Regole generali di civiltà
Il passato e iI presente.
La civiltà, come ogni altra cosa umana, progredisce
continuamente. Non ascoltate i soliti pessimisti,
i soliti brontoloni, che vi dicono che il
mondo peggiora, che a tempo loro le cose andavano
molto meglio. Può darsi che, in qualche
particolare, essi abbian ragione; si sa, tutto non
può andare sempre per il suo verso, ma, in generale,
oggi si vive meglio di un secolo fa, un
secolo fa meglio d'un secolo prima, e così via.
Nella sua costante aspirazione verso il meglio,
l'uomo ha inventato continuamente nuove comodità,
nuovi oggetti utili, o ha perfezionato quelli
già esistenti. Se si dà uno sguardo al passato, si
vede subito l'abisso profondo che lo separa dal
presente; e nessuno di noi vorrebbe neanche per
idea riviverlo un'altra volta.
La storia è lì, e parla chiaro. Chi, fra le persone
civili, rinunzierebbe oggi ad avere una casa,
modesta sì, ma solida e sana? Eppure per tutto
il medio evo, le case delle famiglie borghesi, anche
ricche, erano con pareti di legno e coperte
di paglia; il pavimento non c'era: sulla terra
battuta si stendeva un po' di fieno, e basta. Le
finestre eran piccole e senza vetri; non c'erano
nè stufe nè camini: quel po' di fuoco necessario
per cuocere gli alimenti si accendeva nel mezzo
delle stanze, su una pietra, e il fumo si spandeva
dappertutto. Chi usciva poi di casa e andava per
la città, non trovava nè vie selciate, nè pulizia,
nè illuminazione, nè vetture. Fango d'inverno e
polvere d'estate; sudiciume dappertutto, perchè
nelle case non c'erano gabinetti, e tutto si buttava
nella via. E poi, pensate: nè poste, nè telegrafi,
nè ferrovie. Una lettera, per andare di
qui a Milano, ci metteva un mese, se pure arrivava;
i viaggi, poi, erano un vero disastro: lunghi,
incomodi, pericolosi. Ad ogni passo, la paura
dei banditi, ad ogni passo, strade rovinate, fiumi
da guadare, boscaglie da traversare. E noi, che
andiamo in cinque ore di qui a Roma, ci mettiamo
a gridare se il treno arriva con mezz'ora
di ritardo!
Ci sono certi oggetti d'uso comune che molti
credono ingenuamente che ci siano sempre stati:
per esempio i sacconi e le materasse! Eppure si
legge in un'antica cronaca che nel 1234 fu messa
per la prima volta della paglia nel letto del re
d'Inghilterra, il quale fin allora dormiva su nude
tavole di legno.
Anche oggi che tutto è così caro, con cinquanta
centesimi si compra una forchetta di stagno
o di ferro, che serve benissimo all'uso a cui
è destinata: e della forchetta non potrebbe fare
a meno neanche un contadino. Eppure essa non
fu inventata che nel secolo XVI, e nel 1610 gl'Inglesi
(dico gl'Inglesi!) consideravano come una
stranezza del viaggiatore Tommaso Corjate l'averne
introdotto l'inutile uso dall'Italia in Inghilterra.
Quale donna potrebbe oggi fare a meno degli
aghi e degli spilli? Si comprano e si consumano
a centinaia, si buttano via o si perdono con indifferenza.
Eppure, fino al secolo XIV, gli spilli
e gli aghi erano di legno o d'osso, e costavano
cari.
Tutte le donne che vissero nel mondo da Eva
fino alla metà del secolo XVI non conobbero le
calze di seta. Fatene le maraviglie, o signore moderne!
Atteggiate la vostra bocca a una smorfietta
di disgusto. Ma è proprio cosi: le prime
calze di seta furono tessute in Italia dopo il 1500,
e passarono in Francia nel 1533, col corredo di
Caterina de'Medici, che andava sposa a Enrico II.
Chi è che non possiede oggi un orologio da tasca?
Prima della guerra europea ce n'eran di
quelli che si compravano con tre lire, e andavan
bene per anni e anni. Eppure, fino al secolo XVII,
chi voleva saper l'ora doveva regolarsi col sole.
E i libri? E i giornali? Al tempo del Petrarca,
una Divina Commedia costava un patrimonio, e,
su mille persone, forse due sapevano leggere e
una sola scrivere. E i giornali, che ognuno di noi
compra ogni mattina e non è ancora abituato a
farne a meno il lunedì, furono ignoti fino a due
secoli fa.
Che dire delle così dette regole d'educazione e
di buona creanza? Che dire della morale? Per
tutto il medio evo si ebbe grande stima di coloro
che erano gran mangiatori e gran bevitori.
Andare a un pranzo e ubriacarsi fino al punto di
ruzzolare sotto la tavola, era cosa normale: e
l'anfitrione, se era persona previdente, preparava
in antecedenza camere e letti per farvi trasportare
i commensali quando non ne potevan più.
I bagni, così diffusi nell'antichità, furono, si può
dire, dimenticati in tutta l'età di mezzo; erano diventati
un lusso, o piuttosto una medicina: li ordinavano
i medici, in certi casi gravi!
Lavarsi le mani e il viso non era abitudine giornaliera:
le persone più pulite si lavavano la domenica,
le altre.... quando se ne ricordavano. Quante
belle castellane, di quelle che noi amiamo raffigurarci
coi capelli d'oro, gli occhi color del cielo,
vestite di tuniche di broccato con ricami d'oro e
d'argento, non toccavano l'acqua per settimane e
mesi! Quanto alla pulizia degli indumenti, basterà
ricordare quella regina Isabella che, per non so
qual grazia ricevuta, fece voto di non cambiarsi
la camicia per un anno intero: quando finalmente
se la levò di dosso, era diventata di quel colore
che prese appunto il nome della poco pulita regina!
Si dirà: ma quello fu un caso speciale.
Senza dubbio; ma come dovremo giudicare un'età,
nella quale fu possibile fare e mantenere un voto
simile?
Certi animali parassiti che oggi abbiamo orrore
perfino di nominare, furono comunissimi non solo
nel medio evo, ma anche in seguito, fino alla Rivoluzione
Francese; e le cólte dame della corte
di Francia ne parlavano tranquillamente fra loro,
come oggi si parlerebbe di mosche o di zanzare.
Certe schifose malattie, che oggi le persone civili
conoscono soltanto di nome, come la tigna, la rogna,
la scabbia, non risparmiavano neppure i principi
e i re, e nessuno ne faceva caso.
Quanto alla morale basterà ricordare quello che
Dante dice delle sfacciate donne fiorentine
, la cui
foggia di vestire sarebbe scandalosa anche oggi
in questi tempi moderni in cui gli scrupoli in fatto
di moda non sono davvero eccessivi; basterà ricordare
la strana moda del guardinfante, quella specie
di gonnella rigonfia, tenuta lontana dal corpo da
una serie di cerchi elastici; la quale, come il nome
dice, aveva lo scopo di nascondere agli occhi altrui
la più nobile deformazione che corpo di donna
possa subire; basterà ricordare la corruzione della
nobiltà nei secoli del Parini e dell'Alfieri, le mode
scandalose del cicisbeismo e dei cavalieri serventi,
tutte cose dalle quali, se Dio vuole, siamo ormai
lontani.
Si potrebbe seguitare all'infinito; ma crediamo
che il lettore non abbia bisogno di più parole per
convincersi che oggi, per ciò che riguarda la civiltà,
la morale e la decenza, si sta molto meglio
di prima. Ma non vorremmo che egli per questo si
credesse in diritto di riguardare con indulgenza
le persone immorali o incivili che esistono purtroppo
anche oggi, pensando che, ad ogni modo,
esse sono sempre più morali e più civili dei nostri
antenati; e molto più ci dispiacerebbe se si
credesse autorizzato, per la stessa ragione, a lasciarsi
un po' andare, a trascurare le norme presenti
della buona educazione. No, per carità! Il
mondo progredisce continuamente, e quel che una
volta bastava, oggi non basta più. Per aver la
fama di persona maleducata o villana, è sufficiente
non attenersi alle regole sancite dalla moderna
civiltà, e nessuno, nel giudicare il suo prossimo,
si mette a far confronti con le età passate. C'è
poi o ci deve essere in ognuno di noi quel rispetto
alla propria dignità, quel desiderio del proprio
perfezionamento, che ci spinge a fare quello
che è giusto e doveroso fare, e ci tien lontani da
ogni atto che possa incorrere nel biasimo della
società in cui viviamo.
Curiamo dunque la nostra educazione. Una persona
bene educata possiede già una delle primissime
qualità per conquistarsi la stima dei suoi
simili e per percorrere con successo la via della
vita.
Il vestiario.
Ho conosciuto una volta un contadino, un bel
giovanotto tarchiato e robusto, che volle in tutti
i modi comprarsi un vestito uguale a quello del
suo padrone. Quando l'ebbe comprato, lo indossò
tutto contento una bella domenica e, con un pretesto,
si accompagnò per la strada col padrone.
Li incontrai appunto mentre chiacchieravano insieme;
e non potei fare a meno di ripensare a
quel vecchio proverbio: l'abito non fa il monaco.
Ahimè! il padrone pareva sempre il padrone, il
contadino sempre il contadino. Anzi, il padrone
era elegante e disinvolto, il contadino faceva pietà,
e stava molto peggio che coi suoi abiti soliti.
L'aneddoto ci può insegnare tante cose: e specialmente
ci può mostrare quanto sia difficile, anche
nei casi più comuni, sapersi vestire convenientemente.
Si può spendere migliaia di lire per
il proprio abbigliamento e non riuscire a raggiungere
quell'eleganza, che altri ottiene con poche
centinaia. Tanto vale una scelta giudiziosa della
stoffa, dei colori, degli ornamenti.
Non possiamo dare qui norme precise sulle
fogge di vestito più convenienti. La moda, specialmente
quella femminile, muta tutti i giorni, e quel
che oggi sarebbe ridicolo, domani diviene comune.
Ci limiteremo dunque a dare dei consigli generali,
conformi al buon vivere civile.
Nel seguire la moda non bisogna essere esagerati:
tanto è ridicolo colui che veste secondo le
abitudini di trent'anni fa, quanto colui che non
appena una moda cambia, corre dal sarto a ordinarsi
un abito nuovo. Le signore specialmente,
parlo soprattutto di quelle che appartengono a
quel medio ceto borghese, per le quali è scritto
in particolar modo questo libro, evitino ogni esagerazione,
e anche nel seguire la moda sappiano
regolarsi con tatto e con buon gusto. Se le gonnelle
usano corte, non siano però troppo corte,
se le maniche devono esser larghe, non siano
troppo larghe. Certe mode che dilagano all'improvviso,
e divengono comuni a tutti, sono da seguire
con gran prudenza: una signora ben educata
rinunzia subito a tutto ciò che diviene o sta
per divenire volgare e troppo comune.
Sappiate scegliere i vostri vestiti nelle varie
circostanze della vita: lasciate i colori vivaci alla
gioventù, contentatevi, se siete d'una certa età,
di colori sobrii e severi. Una signora coi capelli
bianchi è ridicola se veste da giovanetta.
Se andate in visita, riflettete, prima di vestirvi,
a chi fate visita. Sarebbe sconveniente, e dimostrerebbe
cattivo cuore o poca testa, vestirsi in
gran gala per recarsi in un ospedale, presso un
malato, in una casa di persone povere o infelici,
da una famiglia in lutto. Sarebbe un modo indiretto
di offendere il dolore altrui, di provocare
un giusto risentimento. L'infelicità, la miseria,
il dolore hanno diritto, sempre, ad ogni riguardo.
Se non si tratti di casi speciali, come battesimi,
matrimoni o altre feste di simil genere, è un
segno di cattivo gusto vestirsi la mattina in abiti
da società, o con toelette sfarzose e troppo eleganti.
Una persona distinta preferisce sempre,
prima di mezzogiorno, abiti d'una elegante semplicità!
È abitudine comune delle famiglie borghesi indossare
la domenica gli abiti migliori e curare
con maggiore attenzione la toelette della persona:
abitudine riprovata da molti, specialmente in Francia,
dove è stata anche coniata la parola endimanché,
per indicare chi si presenta in pubblico,
in circostanze speciali, con una particolare eleganza
forzata e di cattivo gusto. Noi non crediamo
che una tale usanza sia del tutto riprovevole.
Al solito, guardiamoci dalle esagerazioni:
ma è troppo naturale, è troppo umano che chi
lavora tutta la settimana, ed è perciò costretto a
vivere in mezzo agli affari, nei fondachi, nei magazzini,
negli uffici, nelle fabbriche, in ferrovia,
senta, alla domenica, insieme col bisogno di riposarsi
e di darsi buon tempo, anche quello di
presentarsi in pubblico in una veste più corretta
e più elegante. Soltanto gli oziosi e i fannulloni,
per i quali è sempre domenica, possono dedicare
tutti i giorni qualche ora alla cura della propria
persona. Ma l'abitudine dell'eleganza domenicale
non sia scusa o pretesto per una colpevole trascuratezza
negli altri sei giorni della settimana.
Una persona ben educata veste decentemente
e propriamente anche in casa: e lo fa non solo
per rispetto verso i suoi familiari, ma anche per
un certo riguardo verso sè stessa. I calzoni e
le sottane piene di fango o di pieghe, le giacchette
o le camicette sparse d'unto o di macchie
devono esser buttate via o date a lavare e a smacchiare:
non si devono portare per casa fino a
rifinizione. Lo stesso si dica delle pantofole, delle
ciabatte, delle papaline, delle berrettine: tutta
roba che non dovrebbe neanche esistere, se non
per gl'infermi e per i vecchi: e in questo caso
siano sempre pulite e non manchino, se è possibile,
d'una certa eleganza.
In campagna, in montagna, si vive più liberamente
che non in città; e perciò si deve e si
può concedersi una maggior libertà anche nel vestiario.
