanguinosa e più crudele, perché fratricida? Ha bisogno il nostro paese semidevastato che l’Italia, a cui è appena congiunta, si lanci nel caos dell’esperimento comunista, mentre c’è tanta urgenza che si riprenda il lavoro, si riordinino le finanze, si aumenti la produzione, affinché noi stessi possiamo uscire dalla crisi in cui ci ha lasciato il conflitto mondiale?
Del pari, come lo spirito umano nell'indagine del vero ha d'uopo di procedere dal noto per rinvenire l'ignoto, così deve accettare come presupposti i veri forniti da scienze logicamente anteriori o superiori, per ricercare i veri propri nella dipendenza da quelli ed in armonia con essi.
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Sicché l'economia deve accettare questi istituti nella loro essenziale costituzione etica,salvo, per sua parte, di chiarirne l'efficacia utile che essi dispiegano in tutto il dominio della ricchezza, e di suggerire le modalità accidentali nel loro ordinamento, che conferiscono al miglior bene materiale.L'accettazione dei principi etico-giuridici intorno a quegli istituti è così decisiva, che alterate quelle nozioni, la fisionomia della scienza economica riuscirebbe a sua volta modificata e talora contraffatta; ed anzi dal rispetto o dal rifiuto (totale o parziale) di tali istituti fondamentali si contrassegnano le dottrine sociali economiche rispetto a quelle socialistiche.
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Queste leggi pertanto l'economia deve accettare dalla scienza biologico-sociale, come risultano dimostrate positivamente, — salvo soltanto di riconoscere le inflessioni che vi apportano le ragioni economiche, ossia i mezzi di sussistenza, e di porre codeste leggi di incremento della specie, in correlazione con quelle del progresso della ricchezza, per trarne deduzioni di ordine utilitario. Ma non spetta alla economia, da un punto di vista d'interesse puramente materiale, di formulare leggi, le quali sono la risultanza di fattori molteplici e che mirano a fini incomparabilmente superiori, quali sono quelli della civiltà, connessi con la diffusione del genere umano. Di qui l'origine di tutte le aberrazioni della economia malthusiana.
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Lo Stato deve promuovere bensì la ricchezza, ma in armonia con tutti gli altri beni conseguibili dai cittadini e quindi non già dietro criteri soltanto di gretta utilità materiale.L'economia perciò deve accettare tutti i canoni direttivi delle scienze sociali-politiche.Solamente, essa è chiamata ad estimarne i risultati pratici nel campo della ricchezza, e ad argomentare analogamente intorno alla convenienza o meno d'introdurre in quelle, dal proprio punto di vista, le dovute correzioni.
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Infine, se il magazzino può avere un capitale sufficiente, potrebbe accettare la merce manufatta come pegno nei mesi quando la si preparano i lavori per i mercati di està [sic], o quando le richieste della clientela vengono meno; con la cautela però che il lavoro manufatto non superi le richieste di piazza, e alla concorrenza dei fidi che potrebbero accordarsi ad ogni capo-fabbrica [sic].
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Sappiamo che l'idealismo critico contemporaneo, una larghissima e vigorosa corrente filosofica che ha, diremmo quasi, raccolto ed incanalato tutte le acque vive della critica della conoscenza compiuta nei tre ultimi secoli, sostiene non esser la fede se non una conoscenza imperfetta e provvisoria, per miti e per leggende.Ma non essendo nostra intenzione entrar qui in dispute filosofiche, ci pare che la conclusione dell'impossibilità della filosofia a risolvere i problemi dei quali si occupa la fede 1. risulti da quel che siamo venuti dicendo, per chi dall'una parte conceda all'idealismo critico che la filosofia è la sintesi e la sistemazione dell'esperienza positiva e, dall'altra, ammetta la profonda distanza che separa la vita dello spirito dalla realtà fenomenica; 2. possa essere argomentata anche dalla enorme importanza che il prammatismo, nelle sue varie forme, è venuto acquistando negli ultimi tempi e della quantità enorme di difficoltà e di oscurità della vita di coscienza e dell'attività storica umana sulle quali esso va facendo la luce; una luce che si sarebbe invano sperata dall'indirizzo monistico e positivista.E possiamo anche aggiungere che le più importanti conclusioni morali che noi ci preoccupiamo di trarre qui dalle credenze cristiane non hanno in sé nulla che l'idealismo critico non possa o non debba accettare od almeno trovare altamente umane e meravigliosamente feconde di bene. Anche se la fede fosse solo — e non è — una virtù od energia spirituale atta a tradurre nella pratica della vita le più elevate conclusioni morali della speculazione filosofica, essa meriterebbe tutto il rispetto di idealisti sereni e positivi. E dobbiamo aggiungere che questo rispetto essa va oggi rapidamente conquistando.
