Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il grandioso convegno di Ala

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Contro gli altri partiti non sollevano proteste, né contro la tattica liberale, che non rappresentò certo gl’interessi rurali, né contro i socialisti, per quanto spesse volte abbiano votato in senso contrario agli interessi e al sentire dei contadini. Tutto l’attacco, tutta la rabbia è contro i popolari, contro le loro istituzioni! Possibile che noi non abbiamo fatto niente di bene e che gli altri non facciano nulla di male? E qui l’oratore riepilogando la politica dietale dal periodo dell’astensione in qua dimostra che chi ha chiamato i contadini ad occuparsi di politica, chi ha rotto il giogo di pochi ed ha aperto la strada alla democrazia rurale furono i popolari, i quali insegnarono ai contadini ad organizzarsi economicamente e poi politicamente. A questo movimento d’emancipazione e scisma creato dall’iseriani cozza di fianco. Malgrado tutte le frasi di libertà e indipendenza, la politica raccomandata dal Contadino (vedere la questione di Fiemme come non unico esempio) è quella vecchia dei signori. Il partito popolare sopporterà l’urto più agevolmente di quello che non sperano gli avversari. Ci rincresce di dover combattere su tre lati; ma anche se i leghisti ci attaccano alle spalle, so che voi saprete battervi da valorosi. Per che cosa combattiamo noi? Non per un mandato più o meno; che se non fosse questione che di mandati, dal nostro canto facile sarebbe l’intesa. Ma è questione di principio. I leghisti, voglia o non voglia, sono gli anticlericali della campagna che vi trasportano l’anticlericalismo cittadino, e come gli anticlericali lo furono in città, così nella campagna i leghisti sono i precursori del socialismo. Esiste quindi un pericolo evidente di carattere sociale e anche d’ordine religioso. Qualcuno non lo vede, qualcuno sarà in buona fede, ma anche il socialismo è incominciato a Trento colle citazioni di S. Paolo. Bisogna quindi che ci battiamo con tutta la forza per la difesa dei nostri principi. L’oratore accenna infine all’aspra campagna personale che si fa contro tutti i capi del movimento nel «Contadino». È un continuo tentativo d’intimidazione e di demolizione. Ma quando abbiamo preteso, chiamandovi cattolici nella vita pubblica di presentare le nostre persone come modelli da imitare? In chiesa recentemente abbiamo cantato il Miserere. Vengano i signori leghisti, e noi siamo pronti a rimetterci in ginocchio assieme a dire Miserere di noi o signore, secondo la tua grande misericordia. Ma quando si rialzeranno chi darà loro il diritto di coprirci di contumelie e di accuse? Chi siete voi che volete coprirci di pietre? Discutiamo di principi non di persone. L’oratore termina con un caldo inno alla democrazia cristiana e al rinnovato sforzo che tutti compiamo per la sua vittoria. Un uragano d’applausi scoppia nella grande assemblea.