Un uomo può girar per casa o anche
uscire nei campi in maniche di camicia, purchè
la camicia sia pulita e d'una certa eleganza; una
signora può usare più largamente della veste da
camera, la quale, come dice la parola, a cose
regolari si deve indossare in camera solamente.
Lo stesso si può fare al mare, in quei luoghi
dove l'eleganza e le regole d'etichetta non siano
più esigenti che in città: il che accade purtroppo
molto spesso.
Vestirsi tutti i giorni con una certa cura per
il pranzo della sera è un'abitudine che viene dall'
Inghilterra; ed è una bella abitudine. Ma purtroppo,
nelle famiglie dove si lavora molto, non
è sempre attuabile. Si può tuttavia dare al pranzo
serale una certa impronta di festività e d'allegria
con qualche piccolo ritocco al proprio abbigliamento,
con qualche segno esteriore di cura
maggiore. È cosa a cui devono pensare soprattutto
le signore: il marito, il padre che torna la
sera affaticato dal lavoro giornaliero, prova un
senso di benessere se si siede ad una tavola bene
apparecchiata, in mezzo alla moglie e ai figli vestiti
con proprietà e con una certa eleganza.
La questione del vestiario è, come si vede dalle
norme che abbiamo suaccennate, del massimo interesse
e tutt'altro che facile a trattare. Forse,
a trattarla a fondo, non basterebbe un libro intero.
A noi basti aver fatto capire al benevolo
lettore e alla gentile lettrice tutta la difficoltà
dell'argomento, e averli indotti così a non trascurare
questo aspetto particolare della vita civile,
al quale di solito non si dà tutta l'importanza
che merita.
Il saluto.
L'uomo, quando è fuori di casa, si toglie il
cappello per salutare. È un modo qualunque
per mostrare ad altri rispetto e deferenza; ed è,
soprattutto, una convenzione. I Beduini, per salutare,
si cuoprono invece il capo con un lembo
del loro barracano; certi selvaggi della Polinesia,
quando s'incontrano, si fregano il naso l'uno con
l'altro. I Romani, che non portavano cappello, si
salutavano stendendo la mano in avanti e abbassando
la testa. Oggi, ci si leva il cappello.
Le donne, naturalmente, salutano soltanto con
la testa. Vi figurate voi una donna che dovesse a
ogni momento, per la strada, togliersi il cappello?
Sarebbe un disastro! Ogni saluto richiederebbe,
dopo, un quarto d'ora per accomodare i capelli e
fermarsi di nuovo il cappello, e ci vorrebbero
specchi sui muri di tutte le case.
Il saluto dell'uomo dev'esser fatto con eleganza
e con semplicità, soprattutto con naturalezza. Il
gesto dev'esser sobrio e disinvolto, senza affettazione
e nello stesso tempo senza impaccio: esso
sarà tuttavia diverso nelle diverse circostanze. Una
persona di rispetto, una signora, un uomo illustre
devono esser salutati con una certa cerimonia, e
il gesto avrà una certa ampiezza e solennità. Per
gli amici, le persone di confidenza, i parenti basterà
un saluto più semplice.
Senza arrivare alla esagerazione di certuni, che
colgono continuamente l'occasione di salutare, per
far vedere che hanno molte conoscenze, ricordatevi
che il saluto è un atto di civiltà, e non ne
siate avari. Soprattutto, rispondete sempre a chi
vi saluta: non c'è cosa più brutta che vedere un
uomo che, salutato, non risponde, o si contenta di
un vago cenno del capo. A chi si leva il cappello
incontrandovi, fosse anche il vostro servitore o il
vostro contadino, rispondete con un saluto uguale.
Molte persone, per salutare, hanno la brutta
abitudine di portar la mano al cappello, senza levarselo.
Un tal gesto non è permesso che a un
vetturino; in una persona civile, si considera a
buon diritto come un atto di negligenza o anche
come un'impertinenza.
Quando salutate una persona di rispetto, se
avete il sigaro o la sigaretta in bocca, levateveli
prima di salutare. Se una signora, che avete salutata,
si ferma a parlare con voi, sarà un atto
cortese da parte vostra di parlarle col cappello in
mano, finchè essa non vi preghi di coprirvi; ed
è cortesia da parte sua pregarvene.
Salutate la bandiera nazionale, quando sventola
in testa a un reggimento o a un corteo: è un atto
di patriottismo, doveroso in ogni buon italiano. Salutate
i cortei funebri, i carri-lettiga che trasportano
malati o feriti; è un omaggio all'infelicità
e alla sventura.
Non entrate mai in una casa, anche di persone
di gran confidenza, col cappello in capo; ma levatevelo
sulla porta d'ingresso, e non rimettetevelo
che sul pianerottolo delle scale.
Quanto alla precedenza del saluto, di regola
l'inferiore deve salutare per il primo il suo superiore;
ma il superiore preverrà il saluto dell'inferiore,
se questo è accompagnato da una signora.
Un uomo deve sempre salutare per il primo
una signora, anche se inferiore a lui di condizione.
In omaggio a quelle norme di civiltà che debbono
osservarsi anche fra persone strettamente
congiunte, noi stimiamo doveroso il saluto anche
fra i componenti la stessa famiglia. È bello vedere
un figlio salutare il padre o la madre con
la stessa cortesia con la quale saluterebbe un superiore,
o un fratello togliersi il cappello incontrando
la propria sorella. Chi assiste a tali incontri,
si fa subito un buon concetto di quel figlio o
di quel fratello.
In generale, il saluto, una volta fatto, non si
ripete dopo breve tempo. Accade non di rado, su
una passeggiata o per le vie d'una piccola città,
d'incontrare di nuovo persone già salutate poco
tempo prima: non è buona educazione ripetere il
saluto.
Se incontrate delle persone, e non siete sicuri
se esse vi vedono o no, salutate lo stesso, senza
avervi a male se il saluto non vi viene reso. Meglio
un saluto perduto che il rischio di passare
per ignoranti. In questo caso, incontrando di nuovo
la stessa persona, rinnovate il vostro saluto.
Se siete seduti in un giardino pubblico, salutate
levandovi il cappello e facendo l'atto di alzarvi,
se si tratta di uomini; se passano davanti
a voi delle signore, salutatele alzandovi del tutto
da sedere. Se vi trovate al caffè o al ristorante,
e siete senza cappello, salutate con la testa.
Oggi è di moda girare per la città senza cappello.
L'uomo che è senza cappello, o che, per
un caso qualunque, lo tiene in mano, saluterà
inclinando la testa, su per giù come le signore.
Se il saluto dovrà esser profondo e rispettoso, all'
inclinazione della testa s'aggiungerà quella del
busto, sempre però senza esagerazione.
Avvezzate i vostri bambini a salutare tutte le
volte che voi salutate.
Le signore, come abbiamo detto, salutano con la
testa. Come regola generale, esse non salutano mai
per le prime, ma restituiscono il saluto, quando
s'incontrano con uomini: potranno tuttavia, anzi
dovranno salutare per le prime gli uomini di età,
gli uomini illustri, coloro cui son legate da vincoli
di obbedienza o di rispetto; ma questi, alla
lor volta, faranno di tutto per prevenire il loro
saluto. Incontrandosi con persone del loro sesso,
osserveranno le stesse regole che abbiamo date
per gli uomini.
La stretta di mano.
La stretta di mano è una dimostrazione di
amicizia, che accompagna assai spesso il saluto,
anzi fa parte, in un certo modo, del saluto stesso.
Stringer la mano è, presso di noi, un atto così
frequente che è diventato quasi abitudinario, e
ha perduto tutta l'antica importanza. L'uso di
serrarsi la destra era ignoto nell'antichità classica:
esso nacque nel torbido medio evo, quando
in ogni uomo si celava un nemico. Quando due
persone s'incontravano, ognuna temeva che l'altra
nascondesse nella destra un'arma omicida; e
il più semplice mezzo per accertarsene, era di
porgersi scambievolmente la mano. Oggi, stringendo
la mano d'un amico o d'un conoscente, non
si compie che un atto di cortesia, e non si pensa
più all'origine di quest'uso.
Il gesto di tender la mano sia, ad ogni modo,
leale, aperto, sincero. Molte persone hanno la cattiva
abitudine di porger soltanto due o tre dita.
Si dove porgere sempre la mano destra. Se, per
caso, essa è impicciata, fate passare nella sinistra
gli oggetti che portate, in modo da poter
presentare la destra quando giungete presso la
persona che volete salutare. Soltanto nel caso
che vi fosse impossibile liberare la destra, porgete
la sinistra, scusandovi.
La mano destra va tesa con franchezza, senza
esitazione e senza timidezza. La stretta deve esser
energica e breve: sono da biasimarsi tanto
coloro che stendono una mano molle e quasi inanimata,
come coloro che si stringono le dita fino
a farsi male.
Data la stretta, ritirate la mano: nulla è più
noioso che l'esser costretti a lasciar la nostra
mano prigioniera nella mano altrui, aspettando
il suo beneplacito.
In generale, è il superiore che tende la mano
all'inferiore; l'inferiore che stende per il primo
la mano verso il superiore non è persona bene
educata. Un uomo non tende mai per il primo
la mano a una signora; e serra con moderazione
quella che gli viene offerta. È raro che, in un
primo incontro, una signora tenda la mano a un
uomo; essa non deve farlo che in casi speciali;
tutt'al più, per render l'accoglienza più gentile,
essa porge la mano, in casa sua, al visitatore che
riceve per la prima volta, ma che già conosce
per nome e per fama.
Come per il saluto, le signore d'età e i vecchi
porgono per i primi la mano alle giovani donne
e alle giovinette. Per eccezione, un uomo ammogliato
potrà tender la mano a una signorina; ma
un giovinotto se ne asterrà assolutamente, sotto
pena di passare per maleducato.
Una signorina non tenderà la mano a un giovinotto
se non lo conosce da molto tempo. Se,
per caso, un giovane le porgesse la mano per il
primo, essa non la rifiuterà, poichè la lezione,
per quanto meritata, sarebbe troppo brutale; eviterà
tuttavia, nel seguito della conversazione, ogni
familiarità con lui.
La stretta di mano è un uso che si va generalizzando
ogni giorno più. Assai rara una volta,
essa era usata soltanto fra persone d'alto ceto;
oggi tutti si stringono la mano, tutti credono di
aver diritto a quest'atto di amicizia e di cordialità:
segno dei tempi. Una persona di buon senso
però, anche se in cuor suo non approva una tale
libertà, saprà fare, all'occasione, buon viso a cattivo
giuoco: e se non tenderà per la prima la
mano al facchino che gli ha portato la valigia o
al venditore ambulante, non si rifiuterà di stringergliela,
se quegli avrà la cattiva idea di porgergliela.
Dar la destra oppure il braccio.
Se, dopo il saluto e dopo la stretta di mano,
vi accompagnate con la persona che avete incontrata,
osservate certe regole speciali, che l'uso
ha ormai stabilite.
Una persona ben educata si pone sempre alla
sinistra d'un superiore o d'una signora; deve tuttavia
cambiar parte tutte le volte che lo creda
utile per la persona che accompagna: per esempio,
se il marciapiede è stretto, farà in modo che
essa possa usufruirne con comodo, trasferendosi,
se del caso, alla destra; lo stesso si dica se si
tratta di evitare inciampi o altri incomodi della
strada.
Oggi, accanto all'uso di dar la destra va prendendo
un certo piede quello di dar la sinistra; e da
alcuni si osserva che in questa seconda posizione
l'uomo che accompagna una signora ha la destra
libera e quindi è più in grado di proteggere e
aiutare colei che è momentaneamente affidata alle
sue cure. È una ragione giusta; e se domani
tutti adottassero il nuovo sistema, non ci sarebbe
nulla che ridire; ma l'altro sistema è troppo vecchio,
è troppo radicato nell'uso, per poterlo spiantare
in breve tempo. Il posto d'onore è, da tempo
immemorabile, dalla parte destra: e alla destra
stanno, in ogni cerimonia religiosa, militare o civile,
i personaggi di maggiore importanza. Atteniamoci
dunque all'uso corrente, per non passare
da maleducati o almeno da originali.
Stando dunque alla sinistra, si offre anche, in
certi casi speciali, e soltanto alle signore, il braccio
destro. Anche per questa offerta si osservino
le regole già date per il saluto: si offra cioè il
braccio soltanto alle signore che si conoscono da
lungo tempo e colle quali si ha una certa familiarità.
In casi dubbi, è meglio astenersene, per
non passare da sfacciati; ma la signora può sempre,
se lo crede opportuno, richiedervene.
Generalmente non si offre il braccio, per la
strada, a una signora con la quale ci si accompagna
per breve tratto; si offre invece durante
una lunga passeggiata, specialmente in campagna.
Sarà tuttavia atto di deferente cortesia offrirlo,
anche nel primo caso, a una signora d'età, specialmente
se appare stanca o sofferente.
Si usa offrire il braccio alle signore, in casa,
durante i balli, e negl'inviti a pranzo per recarsi
nella sala del convito e per uscirne. Il braccio deve
essere sempre offerto con una certa
galanteria, senza tuttavia esagerare; e, se viene accettato,
bisogna porgerlo in maniera che la signora possa
appoggiarvisi liberamente e comodamente. Perchè
ciò sia possibile, il cavaliere deve scostare alquanto
il gomito dal fianco, per non stringer troppo il braccio
della sua dama; egli deve anche tener conto,
della statura di essa, abbassarsi leggermente se
è piccola, sollevarsi un po', al contrario, se è più
alta di lui. Egli si asterrà rigorosamente dal far
dei gesti col braccio occupato.
Le piccole gentilezze.
Certi atti di cortesia, come il saluto, la stretta
di mano, l'offerta del braccio, acquistano maggiore
eleganza se sono accompagnati da altri atti
di gentilezza, che si potrebbero chiamare complementari.