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Gesù disprezzò ed attaccò violentemente i saccenti studiosi della legge che avevano costruito sulla tradizione primitiva le loro tradizioni umane; e con ogni suo sforzo richiamò le anime che volessero accettare lui e il suo messaggio a vivere, con semplicità e sincerità, le sue parole di vita, promettendo che in tal modo queste sarebbero divenute per essi il segreto d'una crescente abbondanza di ricchezza spirituale. La fede vera non germoglia che nell'animo umile e sincero.
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E questa molteplicità di desiderii e di tendenze diviene quindi facilmente contrasto; accettare uno scopo vuol dire escluderne un altro. Arricchire col lavoro paziente e godere spensieratamente, essere buon artista o scrittore o amministratore e distrarsi in occupazioni estranee, darsi tutto alla casa e ai figli e brillar per le vie o nelle conversazioni sono scopi contradittorii; conviene scegliere; conviene agire, nel più pieno e profondo significato della parola. E col dovere di agire, come norma nella scelta, si affaccia alla coscienza un criterio morale, che ci porta a distinguere il bene dal male, ciò che moralmente conviene da ciò che moralmente ripugna; criterio inevitabile in ogni uomo che abbia salito anche solo di pochi gradini il piano nel quale si svolge la vita puramente animale. Voi potete ribellarvi ad alcune esigenze morali che vi paiono ingiustificate o eccessive, potete scegliere fra varie morali, dichiararvi anche un amoralista:ma, solo che ci riflettiate, potrete certo indicarmi numerose categorie di atti che non vorreste compiere, o non sapreste compiere senza disapprovare voi stesso, senza sentirvi umiliato e spiritualmente più povero di quel che foste prima; e nella vostra vita passata vi sono assai probabilmente degli atti sui quali il pensiero torna con un senso di restringimento del flusso della vita e di rammarico, degli altri ai quali pensate volentieri, sentendo quasi rifluirne il ricordo nel moto più intenso della vita.
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Se voi ponete ora questa interna esigenza in relazione con quel che abbiamo detto sopra, dei fini ultimi ed universali della vita, voi vedrete come questi giudizii e preoccupazioni morali nascono nella coscienza umana dal rivelarlesi di questi fini, che noi dobbiamo accettare o subire con la vita, e che ci si presentano, più o meno luminosamente, come imperativi. L'uomo ha potuto dubitare qualche volta se le cose del mondo avessero uno scopo, e ritenere che esse facessero sé stesse, così per fatalità o per giuoco, senza venire da alcuna parte, senza esser dirette ad alcuna parte. Ma la mia vita io l'ho in mano: come organismo morale non meno che come organismo fisico, essa chiede di essere adoperata con certi riguardi, con certe precauzioni; la sua attività interiore non ha di per sé un termine, poiché può averne molti e diversi ed opposti; ed io sono così costituito, spiritualmente, da non poter porre un atto personale e consapevole senza vederne innanzi le più vaste e remote ripercussioni, che io debbo quindi abbracciare in uno stesso atto di volere. Si trattasse solo di accordar la mia vita con l'universo esterno e con l'insieme degli uomini, io ho bisogno di farmene padrone, di dominarne l'interno motore, di dirigerlo consapevolmente ad un fine. Io posso anche sottrarmi ad una così elevata responsabilità ed alla vita morale, abbrutendomi; ma uno scopo mancato non è uno scopo soppresso e un profondo disagio morale mi avvertirà che sono oramai un fuor di luogo.
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C'è un punto, in particolar modo, di questa dottrina, nel quale il precetto cristiano fu affermato con una nettezza e precisione che non permise giammai nella vita della Chiesa incertezze e rilassamenti, benché il contenuto sia od almeno sia parso sino ad oggi il più difficile ad accettare per la nostra fragile natura. Intendo dire della continenza; per la quale solo nel matrimonio indissolubile — ed anche in esso con la delicatezza che impone ad ogni cristiano il rispetto del proprio corpo, santificato dal sacramento — è permesso il rapporto sessuale; fuori di lì il divieto è assoluto e severissimo. La passione infuria violenta nella vita individuale e sociale, essa ha spesso apertamente contaminato anche gli uomini del santuario; ma nessuno su questo punto ha mai potuto ingannarsi, anche nei momenti di maggior decadenza. E, come a tutela ed esempio della continenza imposta a tutti i fedeli, la società cristiana esige dai suoi ministri il celibato, e consiglia, come perfetta imitazione di Cristo, la verginità. Né questo rigore è per rallentarsi, mentre nella società contemporanea tante cause hanno così paurosamente acuito il vizio dell'incontinenza e fatto complici di essa il teatro, la letteratura, l'arte, sin nelle loro forme più popolari; e mentre in nessun altro ramo della vita morale si è manifestato più evidente l'indirizzo naturalista delle scienze mediche e della filosofia della vita, tanto facile giudice quanto pessimo consigliere.