Il primo Congresso Cattolico Trentino

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Nessuno s’accorse dopo l’entrata del socialismo, che negli studenti — le eccezioni non contano — siano penetrate nuove idee, abbiano fatto scuola nuovi ideali, e soprattutto che questi ideali siano stati messi a programma d’una società o scritti su di una nuova bandiera. Tutto si ridusse ad un po’ di radicalismo dalle tinte più vivaci; in questo o quel congresso si udirono delle frasi più forti e più arrischiate. Che era stato? I socialisti avevano cambiato al vecchio fonografo liberale il cilindro, ve n’avevano sostituito uno nuovo e si sonava allegramente; erano le medesime frasi, gli stessi motivi, ma più ben intonati, più forti secondo le nuove invenzioni. Di queste frasi parecchie suonavano accusa contro di noi; le più parevano fatte apposta per crearci attorno pregiudizi ancor maggiori e così s’aggiunse al passato il presente. Il nostro programma, le nostre idee giungono quasi sempre indirettamente agli orecchi degli studenti che escono di ginnasio, quasi mai a quelli dei genitori. Gioverà oggi che parliamo in questa Trento, centro intellettuale — almeno per gli studenti — ripetere quello che siamo e quello che vogliamo. L’Associazione universitaria ha scritto sulla propria bandiera: Pro Fide, Scientia et Patria. Permettete, o signori, che oggi sia assolutamente pratico. Lascerò gli astrattismi ed esprimerò i nostri ideali più concretamente: Cattolici italiani, democratici! Ruskin disse una volta: «Noi adoperiamo uomini, che considerino come loro prima conquista saper governare sé stessi, come seconda il saper giovare alla Patria ed alla società». Con la nostra formula noi vogliamo quello che desiderava Ruskin. Cattolici! Siamo al punto fatale della divisione. Non risusciterò, signori, antiche polemiche, né ripiglierò i classici argomenti che svolsero i trentini in quei giorni, in cui si dovette rompere un infausto letargo e riscuotere il paese a quella vita, di cui oggi appunto ci rallegriamo. Ma è strano che di tutti quei rumori non sia arrivata nei circoli universitari tanta eco, da giustificare e motivare il nome che abbiamo dato alle nostre società. Giovani, negli anni nei quali con tutta l’anima si cerca ovunque il vero e l’ideale, venuti alle università, che furono per tutto il secolo XIX le officine di nuovi rivolgimenti intellettuali e sociali ostili al cattolicismo, avrebbero dovuto accorgersi che, alle soglie dell’aula magna, vengono a toccarsi cogli estremi confini due mondi avversi: mondi di idee e di convinzioni, ma che fuori nel turbine sociale corrispondono a due grandi soluzioni pratiche e radicali della vita presente ed avvenire. Questo contrasto, questa lotta suprema essi avrebbero dovuto affrontare e coraggiosamente superare in sé stessi e consacrare gli entusiasmi e le forze giovani all’una causa o all’altra. Si preferirono invece — pochi eccettuati — alle soluzioni radicali le soluzioni intermedie. Le idee «moderne» fecero un vile compromesso con quel po’ di cattolicismo che doveva restare per amor delle tradizioni familiari, ridotto naturalmente ad una somma più o meno grande di messe basse per non disgustare le ferie alla mamma. E quel tanto di cattolicismo che non si adattava al compromesso venne chiamato clericalismo, e a noi, che decisamente avevamo preso le parti di uno dei combattenti e ci eravamo dichiarati per una soluzione radicale, si gridò: fanatici, e turbatori della pace. Signori, anche Cristo un giorno ha detto: Non vengo a portar pace, ma spada. Ma regnava una pace in cui il bene era confuso col male, col vantaggio del peggio. Il Trentino e un paese, negli abitanti dei suoi monti cattolico, nelle sue classi colte, nella borghesia, in genere, pagano. Mentre la fede dei lavoratori di questa dura terra trentina restò salda malgrado la marea, che ascendeva quasi difesa da baluardi naturali, non ne rimasero illese le nostre città, i nostri borghi. Lo spirito invadente del paganesimo, qualunque nome portasse penetrò in questa società colta, ove coltura divenne più o meno sinonimo di scetticismo. O chiamate voi forse religione cattolica quelle quattro usanze rimaste per forza d’inerzia, come far battezzare i bambini, assistere a qualche funzione di parata e far posare la croce sul feretro, mentre la vita privata e pubblica è informata a principii pagani o a vieti compromessi, mentre i libri,la stampa quotidiana, l’arte, il teatro, le istituzioni sono inspirati ad ideali che sono fuori o contro il cristianesimo? No, o signori, il cattolicismo è qualche cosa di più integrale, non estraneo a niente di bene, avverso a qualunque male, una regola fissa che deve seguire l’uomo dalla culla alla bara, l’anima e il midollo di tutte le cose. I nostri contadini comprendono che fra loro e i signori c’é una grande diversità di convinzioni, benché non sappiano misurare la profondità dell‘abisso; e quando muovono alla chiesa e vedono il dottore o l'avvocato seduti alla porta del pizzicagnolo o dell’oste del paese osservarli con un cert’atto di superiorità e disprezzo, brontolano qualcosa che esprime il voto di un popolo intero più che non avvenga in cento comizi. E se domandate loro dell'origine di questi mali, vi rispondono: Ma, sono stati all’università! Conosco un buon uomo intelligente che aveva posto le più belle speranze su di un nipote che in ginnasio non aveva mai fatto parlar male di sé. A suo tempo, espresse allo zio il proponimento di andare all’università, e lo zio, pur continuandogli la sua benevolenza, incominciò a dargli del lei. E al nipote meravigliato motivava la mancata confidenza così: Mio caro, lei ora va all’università, quando ritornerà non penserà più come me ed è meglio ci avvezziamo ora a trattarci con deferenza. Nessuno vorrà negare che i nostri popolani nell’indicare la origine del male, non colpiscano nel segno. Sì, dall’università ci venne il paganesimo intellettuale, se non sempre la crisi morale. Ebbene, o signori, volevate voi che giovani convinti della loro fede ed entusiasti della sacra poesia della religione paterna, saliti là dove più distintamente s’ode il rumore della battaglia suprema, se ne stessero indifferenti osservatori? No, noi abbiamo ascoltato la voce del dovere, ci siamo stretti in un fascio, abbiamo spiegato la nostra bandiera e abbiamo offerto alla causa cattolica il nostro tributo di forze giovanili. Noi, ricordandoci delle parole di Montalembert, non abbiamo nemmeno supposto di non accettare le condizioni di un’epoca militante. Non bastava conservare il cristianesimo in sé stessi, conveniva combattere con tutto il grosso dell’esercito cattolico per riconquistare alla fede i campi perduti. Contribuire ora e più tardi al ritorno delle classi colte trentine all’antica fede della città del Concilio, e distruggere così l’abisso fatale aperto fra il popolo e la colta borghesia, ricondurre quell’armonia necessaria ad un popolo tendente ad alti destini, ecco quello a cui noi tendiamo e che esprimiamo mettendo a capo del nostro programma la parola cattolici. E a questo scopo ci soccorre la fede che solleva i cuori e la scienza che arma la mente. A chi nega la conciliazione dell‘una con l'altra, risponda Pasteur. Disse una volta ad un cotale che gli domandava se fra i risultati delle sue esperienze e la Bibbia avesse mai trovato contraddizione: Signore, io passai la vita nello studio, e giunto alla fine credo quanto crede un povero contadino della Bretagna. Se vivessi ancora penso che le mie esperienze mi condurrebbero a quella fede che anima la più povera vecchiarella brettone! Signore! signori! I polacchi dicono che per loro polonismo e cattolicismo è la medesima cosa. Polacco significa già cattolico. Parlando di noi trentini potremo dire a più ragione: Cattolici significa già italiani. E avremo una parola di meno nella formula. Ma viviamo, o amici, in un paese di confine, ove valse fin'ora per buon italiano chi giurò spesso d’esserlo, ove una borghesia di petrefatti ricantò nei caffè e nelle accademie ideali vecchi, tramontati già, se non mai sorti, per le masse popolari, belli se commuovono un popolo intero, quando seguirli venga stimato virtù; spogli di splendore, abbrutiti quando non facciano conto della realtà delle cose e dell’anima popolare e vengano rappresentati senza uomini o partiti come passione senza il riconoscimento delle leggi morali e dell‘ordine civile! Questi uomini e questi partiti o giovani, che ne ereditarono il fonografo, ripetono ancora oggi in buona o mala fede una terribile accusa contro i cattolici: mancar essi di patriottismo ed amore alla propria nazione. Ricorderò sempre, o signori, con sdegno la risposta che a me e ad un mio collega diede uno studente radicale in Vienna, quando eravamo accorsi come tutti ad interessarci d’una questione comune: Voi cattolici — lo sapete — non vi teniamo come italiani. Ah! Viva Dio, avremo dovuto rispondergli, i cattolici sono italiani da secoli, da quando sorse la nazione intorno alla cattedra di San Pietro; voi siete — se lo siete — italiani da dieci-dodici lustri. I cattolici hanno dietro quasi due periodi storici che furono guelfi, voi, forse, il ghibellinismo di cinquanta anni. Ma ci parve meglio ridergli in faccia. E così dovrei far oggi e passar oltre e dire: Guardate che cosa hanno fatto i cattolici trentini per la difesa della loro lingua e dei loro costumi, e vi basti. Se oggi sviluppo alquanto il nostro pensiero, non è per rispondere a certi giovanotti che di questi giorni proprio vanno, a rovina della patria e a vantaggio di un partito, ripetendo antiche menzogne, né per ottenere la patente di buon italiano da certi signorini che poi dichiarerebbero, magari dal podio del teatro sociale, di non crederci; ma io penso alle madri ed alle famiglie, ove la calunnia poté trovare credenza. A loro gioverà gridare di nuovo: No, questi giovani che si propongono d’essere anzitutto cattolici, non dimenticano socialmente di essere anche buoni italiani. Difendendo la fede e i costumi dei padri, compiono il primo dovere che incombe ad ogni italiano che non abbia dimenticato Dante, Raffaello, Michelangelo, Manzoni per Proudhon, D’Annunzio o Zola, né san Tommaso per Kant o Nietzsche, né il nostro apostolo latino san Vigilio per il teutonico Marx. La differenza capitale fra noi e gli altri è questa: gli altri coscientemente o no seguono un principio che si ripresenta sotto varie forme dall’umanesimo e dalla rinascenza in poi, per la quale una volta agli uomini fu Dio lo Stato, poi l‘Umanità, ed ora è la Nazione. E come Comte e Feuerbach parlavano di una religione dell’umanità, così ora si parla d’una religione della patria, del senso della nazione, sull’altar della quale tutti i commemoratori delle glorie altrui ripetono doversi sacrificar tutto e idee e convinzioni. Questo concetto trapelò anche da noi in molte occasioni e quando si dice che davanti al monumento a Dante devono sparire tutte le misere divisioni di partito, che cosa si vuole insegnare altro alla gioventù se non altro che la Nazione va innanzi tutto, che essa solo può pretendere una religione sociale, mentre il resto è cosa privata? Signori, non è vero! Noi ci inchiniamo solo innanzi a un Vero supremo indipendente e immutato dal tempo e dalle idee umane e al servizio di questo noi coordiniamo e famiglia e patria e nazione. Prima cattolici e poi italiani, e italiani solo fino là dove finisce il cattolicismo. Pratica: non furono i cattolici che ordinarono i fatti di Wreschen, ma furono coloro che senz’altro ritegno di giustizia e moralità gridano: la nazione soprattutto. No, Iddio, il Vero innanzi tutto! Nella pratica della vita questo principio non ci ha impedito di accorrere ogni qualvolta lo richiedesse l’onore di tutti gli italiani: e noi giovani anche per l’avvenire non perderemo nella nostra propaganda democratica cristiana; rammenteremo sempre che vogliamo creare non soltanto buoni cattolici, ma anche buoni italiani, amanti della lingua loro e dei loro costumi, fieri di appartenere a quella Nazione che fu nella storia la prediletta della Provvidenza. Un’altra parte del nostro programma è espresso nella parola «democratici». Signore e signori! Se le esigenze del Congresso e la ristrettezza del tempo lo permettessero, io vorrei parlare a lungo su questo argomento. E non perderei tempo! A quei signorini universitari che se ne stanno anche durante gli anni dello slancio e dell’altruismo epicureamente lontani dal popolo e s’avvezzano per tempo al caffè donde c’è venuta una borghesia parassitaria, vorrei ripetere oggi questa parola. Anche in questo riguardo il periodo universitario e fatale: dall’università si esce democratici o aristocratici già fatti. O che da giovani ci si avvezza a ridurre il mondo ai giornali che si leggono e ai membri della propria classe, e allora il giovane, divenuto dottore, avvocato, non discenderà fra le grandi masse popolari come fratello ai fratelli, ma come rappresentante di quella borghesia che si attirò nei tempi nostri tanti odi e maledizioni. O che si vede già da giovani oltre la barriera borghese venire una moltitudine di gente che vuole passare e si comprende la giustezza della tendenza, e allora si stende al di là la mano; vi fate a loro compagno e considerate tutta la vita come una faticosa erta su cui dovete salire voi e il popolo ad una meta comune. Non è mancanza di modestia, o signori, se noi, studenti cattolici, ci mettiamo senz’altro fra i democratici. Io credo che nessuna associazione universitaria ha tanti membri che si siano, come molti dei nostri, buttati all’istruzione popolare ed abbiano affrontato con coraggio, quando i loro studi lo permisero, il problema di creare nel popolo trentino democratici cristiani. Ma questo spirito democratico che ci anima, non è, o signori, una concessione alle tendenze di oggidì, ma un frutto di quel cristianesimo compreso socialmente, praticato dentro e fuori dell’uomo, in tutta la vita pubblica. Signore! signori! Con questo programma che abbraccia tutta la vita, abbiamo alzato l’anno scorso, all’autora del secolo XX la nostra bandiera. Questa bandiera l’abbiamo portata in mezzo alla gioventù studiosa, chiamando a raccolta e continuando a combattere. Noi vogliamo creare caratteri, vogliamo chiarezza d’idee. La nostra società è sorta come un’accusa contro i compromessi morali e religiosi. Noi rompiamo questa massa incolore, fortemente, ma lealmente! Numquam incerti, semper aperti! Non tema qualche buono che con ciò creiamo dissidi incancellabili. Vogliamo la guerra, ma per la pace. Quando gli studenti si troveranno di fronte con ideali chiari, con propositi precisi, sarà più facile intendersi. Ma fino a che regna la nebbia e il mare batte furioso, noi — la cavalleria leggera dell’esercito cattolico — stiamo sull’attenti, e al primo rumore che precorre l’assalto, gridiamo rivolti a tutti: Alle dighe; e vi ci lanciamo per i primi!