Il regolamento militare, nel dar le norme per
il saluto ai superiori, prescrive come prima cosa
di rettificare il portamento. Ecco una buona norma,
che vale anche per le persone borghesi. Se vedete
da lontano una signora che conoscete a cui
dovete il saluto, rettificate anche voi il portamento:
se avete la giacchetta sbottonata, abbottonatela;
se avete il bavero rialzato, tiratelo giù;
se camminate frettolosamente, rallentate la vostra
andatura; se leggete un affisso sulla cantonata,
voltatevi e prendete una posizione normale. Con
queste precauzioni, il vostro saluto riuscirà più
gentile e più corretto.
Uno degli atti complementari più importanti è
il sorriso, che conquista la simpatia, attenua la rigidezza,
richiama il favore e assicura la popolarità.
Le signore ne sono maestre e quasi sempre
lo accompagnano al loro saluto. Esso tuttavia non
disdice neanche agli uomini, i quali devono per
altro saperlo usare con discrezione. In generale,
si addice più alle persone mature che ai giovani,
perchè indica, in fondo, confidenza e familiarità.
Quando un uomo, incontrando persona cui debba
rispetto o deferenza, non creda opportuno accompagnare
il suo saluto con un sorriso, deve tuttavia
atteggiare il viso a serenità e tranquillità;
solo nel caso che incontri persone recentemente
provate da gravi sciagure, dovrà non solo nel modo
di salutare, ma anche dall'atteggiamento del viso
mostrare pietà e commiserazione.
Se incontrate una signora con qualche oggetto
in mano, e v'accompagnate con essa, è vostro dovere
liberarla da quell'incomodo. Se siete con lei
in gita, dovete caricarvi del suo scialle, della sua
borsetta, del sue mantello. Non è cosa sempre piacevole;
ma un uomo ben educato non può sottrarsi
a quest'obbligo di cortesia. Ma se la signora
conosce le più elementari regole di creanza, non
deve abusare di questo suo diritto, deve anzi cercar
ogni mezzo per far da sè.
Dei doveri delle persone civili in tram, in treno,
in viaggio, parleremo a suo luogo. Qui, come regola
generale ci basterà dire che una persona dabbene
deve in ogni occasione rendersi utile ai suoi
simili, specialmente ai vecchi e agl'infelici, alle
donne, ai bambini.
Se vedete un vecchio imbarazzato in mezzo alla
strada, levatelo d'impiccio: se è pigiato dalla folla,
fategli posto, se ha paura ad attraversare la via,
accompagnatelo, se trova difficoltà a salire in tram,
aiutatelo. Se qualche mascalzone manca di rispetto
a una donna, redarguitelo coraggiosamente;
se una signora vi domanda degli schiarimenti, dateglieli
con buona grazia, e nello stesso tempo
con serietà e correttezza. Se un bimbo piange,
domandategli il perchè del suo pianto; se si è
smarrito, occupatevi di lui. Siate insomma, in ogni
occasione, dei gentiluomini; fate che chi vi conosce
ammiri in voi la gentilezza e il buon cuore,
soprattutto il buon cuore; chè, fra i due difetti,
è preferibile la taccia d'uomo rozzo a quella di
malvagio.
Il linguaggio.
Il linguaggio è lo specchio dell'anima. Si potrebbe
dire: dimmi come parli e ti dirò chi sei.
Ogni persona che usa parole sconce o volgari,
o che bestemmia, è un villano.
Ci sone molti che adattano il loro modo di parlare
alle persone con le quali parlano. Voi li sentite
sacrare coi loro contadini, bestemmiare coi
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loro operai, proferire motti sconci con gli amici,
e poi li ritrovate in società corretti, castigati, eleganti
nel gesto e nella frase. Pessima abitudine,
indegna di un vero gentiluomo e, ad ogni modo,
non scevra di pericoli.
Io ricordo sempre una istruttiva scenetta, della
quale fui testimone alla stazione di Pisa. Aspettava
l'arrivo del treno di Firenze un signore d'una
certa età, elegante e distinto; il treno finalmente
arriva, e da uno sportello di prima classe si affaccia
un viso gentile di donna, cercando con gli
occhi chi venga ad aprirle. Il signore si precipita
alla maniglia e con parole cortesi offre alla
signora di renderle quel piccolo servigio. Bisognava
vedere con quanto impegno egli si dedicava
tutto a lei, domandandole se intendeva fermarsi
a Pisa, o se voleva proseguire, e se desiderava un
facchino, e cento altre cose. Ma intanto, la maniglia
non girava; il signore raddoppiava gli sforzi,
e il suo viso, da ridente e sereno, si faceva oscuro
e contratto. Scoteva furiosamente lo sportello e
masticava delle parole incomprensibili che andarono
a finire in una chiara imprecazione, tutt'altro
che parlamentare. Da ultimo, al parossismo
della rabbia, egli sfilò una serie di bestemmie,
l'una più bestiale dell'altra, con gran maraviglia
e disgusto della signora, che si ritirò prudentemente
nell'interno del vagone. Il signore elegante
e cortese era diventato un mascalzone qualunque.
Ecco gli effetti dell'abitudine. Se quel signore
non avesse mai bestemmiato in vita sua, non bestemmiava
certamente per la prima volta in quell'
occasione, davanti a una signora. Ma egli era
certamente uno di quelli ai quali ho accennato
più sopra, che hanno a loro disposizione più specie
di linguaggio, e credono di potersene servire
quando vogliono; invece, quando la rabbia li trasporta,
perdono la testa e fanno delle pessime figure.
L'uomo dabbene, l'uomo veramente educato,
non usa un linguaggio volgare neppure nei suoi
soliloqui, non bestemmia mai, in nessuna occasione
e per nessun pretesto. In un momento di
rabbia potrà alzar la voce, potrà magari lasciarsi
trascinare un linguaggio più vivo e più vibrato
del solito, ma siate sicuri che se non avrà l'abitudine
del turpiloquio, non pronunziera mai frasi
o parole sconce o plebee.
L'usare parole volgari, il bestemmiare sono, oltre
che segno di pessima abitudine, un'offesa verso
coloro che ascoltano. Una delle norme più severe
del viver civile è quella che impone il rispetto
e la tolleranza dello opinioni altrui, tutte le volte
che queste non si oppongano ai principî della rettitudine
e della giustizia. Chi pronunzia parole
sconce, chi bestemmia, offende il più delle volte
le altrui credenze, le altrui convinzioni; compie
inoltre, specialmente con la bestemmia, un atto
stolto: poichè, se è credente, offende Colui di cui
riconosce l'esistenza e la potenza; se non crede,
scaglia le sue maledizioni a un Ente che per lui
non esiste.
Davanti ai bambini e alle donne, ogni forma
di turpiloquio è doppiamente biasimevole. Se si
può ammettere che fra uomini si possa talvolta
trascorrere a una certa libertà di linguaggio, purchè
si rispetti la civiltà e la decenza, non sarà
mai scusabile colui che si dimentica di sorvegliare
la propria lingua dinanzi a quelli esseri, che hanno
più di tutti diritto al nostro rispetto.
L'uomo dunque deve essere castigato così negli
atti, come nel linguaggio. Che dire della donna?
Ogni donna che osi trasgredire a questa regola
santa, perde tutti i diritti al rispetto da parte degli
uomini. Una signora veramente ben educata non
trascende mai, neppure nei casi più speciali, a pronunziare
una frase, una parola men che onesta e
civile; sulla sua bocca non si odono neppure quelle
parole innocenti, ma volgari, che il volgo adopra
a tutto pasto, sostituendole per vezzo ad altre di
un significato molto più energico. Essa evita anche
le espressioni plebee o troppo popolari, quei
modi di dire che, specialmente in una città, divengono
a un tratto di moda e son ripetuti da
tutti i ragazzi di strada: modi di dire che spesso
non contengono nulla di male, ma che talvolta
celano brutte allusioni o sottintesi maligni.
In presenza di uomini che osino parlare sconvenientemente,
una signora deve trovar sempre
modo di mostrare il suo disgusto: basterà quasi
sempre l'atteggiamento del viso e un significativo
silenzio; ma se questo non bastasse, essa potrà
anche ricorrere a un atto più grave: secondo i
casi, potrà alzarsi e abbandonare la compagnia,
e magari, se le circostanze lo permetteranno, intimare
ai maleducati di togliersi dalla sua presenza.
Nessun gastigo è troppo grande per chi
osa così dimenticare il rispetto dovuto al sesso
gentile.
D'un altro difetto, che può, in un certo modo,
considerarsi come diametralmente opposto al primo,
devono guardarsi tutti coloro che amano aver fama
di persone veramente civili e disinvolte: cioè da
una certa ricercatezza di modi e di linguaggio.
C'è molta gente la quale, trovandosi in presenza
d'un personaggio illustre o d'una signora, si crede
in obbligo di abbandonare il suo solito linguaggio
e di parlare, come si suol dire, in punta di
forchetta, scegliendo frasi e parole e dando al loro
periodo una tornitura speciale. Credono così di
far buona impressione in chi ascolta e di suscitare
stima e ammirazione. Quanto s'ingannano costoro!
Bisognerebbe che potessero ascoltare quel
che si dice di loro non appena hanno varcato la
porta del salotto! Bisognerebbe che vedessero i
sorrisi di compatimento delle belle signore, che
udissero qualcheduno rifar loro il verso, smascellandosi
dalle risa. No, no: semplicità, e naturalezza,
sempre e soprattutto. Il modo di parlare
deve esser come connaturato in noi, deve far parte
della nostra esistenza, deve esser sempre uguale
in ogni occasione: e se avremo, come dobbiamo
avere, l'abitudine di parlar correttamente, non
c'è nessun bisogno di mutar sistema in occasioni
speciali. Del resto - l'abbiamo detto più volte
e lo ripeteremo spesso anche in seguito - ogni
esagerazione, ogni caricatura, anche nelle cose
migliori, è sempre tutta a nostro danno.
Le piccole miserie.
Accade non di rado, anche alle persone meglio
educate, di trovarsi in certe situazioni imbarazzanti,
impreviste e imprevedibili. Ci sono,
per esempio, certi moti improvvisi ai quali nessuno
resiste: lo sbadiglio, il brivido, lo starnuto
e simili. Ecco che, in una conversazione e in presenza
di signore, il signor tale comincia a sbadigliare.
Il primo sbadiglio è soffocato alla meglio
fra le mascelle semiaperte, il secondo da una sapiente
applicazione del fazzoletto; ma sopraggiunge
poi il terzo, e poi il quarto, e poi il quinto.
È una vera disperazione: quel povero signore non
sa più che pesci pigliare; si dimena sulla sedia,
cerca di distrarsi, si volta, si alza: tutto è
vano. Lo sbadiglio, come una bestia in agguato, è
sempre lì e riappare a intervalli sempre più brevi.
Già le belle signore guardano con maraviglia, e
sulle loro labbra si delinea un sorriso canzonatorio.
Che fare?
Sono, l'abbiamo detto, momenti difficili, che solo
con la presenza di spirito e con la pratica della
buona società si riesce a superare. La prima regola
da seguire sarà di non spaventarsi troppo
se ci capita un caso simile: l'apprensione, lo spavento
non fanno che accrescere lo stato nervoso
dell'individuo e rendono il fenomeno anche più
insistente. Nel caso dello sbadiglio, si dice generalmente
che esso è segno di noia; ma tutte le
persone di buon senso sanno che può derivare anche
da stanchezza, da cattiva digestione, da spasimo
nervoso, e che, ad ogni modo, è un movimento
involontario, al quale nessuno può porre
rimedio da sè. Rendendosi ragione di tutto questo,
il paziente prenda con filosofia quel passeggero
incomodo, e sia il primo a riderne, scusandosene
garbatamente e lepidamente con chi gli
parla. Lo sbadiglio, che è contagioso, s'attaccherà
probabilmente ad altri, e di qui un nuovo argomento
di scherzo e di riso. Ridendo e scherzando
si finirà probabilmente col non pensar più alla
causa prima di quello scherzo e di quel riso; e
siccome in certi casi il distrarsi è il miglior rimedio,
lo sbadiglio cesserà e il povero tormentato
sarà lasciato in pace.
Quel che si dice dello sbadiglio, vale anche per
tutti gli altri movimenti involontari. Per certi casi
più gravi, come per esempio quando alcuno venga
colto - come dire? - da necessità urgenti e
improrogabili, noi non sapremmo dare consigli
precisi. Ognuno deve regolarsi secondo le circostanze,
e le circostanze variano infinitamente. Ma,
come regola generale, occorre sempre comportarsi
con spirito e con disinvoltura; essere i primi
a ridere della propria situazione, mostrare per i
primi confusione e imbarazzo, in quella forma un
po' umoristica, che spunta le armi del ridicolo. E
tutto questo va fatto con tatto e con finezza, per
non incorrere nella taccia di sguaiati o di maleducati.
L'abitudine di fumare si è ormai così diffusa
in tutto il mondo civile, che ha ormai dato origine
a tutto un galateo di norme, di regole, di
usanze. Forse, il meglio sarebbe che gli uomini
non fumassero, con guadagno della salute e della
tasca. Ma poichè tutti fumano, nè a noi è concesso
sperare che l'abitudine cessi, è meglio considerare
il fatto compiuto e cercare piuttosto a
quali norme debba attenersi il fumatore.
Un uomo civile e educato non fuma mai davanti
a una signora con la quale non abbia dimestichezza:
e ciò non soltanto in casa o in luogo
chiuso, ma neanche per la strada; e non deve
neppure chiederle il permesso di fumare, per evitare
che questo gli sia data soltanto per cortesia.