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Ma il problema della coscienza, della vita interiore, dei valori spirituali, trascurato per qualche tempo, risorge esso stesso in tutta la sua gravità: la distanza fra i fatti fisici ed i fatti dello spirito, che ad alcuno parve superata, riapparisce, agli occhi di ogni studioso serio, più grave e più profonda che mai: minacciate o negate le basi della conoscenza dello spirito per timore di accettare con essa delle arbitrarie ed illusorie creazioni dell'anima nostra, le certezze esteriori nelle quali ci rifugiammo vacillano anche esse e sembrano frutto, alla loro volta, di convenzioni e di arbitrii che solo le esigenze d'una vita più profonda giustificano e solo la superiorità della coscienza rende possibili. — La coscienza stessa, in una parola, con la sua spontaneità consapevole, con la sua forza di rappresentarsi il mondo e le cose, di costituirsi una direzione, di vedere e di dare a sé una finalità suprema, apparisce come ciò che è innanzi tutto e sopratutto reale, degno di esame e bisognoso d'una spiegazione che non la travisi e non la rinneghi. La coscienza è il centro del mondo e Cristo è il centro della coscienza umana. La causa del Cristo torna così in qualche modo ad essere solidale con la causa della coscienza e con quella della filosofia delle cose e dell'universo; e il riconoscere queste profonde ed evidenti realtà spirituali che costituiscono la fede viva ed operosa nel Cristo può essere da noi invocato come punto di partenza per la ricerca del Dio nascosto.
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Ed è egli possibile che, se per procurarsi un godimento estetico, o per aumentare la somma di utilità del loro lavoro, gli uomini si associano, e se anzi la comunione di certi maggiori interessi civili li forza ad appartenere ad una società politica e ad accettare le sue leggi ed i suoi istituti, la ricerca del più importante e del più sociale dei beni che essi debbono procurarsi non li porti ad associarsi in comunità religiose?
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Accettare come norma della propria vita il precetto cristiano vuol dire due diverse cose: imporsi volontariamente, ma così che l'atto volontario non è che un riconoscimento del dovere e dell'ufficio proprio della vita umana, una norma direttiva della volontà e degli atti proprii intesa come autorevole ed immanente, e volta al raggiungimento della piena consapevolezza e dell'unità dei voleri in Dio: in secondo luogo vuol dire un entrare a far parte d'una determinata società d'anime credenti, sottomettersi alla disciplina sociale, acquistare dinanzi a questa società ed ai suoi organi normali dei diritti e dei doveri di solidarietà e di cooperazione. Ognuno, quindi, che divenga cristiano, compie una iniziazione, nella quale due diverse cose possono essere considerate: l'iscrizione ad una società con l'entrata in possesso dei beni collettivi che a questa appartengono, e l'impegno formale assunto di vivere in essa, di far fruttificare quei beni collettivi, di compiere quanto la legge e l'autorità sociale prescrivono pel raggiungimento dei fini comuni.
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Se l'egoismo prevale, essa foggia per i vantaggi di questo le ingegnose teorie utilitarie ed eudemonistiche che sono in voga oggi: se un principio di vita religiosa agisce nell'anima, questa assorge ad una più giusta ed oggettiva visione del posto e dell'ufficio di ogni singolo uomo nella vita; e l'uomo sente che per esser degno di vivere, per sostituire la consapevolezza all'istinto, la bontà all'egoismo, egli deve traversare un processo di negazione di sé, rompere spiritualmente la corteccia del proprio io individuale, sentirsi prima uno fra molti, soggetti tutti a una stessa legge dall'alto, e poi anche uno con molti, chiamato a vivere con unità di intenti, di mezzi, di animi — più specialmente — con questi molti; e il bene finisce con l'apparirgli qualche cosa che è, sì, per lui, ma che non ha il suo esser bene dall'esser per lui, ma piuttosto, appunto perché è bene indipendentemente dal giudizio e dal senso particolare di lui, debba essere voluto e cercato; e del quale bene egli poi fermamente creda che possa essere raggiunto; poiché nulla ci farebbe accettare la necessità di cercare e volere ciò che sappiamo esser fuori del nostro sforzo.