La propaganda socialista

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Dopo aver ammesso che il capitalismo imperialista fu senza dubbio una delle cause principali, l’oratore si domanda se i socialisti abbiano proprio diritto di proclamarsi completamente estranei alla guerra. Il manifesto di Marx è vecchio del ’48. Ma i suoi seguaci abbandonarono la sua strada. I suoi più fidi, i socialisti tedeschi nell’agosto del 1914, votarono al parlamento germanico le spese di guerra, tutti, compreso il Liebknecht. Solo più tardi la frazione degli indipendenti, nelle votazioni successive, si dichiarò contraria, ma la maggioranza, tra cui i capi autorevoli, rimasero fedeli alla causa della guerra, fino alla sconfitta. In Austria i socialisti si divisero, uno dei capi più ammirati, il Dasynsky, col suo gruppo votò non solo per le spese della guerra ancora nel giugno 1917, ma organizzò addirittura le legioni polacche contro la Russia mentre va rilevato che nessun deputato trentino votò mai in favore delle spese o dei prestiti di guerra. L’Arbeiterzeitung stessa, organo del partito internazionale austriaco di cui facevano parte anche i socialisti italiani soggetti all’Austria, scrisse in favore della guerra contro la Russia. Che dire poi dei socialisti sull’altra sponda? Proprio il capo del Bureau socialista internazionale il Vandervelde fu membro del gabinetto di guerra del suo paese e grande propugnatore della guerra a fondo; in Francia furono ministri durante la guerra i socialisti Guesde, Sembat e Thomas quest’ultimo addirittura delle munizioni: in Italia basti ricordare Bissolati, Canepa, Bonomi. Nella stessa Russia i capi socialisti Plechanow, Burzew e Kropotkin (proprio quello ch’è citato stabilmente nella testata dell’«Internazionale») furono ferventi sostenitori della guerra. È vero che tutti costoro partecipando alla guerra si giustificarono con ragioni riguardanti la difesa della loro patria o la civiltà, ma ciò vale anche per i cattolici. Se l’«Internazionale» accusa i cattolici, deve condannare anche i socialisti, se assolve questi, non può accusare i primi. I socialisti trentini non hanno diritto oggi di riesumare Carlo Marx, fondatore dell’Internazionale, per rifarsi una verginità innanzi alla guerra e di richiamarsi a quella internazionale che fece all’atto pratico completo fallimento. In quanto ai preti bisogna distinguere un atto di culto, qual’è quello della benedizione delle bandiere, dall’eccitamento all’odio e alla guerra. Chi ha scritto pagine più feroci contro il nemico di Hervé? E di contro a questi fatti quali atti di propaganda pacifista sanno i socialisti apporre che equivalgano agli appelli, alle proposte, alle iniziative del capo della Chiesa cattolica? E qui si potrebbero ricordare tutti gli atti pontifici in favore della pace. Già nel settembre 1914 Benedetto XV scriveva: «Bastino le rovine che già sono state prodotte, basti il sangue che è già stato sparso; si affrettino dunque ad accogliere nell’anima sentimenti di pace...». Tali appelli il papa ripeté al 1° novembre e nel Natale dei 1914 esclamava: «Deh cadano al suolo le armi fratricide, cadano alfine queste armi troppo macchiate di sangue: e le mani di coloro che hanno dovuto impugnarle tomino ai lavori dell’industria e del commercio, tornino alle opere della civiltà e della pace!». E qual grido fu più commovente, quale appello più forte di quello che il papa dirigeva ai potenti nel primo anniversario della guerra? Rievocate quelle parole che noi, profughi o combattenti per forza, per una causa straniera, leggemmo allora piangendo. «Nel nome Santo di Dio, nel nome del celeste nostro Padre e Signore, per il sangue benedetto di Gesù, prezzo dell’umano riscatto, scongiuriamo voi, che la Divina Provvidenza ha posto al governo delle nazioni belligeranti, a porre termine finalmente a questa orrenda carneficina che ormai da un anno disonora l’Europa... Voi portate innanzi a Dio ed innanzi agli uomini la tremenda responsabilità della pace e della guerra: ascoltate la nostra preghiera, la paterna voce del vicario dell’eterno e supremo giudice, al quale dovrete render conto…». Questo scongiuro fece tale impressione che l’Austria ne proibì la ristampa nel «Bollettino diocesano». I socialisti allora, dall’Avanti all’Arbeiter Zeitung, riproducevano il documento a caratteri di scatola. Ora vorrebbero che tutto ciò fosse dimenticato. Il mondo dovrebbe affidarsi per l’avvenire unicamente alla nuova internazionale che Lenin sta ricostruendo col ferro e col fuoco. Quale è il mezzo con cui essi vorrebbero distruggere il militarismo se non con un altro militarismo alla Trotzky o alla Bela Kun? La dittatura del proletariato, la guerra civile, la violenza insomma dovrà trionfare delle vecchie violenze? Non la lotta di classe, spinta fino alle sue ultime conseguenze, può bandire le guerre future, ma la riorganizzazione della società in base ad una rinnovata coscienza cristiana. La fratellanza di Cristo e solo questa ha la forza di attuare la prima. L’oratore termina applauditissimo ricordando la statua del Redentore che domina la scalea del palazzo della pace all’«Aia», posta come sulla soglia del nuovo mondo che deve venire.