Per la strada, se la signora sa che chi l'accompagna
è un fumatore, farà bene a invitarlo a fumare,
salvo che veramente l'odore del fumo le sia insopportabile:
nel qual caso si scuserà con lui. In
casa, essa non ha obbligo alcuno, specialmente se
si tratta di visita breve. Ad ogni modo, un uomo
ben educato, se pure potrà, dietro invito, fumare
una sigaretta davanti a una signora, si asterrà
sempre, in simili circostanze, dall'accendere un
sigaro toscano e, peggio ancora, la pipa.
Incontrando per la strada una signora che si
fermi a parlare con lui, un signore ben educato
getta via il sigaro o la sigaretta: lo stesso fa in
teatro, in un ristorante, al caffè. Invitato dalla
signora, può ricominciare a fumare; ma non fumerà
mai, neppure invitato, se la signora ha preso
il suo braccio.
L'uso della pipa era una volta riservato solo
alle persone volgari; oggi si è esteso anche alle
persone civili; sicchè s'incontrano ad ogni passo,
non solo in campagna ma anche in città, signori
ben vestiti e distinti con la pipa in bocca. È una
questione di moda e d'abitudine, sulla quale ci
sarebbe molto da ridire, ma purtroppo le cose
non cambierebbero. Ricordiamoci tuttavia che, almeno
per ora, la pipa risente ancor troppo da
vicino la sua origine plebea, e che perciò va usata
soltanto fra uomini. L'odore della pipa è forte
e, per chi non c'è abituato, tutt'altro che gradito.
Sicchè sarà bene evitare sempre di fumare a pipa
in presenza d'una signora; e se anche questa darà
il permesso di fumare, daremo segno di buona educazione
contentandoci d'accendere una sigaretta.
Oggi fumano anche le signore e le signorine,
mentre, fino a non troppi anni fa, veder fumare
una donna era un'eccezione rarissima. Fumano in
casa, in campagna, in città, nei luoghi pubblici.
Nei caffè e nei ristoranti si può quasi dire che
il numero delle fumatrici uguaglia quello dei fumatori.
Che dire di questa abitudine? Noi non
possiamo che deplorarla.
Che una signora o anche una signorina fumi una
sigaretta, in casa sua o in campagna, in qualche
circostanza particolare, non sarà forse un gran
male; ma che fumi in ogni luogo e in ogni ora
del giorno, consumando pacchi di sigarette, annerendosi
i denti, ammorbandosi l'alito, sporcandosi
le dita, è cosa che nessuna persona, che ami nella
donna quelle qualità così speciali di gentilezza e
di finezza a lei proprie, può approvare o tollerare.
La donna crede forse di mostrarsi così libera ed
emancipata, ma non sa che un uomo dabbene ricerca
in lei ben altre qualità, molto più serie e
più solide.
L'abitudine di fumare è, checchè se ne dica, un
vizio bell'e buono; un vizio costoso, un vizio poco
pulito, fors'anche un vizio dannoso alla salute.
Come tutti i vizi, esso rende schiavi tutti coloro
che si sono ad esso dati in braccio: il fumatore
senza sigarette è un essere infelice, disperato, a
cui par di mancare della cosa più essenziale alla
vita; per procurarsi da fumare egli sfida il sole
di mezzogiorno, le tenebre della notte, le tempeste,
gli uragani. Se è in campagna, è capace di
percorrere miglia e miglia per trovare un appalto.
Lasciate all'uomo, signore gentili, questa triste
prerogativa: non gli siate compagne nel suo vizio,
non lo eccitate ancor più col vostro esempio.
Quei denari che, è proprio il caso di dire, vanno
in fumo, spendeteli piuttosto in quei mille gingilli
che sapete scegliere con tanto gusto, che
adornano la vostra toelette, che abbelliscono il
vostro salotto; spendeteli in fiori, degno emblema
della vostra gentilezza; spendeteli in opere di carità;
buttateli via, piuttosto!
Di un'altra cattiva abitudine, sempre a proposito
di tabacco, ci sbrigheremo in poche parole.
C'è ancora qualcheduno che annusa tabacco: sono,
in generale, persone di grave età, che presero
quel vizio davvero nauseante una cinquantina
d'anni addietro, quando tutti pigliavan tabacco e
pochi fumavano.
Oggi, se Dio vuole, pigliar tabacco da naso non
usa più: i giovani, e anche le persone di media
età, non conoscono quell'abitudine; sicchè c'è da
sperare che fra un'altra ventina d'anni le nostre
Regìe non fabbricheranno più nè macubino, nè semolino,
nè scaglietta. E sarà quello un bel giorno.
L'annusar tabacco, oltre ad offendere il senso dell'olfatto,
è causa spesso di spettacoli stomachevoli,
sui quali non è neppure decente insistere.
Per finire questo capitolo di miserie, resterebbe
a parlare di certi atti sconvenienti, ai quali
le persone poco fini si abbandonano non di rado:
tali sarebbero, grattarsi, pulirsi le unghie in pubblico
o mordersele, ficcarsi le dita nel naso, ecc. ecc.
Ma noi non ci spenderemo sopra parole inutili.
Sono atti, questi, che tutti sanno non esser permessi
alle persone per bene; sono atti che si proibiscono
perfino ai bambini, all'inizio della loro educazione.
Tanto più dunque debbono astenersene
i grandi, per i quali non vale la scusa dell'ignoranza
o del poco giudizio, che invece vale tanto
per i bambini. Del resto, questi ed altri simili
atti o cattive abitudini sono ormai così universalmente
condannati dal moderno galateo, che non c'è
da temere che qualcuno possa innocentemente crederli
leciti.
Riassumendo, l'uomo civile deve, in ogni circostanza
della vita, attenersi rigorosamente a quelle
regole di vita sociale, sancite dalla lunga esperienza
di secoli e affinate e ingentilite con l'avvento
della moderna civiltà. Più egli si atterrà
scrupolosamente ad esse, più osserverà le norme
universalmente conosciute e approvate, più avrà
fama di persona corretta e finemente educata. Sappia
egli adattarsi all'ambiente in cui vive, e, se
gira il mondo, sappia anche, pur mantenendo intatti
i fondamenti della propria educazione, rispettare
le abitudini degli altri paesi; accolga le
usanze straniere, se è in paese straniero, senza
maravigliarsene, senza criticare, senza alterarsi.
Si ricordi che, accanto a certe regole fisse, alle
quali ogni galantuomo deve sottostare, ce ne sono
tante altre, che dipendono dalla moda, dalle diverse
abitudini, dal clima, dal carattere, dalla razza,
le quali cambiano da paese a paese, da regione
a regione, da città a città; e non si può dire quali
siano le migliori, quali siano da preferire. Tutte
son buone, quando non contraddicono alla legge
suprema della morale, della decenza e della civiltà.
Regole generali d'igiene.
Cura della persona.
Gli antichi non conoscevano il sapone, che è
d'invenzione relativamente moderna; lo conobbero
invece i nostri trisavoli, ma, come già accennammo,
non ne fecero grand'uso. Oggi, grazie a Dio, il
sapone è in tutte le case, è alla portata di tutti;
e coloro che non se ne servono si posson contare
sulle dita.
Non risparmiate adunque acqua e sapone sulla
vostra persona; e dico sulla vostra persona, intendendo
dalla punta dei capelli alla punta dei
piedi. Qualcuno crede di esser pulito, quando abbia
pulite le mani e il viso; è un errore: quella
non è che apparenza di pulizia.
Alla pulizia della persona deve sempre essere
associata la pulizia degli indumenti, soprattutto
di quelli che non si vedono. Quante persone, si
domandava una volta un illustre igienista, sarebbero
in grado di spogliarsi davanti a un estraneo
senza arrossire della poca candidezza dei loro
indumenti più intimi? Lo so, la mancanza di proprietà
non deriva sempre da trascuratezza; spesso
c'è sotto l'eterna questione economica, la quale,
se permette una certa decenza esteriore, deve poi
per dura necessità passar sopra alle esigenze dell'
abbigliamento più intimo. È quella miseria nascosta
della piccola borghesia che è spesso più grave e più
dolorosa di quella, aperta e visibile,
dei miserabili. Ma anche in questo caso si può
e si deve curare, se non l'eleganza e la proprietà,
almeno la pulizia: una camicia rattoppata non fa
vergogna come una camicia sudicia o strappata.
Se tutta la persona deve essere oggetto delle
nostre cure, le parti di essa che sono esposte agli
sguardi altrui richiedono, naturalmente, una cura
speciale. Tali sono il viso e le mani. Ma prima
di parlarne, ci sia concesso dedicare poche
parole a un'abitudine eccellente, che per fortuna si va
facendo strada ogni giorno più anche nel nostro
paese: vogliamo parlare del bagno.
Il bagno.
Gli antichi, e soprattutto i Romani, ebbero per
i bagni un vero fanatismo. Essi passavano la maggior
parte della loro giornata in quegli eleganti
edifici, detti terme, dei quali rimangono ancora
avanzi superbi che destano l'ammirazione dei visitatori.
In tali edifici, arredati con un lusso squisito,
nulla mancava per accogliere degnamente gli
ospiti che accorrevano numerosi: fonti perenni
d'acqua fredda e calda, vasche di porfido, zampilli,
cascate, atrii riscaldati artificialmente per far
la reazione dopo il bagno, schiave e schiavi intelligenti
e pronti ad ogni servizio, sale di convegno,
giardini, terrazze. Non solo le grandi città, ma anche
i più piccoli villaggi avevano le loro terme:
e ogni cittadino romano considerava il bagno come
una necessità giornaliera, della quale non si poteva
fare a meno.
Con la caduta dell'impero romano e col sopraggiungere
della decadenza medievale, i bagni caddero
in disuso; si può anzi dire che in quell'età
sudicia e trascurata furono del tutto dimenticati.
E l'oblio durò a lungo, anche quando il medio
evo lasciò il posto all'età moderna. Nel 500, nel
600, nel 700, se pure si cominciò ad avere un
po' più di cura della persona, a lavarsi le mani
e il viso, l'idea d'immergersi tutti nell'acqua era
ancora tutt'altro che diffusa. E purtroppo l'Italia
fu, tra i paesi civili, quello che più tardi di
tutti ritornò a quell'usanza, che pure aveva avuto
in essa la sua maggior diffusione.
L'uso del bagno giornaliero è un uso eccellente.
Chi può, ne approfitti largamente, chè ne ritrarrà
gran vantaggio per la sua salute: nulla dispone
meglio per tutta la giornata, quanto un buon bagno
caldo o freddo (secondo la stagione e secondo
i temperamenti), fatto la mattina scendendo da
letto. Alcuni amano fare un bagno caldo la sera,
prima di coricarsi: il bagno serale concilia il
sonno, ed è quindi raccomandabile alle persone
nervose ed eccitabili.
Per poter fare il bagno con facilità e senza incomodo
soverchio delle persone di servizio, è necessario
avere in casa una stanza da bagno con
uno di quegli apparecchi di riscaldamento a gas
o almeno a legna, che in poco tempo portano l'acqua
alla temperatura voluta. Purtroppo poche famiglie,
specialmente della piccola borghesia, possono
permettersi questo lusso; e perciò molti
devono rinunziare alla gioia del bagno giornaliero.
Tutti però possono, con poca spesa, avere
in casa una di quelle tinozze di zinco, in cui immergersi
almeno una volta la settimana; tutti
possono, con un po' d'acqua calda e con un recipiente
adatto, per esempio con uno di quei
grandi vassoi che gl'inglesi chiamano tub, procedere
con sufficiente comodità e facilità alla nettezza
del proprio corpo.
Noi non sapremmo davvero raccomandare il bagno
nei locali a pagamento. Oltre al suo costo
non indifferente e alla perdita di tempo che impone,
non sempre si può esser sicuri della nettezza
delle vasche e della proprietà della biancheria.
Molte malattie della pelle, che sopraggiungono
all'improvviso e senza una causa apparente, hanno
avuto il loro principio in una vasca da bagno.
Il bagno in casa costa meno, si può fare a qualunque
ora, e non espone a pericoli.
Il bagno di mare non è un bagno di pulizia:
di più esso dà alla pelle una secchezza speciale,
tutt'altro che gradevole. Nulla è più piacevole,
dopo un bagno di mare, quanta una bella doccia,
d'acqua fredda.
Nelle acque dei laghi e dei fiumi il bagno è,
rispetto all'igiene, eccellente. Ma si abbia cura
di bagnarsi dove l'acqua è limpida e dove si ha
ragione di credere che non sia inquinata. Se si
tratta d'un fiume che attraversa una città, bagnatevi
a monte di essa, e non mai a valle: perchè
una gran parte dei rifiuti d'una città vanno
a finire nel fiume. Se si tratta d'un lago, scegliete
un Iuogo distante dall'abitato.
Ogni bagno freddo è salutare se è seguìto da
un'energica reazione. La reazione va facilitata con
un'attiva ginnastica o con una rapida passeggiata.
Se dopo il bagno siete presi da freddo, da brividi,
da malessere, interrogate il medico. Probabilmente
egli vi dirà che il bagno freddo non è per voi.
Le mani e il viso.
Non basta che il viso e le mani siano puliti;
richiedono anche certe cure speciali, che rivelano
la persona fine e educata.
Oggi, in alcune persone e specialmente nelle
signore, la cura delle mani e soprattutto delle unghie
è divenuta perfino eccessiva. Un arsenale di
ferri e di strumenti, da far concorrenza a un chirurgo,
sono disposti sulla toelette di certe signore,
le quali passano ore ed ore ad arrotondare le unghie
o ad appuntirle, a limarle, a raschiarle, a
scarnirle, applicandoci poi sopra una rosea vernice,
che fa pensare a un tuffo delle dita nell'inchiostro
rosso. II bello è che qualche volta, quelle
dita, quelle unghie così curate, sono tutt'altro che
pulite!
Esagerazioni! Una signora distinta cura le
sue mani con molta attenzione, ma sa evitare anche
in ciò ogni eccesso; e lascia alle donne di
dubbia fama il cattivo gusto di parere originali.