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Nella chiesa il reo deve presentarsi al sacerdote autorizzato, esporgli la sua colpa, subire il giudizio di lui, accettare la pena assegnatagli. La disposizione positiva non deroga alla efficacia dell'amore che cancella le colpe; ma essa impone un atto al quale la coscienza, o che desideri redimersi o già redenta, non può venir meno volontariamente, senza rimanere nella colpa e sottrarsi al mite precetto della società cristiana. Ed un rito speciale fu designato a raccogliere nella comunione vivente della Chiesa e del Cristo i colpevoli che si pentono delle loro colpe e chieggono a Dio e alla Chiesa il perdono: il rito o il sacramento della penitenza o confessione auricolare.
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All'intensità dello sforzo spirituale richiesto per accettare e far propria, nel battesimo, la legge del Cristo, ed alla profondità della conversione etica richiesta pel passaggio dal paganesimo alla vita cristiana rispondeva l'esecrazione e lo spavento della ricaduta: e si pensò comunemente nella Chiesa che la penitenza non potesse esser concessa che una volta ai ricaduti; non quasi dubitando che il Signore non potesse anche dopo mille colpe ricevere nella sua comunione colui che la potenza dell'amore rinnovasse, ma perché si temeva della sincerità di chi, perdonato e salvato dal naufragio spirituale una volta e due, tornasse alla colpa; e si pensava che pericoloso per i fedeli sarebbe stato l'esempio della facile assoluzione. Ma poi, diminuendo il primo fervore e scemando, col crescere del numero dei fedeli, il livello medio della vita spirituale intensa, la disciplina della Chiesa divenne più mite; e l'esempio delle coscienze che, dedite a una vita di perfezione, cercavano nella frequenza e nell'uso, talora anche quotidiano, del rito penitenziale conforto e pace spirituale, diffuse fra i fedeli l'uso del sacramento anche per le colpe leggere, per le frequenti debolezze della vita.
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Ora io non so, né cerco qui, se lo Stato laico, il quale cioè dichiara di prescindere, nella sua attività, da ogni principio e finalità religiosa, possa rattenersi sulla china fatale per la quale lo trae la sconsecrazione, ai suoi occhi, del matrimonio e della famiglia; né so se i cattolici, i quali cosi giustamente si opposero all'introduzione del divorzio nella nostra legge, possano contare ancora per molto tempo di far argine, con le forze politiche che essi possiedono, alla marea montante: ma so che, cattolici, noi dobbiamo accettare intieramente la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio fra cattolici e sulla solidità delle ragioni sulle quali riposa e dalle quali è giustificato, agli occhi dello studioso, il precetto divino, che è legge per i credenti. E quando la società civile dichiarasse che essa sente di non poter imporre, ai contraenti il vincolo matrimoniale, l'onere d'una unione perpetua, e il divorzio dilagasse, manifestazione triste del marcio che si nasconde nella vita familiare, noi dovremmo ancora opporre il matrimonio cristiano indissolubile all'infuriare della voluttà nella vita civile, custodirlo ed alimentarlo con più vigili cure, speranza ed auspicio di giorni migliori.
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Ma amarlo per sé, e quando anche nelle vicende della vita terrena non ce ne venisse che male, amarlo perché egli è il Bene, la bontà, la giustizia, la Vita vera, amare anzi in Lui tutte queste cose e cercarle o volerle e quindi tradurlo nella pratica della nostra vita: ma accettare questa vita da Dio, e trarla con uno sforzo consapevole là dove egli vuole che essa approdi un giorno, o sforzarsi di giudicare uomini e cose come Dio le giudica, tutto questo è assai spesso intieramente estraneo a quel sentimento, tenue o languido, che nella nostra vita interiore si avvicina più d'ogni altro a ciò che può essere chiamato amore di Dio. Che cosa è Dio per voi, o cristiani? E quale posto occupa egli nella vostra vita? Quali affetti vi desta e vi alimenta? Quali opere si ispirano a questo amore e lo traducono nei fatti? VII. Io vi ho ricordato il Pater noster. Ognuno di noi forse recita od almeno ha recitato assai spesso nella vita questa preghiera. In essa è quel versetto: sia fatta la volontà tua in terra, come essa è fatta nel cielo. Esprimere a Dio il voto che la volontà di Lui sia fatta sulla terra senza che poi noi facciamo quel che ci è possibile per compierla noi stessi, è menzogna; con questo di peggio, e di sciocco, che è menzogna inutile, poiché Dio vede i cuori.