L'assemblea costitutiva del Partito popolare

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Per concludere: nessuna meraviglia perciò che i popolari abbiano issato per i primi, in quest’ora storica per il nostro paese, la bandiera delle rivendicazioni democratiche: era nel loro programma, e solo ci è grande conforto che questo corrisponda così bene all’esigenze psicologiche e agl’interessi più urgenti del nostro paese a questa svolta della sua storia. Aggiungeremo di più. Poiché il programma autonomista, sostanziato di postulati concreti, lanciato in mezzo alla nazione, ove, come abbiamo visto, raccoglie il suffragio delle energie più sane e capaci di rinnovare l’Italia, è programma di dignità e di fierezza, esso contiene anche una forza educativa del costume politico. Solo se salverà le sue autonomie, il Trentino e i trentini avranno politicamente una personalità propria e poiché saranno forti di una maggiore libertà e di una maggiore sicurezza dei loro diritti potranno dimostrare agli altri con qual virtù si possa servire la patria, quando si e forti di una forza propria (applausi). Rifacciamoci ora di nuovo al momento della nostra liberazione politica. Con quale ansia, amici miei, abbiamo atteso la grande giornata! Quando venne finalmente, le aspre lotte per la nostra esistenza nazionale, il diuturno contrasto per dimostrare la legittimità delle nostre aspirazioni, avevano inciso nelle nostre menti un concetto altissimo di quello ch’è per l’individuo la nazione e di quanto dovesse valutarsi per noi il ricongiungimento colla madre patria. Il fatto che s’invocava non era il cambiamento di dogana, il mutamento di governo: era a traverso l’unione politica, l'unione morale colla nostra nazione. Quest’unione morale abbiamo quindi esaltato perché ci chiama ad un sentimento comune di grandezza, ci fa partecipi di un patrimonio glorioso del passato, ci associa alle conquiste civili dell’avvenire e, facendo di ciascuno di noi un figlio della grande nazione italiana, irradia su noi una luce nuova che eleva il nostro spirito e moltiplica i nostri impulsi di progresso. Nessun pericolo quindi per noi di svalutare l’opera di unificazione nazionale.

Una conferenza dell'on. Degasperi a Merano. Il contraddittorio coi socialisti

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Quando i tedeschi hanno chiesto l’autonomia, la maggioranza dei trentini ha risposto che non intende opporsi a che i tedeschi sul terreno delle autonomie locali, che i trentini reclamano anche per sé, abbiano un’amministrazione separata. I trentini non hanno mai consigliato una politica repressiva e mentre durante la guerra i tirolesi inveirono contro i nostri deputati confinati - basti ricordare l’on. Conci tenuto lontano dalla Giunta e costretto ad abbandonare perfino il convegno d’Innsbruck ove si dovevano discutere provvedimenti contro la fame — questi stessi deputati non ebbero difficoltà ad intervenire in favore di un deputato dietale, tirolese. Questo il contegno nostro, conclude l’oratore, che ci dà diritto di deplorare il contegno di certa stampa. Certo che noi non potremo mai permettere che agl’italiani dell’Alto Adige venga ostacolato il loro libero sviluppo, in nome di una dottrina di Monroe che si vuole applicata a tutto il territorio sopra Salorno. Infine un’enorme differenza — rileva il dr. Degasperi — esiste ancora in favore dei tedeschi al confronto di quella ch’era la situazione nostra rispetto allo Stato. Noi eravamo in Austria sudditi, essi in Italia sono cittadini. Sopra noi regnava l’inquisizione del pensiero, ché non ci era lecito esprimere nemmeno la nostra simpatia verso la nostra nazione e ci si educava all’ipocrisia, esigendo da noi dichiarazioni di patriottismo. I tedeschi, invece, hanno potuto liberamente proclamarsi repubblicani, criticare nei loro giornali il trattato di S. Germain, proclamare le loro riserve e proteste di diritto statale. Ai tedeschi resta libero di usare di tutte le armi della libertà politica e della democrazia; e se quest’uso non è pieno in questo periodo di transizione, come non è nemmeno per i trentini, presto verrà il tempo in cui potranno eleggere i loro rappresentanti. Si mettano francamente e apertamente su questo terreno, lascino le diatribe infeconde e nel pieno esercizio delle libertà politiche impareranno ad apprezzare le garanzie civiche che offre lo Stato italiano e ad amare l’Italia, che non conoscono ancora. Questo in sunto quanto espose in forma piana e senza pretese nella prima parte della sua conferenza l’on. Degasperi.

Parlamento e politica

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Luigi Sturzo 2 occorrenze

Possiamo discutere se si poteva far meglio, se uomini e partiti abbiano bene assolto al loro cómpito, se i provvedimenti adottati siano stati completamente opportuni. Dobbiamo convenire che pur avendo passato tale periodo di sconquasso, a riguardarlo bene abbiamo noi stessi la impressione che ancora incomba il pericolo. Oggi la finanza statale è migliorata, il bilancio comincia a reggere, la fiducia ritorna; siamo agli inizi, occorre avere coraggio, affrontare la riforma della finanza dello stato, quella dei comuni e delle provincie, i cui progetti sono pronti, e insistere di fronte a tutti sulla tesi delle economie sino alle forme più audaci e più estreme, perché ogni sacrificio è giustificato per assicurare la vita alla collettività stessa di cui lo stato è organo e sintesi. Ma non vi potrà essere salda finanza se non vi è una politica interna forte che rimetta in primo piano la osservanza delle leggi, il rispetto all’autorità dello stato, la saldezza delle istituzioni, la sicurezza della economia privata, la garanzia del diritto. A ciò contribuisce sicuramente la fiducia generale che la crisi economica venga superata. Questo terzo elemento è dato principalmente dalla politica estera che investe, nel suo com¬plesso, i più gravi problemi dell’esistenza e dello sviluppo della nostra vita nazionale. È una vecchia tradizione del nostro regno che la politica estera sia subordinata alla politica interna; in¬vece, se subordinazione vi dovesse essere, sarebbe al contrario. La politica estera è e deve essere basata sulle ragioni economiche, morali e storiche del nostro paese; paese di emigrazione, abbiamo il dovere di fare una politica di valorizzazione dei nostri connazionali all’estero, di migliorare i nostri rapporti commerciali, di crearci una sfera di simpatie nel campo della economia, di stabilire quelle garanzie che valgano a rendere meno soggetta la nostra politica a gruppi finanziari e a stati egemonici. La politica del piede in due staffe, della amicizia da un lato e dell’alleanza dall’altro, dei protocolli che affermano e negano, dell’altruismo paesano che tradisce una debolezza e dell’infingimento che tende a far credere al successo, ormai è una politica sfruttata e assurda. Certo, le soluzioni avute nella politica estera da Vittorio Veneto ad oggi non sono in armonia coi nostri diritti, coi nostri interessi, con la nostra posizione futura. Tutta la serie dei trattati fino a quello di Rapallo segnano degli strappi; oggi però bisogna essere realisti e prendere quel che esiste ai nostri riguardi come punto di partenza per l’avvenire. Noi abbiamo bisogno di esportare mano d’opera e di importare materie prime; noi dobbiamo volgere le nostre attività verso Oriente; noi dobbiamo riprendere il nostro posto nel Mediterraneo. È una politica: farla o non farla; con serietà, con antiveggenza, creando una storia, uomini adatti, mezzi congrui. La politica estera è la più difficile per noi, per la posizione stessa della nostra patria, per il gioco degli interessi delle nazioni egemoniche, per la tradizione stessa della nostra politica e per la povertà economica che ci fa forzatamente tributari all’estero. In questo punto debole della nostra posizione nazionale, debbono convergere gli sforzi degli studiosi e degli uomini politici, su¬perando quella indifferenza ai problemi di politica estera, che per gran tempo ha segnato la caratteristica della nostra educazione nella vita pubblica.

