Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandona

Numero di risultati: 56 in 2 pagine

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Come devo comportarmi?

172334
Anna Vertua Gentile 4 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Quanto più l'anima si affina e tanto più addentro sente le naturali bellezze, alla cui dolcezza si abbandona.

Pagina 160

Non si abbandona mai a lodare sè stesso quando anche ne avesse qualche diritto. La vanità è cosa tanto comune e il merito tanto raro, che uno il quale anche indirettamente si loda, si fa credere che abbia parlato solo per vanità, e viene tacciato di millanteria. Difficilmente scopre mancanze o difetti, ma spesso si entusiasma alle altrui abilità e virtù. Non giudica mai. Delle persone e delle cose vede solamente il lato buono. Non sparla mai della gente nè si permette che altri lo faccia in sua presenza. Ha per la donna un tenero rispetto. Quando c'è lui, nessuno osa offenderla con volgarità, insinuazioni, motti piccanti Con l'esempio ed il contegno impedisce che in sua presenza si taglino i panni a dosso alla signora tale e alla tal'altra assenti. Nella donna egli rispetta la memoria della madre, la innocenza della sorella, la virtù della sposa. Per lui la donna è la parte eletta dell'umanità; la compagna gentile e affettuosa, educatrice assennata, la grazia che addolcisce la forza, il conforto nel dolore, l'aiuto valido e sicuro nelle disgrazie. Non l'offende con complimenti esagerati che dicono la poca stima della sua intelligenza; non la vagheggia con la stupida assiduità di uno che si prefigge di vincere una debolezza; non la tratta come una cosa bella e futile che si cerca di conquistare con l'arte delle sdolcinature e delle moire. Il timore di urtare la sua delicatezza, lo tiene sempre all'erta; dà alla sua voce un tono gentile e carezzevole, alle sue parole l'impronta del rispetto sincero. Non lusinga mai la vanità delle fanciulle, nè tenta di far entrare nei loro ingenui cuori, delle speranze irrealizzabili. La triste gloria di destare un sentimento in un'anima innocente, egli la considera come colpa grave e la, biasima acerbamente negli altri. In qualunque luogo si trovi, il gentiluomo mostra il rispetto che sente verso la donna. Le lascia sempre la destra lungo la via; nei trams si vergognerebbe di star seduto mentre una donna dovesse star ritta per mancanza di posto. Nei carrozzoni del treno le cede il posto d'angolo e non si permette la confidenza d'interrogarla curiosamente. Se il carrozzone è per i fumatori, prima di accendere il sigaro chiede il permesso alla signora o alle signore che fossero con lui. Apre e chiude i vetri quando ne mostrano desiderio, le aiuta a scendere, a salire, a mettere al posto borse e pacchi. Per la strada, se incontra una signora o una signorina, che conosce, le saluta con cortesia e rispetto, facendo di cappello. Questo nostro uso, che gli uomini debbono salutare per i primi le signore, a me pare un abuso di libertà. . Non dovrebbero forse essere le donne le prime a salutare invitando quasi l'uomo a rispondere?... Andando in un salotto ove sieno molte persone radunate, va direttamente a inchinarsi con garbo dignitoso davanti alla padrona di casa, e le stringe la mano, se gli viene offerta. Ora torna di moda il baciare la mano alle signore; moda gentile e ossequiosa che alla donna educata piace sempre. Poi con un inchino, saluta tutti gli altri e siede a un posto qualunque. In quanto al tenere i guanti o no, o lasciare il cappello in anticamera, come si usa adesso, o a reggerlo in mano, o salutare piegando il busto e il capo, o solamente il capo, o baciare la mano delle signore, o stringerla solamente, sono rose, che, siccome vanno soggette a cambiamenti, il gentiluomo fa secondo l'usanza del momento. Al ballo, il giovine gentiluomo si guarda bene di invitare una signorina, senza prima farsi presentare a lei stessa e a chi l'accompagna. E finito il ballo la riconduce tosto al suo posto presso la mamma o ad altri che ne facessero le veci, inchinandosele dinanzi rispettosamente e ringraziandola prima di lasciarla. Il giovine gentiluomo sa che è sconveniente fermare una signora lungo la via, per chiederle della sua salute o altro; e che è addirittura ineducato e imprudente fermare una signorina che sia sola. Nell'un caso e nell'altro, saluterà con atto rispettosissimo, per mostrare a chi vede, la sua deferenza per la signora e la signorina, che vanno in giro sole, sicure di sè stesse e della stima di chi le conosce.

Pagina 176

Il viaggiatore, che abbandona precariamente il suo posto nella carrozza, ha diritto di occuparlo di nuovo purchè vi abbia lasciato un oggetto qualunque. Le armi da fuoco non si possono introdurre nelle carrozze se prima non venga riconosciuto che siano scaricate. I cani piccoli si possono portare con se, col patto però che stiano sulle ginocchia del padrone e che i viaggiatori consentano.

Pagina 193

Il gentiluomo non abbandona al disordine dello studiolo o della scrivania, le lettere che riceve; ma le chiude gelosarnente o pure le distrugge. Come si parla imprudentemente, cosi qualche volta si scrive imprudentemente. Ci sono delle creature deboli, dagli scatti invincibili del sentimento, che cedono all'emozione del momento e trovano un conforto nel disfogarsi dicendo l'animo loro in una lettera a persona che amano e della quale hanno piena fiducia. Quelle lettere il più delle volte innocenti, se smarrite o lette da curiosi, possono essere causa di guai e do: lori a non finirne. Il gentiluomo ne ha cura come di cosa sacra; o pure le brucia, appunto come si bruciano le cose che non devono cadere in mano degli indifferenti o dei profani. Il gentiluomo non apre che le lettere dirette a' suoi figli quando ancora sono di minore età; dopo, no. Le lettere dirette alla moglie non le apre mai nè le legge se le trova aperte, senza il di lei invito o consenso.

Pagina 200

Enrichetto. Ossia il galateo del fanciullo

179186
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 1871
  • G.B. PARAVIA E COMP.
  • Roma, Firenze, Torino, Milano
  • paraletteratura-galateo
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Pure essa non si sgomentò della vita; piena di confidenza in Dio, che non abbandona le sue creature, si pose al lavoro con serena rassegnazione. Appigionatasi una soffitta, vi cuciva tutto il dì, e qualche volta eziandio la notte, camicie per conto di un grosso negoziante;e come non era nè ghiottona, nè ambiziosa, del guadagno ne aveva d' avanzo; e così potè formarsi una certa agiatezza intorno a sè. Cresciuta alla scuola del dolore, aveva cuore per tutte le tristezze della vita, onde la sua soffitta era il ricapito di tutte quelle famiglie, che abitavano lì presso; e della miseria lassù ve n'era da impietosire le bestie! Famiglie cariche di ragazzi viventi sulle braccia del padre o della madre; infermi senza modo di sussistenza; donne abbandonate senza pane da' mariti giuocatori e scioperati! eran lacrime in tutte quelle case! Ma la Bettina s'adoperava per renderle meno amare; teneva d'occhio i ragazzi di questa, che andava a opera tutta la giornata; portava un po' di brodo a quella, una minestra a quest'altra, e per tutto una parola di conforto; pareva l'angelo tutelare di quelle soffitte. Quando, poveretta, cadde essa malata! Era sola, nessuno poteva badare a lei, nessuno accenderle un po' di fuoco; onde voleva farsi portare all'ospedale. Ma i vicini: o che! Noi non siam buoni da nulla noi? O sì che vogliamo veder questa, lasciarci portar via di qui il nostro buon genio! Che volete andar a confondervi in un ospizio? là in mezzo a tutti quei letti siete di nessuno! E tutta quella buona gente si divise le cure e non le si lasciò mancar nulla. Era cosa che consolava l'animo veder quella donna, che non aveva più nessuno al mondo, fatta oggetto di tante premure! Enrichetto, chè egli era il medico fatto chiamare, in quella soffitta si sentiva come in un ambiente caldo di amore, e n'era riconfortato. Ogni volta che volgeva qualche parola di lode alle assistenti, si sentiva rispondere: o che, la Bettina faceva ben più per noi; se non fosse di lei tanti e tanti non potrebbero più tirar innanzi; la si pensi che ella era capace di passare le intere notti a' nostri letti; e i suoi guadagni dove se ne andavano? Essa avrebbe potuto far la signora, e ora non ha manco un soldo; tutto consumato in queste soffitte a nostro vantaggio. Proprio sotto la stanza di Bettina, come se Dio avesse voluto mettere a riscontro il buono e il cattivo cuore, cadde malato, quasi nello stesso tempo, un uomo, conosciuto col nomignolo di Raffa. Posto sotto la cura de' poveri, Enrichetto l'andò a visitare. Che differenza dalla ordinata, pulita e tiepida cameretta della Bettina! Una stanzaccia senza mobili, da una tavola sdruscita in fuori e un lettuccio di legno tarlato; le pareti nude e sgretolate, senza fuoco acceso e senza legna per accenderlo; si sentiva un ambiente freddo, uggioso, opprimente. Il medico s' accostò al letto, e sur un guanciale sudicio e mal disposto vide una testa calva, del color dell'avorio ingiallito dal tempo, due occhietti grigiognoli, spenti, sprofondati in occhiaie cave del color del piombo; i zigomi sporgenti davano una conformità alla faccia come se l'avarizia vi avesse impresso su il suo ritratto; e veramente del color del rame ne era la pelle tirata sugli ossi, che si potevan contare. Nessuno intorno al letto, la portinaia che l'aveva accompagnato era subito scomparsa; onde Enrichetto, mosso a pietà, veniva interrogando l'infermo, il quale con voce fioca e stenta esclamava: brutta cosa la miseria; tutti s'allontanano! Il medico lo confortò, e visto che il male non era prodotto che da mancamento di cibo e da prostrazione di forze, gli fece coraggio e cercò di aiutarlo come meglio sapeva. Andò di sopra e si volse ad una di quelle donne che vide tanto caritatevole verso la Bettina, e la pregò a voler anche dar un'occhiata a quell'infelice di Raffa. — A chi, rispose quella con sdegno mal represso, a quel brutto mostro d'usuraio, che, ricco sfondato, lascia morir di fame i suoi parenti, nè farebbe limosina d'un soldo se fosse per morire? A queste parole restò meravigliato Enrichetto, e più ancora quando venne a sapere come quel miserabile dal nulla, a forza di usure e di ruberie, fosse venuto ad ammassare un ricchissimo capitale. — E con tanti denari, continuava la donna, cada il mondo, non spende un soldo; vive di radiche d'erbe e pan muffito. Aveva preso con sè una nipotina perchè gli governasse la casa, ma perché mangiava troppo, subito la rimandò. Non vuol veder nessuno intorno a sè, sospettoso, malfidente se v'e n'è uno. La Bettina quanto aveva era nostro, seguitava essa, ci aiutava, ci vuol un bene a tutti.... è giusto che non la dimentichiamo nemmeno lei, ma quello lì non che aiutarci,ci avrebbe spogliato di questi pochi cenci che abbiamo attorno! È malato, nessuno l'accudisce? Dio è giusto, viva nel deserto che s' è fatto intorno a sè. Che ne seguì? Bettina dopo poco fu pienamente ristabilita in salute; Raffa, a cui nulla potevano giovare le prescrizioni del medico, perchè per non spendere non n'eseguiva alcuna, poco appresso morì. Nessuno lo pianse, nessuno ebbe una parola di compassione per lui. I denari, gli osservava Enrichetto per spingerlo a servirsene, non sono beni, ma solo rappresentanti de' beni, sono non il fine, ma il mezzo e lo stromento per soddisfare a' nostri bisogni; ma era un dir a sordo. I nipoti colla più schietta allegria, ne fecero i funerali, e l'oro con tanti stenti accumulato, in breve sfumò. È il caso di riferire il detto del Vangelo: male parta male dilabuntur; che si può tradurre nel volgare proverbio:La farina del diavolo va tutta in crusca, od anche in quest'altro: Quel che vien di ruffa raffa, se ne va di buffa in baffa.

Pagina 81

Si fa non si fa. Le regole del galateo 2.0

180294
Barbara Ronchi della Rocca 1 occorrenze
  • 2013
  • Vallardi
  • Milano
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La persona garbata del Terzo Millennnio non è (tanto) chi sa usare la forchetta per ostriche, ma chi non ha paura dei cambiamenti, non si abbandona alla pigrizia del: «Ho sempre fatto così», e nei rapporti umani e sociali si propone di non ferire la sensibilità altrui, non ostentare nulla, non essere intrusiva. Perché l'attenzione verso il nostro prossimo non è solo formalità, ma sostanza: cerchiamo di averne un po' di più, e la nostra quotidianità sarà senz'altro migliore. Conoscere le buone maniere e saperle usare nei momenti opportuni fa anche bene all'autostima, perché aiuta a sentirsi sicuri di sé, affrancati dall'angoscia del: «Che cosa posso dire?», «Come devo comportarmi?», «Sarò vestito/a in modo adatto?» Senza contare che solo conoscendo le regole, e applicandole abitualmente, possiamo comprendere il raffinato piacere di infrangerle ogni tanto, di goderci qualche trasgressione, magari con la complicità degli amici o del partner... Ecco allora regole, consigli, modi e atteggiamenti per stare bene con gli altri (e fare bella figura, il che non guasta) da seguire tutti i giorni, feriali e festivi - non esiste una buona ragione (e un momento giusto) per essere maleducati! - tutto il contrario del cosiddetto «bon ton», stile di facciata, fatto di maniere apparentemente perfette e di sostanza pessima. L'eleganza non è una moda, ma è un modo di essere (e di agire) non alla leggera, ma con leggerezza, per non cadere nel ridicolo dell'affettazione e della leziosità. È vera buona educazione, che viene dal cuore, e rifiuta la retorica della naturalezza a tutti i costi, o della volgarità come espressione di libertà; perché non è vero che ogni forma di self- control sia una censura. Tanto più che gli esempi sono sotto gli occhi di tutti, dal momento che in questi anni di predominio quasi incontrastato, i maleducati non hanno dato buona prova di sé: li vediamo ripetitivi, prevedibili, a lungo andare noiosi. E non certo più felici. Perché le buone maniere sono una forma superiore di intelligenza. E infatti «le persone intelligenti sono sempre gentili»: lo diceva Jean-Paul Sartre.

Il Galateo

181163
Brunella Gasperini 1 occorrenze
  • 1912
  • Baldini e Castoldi s.r.l.
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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E molto irritante per i giocatori «seri» è il tipo che, appena guarda le sue carte, comincia a borbottare cupamente sulla propria sfortuna, oppure si abbandona a ghigni satanici che preannunciano agli avversari una fine atroce; o peggio comincia a fare divinazioni sulle carte dell'avversario, basandosi sulle espressioni della sua faccia («Guarda guarda, garantito che gli è entrata la scala»). Ma su, siamo tra amici: tolleriamo. Le serate miste. Chiamiamo così le serate in cui parte degli invitati giocano e parte fanno altre cose. Chi non gioca non si fermi alle spalle dei giocatori a osservare le loro carte: o, se lo fa, non commenti, non ridacchi, non faccia cenni: stia fermo e zitto. Chi gioca non dia segni di impazienza se qualcuno si ferma vicino al tavolo («mi mena gramo») o se il gruppo dei non giocanti, conversando, ballando, disturba la sua concentrazione. E ancora: per quanto amanti delle carte siate, non assillate il prossimo. Non fate come quei tipi che, mentre gli altri si divertono in altro modo, stanno lì sulle spine in attesa di cominciare a giocare, si affannano a cercare compagni che non gli danno retta, sgomberano inopinatamente un tavolo, tirano fuori le carte e ci giocherellano da soli con aria nervosa, facendo passare la voglia di giocare anche a chi magari ce l'aveva. Se siete giocatori seri: - Non prendete in mano le carte prima che il mazziere abbia finito di distribuirle (ma anche se lo fate non casca il mondo). - Non tenete le carte a grappolo, a piramide, pericolanti l'una sull'altra; non tenetele sotto al tavolo, né strette al seno guardando con sospetto i vicini. - Non ritirate una carta dopo averla giocata. - Quando mescolate, fatelo sobriamente, senza prodezze spettacolari alla Danny Kaye. - Quando distribuite le carte, non fatele planare come aeroplani, non lanciatele come siluri, non buttatele a mucchietti, non seguite criteri fantasiosi; distribuitele con ordine e misura, facendole scivolare leggermente sul tavolo, una per una, da sinistra a destra o da destra a sinistra (a seconda del gioco). - Non fate segni, tossettine, ammicchi. - Non sbirciate le carte altrui. - Non fate scongiuri, non girate intorno alla sedia per esorcismo: sono scherzi troppo vecchi (e se non sono scherzi, peggio). - Non chiedete di cambiar posto perché la vostra sedia vi mena gramo. Anche se «non» siete giocatori seri: - Non maltrattate e non sporcate le carte. - Non bagnatevi il dito (orrore) per farle scorrere. - Non proponete mai di smettere mentre state vincendo. - Non rifiutate mai la rivincita; ma se state perdendo, non cercate di rifarvi a tutti i costi, costringendo gli altri a giocare fino all'alba.

Pagina 95

Il tesoro

181852
Vanna Piccini 1 occorrenze
  • 1951
  • Cavallotti editori
  • Milano
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Avere in essa una fiducia che rasenta il feticismo, e nessuna nelle proprie forze di reazione al male, per cui ci si abbandona solo alla virtù dei farmachi, nemmeno i medici lo ammettono, anzi sono essi che fanno conto sulle energie e la buona volontà dei pazienti di vincere, lottando animosamente finchè possono. Dal medico si vada dunque sereni e fiduciosi, senza attendere che il male assuma forme inquietanti; non si esageri nell'esporre il proprio caso, e ci si dimostri sinceri con lui, chiari e precisi, mettendo da parte quell'indeterminatezza che è caratteristica di chi non sta perfettamente bene. Tutta la verità si deve dire, anche se penosa. Da parte della donna i falsi pudori sono quanto mai condannabili; del resto se una signorina si farà accompagnare dalla madre, una signora andrà dal medico accompagnata dal marito e la visita avverrà alla presenza, rispettivamente, o dell'una o dell'altro. Se il marito è assente, o impossibilitato per qualunque ragione, la signora sceglierà a compagna una donna. Quando la cura si prolunga, bisogna essere discreti e non attaccarsi al telefono per i più trascurabili disturbi, esigendo magari che il medico corra come se si fosse in fin di vita, mentre invece non c'è alcun bisogno della sua presenza. Si seguano le prescrizioni di buona grazia, con intelligenza e quando si ha bisogno dell'uomo della scienza per i nostri figlioli o per i familiari si sia scrupolosi nell'osservanza di ogni indicazione, e ci si mantenga calmi, creando intorno al malato un'atmosfera di tranquillità e di fiducia. Il medico che mette al servizio del proprio cliente il suo sapere e la sua esperienza va trattato con ogni deferenza, e se un consulto si rende necessario, d'accordo con lui si definiscono le modalità per il consulto stesso, come d'uso. La donna che sente l'animo aprirsi alla speranza di una maternità, non esita ai primi sintomi di consultarsi con una brava ostetrica, e per la scelta si farà guidare da qualche amica che abbia la propria specialista di fiducia. Raccolto il responso positivo, e non avvertendo alcun fenomeno inquietante, si lascerà guidare dai consigli dell' ostetrica stessa, quando non voglia per maggior prudenza, d'accordo col marito, consultare un professore specializzato. Così dicasi per ogni cura di spettanza della scienza ostetrica.