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Accettare una religione, professarla, e continuare poi in tutta la pratica della vita a cercare quel che essa nega, a negare quel che essa cerca, è una contraddizione strana, ma pure frequentissima.
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Presso di noi un giornale è sempre aperto a delle influenze preponderanti, e sempre costretto, per vivere, ad accettare delle servitù di diverso genere; non può contare né su risorse di redazione facili e alla mano, né su clienti certi, e non gli è quindi concesso di andare al passo degli avvenimenti.
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Nella vita sociale il giornale, moderato o progressista, dovrà accettare la legge del modificarsi costante del fatto politico come d'ogni altro, e rendersi interprete di esigenze vive e sentite, le quali aspirino non ad un potere sorto da consuetudini e da imposizioni, ma alla tutela del loro diritto sociale. Rappresenti esso la coscienza d'una classe, ma d'una classe sana, viva, la quale partecipi efficacemente alla produzione pubblica e senta la sua solidarietà con le altre,
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Ferri, il quale propose le dimissioni in massa, che il comune senso di disagio fece accettare pare da quelli che le disapprovavano. Da quelle dimissioni in massa nacque poi l'integralismo, l'ambigua posizione politica di chi non vuol giungere fino in fondo, e tien conto dello spirito delle masse, e di tutte le sue fanciullagini e di tutti i suoi difetti, per dominarle più facilmente; e l'on. Ferri ed i suoi amici integralisti conservarono nel partito la loro posizione e crearono la piattaforma per i dibattiti del futuro congresso; pur abbandonando al suo fato quel ministero Sonnino che era sorto da una situazione parlamentare creata in gran parte da essi, e sulle spalle del quale avevano così solennemente gittato un bel programma di democrazia di governo.
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Il Gesù in cui noi crediamo è venuto perché le anime nostre abbiano la vita — non delle formule, dei precetti, dei riti da accettare e applicare passivamente e quasi meccanicamente — ma la vita, e l'abbiano con più abbondanza. Tocca alle Chiese aggiustarsi con Lui.
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2º accettare e promuovere il cristianesimo, non come speciale forma o pretesto o programma dettagliato di raggruppamento politico, ma come spirito e precetto di amore e di bene che deve essere, in maniera assai più larga e perfetta che non fu pel passato, norma e vita di coscienze ripugnanti a qualunque forma di oppressione e di maleficio umano ed operanti secondo l'amore fraterno, principio di vera solidarietà ed eguaglianza spirituale.
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E l'inverso, invece, è quel che si va oggi facendo: poiché, come sempre, il non accettare, con passioni e per partito preso, un principio, conduce ad esagerare il principio opposto e portarlo fino all'assurdo.
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Cacciata fuori la chiesa, dagli interessi economici che mascherava l'odio razionalista, dalle sue posizioni politiche, molte passioni diedero giù; molti pregiudizi e timori e malintesi ha dissipato la riflessione, e, mano mano che il tempo passava, s'andavano presso gli uni obliterando le ragioni messe speciosamente innanzi per combattere la chiesa, e si incominciava ad accettare dagli altri, o come acquisizione nuova de' progressi della vita pubblica o come spediente temporaneo necessario, molte cose venuteci dagli avversari: sicché dello stato di animi e delle passioni politiche della metà del secolo riferiteci, così vivamente dalla letteratura patriottica del tempo, già quasi dimenticata, poco rimane più, meno che nell'odio cieco di alcuni uomini ed associazioni superstiti: il risveglio di qualche anno addietro pareva un'aurora ed era un tramonto: e gli avanzi di queste ire politiche contro la Chiesa li avrebbe soffocati il ridicolo, ultima condanna delle cose vecchie, se non fosse l'irreligione, che persiste e fiorisce tenacissima presso i dotti ed i colti, e di là si riflette, naturalmente, nel pensiero politico dei nostri avversari.
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Il 3 febbraio del 1902 furono pubblicati i nuovi Statuti dell'Opera dei Congressi con istruzioni annesse; e ai democratici cristiani si imponeva di entrare nel secondo gruppo della nuova Opera, di dipendere gerarchicamente da esso e di accettare nelle Sezioni l'assistente ecclesiastico nominato dai vescovi. Era la morte della nostra autonomia politica. Il Vaticano schiacciava un partito politico, di non confessionale.
