Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIOR

Risultati per: abbiamo

Numero di risultati: 90 in 2 pagine

  • Pagina 1 di 2

Il discorso dell'on. Degasperi a Milano

387759
Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Intanto noi potremmo dire che parecchie riforme buone attuate anche da questo governo sono dovute alla nostra propaganda; cosicché sedendo nel settore di minoranza, potremmo spesso ripetere come Thiers: «al banco dei ministri siedono le idee ch'io rappresento», ma sovratutto, qualunque siano stati i nostri insuccessi, gli amici sentono che non è sconfitta l’idea e che attorno ad essa abbiamo salvato il partito, sia da compromissioni programmatiche durante la collaborazione liberale, sia dall’isolamento una volta tentato dai giolittiani, sia dalla disgregazione che voleva provocare la pressione fascista. Forse più tardi, anche chi non lo vede oggi, vedrà che in mezzo a tutte le ristrettezze abbiamo risolto positivamente il quesito che ha tormentato i cattolici di tutti i paesi nell’ultimo cinquantennio, cioè se dovesse esistere un partito clericale o, come si diceva in Francia, «parti religieux», nel senso di una organizzazione politica al servizio di un’altra forza politica dominante che faccia concessioni religiose, o un partito politico autonomo, ad ispirazione cristiana, con propria idea politica fondamentale. Fu il travaglio del Centro dopo la prima fase della lotta sua confessionale, fu il principio che distinse Lueger dai cattolici conservatori, fu la lotta che si svolse in Francia al principio del secondo impero fra due uomini, degni entrambi di grande ammirazione. Allora Veuillot celebrava clamorosamente la politica trionfante e lanciava i suoi sarcasmi contro quelli che chiamava pettegolezzi dei parlamentari e molti furono allora i discorsi sacerdotali che, proclamando la propria incondizionata adesione alla nuova politica, esaltavano il Principe «que la Providence avait suscité pour arreter sur le bord de l’abîme la France et l’Eglise». Montalembert scrisse allora un libro per biasimare i giornalisti e i politici che tripudiavano sulla «tomba provvisoria della libertà»; e non si rileggono senza emozioni le seguenti parole scritte più di 72 anni fa: «Uomini che hanno invocato per tutta la loro vita la libertà, che hanno conquistata la fiducia e la giusta ammirazione dei cattolici mostrando loro come la libertà poteva servire al bene della verità, questi medesimi uomini sono arrivati oggidì a dichiararla inutile e pericolosa. Le costituzioni, le discussioni, i parlamenti, il controllo dei legislatori, delle assemblee non provocano presso di loro che un sorriso o lo scherno. Essi hanno trovato un padrone che vuol loro bene, e sembrano affidarsi ciecamente al favore di questo padrone e alla durata di questo favore. Chiudono gli occhi, si tappano gli orecchi su azioni che hanno fatto rivoltare tutta la gente onesta, su violazioni manifeste del decalogo, sotto il pretesto che si tratta di questioni indifferenti alla religione e di rappresaglie scusabili». Lo stesso Montalembert si levò dai banchi della minoranza a difendere il sistema rappresentativo, dichiarando che les couloirs di una assemblea valgono bene le anticamere dei palazzi. Non so, dice l’oratore a questo punto, se le riforme Bianchi verranno accolte dal capo del governo. Le previsioni non sono mai caute abbastanza quando si pensi al dinamismo dell’on. Mussolini e al fatto che questa estate pareva possibile una collaborazione colla Confederazione del lavoro. Ma se il concetto imperialista prevalesse, non è dubbio che i popolari alla Camera, pochi o molti che saranno, fra Veuillot e Montalembert, sceglieranno l’atteggiamento di Montalembert.

Concentrazione per il partito o per l'amministrazione cittadina? La rappresentanza proporzionale degli interessi - appello al buon senso

387774
Alcide de Gasperi 9 occorrenze

Noi abbiamo nel Trentino nove collegi elettorali per le elezioni politiche. Se tutti formassero un sol corpo, come sarà ai 6 per le elezioni comunali, che cosa succede? Quel partito il quale riceve un voto più che la maggioranza assoluta dei voti, conquista tutti nove i mandati. Noi nel partito popolare abbiamo avuto un 40.000 voti su circa 59.000 e dovremmo quindi avere in mano tutti i mandati trentini. Li abbiamo? No: perché? Perché il Trentino è suddiviso in nove corpi elettorali e tale distrettuazione crea una rappresentanza delle minoranze (seguendo sulla carta il collegio delle città meridionali). Osservate che lungo giro vizioso hanno compiuto i liberali di Rovereto: sono andati a cercare i liberali di Mori, di Arco e di Riva e poi giù fino ai confini, ad Ala. Così si è salvato questo collegio per il partito liberale. Si è poi circondato di un muro ideale anche Trento e dissero: A Trento diamo un mandato, quantunque a Trento, badate, secondo l’ultimo censimento, vi fossero la metà abitanti di quelli che formavano un collegio di campagna, cosicché si può dire che per far riuscire un candidato agli anticlericali di Trento, hanno dovuto prendere un cittadino e farlo pesare sulla bilancia più che il doppio di due candidati di Pergine o Vezzano! Con tali metodi artificiosi hanno salvato agli anticlericali la rappresentanza e create delle eccezioni al principio maggioritario. Orbene, noi non pretendiamo che a Trento ci facciate valere per due liberali, ma vogliamo che diate in proporzione, secondo quello che pesiamo. Non parliamo poi della Dieta! Alla Dieta i nostri avversari godono privilegi! A Trento, per esempio con circa 500 voti eleggono due deputati. Abbiamo insomma tutto il diritto di chiedere: Non dateci i privilegi che avete voi, ma domandiamo giustizia non per noi soli, ma per tutti i partiti e tutti gli interessi. (Applausi vivissimi).

Abbiamo fatto la proposta della rappresentanza proporzionale, abbiamo detto: perché volete andare avanti così con questo vostro statuto del 1888, con tre corpi elettorali, coll’esclusione di molti cittadini dal diritto di voto, in modo che dal 1904 in qua abbiamo in Municipio degli eletti non dalla maggioranza dei cittadini, ma dalla minoranza di essi? Che dico? Non minoranza dei cittadini, ma minoranza degli elettori che hanno il voto, malgrado le restrizioni. Tanto è vero che il massimo dei voti ricevuti dai democratici si ridusse da un massimo di 600 a 415! Nessuno potrà dire che costoro possano rappresentare la maggioranza o governino la città in nome della cittadinanza. Eppure questa minoranza se fosse incaricata di esercitare solo funzioni politiche o di amministrazione ordinaria e di piccolo conto, se avesse semplicemente da godere, pazienza! Ma questa minoranza deve amministrare delle industrie pubbliche, fatte con denari pubblici non solo, ma deve governare con denari pagati per gran parte dalle imposte indirette e quindi da tutti i cittadini; non solo, ma dirige un negozio di produzione e di consumo, nel quale si fissano i prezzi della luce, del gas, dell’acqua. (Bravo, applausi calorosi). Ora tutti hanno interesse in questo negozio, anche quelli che non sono gravati dalle imposte dirette perché tutti pagano per la luce e per il gas e per l’acqua; ed è questa minoranza quella che ne stabilisce la tariffa.

Che cosa abbiamo fatto in Municipio?». Qui l’oratore riassume ed illustra le proposte della minoranza, concludendo ch’essa è riuscita a: «l) muovere la discussione sulle finanze comunali, mentre prima, secondo una confessione insospetta del Popolo, ogni discussione era abolita. A Trento c’è un Consiglio comunale in cui prevalgono i poltroni, inerti, gli eremi muti. Le discussioni sono state abolite… (Popolo, novembre 1909). 2) ravvivare l’interesse dei cittadini per l’amministrazione pubblica. Prima si addormentarono con paroloni, ora si risvegliano colle cifre. E questo clericalismo? 3) costringere la maggioranza a rivedere e a correggere in buona parte le proposte della Giunta. Si risparmiarono così ai cittadini quasi la metà delle imposte minacciate e si sospese il locativo, perché la minoranza dimostrò che almeno per quell’anno non era stabilito che l’imposta fosse necessaria. E questo clericalismo? Abbiamo anche presentata una proposta perché entro un dato tempo si costituisca una commissione indipendente per l’amministrazione delle imprese municipalizzate. E questo clericalismo? No davvero, perché la proposta venne votata da tutti. Vero però che non s’è fatto nulla. E veniamo al quarto punto.

«Cosicché — conclude applaudito l’oratore - invece della riduzione della tassa sul pane abbiamo avuto una riduzione del pane su cui è aumentata la tassa». Un’altra proiezione mostra le entrate progressive dell’addizionale sul casatico, l’ultima un quadro riassuntivo in cui si vedono le imprese municipalizzate ed i 16 milioni di debiti che gravano sulle spalle dei cittadini. Da tale incubo bisogna liberarsi, bisogna risollevare Trento al posto eminente che le compete. Volete voi affidare tale compito al solo partito politico che fece così bella prova di sé o non ritenere piuttosto che sia necessario uno sforzo combinato di tutte le energie?

Ai 25 aprfle 1910 abbiamo presentato una proposta, che si elegga una commissione con l’incarico di compilare un progetto di riforma elettorale con criteri della rappresentanza proporzionale. Questa commissione viene eletta, e con grande meraviglia mia la proposta ebbe l’approvazione autorevole dell’on. Bertolini ed il' voto di tutti quanti i suoi colleghi. So che quella sera ho detto al dr. Cappelletti: Basta, mi pare che la fortuna sia troppa! Difatti la commissione è stata eletta, ma… non ha fatto niente. Parecchi mesi dopo faceva capolino l’idea di sciogliere il Consiglio comunale ed allora, per precauzione, presentai la mozione, che si rinforzasse la commissione elettorale, essendo entrati in Comune nuovi membri. Non l’avessi mai fatto! Balzò in piedi il dr. Bertolini e dichiarò che la cosa non era urgente, che d’altro canto per la proporzionale intendeva questa e non quell’altra cosa, che intendeva insomma una proporzionale senza proporzione, ossia una sproporzionata proporzionale. Qui ci volle della malafede! (Applausi).

Abbiamo domandato che si introducesse il voto femminile diretto percheé quella delle procure è una vera miseria morale. Si dice: che volete, che le donne vadano a votare? Che roba spaventosa! Sarebbe una cosa antiestetica! — dicono i liberali che dell’estetica e dell’intellettualità sono i paladini. “Turberebbe non poco la famiglia e le usanze riservate delle donne”. Noi rispondiamo: è meglio che le donne vadano colla loro scheda in un luogo per loro prescelto e gettino questa scheda nella urna elettorale, come fanno per esempio nella Svizzera e nel vicino Vorarlberg, o che si continui la bella pratica che tutti i partiti facciano della donna un oggetto di conquista e d’insidia? (L'oratore mostra a questo punto una proiezione che rappresenta le pratiche dei vaneggiamenti colle procure femminili). E conclude: combattendo per il voto femminile diretto, noi combattiamo per una causa di libertà e di democrazia. Signori democratici liberali, c’è in tutto questo del clericalismo?