Pagina 565

L'angelo in famiglia

182590
Albini Crosta Maddalena 7 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
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L'animo tuo è franco e leale, non ha veduto che sui libri certe storie dolorose; non conosce quegli amari disinganni che lo invecchiano anzi tempo, e si abbandona facilmente alla confidenza ed all'affetto; l'animo tuo ardente si esalta volontieri alla vista di un atto eroico, di una buona azione, non è proclive a bassi sentimenti, ed è solo effetto di una perversa educazione, se taluna fra le giovinette cede alle lusinghe dell'interesse, dell'invidia... No, non sia mai detto di te che la tua giovinezza sia turbata da questi, i quali, difetti in uomo maturo, sarebbero in te una vera enormità; lascia che il tuo cuore vergine e buono, come il giglio del campo, ami il monte e la valle, e non cerchi l'aria impura e colata di quella società che tutto guasta col suo tocco. Lascia che il tuo cuore si slanci in cerca del bello e del buono, nei campi della terra e del cielo, e sostienlo affinchè non ceda alle seduzioni che da ogni parte lo tentano, lo turbano, cercano di corromperlo. Tu mi dici, ed è vero, non essere in tuo potere cambiare la tua condizione, il tuo posto, poichè dove sei, ti convien stare; ma dimmi, il tuo cuore è, o non è tuo? Tu sei forzata di vivere in una società corrotta e corruttrice; ma se non fosse per l'unico importantissimo scopo di tenerti incolume dalla corruttela che ti circonda, dimmi perchè impiegherei io il mio tempo, i miei studj, i miei affetti per te che non conosco, 9 che non vedrò mai, che dal tuo labbro non sentirò mai un grazie? Oh! perdona, perdona l'amara parola che mi ha strappato dal cuore lo spavento del tuo presente, del tuo avvenire. Sì, perdona, perdona; io non aspiro a godere del vantaggio di cui mi potrebbe esser larga l'amicizia dei tuoi verd'anni, nè cerco a te riconoscenza e gratitudine: quello che ti do non è mio, è unicamente dono del nostro Padre comune, di Colui che vuole io ti ami e ti comunichi quanto Egli m'inspira... Perdona, perdona; ma per pietà del tuo bene, del bene della tua famiglia, della quale puoi e devi essere l'angelo della protezione e della pace; per pietà del bene dei tuoi genitori, di tutti i tuoi cari; per pietà delle anime redente collo spargimento di tutto il Sangue di un Dio; per pietà, poni in guardia il tuo cuore e non lasciare che al contatto della società si guasti, si corrompa. Il dolcissimo S. Francesco di Sales dice che come si salvano le frutta col confettarle collo zucchero, così possiamo salvare il nostro cuore confettandolo collo spirito di pietà, e nella convinzione che la parola dei santi è germe inesauribile di santità, io non ho saputo nè voluto tacere questo paragone semplice ma sublime, che a noi dettava quell'anima santa e straordinariamente amabile e soave. Sì, confettalo il tuo cuore colla pietà, circondalo con una forte corazza di amore e timor santo di Dio; ed anzichè imbrattarsi della bruttura che tenta investirlo, emanerà da lui tale un profumo di soavità e di virtù atto a purificare tutto quanto lo avvicina. Dunque non mi dir più se potessi; di' piuttosto se volessi, poichè tutto noi possiamo di bene in Dio, il quale (è di fede), ove non bastassero gli ajuti comuni, ce ne manderebbe anche degli straordinarj, e perfino ci manderebbe dei miracoli ove fossero necessarj alla nostra eterna salute. Se tu ed io non facciamo il bene, non dobbiamo incolparne nè le persone che ci avvicinano, nè le circostanze; ma noi stesse che abbiamo preso da esse senza riguardo invece del bene, il male. Che ne diresti tu s'io mi ponessi a giuocare con un coltello, e lo tenessi stretto fra le mani, e tagliandomi mi lagnassi poi del coltello? Tu mi diresti:Stordita! lo meriti; se ti sei tagliata è segno che ti volevi tagliare. Ma qui vedo che, quasi senz'accorgercene, rasentiamo l'argomento del quale ti voglio intrattener domani: Le occasioni di peccato. Per oggi mi limiterò a rinnovarti le mie proteste e le mie raccomandazioni; a dirti che i tuoi vent' anni sono il sorriso della vita perchè ne sono il mattino; ma deh! faccia Iddio che il tuo mattino sia rallegrato da un sole splendido, da un sole che maturi in te il germe che abbondante ti ha versato in seno la Provvidenza, affinchè per un lungo volger d'anni questo germe frutti copioso ed eletto frumento ad alimento, a conforto, a premio dell'anima tua e dell'altrui. Che se, ciò non sia mai, che se tu lasciassi appestare la tua giovinezza dal turbinío delle passioni e dall'infingardaggine, non tarderesti a trovare in te stessa i segni tutti di una vecchiezza precoce, di una vecchiezza che non voluta da Dio, ti avvizzirebbe il cuore e ti renderebbe incapace d'ogni buona azione, cupida, egoista, sospettosa... Queste le sono cose pur troppo vere sì, ma non per te, figlia mia; no, non per te che senti il bene, che lo vuoi! Tu, sì, io tel prometto, tu anzichè invecchiare innanzi tempo, conserverai la tua giovinezza fino ad un'età molto avanzata; e quando la tua fronte sarà increspata, le tue mani rugose ed il tuo corpo curvato sotto il peso degli anni, il tuo cuore sarà tuttavia giovane, pronto agli affetti ed alla carità; il tuo occhio brillerà d'una gajezza capace a trasfondersi in colui sul quale si ferma, ed anzichè di peso, la tua persona cadente e la tua compagnia saranno il punto della famiglia nel quale tutti gli affetti si concentrano, si raddoppiano, si migliorano. Allorchè io vedo la serenità, la pace che respira e traspira la vecchia mia madre, il cuore mi batte più forte, mi si bagna il ciglio e dico: Dio mio! sei grande; il tempo e la bufera non hanno scosso il tuo edificio! Madre del Cielo, Maria Santissima, custodisci sempre sotto il tuo manto la madre che mi ha dato la vita del tempo, perchè mi guadagnassi quella dell'eternità! Tu la proteggi ognora dalle insidie del nemico, e le ottieni dal tuo divin Figlio largo premio alle sue lunghe privazioni, al suo grande amore, ai suoi eroici sacrifici. Giovinetta cara, anche adesso ti dovrei chieder perdono, perchè t'ho intrattenuta di me... Ma il pensiero di una madre, come la mia, m'ha siffattamente investita che non ho potuto rifiutarmi un piccolo sfogo, come non posso rifiutarmi dal pregarti di raccomandarla a Dio. Se tu hai la grande ventura di avere come me una madre nella quale rifulge una perpetua giovinezza, ringraziane il Signore, cerca di ricopiarne tutto il bene; ma deh! l'amor tenerissimo filiale non ti trasporti a ricopiarne anche i difetti. No, sarebbe un insulto alla madre tua, la quale se non ha potuto essere perfetta come il Padre tuo che è nei cieli, ti ha però dato esempio di quanto possa fare un cuore che ama teneramente e tenacemente il bene. Iddio non t'avrebbe posto in cuore un tesoro di affetti, non ti avrebbe dato tanti mezzi di salute e la mia stessa povera parola, se non ti volesse pia, buona, santa. Dunque non dir più se potessi!; ma con tutta la forza della tua volontà entra coraggiosa nel cammino della vita, pronta a fare tutto il bene che ti sarà possibile. Dio t'ajuti!

Pagina 125

Ma se penserai per tempo a prepararti alla vita che ti attende, la tua quiete e il tuo sonno non saranno turbati neanche allora, poichè chi ha coscienza del proprio dovere, e lo compie puntualmente, riposa tranquillo, e si abbandona con fiducia alla Provvidenza. Vi sono altre damigelle le quali credono che il tempo che precede il loro collocamento sia destinato quasi unicamente ai passatempi, ai divertimenti, e intanto sono intolleranti di ogni soggezione, pretendono non di obbedire, ma di essere obbedite, e non ne vogliono sapere di lavorare e di faticare. E chi non vede quanto una signorina che si regola in tal modo sia decisamente nella falsa via? Se l'anima nostra ha bisogno essa pure del suo alimento, se questo insieme di anima e di corpo ha i suoi doveri, e dimmi chi ci abilita a dispensarcene per un certo tempo, chi ci dà il diritto di sciupare gli anni più belli della nostra vita? Oh! amica mia, nella tua età, l'anima tua ha bisogno di essere lavorata, educata, perfezionata; poichè come la vite, che manda fuori in primavera rigogliosi i suoi tralci, promette inutilmente frutti dolci ed abbondanti in una stagione futura, se l'agricoltore non le sta intorno a lavorarla, a legarla, a puntellarla; la tua esistenza così promettente in adesso, così fiorente, rimarrebbe arida e sterile, giunto il tempo di coglierne i frutti, se tu non la coltivassi fin d'ora. Se adesso ti dai a godere a corpo perduto di tutto quanto ti si presenta, credi tu che il tuo cuore e l'istesso tuo corpo non invecchieranno anzi tempo, e che non tarderà molto e ti accorgerai d'aver varcata la giovinezza in quell'età nella quale altri ne sono nel fiore? Per me è uno spettacolo lagrimevole il vedere una donzella che tocca appena, o di poco ha trascorso i vent'anni, portare impressi tutti i segni della noja sul volto e nel portamento; e la mia compassione aumenta a mille doppj allorchè la sento parlare di disinganno e di mondo cattivo, con un accento che dimostra un'esperienza precoce degli uomini e delle cose; esperienza tutt' altro che necessaria, anzi nociva che le fa raggrinzare sì presto quella fronte che aveva diritto di non corrugarsi, e di conservare ancora lungamente la sua serenità. Per carità, amica mia, per carità, guardati dal diventar vecchia essendo tuttavia giovane di anni. Conserva gelosamente l'ingenuità del tuo cuore, la semplicità delle tue abitudini, se non vuoi trovarti in quel campo nero e triste che ti vanno dipingendo i pessimisti, e che è nero e triste solo per chi lo vuole. Essi, vedi, non sanno più godere delle gioje vere, perchè, come coloro che per l'abuso dei liquori hanno alterato il gusto e non sentono più il sapore delle vivande delicate e neppure del vino generoso; essi hanno bisogno per elettrizzarsi di piaceri troppo sensibili, ma niente invidiabili; di commozioni febbrili, di quei piaceri e di quelle commozioni che io auguro ti restino sempre stranieri. L'aspetto della natura non produce più in essi alcuna impressione; quell' aspetto istesso che all'animo tuo semplice e buono è sorgente inesauribile di gioja e delle più soavi sensazioni, è muto per essi. E perchè vi sono taluni i quali mantengono nei loro vecchi anni quella sensibilità delicata che ci pare ed infatti è una prerogativa delle anime vergini? Oh! perchè essi non hanno appressato mai le labbra alla tazza dei gaudenti del secolo, perchè l'hanno respinta lungi da sè, e avvicinando il mondo solo quel tanto di cui era loro impossibile far a meno, non ne hanno ricevuti quei dolori e quei disinganni coi quali egli paga coloro che ne amano il contatto. Ma se in tutte le età è bene vivere più che si può liberi e svincolati dai piaceri mondani, questo diventa un dovere più stretto in una damigella, la quale come il volto deve mantenere fresco il cuore, e non lasciarlo avvizzire da verun alito profano. Io non intendo no che essa passi i giorni e le notti in continua meditazione, e conduca vita penitente come la Maddalena nel deserto; no, l'ho già detto, io ammiro tutte le vocazioni quando sono buone e vere; ma sono ben lungi dal consigliare alla generalità quanto può essere consigliato soltanto ad alcune anime privilegiate, le quali hanno inteso la voce dello Sposo che le chiama a servire Lui solo per tutta la loro vita. Beate quelle anime! io le ammiro e le invidio! Ma io e tu siamo chiamate da Dio a percorrere la via ordinaria, siamo però chiamate a percorrerla rettamente e santamente: guai a noi se dopo d'aver ricevuto tanti doni e tanti lumi da Dio deviamo dal sentiero del bene e della virtù!... Mia cara, non credere ch'io ti voglia sacrificare all'isolamento e alla tristezza, poichè anzi desidero e voglio come S. Filippo Neri vederti sempre allegra e contenta. Divertiti, divertiti pure; ma il divertimento per te sia uno svago dopo il lavoro, non l'occupazione speciale della tua vita; sì divertiti, divertiti pure, ma non dei divertimenti mondani, chiassosi, colpevoli; ti piaccia godere nella conversazione dei tuoi famigliari, e nelle festicciole che si danno in casa tua. Ti dirò anche di più: promovi tu pure, ove nol vietino circostanze speciali, promovi tu pure o in casa tua o delle tue parenti od amiche ritrovi piacevoli, qualche merenda, perfino qualche recita; e vedrai che questi semplici piaceri saranno più cari al tuo cuore di quelle feste grandiose e turbolente che ti fanno tanta gola perchè le vedi da lontano. Oh! quelle feste, credilo, sono più che mai spinose, strapperebbero dalla tua fronte quel fiore che tanto l'adorna, la cara ingenuità, e pianterebbero nel tuo cuore quell'acuta spina che ahimè! lo farebbe forse sanguinare fino all'ultimo anelito! 18 Non basta però conservare gli anni della giovinezza ugualmente lontani dalla tristezza e dalle folli gioje; bisogna altresì seminarli di buone azioni, e soprattutto immergerli in un bagno di pace e di soavità. Dove si trova questo bagno? Oh! vieni, vieni qui vicino al mio cuore, affinchè io ti mostri l'immagine della Madre nostra, te la presenti a modello, e ti persuaderai agevolmente che imitando la Vergine santa, e adempiendo fedelmente i tuoi doveri, gli anni tuoi correranno sereni; e come la rosa apre olezzanti i suoi petali alla rugiada mattutina, e dal sole e dalla luce prende i suoi vaghi colori, così gli anni tuoi giovanili saranno imperlati e tinti dalla rugiada celeste e dai raggi dell'eterna luce. Ti ho detto in principio: bisogna prepararsi alla vita che ti attende, bisogna prepararsi senza perdere il tempo in inutili vaneggiamenti, anzi non solo inutili ma sommamente perniciosi all'anima; ora soggiungo: bisogna prepararsi all'adempimento dei doveri più gravi di padrona e di madre col perfetto adempimento dei doveri meno gravi di soggetta e di figliuola, Ora, pel momento chiudi il libro: rifletti seriamente in cuor tuo, chiedi a Dio i lumi, ed a rivederci domani. Domani ci intratterremo di te soltanto. Addio.

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Pagina 276

La figliuola modello, l'angelo dell'annegazione in simile conflitto asciuga furtivamente il suo pianto, e lo sfoga liberamente solo appiè del Crocifisso; non sa a qual partito appigliarsi per non far nascere rancori e guai, spesso funestissimi, e dopo di avere domandato consiglio ed inspirazione all'Angelo che sempre le sta al fianco, si abbandona confidente alla Provvidenza. Quella buona e virtuosa creatura si guarda bene dall'eseguire l'ordine più piacevole, o meno difficile; ma si adopera ad eseguire quello che crede più giusto, che può suscitare minori contrasti; impiega tutta la dolcezza del suo cuore, tutta la sua influenza per far rivocare l'altro, per acquietare gli animi, per dissipare ogni nube, per ritornare il buon accordo e la serenità, dove un atto solo meno prudente avrebbe bastato a suscitare una tempesta, in cui avrebbero fatto sicuramente naufragio la carità e la pace. Certe damigelle non si fanno scrupolo di farsi ben volere dalla nonna o dalla zia, col raccontar loro appuntino, e forse anche con esagerazione, il male dettone da alcun altro della famiglia, e se la nonna o la zia non hanno la capacità ed il criterio di far tacere la imprudente, ma hanno la debolezza di ascoltarla, questa, benchè alle volte colta o titolata, diverrà poi una ciarliera, una maldicente, sarei tentata di dire una donna da trivio. Ma tu sei e vuoi essere sempre figliuola modello ai tuoi genitori, ai tuoi nonni, e quindi sarai anche nipote e cognata modello, e la zia, la sorella ed il fratello, non dovranno certo lagnarsi con te se non di aver tu santamente cospirato a cementarne la pace e la tranquillità. A donzella di buona famiglia e di buona educazione saranno, io spero, superflue queste mie raccomandazioni ed altre che sono per fare, poichè riguardano strettamente le regole del vivere comune; ma la religione nostra appunto perchè buona e santa, è madre e maestra dello stesso vivere comune, e seguendo i suoi dettami possiamo star sicuri di non andare errati e di non renderci di peso o d'ingombro alla società, ma di giovarla e di migliorarla. Coloro che conoscono la religione nostra solo di nome, e pure maltrattano quelli che la professano, o fanno le viste di professarla, si compiaciono di dire e di ripetere ai quattro venti, che la gente di chiesa è maldicente, curiosa, mettimale... Mi pare debba bastare questa sola calunnia ad aprirci gli occhi ed a farci star bene sull'avviso di non cadere e di non farci cogliere in fallo, poichè unicamente per colpa nostra verrebbe denigrato il nostro principio, che è quello della verità e della giustizia, poichè stoltamente dai mondani ad esso si attribuisce quanto a noi soli ed alla nostra miseria dovrebb'essere imputato. Pensa quanto noccia al buon andamento di una casa ed al credito di una fanciulla il suo incaricarsi di quanto non le spetta, e l'indagare curiosamente le operazioni e le intenzioni altrui, e, per carità! guardati bene dall'essere curiosa ed indiscreta, chè mancheresti insieme alla civiltà ed alla religione, e perderesti il prestigio giustamente guadagnato colle tue virtù. O figliuola, fa tua delizia l'essere obbediente, dolce, amorevole con tutti, e quando vedi taluno di casa tribolato o corrucciato, sii tu l'angelo del buon augurio che gli asciuga le lagrime, gli torna il sereno, e con quell' eloquenza che viene dal cuore fagli sentire che dividi le sue pene. Sì facendo, potrai anche raddrizzare qualche idea storta e potrai perfino far assopire un antico rancore e stabilire una pace sincera dove annidava l'odio... Sì, sì, credilo pure; se tu sarai pia, buona, se avrai la virtù dell'annegazione, tu opererai veri miracoli, veri miracoli. Taluno non vuol sentire questa parola, e non vuol prestare credenza neanche a quelli ai quali è obbligato di credere, sotto pena di eresia, quali sono i miracoli accennati nelle Sacre Scritture e segnatamente nel Vangelo; ma poi dimmi, che nome danno essi a certi mutamenti repentini, impensati, radicali, che si operano in alcune anime? Il fatto evangelico della Maddalena che giovane, bella, ricca, dotata di tutti i vantaggi sociali e personali, tutto abbandona per abbracciarsi strettamente al servizio di Dio, è un fatto che ogni giorno si ripete sotto i nostri occhi, e per quanto prodigioso lo è però molto meno di altri, i quali meno notati e meno avvertiti, si operano nel segreto delle coscienze. Certe persone covano pensieri d'odio, di vendetta contro altre dalle quali hanno ricevuto sanguinosi affronti: dispongono un vero piano di guerra, che pochi falsi amici conoscono ed applaudiscono, perchè com'essi credono diritto dell'uomo giudicare e punire, e dignità il vendicarsi. Una di quelle persone che si tengono, e sono talvolta gravemente offese, ha la fortuna di essere attorniata da una pia donzella che essa vorrebbe tenersi lontana parendole di vedere nella sua condotto una condanna alla propria. Ma la donzella continua la sua pietosa persecuzione; per quell'intuizione che possiedono le anime pudiche e devote, indovina il segreto che con tanta cura le si vuol tenere nascosto; cerca nel proprio cuore la via per giungere al cuore della zia, vi entra, vi domina, ad onta che la si rimbrotti e le si ripeta di non impacciarsi in faccende che non la riguardano: la donzella con piè leggiero e forse inavvertita entra e domina sempre più in quel cuore straziato, vulnerato, vi lascia cadere una goccia di quel balsamo che ha attinto nel Cuore di Dio; quella goccia si dilata, investe quel cuore vulnerato, lo sana, lo rinfranca... Che è, che non è? La signora tale, la quale poco tempo fa avrebbe dato metà della sua vita per avvelenare quella del suo nemico, oggi gli perdona, prega per lui, giunge perfino a beneficarlo! S'egli è povero, essa trova la via per fargli arrivare un soccorso, per fargli avere un impiego, e pur sentendo dentro di sè la lotta terribile dell'orgoglio contro la fede, con questa tiene quello in freno, e le inspira un mite e caritatevole consiglio. La nipote vede finalmente spianata quella fronte; vede serpeggiare un mesto ma placido sorriso su quelle labbra, si sente stretta al seno con insolita tenerezza; ebbra di gioja domanda la cagione di tanto mutamento, e tutto crede fuorchè di essere stata essa che lo ha generato. Altri chiamerà questo e simili fatti che si ripetono quotidianamente col nome di stranezze e perfino di debolezze; io per me non so classificarli con altro nome se non con quello di miracoli della pietà verginale, nè so riguardarli altrimenti che comprovanti la sublime origine dell'uomo, e la grande potenza ch'egli tiene celata in fondo al cuore. Io vorrei, voglio anzi vederti operatrice di somiglianti miracoli, e se avrai buon cuore, retta intenzione e devozione, sacrificio, annegazione vera, ti capiterà frequente l'occasione di farne; se ti sarà negata in vita la soddisfazione di conoscerli e di goderne, li conoscerai un giorno quando ti verrà poggiata sul capo una gemmata corona, una corona che t'inonderà di un gaudio che non avrà fine giammai.