Inve¬terate abitudini, inveterati pregiudizi, interessi particolari han¬no impedito finora qualsiasi seria riforma, quantunque la opi¬nione pubblica e gli insegnanti più competenti ne abbiano proclamato l’urgenza in tutti gli ordini di scuole, ma specialmente nelle scuole medie, in stridente contrasto con i bisogni della vita moderna. Per singolare fenomeno, uomini che in ogni altro campo invocano la libertà, nella scuola la combattono. Lo stato deve avere l’alta direzione dell’insegnamento e controllarlo con l’esame di stato, ma non deve sopprimere ogni legittima attività che nell’insegnamento apporti sicuri elementi di progresso. Il problema della scuola non fu mai seriamente affrontato dal parlamento. Auguriamo che il corpo elettorale ne imponga il serio studio alla nuova rappresentanza nazionale». La battaglia data dal partito popolare italiano sull’esame di stato resterà a ricordo dei nostri fasti, e fu battaglia santa. Qualcuno non comprende tanto il nostro fervore per una riforma soltanto tecnica e a portata limitata, quale è l’esame di stato. Per noi è l’inizio di una ben più alta rivendicazione, la libertà di insegnamento. L’Italia in questa materia è alla coda delle nazioni civili; ha negato le sue stesse origini per il vieto pregiu¬dizio anticlericale; per questo asservì la scuola di stato alle influenze massoniche e ne volle creare un monopolio. Sottopose la scienza ufficiale all’influenza protestantica della Germania. Tollerò nelle scuole secondarie che fosse falsata la storia per deprimere l’istituto del romano pontificato, e credette accorgimento politico creare la scuola neutra e bandire dalle scuole elementari l’insegnamento del catechismo con formalismi ostruzionistici. È storia dolorosa di un traviamento spirituale, sostenuto in nome della patria, ai cui danni invece preparò il terreno atto alle teorie materialistiche ed al pervertimento comunistico del nostro popolo. Noi vogliamo la scuola libera per lasciare il diritto alla famiglia di salvaguardare la fede, la coscienza, l’educazione delle tenere generazioni italiane, non solo nel culto del bello, nel sentimento verso la patria, ma anche nella virtù e nella bontà quali le concepiamo noi, nella libertà della nostra coscienza, nella tradizione delle nostre famiglie, nella storia della nostra Italia, che è tradizione e storia viva del cattolicismo. Ma pensiamo che la scuola di stato debba anch’essa modificarsi e migliorare, e pensiamo che la libertà interna della scuola, il contatto maggiore con le famiglie, il decentramento scolastico, l’autonomia delle scuole superiori e dei programmi gioveranno a ridarle il contatto con la realtà, per essere vivificata come il gigante Anteo che risorgeva in forze appena toccava la terra. Anche il monopolio della scuola deve essere spezzato; e noi che siamo contro il monopolio in materia economica, in materia organizzativa, lo siamo ancora di più in materia scolastica. La vecchia struttura dello stato era o doveva essere basata sulla libertà; però cominciò con opprimere la scuola creando il monopolio delle scuole di stato, asservito alle correnti delle sètte segrete, che fecero il loro nido presso la Minerva; quindi procedette a opprimere le organizzazioni libere, sottoponendole al monopolio socialista, annidatosi presso i ministeri economici; infine è arrivato col monopolio economico a combattere l’economia libera, sottoposta alla burocrazia statale; triplice catena che noi dobbiamo spezzare per il risanamento morale, organico ed economico del popolo italiano.

Trattato di economia sociale: introduzione all’economia sociale

393344
Toniolo, Giuseppe 1 occorrenze
  • 1906
  • Opera omnia di Giuseppe Toniolo, serie II. Economia e statistica, Città del Vaticano, Comitato Opera omnia di G. Toniolo, voll. I-II 1949
  • Economia
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Tanto è vero, che questa è «vincolo di anime in ordine ad uno speciale fine civile», che vi hanno popoli in cui è indistruttibile il sentimento di nazione, sebbene non abbiano un territorio definito nei suoi confini come la Polonia, o vi imperassero governi molteplici per più secoli come l'Italia, o contengano nel proprio seno elementi di razze differenti come celti, gallici e normanni nella Francia.

Pagina 2.104

Trattato di economia sociale: La produzione della ricchezza

394260
Toniolo, Giuseppe 3 occorrenze
  • 1909
  • Opera omnia di Giuseppe Toniolo, serie II. Economia e statistica, Città del Vaticano, Comitato Opera omnia di G. Toniolo, vol. III 1951
  • Economia
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La pietra sul fianco montano servì di materiale alle case, come altrove il legno per le capanne; — terre argillose per rinsaldare e coprirle; — né sempre i trogloditi o abitatori delle caverne attestano un degradamento di uomini che abbiano comune la tana colle belve; ma in terreni di tufo e pozzolana, naturalmente cavernosi e facilmente lavorabili, attestano opportunità di abitazioni in luoghi riparati e asciutti, come oggi le vaste cantine della enologia francese. — E quella escavazione sotterra di abitazioni, caratteristica p. e. nelle antiche popolazioni di Frigia (Asia Minore), ebbe generale impulso dovunque dal culto dei morti, donde le necropoli in forma di ipogei (sotterranei), estesissime in Egitto, Etruria, in tutte le genti pelasgiche e più tardi continuate dalle catacombe cristiane aperte dai fossores. E come il sasso del torrente o del fianco montano servì per difesa balistica (la fionda), e poi ripulito nell'età neolitica alle arti belliche (freccia) e pacifiche (utensili di pietra in Germania fino al sec. VII d. C.), così più tardi in località favorite da natura, frugando il sottosuolo, il ferro diventò arma di guerra o stromento d'industria. Tubalcain è ricordato nella bibbia come malleator di metalli; l'arte del ferro sembra sviluppata fra gli accadi e sumeri (tartaro-mongoli) dell'alto Eufrate; e il ferro fu sempre noto agli egizi (Schmoller). E come una terra colorante serve tuttora a dipingersi il corpo del selvaggio, così l'oro e l'argento remotamente divennero oggetto ambito di ornamento e di moneta; e la loro più intensa ricerca nei momenti critici della civiltà precorse le altre esplorazioni minerarie (Roscher, Schmoller).

Pagina 251

Ridettasi su questa cifra di 4 persone simile a quella del Belgio e distante di 2 da quella di Francia (6 per impresa, ché qui si tenne conto a parte degli «ouvriers isolés»), e veggasi quanto poco le trasformazioni moderne della industria moderna abbiano scosso e sconvolto le radici storiche di essa. Non arrestate lo sguardo, dirò col Brants, alle muraglie immense della fabbrica coi suoi fumaioli; essa sorse e grandeggiò in gran parte sopra un terreno nuovo,aperto dai progressi tecnici recenti; in parte sopra la disparizione di artigiani solitari (questi massimamente) e di organismi rattrappiti, compensati da altri più vitali da essa stessa suscitati; ma al di là brulicano numerosissime ancora le medie e piccole industrie. Cresce il vertice e il volume della piramide industriale, ma essa non accenna definitivamente a restringere in modo sensibile la sua base di antiche e rinnovellate imprese di manifatture e mestieri.

Pagina 491

Chi ignora quanta parte abbiano i prezzi dei prodotti sui salari (effettivi) delle classi operaie, oppure sull'ampliarsi e contrarsi dei consumi generali? E come si potrebbe senza dire anticipatamente delle leggi del prezzo e delle loro cause, fra cui le vicende storiche dei metalli preziosi?