Nel 1905, quando abbiamo presentato tre soli candidati (3 su 36!), allora dall’«Alto Adige» risonò il grido: fuori i clericali! E fra i nostri tre candidati c’era la persona del dr. Guido de Gentili, sull’«Alto Adige» si ghignava fingendo orrore: Un prete, un gesuita addirittura! (Ilarità) E di lui si metteva in dubbio il sentimento nazionale. Ora io affermo che il comitato elettorale incaricato di presentare le candidature, una cosa deve deplorare sopra tutte, che il dr. Gentili sia sovraoccupato in altri incarichi ben più importanti, affidati a lui dal partito e dagli elettori, e che del resto la sua volontà in riguardo sia così decisa, da non permetterci di presentare questa volta la sua candidatura per il terzo corpo. La faremmo con entusiasmo per dimostrare anche a L’Alto Adige che dopo l’attività spiegata dal dr. Gentfli alla Dieta e al Parlamento, dopo che a lui in buona parte si deve se il prestigio nazionale degli italiani specialmente ad Innsbruck si è risollevato, vorremmo vedere se a Trento non si trovasse una grande maggioranza che desse ragione a quest’uomo, il quale già in quel tempo aveva tanto lavorato per la vita pubblica! (fortissimi applausi e acclamazioni al d.r Gentili).

Ce la prenderemo forse coi radico-socialisti, coi socialistoidi come li abbiamo chiamati a suo tempo nel periodo del loro fiore, che all’inizio dell’era democratica nel 1904 s’auguravano dalle colonne del Popolo che: a Trento invece di guglie di chiese e di campanili si vedessero fumaioli e camini di fabbriche, che poi, assieme coi rossi, inaugurarono la rude campagna anticlericale, promettendo di purgare le vie di Trento dai nomi dei santi, o ce la prenderemo invece con quelli altri che allora stavano fuori e con un programma contrario si unirono coi cattolici combattendo con loro nelle elezioni del 1907? Con chi dobbiamo discutere, con chi dobbiamo lottare? L’oratore rileva altre contraddizioni di principio fra i candidati della concentrazione e continua: Forse queste persone però sono in tali contraddizioni fra loro, e su d’un campo lontano dalle discussioni che nascevano in Municipio, lontano dalla amministrazione cittadina, forse hanno un programma chiaro, stabilito, coerente con tutta la loro condotta in quanto riguarda l’amministrazione; e basterebbe?

Abbiamo fiducia che il buon senso trentino finirà col superare l’egoismo delle fazioni politiche. L’oratore termina ricordando una parabola del Mickievicz: «Una donna era caduta in letargia, e suo figlio chiamò i medici. Uno disse: “Io la curerei secondo il metodo di Brown”. Ma gli altri risposero: “È un metodo cattivo. La donna resti in letargia e muoia, piuttosto che essere curata secondo il Brown”. Allora il figlio disse: “Curatela in un modo o nell’altro, purché guarisca”. Ma i medici non volevano mettersi d’accordo né cedere uno all’altro il figlio allora per dolore e disperazione, gridò: “Oh, madre mia!”. E la madre alla voce del suo figliolo, si svegliò e fu sanata. La donna è la nostra alma città che giace prostrata e languente. L’hanno voluta curare coll’anticlericalismo, poi colla democrazia politica, poi col radicalismo, ora colla concentrazione liberale. Ma sono medicine sbagliate. Bisogna che il popolo levi alta la voce del suo buon senso, ed allora l’augusta donna si riscuote, si risolleva e scaccia tutti i medici. Questa parola del buon senso noi la invochiamo dai nostri lettori il dì dei 6 marzo» (Grandi applausi).

Votare con sincerità di spirito

387789
Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Abbiamo l‘intima convinzione che i nostri amici sono senza colpa, e auguriamo che possano provare subito la loro innocenza Ieri mattina vennero bruciate lungo la via migliaia di copie del nostro settimanale. Abbiamo però assicurazione che l‘autorità interverrà di qui innanzi energicamente a proteggere la libertà di stampa. Confidiamo in queste assicurazioni, e commenteremo poi. La campagna avversaria è stata vivacissima. Tutte le correnti del fascismo locale, anche quello del ‘19, anche quello del ’21, dando tregua ai propri dissensi, si sono fuse in un blocco contro di noi, trascinando con sé anche parte dei liberali che, fino a poche settimane fa, ci tenevano a distinguere innanzi alla popolazione trentina le proprie responsabilità da quelle del fascismo locale. Nella campagna abbiamo visto fascisti che nel ’19 scrivevano e stampavano: «Noi dichiariamo la guerra, la guerra buona, senza quartiere al prete e a tutte le cose sue», predicare l’ossequio alla religione. Tutti convertiti, tutti mutati nella sincerità del loro spirito? Non giudichiamo gli uomini, non giudichiamo le coscienze. Ma un celebre storico ha scritto che in fondo ad ogni lotta politica si trova sempre un dissenso religioso. Il popolo sente istintivamente che tutta questa lotta contro il Partito popolare non avrebbe rifatta la concordia fra gli elementi più disparati, se non li unisse l’ostilità contro il prete. Si dice che si rivoltano solo contro il prete che fa politica. In realtà però lo si vuole non contenere entro i limiti che la prudenza pastorale consiglia, ma ricacciare completamente ai margini, completamente ai margini della vita pubblica. È bastato nel comizio di Vermiglio che un giovane prete si mostrasse ad applaudire, perché gli gridassero: «Vada in chiesa, non contamini la religione»! Così lo si vorrebbe spogliato dei suoi più essenziali diritti di cittadino che anche nelle recenti istruzioni ecclesiastiche sono espressamente riservati e garantiti. Confidiamo che il clero non si lasci intimidire e difenda con prudenza ma con fermezza la propria posizione d’italiani di pieno diritto. Noi protestiamo contro gl’insulti diretti contro il nostro maestro don Sturzo. (Applausi). Egli ha abbandonato da tempo il posto di segretario del partito, non ha parlato in pubblico per tutta questa campagna elettorale, non ha nessuna ingerenza nella amministrazione dello Stato; perché tanto accanimento da parte di coloro che hanno tutti i poteri? Perché l’insulto e il dileggio che abbiamo visto disegnato in questi giorni sulle nostre vie? Il popolo sente istintivamente che l’avversione è più insistente e più acre, appunto perché si tratta di un prete. Anche per questo il Partito popolare in questa campagna non ha voluto confondere le sue sorti con quelle del partito dominante. Noi non neghiamo i provvedimenti buoni del governo, né abbiamo ragione di non ammettere che molti fascisti siano religiosi, ma sentiamo che nella vasta corrente si sono convogliati elementi, dei quali dobbiamo diffidare. Può darsi che, Dio non voglia, questi elementi cerchino di preparare la lotta anticlericale in Italia. Perciò il Partito popolare deve stare in riserva. Si dice che il Partito popolare intralci con ciò l'esperimento fascista e perciò ci s‘invita a spezzare il nostro bastone ed a seguire la corrente. Ma il governo ha già assicurata, in forza del meccanismo elettorale, un’enorme maggioranza, ha la milizia; perché questa corsa sfrenata al sistema totalitario, perché negare la funzione storica e sincera dei partiti? E se l’esperimento fascista non riuscisse? Se cioè esso portasse sì a buone o non cattive novelle di legge, ma non risolvesse coi metodi il compito principale che è quello della pacificazione e della concordia nel paese? Finora questa auspicata meta non è raggiunta e crediamo che colla forza non si raggiungerà. Certi metodi la trasferiscono sempre più lontana. E allora che cosa ci riserva l'avvenire? Non è bene che vi sia un partito d’ordine, il quale distingua nettamente le responsabilità e riaffermi la legge d’amore e la giustizia sociale del cristianesimo? Parlando a quattr‘occhi, i più dicono, crollando il capo, che le cose in tal modo non possono continuare. Per ragioni d’ingenuità, d’opportunità, di debolezza finiscono tuttavia coll’approvare ed incoraggiare proprio ciò che vorrebbero biasimare. È così che il voto diventa per costoro un atto d’ipocrisia ed una menzogna convenzionale. Bisogna invece reagire alla seduzione dei tempi. Bisogna non disertare la propria coscienza, bisogna votare con sincerità di spirito e libertà di mente. (Vivissimi applausi).

Il dovere dei popolari nell'ora presente

387797
Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Quest’atteggiamento realistico però, che vale per i tempi e i luoghi nei quali i risultati dei movimenti, svoltisi al di fuori di noi, sono già maturi, non implica, com’è ben chiaro, un tal quale agnosticismo o una minore nostra combattività contro dottrine e movimenti che abbiamo sempre combattuto e dobbiamo combattere. Già in una circolare del luglio scorso la direzione del partito invitava le sezioni tutte a vigilare e ad operare, affinché le caratteristiche del partito venissero nettamente e vigorosamente affermate. Bisogna insistere oggi più che mai su tale direttiva. Dopo la limitazione e, spesso, la cessazione forzata di ogni attività, conviene oggi pensare ad una ripresa generale. Se nel campo organizzativo e delle pubbliche manifestazioni dobbiamo ancora tener conto della pressione governativa, ci rimane però la possibilità di attrezzarci per le battaglie di domani. A ragione l’Avanti! ricordava nelle recenti polemiche che «il moderno movimento democratico cristiano è indubbiamente (per i socialisti) più temibile del vecchio clerico—moderatismo». Per noi trentini che abbiamo opposto all’avanzata del socialismo il baluardo delle nostre organizzazioni, che ci costarono tanti anni di lavoro, non è necessario ricorrere ad esempi lontani. La preparazione e la maturità dei nostri fu tale, che quando la proporzionale amministrativa ci portò alla collaborazione con tutti i partiti, la nostra energia propulsiva non subì attenuazioni. Ma per ricordare esempi illustri di grandi predecessori, pensate a Decurtins che poté senza compromissioni o confusioni convocare il primo congresso internazionale per la legislazione del lavoro, aprendo le porte a tutti i partiti, appunto perché aveva fatto precedere un intenso lavoro di organizzazione e di chiarificazione entro gli operai cattolici svizzeri, o rievocate il fatto eminentemente caratteristico che il più autorevole delegato del Centro il quale assieme al Gröber e al prelato Mausbach fu chiamato in un’ora grave a cercare e concludere un modus vivendi coi socialisti più temperati, alla vigilia della costituzione di Weimar, fu proprio quel canonico Hitze, al quale si deve la legislazione sociale dell’impero germanico, opera che mirava a sottrarre i lavoratori alle seduzioni del socialismo. Non cito questi esempi per farne delle applicazioni a casi concreti che in questo momento non sono oggetto delle mie considerazioni, ma per avvalorare la mia tesi che tanto più i partiti sono attrezzati a sopportare una situazione di fatto che venga imposta dai rapporti di forza sul terreno politico, quanto maggiore è la loro chiarezza e la loro fermezza sul terreno delle dottrine e quanto è più intensa la vitalità del loro programma e della loro azione autonoma. È forse questa una conclusione troppo ovvia, ma io sento il bisogno di dirla, perché si sappia che nel momento in cui esigenze imprescrittibili della vita politica e civile portano i popolari a manifestazioni comuni con uomini e con partiti lontani dalle loro dottrine, essi sentono però nel tempo stesso il dovere di assicurare al loro programma cristiano tutta la virtù intrinseca di attrazione, di assimilazione e di rigenerazione politica e sociale.