Pagina 366

Allorchè una persona non ha più l'animo travagliato da alcun dolore, e davanti ai suoi occhi brilla l'iride a prometterle lunga pace, per un poco si pasce delle rimembranze dolorose, del dolore passato, poi si abbandona ad una quiete illusoria ed ingannevole perchè troppo prolungata. Nella sua quiete è più infelice del nocchiero, poichè com'esso non vede che quella bonaccia le cagionerà la morte, e se non chiede ajuto a chi solo glielo può dare, miseramente langue, miseramente muore. Nella vita delle coscienze la bonaccia è tanto pericolosa, che il buon Dio sempre provvido ed amoroso anche quando gastiga, d'ordinario non ne prolunga lo stato; ma invia le malattie, le privazioni, e permette quelle croci d'ogni dì delle quali abbiamo, mi pare, fatto un cenno, per toglierle da un grave pericolo, e salvarle da sicura morte. Talora permette la bonaccia per provare la nostra fedeltà, e vedere se sappiamo ricordarci di Lui anche quando tutto cospira a renderci egoisti e dimentici: ma più spesso la bonaccia è una delle più terribili punizioni ch'Egli infligge a chi lo nega, e pretende di vivere senza di Lui; dapprima li ha provati colle sventure, coi rimorsi, ma vedendo che questi anzichè convertirli li irritavano, Egli li ha puniti lasciandoli abbandonati a sè stessi... Pure è il suo sole che li illumina e riscalda; pure sono le pecore da Lui create e tutte le sue creature che lor provvedono vesti e comodi; pure è il grano ch'Egli fa germogliare, che dà loro il pane, tutto il necessario alla vita! Ma essi nulla intendono: giaciono sull'onda immobile dell'immoto oceano, si specchiano in quella quiete fatale, vivono nel contentamento delle loro passioni, e trovano che Dio è un'invenzione, od un pleonasmo. Ma siccome io credo che pur troppo nella nostra società regni e domini l'ateismo per così dire, teorico, ma presto pochissima fede all'ateismo pratico, così penso che molti lo dicano, ma assai pochi credano davvero che Dio sia un'invenzione; mentre tengo per fermo che molti e molti lo negano a parole, o se ne burlano, appunto perchè lo credono un pleonasmo che si può sopprimere, senza verun danno, e di cui essi si vantano di volere e di poter fare a meno. Buon Dio! e chi toglierà quei poveri ingannati ed illusi a quella fatale bonaccia, più terribile per essi della più fiera tempesta? Ecco là; un vapore si avanza, si appressa, manda i suoi ministri ad offrire un infallibile ajuto... Il capitano marittimo non ha saputo resistere alla generosa offerta di salvamento; ma l'uomo mondano non crede al pericolo, rimanda e deride chi a forza d'amore lo vuol salvo... e perisce, ahi! pur troppo perisce se persiste a rifiutare il suo ajuto. Ma tu, figliuola, se a bordo della tua agile navicella custodisci ed ami il vapore della cristiana carità, sarai giovata dalla quiete del mare, e la bonaccia anzichè di pericolo ti sarà di premio, poichè togliendoti alla lotta ed alla furia dei venti e delle onde non sarai ritardata nel corso. Che se tu privassi la tua nave di quella forza possente, se tu confidassi nelle sole tue forze...? No, non voglio essere l'uccello del cattivo augurio; non voglio farti minacce; ma ad imitazione di Colui che dolcemente c'invita, ci esorta, ci obbliga quasi con una legge tutta di amore, mi proverò a dirti qualche cosa della carità ch'Egli è venuto a portar sulla terra, e ti ripeterò la sua dolce parola:Venite a me tutti, io vi ristorerò, io vi consolerò; venite a me!

Pagina 615

Apriti a Lui, confidati a Lui; Egli ha parole di vita, ha un'acqua che a chi ne beve non verrà più sete giammai; Egli ti cerca, ti segue, ti è sempre sempre a fianco, non ti abbandona un solo istante. Oh! se hai bisogno di espansione, non puoi espanderti in amico più degno... Corriamo, corriamo assieme a quel fonte di ineffabile gaudio, ivi le nostre anime s'incontreranno, si abbraccieranno, si ameranno con un amore puro, virtuoso, santo, meritorio, che il tempo nè le vicende non indeboliranno più mai, ed avendo l'amor nostro radice in Dio, vivrà come Dio eternamente. A rivederci nel Cuore adorabile del nostro Redentore, dove il cuor nostro bisognoso di espansione sarà completamente ed esuberantemente soddisfatto e consolato. Corriamo a Lui!

Pagina 793

Gli ultimi saranno i primi ha detto il Signore nel suo santo Vangelo, e sì dicendo c'indica nell'umiltà un mezzo potentissimo a vincere la vanagloria e quell'amor proprio che attribuendo a noi medesime un merito fittizio od immaginario, o altresì un merito reale ma che dovrebbe essere attribuito a Dio solo, ci priva dell'appoggio celeste, ci isola, ci abbandona a noi stesse ed alle nostre miserabili forze. Le parole del nostro Salvatore c'indicano non solo un mezzo efficace nell'umiltà, ma benanche il premio ad essa riservato se ne siamo fedeli osservatrici. E dire, e tu pure il saprai, che chi parla della nostra religione senza intendersene affatto, pretende che l'umiltà sia un sentimento ed una virtù ipocrita ed avvilente!... Oh! piangiamo sui poveri illusi, o piuttosto ingannati, e ringraziamo il Signore di 52 averci fatto comprendere che l'umiltà è sincera, ed anzichè avvilire esalta i suoi cultori, promettendo per l'altra vita quel primato cui volontariamente rinunciano in questa. Sì, l'umiltà è sincera, poichè se vede in sè alcun merito, nol nega, ma lo riferisce a Dio bene sommo, anzi unico da cui tutto ci piove. Ma riguardando le cose anche dal lato sociale, vorrei quasi dire materiale, dimmi: e non è più stimato, amato, venerato l'umilissimo Silvio Pellico che tentava eclissarsi per nonporre in luce che Dio od il prossimo suo, di quello siano molt'altri uomini d'un ingegno forse più distinto, ma dominati da un orgoglioso sentimento della propria capacità, da un vero amor proprio? In una lettera del gran prigioniero, diretta al padre di mio marito Annibale Albini, spira una soavità, un'umiltà, una rassegnazione che ci rivelano quanto possa sopra un cuore ulcerato il balsamo della fede. In essa dopo di aver detto: Non puoi immaginarti quel ch'io abbia patito: il mio libro non dà certamente che una debole idea di quella misera vita, soggiunge subito: Sia ringraziato Dio che ha voluto richiamarmi a giorni più lieti, più belli! Ma se allora ho patito molto, or son tanto pia felice. Forse non v'è alcuno sulla terra che senta più di me quanto sieno dolci cose la libertà, il respirare l'aere nativo, il vivere tra parenti, fratelli ed amici carissimi. Ogni notte sogno d'essere in carcere, e quando mi sveglio provo, un'indicibile consolazione d'essere nel mio letto, fra le amate pareti domestiche. Non ho altra disgrazia che di aver poca salute. Stento sovente a trarre il fiato, e son minacciato di soffocare; ma quest'asma non è continua. Allorchè viene la sopporto con pazienza, ed allorchè se ne va mi fa gran piacere. Un mese fa stetti assai male, ed or torno ad aver fiato bastante. Probabilmente non avrò più molti anni da vivere, ma non mi lagno. Godo la grazia che il Signore m'ha fatta di rendermi un poco di felicità terrestre, e quando gli piacerà di tormela mi rassegnerò volentieri. Egli mi ha dimostrato sì benignamente, direi quasi, miracolosamente l'amor suo, che ho fede che quando mi leverà da questa vita, sarà per darmene una migliore. Egli invoca più tardi la pietà del Signore sugli amici languenti nello Spielberg, e si può dire che da capo a fine quella magnifica lettera è tutta una lezione d'umiltà e di rassegnazione cristiana. Gli è a costoro che hanno patito per Iddio, ed hanno cercato in questo mondo l'ultimo posto che Gesù Cristo ha detto: Gli ultimi saranno i primi.

Pagina 812

Galateo ad uso dei giovietti

183991
Matteo Gatta 1 occorrenze
  • 1877
  • Paolo Carrara
  • Milano
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Similmente, chi per qualsiasi motivo abbandona il suo posto non ha nessun diritto di rioccuparlo. Se poi al primo affacciarti alla porta d'ingresso t'accorgi che la folla è numerosa e stipata, metti il tuo cuore in pace, acconténtati di quel cantuccio qualunque che trovi, nè voler farti innanzi a furia di spinte, di urtoni, di gomitate. che sono modi da lasciarsi ai contadini nel pigío delle sagre campestri e nel va-e-vieni delle fiere e dei mercati. Nè in platea nè in loggia privata non alzar mai la voce, chè la sarebbe una intollerabile e villana molestia. Eppure qualche volta, in un punto del maggior interesse, quando le orecchie, gli occhi, gli animi degli spettatori sono rivolti alla scena e nell'uditorio non s'ode un zitto, ecco uno scroscio incomposto di risa erompere fuori da un palchetto e distruggere bruscamente quell'illusione, questa tacita corrispondenza fra gli attori e il pubblico che è tanta parte del diletto di cui è fonte il teatro. Giovinetti, fanciulle mie, al certo voi non commetterete mai di codesti atti incivili, che oltre, al suscitare un fremito generale di dispetto e di disapprovazione, all'attirare tutti gli sguardi, accompagnati forse da qualche agra parola, sugli ineducati schiamazzatori, sono prova manifesta, sia nelle donne che negli uomini, di leggerezza di spirito, di nessuna coltura, di un totale difetto d'ogni senso gentile e delicato del bello. Veniamo agli atti non imposti dal dovere, ma consigliati dalla urbanità e dalla pulitezza. Tu, Modesto, sei seduto comodamente, poniamo, in un teatro, in un circo equestre od in qualsiasi altro luogo di pubblico spettacolo. Una signora, giunta troppo tardi, non trova più uno scanno vuoto ed è costretta a starsene in piedi. Che fare? Lasciarla in quella posizione disagiata e sconveniente per due o tre ore? Bisogna cercare un ripiego. Comincia tu a restringerti un tantino: gli altri t'imiteranno, e un po' di spazio sarà subito fatto. Chè se poi le sedie sono numerate, allora non ti resta altro spediente che alzarti e cedere la tua. Capisco anch'io che il sacrifizio è un po' pesante e non è facile trovare chi vi si sobbarchi di buona voglia: ma appunto per ciò, se tu sei da tanto, la tua gentilezza è più squisita e, non esito a dire, cavalleresca. Altro caso. È consuetudine, alla quale il tempo diede forza di legge, che in teatro chi sta in piedi ha diritto di non levarsi il cappello. Ma in una sera di gran folla in cui ciascuno resta, per così dire, inchiodato al suo posto, senza facoltà di libero movimento, chi si trova casualmente innanzi potrà valersi di questo diritto, o abuso che sia, per togliere la vista a quei di dietro? La civiltà non lo permette. In quanto ai segni di approvazione o disapprovazione, guarda di restare nei limiti della giusta misura. Anche qui, come sempre, gli eccessi son riprovevoli. Il giovine educato, pur applaudendo, si astiene ugualmente dall' urlare a squarciagola « immensa! unica! divina! » e da altre siffatte esclamazioni, come pure dall'imboccare un fischietto per trarne sibili assordanti, dal battere dei piedi sul pavimento, dal picchiare colla mazza le panche. Il silenzio generale dell'uditorio, che quando è soddisfatto applaude, non è già una solenne condanna, una protesta del pubblico, un biasimo eloquente? E qui mi permetto una disgressione che non credo fuor di proposito, Fu tempo, e non molto lontano da noi, che in Italia la gioventù ricca e scacciapensieri faceva le sue maggiori prove... in teatro. È proprio così. Impedita dai sospettosi dominatori stranieri o domestici ogni via che riuscisse a più elevata e virile palestra, tutto lo slancio appassionato dei giovani si concentrava in teatro. Che politica, che patria, che utopie di emancipazione e di libertà? « Divertitevi (dicevano i dominatori o chi per essi): l'Italia è ricca, è bella; godete dei doni che vi offre... » I più non pensavano che a mettere in pratica nel miglior modo il letale consiglio: alcuni, quantunque intravedessero il nefasto intento di quelle parole e protestassero in cuor loro contro « ....la viltà tranquilla Di quel ser vaggio che non ha rimorsi, » pure, non offrendosi al momento probabilità e nemmeno possibilità che si potessero mutare le sorti d'Italia, soffocavano nei piaceri il tedio del presente e la voce della coscienza. Un'opera nuova, un nuovo ballo, l'aspettazione d'una gran celebrità della scena fornivano argomento di discorsi e di ipotesi molto tempo prima del giorno della rappresentazione, come se si trattasse di un affare di stato. Poi veniva la sera della gran sentenza, degli applausi, degli urli frenetici, delle ovazioni. Uno o due nomi correvano su tutte le bocche. Per molte settimane il successo di una danzatrice era il tema obbligato dei caffè, delle conversazioni aristocratiche e borghesi, dei giornali. Talvolta l'entusiasmo d'una sera andava alle vertigini del fanatismo e all'idolatria dell'apoteosi. Una moltitudine compatta in giubba nera e in guanti gialli attendeva ansiosamente alla porta del teatro la regina della festa, la divina Tersicore, e, staccàti dal cocchio i vili quadrupedi, si sobbarcavano essi, animali bipedi e ragionevoli, all' ambíto ufficio di trascinarla a casa! Ma non sempre le faccende camminavano così lisce. I giudizii non erano sempre tutti concordi, specialmente se le Tersicori in questo basso Olimpo terrestre erano due. Allora sorgevano dispute calorose, polemiche sui giornali, come succede nelle quistioni politiche; e in teatro era una gara continua tra i due diversi partiti, una gara di battimani, di grida, di urli, di chiamate al proscenio, di piogge di fiori, di corone, di ritratti, di poesie... Che bei tempi! Voglio io dirvi con ciò che il teatro s'abbia a tenere vile? Sarebbe un assurdo enorme. Io volli solo premunirvi contro biasimevoli e ridicoli eccessi. La musica, la drammatica, la coreografia appartengono al novero delle arti belle e devono colle altre camminare nella via del progresso; hanno quindi bisogno della cooperazione del pubblico. Il teatro può essere insieme e gradito passatempo e scuola di pensieri, di affetti, di principii; esso è nobile campo di un ramo così importante della letteratura poetica, la commedia e la tragedia, le quali non raggiungono interamente il loro scopo senza efficacia della rappresentazione. Nella musica l'Italia è maestra delle altre nazioni; le corre dunque il debito di conservare questo vanto. E chi non vede come anche la danza, la mimica, colla varietà e la correttezza plastica delle pose, delle movenze, del gesto, possano venire fruttuosamente in aiuto della statuaria e della pittura?