All'uomo serio e dignitoso non è neppure permessa
quella raffinatezza, che non disdice a una
donna: mani pulite, unghie bianche e ben tagliate,
e basta.
Il viso, il collo, gli orecchi si lavino a fondo,
più volte al giorno, insieme con le mani. È un'abitudine
che non si può mai raccomandare abbastanza.
Non basta lavarsi la mattina, alzandosi da
letto: il viso e le mani sono esposti tutto il giorno
all'aria, alla polvere, al fumo, e non possono non
insudiciarsi a questi contatti. Del resto, una buona
rinfrescata ogni tanto è tutt'altro che spiacevole;
e chi una volta ci si abitui, non può più farne
a meno.
Oggi la moda femminile scuopre molto volentieri
il collo e le braccia. Sia dunque cura delle
signore che queste parti del corpo così delicate,
che esse espongono agli sguardi altrui, siano sempre
d'una scrupolosa nettezza, senza neanche la
più lieve ombreggiatura.
L'uso dei cosmetici, dei belletti, della cipria,
del carminio sulle labbra, è assolutamente da condannare.
Nel vecchio passato, e fino alla Rivoluzione
Francese, di tutta questa roba si faceva un
uso smodato; dopo, e fino ai nostri giorni, parve
che la metà, più gentile dell'umanità avesse ormai
rinunziato, e per sempre, a quegli sciocchi
ornamenti; ma proprio in questi ultimi anni la
moda di tingersi il viso e le labbra è risorta all'
improvviso, e ha dilagato con impressionante
rapidità. Sembra quasi che le donne si vergognino
di comparire in pubblico coi loro colori
naturali!
Una signora per bene non adopra cosmetici.
Se è giovane e sana, si contenti dei colori che
le danno la gioventù e la salute; se ha ormai una
certa età, non cerchi di celare, con astuzie che
non ingannano nessuno, quei segni che gli anni
portano seco, e che non sono nè colpevoli nè indecorosi:
è una questione di dignità e di buon
gusto.
Rifletta anche - ed è una riflessione importantissima -
che ogni colorazione artificiale della
pelle è gravemente dannosa e non fa che accelerare
i danni e le stimmate dell'età. Un giorno,
quando, ormai vecchia, rinunzierà per forza a tutti
questi pietosi inganni, si troverà ad aver la pelle
floscia, avvizzita, piena di rughe; mentre avrebbe
potuto, con una cura semplice ed igienica, mantenere,
fin negli anni più tardi, una certa floridezza
senile.
I capelli e i denti.
Il lavaggio della testa, così per gli uomini come
per le donne, è un'eccellente abitudine d'igiene.
Tuttavia qualche volta si esagera anche in questo.
I capelli hanno, per loro natura, una certa untuosità,
che li rende morbidi e flessibili, e ne rafforza
il bulbo e la radice. Togliere tutta questa
untuosità, con lavaggi a base di sapone o di soda,
è un errore grave, che può esser causa della caduta
dei capelli o d'un precoce incanutimento.
Coloro che vogliono, anche in questo, comportarsi
secondo le buone norme igieniche, cerchino
dunque di mantenersi nel giusto mezzo. Per gli
uomini, è abitudine eccellente lavarsi la testa tutte
le mattine con acqua pura, e solo di tanto in tanto
con acqua e sapone; per le signore la cosa è, naturalmente,
un po' più complicata; nè è facile dar
regole che servano per tutte. Occorre tener conto
della qualità dei capelli, della quantità, del colore,
di tante altre cose. Ci sono dei capelli di
per sè molto untuosi, che hanno bisogno di esser
detersi con assai frequenza; altri invece, molto
aridi e secchi, ai quali giova, di tanto in tanto, di
essere unti. Ci sono, per questo, medici specialisti
e persone dell'arte, cui rimandiamo le cortesi
lettrici; ci limiteremo soltanto a consigliare di
sceglier sempre, per la cura del capo, i mezzi più
semplici, che sono quasi sempre i più igienici:
acqua e sapone, sapone e acqua; e insieme con
questi, altri due elementi importantissimi: aria e
luce. I capelli sono come una pianta che cresce
sul nostro corpo, e come tutte le piante hanno
bisogno, per crescere e svilupparsi, dell'aria vivificante
e dell'alma luce del sole. I contadini, i
marinari, tutti coloro che vivono all'aperto sono
raramente calvi; divengono calvi precocemente
coloro che tengono quasi sempre il capo coperto:
che portano il cappello quando son fuori, il berretto
quando sono in ufficio, la papalina quando
sono in casa, la berretta da notte quando sono
a letto!
In un libro onesto, come è questo, non sarebbe
neanche necessario far parola di quella stolta abitudine
di tingersi i capelli, propria ugualmente
degli uomini e delle donne di poco cervello. Ogni
persona che tiene a mantenersi la stima e il rispetto
dei suoi simili, lasci che i suoi capelli abbiano
quel colore che la natura ha dato loro, si
rassegni se li vede incanutire, come a cosa inevitabile.
Tanto, con la tintura più perfetta non
riuscirà mai a ingannare il prossimo; la barba,
i baffi, i capelli tinti si riconoscono da lontano
mille miglia, ed espongono colui che si tinge alla
compassione, se non al disprezzo delle persone
serie. Non importa poi dire che, come i cosmetici,
anzi più assai che i cosmetici, tutte le tinture
sono più o meno velenose, e non di rado
producono gravi malattie in chi le usa: talvolta
anche la morte. Non vi fidate dunque della réclame
della quarta pagina dei giornali che ogni giorno
vi fanno l'elogio di questa o di quella tintura,
assolutamente innocua: son tutte ciarlatanerie,
son tutte menzogne per ingannare i gonzi, che
si lasciano facilmente prendere all'amo.
Un bel viso, una bella bocca sono spesso guastati
da una brutta dentatura. Abbiate dunque
una cura solerte e continua dei vostri denti: non
tutti possono avere dei denti regolari, ma tutti
possono averli puliti: è una questione di pazienza,
e soprattutto di abitudine regolare di pulizia.
I denti devono esser lavati con lo spazzolino
e con un buon dentifricio non una volta al giorno
soltanto, ma più volte. È un'ottima abitudine quella
di lavarseli dopo ogni pasto, e la sera prima d'andare
a letto; e il lavaggio dev'esser fatto a lungo
e a fondo, in modo da toglier via tutte le materie
estranee rimaste fra dente e dente.
L'uso di fumare annerisce i denti, ed è anche
per questo che una signora che tiene ad apparir
bella e piacente deve rigorosamente astenersene;
ma dell'annerimento dei denti vi possono essere
molte altre cause, fra le quali la più frequente
è una digestione faticosa o imperfetta. In generale,
chi digerisce bene ha i denti sani e bianchi.
La regolarità dei denti, oltre la loro candidezza,
è una delle bellezze più ricercate in una donna;
nulla è più piacevole d'una bella fila di perle,
quando le labbra si schiudono al sorriso. Ora, le madri
amorose, che amano di veder belle e ammirate
le loro figliuole, è bene che sappiano che, nella
maggior parte dei casi, nulla è più facile che raddrizzare
dei denti storti; basta rivolgersi a un
buon dentista, che in un tempo relativamente breve
saprà rimetter le cose a posto. La spesa non grave
che un tal trattamento richiede è largamente compensata
dai molti e grandi vantaggi che ne conseguono.
I profumi.
L'uso dei profumi è antichissimo, e viene dall'
Oriente; e fra le regioni d'Oriente, l'Arabia è
considerata come la patria di tutti gli aromi. I più
antichi libri che si conoscano, come la Bibbia e
i poemi d'Omero, parlano di unguenti odorosi e
di liquidi profumati. L'uso di essi, passato dall'
Oriente in Grecia, e dalla Grecia a Roma, dilagò
per tutto il mondo civile e si mantenne vittorioso
attraverso i secoli; ed anche oggi le nostre
signore, e non le signore solamente, si profumano
con un accanimento e con una costanza, degne di
miglior causa.
Sconsigliare alle nostre lettrici l'uso dei profumi
sarebbe forse eccessivo; e d'altra parte le
nostre parole sarebbero buttate al vento. Ma si
può e si deve metterle in guardia da quell'abuso,
così nella qualità come nella quantità, che oggi
sembra tornato di moda.
Chi vuole oggi far uso di profumi, bisogna che
si rassegni a spender molto: non esistono profumi
buoni a poco prezzo. I soli veri profumi sono
quelli estratti da sostanze vegetali, con processi
lunghi e costosi, e si vendono a prezzi fantastici;
costano poco quelli chimici, ma sono generalmente
troppo forti e assai spesso anche sgradevoli: una
vera signora non ne usa mai. Se dunque non volete
o non potete profondere molti denari in quell'
abitudine di lusso, rinunziate francamente a profumarvi:
la vostra dignità e la vostra bellezza
non ci scapiteranno.
Ad ogni modo, se userete profumi, sappiateli
scegliere con fine discernimento. Tutti i profumi
forti, anche se di buona marca, non convengono
a una signora distinta, e tanto meno a una signorina.
Saranno invece preferibili i profumi delicati,
usati con parsimonia: una goccia appena
nel vostro fazzoletto sarà più che sufficiente. Nulla
è più volgare di certe signore che, per dove passano,
lasciano una traccia persistente di profumo
violento.
Accanto ai profumi veri e propri, ci sono anche
le così dette acque, come l'acqua di Colonia,
l'acqua di Felsina, l'acqua di lavanda, che esalano
un tenue odore, che presto svanisce. L'uso
di queste acque è consigliabile sotto tutti i rapporti
non solo alle signore, ma anche agli uomini;
i quali invece dovrebbero astenersi in modo
assoluto da ogni altro profumo. L'uomo che manda
odore di muschio, o d'altro profumo, sia pure dell'
ultima moda, è un effeminato, degno del disprezzo
dell'uno e dell'altro sesso.
La casa.
Chi deve scegliersi una casa, badi, più che
all'apparenza, alla sostanza, più che all'eleganza,
all'igiene. Eleganza, lusso, comodità son tutte
belle cose; ma la salute prima di tutto. E, neanche
a farlo apposta, spesso questi due lati della
questione fanno ai cozzi tra loro, e mettono in
gran perplessità chi deve prendere una decisione.
Per esempio, ecco che abbiamo in vista un
bell'appartamento pieno di sole e di luce, con le
stanze grandi e ben aereate, con una bella vista
su orti e su giardini: proprio quello che farebbe
per noi, e il prezzo non sarebbe neanche
eccessivo; ma.... ma è molto lontano dal centro,
della città, e il marito non si sente di fare a
piedi tutti i giorni una lunga camminata, e il
fare uso del tram lo secca e l'annoia; la signora....
la signora rimpiange quelle belle strade centrali,
piene di botteghe e di magazzini; pensa che per
far visita alle sue amiche dovrà fare un vero
viaggio, che il ritorno dal teatro, la sera, sarà
tutt'altro che piacevole. Ci sarebbe invece un
quartierino proprio nel centro, piccolo sì, è vero,
e anche un po' buio e con una lunga scala; ma
l'ufficio del marito è lì a due passi, e la signora
non ha che a scender le scale per trovare tutto
quello di cui ha bisogno.
Che si fa? Che cosa si decide?
Noi non possiamo che ripetere quello che abbiamo
già detto. Sulle questioni d'igiene non si può
rimanere incerti: aria, sole, luce soprattutto, a qualunque
prezzo, con qualunque sacrifizio. E i sacrifizi
non son poi troppo gravi; con un po' di
abitudine, le distanze, che prima sembravano eccessive,
si accorciano; e la necessità di muoversi
un po' di più, di far giornalmente qualche chilometro,
finisce col ridondare in tanta salute. Chi
vive in città, diviene pigro, lento, pallido; ingrassa
eccessivamente, o dimagra, si rovina la
salute: e ciò per mancanza di moto, per mancanza
di sole e d'aria. S'egli si troverà in un ambiente
più sano, se sarà costretto a concedere qualche
quarto d'ora della giornata a una rapida passeggiata,
s'accorgerà ben presto di tutto il vantaggio
del suo nuovo regime di vita. Non si esiti
dunque, non si dia ascolto alla nostra pigrizia:
prendiamo la casa più lontana, ma più igienica.
Una casa sana, oltre ad avere aria e luce, deve
anche esser priva di qualunque traccia d'umidità.
Generalmente, dove c'è sole non c'è umidità;
ma dovremo ad ogni modo esaminar bene
gli ambienti della nuova casa prima di affittarla,
specialmente se si tratti d'un pianterreno. C'è
un certo genere d'umidità, che nè l'aria nè il sole
valgono a scacciare; e l'umidità d'una casa, specialmente
della camera, può esser causa di gravissime
malattie.
La vostra casa sarà arredata con lusso maggiore
o minore, secondo i vostri mezzi; potrà anche,
se i mezzi sono pochi, essere arredata poveramente;
ma dovrà esser sempre igienica e sana.
Se siete ricchi, e vi potete concedere il lusso di
mobili eleganti e costosi, di tappeti soffici, di tende
e di tendine ricamate, badate che tutta questa
suppellettile non faccia ingombro e impedisca la
pulizia giornaliera. Si può far del lusso anche con
semplicità, e poche cose sono così brutte a vedere
quanto certe stanze piene zeppe di mobili, con
le pareti coperte di quadri, col pavimento nascosto
dai tappeti; regno della polvere e dei ragnateli.
In ogni stanza ci dev'essere, invece, spazio
sufficiente per le persone: i mobili si devono poter
smuovere facilmente; i tappeti non dovrebbero
esser mai fissi e inchiodati sul pavimento,
ma a forma di pedane e asportabili con facilità.
Le tende siano leggiere e trasparenti, di colori
chiari, da potersi lavare ogni tanto; oggi vi sono
delle signore di buon gusto, e veramente moderne,
che hanno avuto il coraggio di abolirle, e di sostituirle
con eleganti tendine ai vetri delle finestre,
can gran vantaggio della pulizia e dell'igiene.