Un discorso dell'on. Degasperi. I caratteri e l'azione del Partito popolare nell'attuale situazione politica

387805
Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Non è nemmeno vero che ci manchi la serenità di valutare oggettivamente i provvedimenti del governo fascista, di alcuni dei quali fin da Torino abbiamo ammesso la bontà o la discutibilità; e di fronte ai quali in ogni caso già l’esperienza ha insegnato come una collaborazione di critica e di controllo potrebbe ottenere modificazioni e adattamenti. Anche l’antitesi dei principii non potrebbe venir invocata come ragione definitiva del nostro atteggiamento politico. Certo il popolarismo s’inspira alla legge evangelica della fraternità e della giustizia sociale, mentre il nazional fascismo si fonda sulla legge della forza; certo l’ideale pagano della nazione deificata contrasta col concetto cristiano della personalità umana. Ma questa innegabile antitesi può venir rinfacciata a chi spiritualmente, politicamente e organicamente si confonda col fascismo, non a chi, salvaguardando la propria fisionomia, collaborasse col governo fascista e molto meno a chi esercitasse in suo confronto una funzione critica. La solita distinzione fra tesi e ipotesi che fu invocata ieri in confronto del liberalismo e che vale oggi di fronte al socialismo, non può venir negata rispetto al fascismo.

Criteri direttivi

387812
Alcide de Gasperi 1 occorrenze

., nell’Austria superiore ed inferiore, il Bauernbund è essenzialmente politico e sostituisce quell’organizzazione che noi abbiamo nell’Unione politica popolare. In questo campo noi abbiamo quindi il compito non di fondare nuove società ma di organizzare più democraticamente e dare più larga base all’Unione politica popolare. In Baviera invece, p. es., e nelle altre provincie della Germania il Bauernbund è economico, cioè si occupa dello smercio e della compera dei generi di economia rurale. In tali paesi però non esiste una cooperazione del nostro indirizzo, cosicché le associazioni di contadini vengono colà ad esercitare solo una piccola parte delle funzioni che esercita la nostra cooperazione. In queste adunanze abbiamo conchiuso quindi che, in quanto ai loro scopi economici, le leghe non si presentano come necessarie. Se però per altre ragioni d’opportunità si ritenesse utile il promuoverle, si avvenisse bene, che non venissero a collidere con le funzioni e con l’ambito delle società economiche esistenti. Per soddisfare poi ad un eventuale bisogno di organizzazione di classe, che dopo accurato esame delle condizioni locali si ritenesse esistere in una data regione, venne consigliata l’organizzazione professionale ossia il sindacato agricolo di mestiere analogo a quello già esistente per gli operai industriali. Nacque così e con questo carattere, l’Alleanza dei contadini di Valle Lagarina della quale a suo tempo fu pubblicato nella Squilla il manifesto proclama. Lo stesso si fece per il bacino di Vezzano. Parallelamente il d.r Carbonari, in qualche caso per espresso incarico nostro, molte altre volte per iniziativa sua personale continuava la sua propaganda per le leghe dei contadini. Senza dubbio in tutto questo movimento non venne seguito sempre un criterio direttivo eguale, ma ritengo che l’adunanza generale non debba oramai decidere come principio se tali società si debbano fare o non fare; prima perché parte del problema è praticamente già risolto, secondo perché non è possibile applicare un principio generale a tutte le condizioni locali. Noi dobbiamo affermare alcuni criteri direttivi e poi imporre nella pratica a tutti i propagandisti che vogliono farsi iniziatori di tali società, di sottoporre all’esame di un organo a ciò stabilito, le condizioni particolari di ogni singolo caso. Per le società di carattere professionale è senz’altro chiamato a decidere il Comitato Diocesano mediante la sua Direzione o il suo Segretariato. Per le organizzazioni di carattere consorziale dovremmo pregare la Federazione dei consorzi che si assuma l’incarico di disciplinare tale movimento. Ma frattanto poiché si tratta anche dell’opportunità o meno di fondare l’uno o l’altro tipo, sarà meglio invitare i propagandisti e i fattori locali a rivolgersi senz’altro al Segretariato del Comitato Diocesano, il quale a seconda dei casi si rivolgerà per parere anche ad altre persone. L’oratore termina presentando un analogo ordine del giorno.

I risultati del congresso

387831
Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Nella cooperazione di smercio abbiamo approvata una forma che non è nuova, ma si presenta oggidì con maggior insistenza: la lega dei contadini (cooperativa di smercio, eventualmente di produzione agricola). Si è però raccomandato di procedere con prudenza sia in linea economica che morale. Si è stabilito che nel fondare associazioni nuove si debba tener conto delle esistenti, di farle aderire tutte al Comitato diocesano e soprattutto di assicurare e coltivare con opportuni provvedimenti il carattere cristiano e lo scopo di educazione. Associazioni nuove evitino vecchi errori: nessuna società economica sia fatta in modo che si esaurisca — per statuto o per la pratica — nell’affare e nella speculazione. In altro dibattito ci siamo occupati dell’organizzazione professionale. Nel campo degli operai industriali urge riguadagnare il terreno perduto. È un terreno difficilissimo, della cui asperità non hanno idea coloro che stanno in mezzo ai contadini. Ben lo sanno gli amici di Merano, qui presenti, i quali difendono la loro bandiera con strenua costanza tenendola alta in mezzo al turbine socialista. Lode a voi, milites confinarii della democrazia cristiana trentina, noi riconosciamo le vostre fatiche e vi ammiriamo (grandi applausi. Viva i forti di Merano!). Se anche altrove il loro esempio sarà seguito, arriveremo alla sospirata unione professionale trentina. Migliaia di non organizzati ancora ci attendono. Al lavoro! Altro esempio luminoso di organizzazione professionale è quello scelto dalle alleanze di Vallagarina e del Vezzanese. È qui piantata in mezzo ad una folla la bandiera dei Lagarini colla vanga dorata. Salve, o vanga del novale cristiano! Va giù fonda nel tuo simbolico campo, affinché la classe dei contadini rimanga quella su cui la Chiesa possa contare in ogni tempo. Laggiù abbiamo avuto un momento di trepidazione, ma poi i bravi si sono ridestati, hanno preso il sopravvento ed hanno trascinato col loro entusiasmo gli avversari. Qui sono amici vecchi, e accanto a loro i convertiti. (Ovazioni dell’Alleanza). Il congresso ha pensato anche ai fratelli emigranti nelle provincie vicine, dovendo purtroppo rimandare ad altra occasione la trattazione del problema transoceanico. Dobbiamo far voti che col concorso dei parroci nei luoghi d’emigrazione, del Comitato diocesano, dell’ordinariato e della benemerita Bonomelliana si riesca a creare i segretariati che il congresso desidera. Un dotto relatore ha riferito sulla necessità di un’intesa fra gli studiosi cattolici per promuovere un movimento scientifico e letterario”. I popolani hanno ascoltato volentieri anche tali discussioni perché sanno che nei gabinetti degli studiosi si elaborano, come la rivoluzione francese, tutti i grandi movimenti sociali. Generale interesse ha destato la proposta che si dia finalmente una storia dei nostri padri che valga a rafforzare le buone tradizioni del paese. Infine su due altri argomenti importantissimi venne richiamata l’attenzione dei congressisti: l’organizzazione e la stampa. Per la prima più che un piano concreto dovremo limitarci a dare le grandi linee, per il secondo argomento abbiamo ancora negli orecchi il grido d’allarme del D.r Grandi, che con grande eloquenza ha spronato al lavoro. La riconoscenza espressa ai giornalisti fa Onore alla modernità dei cattolici trentini (applausi). Un fatto va notato come caratteristico per tutte le discussioni. Non una parola né un cenno che avesse potuto recare la più lontana offesa per gli avversari. I cattolici sanno la loro forza, conoscono la loro via e camminano innanzi, senza occuparsi degli avversari. Eppure ve n’ha fra essi di accanitissimi e provocanti. In occasione del congresso stesso un giornale ci schernisce quotidianamente, ed ebbe a scrivere che i cattolici migliori non compariranno qui. Ora noi gli rispondiamo che certo, perché noi ci diciamo cattolici, non vogliamo con ciò affermare d’esserlo soli o d’essere i migliori tra loro. La Chiesa c’insegna a recitare il Domine non sumus dignus ed a pregare che il Signore crei in noi un cuore puro e ci rinnovi lo spirito e lo facciamo con atto di doverosa umiltà, innanzi a Dio ed agli uomini. Ma sappiamo anche che i nostri principi sono buoni e che a preferenza di altri ci stringiamo intorno al papa e al vescovo, lavorando per il bene del popolo cristiano, certi che Cristo, il quale premia un bicchier d’acqua dato all’assetato, ci userà misericordia anche per questa nostra azione cattolica sociale che dedichiamo alle classi lavoratrici (applausi). E nient’altra pretesa abbiamo dai nostri avversari se non che rispettino questo nostro buon volere e questa nostra concezione ideale della vita (grandi applausi). L’oratore accenna a questo punto alla fraterna e sapiente collaborazione data al congresso dagli amici di Verona, Milano, Torino. I trentini sanno in quali condizioni estremamente difficili si combatte laggiù e tanto più vivo quindi è l’augurio che riesca ai loro sforzi di rifare l’Italia tutta cristiana (applausi). Dicano laggiù i nostri amici, dicano laggiù nei comizi e nei congressi che noi trentini posti quassù fra le Alpi a difendere le grandi tradizioni della civiltà cristiana e latina ed a battagliare giornalmente per le nostre stesse condizioni d’esistenza, abbiamo compreso il grande dovere impostoci dalla Provvidenza e dalla Storia e facciamo ogni sforzo per adempierlo (grandi applausi). Ed altri amici che ritornano verso il Nord dicano pure anche lassù che chi vede in noi un pugno di sciovinisti imbevuti di fanatismo di razza, mal ci conosce. Dicano esser nostro vivo desiderio che fra i cattolici dell’una e dell’altra nazione sia tregue e che nessuno cerchi il predominio sull’altro, ma che la democrazia cristiana di tutte le nazioni marci verso quel giorno in cui — sovra tutti — regni ed imperi Cristo sovrano (uragano di applausi).

Il contegno dell'on. Degasperi e dei liberali nell'ultima fase

387845
Alcide de Gasperi 3 occorrenze

Da questo largo punto di vista e non da quello semplicemente dell’interesse locale abbiamo il diritto ed il dovere di riguardare quindi il problema, anche come consiglieri comunali di Trento ed in ogni caso quali rappresentanti politici del paese.