Pagina 127

Come devo comportarmi. Le buone usanze

185012
Lydia (Diana di Santafiora) 1 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
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Così, avremo tutto il diritto di considerare come ineducato l'uomo che parla per la strada ad alta voce, che si abbandona a grandi gesti, che fa roteare il bastone o l'ombrello, che cammina in modo da dar noia ai passanti, che non cede il passo alle signore, che attacca briga per un nonnulla. Gli uomini che, appena passata una signora, si voltano indietro a guardarla con ostentata curiosità, sono degli impertinenti. Colui che, passando accanto a una bella signora, si permetta rivolgerle una parola d'ammirazione, anche innocente, è un mascalzone: se la signora fosse accompagnata dal marito o dal fratello, egli avrebbe probabilmente la lezione che si merita. Una persona bene educata, non scende mai in istrada se non vestita di tutto punto; nè deroga da questa abitudine neppure per impostare una lettera a cinque passi dall'uscio di casa. Non di rado, anche in quei brevi istanti, si possono fare incontri che ci inducono a pentirci amaramente della trascuraggine commessa. Chiunque cammina per la strada deve comportarsi, oltrechè con educazione, anche con prudenza: soprattutto deve evitare le osservazioni inutili, le critiche, i litigi. Non tutti i passanti sono persone educate, e spesso una parola tira l'altra e nascono delle scene spiacevoli. Questa norma di prudenza dev'essere specialmente osservata quando si sia in compagnia di signore, semprechè l'atto altrui non sia tale da meritare d'esser rilevato. Coloro che, per un malinteso senso di cavalleria, si credono in obbligo di difendere l'onore della loro dama attaccando lite in mezzo alla strada con un maleducato qualunque per una cosa da nulla, non mostrano nè tatto nè cervello. 5 E non è neppure una bella cosa vederli piantare in asso la signora affidata alle lore cure, per venire alle mani col primo che capita. Una cosa da nulla può diventare una cosa seria, e le signore in generale sone facili a impressionarsi e spaventarsi. Ognuno del resto capisce che questi sono consigli di prudenza e non di vigliaccheria, e hanno il solo scopo di far evitare eccessi inutili. Se l'occasione veramente si presentasse, un uomo deve saper affrontare ogni pericolo senza esitazione, pronto anche, per l'onore di colei che lo accompagna, ad arrischiare la vita. Ma chi ha veramente coraggio, non lo sciupa inutilmente e se ne serve soltanto al momento del bisogno. A questo proposito, non possiamo astenerci di dare anche alle signore un avvertimento. Le liti per la strada sono sempre spiacevoli, spesso pericolose: non cercate mai di provocarle col vostro contegno, perchè, più spesso che non si creda, esse hanno origine dall'imprudenza vostra. Ci sono molte signore che s'adombrano di tutto, che s'inquietano se non si fa loro posto, che non esitano a buttar là una di quelle parole acri e impertinenti, che irritano ed esasperano. Il marito, il fratello, prendono naturalmente le loro difese, anche se, in cuor suo, riconoscono tutto il torto della loro compagna; e le conseguenze sono spesso dolorose. Siate dunque prudenti, signore mie; sappiate anche, al momento opportuno, non avere nè occhi nè orecchi: eviterete ai vostri mariti, ai vostri fratelli, ai vostri amici delle noie e dei pericoli. Se poi, per disgrazia, una questione avviene in vostra presenza, non intralciate col vostro contegno l'opera di chi vi accompagna: non gridate, non piangete, non date in ismanie. Se ci accade per la strada di urtare involontariamente una persona, si è in obbligo di chiederle scusa; e le scuse saranno più ampie se si tratterà di un vecchio o d'un mutilato. Chi è urtato, se è persona bene educata deve accontentarsi di quelle scuse e rispondere con una parola gentile. Chiunque, transitando per la strada in bicicletta, in automobile o su qualunque altro veicolo di sua proprietà, è causa involontaria di una disgrazia, ha l'obbligo assoluto di mettersi interamente a disposizione del ferito e di curarne il trasporto a casa o in un ospedale: fuggire per timore delle responsabilità nelle quali, sia pure involontariamente, è incorso, è azione da barbaro. Una persona di cuore considera un dovere prestare l'opera sua ai passanti tutte le volte che ne vede la necessità, senza credere di decadere dalla propria dignità neppure se si tratta d'un umile servizio. Una persona di buon senso evita di far circolo intorno ai ciarlatani e soprattutto intorno a coloro che leticano o vengono alle mani. Questa brutta abitudine di godersi come uno spettacolo le baruffe che così frequentemente avvengono nel mezzo di strada, fu già ripresa da Dante che, come di tante altre cose, s'intendeva anche d'educazione. Dice Virgilio a Dante, dopo averlo rimproverato d'essersi fermato ad ascoltare due dannati in lite fra loro:

Pagina 124

Il saper vivere

185946
Donna Letizia 1 occorrenze
  • 1960
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
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E quasi sempre, abbandona

Pagina 80

Il galateo del campagnuolo

187392
Costantino Rodella 2 occorrenze
  • 1873
  • Collegio degli artigianelli
  • Torino
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Nessuno vive più alla mercè della fortuna, che l'abitatore dei campi, la creatura più indipendente, più libera, e più poetica che si possa immaginare; onde se anche più d'ogni altra si abbandona alle superstizioni, ai pregiudizi, alle ubbie, alle credulità, agli errori volgari, si deve anche più che ad ogni altro perdonare. E dire che questa vita indipendente, salubre e vigorosa mal si conosce, e peggio s'apprezza da' campagnuoli; perché la maggior parte di essi si studia di abbandonarla per correre ad abitare le città! .La città! — Ecco il sogno dorato del contadino. Nelle città le persone sono ben vestite, nella città v'è allegria, si gozzoviglia; dunque vi si deve star bene. Questo è il ragionamento che fa il contadino che abbia, come dicono la mente un poco svegliata. ............ E così, intanto che la città accoglie un consumatore di più, la campagna perde un produttore. Il disinganno arriva presto, ma il più delle volte al fatto non v'è più rimedio. CANTONI. Almanacco Agrario, 1869. Quest'emigrazione da'campi, quest'inurbarsi de' villici senza niun ricambio di cittadini che ritornino ai campi, segna pur troppo un principio di decadenza ne' costumi, e di regresso nella società. È vero che la società moderna ha di molti e gravi torti verso la classe de'contadini, la classe che alimenta tutte le altre, e da nessuno è tenuta in conto; nessuno pensa a lei, o se ci pensa, è per servirsi del nome di villano come una contumelia. Vi sono istituti di provvidenza, pie associazioni per favorire gli operai, gli impiegati, i militari, e via via; ma per i contadini niente di niente! Anzi quando si parla di agricoltori si fa con un non so qual senso di disgusto, e la signorina schifiltosa per poco non si tura il naso per sospetto di non sentirne il lezzo. Questo è ingiustizia. Ma non è ancora una sufficiente ragione di disertare i campi per andar a popolare le città, come se là si trovasse la manna, che gli Ebrei avevano senza fatica nel deserto. Poveretti! Essi stanno all'apparenza; vedono il cittadino meglio ripulito e rimpannucciato, il viso bianco, le mani meno rugose, e scambiano questo per agiatezza e abbondanza de' beni del mondo. Ma se vedessero più addentro le cose, sì che esclamerebbero, che non è oro tutto ciò che luce; e che ad ogni uscio v'è il suo ripicco; come dice il proverbio! Venuto in città il campagnuolo, disadatto e ignaro di tutto, sarà costretto ad esercitare i più umili mestieri, e si bacierà la mano a trovarne; invece della casetta in mezzo al verde della campagna, soleggiata da mane a sera, abiterà uno stambugio, oscuro, umido, fumoso, dove non potrà mai penetrare raggio di sole, oppure salirà per dodici o quindici scale in una povera soffitta sotto i tetti, e i suoi teneri bambinelli per trascinarsi ogni dì su e giù per meglio di cento scalini si scavezzeranno le gambe e si storceranno in mille guise la persona; chè in ciò sta la vera ragione delle molte storpiature, che si vedono nelle grandi città! Senza dire che lì si deve vivere tutto a punta di quattrini, e il vitto è caro, e il guadagno è scarso, e le spese infinite; onde i digiuni non comandati sono più di quel che si pensi. E ciò, che aggiunge peso, è il trovarsi di continuo alla presenza della ricchezza strabocchevole e del lusso insultante dei doviziosi; il tapino cencioso colle scarpe rotte è costretto a vedere il signore in superbo cocchio stemmato, tratto a due pariglie! Nella campagna poco su poco giù si vive tutti a un modo, il servitore, il bracciante mangia alla tavola del padrone, e non si vede così allo scoperto questo terribile contrasto della lautezza colla miseria; ma in città quante volte l'infelice operaio, in mezzo ai figli, che gli domandan pane, colle viscere dolenti pel digiuno, si coricherà nella fredda soffitta, e alle sue orecchie verrà la romba della festa e la eco dell'orgia, che lì sotto di sè nelle sale dorate del primo piano si prolungherà alle ore del mattino! Chi terrà il poveretto dal gittarsi alla disperazione? Pure questa miseria velata fa gola al campagnuolo! Il dottore Enrico, che usava tutti gli anni passar un po' d'autunno nel suo villaggio del Monferrato, non cessava di far aprir gli occhi a' suoi terrazzavi, svelando gli stenti infiniti, che si nascondono sotto abiti signorili. E se fan prova di poca avvedutezza quei che lascian la campagna per la vita cittadina, che s'ha a dire di coloro, che consumata ogni sostanza nel giuoco e negli stravizzi, vanno poi a cercar fortuna in lontani paesi; quasichè altrove i gnocchi e i capponi piovano giù dal cielo come la neve, e che i fiumi scorrano nebiolo e moscato! La vita è dura dappertutto, osservava il Dottore, e forse lontano più che dove s'è nati. Ma l'agognia de' subiti guadagni, l'avidità del milione, che sconvolge da capo a fondo tutta la società moderna, tormenta anche il pacifico abitator de' campi; e l'America, la California, l'Australia si atteggiano con seducenti colori alla fantasia di tutti. E qui prendendo alcuni di questi sognatori di tesori, il signor Enrico loro chiedeva: Orsù, ditemi un poco, di tanti che avete veduti voi andar di là dai monti e dai mari, quanti n'avete visti ritornare co' sacchi pieni d'oro? Il figlio di Gian Giacomo, tutti lo conoscono, si diceva che possedeva monti di lire sterline, l'abbiam visto ripatriare l'anno passato cogli abiti laceri e colle scarpe rotte; il ni-nipote di Carlambrogio, e quella buona lana del suo amico Stefanaccio morirono di febbre gialla, dopo due mesi che vi eran giunti, come accade ai due terzi che colà emigrano! E la litania è lunga; ma nessuno, che noi conosciamo, fece fortuna. Gli zii che ricchi tornan d'America, ora non si vedon più che sui teatri In America non è più il tempo che Berta filava. Dal 1830 in poi, le vicende politiche e lo spirito d'avventura, spinsero colà la parte più giovane, più energica, più attiva ed anche più intelligente della vecchia Europa. I facili guadagni d'una volta si fecero sempre più difficili; ed ormai si può dire che per fare fortuna in America bisogna già averla fatta altrove, oppure è necessario recarvisi con abilità non comune. Gli agricoltori, come disse il Ferrario, sono i meno cercati, ed io soggiungo che sono pur quelli che più difficilmente possono cambiare di abitudine. II contadino sfugge la miseria in casa propria, per morir di stenti oltre l'Oceano, non potendo più far ritorno per mancanza di mezzi. Al contadino, nell'America, oggidì sono riservati i mestieri più vili, le fatiche maggiori, ed i minori guadagni. CANTONI, Almanacco agrario. Fate come me, diceva, non credete alle ricchezze favolose di chi è lontano; voglio vederlo io l'oro che portano di là: a ciance il denaro si misura a palate; ma per conseguirne un bricciolo, fa doler le dita. Sapete come si ottiene un po' di ben di Dio? S'ottiene col sudor della fronte e col risparmio; e ciò si può far qui come in tutto il mondo. Chi vuol vivere in ozio, conchiudeva, e consumarsi nel giuoco e in bagordi, fa della fame in tutti i paesi della terra.

Nel verno successivo si torna da capo a scuola col tenore dell'anno precedente; lo scolaretto non si ricorda più nulla di quel poco che aveva imparato; onde si mette di nuovo all'abbicì; e così di seguito d'anno in anno; finché abbandona affatto lo studio; e se ha imparato a scrivere correttamente il suo nome è somma grazia; ma che riceva una conveniente istruzione, cioè che apprenda quelle cognizioni utili alla pratica della vita, nessuno il potrà credere. Dnnque che cosa imparano i vostri ragazzi in quel periodo di tempo che vanno a scoola? domandava il Dottore... Ve lo dirò io netto e tondo: a far i monelli. Nulla è più spiacente, che il veder i giovinetti per le strade, quando vanno o tornano dalla scuola! Sùdici nelle mani, nel viso, negli abiti, gridano, urlano con vociaccie d'inferno, scorrazzano qua e là, scavalcano siepi, saltano nel seminato, sferrano sassi contro gli alberi, contro le bestie, contro i compagni, s'accapigliano, si lacerano gli abiti, ingaggiano certe battagliuole fra loro da far gelare il sangue addosso; spesso si dan la parola tutti que' d'una vallata per aspettare al varco quelli d'un'altra, si sfidano, si battono, si rompono il capo; brutte discordie, esempi di odio, pur troppo nutriti nelle famiglie e cresciuti ne' figli dagli imprudenti racconti de' padri. Pare che ne' ragazzi l'istinto dominante sia la ferocia; già lì non s'ammira che la forza bruta; il più forte è il re, egli è temuto, rispettato da tutti, se ne cerca l'amicizia e la protezione. Guai a' deboli! La pietà, la commiserazione, i perdono, le qualità gentili e generose dell'animo, sono sensi ignoti al cuor del fanciullo. Si commettono in fanciullezza crudeltà e barbarie indicibili; infelici quegli animali, che cadon sotto le loro unghie! L'agnelletto, la pecora, il cane, il gatto, bastonate, sassate alla cieca; e quel che fanno ai semplici uccellini; ahi, li acciecano, li spennano vivi vivi! piantano spilli negli insetti, e quelle son le grida di giubilo che mandano nel sentir quelle povere bestiuole stridere e guaire! Non si direbbero selvaggi, che giubilano nel sangue? Oh la brutta cosa! Gli alberi fruttiferi sono poi in ispecial modo presi di mira; i frutti sono affatto acerbi, non hanno ancora alcun grado di maturità, è proprio roba sciupata; tanto fa, giù addosso; nè si contentano di gettar giù le ciliegie, le pere, e via, ma guastano il seminato sottostante, rompono i germogli, scavezzano i rami; onde non solo mandano a male i raccolti dell'annata, ma rendono la pianta inetta a produrre per alcuni anni appresso; pare che siano invasi dallo spirito di distruzione! Dunque che s'ha a fare? Che s'ha a fare...? Oh non son vostri figli codesti? Accompagnateli qualche volta, sorvegliateli; quando son mal accompagnati, sgridateli; quando sapete che si son portati male, puniteli, e non lasciatevi dar ad intendere. O che non la fate la guardia alla pecora, alla vacca, a' buoi? E i vostri figliuoli saran da meno de' giumenti? Andate spesso dal maestro, informatevi sulla loro condotta, sul loro studio, castigateli e premiateli secondo che si meritano. Mostrate voi di dare importanza a' libri, alla scuola, al maestro; e vedrete che i vostri figli impareranno a ubbidire e a rispettare; perchè i ragazzi stimano solo quello che vedono stimato dagli adulti. Nessuna ragione deve allontanare il figlio dalla scuola, neppur per un giorno, tranne fosse malato: tanto tanto per quell'aiuto che vi possa dare nelle vostre faccende un ragazzetto di poca età, non val la pena frastornarlo dalla scuola. Ebbene fate proponimento di lasciar frequentar la scuola comunale a vostro figlio, fino ai dodici anni e tutta l'annata scolastica; e allora vi dico io, che sentirete i beneficii della scuola; perchè, mettiamo che cominci a' sei anni, a' dodici avrà di sicuro appreso quanto gli occorre negli usi della vita e potrà poi senza difficoltà continuare la sua educazione da sè quando lo voglia. Tutte le fatiche, a cui sottomettonsi i ragazzi prima dei dodici, sono a detrimento non pur dello spirito, ma anche della salute e dello sviluppo del corpo. In que' paesi industriali, dove i padri, per ingordigia di guadagno, costringono i figliuoli e le figliuole già da otto a dieci anni a lavorare negli opifizii, non si vede più una gioventù fresca e robusta, ma vi crescono uomini e donne rachitici, smunti, scialbi, di color terreo, vecchi sul fior degli anni! Una legge, che vietasse questo traffico di carne umana, sarebbe una benedizion del cielo! Si dovrebbero multare tanto i padri, che vendono così i loro figli, quanto i capi-fabbrica, che accettano nelle loro officine ragazzi prima de' dodici anni; in tal guisa mentre da un lato si provvederebbe alla robustezza del corpo, dall'altro si lascierebbe campo alla scuola a far prova del suo valore. Ma voi sì che badate alla scuola, anzi il più delle volte guastate a casa que'buoni germogli, che si eran piantati in quella. Vostro figlio, ad esempio, imparò dal maestro un'ottima massima, un bel tratto d'educazione, e lieto lo ripeterà in casa; oppure quando in famiglia vedrà praticarsi proprio l'opposto, il ragazzino verrà lì colla sua buona sentenza, — e il padre: taci lì, asinaccio; — se il figlio si scusa sul maestro; — che vuoi che sappia il tuo maestro, una bestia matricolata, anche lui, che vuol sputar sentenze.... e giù villanie, che non finiscono. V'ha poi tali padri, che per dar a divedere teste fine, e per leggere qualche gazzettaccia, la pretendono ad avvocati, si mettono lì a bisticciare, a contraddire, a cavillare sulle poche idee, apprese dal figlio alla scuola e mettono in canzonatura il maestro ed anche il libro, e mostrando un presuntuoso disprezzo di ogni buon principio di morale, spaccieranno giudizii l'uno più stolto dell'altro. Quindi, domando io, qual frutto può produrre la scuola e che autorità potrà avere un povero maestro sui vostri figli, quando voi lo tacciate d'incapace, d'ignorante, e lo coprite d'ingiurie? E questo bell'andazzo, soggiungeva il Dottore, che s'è preso qui dai nostri Consiglieri del Comune, di cambiar maestro ogni anno, credete voi che torni a pro dell'istruzione de' vostri figliuoli. Ogni maestro che viene nuovo all'Ognissanti deve spendere i primi mesi per riconoscere lo stato della scuola, a che punto sono gli allievi, per distinguerli in gradi; perchè egli non sa che cosa siasi insegnato nell'anno precedente; onde que' pochi mesi, che i ragazzi frequentano la scuola, vengono ancora ristretti da questi esperimenti primitivi. Ma sì andatelo a far intendere a certe teste; gli è come pestar l'acqua nel mortaio. Questi ha la sua creatura da proteggere, quegli un odio ùda sfogare, quest'altro si è preso un puntiglio, e così o per un capriccio o per un altro si fa spendere una somma tale e quale per stipendiare il maestro e la maestra, e l'istruzione e l'educazione del paese va a rotoli; e voi pagate...! Quando vi avviene di trovare un maestro discreto, e che i vostri figliuoli fanno profitto, via non state lì a guardar tanto pel sottile, fategli carezze, cercate di fargli prender amore al paese, sicchè rimanga invitato a restare fra voi, a porre lì la sua dimora stabile, come se fosse la sua terra nativa. Più anni starà, e meglio sarà per l'istruzione della gioventù; conoscerà le indoli, le costumanze, le virtù e i difetti della scuolaresca; la saprà pigliar pel verso suo; e le cose andranno di bene in meglio; tenendo conto del fatto degli anni andati, seguendo il medesimo metodo, l'istruzione procede continuata, uguale, profittevole. Val più un maestro mediocre, ma pratico del paese, che uno ottimo, e nuovo. Ma per tornare ai ragazzi, là dove abbiam trovato la famiglia ordinata e amorevole, anche i figli sono fiori di grazia; si vedono puliti, ravviati, gentili, che è un amore. Prima che partano per la scuola la madre ci abbada, se hanno le vesti decenti, se le scarpe sono pulite e nere, se i capelli pettinati, se le mani e il viso lavato, se hanno l'occorrente per la scuola; a volta a volta li accompagna essa stessa; si raccomanda a questa e a quella persona di tenerli d'occhio; e al ritorno loro dà una ripassatina, guai se trova qualche strappo negli abiti; se arrivan tardi, vuol saper per filo e per segno, che cosa han fatto, dove si son trattenuti, va ad appurar i fatti dal maestro, riconosce ogni cosa, e sa premiare e castigare a tempo. Le feste poi se li conduce con sè alla chiesa, attillati e lucenti, come uscissero da una scattola, se li fa inginocchiare lì presso col loro libricino aperto e non li abbandona un istante. Oh sì che lascierebbe i suoi figli là mescolati con tutta quella ragazzaglia, che va a mettersi presso il presbiterio a far d'ogni sorta di monellerie, come se fossero di nessuno; nè manco per sogno! Come fa pena all'animo veder nelle chiese de' paeselli tutta quella frotta di ragazzi, l'uno più discolo dell'altro, attruppati innanzi all'altar maggiore, nel luogo più in vista! Si sdraiano sugli scalini, si urtano, si pizzicano, si battono, si nascondono la pezzuola, il berretto, parlano, ridono, sghignazzano, che è una distrazione continua; sembrano fanciulli abbandonati. Come volete che questi ragazzi crescano col rispetto del prossimo e col timor di Dio, se nel luogo più venerabile, più santo, commettono tante irriverenze? E quel che fa più dolore è che lì in chiesa vi saranno i padri e le madri, i quali non se ne dan per inteso; e come niente fosse, non volgono neppur un rimprovero ai loro figli. Ma Dio non paga il sabato, e voi non avrete ad andarvene a pentir a Roma. Quel figlio, che lasciate ora alle impertinenze, verrà su ozioso, maligno, disubbidiente; non avrà più rispetto di sorta nè delle cose, nè degli uomini, si riderà di voi, delle leggi, di tutto, vi spoglierà della roba e dell'onore, e dopo avervi ridotto nella miseria, amareggiata la vita in tutti i modi, in quell'età che dovrebbe essere il sostegno e l'orgoglio de' vostri anni cadenti, sarà là a marcire in un carcere. E allora, non avrete che a coprirvi il viso e a picchiarvi il petto, recitando il mea culpa. Queste cose le diceva piano e forte il signor Enrico, e narrava fatti e proferiva nomi, sicchè il suo dire riusciva persuasivo a più doppi.