La casa deve esser sempre tutta pulita, anche
nei suoi più piccoli bugigattoli. Se avete una così
detta stanza da sbratto, anch'essa deve esser sempre
in ordine, senza polvere e senza ragnateli. E
in ordine e pulita dove essere la cucina, in modo da
peter esser mostrata, in qualunque ora del giorno,
a qualunque persona che desiderasse vederla.
La pulizia della casa va fatta la mattina, al più
presto possibile. Una casa coi letti sfatti e con le
camere in disordine sull'ora del mezzogiorno accusa
di negligenza e di sciattezza la padrona
e la donna di servizio. Quando si fa pulizia, si
devono aprire le finestre, in qualunque stagione.
Non abbiate paura dell'aria: la più parte dei malanni
si prendono a star tappati in casa.
Oltre alla pulizia giornaliera di tutta la casa,
qualche brava signora ha l'abitudine di pulire a
fondo una stanza per giorno, a turno, cominciando
dal levare i mobili, sollevare i tappeti, lustrare il
pavimento, ecc. È un'ottima abitudine, che non
possiamo mai raccomandare abbastanza; e su di
essa ci fermeremo ancora a lungo.
La casa è il regno della donna; ed essa deve
esserne gelosa come di cosa che appartiene tutta a
lei. Una casa ben tenuta non solo fa onore alla padrona
di casa, ma è fonte d'armonia fra i coniugi
e di felicità familiare. Il marito che torna stanco
dal lavoro, entra contento nel suo nido tutto lindo,
dove ogni più piccolo oggetto rivela le cure amorose
d'una persona gentile; da una casa sporca
e mal tenuta egli si stacca invece volentieri, e
cerca altrove, nelle sale del circolo o nei caffè,
una distrazione alle fatiche della giornata.
Pensateci, lettrici cortesi.
La camera e il letto.
Di tutte le stanze d'una casa, quella che richiede
cura maggiore è la camera: altre potranno
essere più eleganti, ma nessuna ha più bisogno
di esser comoda e pratica.
La camera deve essere abbastanza ampia, specialmente
se deve ospitare due persone; deve esser
luminosa e, possibilmente, esposta a levante.
Non c'è cosa più gaia che alzarsi, d'inverno,
col sole in casa; d'estate, l'esposizione a levante
preserverà la vostra camera dai calori del pomeriggio
e vi concederà notti più fresche. Se
dovrete imbiancare le pareti, preferite i colori
chiari: purtroppo, si può esser costretti a stare
in camera per qualche malattia, e una tinta scura
è sempre fonte più o meno latente di malinconia.
Il letto sia sempre disposto in modo che la vostra
testa non sia vicina a una parete esterna.
Se avete l'abitudine di dormire a finestra aperta
o socchiusa - ottima abitudine,- disponetelo
più che sia possibile lontano dalla finestra, affinchè
l'aria esterna non vi colpisca direttamente mentre
dormite. Se dormite a finestra chiusa, tenete
almeno l'uscio aperto, in modo che l'aria possa
rinnovarsi. Avete mai provato ad entrare la mattina
nella camera di una persona che dorma a
finestra e uscio chiuso? Avete sentito che aria
grave e mefitica s'era rinchiusa là dentro? Quell'
aria è tutta veleno per i polmoni del dormente,
il quale si alza con la testa grave e con le membra
indolenzite.
Un buon letto non dev'essere nè troppo duro,
nè troppo morbido: nel caso, dicono gli igienisti,
meglio troppo duro che troppo morbido. Una volta,
coi sacconi di foglia e con quelli a molla, si andava
da un eccesso all'altro; oggi, con l'uso delle
reti metalliche, si è trovato il giusto mezzo. Una
buona materassa di lana, delle lenzuola pulite, qualche
coperta e un guanciale, ecco quanto è necessario
per un sonno piacevole e riparatore.
Le coperte non devono esser nè troppe, nè troppo
poche. La sensazione di freddo impedisce il sonno,
come la sensazione di caldo. Ma sulla misura del
coprirsi non si possono dar norme generali: c'è
chi ha sempre caldo, e chi ha sempre freddo.
Ognuno dunque si regoli secondo i suoi gusti.
Chi può concedersi il lusso d'uno stanzino da
toelette separato dalla camera da letto è una persona
fortunata; ma questa, nelle nostre case di
piccoli borghesi, è un'eccezione. Rassegnamoci dunque
ad avere, in un angolo della nostra camera,
un piccolo lavabo di marmo o un semplice lavamano
di ferro, purchè provvisto d'acqua in abbondanza,
nel quale si possano fare con comodo le
nostre abluzioni giornaliere. Tutti quegli oggetti,
così cari alle signore, come spazzole, spazzolini,
pettini, lime, ecc., dovranno esser disposti in buon
ordine sulla vera e propria toelette, davanti allo
specchio mobile.
Un armadio a specchio, un cassettone, una poltrona,
qualche seggiola, completeranno l'arredamento
della camera, la quale dovrà esser semplice
nella sua eleganza, senza fronzoli, senza mobili
inutili.
Le vesti.
Vedo un sorriso canzonatorio disegnarsi sulle
labbra delle mie lettrici nel leggere il titolo di
questo capitolo.
- Le vesti, cara signora, - mi par di sentirmi
dire - non son cosa che la riguardano.
C'è la moda, che cambia tutti i giorni; e anche
ammesso che Ella ci possa dare un monte di utili
consigli per le vesti che usano oggi, domani le
sue parole saranno inutili. Si risparmi dunque questo
capitolo. -
Lo so, lo so, cara lettrice; e non è mia abitudine
d'invadere il campo altrui, e tanto meno quello,
così geloso, della moda. Ma non storca la bocca,
e mi dia ascolto anche per questa volta. Le prometto
che non avrà a pentirsene, e può star sicura
che non sarà recata offesa alla sua suscettibilità.
La moda cambia tutti i giorni, è vero; e una
signora che si rispetta è obbligata a seguirne i
capricci. È questa una verità inconcussa, e io mi
tirerei addosso tutti i fulmini del mio sesso se
volessi discuterla. Ma, anche nel seguire la moda,
si può evitare gli eccessi, si può e si deve tener
conto della salute e dell'igiene. Quando la moda
imponeva alle signore quei busti pieni di stecche,
che stringevano la vita fino a togliere il respiro,
gl'igienisti strepitavano; e avevano ragione. E le
signore di buon senso si stringevano un po' meno,
permettendo ai polmoni la loro regolare funzione.
Oggi, i busti stretti non usano più, e gl'igienisti
hanno cessato di strepitare; ma quante altre
abitudini non impone la moda, che sono altrettanti
attentati alla salute e al buon gusto!
Oggi, per esempio, usano le scarpe coi tacchi
alti; e gl'igienisti dicono che quest'uso, che costringe
le signore a camminare fuori d'equilibrio,
col corpo proteso in avanti e con le gambe piegate
ad arco, è una vera rovina per l'organismo,
che ne risente nello stomaco, nel bacino, nel piede.
Osservazioni sistematiche, esami scheletrici minuziosi
e scientifici, hanno dimostrato che gl'igienisti
hanno ragione, e che i loro allarmi non sono
per nulla esagerati. Che fare?
Una signora di poco cervello fa una cosa semplicissima:
lascia gridare i medici e gl'igienisti,
anzi, per far più presto, non li ascolta nemmeno;
e sceglie nella vetrina del magazzino più di lusso
le scarpe coi tacchi più alti. Ma una signora di
buon senso si comporta ben altrimenti; e se non
arriva fino a rinunziare del tutto ai tacchi alti,
per non passare per una originale, sa almeno fermarsi,
a un certo punto, a quel giusto mezzo che
permette il rispetto della moda e insieme quello
dell'igiene. Se è madre di famiglia, lascia alle
giovani spose e alle signorine il gusto della moda
più vistosa, e si contenta di quell'eleganza severa
che più le conviene; sorveglia gli abbigliamenti
dei suoi figliuoli, e, almeno finchè non hanno
una certa età, esige per loro vesti e calzature
ampie e comode; si comporta insomma da persona
di giudizio, e non si lascia fuorviare da capricci
improvvisi e da eccentricità momentanee.
Di più, una signora intelligente sceglie con buon
gusto la moda che più si adatta alla propria figura
e alla propria età, e combina armonicamente il
colore e il taglio d'un abito con le linee della
propria persona: adotta stoffe e modelli diversi,
secondo che è grande o piccola, magra o grassa;
tien conto del colore della pelle e dei capelli,
della grandezza della mano e del piede, di tanti
altri piccoli particolari.
Seguite dunque la moda, signore mie care; ma
seguitela con giudizio. Nella scelta del taglio, del
colore, degli ornamenti, mostrate buon gusto e correttezza.
Si dice generalmente che gli uomini non
s'intendono di mode, e, senza dubbio, si dice una
verità; ma, in compenso, sono dotati di un senso
estetico che non li inganna. Se una signora veste
in modo troppo vistoso, un uomo di buon gusto
se ne accorge subito, e il suo giudizio è presto
fatto. Probabilmente egli non vi saprà dire con
precisione in che cosa consista la stonatura che
ha offeso il suo sguardo, ma sentirà che la stonatura
c'è, e si volgerà con sollievo ad altra
persona vestita con gusto migliore. Avviso, questo,
a quelle signore e signorine che credono, esagerando
la moda, di colpire di più l'immaginazione
dei signori uomini; quasi sempre, facendo
così, esse raggiungono uno scopo diametralmente
opposto.
I cibi.
I cibi più semplici sono i più sani. È questa
una massima generale della quale si dovrebbe tener
gran conto. Se in un argomento come quello
della scelta dei cibi non è possibile dare norme
particolari - i gusti sono così vari, e sui gusti,
come dice il proverbio, non si discute, - dobbiamo
tuttavia avvertire che tutti coloro che non
hanno uno stomaco troppo forte e che soffrono
di difficili digestioni, troveranno un rimedio alle
loro sofferenze seguendo questa norma: mangiar
poco e semplicemente. E purtroppo, al giorno
d'oggi, per un complesso di cause, tutti, più o
meno, digeriscono imperfettamente.
In una famiglia, una buona moglie dovrà rivolgere
non poca parte delle sue cure alla cucina,
alla scelta e alla cottura dei cibi. Il marito,
che torna a casa stanco e affamato, desidera
di trovar la tavola pronta e di mangiare cibi
ben preparati; nulla più lo disamora dalla famiglia
quanto il sedersi davanti a una tavola
male apparecchiata e il vedersi metter davanti
della carne mal cotta, dei legumi crudi. Le discordie
familiari, anche le più gravi, hanno spesso
origine a tavola da futili pretesti: da una minestra
troppo salata, da un coltello poco pulito, da
altre simili sciocchezze. Gli uomini che per tali
inezie turbano la quiete delle lore famiglie sono
gravemente da biasimare, e nessuna parola è
troppo severa per essi; ma non per questo una
buona sposa è meno in obbligo di cercar tutti
i mezzi per tener lontano ogni pretesto di discordia
o di malumore, compiendo quello che è in
fondo uno dei suoi più precisi doveri.
La diversa condizione delle famiglie impone alla
donna doveri diversi: per gradazioni differenti, si
va dalla piccola borghese, che è costretta a occuparsi
personalmente della cucina, fino alla ricca
signora, che ha a sua disposizione un cuoco o una
cuoca. Ma tanto nell'un caso quanto nell'altro,
c'è un dovere comune, ed è quello di procurare
che tutto, in cucina, si eseguisca con regolarità,
con pulizia, con igiene, sia esso fatto dalle proprie
mani o da mani mercenarie.
Nella scelta dei cibi, la donna deve essere, in
certo modo, maestra e consigliera dell'uomo. Gli
uomini sono, in generale, più voraci delle donne
e meno disposti per natura alla temperanza. La
qualità delle loro occupazioni, la loro maggior robustezza,
la vita fuori di casa, contribuiscono a dar
loro talvolta degli appetiti formidabili, che li fanno
trasmodare nel mangiare e nel bere di più, per
una strana contradizione, essi preferiscono spesso
proprio quei cibi che meno si confanno al loro
organismo, e scontano poi quel fuggevole piacere
che si son procurato a tavola. Una moglie amorosa
deve studiare, anche in questo, la psicologia
del marito, deve ammonirlo amorevolmente, sottrargli
con astuzia tutto ciò che sa per esperienza
dannoso alla sua salute; deve insomma trattarlo
un po' come un bambino, perchè molto spesso, in
queste cose, gli uomini non sono che dei bambini
grandi.
E voi, signori uomini, che leggete questo libro,
non crediate che vi sia permesso di far dei.... capricci,
di mettere alla prova la docilità e la bontà
delle vostre compagne. Uomini siate, e non pecore
matte,
ha detto Dante. Sappiate esser riconoscenti
alla donna di questa tutela delicata e quasi invisibile
di cui essa vi circonda, e non la rendete,
col vostro egoismo, difficile e sgradita. Ricordatevi
che è vostro supremo interesse di non
decadere dalla stima di colei che è a voi legata
da un nodo indissolubile; e che quando essa perdesse
l'amore e la fede in voi, la vostra vita diverrebbe
infelice e vuota e voi mettereste in forse
non solo la vostra tranquillità, ma, purtroppo, anche
l'onore.
Un'altra abitudine assai dannosa alla salute è
quella di mangiare a tutte l'ore e per ogni pretesto:
e questa, signore mie, è più frequente
in voi che nei vostri mariti. L' uomo, per le sue
stesse occupazioni, è costretto a una certa regolarità
nei pasti, dalla quale non può derogare
senza gravi inconvenienti; la donna, che è spesso
in casa, ha invece mille occasioni di.... rompere
il digiuno; e ne approfitta non di rado più volte
al giorno; aggiungete il thè in casa delle amiche,
i biscotti, le paste, la cioccolata...; ne deriva che
spesso la signora si siede alla tavola familiare e
non mangia; il marito s'impensierisce, propone
di consultare un medico, corre ai rimedi, e non
sa, pover uomo, che la sua dolce metà non è che
non abbia appetito, ma non ha più appetito perchè
ha mangiato un'ora fa!