Perciò abbiamo concluso: salviamo il salvabile! Non ci siamo piegati per servire nessuno, ma come l’uomo che si piega per non essere spezzato da una forza maggiore e per risollevarsi poi ancora a combattere e a vincere. Certo una cosa non abbiamo salvato, quello che sperai lungo tempo di raggiungere, cioè la solidarietà trentina, d’evitare cioè lo spettacolo doloroso di una lotta fratricida in mezzo a tanti avversari. Ma qui prevalse il vecchio odio di parte, lo spirito anticlericale e la mania della frase rimbombante e tribunizia. Di fronte al quale spettacolo noi continuiamo tranquilli e sereni l’opera nostra, consci della nostra responsabilità e del nostro dovere. Il discorso detto con grande calore e lucidità fu interrotto spesso da applausi ed infine l’oratore, contro il quale in questi giorni si appunta l’ira avversaria, venne fatto segno ad una grande ovazione.

Di fronte a tale cumulo di circostanze i miei colleghi ed io, tutti in piena armonia, abbiamo favorito l’accordo degli interessati locali perché colla votazione dei contributi venisse assicurata tale soluzione. Certo è doloroso che Trento non abbia raggiunta fin d’ora la sua diretta congiunzione con Fiemme, ma troppe circostanze ci furono avverse: la linea avisiana è più lunga di parecchi chilometri e più costosa, il governo è sfavorevole, la Provincia in maggioranza nelle mani degli avversari dell’avisiana. Per di più il popolo di Fiemme è legato da tradizioni ben più vecchie del suo stradone allo sbocco di S. Lugano. Male a proposito vennero ricordati nel recente comizio i patti gebardini del 1110, perché essi sono una prova delle antichissime relazioni fra Fiemme e l’alto Adige. Allora Fiemme si considera la valle dalla «chiusa di Trodena fino al ponte della Costa» e fin a quei tempi remoti risalgono i diritti di pascolo dei fiemmazzi sul terreno dei comuni di Val d’Adige e viceversa l’obbligo della Comunità di pagare una quota per la manutenzione del ponte sull’Adige ad Egna, perché i valligiani passavano di là.

Ha la parola l'on. Degasperi

387891
Alcide de Gasperi 3 occorrenze

Verrà tempo in cui la storia dovrà ammettere che proprio noi, chiamati oggi traditori nazionali, abbiamo invece rafforzato il senso di solidarietà trentina nella valle dimostrando che per il suo progresso economico noi trentini sacrifichiamo almeno temporaneamente un ideale, per il quale abbiamo combattuto da anni. Io ho l’intima fiducia che verrà presto il giorno in cui vi si potrà chiedere un ricambio di solidarietà, che anche voi ci aiuterete a promuovere la continuazione della Lavis-Cembra. Con questi sensi termino invitandovi a gridare Viva Fiemme, viva il Trentino. (Evviva, applausi, ovazione all’on. Degasperi). Fiemmazzi! Con piacere saluto le antiche bandiere dei vostri liberi comuni e comprendo tutta la vostra fierezza e la reazione che vi nasce nell’animo contro chi vi ha descritti come pecore, soggette alle arti subdole di pochi. Ma in questo momento è il consigliere di Trento che vi parla e vi dice di non lasciarvi provocare a sensi ostili contro la città che per noi sarà sempre il centro del paese. A Trento non tutti la pensano come i comizianti. Fiemme rimarrà sempre unita al Trentino, rimarrà sempre italiana (applausi). Verrà tempo in cui la storia dovrà ammettere che proprio noi, chiamati oggi traditori nazionali, abbiamo invece rafforzato il senso di solidarietà trentina nella valle dimostrando che per il suo progresso economico noi trentini sacrifichiamo almeno temporaneamente un ideale, per il quale abbiamo combattuto da anni. Io ho l’intima fiducia che verrà presto il giorno in cui vi si potrà chiedere un ricambio di solidarietà, che anche voi ci aiuterete a promuovere la continuazione della Lavis-Cembra. Con questi sensi termino invitandovi a gridare Viva Fiemme, viva il Trentino. (Evviva, applausi, ovazione all’on. Degasperi).

E poi noi deputati abbiamo dovuto concludere: Ci sono troppe forze e troppe circostanze che propendono per S. Lugano. Se non oggi, sarà domani che i fiemmazzi con noi o contro di noi l’avranno! Allora per Cembra non si avrà più niente. Nella presente combinazione abbiamo quindi visto l’unico mezzo di salvare un buon tratto di linea fino a Cembra e almeno la possibilità della sua continuazione. Ecco perch’io anche essendo consigliere municipale di Trento, ritenni di dover aderire alla proposta. Certo la città di Trento aveva diritto di difendere i suoi interessi, di insistere per una soluzione migliore, fino che lo crede possibile, ma quello che non è giusto è che nei suoi comizi si voglia falsare e cancellare la volontà della maggioranza di Fiemme, dando da intendere che i fiammazzi sono spinti dai deputati, e non invece i deputati che devono pur tener conto della volontà e dei bisogni del popolo (applausi). Ora in Fiemme, perché l’opposizione alla linea di S. Lugano come tale non attecchisce, si va dicendo che è troppo cara e che manda in rovina i comuni.

Non noi abbiamo sparso in Fiemme la zizzania, ma i nostri avversari incorsero a tutte le arti, fino alle denigrazioni personali, perché avevano paura d’affrontare la questione nei suoi veri termini. Per noi nella questione di Fiemme non ci furono né popolari né liberali, né socialisti, ma solo fiammazzi ed oggi qui sotto le libere bandiere dei vostri comuni non vedo che fiammazzi (applausi). Una volta la concordia c’era, ma chi l’ha rotta?

Il banchetto in onore di Mons. Dott. de Gentili. Il brindisi dell'on. Degasperi

387894
Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Ma più grande fu ancora la nostra ammirazione quando abbiamo visto che mano mano che cresceva le sua personalità scompariva la sua individualità e più si teneva nell’ombra l’individuo, perché sovratutto rifulgesse il principio e dominasse sola la causa, cui egli e noi siamo chiamati a servire. Ed ecco la ragione del nostro ossequio, ecco perché sentiamo ch’egli non solo nella carica, ma nello spirito, è il capo delle nostre associazioni cattoliche. Gli avversari hanno scritto come per ischerno che Don Gentili ci ha imposta la dittatura, tanto forse per confermare col Manzoni che il povero senno umano cozza spesso coi fantasmi creati da sé. Ma del resto comprendiamo la dispettosa meraviglia degli avversari nel vedere che noi benché siamo parchi per i nostri capi di aggettivi laudativi, di epiteta ornantia e di maiuscole, di elogi, epitaffi e mausolei, altrettanto siamo ricchi di disposizioni e di raccomandazioni per la disciplina, per la concordia. Signori, un dittatore non ha seguaci, ma servi, non collaboratori, ma meccanici esecutori. E noi tutti invece, quanti lavoriamo nel campo cattolico, siamo qui uomini liberi che oggi come altre volte nel nostro passato, nei momenti di debolezza o di differenza chiediamo al presidente del Comitato Diocesano la parola dell’incoraggiamento e della concordia; e l’abbiamo chiesta e la chiederemo a lui, non solo perché lo crediamo migliore di noi, ma perché l’insegnamento ch’egli ci dà lo fa risalire alla Chiesa, al nostro Vescovo, al Papa, nei quali egli ci addita di trovare le ragioni del nostro lavoro e della nostra disciplina. Sì che oggi noi possiamo esser lieti che l’onorificenza pontificia venga a dare espressione esteriore a quell’autorità di mons. Gentili, si basi sulla stima della sua persona e sul consenso al suo indirizzo. Amici! La vita militante dell’azione cattolica è un po’ vita di campo, lontana dal focolare domestico e dagli affetti familiari e oramai dall’uomo di vita pubblica il pubblico pretende che non viva se non per lui. Ma questa sera, poiché oltre che al capo vogliamo pur esprimere i nostri auguri, anche all’amico, a me pare di non poterlo far meglio che congiungendo alla sua persona che sta sul proscenio della vita pubblica il nome venerato di un’altra che sta nell’ombra ma alla quale egli è congiunto da tenerissimo affetto. Penso alla sua mamma ottuagenaria e mandando il pensiero riverente a Lei, nell’occasione che festeggiamo il figlio, mi pare d’includere nell’augurio l’uomo intiero, come venne alla ribalta per una umile vita di lavoro, come vive nella modestia della sua distinta posizione sociale, come auguriamo sia felice nei lunghi anni che rimarrà l’orgoglio di Lei e l’orgoglio nostro».

Il grandioso convegno di Ala

387897
Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Possibile che noi non abbiamo fatto niente di bene e che gli altri non facciano nulla di male? E qui l’oratore riepilogando la politica dietale dal periodo dell’astensione in qua dimostra che chi ha chiamato i contadini ad occuparsi di politica, chi ha rotto il giogo di pochi ed ha aperto la strada alla democrazia rurale furono i popolari, i quali insegnarono ai contadini ad organizzarsi economicamente e poi politicamente. A questo movimento d’emancipazione e scisma creato dall’iseriani cozza di fianco. Malgrado tutte le frasi di libertà e indipendenza, la politica raccomandata dal Contadino (vedere la questione di Fiemme come non unico esempio) è quella vecchia dei signori. Il partito popolare sopporterà l’urto più agevolmente di quello che non sperano gli avversari. Ci rincresce di dover combattere su tre lati; ma anche se i leghisti ci attaccano alle spalle, so che voi saprete battervi da valorosi. Per che cosa combattiamo noi? Non per un mandato più o meno; che se non fosse questione che di mandati, dal nostro canto facile sarebbe l’intesa. Ma è questione di principio. I leghisti, voglia o non voglia, sono gli anticlericali della campagna che vi trasportano l’anticlericalismo cittadino, e come gli anticlericali lo furono in città, così nella campagna i leghisti sono i precursori del socialismo. Esiste quindi un pericolo evidente di carattere sociale e anche d’ordine religioso. Qualcuno non lo vede, qualcuno sarà in buona fede, ma anche il socialismo è incominciato a Trento colle citazioni di S. Paolo. Bisogna quindi che ci battiamo con tutta la forza per la difesa dei nostri principi. L’oratore accenna infine all’aspra campagna personale che si fa contro tutti i capi del movimento nel «Contadino». È un continuo tentativo d’intimidazione e di demolizione. Ma quando abbiamo preteso, chiamandovi cattolici nella vita pubblica di presentare le nostre persone come modelli da imitare? In chiesa recentemente abbiamo cantato il Miserere. Vengano i signori leghisti, e noi siamo pronti a rimetterci in ginocchio assieme a dire Miserere di noi o signore, secondo la tua grande misericordia. Ma quando si rialzeranno chi darà loro il diritto di coprirci di contumelie e di accuse? Chi siete voi che volete coprirci di pietre? Discutiamo di principi non di persone. L’oratore termina con un caldo inno alla democrazia cristiana e al rinnovato sforzo che tutti compiamo per la sua vittoria. Un uragano d’applausi scoppia nella grande assemblea.