Pagina 8

Per la solenne inaugurazione della cassa rurale di prestiti S. Giacomo

398327
Sturzo, Luigi 1 occorrenze
  • 1897
  • Scritti inediti, vol. i. 1890-1924, a cura di Francesco Piva, pref. di Gabriele De Rosa, Roma, Cinque Lune-Ist. Luigi Sturzo, 1974, pp. 30-45.
  • Politica
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Che ci resta che non abbiano mandato a male? Nulla; tutto si deve riedificare, dai conventi soppressi, agl'istituti di beneficenza soggetti al concentramento, alle scuole senza Dio, alle banche senza fondo, alle amministrazioni senza onestà. È una lega la nostra, anzi una santa crociata, sempre nei limiti consentiti dalle leggi, contro il liberalismo e il socialismo, i quali non sono né lo Stato, né la Nazione, né la Patria, ma la rovina di tutto. Sottratti adunque gli operai e gli agricoltori cattolici con un istituto di credito dalle indecorose pressioni dei faccendieri della politica e dei partiti, allontanati dal pericolo socialista, resi liberi dalla Cassa Rurale, potranno professare apertamente e francamente quella Fede, che rendendoli più che uomini li avvicina a Dio. Ecco l'ultimo nostro scopo, a cui si subordina tutto: Dio. Per tornare l'operaio e il colono a Dio, sono questi nostri sforzi; per tornare a Dio la società apostata da Lui, abbiamo dedicato danaro, potenze, vita. Questo sublime ideale come campeggia nelle scuole catechistiche da noi impiantate, nelle pratiche da noi iniziate per ottenere l'insegnamento religioso nelle scuole elementari, nella lega contro la bestemmia, nella diffusione della buona stampa, nelle biblioteche cattoliche circolanti, nelle opere di beneficenza a pro' dei poveri, si manifesta, è anzi il movente della istituzione della Cassa Rurale. È quello spirito che muovea Davidde a dire al Signore: Ti confessino Dio tutte le genti, perché la terra ha dato i suoi frutti; è quello spirito che mosse S. Gaetano a fondare il Banco di Napoli; è quello spirito che solo ha la Chiesa del Signore; pel quale mentre si guarda coll'occhio sinistro questa terra che ogni giorno ci fugge, col destro si guarda il cielo che ogni giorno ci si avvicina.

Pagina 44

La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi

400162
Murri, Romolo 4 occorrenze
  • 1907
  • Murri, La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi, Roma, Società Nazionale di Cultura, 1907, 1-297.
  • Politica
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Studiando fisica essi hanno appreso che, in questo immenso sistema della natura, le così dette leggi son poco o nulla, ma una successione invariabile da certi antecedenti a certi conseguenti è la forma nella quale ci apparisce al pensiero la vita della natura, e che, se molti antecedenti ci sono ignoti, l'affermazione di fenomeni i quali abbiano una causa che è fuori della natura sembra ripugnare alla vita di questa e annullarla. In filosofia hanno imparato a sospettare che, se i nostri sensi ci mettono in contatto con un mondo esterno, il complesso delle nostre rappresentazioni e delle idee e dei sistemi che vi costruiamo sopra è poi un mondo soggettivo nostro, che lo spirito crea dalle cose e da sé stesso insieme; esso è bensì in un certo rapporto col mondo esterno, ma non sappiamo quale, né quanto fedele o difettoso. Dagli studi storici e critici hanno portato con sé la convinzione che tutto nel mondo non sia che un immane divenire, e che questo nostro stesso pensiero, queste idee, questi sistemi nei quali confidiamo tanto, come se toccassero il fondo delle cose, soggetti anche essi alla relatività di formazioni e di sviluppi, fluttuano labili sul corso della cultura e della vita, non riferendo, in sostanza, che un riflesso delle cose in noi, determinato, nella ampiezza e nei colori suoi, dagli elementi “chimici” del nostro pensiero e dei nostri affetti. La sicurezza minuziosa dei teologi, l'assolutezza delle loro formule, l'intellettualismo dei loro sistemi, l'astrazione dei loro precetti e giudizi morali urtano ed irritano singolarmente queste anime. Il concetto di autorità, come lo veggono applicato nella Chiesa, sembra loro indegno d'una età democratica come la nostra; molti di quei mezzi con i quali crediamo di metterci in rapporto col “divino” e di derivarne la Virtù nel corso della nostra vita sembrano ad essi indegni di questo “divino” medesimo od almeno del concetto che se ne sono formato. Essi sono quindi non difficilmente indotti a credere che il cattolicismo è oramai un ciclo chiuso e superato nella storia spirituale dell'umanità; e che, se anche contiene, come già ne conteneva l'ebraismo, elementi preziosi di vita spirituale e morale, questi debbono essere divisi dalla corteccia che ingombra, e l'umanità non potrà profittarne senza che il cattolicismo, come già fece l'ebraismo, si dissolva quasi, per cedere il posto ad un più puro ed elevato cristianesimo, che si trovi in accordo con le idee e le aspirazioni del tempo, di tanto mutate dagli anni nei quali Paolo adattò al mondo romano le dottrine di Gesù.

Pagina 105

Noi cattolici ammiriamo coloro i quali di questa rinuncia a tutto e non resistenza al male, della dedizione piena ed assoluta di sé agli altri, hanno fatto la legge della loro vita, e riconosciamo con la Chiesa che essi, quando abbiano fatto ciò per sola forza di amore, sono i più vicini al Cristo e al suo spirito e meritano il nostro culto. Ma la vita sociale è troppo ricca di multiformi elementi e complessa; l'essersi alcuni sottratti con un sacrificio eroico a talune delle norme che ne regolano lo svolgimento e l'attività non vuol dire né che queste norme abbiamo cessato di esistere, né che esse sieno divenute ingiuste, anche se sono ancora troppo lontane da una più alta giustizia. Il precetto dell'amore è rinnovazione che procede dall'interno, non rivoluzione: esso dichiarò, in S. Paolo, fratelli lo schiavo e il padrone, ma lasciò sussistere il rapporto giuridico che li legava: e molti altri rapporti simili esso lascia sussistere, almeno sinché lo spirito dall'interno non abbia spezzato le vecchie forme giuridiche, quando le nuove sono mature. Nelle società cristiane, levatrice del diritto nuovo non è la forza, ma la carità. Noi vedremo più innanzi come il precetto religioso dell'amore moderi e limiti queste società particolari, il cui oggetto sono beni esistenti in quantità finita e non capaci d'essere comunemente posseduti da molti: la Chiesa, di suoi, ha altri beni, e questi son tali che il possesso non li esaurisce ma li moltiplica, beni dei quali l'umanità ha bisogno assai più che non degli altri, e di cui manca tanto più quanto più giacciono inerti, senza che alcuno li cerchi. Il rispetto reciproco, la pietà provvida, la simpatia amorevole e buona, la cultura, l'educazione morale, la solidarietà tradotta nella pratica della vita sempre più largamente, tali sono i beni dell'amore fraterno: e di essi specialmente la società nostra manca ed abbisogna. Perché dir tanto male del cristianesimo, se ciò che esso ci impone come il supremo dei nostri doveri è appunto ciò che nella vita civile caratterizza l'opera e i progressi della civiltà, della cultura, della pace?

Pagina 53

Se esso procede da un desiderio intimo e profondo di bene e ricerca le radici della violenza e della forza nella cupidigia che è in fondo all'anima umana e, quindi, mira a raggiungere la sua società ideale mediante il rinnovamento degli individui, la redenzione di essi dall'egoismo, principio e legge del male, e l'inserzione in una società di anime in cui un divino principio di volere concorde è vincolo e centro di unione, allora questo ideale è così lungi dall'essere utopico che se poche anime le quali ne abbiano ugualmente il senso vivo e profondo si trovano insieme, esse passano subito ad applicarlo; e il tentativo — spesso, dentro certi limiti, felice, — si rinnuova nella Chiesa direi quasi di anno in anno, e dà opere e istituti che divengono, per un tempo più o meno breve, sinché cioè dura lo spirito primo, focolari di luce e di amore e di bene nel mondo. Ma colui che solo nel Cristo ha trovato il germe e il principio di una società in cui la giustizia e il dritto e la forza dell'autorità e il mio e il tuo cedano il luogo ad un'alta unione di anime, sa i limiti del suo nobile sogno; sa che a questa società ideale occorrono uomini redenti dal male e rinnovati, e il suo sforzo, generoso, non solo, ma sempre in qualche misura praticamente efficace, si rivolge a redimere, quanto può e sa, gli uomini dal male.