Un difetto proprio degli uomini è invece quello
di mangiare con troppa fretta e senza masticare.
L'appetito, la necessità di guadagnar tempo, sono
spesso causa di quest'inconveniente, che è uno
de' più dannosi alla salute e che produce quasi
sempre, anche negli uomini più robusti, un senso
spiacevole di ripienezza e di torpore. Si mangi
dunque adagio e si mastichi molto: se non proprio
trentatrè volte ogni boccone, almeno quel
tanto che è necessario perchè gli alimenti subiscano
una completa insalivazione.
Un altro consiglio: non vi coricate mai subito
dopo aver mangiato, e neppure datevi a esercizi
troppo violenti: nell'un caso e nell'altro la digestione
si fa difficilmente. Anche, se è possibile,
evitate di porvi al lavoro, sia pure mentale, subito
dopo l'ultimo boccone. Molte malattie di stomaco
hanno proprio in questo la loro prima causa.
Il riposo - Le passeggiate e gli sports.
Prima di terminare questi brevi consigli di
igiene, dedichiamo due parole alle passeggiate e
agli sports.
Chi vuol vivere sano e a lungo non dovrebbe
mai, per nessun motivo se non per malattia, trascurare
una passeggiata giornaliera. Il moto è
uno dei maggiori fattori di salute che si conoscano:
rinvigorisce le membra, attiva la circolazione,
facilita la digestione, ristabilisce l'equilibrio
di tutto l'organismo.
Il cittadino è costretto, in generale, a vivere
gran parte della giornata in ambienti chiusi e
male illuminati, nei quali si avvelena lentamente
avviandosi verso una vecchiezza precoce. L'unico
contravveleno è il moto; e non il moto per le
vie della città, ma il moto all'aria aperta, possibilmente
in campagna, lontano da tutti i miasmi
cittadini. Là veramente egli si ritempra, riprende
vigore, riposa la mente e il corpo.
Siamo, è inutile negarlo, in tempi di sovraccarico.
Gli antichi e, senza risalire troppo lontano,
anche i nostri nonni non conoscevano quel lavoro
febbrile, continuo, snervante, cui oggidì è
costretta la maggior parte dell'umanità per provvedere
ai propri bisogni. Si lavorava poco e con
calma: l'industriale poteva fare il suo comodo,
perchè era ignota la concorrenza; l'impiegato non
aveva che poche ore da stare in ufficio per sbrigare
le sue mansioni e l'obbligo dell'orario non
era così ferreo come oggi; il medico, l'avvocato
passavano le loro giornate chiacchierando coi loro
pochi clienti, dai quali ricavavano abbondantemente
di che vivere con decoro. Oggi, purtroppo,
le cose sono cambiate: la giornata non basta più
alle nostre occupazioni, e siamo costretti a sottrarre
molte ore al riposo e al sonno; il nostro
lavoro non ha tregua, ma ci consuma incessantemente
il pensiero e il cervello. E la nevrastenia,
questa malattia terribile e dolorosa, ha finito col
diventare epidemica, mentre un tempo era, si può
dire, ignota.
Ora, una passeggiata giornaliera, che oltre a rinvigorire
il corpo sia anche una tregua al nostro lavoro,
è rimedio sovrano contro tanti mali. Un illustre
igienista, e medico di gran valore, parlando
del riposo necessario all'uomo, soleva dire: -
Un'ora al giorno, un giorno alla settimana, un
mese all'anno. - Consiglio veramente aureo, che
noi proponiamo alla meditazione dei nostri lettori.
A questo punto, qualcuno m'interrompe: -
Ma come si fa? Le necessità della vita sono terribili,
il tempo non basta, le spese crescono ogni
giorno.... Come si può pensare al riposo, alle passeggiate? -
Che dirti, povero infelice? Se veramente tu
hai una famiglia numerosa, dei gravi doveri da
compiere, che non ti lasciano un momento di libertà;
se tu sei costretto a un lavoro improbo
per dar da mangiare ai tuoi bambini, ai tuoi vecchi...,
lavora, povero infelice; sarai uno di quegli
eroi oscuri, uno di quei martiri ignorati dalla
moderna società, che sacrificano la salute e la
vita all'adempimento del proprio dovere. E se
nessuno riconoscerà i tuoi grandi sacrifici, avrai
almeno la coscienza e l'orgoglio d'aver fatto
quello che dovevi, più di quello che dovevi.
Ma, accanto a questi umili paria della società,
c'è un'infinità di gente che lavora accanitamente
non per vivere, ma per viver meglio; che sottrae
parte delle ore di riposo per accumulare più denaro,
per salire più in su, per raggiungere un posto
ambito e agognato. Badino costoro a quel che
fanno: non di rado, quando i denari sono finalmente
accumulati, quando il posto è raggiunto,
quando si crede di poter finalmente godere i frutti
dell'improba fatica durata..., ecco che la vecchiaia
è sopraggiunta, e non la vecchiaia vegeta e arzilla,
ma la vecchiaia piena di acciacchi, l'indebolimento
di tutto il corpo, la nevrastenia, l'arteriosclerosi,
la paralisi. Allora, dando uno sguardo
al passato, si vedono tutti gli errori commessi,
si toccano con mano tutti i danni di quel lavoro
insensato e continuo, che ha logorato i muscoli
e il cervello. E si vorrebbe tornare indietro,
per vivere una vita più regolare. Chi ha lavorato
troppo è soggetto a rimorsi, come chi ha
lavorato troppo poco!
Abbiate dunque cura, anche se siete giovani
e vi sentite forti, della vostra salute, alla quale
oggi non pensate, ma che sarà un giorno la vostra
preoccupazione. Lavorate; lavorate con impegno,
con serietà, con intelligenza; il lavoro è,
si sa, la più nobile occupazione dell'uomo, nè io
intendo in alcun modo incitarvi all'ozio. Ma sappiate
non esagerare, sappiate fermarvi a tempo;
sappiate soprattutto intramezzare nel vostro lavoro
periodi di riposo assoluto e completo, che
vi ristorino a vi ricreino, come all'assetato viandante
le oasi in un deserto. Soprattutto, non aspettate
per riposarvi di non poterne più; chè allora
il riposo dovrà essere infinitamente più lungo e
potrà anche non essere più sufficiente. Il consiglio
del mio amico igienista è probabilmente il
più saggio di tutti: un'ora al giorno, un giorno
alla settimana, un mese all'anno.
È una pessima abitudine quella di render la
domenica un giorno come tutti gli altri. Si pensi
che in tutti i paesi, in tutti i tempi, in tutte le
religioni, un giorno della settimana è dedicato al
riposo. Gli ebrei avevano il sabato, e tutti conoscono
a quali gravi punizioni andava incontro chi
lavorava in quel giorno: Dio stesso, secondo la Bibbia,
si riposò dopo sei giorni di lavoro. Sia dunque
la domenica, anche per noi moderni, un giorno
di riposo e di svago, nel quale la mente e il corpo
si rafforzino per il lavoro che ci attende. E cerchiamo
di passarla serenamente e senza preoccupazioni.
Alcuni amano fare, la domenica, lunghe passeggiate,
e quest'abitudine, veramente eccellente,
va prendendo piede ogni giorno più. Si vedono
giovinetti, signorine, uomini maturi, partire la
mattina col loro sacco in ispalla, e ritornar la
sera, sorridenti, ilari, disinvolti. Hanno fatto miglia
e miglia in campagna; si son seduti a mezzogiorno
in mezzo a un bel prato o nel folto d'un
bosco, accanto a una sorgente d'acqua pura, e
hanno mangiato allegramente le provviste portate
con sè; hanno giocato, hanno cantato, hanno respirato
dell'aria buona, si son divertiti: che volete
di più? Quanto meglio hanno costoro provveduto
alla loro salute, che non quelli che hanno
passato ore e ore nella sala buia d'un cinematografo,
nella platea d'un teatro o in mezzo al fumo
acre d'un caffè!
Ci sono gli appassionati allo sport. Essi attendono
con ansia la domenica per giocare la loro
partita al calcio, al tennis, alla palla, per esercitarsi
nel canottaggio, per andare a caccia. Siano
benedetti anche loro! Ogni sport all'aria aperta
è degno d'essere incoraggiato, senza eccezione.
La gioventù che si dà allo sport, alle passeggiate,
alla vita libera e allegra sotto il sole, non conosce
il vizio, disprezza le sozzure della vita cittadina,
rifugge dalle società equivoche, dai loschi
raggiri, dai giuochi d'azzardo.
Aria, luce, sole, moto: ecco gli elementi necessari
alla vita del corpo e dell'anima; ecco i rimedi
sovrani contro il sordo logorio della faticosa
vita di tutti i giorni.
In famiglia
I bambini.
La famiglia è il primo nucleo della società, è
anzi, in piccolo, una società, composta di vari
elementi, ciascuno coi propri doveri e coi propri
diritti. Ci sono in essa, come nella grande compagine
umana, gli uomini e le donne, i deboli e
i forti, quelli che comandano e quelli che ubbidiscono.
Una famiglia, per andar bene, deve, per usare
una parola moderna, essere bene organizzata;
cioè ogni suo membro deve saper tenere il suo posto,
conoscere ed esercitare i propri doveri e i
propri diritti. Parlare di questi doveri e di questi
diritti spetterebbe, più che a un libro di buone
usanze, a un libro di morale; ma come può la
buona educazione star separata dalla morale? Ci
si permetta dunque di trattare anche questo argomento;
ma così alla buona, senza pedanteria.
I bambini solo gli esseri deboli della famiglia,
quelli che hanno molti diritti e pochi doveri. Un
antico detto latino insegna che si deve avere il
massimo rispetto per i fanciulli; e pochi detti sono
tanto saggi come questo. Il bambino è un essere
delicato, nel quale tutte le impressioni esterne
s'imprimono come le impronte sulla cera molle;
perciò l'influenza della famiglia è decisiva sul
suo spirito. I genitori troppo deboli saranno perciò
responsabili dei difetti dei loro bambini, perchè
questi conserveranno sempre, nel loro contegno,
la traccia delle cattive abitudini contratte
in famiglia.
Se i bambini devono mostrare ai loro genitori
un rispetto inalterabile e una confidente franchezza,
i genitori alla loro volta hanno il dovere
di sorvegliare il carattere, il contegno, il linguaggio
e la condotta dei loro figliuoli. Tocca ai genitori
di prepararli ai loro doveri futuri, di sviluppare
in essi i sentimenti generosi, dei quali
essi dovranno poi far mostra nella vita.
Nell'educazione dei bambini bisogna tenersi lontani
da due opposti difetti: dalla troppa severità
e dalla troppa condiscendenza. In certe famiglie
i bambini sono tenuti con una specie di regime
di terrore: sgridati ad ogni momento, puniti per
ogni più piccolo fallo, essi vivono in un continuo
timore della voce dei loro genitori, tremano alla
loro presenza, si nascondono, se possono, al loro
avvicinarsi. Non ancora dotati di discernimento,
essi finiscono col non saper più quel che è lecito
fare e quello che è vietato, finiscono col credere che
tutto quello che fanno non si debba fare e perdono
interamente il senso del giusto e dell'ingiusto.
Sempre sotto il timore delle sgridate, essi non
hanno più fiducia nei genitori, e per evitare i
rimproveri ricorrono volentieri, quando possono,
alla bugia, che è forse, nei bambini, il difetto più
grave e più fecondo di tristi conseguenze. In molte
altre famiglie, invece, i bambini sono i veri padroni
di casa: i loro capricci sono legge; il padre,
la madre, i nonni, le persone di servizio, tutti
devono sottostare a loro: e guai a chi osasse far
l'atto di rimproverarli o di punirli. Abituati così
a ottener sempre quello che vogliono, essi crescono
arroganti, prepotenti, egoisti; e, nella vita,
si rendono presto tristemente noti per il loro cattivo
carattere.
Un padre e una madre non devono lasciar passare
nessuna occasione di mostrare la loro tenerezza
ai bambini. Il tono col quale parlano, il modo
stesso con cui li rimproverano devono sempre mostrare
che sono soltanto ispirati dall'affetto e dal
desiderio di far loro del bene. Tuttavia questo
affetto, questa familiarità non devono impedire,
quando l'occasione si presenti, il rimprovero severo
e, se sia necessario, anche acerbo. Il bambino
deve sapere che il dolce sorriso della madre,
l'aspetto sereno del padre possono a un tratto cambiarsi,
per giuste ragioni, in una serietà correttrice,
in un severo cipiglio; deve soprattutto sapere,
per esperienza più volte fatta, che i suoi capricci
non saranno mai soddisfatti, qualunque sia
la loro gravità e la loro durata, che la volontà
dei genitori è una legge fatale, alla quale non
gli è possibile sottrarsi. Quando egli si sia formata
questa convinzione, non tenterà neanche più
di far valere le sue pretese e si assoggetterà tranquillamente
all'ineluttabile. Conosco un bambino
che non può soffrire la minestra in brodo: tutti
i giorni a mezzogiorno, quando il padre è assente,
egli fa il suo bravo capriccio e la madre, che è
debole, glielo dà vinto; la sera, quando il babbo
è presente, mangia la sua minestra tranquillamente,
senza neanche provarsi a resistere: perchè
sa, per prova fatta due o tre volte, che se
non mangiasse la minestra non gli toccherebbe altro....
Ricordiamoci che i bambini sono, a modo
loro, pieni di logica, e raramente si ostinano in
ciò che sanno assolutamente irraggiungibile.