Il comizio di iersera per le elezioni comunali

387903
Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Tutti ricordano che in seguito alla vigorosa campagna elettorale i popolari conquistarono per la prima volta il terzo corpo e le vicende che seguirono sono note, com’è noto anche che noi non abbiamo lasciato passare occasione di rilevare nel nostro programma tale riforma, finché il pensiero della rappresentanza delle minoranze assunse tale forza morale, che i liberali, nel ripresentare le loro candidature dovettero tenerne conto e lasciare alla minoranza alcuni costi. Questo non poteva però essere se non un espediente provvisorio e i popolari, giunti in Consiglio, insistettero perché venisse fatta la riforma del regolamento elettorale. Dopo ripetute urgenze nella commissione a ciò eletta il 26 aprile 1912, il dott. Viesi, a nome del partito liberale, dichiarava che era disposto a concedere l’introduzione della proporzionale in tutti i corpi, a patto che venissero fatti i quattro corpi, che gli elettori in questi quattro corpi venissero suddivisi secondo il censo ora stabilito e che fosse escluso il voto delle donne. I popolari accettarono, e così si arrivò dopo alcuni mesi di elaborazione alla riforma votata e presentata nell’estate del 1912. Oggi, alla vigilia della sua prima applicazione, sta bene ricordare il progresso di un’idea perché ci serva nell’avvenire come ammaestramento, quanto presto cioè un’idea, se è giusta e se è agitata con energia e costanza, può penetrare nella coscienza pubblica e nell’ordinamento pubblico. Oggi è anche buono ricordare le ragioni che ci hanno mosso a una simile propaganda e ci hanno spinti a una tale conquista. Anzitutto noi volevamo che nella città di Trento la cittadinanza potesse essere rappresentata in consiglio, nell’amministrazione cittadina, non attraverso il monopolio d’un partito, ma direttamente per i suoi mandatari a seconda del loro indirizzo politico o economico. In verità la prima applicazione risentirà l’effetto dei partiti politici e non così facilmente si potranno sostituire amministrazioni che facciano astrazione dalle suddivisioni politiche; ma, come c’insegna la storia dell’applicazione della R.P. in altri paesi e in altre città un po’ alla volta essa condurrà l’amministrazione cittadina a maggiore equità e a maggiore oggettività. Il secondo motivo che ci ha spinti a questa propaganda fu di carattere politico morale. Noi abbiamo visto che Trento, in questo riguardo, è la chiave della situazione per tutto il paese. Qui si crea la confusione fra il partito anticlericale in genere, e attenuando le differenze reali che esistono fra socialisti e liberali, e a tali confusioni e attenuazioni spingeva il sistema elettorale stesso, che facilitava o consigliava connubi e dedizioni e che d’altro canto escludeva dalla partecipazione all’amministrazione in proporzione delle sue forze il partito socialista, il quale così poteva esimersi da un atteggiamento corrispondente al proprio programma. Abbiamo quindi insistito per l’introduzione della proporzionale perché siamo convinti ch’essa presto o tardi arriverà a introdurre nel programma dei partiti e nel loro atteggiamento più logica e più chiarezza. Gli amici nostri ch’entreranno in comune sappiano usare di quest’arma con energia e con abilità. Si servano del potere loro demandato per accelerare la funzione della rappresentanza proporzionale costringendo i singoli partiti a prendere un atteggiamento logico e conseguente, sia di fronte agli affari economici, sia alle relazioni dei partiti affini. Se quest’arma, che l’agitazione e la propaganda di cinque anni da loro in mano, verrà usata bene, le conseguenze non si limiteranno a Trento, ma avranno un’eco anche nel paese in generale. Infine l’oratore, ch’è stato spesso interrotto da applausi, dichiara che, per tagliar corto a inutili insistenze degli amici che gli venivano fatte anche nell’adunanza, non può accettare la ripresentazione della sua candidatura, sovrattutto perché non potrebbe dare che piccolissima parte della sua attività, essendo già aggravato da altre molteplici occupazioni. Permettano gli amici che egli dedichi quella parte ormai poca del suo tempo e delle sue forze che gli resta dopo il disimpegno delle sue cariche pubbliche, alla propaganda delle idee. Il partito non deve commettere l’errore di esaurirsi nel lavoro quotidiano della politica o dell’amministrazione, ma deve ritornare con slancio alla propaganda e alla diffusione delle idee generali che sono la bandiera che sventola sopra le nostre masse in movimento. (Grandi applausi e ovazioni).

Due monumenti

387909
Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Questo monumento —— l’hanno dichiarato essi — non fu omaggio ad uno scienziato più o meno grande, ma omaggio a idee e teorie contrarie a quelle che abbiamo creduto fino ad ora, e quello che si disse e si fece in quell’occasione fu come uno schiaffo in viso a chi sente e pensa cattolicamente, fu una sfida lanciata a tutti che vogliono il Trentino cristiano, dal Vescovo all’ultimo prete di montagna, lanciata a voi buoni contadini, a voi buoni operai. Ebbene, o amici, la storia dovrà decidere se noi cattolici trentini abbiamo accettato coraggiosamente la sfida, e se abbiamo combattuto da valorosi la battaglia. La guerra, la battaglia! Voi abitatori delle valli e dei monti non ne avete ancora sentito che i rumori lontani, ma ora il nemico è venuto ed ha fatto la dichiarazione di guerra. Per cinque anni giravano le città e i villaggi, parlando di vantaggi economici, di progresso e di scienza. Ma ora che ci hanno detto chiaro che cosa essi intendano per progresso, di qual specie di scienza intendevano di dire: baldanzosi per la conquista di un paio di città, si credettero sicuri tanto da calare la maschera e lanciar sfide a tutto il Trentino. Ebbene, noi cattolici, questa sfida l’accettiamo: e l’accettiamo non soltanto per respingere gli aggressori ma anche per conquistare. In queste due parole c’è tutto il nostro programma: formare una falange irremovibile che sostenga qualunque assalto e non lasci passare il nemico e contemporaneamente addestrare delle squadre di cavalleria leggera che muovano all’assalto e alla riconquista: c’è posto per i vecchi e per i giovani. Accenno a ciò qui in questa adunanza, credo opportunamente, perché i battaglioni di questo esercito sono formati quasi tutti dalle Società agricole operaie. Ricordatevene, o amici, sulle Società operaie pesa ora, si può dire, l’esito della battaglia, il destino della patria. Che non avvenga di nessuna di quelle che sono qui rappresentate ciò che accadde a qualcun’altra, la quale limita la sua attività a qualche pratica religiosa in comune, alla bandiera forse issata con qualche entusiasmo e poi ripiegata e messa nell’armadio ove con essa viene seppellita anche la vita sociale. Si ricordino tutti quelli che lavorano nel campo delle società operaie che esse hanno assunto ora — di fronte al Trentino cattolico — un grande compito d’istruzione e di educazione. In piazza ora si parla stortamente e a rovescio dell’inquisizione, di Galilei, dell’evoluzione, della democrazia; ebbene ora conviene spiegare nelle Società operaie che cosa fu l’inquisizione, che ne fu di Galilei, che cosa è l’evoluzione, qual’é la democrazia vera, che cosa vuole la democrazia cristiana. Solo, o signori, a patto di formare nel Trentino una coscienza nuova, d’infondere nelle valli un nuovo slancio di vita, saremo degni della vittoria. Qualcuno mi obbietterà che è cosa difficile, impossibile. A quello io addito Civezzano, perché gli serva d’esempio. Anche questo paese una volta andava a rilento e passava per «malva», ed ora dobbiamo venire da Trento a Civezzano per imparare che cosa sia la vita che cosa frutti un lavoro continuo. Con una settantina di Società operaie come quella di Civezzano noi rideremmo di qualunque sfida. Avanti dunque — dico rivolto alle altre - al lavoro, preparatevi alla guerra! Due grandi eccitamenti, due grandi fiotti di vita sono venuti a noi in questi ultimi tempi: 1) il Congresso cattolico che fu come le nostre grandi manovre, ove si vide il lavoro pratico, sociale prestato in cinque anni dai cattolici, e si sentì anche lo spirito nuovo che informava le masse dei contadini e degli operai poichè, o amici, non era più «la scarpa grossa» isolata, impaurita da ogni cosa nuova che si batteva sui marciapiedi di via Larga, ma erano cinque, anzi diecimila «scarpe grosse» organizzate in assetto di guerra; e passavano via superbi della loro coccarda sotto una bandiera, soggiogati da un’idea comune; 2) il Congresso degli altri, l’offesa recata, la sfida lanciata. C’è qualcuno al quale piacerebbe quel bustarello tolto via donde l’hanno messo e rotolato chissà dove! No, amici, lasciatelo lì anche perché ci serva d’ammonimento. Come quel generale persiano aveva l’incarico dal re di ripetergli ogni qual tratto: «O re, ricordati della sconfitta di Maratona», affinché il re ben si preparasse alla riscossa contro la Grecia, così quel busto ci ammonisca sempre del dovere sacro che abbiamo di rintuzzare l’offesa, di marciare alla riscossa. Se ognuno di voi che passa davanti al busto di Canestrini si ricordasse dell’obbligo di istruirsi, di prepararsi alla battaglia, allora nelle Società operaie si educherebbero tal «rospi» che quel tal dottore, riuscirebbe a stento a schiacciare Allora il nostro esercito — lasciate che m’immagini la nostra conquista morale in modo palpabile — fatto più cosciente più svelto e più leggero, discenderà dai monti nostri, su cui imperano le nostre croci, alle città, e forse allora si apriranno quelle certe finestre dei signori «filistei» che le hanno chiuse al di del congresso, compariranno alla luce del sole certe bandiere che non si vollero issare e faremo campo in piazza Dante dinanzi al monumento di Canestrini. E non l’oltraggeremo, no! ma se l’iscrizione sarà spazzata via dalle ali del tempo (vedi discorso Altenburger) e se gli anticlericali nelle angustie della sconfitta non provvederanno a rifarla, ce la faremo noi la scritta, magari sulle tracce della vecchia, di fronte al Vaticano. E scriveremo: A G. Canestrini — studiò e faticò molto —— ma sbagliò la strada - Ri- posa in pace. Allora l’arma non sarà un trofeo della vittoria del «libero pensiero», come si augurava il barone Altenburger, ma un ricordo della sua sconfitta. E l’unico interprete e testimone fedele dei sentimenti e delle idee della nostra età resterà il monumento alla Comparsa dedicato al divin Redentore il quale disse: Non praevalebunt!

Il congresso dell'Associazione universitaria cattolica trentina - Relazione del presidente

387918
Alcide de Gasperi 3 occorrenze

Nel comizio convocato l’anno scorso a Natale abbiamo offerto alla causa dell’università italiana l’appoggio dei cattolici trentini, cioè della maggioranza del paese. Per tutta risposta ci hanno esclusi dai comitati. Per certa gente sono italiani soltanto i liberali, come Hutten in tedesco voleva dire luterano. Ora si è inaugurata solennemente una nuova tattica: quella di ignorarci. E la tattica del «volere e non potere». e finora non ce ne siamo accorti granché. Noi invece seguiremo attentamente le mosse degli avversari, sempre pronti a discuterle, e del resto continueremo tranquillamente per la nostra via, come abbiamo fatto durante l’ultima fase della questione universitaria. Per tutto questo rimandiamo alle nostre dichiarazioni precedenti.