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Il 9 febbraio il Domani d'Italia pubblicava una breve dichiarazione redatta da me, ma non recante la mia firma, in cui, in termini molto rispettosi, si annunziava di non poter accettare il nuovo Statuto e la presentazione alla Santa Sede di un memorandumEcco alcuni brani di quella memorabile dichiarazione «Abbiamo letto il nuovo statuto dell'opera dei congressi fatto conoscere ora ai cattolici, insieme a istruzioni emanate dalla S. Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari: e più specialmente la parte che riguarda la riorganizzazione della democrazia cristiana in Italia.«Cattolici sinceri e devoti alla Santa Sede, amanti sopra ogni altra cosa 1' unione sincera e costante con essa, ma gelosi altresì dei diritti e delle esigenze della attività civile e sociale dei cattolici italiani, e pieni di sollecitudine per l'avvenire delle nostre giovani associazioni operaie, noi ci sentiamo in dovere di osservare che nuove disposizioni statutarie dell'opera dei congressi contengono norme pratiche e regolamentari le quali ci sembrano non diradare un equivoco che in questo momento era necessario veder evitato — quello che vela la distinzione, necessaria a farsi, fra il compito religioso e i compiti civili e sociali delle organizzazioni popolari — e creano un pericolo serio per lo sviluppo ulteriore delle giovini forze operaie».Seguiva l'annuncio di un memorandum da sottoporre alla approvazione delle associazioni d.c. di tutta Italia per esser poi presentato alla Santa Sede.Fra i firmatari, tutti laici, era anche 1' avv. Mattei Gentili, oggi direttore del Corriere d'Italia.. Per non compromettere io sacerdote, la resistenza dei miei amici, feci annunziare la mia partenza da Roma e rimasi per più giorni nascosto in casa, non vedendo che qualche fedelissimo collaboratire. Il Vaticano ebbe paura. Se, come ho detto sopra, il laicato cattolico, che aveva oramai un numeroso stato maggiore, in cui erano già quasi tutti gli antesignani di oggi, fosse stato meno vile, la causa era vinta sin da allora e costituito, diciassette anni fa, il partito popolare italiano.
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Nel 1908, quando chi scrive, già colpito dalla sospensione a divinis, trattava con l'autorità per la revoca del provvedimento e si dichiarava disposto a ritirarsi da ogni attività pubblica, trovò la via della riconciliazione sbarrata da due pretese che non ritenne di poter accettare: impegnarsi a non aver più alcuna corrispondenza privata con i suoi antichi amici e collaboratori ed aderire formalmente al principio della assoluta obbedienza al pontefice anche in materia politica e sociale. Per difendere, adunque, il diritto dei cat tolici a una loro politica non ufficialmente regolata e diretta dalle autorità ecclesiastiche, egli fu escluso dalla Chiesa e colpito di scomunica maggiore, nominalmente. Se non avesse avuto la strana pretesa di possedere una coscienza propria, nel cattolicismo, egli sarebbe oggi il segretario politico del partito, fondato diciotto anni fa in un modesto appartamento di Piazza Torretta Borghese, in Roma.
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In questo scartare la tesi ed accettare l'ipotesi, in questo mettersi sul terreno delle libertà ieri deprecate, sta l'importanza grande del partito — noncattolico — popolare italiano, per la politica e per la religione del nostro paese.
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Dopo il 20 settembre 1871, vinta questa sul terreno politico, non volendo accettare il nuovo stato di cose, impose ai cat tolici italiani di non accettarlo neanche essi, e di associarsi durevolmente e fedelmente alla sua protesta. Espressione di questa fedeltà religiosa, che diveniva solidarietà politica fra il papato e i cattolici italiani, fu il nonexpedit, che Leone XIII fece interpretare come nonlicet. I cattolici rifiutavano di dar la loro adesione allo Stato unitario, di entrare a costituirlo, astenendosi dalle elezioni politiche, l'atto tipico della sovranità popolare sulla quale riposava il nuovo Stato. Cattolici prima che cittadini, devoti alla dottrina cattolica dei diritti e dell'autorità della Chiesa, essi stavano per questa. contro lo Stato anticattolico ed usurpatore.