Pagina 18

Dei doveri di civiltà ad uso delle fanciulle

188350
Pietro Touhar 1 occorrenze
  • 1880
  • Felice Paggi Libraio-Editore
  • Firenze
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Non sempre la magnanima rassegnazione accompagna i molti patimenti del povero, e talora ei si abbandona alla disperazione e maledice la giustizia e i capricci della sorte; ciò nondimeno voi non dovete mai respingerlo col vostro disdegno, istigarlo coi vostri rimproveri, accusarlo se non sa vincere la debolezza di guardare con occhio invido i beni di cui la fortuna vi ha dato larga copia. Sventuratamente l'ingratitudine è un vizio molto comune all'umanità, e si annida nell'animo, generatavi da vano orgoglio o da un sentimento anche più abbietto; ed allora lo inaridisce, lo deprava, e gl'impedisce di sentire alcuna rinoscenza dei benefizi di cui una mano amica si dà premura di ricolmarlo. Per l'esercizio della beneficenza vi avverrà certamente d'incontrare spesso degl'ingrati; ma non vi pentite mai di ciò che fatto avrete per essi; chè anzi farete ciò che a voi s'appartiene alleviando i patimenti dei vostri simili, e la memoria delle vostre buone azioni lascerà sempre al cuor vostro una bastevole e soave ricompensa. Osservate il precetto del Vangelo: soccorrere il povero senza che l'una mano sappia quello che l'altra avrà dato; e dovete massimamente usare molta delicatezza verso i poveri vergognosi, le donne timide e i novizi nel crudele tirocinio Nel crudele tirocinio, nel crudele esperimento. della povertà. Questi sventurati, rattenuti da un sentimento superiore a quello della fame, morirebbero sul loro meschino giaciglio piuttostochè andare a stendere la timida mano per implorare una carità incerta; ma voi sappiate prontamente far verso di loro quei passi ai quali non sareste obbligate se non fossero in così deplorabile stato, e studiatevi di confortari, con riguardi e premure sollecite: e recando sollievo al loro infortunio, badate che per cagion vostra il rossore non abbia a coprire la loro fronte. Vi sono peraltro molte miserie, a cui non è possibile recar soccorso segretamente; ed allora unitevi con spontaneo e modesto zelo a quelle pie associazioni, che hanno per oggetto di soccorrere il prossimo; siate prodighe dei vostri consigli e degli averi che a tale oggetto potete destinare, e non vi lasciate mai scoraggiare dalle difficoltà dell'impresa o dai sarcasmi dell'avarizia. Dobbiamo: Mostrarci benevoli verso gli sventurati; soccorrere la miseria senza umiliarla; tenere occulti i benefizi, e farli con accorta delicatezza quando si tratta di poveri vergognosi; far parte volentieri ed efficacemente delle associazioni caritalive. Non dobbiamo: Contentarci di fare sterili elemosine; offendere la sventura con insolente e stolta arroganza; nè rinunziare all'esercizio della beneficenza ancorchè talora avvenga che sia corrisposta da ingratitudine.

Pagina 82

Nuovo galateo

189559
Melchiorre Gioja 3 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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.° Tra le attitudini ridicole « singolarmente significante » é una testa, che, mal potendo reggersi » sul collo, si abbandona affatto penzoloni sul » petto; le labbra mezzo aperte lasciano a grado » suo pendolo anche il mento, gli occhi sono incavati, » mezzo velati dalle palpebre, le ginocchia » un po' piegate, il ventre sporgente, i piedi » volti in dentro, le braccia spensolate, sciolte o » imbisacciate nelle tasche dell'abito. Chi non indovina » a prima vista in questi lineamenti un' anima » senz'attivita, senz'energia di sorta, o per » dir meglio un corpo senz'anima, dove non è più » alcun vigore a contrarre i muscoli e reggere e mover » le membra come conviensi? Appena la più » stupida umana creatura può atteggiarsi in cotal » guisa priva d'animo e d'ogni attiva significazione ». Idem Faccio uso dell'elegantissima traduzione del signor dottor Rasori. 2.° V'ha chi nel sedere

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L'uomo, naturalmente, rozzo, personale, semi barbaro, si dirozza, si umanizza, ingentilisce sotto l'influsso della ragione sociale, come il metallo abbandona la ruggine sotto l'azione del pulimento. I principii della ragione sociale sono: 1.° Esercitare i propri diritti col minimo dispiacere degli altri; 2.° Rispettare i loro diritti, ancorchè dannosi a noi stessi; 3.° Riconoscere il loro merito, benché fossero nostri nemici; 4.° Non far loro del male senza giusto motivo e legittima autorizzazione; 5.° Promuovere il loro bene anche con sacrifizio del nostro; 6.° Rinunziare a risentimenti momentanei che frutterebbero dispiaceri futuri maggiori; 7.° Sacrificare le affezioni personali all'interesse pubblico; 8.° Conseguire il massimo vantaggio pubblico col minimo danno de'membri della società. La civilizzazione consiste dunque nelle vittorie che ottengono i principii della ragione sociale sugl'impulsi disordinati della natura: per esempio, la natura irritata ci stimola ad ammazzare il nemico anche quando non può offenderci; all'opposto la ragione ci dice di non fare al nemico quel male che alla nostra difesa sarebbe inutile. I motivi per cui seguir si debbono i principii della ragione sociale, sono i seguenti: 1.° Il piacere che si gusta nel fare del bene agli altri o liberarli da' mali; 2.° I servigi che possiamo sperare da quelli cui venne da noi fatto qualche bene; 3.° La stima pubblica che corona le persone benevoli; 4.° Le cariche e gli onori che esse possono sperare da' governi saggi; 5.° Le ricompense religiose promesse a quelli che fanno del bene al loro prossimo. La pulitezza è un ramo della civilizzazione: ella consiste nell'arte di modellare la persona e le azioni, i sentimenti e il discorso in modo di rendere gli altri contenti di noi e di loro stessi, ossia acquistarci l'altrui stima ed affezione entro i limiti del giusto e dell'onesto, cioè della ragione sociale. Siccome non possiamo far nascere eletti fiori, moltiplicarli ed abbellirne il suolo con ogni maniera di coltura, cosi non è possibile di svolgere nell'altrui animo la stima e l'affezione verso di noi con ogni sorta di mezzi. La pulitezza non è dunque un cerimoniale di convenzione, come più scrittori opinarono; i suoi precetti non si attingono da'capricci variabili dell'uso e della moda, ma da' sentimenti del cuore umano, i quali a tutti i tempi e a tutti i luoghi appartengono. Di tale proposizione salta agli occhi la verità, allorchè si pongono al vaglio i motivi per cui alcuni atti ottengono lode di puliti, ed altri come impuliti son condannati. Anche il contadino, a modo d'esempio, s'affretta a raccorre una moneta od altra cosa che vi è fuggita di mano; egli si abbassa, onde togliere a voi l'incomodo d'abbassarvi: ci è qui un risparmio di pena nell'esecuzione d'un desiderio; e questo risparmio non è figlio di stabilita convenzione, ma dell'indole delle nostre facoltà. Allorchè, al teatro, quelli che si trovano nelle file posteriori gridano a quelli delle anteriori, levatevi il cappello, lo fanno forse per convenzione? No certo. Il desiderio di partecipare al comune spettacolo è ragionevole e legittimo, come ragionevole e legittimo si è il principio che il piacere della maggior parte non debb'essere distrutto dalla minore, nè dimezzato. Nel codice della pulitezza v'ha certamente alcune pratiche arbitrarie e convenzionali, come ve n'ha ne'codici civili; ma la massima parte dei precetti a risparmiare sensazioni incomode o memorie afflittive, e produrre idea lusinghiere o piaceri morali, è diretta. Si può riguardare come convenzionale, a cagion d'esempio, l'uso europeo che, per torre di mezzo le dispute, guarentisce il diritto di restar sul marciapiede a chi ha la destra verso il muro; giacchè quasi con uguale ragione si poteva lo stesso diritto alla sinistra guarentire. Ma questa convenzione alla legge del comodo e dell'incomodo va soggetta. Infatti camminando voi a cavallo con persona più meritevole parimenti a cavallo, la convenzione vuole che le lasciate la destra e siate qualche passo indietro. Nel caso però che la strada fosse alquanto sdrucciola o sassosa a destra, voi dovreste cambiar luogo; e se il vento cacciasse contra il vostro compagno la polve sollevata dal vostro cavallo, voi, in vece di stare indietro, dovreste procedere avanti. Per la stessa ragione sarete il primo a tentare il guado d'un fiume e a passarlo, sì per servire di guida al compagno, e si per non aspergerlo d'acqua o di fango. Si vede spesso la convenzione cedere al comodo negli stessi usi che da'carrettieri, cocchieri, postiglioni si osservano. Infatti una vettura, per esempio, la quale stia aspettando d'essere caricata o scaricata, benchè abbia il muro alla sua sinistra, costringe quelle che vanno o che vengono a scostarsi dalla loro linea, e talvolta a retrocedere; giacchè se ella dovesse moversi, a misura che un'altra sopraggiunge, si renderebbe talvolta il carico e lo scarico impossibile. Se si riduce la pulitezza a pratiche arbitrarie e convenzionali, più inconvenienti ne emergono: 1.° La pulitezza perde qualche grado di pregio; 2.° Riesce più difficile ad appaiarsi e ritenersi; 3.° Sorgono dubbi in ogni nuova combinazione di cose; 4.° Mancano le norme per giudicare gli usi e le consuetudini. Per le cose dette è chiaro che la pulitezza, considerata nel suo scopo e ne'suoi mezzi, non differisce dalla morale, fuorchè nella gradazione. Chi, per esempio, dà un bicchiere di vino a persona assetata, eseguisce un atto di misericordia; chi dà la chiave del suo palchetto a chi brama d'assistere ad una rappresentazione teatrale, eseguisce un atto di pulitezza. Nell'un caso e nell'altro v'è cessazione d'un dolore o soddisfacimento d'un bisogno; ed è questo dolor cessato che costituisce il principal merito dell'azione. Nel 1.°caso v'è un dolore più forte; men forte nel 2.°: ma il più e il meno non cambiano la specie. Voi che mi negate 20 lire di cui mi siete debitore, venite accusato d'ingiustizia, perchè mi private de'piaceri che colle 20 lire potrei procacciarmi. Voi scrivete senza motivo ragionevole cinque ponderose lettere ad un povero uomo , e lo costringete a pagare 4 lire per ciascuna, sicchè il danno ch'egli ne sente sale in tutto a lire venti; ciascuno vi taccerà d' indiscrezione, d'inurbanità, non già per convenzione, ma pel danno suddetto che nell'uno caso e nell'altro è uguale; anzi suoi essere maggiore nel secondo, giacchè il dispiacere di sborsare, in parità di circostanze, è maggiore del dispiacere di non ricevere. Le virtù vincono in grandezza e, per cosi dire, in peso la pulitezza; ma questa vince quelle nella frequenza de'suoi atti. Non è possibile nè a tutti nè sempre d'essere generosi; ma è possibile a tutti e sempre d'essere puliti. L'occasione d'esercitare modi gentili si rinnova parecchie volte alla giornata, sicchè la frequenza all'importanza supplisce. In somma la pulitezza è il fiore della morale, la grazia che l'abbellisce, il colore che amabile la rende ed amena. Fa d'uopo confessare che la pulitezza non sempre si presenta abbracciata alla morale; e l'uomo più pulito non è sempre il più morigerato. Il popolo chinese è il popolo più cerimonioso, e nel tempo stesso il più falso tra quanti vivono sulla terra; e, senza andare alla China, ciascuno giornalmente s'avvede che con gentilissimi complimenti sanno titillare l'altrui amor proprio anco gli scroccatori di professione. Quindi un illustre scrittore italiano dice: « Altro infine non è » la pulitezza che l'arte d'ingannare sè medesimi » coll'apparente sacrifizio della propria all'altrui » volontà, talchè non è raro che gli uomini » più puliti siano i più perfidi. Alle quali lagnanze si può andare incontro colle seguenti considerazioni: 1.° Una bella pittura può sussistere sopra un muro fracido, sdruscito, cadente: questa combinazione di cose scema forse il pregio generale della pittura? Le monete false, che non di rado sulla piazza appariscono, distruggon forse l'utilità e la necessità delle monete legittime? Perché la vipera s'asconde talvolta fra l'erbe e i fiori, cessiamo noi di pregiare i fiori e l'erbe? Spogliandoci de' modi gentili, e l'apparenza assumendo o la realtà della rozzezza, ci allontaniamo noi dalla perfidia? Un vizio divien forse manco nocivo, a misura che con maggiore sfacciataggine ed impudenza si mostra? 2.° Parecchi de'nostri sentimenti, se compariscono alla luce, offendono gli astanti, o ci fanno scopo all'altrui motteggio: l'arte che c'insegna a velarli non sarà ella un'arte stimabilissima? Infatti molti litigi che dividono le famiglie, molti odii che covano nell'animo i cittadini, la maggior parte de'duelii che alla giornata succedono, da un detto offensivo, da un atto impulito, da una semplice mala grazia traggono non di rado origine.