Solo una cosa abbiamo da deplorare che intorno al periodico edito dall’Associazione non vi sia maggiore intensità di lavoro e maggior buon volere, ma abbiamo ragioni per assicurare che questo lagno chiuderà un periodo triste. L’appoggio che trova il piano finanziario fatto nel I Congresso cattolico, ci dice che molti dei nostri amici non aspettavano che il nostro appello. Li ringraziamo vivamente. Vedano i colleghi di pensare più efficacemente alla collaborazione specialmente quelli che, liberi dalla pressura della propaganda, vi dovrebbero consacrare almeno gli ozi della vacanza.

Noi abbiamo avuto durante quest’anno sociale anche delle tempeste e dei temporali ma furono temporali di primavera; e vi passiamo sopra, per considerare soltanto la bellezza della stagione. L’appoggio dei cattolici, specialmente quello autorevole di gran parte del clero, la solidarietà delle organizzazioni democratiche cristiane di cui offre un esempio così bello questa adunanza, ci testificano che la fiducia in noi è aumentata, che si vede in noi giovani che hanno serietà di propositi, occhio e cuore per i tempi che corrono. Signori! Tutti noi, vecchi e giovani, abbiamo comuni due grandi amori: l’amore alla Chiesa cattolica, e quell’altro complesso di idee e sentimenti, che io chiamerei il «trentinismo», l’amore a questa nostra patria, che vogliamo difendere tanto dai nemici esterni che interni. Conservatori e innovatori ad un tempo, speriamo e prepariamo tutti un mondo nuovo, un’era novella che assomigli a tempi migliori. L’era d’oggi pare anche a noi, come a Fichte, un’ombra che si aggira gemendo sopra il suo corpo, dal quale l’ha cacciata un’infinità di mali, che invano tenta tutti i mezzi per ritornarvi dentro. Aure vitali circondano già quel corpo, ma esso non ha senso per loro, già dentro si sente il rumore di quella vita che dovrà farne una figura si bella; ma non basta. Che dobbiamo fare? Anche l’aurora del nuovo mondo è sorta di già ad indorare le cime dei monti e fa immaginare lo splendore del giorno che verrà. Ebbene prendiamo questi fasci di luce, in cui si intravede la nuova giornata, e teniamo il dinanzi come specchio all’anima avvilita, al corpo morto. E ritornerà l’anima nel corpo e ritornerà la vita e si rinnoveranno i tempi. Signori! Se questo congresso potrà mandare solo un raggio quale specchio salutare sul nostro tempo, oggi celebriamo una festa, che sarà segnata nella nostra storia.

Il nuovo governo civile e le nostre autonomie

387943
Alcide de Gasperi 4 occorrenze

Nitti abbiamo colto l’occasione per plaudire al suo programma di sviluppo industriale per il nostro paese dichiarando che questo sarà il migliore programma di propaganda nazionale per tutta la regione, così non abbiamo mancato di cogliere l’occasione, poiché l’on. Credaro s’interessa in modo particolare di cose agricole, per ricordargli che nel progetto di trattato con l’Austria pubblicato recentemente manca una clausola protettiva per i vini trentini ed istriani, e per pregarlo di voler interporsi presso l’on. Tittoni, perché si voglia ancora per l’ultimo momento introdurre almeno la stessa clausola, che assicura un trattamento speciale ai vini dell’Alsazia-Lorena.

Col chiedere l’immediata partecipazione al diritto di votare con tutti gli altri cittadini italiani nelle prossime elezioni generali noi non abbiamo chiesto e ottenuto che la piena e fattiva cittadinanza italiana (applausi). Fin qui - dice l’oratore -, si tratta dunque di ottenere il diritto di dire la propria opinione in base al suffragio universale eguale e proporzionale e di stabilire la procedura perché l’esercizio di tale diritto sia assicurato nel termine più breve possibile. Fin qui dovremmo quindi essere tutti d’accordo.

Ma francamente e lealmente abbiamo chiesto al capo del governo quali erano le sue intenzioni e le sue direttive, esponendo lo stato d’animo delle nostre popolazioni, che aveva provocato preoccupazioni e proteste. E quando l’on. Nitti, dichiarando che l’on. Credaro non è massone, ha tenuto a correggere l’opinione che si ha in Italia di lui, gli abbiamo risposto che noi ultimi venuti in Italia troviamo situazioni ormai compromesse e fame fatte indipendentemente dal nostro contributo, e che è su questi elementi che noi e il popolo nostro dobbiamo fondare il nostro giudizio; che ad ogni modo le intenzioni direttive e di imparzialità che il governo assicura voler attuare dai nuovi governatori, se rese pubbliche, potrebbero attenuare almeno l’impressione che la nomina doveva fare. L’oratore si è incontrato anche con l’on. Credaro, il quale ha ripetuto le dichiarazioni di Nitti nel senso di voler venire nel nostro paese semplicemente come rappresentante dell’Italia e non come uomo di parte. Speriamo - aggiunge a questo punto l’oratore - che la sana aria trentina, quando l’on. Credaro avrà abbandonato il nostro paese, avrà guarito o la fama dell’uomo, se i suoi amici hanno torto, o l’uomo stesso, se i suoi avversari hanno ragione. Ma l’accusa che ci si fa di perdere di mira gli interessi generali del paese, per il nostro punto di vista particolare è affatto infondata.

Allora abbiamo sentito che il nostro dovere era di risalire ai di là della persona, alle cause che avevano prodotto le nostre preoccupazioni, di chiarire cioè in forma indubbia il programma che il ministero intendeva attuare con tale nomina e le direttive che la avrebbero accompagnata. Fu perciò che immediatamente per mezzo dei nostri amici della direzione e del gruppo parlamentare popolare e direttamente in un colloquio col presidente del Consiglio furono posti questi quesiti pregiudiziali: 1. Urgente necessità per le terre redente di avere la loro rappresentanza elettorale, non appena proclamata l’annessione. 2. Durante il breve periodo transitorio avere il massimo rispetto delle autonomie amministrative e scolastiche. 3. Non si deve introdurre alcun mutamento nel regime degli enti locali prima che la rappresentanza elettorale delle terre redente possa concorrervi col proprio voto.

L'assemblea costitutiva del Partito popolare

387958
Alcide de Gasperi 6 occorrenze

Noi persone individuali abbiamo un altro destino che gli stati». Amici, scusate la lunga citazione. Ma innanzi a quello che avviene intorno a noi, è necessario risalire ai principi. Abbiamo oltrepassata la frontiera di un mondo ch’è scomparso negli abissi dei secoli e abbiamo messo il piede trepidanti in una nuova società politica. Ma l’una e l’altra società compiono quaggiù i loro destini. I nostri invece sono superiori ad entrambi. Per questo nella nostra anima abbiamo portato con noi dalla società umana che ci si è sfasciata attorno alla società nuova che ci ha accolto, un certo corredo di diritti naturali e di concetti superiori che regnano nella cittadella della nostra coscienza. Uno dei più cospicui di questi diritti è quello di professare e far insegnare liberamente la fede dei nostri padri. Ché si parla di austriacantismo, quando reclamiamo per i padri di famiglia il diritto di far insegnare il catechismo ai loro figlioli? Questo diritto era scritto nella nostra coscienza dalla natura prima che Austria o Italia fossero, al di sopra e al di fuori di ogni società umana (applausi). Ché ci accusate di tiepido amor patrio, quando reclamiamo per i tedeschi la stessa equità che abbiamo domandato per noi? È questo un sentimento di giustizia che sta in fondo della nostra coscienza e che vi soffoca ogni velleità di rappresaglia per i torti subiti. Ché ci denunciate di scarso civismo, quando protestiamo contro la Sardegna, come avevamo protestato contro Katzenau, o quando deprechiamo ogni eccesso del militarismo ovunque si trovi? La protesta s’inspira ad una concezione superiore del diritto naturale e primordiale dell’individuo di fronte a quella qualsiasi società umana che lo circonda (applausi). Vedano quindi i nostri avversari, se vogliono comprendere la nostra politica, di non scordare che al di sopra di essa noi poniamo le leggi immutabili della natura e della morale. E vediamo noi amici di non dimenticare mai che siamo entrati nella vita nazionale con questo patrimonio perenne di verità, di diritti e di principi, con questa coscienza morale che va tenuta ben in alto al di sopra del cammino dei partiti perch’essa è la lucerna che rischiara loro la via. Sovra tutto in questo momento. Questa fiaccola bisogna agitare sovratutto in questo momento, in cui lo spettacolo dell’immensa violenza patita, degli orrori e disordini del militarismo a cui hanno assistito, minaccia di travolgere il senso morale delle nostre buone popolazioni. A questo s’aggiunge l’attiva propaganda socialista.

Quante volte sovratutto abbiamo temuto di perdere l’anima di questo popolo, la sua anima onesta di lavoratore tenace e di cittadino cosciente. Abbiamo temuto, disperato mai! Ed eccovi qui, vecchi amici, a confermare di persona le nostre speranze. Usciti fuori appena di sotto alle rovine, aggrappativi testé alla riva, dopo l’immane naufragio, arrampicativi appena per il buratto infernale fin su a riveder le stelle, io vi saluto in quest’alba di un mondo nuovo, voi che, lasciate alle spalle le cure di un pauroso egoismo, vi ritrovate a riaffermare i diritti del popolo trentino e a propugnare gl’interessi collettivi del vostro paese (applausi). Molti dei nostri amici sono caduti; sorgiamo in piedi, in segno di pietà (l’assemblea assorge). L’oratore continua: Ma in piedi, amici, voi siete anche per affermare che la vostra volontà dopo tanto schianto, non è spezzata, che il vostro spirito, dopo tanto veleno, non è inquinato, che la vecchia quercia del popolo trentino ha perduta qualche fronda sì, forse qualche ramo, ma il tronco e le radici hanno resistito e tornano a metter foglie e fiori (applausi). Fra voi vedo anche amici giovani, che non conoscono le battaglie di ieri, ma si preparano con entusiasmo a quelle di domani. A loro uno speciale saluto. Il nostro partito non è recinto chiuso e porta nel suo programma i germi di una perenne giovinezza. Chi ama il nostro popolo, chi condivide ed apprezza i suoi ideali, sia il benvenuto, da qualunque parte esso venga. È il momento grave in cui tutte le forze sane devono trovarsi a bordo; solo la zavorra dell’egoismo, dell’interesse personale, delle ambizioni vili getteremo inesorabilmente nel mare! (approvazioni).