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Col fatto stesso del costituirvi in partito politico aconfessionale e nazionale, voi cattolici sancite l'apprezzamento che fra i modi di questa libertà non c'è più per voi quello che vi impedì così a lungo di esistere come partito, di accettare la nazione e il suo Stato e il diritto fondamentale su cui questo riposa e l'unità nazionale. E voi stesso, infatti, avete cura di aggiungere che l'antico dissidio fra Stato e Chiesa si è venuto attenuando e l'esito della guerra ha «eliminato molti tramestii internazionali ai quali fu a scopi politici spesso ritenuta (sic) mescolata la Santa Sede, e «il problema dell'indipendenza della Chiesa è un problema spirituale al quale i cattolici italiani si interessano come si interessano i cattolici di tutto il mondo».
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Ieri, quando sembravano tutti dover accettare il verbo socialista, la nostra minoranza resistette e fermò per un tratto la democrazia liberale che si piegava. Anche il fascismo era minoranza, e credo lo sia ancora oggi, ed è arrivato a dominare, sia pure sotto l'aspetto di fazione armata, perché aveva i consensi dell'idealità nazionalista e della reazione conservatrice. Oggi esso si sforza di essere governo di tutti, per quanto sia ancora impregnato dello spirito di parte, e cerca di attenuare la posizione di fazione armata fino a confonderla con lo stato, e di disimpegnarsi dalla reazione conservatrice, tentando di mettersi al disopra dei contrasti economici.
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Combattere il socialismo come si fa oggi in Italia, senza distinguere, prendendo parte per i moderati o per i padroni, ostacolando o spezzando l'organizzazione proletaria, combattendo sempre e per partito preso i così detti sovversivi, fra i quali sono pure parecchi che potrebbero meglio essere chiamati ricostruttici, èun errore del quale i moderati che lo commettono non tarderanno ad avvedersi; è una politica dalle corte vedute, che si limita a numero delle posizioni guadagnate o perdute, senza preoccuparsi punto del futuro andamento della lotta: è un logorare le proprie riserve, lasciando agli altri il vantaggio di rafforzarsi di sempre nuove reclute per gli scontri di domani: è, in una parola, un accettare, nella lotta, la posizione della grassa e gaudente borghesia capitalistica, invece di prendere la posizione più adatta all'indole ed alle condizioni delle forze e delle energie delle quali dispone la Chiesa.
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Dall'altra parte, poi, essi dichiarano di accettare pienamente la costituzione italiana e l'orientamento dato allo Stato italiano da una possente e non interrotta tradizione, e l'unità d'Italia così come essa è ora costituita, cioè con Roma capitale; "Nell'agosto 1907, poco dopo la lotta di Bergamo, l'on. Cameroni, al consiglio comunale di Treviglio, esclamava" Viva Roma capitale d'Italia. E l'Osservatore romano ne lo rimproverò aspramente. e con ciò si sbrigano assai leggermente e del Sillabo e delle rivendicazioni non abbandonate su Roma e della enciclica Vehementer e di tutta l'attività politica della Santa Sede; e fanno, nella realtà, come l'on. Cornaggia fa anche a parole, tenendo lunghi discorsi politici senza neppur mostrare di ricordarsi che a Roma, oltre il Quirinale, c'è anche il Vaticano. Infatti i cattolici italiani che partecipano senza restrizioni alla vita pubblica del loro paese sopprimono ed annullano, senza forse addarsene, tutta l'attività politica della Santa Sede, dal 29 aprile 1848 ad oggi.
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L'accusa era falsa e, per ognuno che conosca da presso il cattolicismo, evidentemente ingiusta; essa aveva tuttavia, agli occhi di un pubblico che conosce oramai troppo poco la Chiesa e che ha molti pregiudizi contro di essa, una certa verosimiglianza che l'ha fatta accettare e menar per buona senza troppe proteste.
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Comunque, questo aspetto più profondo ed importante della questione è stato velato dal primo; e la Chiesa cattolica paga in Francia il fio di una condotta politica alla quale i suoi interessi sostanziali erano estranei ed anche contrari, e che una classe di uomini, reclamanti un dominio politico perduto oramai per sempre, è riescita, purtroppo, a far accettare da molti del clero secolare e regolare, ed a presentare al pubblico come la politica stessa del cattolicismo. E per questo è anche vana la speranza di quelli che, sul ricordo di quel che avvenne in Germania, sperano che anche la Repubblica francese vada a Canossa. Quello che un governo imperiale poté fare, per ragioni di politica interna, allo scopo di avere nei cattolici un valido e durevole appoggio, la republica francese non potrà farlo, almeno per molti anni, senza mettere in pericolo la sua propria esistenza. E si direbbe che appunto per rendere la separazione più definitiva, essa ha proceduto, nella legge e nella applicazione di essa, con uno spirito di liberalità e di sincerità, almeno esteriore, che non è spiegato dalle esigenze parlamentari, le quali anzi avrebbero permesso una più violenta condotta. Può darsi che, dal punto di vista parlamentare, l'innegabile abilità di Briand l'abbia avuta vinta, e che la questione religiosa non si ripresenti per qualche tempo alla Camera, con una certa gravità. Se dovesse risorgere, ciò creerebbe certamente al Governo la necessità di fare un passo innanzi in senso anticlericale, mirando alla soppressione od almeno alla limitazione dell'insegnamento libero. E se Briand e Clemenceau non si sentissero di farlo, Combes si è messo di nuovo, per l'eventualità, a disposizione degli anticlericali.