Pagina 71

Vi sono delle maniere di mostrare questa fraternità — alcune ne abbiano viste ed altre ne vedremo domani — che ci vengono rigorosamente imposte: altre, quelle che, o per la materia o per la speciale natura del vincolo che creano, riguardano il diritto pubblico e l'attività economica, non possono venire imposte dal cristianesimo, che trascende i tempi; e quindi le varietà storiche dell'economia, del dritto e delle costituzioni civili. Ma c'è — notate — per riguardo ad esse, un atteggiamento, una disposizione d'animo la quale è imposta ai credenti o, meglio, prodotta in essi dalla loro fede religiosa. Dato che alcune forme sono ed appaiono evidentemente, a seconda delle condizioni dei tempi e dei luoghi, utili a sviluppare negli uomini questo amore fraterno, e creare fra di essi maniere di solidarietà pratiche ed attuose, buoni strumenti di remozione di qualunque forma di male e di conquista del benessere, il cristiano non può trascurare od avversare queste nuove forme di associazione e di azione sociale, senza venir meno al suo spirito; e se egli non intende e non sa, è segno che questo spirito vivo gli manca, o giace in lui, oppresso e come sepolto dalla grave mora dei pregiudizi e delle cupidigie particolari.

Pagina 76

Crisi e rinnovamento dello Stato

401918
Sturzo, Luigi 1 occorrenze
  • 1922
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 232-263.
  • Politica
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Sembra che maestranze metallurgiche ed alta banca abbiano lo stesso interesse ad imprigionare lo stato. Oggi, dopo la caduta della Banca di Sconto, il monopolio finanziario è in azione; lo stato va divenendo via via ancora più prigioniero: il socialismo procacciante ne è pronubo e parte, mentre grida allo scandalo dei pescicani. Con quale prezzo della vita economica del paese sarà pagata la collaborazione dei socialisti con i democratici? È un problema che si deve porre, ed un problema di politica interna e di politica economica insieme. Quanto costerà alla nazione un più preciso esperimento di socialismo di stato? Forse pagherà per tutti l'agricoltura, nei trattati di commercio e negli esperimenti di collettivismo e di socializzazione della terra? Forse pagherà più degli altri il mezzogiorno i cui risparmi, pompati dallo stato sotto forma di tasse, di prestiti e di buoni del tesoro, ovvero dalle grandi banche sotto forma di depositi, vanno poi ad alimentare grandi imprese statali e semistatali e grandi industrie dell'altra parte d'Italia, per continuare l'impoverimento e lo sfruttamento economico e politico della mia bella e cara terra meridionale e insulare?

Pagina 256

Parlamento e politica

401995
Luigi Sturzo 2 occorrenze

Possiamo discutere se si poteva far meglio, se uomini e partiti abbiano bene assolto al loro cómpito, se i provvedimenti adottati siano stati completamente opportuni. Dobbiamo convenire che pur avendo passato tale periodo di sconquasso, a riguardarlo bene abbiamo noi stessi la impressione che ancora incomba il pericolo. Oggi la finanza statale è migliorata, il bilancio comincia a reggere, la fiducia ritorna; siamo agli inizi, occorre avere coraggio, affrontare la riforma della finanza dello stato, quella dei comuni e delle provincie, i cui progetti sono pronti, e insistere di fronte a tutti sulla tesi delle economie sino alle forme più audaci e più estreme, perché ogni sacrificio è giustificato per assicurare la vita alla collettività stessa di cui lo stato è organo e sintesi. Ma non vi potrà essere salda finanza se non vi è una politica interna forte che rimetta in primo piano la osservanza delle leggi, il rispetto all’autorità dello stato, la saldezza delle istituzioni, la sicurezza della economia privata, la garanzia del diritto. A ciò contribuisce sicuramente la fiducia generale che la crisi economica venga superata. Questo terzo elemento è dato principalmente dalla politica estera che investe, nel suo com¬plesso, i più gravi problemi dell’esistenza e dello sviluppo della nostra vita nazionale. È una vecchia tradizione del nostro regno che la politica estera sia subordinata alla politica interna; in¬vece, se subordinazione vi dovesse essere, sarebbe al contrario. La politica estera è e deve essere basata sulle ragioni economiche, morali e storiche del nostro paese; paese di emigrazione, abbiamo il dovere di fare una politica di valorizzazione dei nostri connazionali all’estero, di migliorare i nostri rapporti commerciali, di crearci una sfera di simpatie nel campo della economia, di stabilire quelle garanzie che valgano a rendere meno soggetta la nostra politica a gruppi finanziari e a stati egemonici. La politica del piede in due staffe, della amicizia da un lato e dell’alleanza dall’altro, dei protocolli che affermano e negano, dell’altruismo paesano che tradisce una debolezza e dell’infingimento che tende a far credere al successo, ormai è una politica sfruttata e assurda. Certo, le soluzioni avute nella politica estera da Vittorio Veneto ad oggi non sono in armonia coi nostri diritti, coi nostri interessi, con la nostra posizione futura. Tutta la serie dei trattati fino a quello di Rapallo segnano degli strappi; oggi però bisogna essere realisti e prendere quel che esiste ai nostri riguardi come punto di partenza per l’avvenire. Noi abbiamo bisogno di esportare mano d’opera e di importare materie prime; noi dobbiamo volgere le nostre attività verso Oriente; noi dobbiamo riprendere il nostro posto nel Mediterraneo. È una politica: farla o non farla; con serietà, con antiveggenza, creando una storia, uomini adatti, mezzi congrui. La politica estera è la più difficile per noi, per la posizione stessa della nostra patria, per il gioco degli interessi delle nazioni egemoniche, per la tradizione stessa della nostra politica e per la povertà economica che ci fa forzatamente tributari all’estero. In questo punto debole della nostra posizione nazionale, debbono convergere gli sforzi degli studiosi e degli uomini politici, su¬perando quella indifferenza ai problemi di politica estera, che per gran tempo ha segnato la caratteristica della nostra educazione nella vita pubblica.

Inve¬terate abitudini, inveterati pregiudizi, interessi particolari han¬no impedito finora qualsiasi seria riforma, quantunque la opi¬nione pubblica e gli insegnanti più competenti ne abbiano proclamato l’urgenza in tutti gli ordini di scuole, ma specialmente nelle scuole medie, in stridente contrasto con i bisogni della vita moderna. Per singolare fenomeno, uomini che in ogni altro campo invocano la libertà, nella scuola la combattono. Lo stato deve avere l’alta direzione dell’insegnamento e controllarlo con l’esame di stato, ma non deve sopprimere ogni legittima attività che nell’insegnamento apporti sicuri elementi di progresso. Il problema della scuola non fu mai seriamente affrontato dal parlamento. Auguriamo che il corpo elettorale ne imponga il serio studio alla nuova rappresentanza nazionale». La battaglia data dal partito popolare italiano sull’esame di stato resterà a ricordo dei nostri fasti, e fu battaglia santa. Qualcuno non comprende tanto il nostro fervore per una riforma soltanto tecnica e a portata limitata, quale è l’esame di stato. Per noi è l’inizio di una ben più alta rivendicazione, la libertà di insegnamento. L’Italia in questa materia è alla coda delle nazioni civili; ha negato le sue stesse origini per il vieto pregiu¬dizio anticlericale; per questo asservì la scuola di stato alle influenze massoniche e ne volle creare un monopolio. Sottopose la scienza ufficiale all’influenza protestantica della Germania. Tollerò nelle scuole secondarie che fosse falsata la storia per deprimere l’istituto del romano pontificato, e credette accorgimento politico creare la scuola neutra e bandire dalle scuole elementari l’insegnamento del catechismo con formalismi ostruzionistici. È storia dolorosa di un traviamento spirituale, sostenuto in nome della patria, ai cui danni invece preparò il terreno atto alle teorie materialistiche ed al pervertimento comunistico del nostro popolo. Noi vogliamo la scuola libera per lasciare il diritto alla famiglia di salvaguardare la fede, la coscienza, l’educazione delle tenere generazioni italiane, non solo nel culto del bello, nel sentimento verso la patria, ma anche nella virtù e nella bontà quali le concepiamo noi, nella libertà della nostra coscienza, nella tradizione delle nostre famiglie, nella storia della nostra Italia, che è tradizione e storia viva del cattolicismo. Ma pensiamo che la scuola di stato debba anch’essa modificarsi e migliorare, e pensiamo che la libertà interna della scuola, il contatto maggiore con le famiglie, il decentramento scolastico, l’autonomia delle scuole superiori e dei programmi gioveranno a ridarle il contatto con la realtà, per essere vivificata come il gigante Anteo che risorgeva in forze appena toccava la terra. Anche il monopolio della scuola deve essere spezzato; e noi che siamo contro il monopolio in materia economica, in materia organizzativa, lo siamo ancora di più in materia scolastica. La vecchia struttura dello stato era o doveva essere basata sulla libertà; però cominciò con opprimere la scuola creando il monopolio delle scuole di stato, asservito alle correnti delle sètte segrete, che fecero il loro nido presso la Minerva; quindi procedette a opprimere le organizzazioni libere, sottoponendole al monopolio socialista, annidatosi presso i ministeri economici; infine è arrivato col monopolio economico a combattere l’economia libera, sottoposta alla burocrazia statale; triplice catena che noi dobbiamo spezzare per il risanamento morale, organico ed economico del popolo italiano.