Poiché il programma autonomista, sostanziato di postulati concreti, lanciato in mezzo alla nazione, ove, come abbiamo visto, raccoglie il suffragio delle energie più sane e capaci di rinnovare l’Italia, è programma di dignità e di fierezza, esso contiene anche una forza educativa del costume politico. Solo se salverà le sue autonomie, il Trentino e i trentini avranno politicamente una personalità propria e poiché saranno forti di una maggiore libertà e di una maggiore sicurezza dei loro diritti potranno dimostrare agli altri con qual virtù si possa servire la patria, quando si e forti di una forza propria (applausi). Rifacciamoci ora di nuovo al momento della nostra liberazione politica. Con quale ansia, amici miei, abbiamo atteso la grande giornata! Quando venne finalmente, le aspre lotte per la nostra esistenza nazionale, il diuturno contrasto per dimostrare la legittimità delle nostre aspirazioni, avevano inciso nelle nostre menti un concetto altissimo di quello ch’è per l’individuo la nazione e di quanto dovesse valutarsi per noi il ricongiungimento colla madre patria. Il fatto che s’invocava non era il cambiamento di dogana, il mutamento di governo: era a traverso l’unione politica, l'unione morale colla nostra nazione. Quest’unione morale abbiamo quindi esaltato perché ci chiama ad un sentimento comune di grandezza, ci fa partecipi di un patrimonio glorioso del passato, ci associa alle conquiste civili dell’avvenire e, facendo di ciascuno di noi un figlio della grande nazione italiana, irradia su noi una luce nuova che eleva il nostro spirito e moltiplica i nostri impulsi di progresso. Nessun pericolo quindi per noi di svalutare l’opera di unificazione nazionale.

Sappiamo che queste torve teorie e questi principi sanguigni, per ragioni a cui abbiamo altra volta accennato, trovano in parte notevole del nostro popolo buon terreno. Questo fatto è inutile negare, bisogna ammettere, anche se dispiaccia. Noi avremmo certo preferito che i socialisti nostrani, seguendo l’esempio dei socialisti dell’Alsazia-Lorena, avessero collaborato in questo grave momento al rinnovamento economico democratico del paese, trovando nel riavvicinamento dei nostri programmi, in quanto riguarda le rivendicazioni politico-sociali immediate, la possibilità di procedere in una azione molto utile al popolo e per un lungo tratto parallelamente, come avviene oltre che in Austria e in Germania, nel Belgio. Ma i socialisti nostrani della nuova maniera, trovarono più facile e più redditizia la propaganda per la conquista violenta della dittatura politica che per la rivendicazione delle nostre libertà locali; entusiasmano più agevolmente col comunismo e coi soviet che con qualsiasi riforma sociale di pratica attualità; ottengono più facili trionfi nel tuonare spietatamente contro tutte le guerre piuttosto che nel propugnare provvedimenti per rimediare alle conseguenze della guerra guerreggiata in paese (applausi prolungati). Di fronte a questa propaganda massimalista, l’unico argine di resistenza è il partito popolare. A noi tocca fronteggiare questa propaganda che dilaga, con uno sforzo più intenso di organizzazione ed una diffusione più viva delle nostre idee. Il compito è aspro, tanto più che ai nostri fianchi abbiamo altri partiti minori, che, incapaci essi stessi di un programma di ricostruzione sociale, si cacciano di traverso nelle nostre file per sgominare la nostra compagine, e racimolare aderenti fra i nostri disertori. Ma questo sforzo va fatto, a costo di qualsiasi sacrificio. Non è questo il momento di risparmiarci (approvazioni). Una nuova forza è venuta del resto ad alimentare l’attrazione della nostra propaganda, ed è il senso di solidarietà con milioni di fratelli della stessa fede che combattono per il trionfo degli stessi ideali entro la nazione. Ecco cosa vuol dire, amici miei, avere finalmente una patria.

Abbiamo creduto superfluo esporre organicamente in parecchie relazioni il nostro programma. Nelle sue linee generali esso non può essere che quello già noto e formulato dal Partito popolare italiano, al quale vi proponiamo d’aderire e per quanto riguarda gl’interessi particolari della nostra terra, i problemi ed il nostro atteggiamento di fronte ad essi vennero discussi e precisati in altre adunanze, cosicché ci è parso sufficiente sottoporre alla vostra discussione ed alle vostre deliberazioni le conclusioni formulate nei brevi ordini del giorno che vi stanno dinnanzi.

È perché abbiamo fede in questa missione, in questo destino segnato così evidentemente nella storia dal dito di Dio, che dobbiamo aver fede - al di là di ogni fenomeno che ci urti presentemente - nel popolo italiano, fede nel suo avvenire, fede nella missione che la nazione nostra eserciterà in Europa e nel mondo, per la sua rinnovazione sulle basi della fratellanza, del diritto, della giustizia (acclamazioni). Il relatore prelegge e spiega gli ordini del giorno che il Comitato provvisorio raccomanda all’assemblea, la quale sottolinea spesso con approvazioni ed applausi. Ecco il testo:

Una conferenza dell'on. Degasperi a Merano. Il contraddittorio coi socialisti

387990
Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Abbiamo bisogno in Italia di una altra guerra, più sanguinosa e più crudele, perché fratricida? Ha bisogno il nostro paese semidevastato che l’Italia, a cui è appena congiunta, si lanci nel caos dell’esperimento comunista, mentre c’è tanta urgenza che si riprenda il lavoro, si riordinino le finanze, si aumenti la produzione, affinché noi stessi possiamo uscire dalla crisi in cui ci ha lasciato il conflitto mondiale?

Il Congresso degli universitari cattolici a Borgo

388000
Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Noi ci siamo guardati d’attorno e abbiamo ammirato le nostre superbe cattedrali, i nostri santuari, le croci splendenti sulle torri della città, le croci enormi piantate sulle cime delle nostre alpi, e abbiamo sentito che esse non sono semplici testimoni del passato, ma che sono promesse, profezie per l’avvenire. I cattolici hanno piantato le tende sul campo del Trentino storico e chi ha per sé la storia di un popolo, ne ha in mano anche le sorti future! Non altrimenti avvenne già entro questo breve giro di tempo. Quei giovani che volevano distruggere le antiche capanne e le chiese o sono degli uomini stanchi e disillusi o, ridotti alla semplice negazione di tutto, sentono già, come il Faust, lo scricchiolio delle zappe delle Lemuri che scavano la fossa, dove seppelliranno la loro vita pubblica. Le relazioni invece del popolo coi nostri studenti si fecero più intime. Noi vivemmo della vostra fede fortissima, voi aspiraste il nostro entusiasmo. Io vi riconosco, o visi abbronzati dal sole, vi rivedo, o bandiere della buona battaglia! Con voi abbiamo acclamato le prime volte alla democrazia cristiana, sotto di voi abbiamo attraversato le città e le valli in nome del vangelo, con voi e sotto di voi, uniti in un sol pensiero, abbiamo trascinato dietro la fiumana dei dubbiosi, verso la croce. Qualcuno mi rimproverava oggi che gli studenti cattolici non votino, come altri, lapidi e monumenti ai nostri grandi. Lasciali fare, ho risposto, i nostri erigono nel cuore del popolo un monumento più duro della pietra, più longevo del bronzo. La scienza sola, ha scritto in un sonetto pochi giorni prima della sua morte, Lope de Vega, non esca che nebbie pel capo, è il cuore, l’amore che ci vuole. Sì, o amici, l’amore grande a Cristo, alla nostra patria infelice. Quest’amore fu grande in voi negli anni trascorsi; non venga meno nell’avvenire!

Il contraddittorio D.r Degasperi-Todeschini a Merano

388030
Alcide de Gasperi 1 occorrenze

È vero, ma anche per gli operai industriali abbiamo tentato il possibile. A Trento si fabbricarono le case operaie, si fondò una cassa d’assicurazione e abbiamo tentato anche le Unioni professionali. Di chi la colpa, se troviamo tanta diffidenza negli operai? Dei capi socialisti, che hanno dipinto i cattolici e il prete come gli strozzini, come i primi nemici degli operai. E ci hanno creduto a questi capi, e quando noi dicevamo, non fidatevene, siamo stati scherniti.

L'assemblea generale del partito

388038
Alcide de Gasperi 5 occorrenze

Se dovessi esaurire questa relazione, bisognerebbe dire anche dell’opera svolta dal partito nella sfera di non sua diretta competenza, là cioè ove si trattava di fiancheggiare e sostenere un movimento apolitico: tale opera ausiliaria abbiamo dato alle organizzazioni dell’Unione del lavoro specie quando era in causa la libertà dell’organizzazione per il contratto edile e tale appoggio abbiamo raccomandato a tutte le sezioni di dare al movimento apolitico delle società dei padri di famiglia, che si propongono di difendere la scuola cristiana e all’azione promossa dal «comitato diocesano per l’azione cattolica» contro la progettata legge per il divorzio. Le società cattoliche o i sindaci hanno una propria sfera d’azione ed una funzione particolare. Il partito politico non le assorbe né pretende dirigerle o sfruttarle, ché esse hanno vita propria e, direi, anteriore e superiore al partito, ma ne appoggia l’azione quando essa rientra nella direttiva del suo programma. Ed ora la vecchia direzione ha terminato il suo compito e chiede da voi la discussione ed il giudizio sul suo operato.

Avremmo mancato in molte altre cose, ma in questa che a noi parve il problema centrale del paese, abbiamo prodigate tutte le nostre energie, e ci pare che per merito di essa ci possiate perdonare le altre nostre mancanze! Per essa abbiamo fatto la più attiva propaganda nella stampa, presa la parola nei congressi del Partito popolare italiano di Bologna e di Napoli, conquistata l’adesione della direzione centrale e del consiglio nazionale del partito, l’appoggio del nostro gruppo parlamentare che ne fece oggetto di pattuizione per il programma della coalizione governativa, cercato e raggiunto l’accordo coi decentralisti e regionalisti d’Italia d’ogni fede politica e trovata infine l’adesione di massima dei governi da Nitti a Giolitti ed il voto di principio delle due Camere. I futuri deputati sono chiamati ad attuare; noi fummo i pionieri che abbiamo aperta la via. Giammai un postulato particolare di una nuova regione trovò Il resto dello Stato così poco disposto a prendere notizia, a discuterlo, ad avviarlo alla soluzione (applausi). Noi abbiamo dovuto svolgere la nostra azione a scatti, con intermezzi di lenti assedi e poi con attacchi frontali, agendo in mezzo ad una crisi politica in permanenza e fra le convulsioni che preparano la rivoluzione sociale. La politica in tempi più normali fu paragonata ad una partita a scacchi; oggi essa assomiglia piuttosto all’acrobatica; Chi non ha il polso fermo e l’orecchio pronto, si rompe il collo. - Noi non ce l’abbiamo ancora rotto, e ci pare già questo un successo così fortunato da dover vantarlo al cospetto di quest’assemblea (ilarità, applausi). Dovrò pur ricordare qui la nostra azione, per la ratifica del trattato di S. Germano, ratifica ch’era indispensabile per giungere all’annessione? In questo nesso avrei da ricordarvi anche le trattative avviate a Trento e finite a Roma per l’assetto politico-amministrativo della provincia in confronto dei postulati dei nostri vicini tedeschi, trattative alle quali collaborarono mons. Gentili e Ciccolini in prima linea, colla loro preziosa energia. Dovrei ricordarvi la nostra opera svolta in paese per ristabilire l’autonomia comunale e l’iniziativa presa dai nostri amici, nostri rappresentanti nel consiglio municipale delle città autonome per l’abolizione dei corpi elettorali? Fu tutta una serie d’iniziative prese seguendo sempre la stessa direttiva: ricostruire il paese su basi autonome e ricostruirlo al più presto possibile.