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IL nuovo bon ton a tavola e l'arte di conoscere gli altri

190597
Schira Roberta 2 occorrenze
  • 2013
  • Salani
  • Milano
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La mente, distratta dalla ritualità legata al cibo, manda messaggi non filtrati dalle sovrastrutture, poiché a tavola la maggior parte delle difese psicologiche che ci accompagna durante la giornata ci abbandona temporaneamente. Stare seduti l'uno di fronte all'altro o magari accostati e condividere il cibo fanno sì che i commensali vivano un'esperienza corale. Le cronache sono ricche di fatti che denunciano la maleducazione imperante nei confronti del prossimo, dell'ambiente, dell'avversario politico, del diverso, dell'anziano, dello straniero. Maleducazione che si manifesta chiaramente nel comportamento e nel linguaggio, ma ancor più platealmente a tavola. Un attento osservatore dotato di un minimo di perspicacia sarebbe in grado, se non proprio di delineare il profilo psicologico di ciascuno dei commensali, almeno di raccogliere un buon numero di indizi. Il nostro comportamento a tavola parla per noi, ci rivela, ci smaschera. Come la ricchezza del nostro vocabolario, la proprietà di linguaggio, la padronanza della sintassi manifestano il livello culturale, così il nostro modo di stare a tavola ci racconta, parla per noi. Rende pubblica ogni lacuna, ci esprime, manifesta le nostre radici culturali, la nostra estrazione, il nostro livello di evoluzione, le nostre abitudini familiari e soprattutto la nostra educazione, buona o carente che sia. Con un po' di esercizio si arriva a cogliere l'aggressività che c'è in noi, le abitudini alimentari dei nostri genitori, il tenore di vita e il grado di serenità della nostra infanzia. Non a caso il livello di civiltà e culturale di un popolo si evince soprattutto dal comportamento a tavola. Lina Sotis, madrina del bon ton italiano, che ha divulgato attraverso i suoi libri, dice: «Al primo sguardo capisci quanti soldi ha una persona; al secondo da quanto tempo»; la frase è perfetta anche in ambito conviviale. Se vuoi sapere tutto di una persona mangia con lei almeno una volta e, volendo spingersi più in là, si potrebbe dire: «È azzardato iniziare una relazione con un uomo senza averci mangiato insieme almeno una volta». La tavola diventa il luogo privilegiato per il denudamento dell'altro, il palcoscenico delle nostre altitudini, ma anche delle nostre bassezze. Come credete che si comporterà un uomo tra le lenzuola dopo che lo avete visto mangiare così velocemente da non assaporare un solo boccone? Come potrà essere attento alle vostre esigenze in futuro se non arriva neppure a versarvi da bere durante una cena? Cosa pensare di una graziosa fanciulla che a tavola mangia come un passerotto e sta tutto il tempo a sbirciare nei tavoli vicini? E ancora, cosa deducete se un vostro candidato tratta con disprezzo il personale di servizio al ristorante? O se il vostro futuro socio in affari casualmente dimentica ogni volta il portafogli al momento di pagare il conto? E che sorpresa se l'amica conosciuta in ascensore e subito invitata a cena quasi per dovere mangia come una regina, vi conquista al primo appuntamento. Pensate quanti indizi è possibile raccogliere su un partner da quando vi chiama per invitarvi a cena sino al momento in cui vi riaccompagna e arriva l'ora del bacio della buonanotte. Ecco perché è fondamentale procurarsi gli strumenti per capire. E questi strumenti sono la conoscenza delle regole e il linguaggio del corpo: insieme si potenziano a vicenda. E proprio questa l'idea forte del libro, riuscire a «leggere» l'istinto, cioè il corpo che parla e nello stesso tempo individuare il galateo, cioè quanto l'ambiente e la cultura hanno depositato, la parte normativa, le leggi. La tavola è proprio questo: il tentativo di convogliare e di far coesistere istinto e legge. Mangiare insieme con consapevolezza è un'esplorazione affascinante che ci permette di indagare il nostro mondo e quello dei vicini. Alla fine di questo libro il lettore riuscirà a considerare il proprio commensale con occhi nuovi, non certo come un insetto da vivisezionare, o un soggetto clinico al quale fare una diagnosi, sarebbe troppo facile e riduttivo. Servirà a migliorare la comunicazione senza fraintendimenti approfittando di una situazione favorevole e intima come il mangiare insieme. Sapere ci assolve dall'imbarazzo di fronte a situazioni critiche. «Leggere» e conoscere meglio i nostri commensali è l'ideale per chi deve confrontarsi su questioni di lavoro, ma ancor più per chi deve scegliersi amici, futuri mariti, mogli e affini. Ma sarebbe utile che anche i colloqui di assunzione si svolgessero direttamente al ristorante. Perché il corpo non mente mai, questo dovete ricordarlo sempre. E un corpo a tavola è più libero di esprimersi che altrove. Il cibo diventa, ancora una volta, mezzo e non fine. Questo libro dunque sposta l'attenzione dal cosa si mangia al come. Ma ha ancora senso parlare di galateo? Ha anche più importanza di un tempo, poiché si moltiplicano le occasioni pubbliche nelle quali si evidenzia la differenza tra classi sociali e regole di educazione. La tavola è uno dei luoghi privilegiati e allo stesso tempo più temibili di «esposizione». Essere educati non costa nulla, e poi è provato che sia gli uomini sia le donne apprezzano nel partner appena conosciuto il rispetto delle buone maniere. Proprio nel momento delicato che stiamo vivendo è fondamentale stabilire delle regole per noi italiani, conoscerle e adeguarvisi: questo forse è il segreto perché una società civile funzioni al meglio. Probabilmente esiste un'attinenza tra la decadenza morale ed economica di un popolo e la sua maleducazione a tavola e l'eccessivo peso attribuito al cibo, ai banchetti e alla cucina. Ce lo insegna la storia: basti ricordare i complicati convivi dei ricchi romani a base di lingue di fenicottero e spezie costosissime durante la curva discendente del Mondo Classico, che si concluderà con la caduta dell'Impero romano d'Occidente (476 d.C.). Oggi sarebbe ridicolo imporre delle regole senza significato, ma come si dice: non c'è forma senza sostanza. La maggior parte delle regole del galateo risponde al principio del rispetto dell'altro e al buonsenso. È necessario operare una distinzione. Esistono regole più rigide che, benché denotino il nostro livello di istruzione, non turbano la pace altrui e non ledono i diritti degli altri. Altre che pregiudicano il benessere di chi ci sta intorno offendendolo o limitandone la libertà. Un esempio. Se parlo con la bocca piena o uso uno stuzzicadenti a venti centimetri dal mio commensale, ovviamente causo un senso di disagio e quindi limito la libertà altrui. Mentre, al contrario, se taglio con il coltello una frittata, cosa che il galateo non prevede, dimostro la mia ignoranza nel campo specifico, ma non disturbo i miei vicini di posto. Qui sta la differenza. La più celebre maestra di bon ton di casa nostra, oltre che ispiratrice della posta del cuore di tutti i periodici femminili, è stata Colette Rosselli, moglie di Indro Montanelli, che con lo pseudonimo di Donna Letizia ha educato generazioni di lettrici. Il suo Saper vivere, uscito nel 1960, è stato a lungo la «bibbia» dei beneducati, tanto da meritare un aggiornamento, nel 1990, Il nuovo saper vivere di Donna Letizia, nel quale scriveva: «Molti uomini considerano le buone maniere come un soprabito da indossare al momento di uscir di casa e da appendere all'attaccapanni appena rientrati». Parole sante. Se qualcuno vi ha realmente regalato questa dote di buona educazione, senza dubbio la porterete con tale spontaneità da usarla dentro e fuori casa. «La carne dovrebbe essere dura a letto e tenera a tavola». Questa frase di André Prévost introduce alla perfezione la conclusione di questo capitolo. Dopo i primi incontri a due in pubblico, dimenticate tutto quello che è stato detto sin qui in tono formale sulle regole del buon comportamento a tavola. Per la cena romantica e passionale, il segreto è: poco bon ton e tanta passione. Chi è dotato di immaginazione non avrà bisogno di suggerimenti ma, se può servire, ecco le regole della cena a due tra le pareti domestiche. È vivamente consigliato: mangiare con le mani; imboccarsi; cucinare insieme; amarsi in cucina; baciarsi durante il pasto. «Ho l'innocua mania di dare alle persone a cui voglio bene il soprannome di un cibo. Mio marito Carlo Ponti è sempre stato 'involtino', pietanza che mi piace come poche» dice Sophia Loren. Ecco, allentate le cravatte, abbandonate i bicchieri di cristallo, ogni tanto fatevi un bagno nell'istinto puro e selvaggio e sarà ancora più bello farlo con la compagna o il compagno di sempre. Parlate con la bocca piena, mugolate e date nomignoli rubati al lessico dei ricettari, sono tanto apprezzabili in privato quanto insopportabili in pubblico. Alessandra Graziottin, medico ed esperta in sessuologia, lo consiglia vivamente: «Questa società sta diventando frigida. Il sesso si fa virtuale, il cibo diventa fiction: tutta scena. Basti pensare ai nomi stupendi che tanti ristoranti coniano per cibi che poi risultano insipidi, o alla cura maniacale che si mette nella preparazione della tavola: in fondo tradisce un rapporto cerebrale con il piacere. Io, alle pazienti con problemi sessuali, prescrivo anche di mangiare con le mani. Se gusti la vita gusti anche il cibo». Imboccate, sporcatevi, trangugiate, centellinate, sbrodolatevi, mordicchiate: insomma, nell'intimità trasgredite anche le regole del buon comportamento a tavola. Proprio quelle che sono elencate in questo libro.

Pagina 12

È una piccola regola conosciuta solo dai veri gentiluomini, ma è molto chic: alzarsi in piedi quando una signora abbandona la tavola, come in una scena di Pretty Woman al ristorante.

Pagina 46

La giovinetta educata alla morale ed istruita nei lavori femminili, nella economia domestica e nelle cose più convenienti al suo stato

192140
Tonar, Gozzi, Taterna, Carrer, Lambruschini, ecc. ecc. 4 occorrenze
  • 1888
  • Libreria G. B. Petrini
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
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Per fondamento di vera fede dobbiamo tenere e credere che Dio, come benigno e pietoso padre, ha cura di noi, come ottimo governatore del mondo è sollecito di tutte le creature, e non abbandona mai chi ha vera fede in Lui. E quantunque l'uomo sia peccatore, nondimeno sempre Dio gli mostra la via della salute e prestagli tempo di tornare a penitenza: onde niuno, o giusto o peccatore che sia, si deve mai turbare di cosa che avvenga, se non quando per la colpa abbia macchiata l'anima ed offeso Dio col peccato.

Pagina 10

. - Atterrito il duca da siffatto valore, e dal quasi sovrannaturale eroismo, che sembra protetto da Dio, ordina che si levi il campo, e si dia onorevol sepoltura ai morti, indi abbandona il per lui infausto suolo il dì 23 luglio, andando a sfogar la sua rabbia contro il distretto Aretino, per mezzo delle devastazioni, del sangue e del fuoco. Ippolita non sopravvisse che di poco al magnifico trionfo del suo valore. Quasi che avesse speso in quei giorni tutto l'alimento del fuoco della sua vita, come se oramai più non le restasse, dopo avere operato tutto grandemente, null'altro di degno da fare per lei al mondo, moriva, e tornava al cielo, pari all'angelo delle battaglie, che adempiuti i voleri di Dio, e dispersi i nemici di coloro che volea vincitori, risale sereno e maestoso al loco da cui dianzi era disceso.

Pagina 22

Inconsapevole dei propri doveri, e ignara degli strepiti e delle cure mondane, s' abbandona a cheto sonno fra le braccia materne di provvidenza. Che se invece s'agiti fra i rimorsi della colpa o il fremito delle passioni, non ravviserete piuttosto in essa un'imagine di quella cateratta che sul morire del lago precipita spumeggiante e fremente nella valle sottoposta? Gli stessi augelli, raddoppiando il remeggio delle ali, ne volan via, e il pastore, facendosi schermo delle mani alle orecchie, le segna di lontano o fugge. Fugge egli e s'invola all'orribil rimbombo; ma mentre si caccia davanti il diletto gregge, ecco affondarglisi il piede, ed accorgersi, ahi ! troppo tardi, che le pecorelle corrono in fratta verso lo stagno in cui mette capo la palude che ora gli lega il passo. Morto quivi o languente è l'aspetto della natura: squallide ed irte di pungenti canne le rive, salmastre ed immote le acque, e dai crassi vapori ch'indi s'innalzano, l'aria si corrompe ed ammorba. Ma ben mille volte peggiore d'ogni stagno o palude è, o fanciulla, il tuo animo ove in sè accolga la malizia del peccato. Ne' tuoi sguardi brillava testè il sorriso dell'innocenza; adesso cupa, rannuvolata è la fronte, irrequieti gli atti, le parole o troppo melate o troppo iraconde. Oh! se non ti affretti a spigliarti dalla lurida pozza in cui, o sventurata, cadesti, vi resterai immersa per tutta la vita.

Pagina 341

Una fanciulla gentile non istà seduta tenendo le gambe distese ed incrocicchiate l'una sull'altra, e tanto meno ne mette una sul ginocchio per aver che fare nella scarpa o col piede ; non cava le scarpe per riscaldare le estremità dei piedi al camino, o per qualunque altro motivo alla presenza di chicchessia ; li lava sovente, massime d'estate, e rinnova spesso ai medesimi le calze e gli scarpini, onde non ammorbare col loro puzzo il luogo ove dimora, ed essere altrui di nausea; non si abbandona sulla sedia prendendo un atteggiamento ozioso, facendo pendere il corpo all'indietro. Non s'accoscia per terra, massime se ha le vesti corte, e tanto meno si siede come fanno alcune spensierate fanciulle senza aversi alcun riguardo, perché tutte queste cose non solamente sono incivili, ma ancora indecentissime. Nel camminare per la via od altrove non va troppo celere nè troppo lenta, quasi per farsi ammirare, imperciocchè è questo contrario alla modestia ; non dimena la persona in andando, perché la è cosa che non va bene; sì guarda dallo scalcagnare chicchessia, principalmente dove evvi folla eli gente; non vi dirò del trar calci, che è cosa da mulo, nè dello scorazzare per via od altrove in modo da assomigliarsi a zanzeri, non del dare il gambetto, ché una garbata e buona fanciulla non fa neanche per ridere, imperciocchè questo tratto, oltre d'essere molto inurbano, è anche pericoloso. La buona ragazza non zoppeggia per canzonare altro; che abbia questo difetto, perchè è ingiurioso e contrario all'amore del prossimo.

Pagina 95

Saper vivere. Norme di buona creanza

193215
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 2012
  • Mursis
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Le signorine, invece, hanno una lietezza a tutta prova, non s'incaricano di nulla, ballano con tutti, scherzando, trovando amabili tutti i loro cavalieri, per uno che le abbandona, sanno che ne troveranno dieci in cambio, trovano sempre grazioso il cotillon, non vanno al buffet se non per mangiucchiare dei dolci e intingere appena le labbra nello champagne, e dappertutto portano questo brio e questo entusiasmo, che sono il fascino di un ballo. Le giovani signore non possono fare questo simpatico chiasso, né sorvolare come farfalle, né abbandonarsi a tante danze, se no, sembrerebbero tante pazze o delle dame ridicole: esse debbono, al ballo, rappresentare la suprema beltà, la suprema squisitezza, ma debbono passare a traverso le feste come Dee, non saltellare, come le fanciulle. Un ballo, senza signorine, tutto può essere, salvo che allegro: e se è allegro, non è allegro bene.

Pagina 85

Marina ovvero il galateo della fanciulla

193663
Costantino Rodella 2 occorrenze
  • 2012
  • G. B. Paravia e Comp.
  • Firenze-Milano
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Un servo per poche lire abbandona la famiglia, che l'ha tolto fanciullo dalla strada! Avete tirato su una tapinella, vi siete tormentata per mostrarle a far cucina, a lavorar d'ago, a stirare, colla speranza di educarvela fidata alla vostra casa? Altri le fa brillare agli occhi un par di lirette di vantaggio, essa vi pianta lì su due piedi colla maggior indifferenza del mondo! È vero che si sarà dato con un dito nell'occhio e che non tarderà a pentirsene; perchè non troverà presso i nuovi padroni la benevolenza e la tolleranza di prima, e per poche monete avrà sacrificato il bello della vita. A ciò dovrebbero pur badare i servi, che un boccon di pane, mangiato colla pace in cuore, vale meglio che un ricco salario guadagnato col martirio dell'anima. Ma non è più il cuore, che diriga le azioni, è il tornaconto; onde sentite da tutte parti le signore lagnarsi, che in oggi non si trova più una buona serva. D'altra parte se si assistesse ai capannelli delle cuoche il mattino quando son per la spesa in piazza, dopo d'aver intesi i titoli di volubile, di superba, di maligna, di intollerante, di taccagna liberamente prodigati alle padrone, si sentirebbero tutte d'accordo in questa conclusione: oggi s'è spento il mondo de'buoni padroni. Un po' di ragione v'è da ambo le parti; perchè se in antico i servi erano di più buon comando e più affezionati ai padroni, anche i padroni erano meno volubili e meno caparbi, più benevoli e più giusti verso la servitù; e in quelle stesse leggende, che conservano tante abnegazioni di vecchi servitori, si trova altresì, che i più grandi uomini avevano pei loro servi un riguardo e una deferenza singolare; si trova che Michelangelo pianse alla morte del suo servitore; che Luigi XIV mostrò sempre molta riconoscenza verso il suo cameriere Laporta, che l'aveva cullato bambino; che S. Francesco di Sales trattava con infiniti riguardi il signor Michele, suo fante; e potrei continuare la storia, se non temessi la noia. La signora Bianca aveva due persone al suo servigio, la cuoca e la governante; le qualità che essenzialmente esigeva da loro erano: onestà, fedeltà e ubbidienza; per il resto era molto indulgente. Nessuno è senza difetti, diceva, e più n'ha chi meno è educato; e con che giudizio potremo noi esigere tante virtù ne' servi? Chi fa i servi, soggiungeva, sono i padroni; quando la signora è disuguale, capricciosa, vuole e disvuole, comanda e poco dopo leva il comando; a volte tollera eccessivamente, a volte per un nulla imbizzarrisce; fa le sue intime confidenze alla fante, si fa dar la mano in certi intrighi, e simili cose; stia pur certa che non sarà più essa al comando; ma dovrà sottoporsi alle più dispiacevoli umiliazioni. Tenete la servitù al suo posto, e state tranquille, che vi saprà stare. Aveva a ciascuna segnata la parte sua, nè lasciava che l'una mettesse il naso nell'attribuzione dell'altra, non soffriva nessun pettegolezzo, la cuoca comandi in cucina, la governante in guardaroba. Giusta conoscitrice de' lavori e delle fatiche, le retribuiva convenientemente; non faceva mai aspettare il salario; imparziale sempre sapeva a tempo dare premi e rimproveri; non comandava mai cose che fossero superiori alla loro capacità; non le obbligava a prolungare le loro veglie, e quando doveva andare al teatro, a' balli, per cui dovesse star fuori fino ad ora troppo tarda, perchè non dovessero sacrificare il riposo a' suoi divertimenti, non voleva punto che l'aspettassero alzate; faceva allestire tutto prima, e poi colla sua chiave in tasca rientrava senz'altro bisogno. Povere fantesche! poveri servitori! esclamava essa, che piene di sonno e di freddo devono tutte le sere aspettare i padroni, che non han ora di ritorno, e il più indugiano oltre la mezzanotte! e la dimane guai se per empissimo non sono in ordine! Dov'é la giustizia! Son carne ed ossa come voi; anche su di essi la natura fa sentire i suoi imperiosi bisogni; che almeno abbiano il necessario riposo! Oltreciò presso di lei le serve si risentivano dell’agiatezza l'agiatezza della casa; avevano un cibo semplice, ma abbondante; nelle feste di famiglia anche la loro tavola gioiva di qualche boccone più ghiotto, di qualche vino più generoso; onde la gioia de'padroni si spandeva anche sulla servitù. Avevano una cameretta aerata e sana, un letto pulito e conveniente. Si è per questo, che non cercavano di andar via, ma servivano volentieri; prevenivano i padroni in quel che sapessero tornar loro gradito; insomma erano affezionatissime alla casa. V'ha padroni che si procurano tutte le morbidezze, le raffinatezze della vita, e costringono i servi alle più dure necessità; li fanno dormire in anditi o bugigattoli senz'aria e senza luce, sur un letto che ha del canile; loro misurano uno scarso e cattivo nutrimento, negano un po' di vino; a volte debbono i poveretti assistere ai lauti pranzi, e nulla di quella grazia di Dio viene a rallegrare il loro palato. Come volete che si affezionino a voi, alla vostra casa, quando li trattate sempre come estranei? All'occasione la signora Bianca non mancava di un consiglio, di un servizio, di una protezione, aveva riguardi alla loro salute; e nel pagar loro il salario consigliava di non sciuparlo in futilità, in vano lusso; ma collocarlo nella Cassa di risparmio, per formarsi un capitaletto nella vecchiaia; e così le avvezzava all'economia, allo sparagno. Del resto non si perdeva mai in conversazioni inutili con loro, non affidava nessun segreto di famiglia, per leggiero che fosse; non prestava orecchio alle loro ciarle, ai loro si dice. Vegliava anco sulle loro pratiche di pietà, e qualche volta li istruiva essa stessa sui fondamenti della religione; non le voleva spigolistre o mangiamoccoli, ma sinceramente devote; perchè s'era persuasa che senza timor di Dio non c'è vera bontà e fedeltà ne' servi. Esercitava una sorveglianza continua anche nelle piccole cose, si faceva render conto di tutto fino al centesimo. Non consegnava mai troppo danaro in una volta alla cuoca, e dì per dì, com'era di ritorno dalla piazza riconosceva la spesa. Pigliava il suo libro di cucina e da Marina faceva notare gli oggetti comprarti, mentre essa li riscontrava uno per uno; la distinta stessa de' piatti veniva da lei ordinata ogni giorno. A volte Marina s'intratteneva ad aiutare la cuoca, perchè la madre le diceva, che una buona massaia deve intendersi anche un po' di cucina; e per vero dire, la figliuola aveva imparato tanto da non trovarsi impacciata in un'occorrenza ad ammannire un desinaretto di parecchi serviti. Ma si badi che essa aveva riguardo di non rendersi mai importuna o d'ingombro, come qualche ragazza fa, che corre in cucina non per dar aiuto, ma per impacciare e confondere la servitù, e qualche volta, un po' ghiottoncella, per assaggiare qualche manicaretto. La signora Bianca aveva anche l'abito di fare di quando in quando le sue ispezioni se gli arnesi di cucina erano a posto e lucenti, se la biancheria era in ordine, stirata e ripiegata, se le vesti ben governate. Una volta per anno poi, se non v'era bisogno più spesso, faceva l'inventario generale di quel che era in casa, e, non fa mestieri il dirlo, Marina le faceva da segretario. Aveva un libro su cui era notato capo per capo tutta la biancheria, il numero delle lenzuola, delle coperte, delle coltri e coltroni, delle camicie, ecc.; le tovaglie e tovagliuole per tavola; l'argenteria, il vasellame, tutto insomma. Man mano che si faceva un acquisto, subito lì a segnarlo nel catalogo, e badava se ciascuna serie di oggetti era completa e a posto, se qualcheduno aveva mestieri di riparazione. I1 che voleva anche dir molto per tener le serve sull'avviso, e levava via fino la tentazione dell'infedeltà. Nè si creda che questo richiedesse troppo di tempo; men di mezz'ora al dì per il riscontro giornaliero, e un paio di giorni all'anno per l'inventario. Marina sapeva pur essa rendersi accetta e rispettata dalle serve; ma essa non comandava arrogantemente, non si scapricciava a farle immattire in cose inutili, non le derideva, non le avviliva mai; le aiutava in quel che poteva, ma punto confidenze. Vi sono ragazze che trattano con le serve, come con una compagna, giuocano, scherzano, motteggiano insieme e poi per una piccola cosa che non sia a filo, si sbracciano in improperii, in nomi villani, in imprecazioni, e non la finiscono più di gridare. Fa stizza poi veder ragazzine tant'alte, che sembrano vipere colle serve; comandano a bacchetta, rimproverano con asprezza, con alterigia e in faccia alle genti, per far mostra di potenza e superiorità, dànno ordini severi, minacciano brutalmente, alzano la voce, vituperano senza bontà! È un terribile anacronismo una ragazzetta di otto anni minacciare e rampognare severamente una povera vecchia fante! Ve n'ha di quelle che per uggia, che hanno contra la serva, fanno delle accuse non vere ai genitori per il maligno talento di farla strapazzare; Marina diceva che fanciulle tali non hanno carità cristiana, nè ombra di creanza (1).