Di un partito e un programma radicali in Italia

402709
Murri, Romolo 2 occorrenze
  • 1908
  • Murri, R., La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari–Società Naz. di Cultura, 1908, 192-206.
  • Politica
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Interessi ed interessati che abbiano qualcosa da chiedere allo Stato, e sappiano le vie, chiedono ed ottengono anche oggi. Quelli che hanno già ottenuto, le industrie più o inciso protette, difendono il loro possesso, e riescono. Lo stesso Nitti cita il caso delle nuove convenzioni marittime Interessante è quel che diceva l'Avanti! del tempo sul modo come si tentò di far passare, di sorpresa, la nuova legge sul lavoro risicolo.. Le classi burocratiche, le varie categorie di impiegati dello Stato, hanno chiesto ed hanno avuto molto; e spesso — curiosa contraddizione, che anche il N. nota — per opera di deputati socialisti. A chi non ha nulla, nessuno pensa a dar qualche cosa, se non forse i socialisti...nei comizii, ma a chi ha già qualche cosa si trova modo di dare, via via, sempre di più. Il bilancio italiano, osserva il N., è la lista civile della borghesia. Partiti ci sono dunque alla Camera e agiscono; sanno quello che vogliono, senza nessuna imprecisione, e lo ottengono. L'imprecisione e l'incertezza è solo intorno a ciò che interessa tutto il paese o le classi poco e male rappresentate. Il male non è nella assenza o incertezza di partiti; il male è nella contraddizione fra ciò che essi appariscono essere e ciò che realmente sono; il male è nel nessun controllo, da parte della Camera stessa e del pubblico, sui modi con i quali questi partiti riescono a farsi effettualmente valere. Abbiamo delle apparenze di partiti, che ingannano il paese, ed abbiamo delle forze occulte che agiscono con mezzi subdoli ed oscuri. Le più gravi questioni in Italia si decidono ritardando o precipitando la discussione di una legge, o impedendola; distraendo 1'attenzione dei deputati dalle questioni più serie per richiamarla e disperderla nelle più futili; le grandi questioni, che dovrebbero essere risolte col concorso aperto di tutti, vengono sempre procrastinate ed evitate. I clericali, che ora vanno al parlamento, occupando solo i collegii dove non c'è o non è pronta una candidatura moderata, — ai moderati è stato concesso un credito ipotecario privilegiato su di essi —, non mutarono, osserva il N., e non muteranno questo stato di cose; i primi giunti hanno mostrato di aver la preparazione «morale» necessaria per acclimatarsi subito all'ambiente di Montecitorio e trovarcisi bene. Essi non hanno finora fatto che delle interpellanze insignificanti, imparaticci vuoti. Ed anche quelli che verranno dopo non è dubbio che ci si troveranno bene; faranno solo quello che sarà strettamente necessario per menar in giro i loro elettori, e non daranno fastidi a un governo clericale, qualunque sia poi la sua azione. Il N. tace poi intieramente sulla questione del Sud; egli trova che le leggi speciali, alcune delle quali già votate, ma che poi non si riesce ad applicare, sono poco pratiche e pericolose, fatta eccezione per quella sullo sviluppo industriale di Napoli, alla quale egli ha efficacemente concorso; vuole quindi dei provvedimenti generali.

Pagina 196

É necessario cioè che certi elementi nuovi di coscienza (consapevolezza dei grandi interessi nazionali, più alto senso del proprio dovere in tutti, forza di volontà e tensione di energie collettive) sieno introdotti nell'opinione pubblica del nostro paese; che essi abbiano agio di tradursi in una profonda trasmutazione del tono sentimentale politico del paese e poi anche dei deputati; e che questa corrente di energie nuove faccia capo ad un più intenso e forte volere di qualche gruppo d'uomini politici, di nuovi dominatori, la cui forza sia nel consenso di un popolo che si ridesta alla vita e vuole foggiarsi i suoi nuovi destini. Ciò non sarà con la Camera attuale; innanzi ad essa l'on. Giolitti ha abdicato ai suoi gusti, pur di restare al potere; l'on. Sonnino si è rivelato insufficiente ad imporlesi e governarla: sperare nell'on. Di Rudini, che non fu mai, lo osserva anche il N., uomo di combattimento, ed in un suo ministero, par cosa da uomo poco avveduto.

Pagina 200

I primi cattolici in Parlamento

403686
Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1908
  • Murri, R., La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari– Società Naz. di Cultura, 1908, 86-107.
  • Politica
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Sono pochi, forse, i deputati dell'Italia meridionale che non abbiano già fra i loro grandi elettori un qualche vescovo ed una gran parte del clero locale; nel clero stesso, il più sovente, le divisioni, e divisioni profonde, hanno origine da clientele e gare di parte, alle quali la religione è interamente estranea. Vi potranno essere quindi dei deputati cattolici, quando possenti personalità riescano, all'infuori del loro speciale carattere di cattolici militanti, a costituirsi con i mezzi soliti una buona base elettorale; ma corpi elettorali cattolici, nella quasi totalità dei collegi, non potranno esservene, ancora per molto tempo. Invece, ve ne sono già e possono facilmente costituirsi in parecchie regioni dell'alta Italia, nei collegi prevalentemente rurali nell'Emilia, in Lombardia, nella Liguria, in Piemonte ed in .alcune provincie del Veneto. E di qui verrà la massima parte dei deputati cattolici; i quali, per le condizioni stesse alle quali abbiamo accennato, non porteranno alla Camera un principio netto di divisione, avendo affini, o per sentimento religioso o per interesse elettorale, molti deputati degli altri banchi, ai quali bastano, in fatto di politica religiosa, quel certo laicismo di Stato del quale i nostri istituiti e costumi politici sono già imbevuti da tempo, e l'affermazione dell'autonomia del potere civile; patrimonio morale ed esigenze politiche che il partito clericale non penserà certo, troppo avversi sarebbero i tempi, a contestare e a minacciare.

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Teogonie clericali

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Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1908
  • Murri, R., La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari–Società Naz. di Cultura, 1908, 108-137.
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Un padre gesuita, uno dei due o tre che in tutta Italia abbiano serenità di giudizio e una certa modernità di idee, che osò attaccare questa gente nella Civiltà cattolica, due mesi dopo aveva passato i mari.

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Da un Papa all'altro

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Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1905
  • Murri, R., La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari–Società Naz. di Cultura, 1908, 30-55.
  • Politica
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Ciò richiede da parte dei cattolici e della loro azione politica una abitudine di libertà, una maturità di senno civile, una larghezza d'animo che è dubbio se i cattolici italiani abbiano ancora acquistato, ma che, nella pratica della vita correggendo le antiche tendenze di intolleranza clericale, e negli studi positivi le abitudini d'un pigro dogmatismo logico e formale, essi potrebbero rapidamente acquistare.

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