Queste idee e queste forze attingeranno al programma trasformatore del Partito popolare, al quale programma generale abbiamo dato già l’anno scorso la nostra adesione e al cui maturare nelle soluzioni concrete abbiamo anche noi, ultimi venuti, contribuito colla nostra stampa e col nostro delegato nel consiglio nazionale e dovremo contribuire ancora più a mano a mano che i vincoli della regione nuova con quelle vecchie, si faranno più stretti (grandi applausi).

Giustizia vuole che, giudicando la nostra attività, non dimentichiate il carattere particolare del periodo straordinario che abbiamo attraversato. Fino che parve vicina l’elezione dei deputati, la direzione doveva pensare anzitutto alla propaganda politica, ma quando fu manifesto che il paese sarebbe rimasto ancora a lungo senza rappresentanti, la direzione fu costretta a sostituirli, bene o male, nella loro funzione di sostenere l’interesse del paese. Su questo terreno abbiamo svolta un’attività che credo non potesse essere più intensa. Dal 27 ottobre in cui il vostro segretario presentava all’on. Nitti i vostri o.d.g., votati nell’ultima assemblea fino a questi ultimissimi giorni la direzione esercitò un vero mandato di delegazione presso il governo o presso il parlamento nazionale. Ricordo rapidamente: il nostro intervento per la ricostituzione dei comuni, per i problemi della liquidazione austriaca (on. Grandi, per il rimpatrio dei prigionieri dall’Estremo Oriente, per il pagamento delle pensioni ai sinistrati, per l’applicazione della legge sul risarcimento dei danni di guerra, per i contributi al genio civile, per la ricostruzione, per i contributi dello Stato o dell’istituto federale veneto al consorzio dei comuni, per l’estensione dell’inchiesta parlamentare sulle spese di guerra e di armistizio anche alle terre redente, per la sistemazione dei pubblici funzionari, per miglioramenti ai ferrovieri, ai postelegrafonici, alla guardia di finanza, ai cancellieri giudiziari, per l’assimilazione agli effetti economici di tutte le categorie di addetti ai servizi pubblici, salvi sempre i loro diritti acquisiti, per sostenere memoriali di maestri e di operai del tabacco, dei segretari ed impiegati comunali, per prorogare l’imposizione di nuove tasse ai contadini per la questione dei vini e dei trattati commerciali, in favore della caccia, del concorso forestieri ecc.

Abbiamo anche esercitato attiva opera di vigilanza nel campo della scuola intervenendo anche efficacemente in favore dei nostri fratelli adriatici, quando l’on. Ciuffelli tentò di eliminare l’insegnamento religioso. A tutta questa opera, che non è davvero esaurita in questi rapidissimi cenni, aggiungete l’azione quotidiana e svariatissima che la direzione svolse presso il commissario generale e le autorità locali; e mi direte se questo compito di esercitare - certo imperfettamente e non completamente - quelle funzioni che sarebbero state dei deputati, non abbia già da solo reso travagliato e affaticato quant’altri mai questo periodo di attività della direzione. Ma due problemi, sovra ogni altro, richiesero tutta la nostra attenzione, quello della valuta e quello della ricostituzione politico-amministrativa del nostro paese. Del primo possiamo dire che i nostri replicati e disperati interventi contribuirono - senza con ciò voler menomare l’opera altrui - al risultato di costituire e far lavorare quella commissione che ora a Roma sta risolvendo ad uno ad uno l’intricate questioni che vi sono connesse; del secondo ci sia lecito affermare che senza la nostra tenace propaganda, senza le nostre insistenze, che non disperarono mai né di fronte all’ignoranza né di fronte alle opposizioni, esso non sarebbe oggi divenuto per l’Italia uno di quei problemi istituzionali, che oramai s’impongono a qualsiasi governo e a qualsiasi parlamento.

L'evoluzione della cultura e la stampa quotidiana

388074
Alcide de Gasperi 2 occorrenze

Perché abbiamo dormito finora? Io ritorno logicamente là, donde sono partito. Perché non abbiamo compreso l’evoluzione dei tempi nostri, perché della vita che ci trascorre dinanzi non abbiamo avuto la concezione dinamica e reale. Perché noi cristiani, noi credenti abbiamo formato la grande massa inconscia fra i lettori, gli abbonati di siffatti giornali? Perché non avevamo compreso il compito fatale della stampa, quale organo della cultura contemporanea.

Parlamento e politica

388113
Luigi Sturzo 1 occorrenze

Dobbiamo convenire che pur avendo passato tale periodo di sconquasso, a riguardarlo bene abbiamo noi stessi la impressione che ancora incomba il pericolo. Oggi la finanza statale è migliorata, il bilancio comincia a reggere, la fiducia ritorna; siamo agli inizi, occorre avere coraggio, affrontare la riforma della finanza dello stato, quella dei comuni e delle provincie, i cui progetti sono pronti, e insistere di fronte a tutti sulla tesi delle economie sino alle forme più audaci e più estreme, perché ogni sacrificio è giustificato per assicurare la vita alla collettività stessa di cui lo stato è organo e sintesi. Ma non vi potrà essere salda finanza se non vi è una politica interna forte che rimetta in primo piano la osservanza delle leggi, il rispetto all’autorità dello stato, la saldezza delle istituzioni, la sicurezza della economia privata, la garanzia del diritto. A ciò contribuisce sicuramente la fiducia generale che la crisi economica venga superata. Questo terzo elemento è dato principalmente dalla politica estera che investe, nel suo com¬plesso, i più gravi problemi dell’esistenza e dello sviluppo della nostra vita nazionale. È una vecchia tradizione del nostro regno che la politica estera sia subordinata alla politica interna; in¬vece, se subordinazione vi dovesse essere, sarebbe al contrario. La politica estera è e deve essere basata sulle ragioni economiche, morali e storiche del nostro paese; paese di emigrazione, abbiamo il dovere di fare una politica di valorizzazione dei nostri connazionali all’estero, di migliorare i nostri rapporti commerciali, di crearci una sfera di simpatie nel campo della economia, di stabilire quelle garanzie che valgano a rendere meno soggetta la nostra politica a gruppi finanziari e a stati egemonici. La politica del piede in due staffe, della amicizia da un lato e dell’alleanza dall’altro, dei protocolli che affermano e negano, dell’altruismo paesano che tradisce una debolezza e dell’infingimento che tende a far credere al successo, ormai è una politica sfruttata e assurda. Certo, le soluzioni avute nella politica estera da Vittorio Veneto ad oggi non sono in armonia coi nostri diritti, coi nostri interessi, con la nostra posizione futura. Tutta la serie dei trattati fino a quello di Rapallo segnano degli strappi; oggi però bisogna essere realisti e prendere quel che esiste ai nostri riguardi come punto di partenza per l’avvenire. Noi abbiamo bisogno di esportare mano d’opera e di importare materie prime; noi dobbiamo volgere le nostre attività verso Oriente; noi dobbiamo riprendere il nostro posto nel Mediterraneo. È una politica: farla o non farla; con serietà, con antiveggenza, creando una storia, uomini adatti, mezzi congrui. La politica estera è la più difficile per noi, per la posizione stessa della nostra patria, per il gioco degli interessi delle nazioni egemoniche, per la tradizione stessa della nostra politica e per la povertà economica che ci fa forzatamente tributari all’estero. In questo punto debole della nostra posizione nazionale, debbono convergere gli sforzi degli studiosi e degli uomini politici, su¬perando quella indifferenza ai problemi di politica estera, che per gran tempo ha segnato la caratteristica della nostra educazione nella vita pubblica.

Parlamento e politica

401995
Luigi Sturzo 1 occorrenze

Dobbiamo convenire che pur avendo passato tale periodo di sconquasso, a riguardarlo bene abbiamo noi stessi la impressione che ancora incomba il pericolo. Oggi la finanza statale è migliorata, il bilancio comincia a reggere, la fiducia ritorna; siamo agli inizi, occorre avere coraggio, affrontare la riforma della finanza dello stato, quella dei comuni e delle provincie, i cui progetti sono pronti, e insistere di fronte a tutti sulla tesi delle economie sino alle forme più audaci e più estreme, perché ogni sacrificio è giustificato per assicurare la vita alla collettività stessa di cui lo stato è organo e sintesi. Ma non vi potrà essere salda finanza se non vi è una politica interna forte che rimetta in primo piano la osservanza delle leggi, il rispetto all’autorità dello stato, la saldezza delle istituzioni, la sicurezza della economia privata, la garanzia del diritto. A ciò contribuisce sicuramente la fiducia generale che la crisi economica venga superata. Questo terzo elemento è dato principalmente dalla politica estera che investe, nel suo com¬plesso, i più gravi problemi dell’esistenza e dello sviluppo della nostra vita nazionale. È una vecchia tradizione del nostro regno che la politica estera sia subordinata alla politica interna; in¬vece, se subordinazione vi dovesse essere, sarebbe al contrario. La politica estera è e deve essere basata sulle ragioni economiche, morali e storiche del nostro paese; paese di emigrazione, abbiamo il dovere di fare una politica di valorizzazione dei nostri connazionali all’estero, di migliorare i nostri rapporti commerciali, di crearci una sfera di simpatie nel campo della economia, di stabilire quelle garanzie che valgano a rendere meno soggetta la nostra politica a gruppi finanziari e a stati egemonici. La politica del piede in due staffe, della amicizia da un lato e dell’alleanza dall’altro, dei protocolli che affermano e negano, dell’altruismo paesano che tradisce una debolezza e dell’infingimento che tende a far credere al successo, ormai è una politica sfruttata e assurda. Certo, le soluzioni avute nella politica estera da Vittorio Veneto ad oggi non sono in armonia coi nostri diritti, coi nostri interessi, con la nostra posizione futura. Tutta la serie dei trattati fino a quello di Rapallo segnano degli strappi; oggi però bisogna essere realisti e prendere quel che esiste ai nostri riguardi come punto di partenza per l’avvenire. Noi abbiamo bisogno di esportare mano d’opera e di importare materie prime; noi dobbiamo volgere le nostre attività verso Oriente; noi dobbiamo riprendere il nostro posto nel Mediterraneo. È una politica: farla o non farla; con serietà, con antiveggenza, creando una storia, uomini adatti, mezzi congrui. La politica estera è la più difficile per noi, per la posizione stessa della nostra patria, per il gioco degli interessi delle nazioni egemoniche, per la tradizione stessa della nostra politica e per la povertà economica che ci fa forzatamente tributari all’estero. In questo punto debole della nostra posizione nazionale, debbono convergere gli sforzi degli studiosi e degli uomini politici, su¬perando quella indifferenza ai problemi di politica estera, che per gran tempo ha segnato la caratteristica della nostra educazione nella vita pubblica.