Pagina 127

Pagina 34

Nuovo galateo. Tomo II

194197
Melchiorre Gioia 3 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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L'amor proprio, che non abbandona gli uomini se non quando essi abbandonano la vita, fa loro temere sopra ogni altro male la derisione, e scuote loro didosso l'indolenza, e delle più care follie gli spoglia per non rimanere esposto ai frizzi del ridicolo, il che spesso non ottiene la più lampante verità ed agguerrita ragione. Se Aristofane avesse dato agli Ateniesi in una concione quegli ammaestramenti che diede loro nelle commedie, l'avrebbero tagliato a pezzi; laddove in teatro ridevano smascellatamente e dicevano ch'egli aveva ragione. Benché i Gentili avessero veduto Cicerone assalire l'edificio dell'idolatria con armi prestategli dalla filosofia, pure non sapevano indursi ad abbandonarne i tempii. Comparve in mezzo d'essi Luciano, il quale fece la guerra al gentilesimo col motteggio, e se non ne distrusse gli altari, ne disperse in gran parte gli adoratori. ll buon senso aveva già proscritto le pazzie cavalleresche in Ispagna, pria che nascesse Cervantes; ma quella nazione non riuscii a spogliarsene se non dopo che egli ebbe presentato al pubblico il suo ridicolissimo Don Chisciotte. Tanto é vero ciò che dice Orazio:

Pagina 144

Pagina 154

Pagina 36

Le buone usanze

195816
Gina Sobrero 1 occorrenze
  • 1912
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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Ma è altrettanto sconveniente quella che per pompa di religiose non sempre profondamente sentita, si percuote il petto, batte la fronte sui gradini dell'altare, biascica preghiere ad alta voce, si abbandona infine a manifestazioni esagerate tollerabili tutt'al più nel popolino, e ancora solo di certe tali provincie. Se un uomo od una signora debbono mostrarsi corretti davanti ai loro simili, posti più in basso o più in alto della scala sociale, tanto maggiormente s'impone loro questo dovere davanti alla maestà di Dio, alle immagini di qualunque genere che lo rappresentano. La prima di queste funzioni religiose cui prende parte l'uomo nella vita, è per noi cristiani, il battesimo. I genitori del nuovo nato, debbono aver pensato prima della sua venuta al mondo, alla scelta di un padrino e di una madrina, onde non metterli nell'imbarazzo all'ultimo momento. La scelta del nome va fatta non solo con affezione, ma con criterio e buon senso: è supponibile, per esempio, che il padrino o la madrina siano afflitti da uno di quei nomi che, pur venerabili, si prestano al ridicolo; naturalmente non è facile rifiutare d'includere questo nome, ma si può, con tatto, esprimere il desiderio che al fanciullo venga dato il nome di un parente caro o di un santo specialmente venerato. Nell'invito a battezzare il bambino, i coniugi devono informare reciprocamente il padrino o la madrina della scelta fatta, onde evitare di mettere a contatto due persone che per ragioni imprevedibili possono mutualmente dispiacersi. Al padrino od alla madrina incombe l'obbligo morale di manifestare la soddisfazione dell'onore ricevuto con qualche regalo: regalo al neonato, regalo alla puerpera, regalo alla donna che presenta il fanciullo al sacro fonte, regalo alla chiesa dove ha luogo la funzione. Non bisogna però che l'idea di tale usanza influisca sull'accettare o no l'incarico affettuoso e gentile; in questa come in tutte le circostanze della vita dobbiamo avere il coraggio della nostra posizione; se non possiamo tenerci nella regola, dobbiamo pensare che quel babbo, quella mammina ci conoscevano già prima e se ci vollero a parte della loro grande felicità, non fu nella prospettiva del regalo, ma perchè sulla piccola culla scendessero uniti ai loro i nostri voti bene auguranti. Nella scelta dei regali è di guida, oltre la posizione finanziaria delle due famiglie, il grado di intimità che le unisce. I parenti, gli intimissimi amici possono offrire degli oggetti anche ricchi ma utili, mancherebbe di tatto un estraneo regalando alla puerpera un abito fosse pur di broccato; però se questa puerpera è una donna poco provvista di mezzi, non sarà inopportuno offrirle uno di quegli oggetti di utilità superflua che forse ella non potrebbe mai procurarsi. Se il padrino o la madrina hanno una carrozza propria la metteranno a disposizione dei loro amici per portare il neonato alla chiesa, altrimenti è incarico di questi provvedere un servizio di vetture. Se un ricevimento segue alla funzione religiosa, è cortesia invitarvi il sacerdote che ha ufficiato; egli ha il posto d'onore qualunque sia l'importanza delle persone presenti. Facendo inviti ufficiali per la cerimonia, occorre lanciarli in tempo come per qualunque altra festa e si risponde al solito sia accettando sia rifiutando l'invito. Gli uomini indossano per questa cerimonia la redingote o l'abito di società a seconda della sua importanza; le signore hanno delle toilettes eleganti da visita; sarebbe ridicolo presentarsi ad un battesimo in décolleté. Il padrino sovente offre alla madrina un dono in ricordo dell'atto che hanno compiuto insieme, promettendo di proteggere, di vegliare la piccola creatura appena entrata nella vita. Si è stretta fra loro una specie di amichevole fratellanza che sovente si trasforma in un più tenero sentimento, e una gentile leggenda vuole che l'amore nato così intorno ad una culla porti fortuna alla coppia futura. Più solenni, ma prive affatto di mondanità sono le cerimonie che accompagnano la prima Comunione e la Cresima dei fanciulli. Sovente le due cerimonie hanno luogo nello stesso giorno, sono d'altronde simili le convenzioni per quanto entra nel nostro argomento. Poichè un bimbo, una fanciulletta si preparano a ricevere i due Sacramenti, dobbiamo credere che essi appartengano a famiglie credenti. È vero peraltro che molti genitori fanno e fanno fare ai loro figliuoli per snobismo cose che sono poco in armonia coi loro sentimenti. È in ogni modo di cattivo gusto, il mostrare di dar poca importanza ad atti che devono rimaner solenni nella vita, l'irridere alla devozione, al raccoglimento delle piccole anime tutte comprese del grande avvenimento. L'abito che indossano i giovinetti per la prima Comunione o la Cresima se non è l'uniforme dell'istituto della scuola cui appartengono, sarà, per la fanciulla, di mussola bianca senza guarniture, senza cianfrusaglie; per i maschi, l'abito stesso che essi indossano per le grandi solennità, il migliore del loro guardaroba. Anche i poverelli dànno a questa giornata, che prima attraversiamo nella vita colla coscienza della sua importanza, la maggior solennità possibile, però ogni affettazione nell'acconciatura, ogni sfoggio di eleganza volgare, è prova di cattivo gusto, di leggerezza da parte, non già dei fanciulli, ma dei loro genitori, di chi ha cura della loro educazione. Non si fanno inviti per assistere a queste cerimonie d'indole puramente religiosa, però le signore che vi intervengono indossano un abito elegante da visita; gli uomini sono in redingote e cappello a tuba. Il contegno di questi comunicandi, mi pare quasi inutile il dirlo, deve essere correttissimo, lontano tanto dalla ostentata disinvoltura, come dalla soverchia manifestazione di sentimenti che, per quanto nobilissimi e comprensibili, perdono della loro serietà e poesia quando li diamo in spettacolo al pubblico. I regali più adatti a ricordare la solenne giornata sono naturalmente gli oggetti di devozione: immagini sacre, libri di preghiera, corone del rosario più o meno ricchi a seconda della posizione di ognuno. Non so perchè non si offrirebbe a questi fanciulli un gioiello, un oggetto di valore che rimanga a rammentare tra le avventure della vita questa serena ora di gaudio, ma mi parrebbe fuori posto, anzi sconveniente, regalare ad una giovinetta un abito da ballo, un cappello dalle penne pompose; ad un fanciullo, un bronzo artistico di soggetto profano. I nuovi comunicandi mandano ai loro superiori, agli amici un'immagine simbolica della circostanza che ha sul verso il loro nome e la data commemorativa. Passo sul modo di comportarsi in chiesa sia per ciò che riguarda gli sposi, sia per gli invitati durante la funzione che accompagna il matrimonio, poichè di essa ci siamo già diffusamente occupati in questo volume e vengo ad un'altra funzione, pur troppo assai dolorosa, ma alla quale talora non possiamo mancare dall'assistere: messa funebre o benedizione del feretro in chiesa. I parenti stretti del defunto, specialmente le signore, come già accennai a proposito dei lutti, non prendono parte al corteo, assistono, se ne hanno la forza, alla lugubre cerimonia in chiesa ed allora vi si recano in lutto strettissimo, in carrozze chiuse e si riuniscono in una cappella speciale o nei posti a loro destinati attorno al feretro. Nessuno saprebbe condannarli se incapaci di resistere alla emozione di quell'ora rimanessero in casa, ma sarebbe di cattivo gusto se si abbandonassero a singhiozzi clamorosi, a sfoghi di un dolore che, comprensibile e santo, deve avere però il suo pudore, non va dato in pasto alla curiosità, alle chiacchiere della gente. Anche gli estranei assistono vestiti a lutto ad un funerale: gli uomini indossano la redingote, la cravatta sera e il cappello a tuba, le signore un abito nero o per lo meno di tinta oscurissima. Chiacchierare durante il servizio religioso fosse anche per tessere le lodi del defunto, mostrarsi distratti, indifferenti, annoiati, sono mancanze gravi di educazione. Chi appartiene ad una religione diversa da quella nella quale si celebra il rito, ha doppio dovere di rispettare rigorosamente il cerimoniale giacchè si trova doppiamente davanti ad estranei. Tutte le spese del funerale, non ho bisogno di dirlo, incombono ai più stretti parenti del defunto o ai suoi eredi, gli invitati non lasciano mancie alla chiesa, nè debbono darle al personale di servizio della funzione. Altre funzioni di ordine quasi esclusivamente mondano ha la chiesa nelle quali occorre sapersi convenientemente comportare onde non confondersi col popolo fanatico e ineducato: voglio alludere alle grandi funzioni religiose che si celebrano a Roma. Grazie alla facilità dei mezzi di trasporto moderni, alle frequenti riduzioni dei biglietti ferroviari, non c'è nessuno che sia per devozione, sia per semplice curiosità non voglia, recandosi a Roma, visitare il Santo Padre, non voglia assistere a qualcuna delle grandi cerimonie che hanno luogo a San Pietro o nelle varie cappelle vaticanesche. L'abito nero è di prammatica in simili circostanze per gli uomini, come per le signore; un uomo indossa la redingote se non occupa un posto distinto chè, se è ricevuto in udienza speciale dal Santo Padre o se occupa un posto di tribuna, un seggio speciale, indossa l'abito di società come per i grandi ricevimenti mondani. Le signore vestono in nero più o meno elegantemente secondo la loro posizione e il loro gusto; portano tutte il velo nero invece del cappello, tolgono i guanti, dànno poca prova di poco buon senso sfoggiando acconciature troppo originali, scollacciature, trasparenti provocanti, dimenticandosi infine di trovarsi non solo davanti ad un Sovrano, ma al rappresentante di Dio. Papa Pio X ha escluso il bacio alla sacra pantofola; tutti però si inginocchiano e baciano con reverenza, senza stringerla con la destra, la mano che porge l'Ospite Augustissimo. Chi per i proprii principii non sa adattarsi a quest'atto di umiltà, si astenga dal presentarsi alla Corte pontificia, ma se ha sollecitato l'onore di un ricevimento, si comporti come impone l'etichetta, come usano le persone educate. Le domande di udienze private si rivolgono al Ministro dei Sacri Palazzi o al Vescovo della propria diocesi che le trasmette alla Santa Sede. La maggior devozione, l'emozione più profonda non giustificano certe escandescenze, certe chiassose manifestazioni che sono di un pessimo gusto e non ne raccomandano certo gli autori alla Sacra persona che li accoglie.

Pagina 199

Galateo morale

196846
Giacinto Gallenga 1 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
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Se il consumatore turbato nelle sue consuetudini o stizzito delle vostre pretese si pone in isciopero anch'egli ed abbandona i vostri prodotti? Se il pubblico che vi faceva vivere, invia d'or innanzi le sue commissioni ai fabbricanti stranieri? Non v'ha più alcuna legge che costringa i consumatori a provvedersi in paese. Non è molto, lo sciopero dei cappellai a Parigi diede origine ad una enorme importazione di cappelli inglesi e lo sciopero dei carrozzai fruttò commissioni rilevanti a quelli di Brusselle». (ABOUT, L'abbicì di chi lavora).

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Come presentarmi in società

199861
Erminia Vescovi 2 occorrenze
  • 1954
  • Brescia
  • Vannini
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Nel sedere, una persona veramente ben educata non accavalla le gambe, non si pone obliqua, non si abbandona sulla spalliera, non si dondola sulla sedia, con manifesta noncuranza dei presenti. Questi modi scorretti, una volta severamente proscritti, sono stati recentemente adottati... chi lo direbbe mai? dal sesso gentile. Una donna saggia e onesta non si mostra mai in una posizione indecorosa, perché sa che sopra il capriccio momentaneo della moda, a cui ciecamente sacrificano le teste leggere, ci sono le leggi inviolabili del pudore e del riserbo. E sa anche che la vera eleganza sta nella compostezza e nell'armonia delle attitudini e delle movenze. Quindi, ad esempio, una signora sedendo non accavallerà le gambe, a meno che l'ampiezza e la lunghezza della sua gonna siano tali da consentirle quella posa senza farle perdere nulla di quella compostezza e di quell'armonia. Alcuni hanno in questo un dono innato di grazia: tutto in loro è disinvolta eleganza, nessuna delle loro mosse è soverchia o impacciata, non mai troppo rapida nè troppo lenta, non mai angolosa e affettata. Di costoro bisogna dire come fu detto della poesia:

Nei teatri popolari, il pubblico si abbandona più facilmente alla manifestazione clamorosa delle sue impressioni. E passi pure per gli applausi e le esclamazioni, e non ci faccia sorridere di meraviglia scherzevole l'ingenua commozione di qualche buona donna che piglia proprio sul serio la faccenda e piange e freme... Ricordiamo il grazioso sonetto di Neri Tanfucio, in cui il pubblico inveisce contro il tiranno, all'Arena. Fin qui, niente di male. Ma il male è quando il popolo non abbastanza educato, tumultua, grida e fischia. Il fischiare è un atto crudelmente villano contro chi non si può difendere, e ha fatto quanto meglio poteva per divertire il pubblico e farsi un po' d'onore. La persona bene educata non fischia mai. ... Cioè, ammetto un solo caso. Ed è questo: se una scena immorale fosse accolta da una salve di fischi, la lezione sarebbe severa per chi tocca, ma non certo inefficace. In tutti gli altri casi è inutile usare tal modo di riprovazione, quando c'è quell'altro così semplice e dignitoso, e che non fa male a nessuno: alzarsi e andarsene.