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I ventitre, accademici di Francia per la massima parte, detti cardinali verdi dal colore del loro abito accademico, che avevano firmato la nota petizione a Pio X, supplicandolo di accettare la legge di separazione, e con essi molti cattolici intelligenti si vanno sempre più disinteressando delle cose della Chiesa: anche nel laicato più modesto un senso di sfiducia e di sgomento si diffonde rapidamente. La gioventù laica, in particolar modo, si va, per opera della scuola laica (1'insegnamento libero universitario non ha prodotto effetti notevoli) sempre. più staccando dalla Chiesa; e non è dubbio che alle venture elezioni i cattolici avranno ancora minore vantaggio che nelle ultime scorse. La Repubblica si è consolidata ed ha messo radici profonde nell'anima francese; e l'idea repubblicana è così strettamente legata (per colpa, in gran parte, dei cattolici) a un concetto laico ed areligioso della vita che non fa meraviglia vedere le due cose crescere e diffondersi insieme.
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Quando, più tardi, si trattava di accettare o respingere la posizione fatta al cattolicismo dalla nuova legge, ancora una volta i cattolici francesi ebbero fiducia nel numero di seguaci che credevano di poter raccogliere per una politica di resistenza, e ne ebbero invece troppo poca nelle risorse delle quali potevano disporre per modificare gradualmente a loro vantaggio lo spirito pubblico francese. Della solenne disillusione che provarono, quanto a quella prima fiducia, ho già detto: il difetto di questa seconda non ha meno contribuito a rendere la loro condizione presente difficilissima.
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Se, imitando questo prete sincero ed attivo, i cattolici francesi potessero smettere il loro odio per la Repubblica, ritirarsi dal terreno delle violente competizioni di partito e darsi ad un lavoro sereno e fervido di educazione religiosa e sociale, dividere la loro causa da quella di noti avventurieri della politica, ed accettare senza riserve il diritto comune e la libertà, nessuno più oserebbe attaccarli, ed essi riacquisterebbero rapidamente il rispetto e la stima del popolo: di molta parte, anche, del popolo che, non crede più e non frequenta più le chiese.. Ma purtroppo, la speranza è, per ora, vana.
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Il Domani d'Italia dichiarò fermo e rispettosamente di non poter accettare le nuove disposizioni; e la commozione fu grande. Era l'ora del laicato. Non si seppe afferrarla. Dopo pochi giorni, durare nella resistenza apparve impossibile, per la timidezza della maggior parte dei giovani; e il Vaticano, impaurito, si mostrava blando e pieno di condiscendenza. Si cedette. Il movimento, nella sua fase ufficiale, ebbe una nuova effimera fioritura; e nel congresso di Bologna del novembre 1903 parve oramai padrone, in un ultimo scontro decisivo fra le due tendenze, della stessa Opera dei congressi.
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Lo Stato, o meglio Giovanni Giolitti che, dopo la reazione allo sciopero generale del sett. 1904, piegava a destra, si affrettò ad accettare la collaborazione politica dei cattolici conservatori e ad offrire in cambio la sua solidarietà al pontefice, secondando la repressione e l'isolamento dei novatori. Il giornalismo liberale che aveva spesso e volentieri, negli anni prece¬denti, accolto scritti di giovani cattolici e talora favorito apertamente la causa di questi, fu richiamato su migliore via, o con minacce aperte di proibizione da parte dell'autorità ecclesiastica — e se ne ebbe anche qualche esempio ammonitore, — o mediante accordi con i redattori e corrispondenti di quei giornali per le cose vaticane. Sicché in breve tempo tutta la stampa liberale (i piccoli giornali seguono sempre l'esempio dei maggiori, il che semplifica assai l'opera di...persuasione) o tacque o incominciò contro la democrazia una campagna di denigrazione e di scherno.
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