Pagina 207

Eva Regina

203491
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 10 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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Ella passa da un mondo all'altro, da una vita all' altra, e sarebbe bene per lei se nel suo ultimo sonno verginale potesse dimenticare tutto ciò che abbandona per non lasciare dietro di sè rimpianti quando si metterà in cammino. » Infatti il suo risveglio dopo la prima notte di nozze, somiglia al giungere dell'esploratore alla terra che aveva vagamente intraveduta, fervidamente imaginata di lontano, adornata, col desiderio, di tutti i tesori e di tutte le felicità. La riva della terra promessa è toccata: gli occhi l' hanno veduta nella sua realtà, i piedi l'hanno percorsa, la mente ha misurato, valutato il dominio. Più nulla di misterioso, più nulla di ignoto, più nulla di pauroso... La luce della vita avvolge la vergine fatta donna dall'amore, ed ella si guarda intorno ancora tremante un poco per la rivelazione sacra, ancora un po' confusa di avervi partecipato, ancora incerta sulle sue sorti future. O abbagliata da quella luce, se insieme al corpo ha dato con trasporto tutta l'anima; o sgomenta se si è solamente concessa, nel gran letto nuziale ell'è un po' come una naufraga che le azzurre e lucenti onde d'un mare immenso trasportano in loro balia. Azzurro e luce, sì, ma l'accecano, la paralizzano, ma le fanno turbinare agli orecchi ritmi nuovi, parole nuove. Ieri le pare già molto lontano, e la sua vita antecedente, piccola, oscura e ristretta. Nel suo dolce stordimento, la giovine sposa intravede obblighi, occupazioni, assai più gravi e più importanti di quelli del passato, il suo gaio e innocente passato che saluta senza rimpianto, come al meriggio si saluta il trascorso mattino. « La vita laboriosa e severa — scrive ancora il De Gubernatis — per la donna incomincia soltanto l' indomani delle sue nozze; la compagna dell'uomo allora ha una prima nozione del dovere, una prima conoscenza del dolore, e col dolore una prima iniziazione al culto dell' ideale. »

LE OCCUPAZIONI DELLA GIOVINE SIGNORA Una delle cause principali delle inquietudini, dei rimpianti, delle malinconie a cui la giovine signora si abbandona facilmente nei primi mesi della sua nuova vita, risiede nel troppo tempo che ha a sua disposizione per fantasticare. Se vive in famiglia, la suocera le evita tutte le brighe, le responsabilità, i pensieri della direzione della casa, ed essa è là come una signorina, meno il corredo da preparare e l' educazione da completare. Se la padrona di casa è lei, una famiglia composta di due persone e di due domestici — a meno che non si tratti di una condizione sociale che obblighi alla direzione d' un palazzo e d' una intera gerarchia di servi — è presto condotta. I mobili sono nuovi, la biancheria è nuova, gli abiti nuovi: non c'è che da conservare, il resto va da sè. E molte ore rimangono, mentre il marito è fuori, che la sposina non sa come impiegare. Un po' legge, poi si stanca, un po' suona il pianoforte, scrive qualche lettera, dà un ordine alla cameriera, un altro al cuoco: e poi ? E poi s'adagia nella poltroncina a far qualche punto a un cuscino, a un centro da tavola, mulinando tra un punto e l'altro — troppo ! — dando troppo ascolto, fra una gugliata di seta rosa e una di seta grigia, alle punture della sua sensibilità esagerata, alle larve della sua immaginazione, alle esigenze del suo egoismo personale. Ah, spesso spesso, queste prime ore di ozio del pensiero, nell'esistenza coniugale, sono il terreno in cui può germogliare propizio il cattivo seme della discordia, della tentazione, della volubilità. Noi non siamo mai così vicini ad essere infelici come quando non abbiamo più nulla a desiderare. Mancandoci motivi veri di scontento, siamo tratte a crearcene dei fittizi, che ci fanno soffrire come fossero veri e possono demolire, come tarli insidiosi, corrompere, come crittogama velenosa, tutta la fiorente bellezza d'una felicità sana e sincera. Scrisse un romanziere francese, Gaston Lavalley: « La felicità ! la nostra vita si consuma nell'inseguirla. Mentre camminiamo cogli occhi fissi su questa méta radiosa, nemici oscuri s'avvincono a noi come la piovra alla nave. Sono i piccoli avvenimenti, le imprudenze, gli errori, le mancanze d'ogni giorno. Artefici di distruzione lavorano nell'ombra e si fanno dimenticare. Ma quando crediamo di toccare la terra promessa, naufraghiamo con tutte le nostre speranze. » In guardia dunque contro questi ipocriti e subdoli nemici ! In guardia dal principio per dominarli energicamente. E come? Con l'opera, o signore, col lavoro che tutto vince, che disperde le fantasticherie malsane, i vapori sentimentali, le suscettibilità pericolose. In un regno per quanto piccolo c'è sempre molto da vigilare, da ordinare, da decidere, da migliorare. Se il mobiglio è nuovo, procurate di renderlo più elegante con quegli accessori di buon gusto che una signora ingegnosa può preparare da sè. Coltivi dei fiori perchè il suo appartamento non manchi mai di questo primaverile sorriso : e non si fidi della cameriera per il guardaroba, nè dalla cuoca per la cucina ; la sua sorveglianza diretta, il suo intervento frequente, la faranno accorta di molte trascuranze, di molte mende da to- gliere che non apparivano alla sua sorveglianza superficiale e sommaria. E poi una donna che ama con tutta l'anima il compagno a cui si è data, può forse cessare un momento solo nella giornata dall'offrirgli come un odoroso incenso tutti i suoi pensieri, tutte le sue azioni? Le robe che gli appartengono, da custodire in modo ch'egli vi trovi sempre le tracce della vigile e delicata tenerezza di lei invece di quelle dei prezzolati servigi dei domestici. Le stanze che abitano in comune, da rendere gradevoli per mezzo di quelle minuziose cure che dicono quanta parte abbia lo spirito sulla materialità dell'atto di apparecchiare una tavola, di disporre un mobile, di velare una lampada, di distribuire dei libri e delle fotografie. Poi la preoccupazione costante di mostrarsi graziosa, elegante, desiderabile agli occhi del marito, sia nell'accappatoio del mattino, come nella camicetta di seta indossata pel pranzo; sia col grembiulino da buona massaia col quale la signora entra in guardaroba e in cucina. Indi gli obblighi sociali. Ora non si fanno più le classiche visite di un tempo, il cui uso si conserva ancora in provincia; ma vi sono i five-o'-clok a cui bisogna prender parte e che bisogna restituire : qualche pranzo da dare o a cui intervenire : gli incarichi che le amiche dànno, le opere di beneficenza a cui interessarsi, e infine, se la signora è intelligente ed istruita, tutto il movimento artistico da seguire, sia pure per sommi capi, ma tanto da non ignorare quello che si fa nel proprio paese. Giacchè non basta tenere gli ultimi libri sul tavolo e lo spartito dell'opera recente sul piano : non basta riempire i vassoi di fotografie artistiche e di cartoline commemorative; bisogna mettersi in grado di conoscere con precisione il prodotto o l'avvenimento di cui si discorre, e questo non tanto per vanità quanto per procurare a noi stesse il godimento puro ed alto di vivere la vita superiore, quella che ci eleva moralmente, che dà al nostro spirito attività molteplici, che ritempra contro le frivolezze e le seduzioni malsane, che è sempre fonte di serenità, spesso di conforto, e non di rado salvezza suprema nelle vicissitudini dell'esistenza.

Pagina 104

Quando una donna è madre, la si abbandona alla sua creatura o la si fa disertare. È una dolorosa ma indiscutibile verità che strazia e colma d'angoscia innumerevoli cuori di donna sensibili e amanti, divisi così tra il figliuolo e lo sposo. Da un lato un piccolo essere che esige il sacrificio di tutte le ore, che vuole una dedizione assoluta; dall'altro l'uomo che si adora, che non vuol rassegnarsi al secondo posto, che non vorrebbe nulla mutato nella dolce vita d' amore, e prega, e tenta, e trascina: oppure che si rassegna troppo presto, ritorna alle sue abitudini di scapolo, ancora recenti, infliggendo alla moglie un supplizio ancor più crudele. Che fare nel bivio? Molte donne sacrificano la maternità all' amore, affidando il bimbo ad una nutrice e riprendono tutte le abitudini della vita in due, quasi il piccolo nuovo venuto non significasse che un accessorio. E così fanno col secondo, col terzo, col quarto, con tutti quelli che il loro amore evocherà. Altre più coscienziose e più tenere verso il sangue del proprio sangue, si lasciano tutte assorbire dalle cure e dal nuovo sentimento d'amore che le piega verso la culla nei cui limiti circoscrivono oramai tutto il loro mondo e dimenticano tutto il resto a segno che la maternità giunge spesso a far loro sopportare senza troppe ribellioni la trascuranza e perfino l' infedeltà coniugale. È facile capire che questi due eccessi sono, come ogni eccesso, dannosi e biasimevoli. Un dovere non deve soverchiare l'altro, ma devono concatenarsi in modo, nella vita, da completarsi a vicenda, da comporne un bel tessuto armonioso. E tanto più trattandosi di doveri nati dall' amore, da due diverse manifestazioni d' amore ma entrambe care al nostro cuore. Nè il marito può tener vece d' un figlio ; nè un figliuolo potrà tener vece del marito: significa quindi che nell' anima e nella vita il posto c' è per tutti e due. Ed anche qui basterà mettere in opera un po' di solerzia, un po' di accortezza e molto cuore perchè nè l' uno nè l' altro soffra del nostro abbandono. Una giovine mamma può rinunziare alla società, ma non alla compagnia dello sposo se ricerca la sua, nè può negarsi a dedicargli tutto quel tempo in cui il suo bimbo non ha strettamente bisogno di lei. Così procurerà di mostrarsi sempre accurata ed elegante come una volta, anche nei suoi abiti più pratici, quali sono richiesti dalla sua maternità. Anzi una donna veramente innamorata e veramente intelligente, di questa maternità si comporrà un' aureola che le dia nuovo risalto e nuova seduzione agli occhi dell' uomo che la predilesse. Così la sua esistenza femminile sarà completa : così non si preparerà dei rimorsi per l' avvenire.

Pagina 162

Avviene poi che se questa genialità si avvizzisce in germe, il fanciullo divenuto adolescente si trova ad un tratto disorientato, estraneo alla vita comune, isolato: e, o si abbandona ad una vita disutile di piaceri, o s' ammanta nella sua passata notorietà come un piccolo re spodestato continuando ad essere altezzoso e borioso. Una vanità gonfia di nulla che più tardi muoverà a riso e a compassione. Vi sono però i veri ingegni precoci : fanciulli che fanno stupire per la loro intuizione meravigliosa nell' interpretare qualche arte, nel dedicarsi a qualche esplicazione di essa. E la madre di questi piccoli privilegiati dovrà raddoppiare di cure, di protezione intorno a loro : dovrà vigilare che nulla si guasti del delicato congegno del loro organismo e della loro intelligenza ; che non vi avvenga squilibrio alcuno : perché il frutto maturato innanzi tempo possa giungere sano e moltiplicarsi quando verrà la sua vera stagione. Io avvicinai a Milano la madre del piccolo Miecio Horzowsky il minuscolo pianista così grazioso nei suoi abitini di velluto, coi lunghi capelli che gli scendevano sulle guancie rosee e ben nutrite ; così stupefacente nell' interpretare musica difficilissima con una correttezza da maestro provetto, nel dare a Chopin la serenità della sua anima di fanciullo. La mamma di Miecio piccolina, magra, abbrunata, tanto somigliante al figliuolo nel volto un po' largo, negli occhi intelligenti e velati da una lievissima malinconia che pareva solamente timidezza quando accanto al suo fanciullo miracoloso sorrideva dei nostri entusiasmi, delle nostre calde parole di congratulazione e di elogio. E fu forse per quella gentile figurina di madre che la sorte del piccolo Horzowsky mi sembrò più avventurata di quella di qualche altro ragazzo artista : e che non ne riportai l' impressione d' una anormalità come molte volte in simili casi mi era accaduto.

Pagina 210

La moglie che non ama più, crede intravedere nella manifestazione di simpatia, in un' affinità intellettuale e morale, un rifugio, un compenso allo squallore del suo isolamento intimo e vi si abbandona convinta di non mancare a nessuno dei suoi doveri. Poi quelle manifestazioni sono così timide! è così poco quello che le si chiede! e questo nuovo sentimento che già le intiepidisce l' anima come un alito di primavera è così puro, si manterrà sempre così alto, così superiore, che solo un dubbio le pare profanazione. E nuovamente illusa porge gli orecchi ai canti delle eterne Sirene, mentre dovrebbe come il saggio Ulisse tapparseli con la cera e proseguire il suo cammino. Dice Fénélon: « Il faut laisser la tentation gronder autour de nous, comme un voyageur surpris par un grand vent dans une campagne s' enveloppe dans son manteau et va toujours malgré le mauvais temps. »

Pagina 236

E la creatura vinta si abbandona. Si abbandona con una specie di sfida al suo destino, con un'ebbrezza folle, senza più ritegno, senza più controllo, senza quasi più coscienza della sua responsabilità e delle sue azioni. Ogni altro affetto impallidisce in lei, ogni altro motivo di vita si atrofizza : tutto viene assorbito, sacrificato a quell' unico fiore del male che s' apre mostruoso, a sommo del suo cuore. Il marito, i figli, la casa, spariscono nel suo egoismo amoroso : ella non pensa che ad ingannarli, a liberarsi da vincoli che la inceppano, per tuffarsi interamente nel cratere che l' arde e che solo le dà il senso della vita. Cieca, non vede gli agguati e spesso vi incespica : non vede i pericoli e vi si getta dentro con temerità stolta. Perde la nozione del tempo, della legge ineluttabile delle cose e crede che tutto l' avvenire possa contenersi nel giro ripetuto all' infinito di quelle ore affannose ch' ella chiama di felicità : crede che tutti siano ciechi e pazzi e illusi come lei, e che certi strappi di coscienza, certi errori volontari, certi sacrifizi d' innocenti, si possano compiere sempre impunemente, e non portino seco l'espiazione, lunga, triste, dolorosa: o un tremendo, folgoreggiante castigo....

Pagina 242

Ora nessuna donna di servizio resiste all'esca di un salario maggiore, e per cinque lire di più al mese abbandona con indifferenza una casa dove viveva da anni e dove era ben trattata. Ora bisogna studiare la frase per fare un'osservazione, per dare un ordine, altrimenti si corre il rischio di sentirsi rispondere in malo modo : e la crisi delle serve non accenna a risolversi, anzi si fa ogni giorno più grave per la insufficienza di quelle che si trovano e le esigenze di quelle che fanno le preziose. — Una signora mi raccontava perfino questo, che ad una sua amica accadde di prendere a servizio una giovane dall' aspetto un po' grossolano e sgarbato, la quale non era altri che.... un uomo in abiti femminili, introdottosi in casa sua chissà per quale scopo! E questo fatto mi pare possa stabilire un bel récord e non abbia bisogno d'altri commenti.

Pagina 395

Pagina 434

Tutto par troppo forte, quasi insostenibile; il sole, la luce, i profumi, i suoni, i sapori ; ma si abbandona con una specie di ebbrezza la propria fragilità a queste energie che riconducono alla vita. È una rinascita piena di fascino sottile ; l' esistenza appare sotto colori rosei, gentili, come nella giovinezza ; e l'anima, come il corpo, si sente purificata, leggera, calma, inondata di fede, attratta verso le più poetiche idealità. Gabriele d'Annunzio in un suo romanzo ha analizzato con l'acutezza che gli è propria questo stato speciale dallo spirito durante una convalescenza facile e ne fa risultare una delle voluttà più squisite. Tutto sorride intorno alla convalescente, tutto le ritesse l' illusione d'un propizio destino, come se si trovasse di nuovo per la prima volta alle soglie della vita. Allungata nella più comoda poltrona della sua camera a poca distanza dalla finestra semiaperta da cui scorge il verde giardino sotto il cielo azzurro di maggio, mentre salgono a lei come il saluto della primavera, il profumo delle corolle fiorite, la signora in una posa di languida grazia parla poco, con una voce ancora debole, ma ascolta e contempla assai. Le sue amiche sono venute ad una ad una a congratularsi con lei, a recarle fiori, dolci, piccoli doni: ed essa per riceverle ha indossato un abito elegante, tutto sciolto perchè non può ancora mettersi la fascetta, ma guarnito con buon gusto, di color delicato e ridente. Ha ripreso i suoi gioielli, meno gli orecchini: gli anelli le sono diventati larghi nella mano diafana e così bianca che pare il pètalo di un giglio. È pettinata semplicemente, ma con cura, e gli occhi sembrano più grandi nel suo volto smagrito: il suo sorriso ha acquistato una dolcezza e i suoi gesti sono pieni d'una remissività che prima non aveva. Il medico non le ordina più che ricostituenti, e le fa delle visite da amico, raccomandandole di coricarsi presto, cosa che essa fa volontieri, giacchè uno dei sollievi della convalescenza è quello di adagiarsi un po' stanchi in un letto fresco che vi offre col buon sonno il riposo riparatore. Le sue amiche, i suoi parenti la rimettono un po' per volta al corrente di tutto ciò che è avvenuto nel tempo dal suo esilio dal mondo, ma la convalescente guarda ora l'esistenza, le persone, gli avvenimenti, con altri occhi, giudica in diverso modo. La morte ch'essa ha veduto da vicino le ha insegnato il vero valore della vita, le ha dato la lucida percezione della verità su tante cose. Il suo pensiero si è fatto più maturo, più severo, i suoi gusti si sono un poco modificati: la sua sensibilità è così viva che piange per un nonnulla, ma sono lagrime di emozione dolce, giacchè nessuno certo vorrebbe procurarle un dispiacere. E se nel suo passato vi fu qualche leggerezza, se ha a rimproverarsi qualche mancanza al suo dovere, qualche po' d' incontentabilità per la sua sorte, in quest'ora di purificazione soave se ne pente, e forma un voto fervido e sincero nel segreto del suo cuore rinnovato.

Pagina 541

La speranza è una delle facoltà che emerge prima nella vita e che ultima ci abbandona. Spera già il bimbo che ha appena la possibilità di formare il desiderio : spera il morente, quando più nessuno spera intorno a lui. Grande forza motrice è la speranza, grande contingente di vita e d'energia. Mai ci sentiamo più validi, più forti, più buoni, che sotto l' impero d' una luminosa speranza. Bene è dunque coltivarla in noi, provocarla quando tace, riaccenderla quando accenna a languire, trattenerla quando vuole abbandonarci o sostituirla subito da un'altra se vien meno. La speranza è indispensabile al nostro mondo morale come la luce, come l' ossigeno. Sperate contra spem ha raccomandato uno dei Padri della Chiesa : sperate oltre ogni speranza. La circostanza più comune, un'ora, un attimo, bastano per mutare in un destino favorevole un triste destino : per aprire un nuovo orizzonte, per salvare. Tutto è mistero in noi e intorno a noi e tutto è possibile, anche il prodigio.... FINE.

Pagina 703