I bambini devono esser tenuti sempre ben puliti;
non solo per igiene, ma per decenza e per
buona educazione. Il fatto ch'essi sono così facili
a insudiciarsi da un momento all'altro, non giustifica
quella trascuratezza, con la quale li tengono
molte mamme. Ci vuol pazienza, e rassegnarsi
a cambiarli e a lavarli d'ora in ora. Facendo
così, conseguiremo anche un altro vantaggio: quello
di avvezzare il bambino stesso alla pulizia. L'esempio
materno e quel dovere continuamente sottostare
al cambio delle vesti e alla lavatura lo
indurranno ad aversi più cura e ad evitare le occasioni
di sporcarsi.
Abituate il bambino fin da piccolo, senza esagerare
ma con fermezza, a tenersi correttamente.
Impedite fin da principio, con energica severità,
gli urli, le bizze, il pianto noioso e prolungato.
State attenti alle persone che pratica, e fate in
modo che non impari, fin dalla prima età, modi
o parole sconce e volgari. Se per caso le impara,
correggetelo con amorevolezza e senza mostrar di
dare troppa importanza alla cosa, per non ottenere,
eccitando la sua curiosità o la sua astuzia,
un effetto contrario; meglio se potrete fare in modo
che, piuttosto che accorgersi della sconvenienza
di quell'atto di quella parola, se ne dimentichi.
A genitori onesti e ben educati non occorre
dire quanto importi che i cattivi esempi non vengano
da loro. Il padre che, in certi momenti d'ira
o di malumore, si lascia sfuggire parole triviali
o sconce, non ha diritto di lamentarsi se il suo
bambino le ripete; piuttosto che rimproverarlo,
pensi a correggere sè stesso; la madre che, in
qualche occasione, si mette a strepitare contro le
persone di servizio, non deve maravigliarsi se i
suoi figliuoli si credono autorizzati a far lo stesso.
Come regola generale, siate indulgenti verso
tutte quelle mancanze dei bambini, che derivano
non da malizia, ma dalla naturale esuberanza di
vita propria dell'infanzia. Se i vostri piccini fanno
troppo chiasso, se, giocando, rompono un oggetto
a voi caro, non vi lasciate trasportare dall'ira,
non infliggete punizioni esagerate: pensate che i
bambini non possono, per la loro stessa natura,
avere quel senso di moderazione, quel continuo
controllo dei propri atti, che è invece doveroso
negli adulti; se l'avessero, voi stessi ve ne maravigliereste
come d'una cosa strana, e forse vi
mettereste in pensiero. Siate invece inesorabili
quando il fallo commesso rivela malignità o cattivo
cuore: soprattutto punite senza indulgenza
la menzogna, l'inganno, la calunnia. Se un bambino
guasta o rompe un oggetto del vostro salotto,
se mangia di nascosto un pezzo di dolce rimasto
nella dispensa, non vi fate pregar troppo a perdonargli;
ma se del danno fatto accusa un'altra
persona, gastigatelo in modo che gli passi la voglia
di ricorrere ancora a un simile espediente.
I bambini sono, oltre che dei buoni logici, dei
fini osservatori; e molti babbi e molte mamme
non tengono il dovuto conto di questo fatto. Pretendere
che il padre e la madre siano sempre
d'accordo sul modo di educare i propri figliuoli,
è pretendere troppo: anche nelle coppie matrimoniali
meglio assortite c'è sempre qualche piccola
divergenza di vedute, specialmente nei primi
tempi: divergenze che si compongono con facilità
e che finiscono poi con lo scomparire. Ma guai
se di queste divergenze, per quanto piccole, si
rende conto il bambino, se s'accorge che un suo
malestro è giudicato diversamente dal padre e
dalla madre. Con una certa sua innata astuzia,
egli ne approfitterà per fare a modo suo, appoggiandosi
via via a quello dei suoi genitori che sa
essergli più favorevole in quel dato caso. Mostratevi
dunque, in faccia ai vostri figliuoli, sempre
concordi, anche se la concordia non è perfetta:
avrete poi tempo, a quattr'occhi, di discutere le
vostre opinioni, di vagliare il pro e il contro, di
trovare insieme la via migliore.
L'uso comune della società moderna è che i
figli diano del tu ai genitori, mentre, poche diecine
d'anni fa, il tu, nelle famiglie distinte, era
un'eccezione. In qualche parte d'Italia usa ancora
il voi, in qualche famiglia si mantiene ancora il
lei. Questioni d'abitudine, tutte rispettabilissime.
L'importante è che i figli abbiano per i genitori
affetto, fiducia e un salutare timore: il resto è
questione di modalità, fors'anche di moda, sulla
quale, anche se ne valesse la pena, non sapremmo
davvero dar norme precise.
I giovinetti.
Il bambino cresce e si sviluppa; e un bel giorno
i genitori si accorgono, sempre con una certa maraviglia,
che è diventato un giovinetto o una giovinetta.
La distinzione del sesso non è più senza
importanza: finchè si è nell'infanzia, il sesso non
conta: bambino o bambina è lo stesso: i capricci,
le bizze, i giuochi non variano; forse, il maschio
è un po' più rumoroso, la femmina un momentino
più quieta; ma la differenza è piccola, e non sempre
c'è. Ma a partire da una certa età, è tale
il divario fra gli uni e le altre, che anche il sistema
d'educazione richiede una distinzione ben
chiara e netta. Coi bambini i genitori devono spesso
far uso di quella autorità assoluta, che comanda
e non dà spiegazioni: persuadere un bambino non
è sempre facile, spesso è assolutamente impossibile;
perciò, si ordina e non si ammette replica.
Coi giovinetti, bisogna procedere con più precauzione:
e per quanto è possibile cercar sempre di
raggiungere lo scopo che ci proponiamo con la
pazienza e con la persuasione. Il giovinetto comincia
ormai a ragionare da sè, ed è orgoglioso
di questa nuova facoltà che si va sviluppando in
lui; gli piace di rendersi ragione di quel che fa
o deve fare, s'impunta o s'impermalisce se deve
obbedire alla cieca, come un bambino. I genitori
savi e prudenti non solo non ostacolano queste sue
tendenze ma ne sanno approfittare, volgendole,
con sapiente artifizio, a loro favore: e così il giovinetto,
guidato da abile mano, crede spesso di
regolarsi secondo il proprio arbitrio, e non fa che
seguire le orme che gli sono state tracciate. Sistema
questo veramente eccellente: poichè le buone
abitudini sono tanto più durature, quanto più praticate
spontaneamente.
Fin da quando i giovinetti sono in grado di
comprendere e di ragionare con sufficiente larghezza,
inculcate loro quelle più importanti norme
di vita che formano il vero galantuomo: prime
fra tutte, l'onestà, l'amore al lavoro, il rispetto
dei più vecchi. Noi crediamo fermamente che chi
praticasse sul serio queste tre grandi virtù, potrebbe
anche fare a meno, senza gran danno, di
tutte le altre.
Avvezzate i vostri figliuoli all'onestà assoluta
e senza restrizione: onestà d'atti, di contegno, di
parole. Se, anche nell'ambito ristretto della famiglia,
commetteranno una di quelle azioni poco
corrette, non gravi in sè, che ogni ragazzo commette,
fate loro vedere, magari esagerandole un
po', tutte le conseguenze del loro errore. Se si
tratterà d'una promessa non mantenuta, fate capire
che il vero galantuomo non ha che una parola
sola, e che quando ha promesso, deve mantenere
ad ogni costo; mostrate che sulla sicurezza
della parola data è fondata in gran parte la fiducia
commerciale e il buon nome. Se si tratterà
d'una bugia, d'un giudizio avventato su persone
di conoscenza; fate comprendere tutti i danni che
possono derivare agli altri dalla nostra mancanza
di sincerità o di prudenza, e il cattivo nome che
ne può venire a noi stessi. Non tralasciate insomma
nessuna occasione per indirizzare alla rettitudine
la mente e il cuore del vostro figliuolo:
e tutto ciò sia fatto con semplicità, senza pedanteria,
senza ingenerare dispetto o stanchezza. Non
si può immaginare a quali effetti salutari possa
condurre un tal metodo, se si sappia usarlo come
si deve. Io so d'un maestro ch'era riuscito a togliere
a tutti i suoi scolari il brutto vizio di copiare
i loro compiti e gabellarli come roba propria,
soltanto col far loro notare che quel che essi facevano
era nè più nè meno che un falso; e che
quando mettevano la loro firma sotto un lavoro
fatto da altri, commettevano lo stesso reato di
colui che mette una firma falsa in una cambiale!
Più che tutti gli esempi tolti dalla vita, gioverà
l'esempio vostro: se il padre e la madre,
ciascuno per la parte sua, saranno veramente e
profondamente onesti, tali riusciranno anche i figliuoli,
purchè padre e madre si occupino davvero
della loro educazione e non li lascino invece liberi
di abbandonarsi ai loro istinti. Purtroppo, in
molte famiglie non accade così: la madre, una santa
donna, per mancanza d'energia o di cultura, o per
le troppe occupazioni, non può più occuparsi con
frutto dell'educazione dei figliuoli, quando ormai
sono giunti a una certa età; il padre, perfetto
galantuomo, è occupato tutto il giorno dalla sua
professione o dai suoi affari, e non ha nè tempo
nè voglia di sobbarcarsi a un compito così grave,
che richiede fatica e costanza. E i figliuoli vengon
su come possono, abbandonati a sè stessi, o
ai cattivi consigli dei falsi amici. Poi, a un tratto,
si sente dire che il figlio del tal dei tali, di quel
gran galantuomo che tutti conoscono, ha rubato,
ha falsificato la firma del padre, ha coperto d'infamia
il nome della sua famiglia. Conseguenze fatali
d'un errore d'educazione.
E l'esempio varrà anche per inculcare nei vostri
figliuoli quell'altra grande virtù dell'amore
al lavoro. Il figlio d'un padre ozioso e fannullone,
d'una madre che abbandoni la casa a sè stessa
per far visite o prender parte a ricevimenti, difficilmente
diventerà un lavoratore; preferirà anch'
egli di darsi buon tempo, che è cosa tanto più
facile. S'abituerà invece a considerare il lavoro
come un obbligo, se vedrà il padre occupato seriamente
nei suoi affari o nella sua professione,
la madre interamente dedita alle cure della famiglia.
Il lavoro d'un giovinetto è, nelle famiglie borghesi,
lo studio. Ed è un dovere imprescindibile
dei genitori di sorvegliare gli studi dei loro ragazzi,
continuamente e assiduamente. In molte famiglie,
quando si è mandato a scuola i figliuoli,
quando si son provveduti di carta, di libri, d'inchiostro
e di penne, si crede di aver fatto tutto:
tocca al maestro a insegnare, e ai ragazzi a imparare.
Teoria comoda, che dà ai genitori l'illusione
di viver tranquilli e senza sopraccapi. Ma è proprio
un'illusione, che molto spesso riserba delle brusche
sorprese: una lettera del preside della scuola,
un rapporto dei maestri vi fanno a un tratto sapere
che il vostro figliuolo non studia, che è indisciplinato,
che manca ogni tanto alle lezioni.
Sorpresa generale: lacrime della madre, ira violenta
del padre, rimproveri, gastighi.... e poi si
ricomincia da capo.
Sorprese di questo genere, in una famiglia dabbene,
non devono mai verificarsi. Se i figliuoli non
studiano, i primi ad accorgersene devono essere
i genitori; e se ne accorgeranno facilmente, se
avranno l'abitudine di sorvegliarli di continuo, di
interrogarli, d'informarsi di quel che fanno giornalmente,
di fare ogni tanto una visita ai maestri
e ai professori. Se li vedranno distratti, svogliati,
più proclivi ai divertimenti che allo studio;
se li vedranno tornar tardi da scuola, o imbrancarsi
coi compagni, o ricercare amicizie non adatte
alla loro condizione, avranno elementi sufficienti
per far la loro diagnosi, e dovranno senz'altro correre
ai rimedi; ai rimproveri, alle correzioni, ai
gastighi, se la persuasione e le buone parole non
bastano.
Purtroppo, l'educazione dei figliuoli è fra le
cose difficilissime di questo mondo, e chi volesse
darne le norme dovrebbe scrivere un libro apposta;
senza contare che le norme sole non bastano.
L'animo del ragazzo è mutevole, incostante,
e varia da individuo a individuo; e chi si occupa
sul serio d'educazione sa che, caso per caso, individuo
per individuo, bisogna saper scegliere il
modo di correggere, di rimproverare, di punire.
Ci sono dei giovinetti d'animo sensibile, coi quali
tutto s'ottiene con la dolcezza e la persuasione;
anche nei casi più gravi, basta un'occhiata, una
parola severa, per rimetterli subito sulla buona
strada; per altri invece le parole non bastano,
ci vogliono i gastighi, ci vogliono qualche volta,
purtroppo, anche delle correzioni più gravi. I genitori
devono saper leggere nell'animo dei loro
figliuoli come in un libro aperto, e valersi via
via dei mezzi di correzione che si adattano di più
al loro carattere.
Il rispetto alle persone d'età non è soltanto un
atto di buona educazione, una norma di civiltà;
è, soprattutto, un dovere, fecondo d'ottimi resultati.
Rispettare un vecchio vuol dire riconoscere
in lui una persona di grado superiore, per coltura,
per senno, per pratica della vita. E poichè
molti degli errori giovanili dipendono più che altro
da inesperienza, non è a dire quanto sia utile
nel giovinetto la convinzione che i vecchi ne
sanno più di lui: in tale persuasione, egli non sdegnerà
di ricorrere ai loro consigli, quando l'occasione
si presenti, e lo farà spontaneamente e
con fiducia. Toccherà poi ai vecchi a non abusare
di questa fiducia, a non mostrarsi noiosi e esigenti,
a non far passare ai giovani la voglia di
ricorrere ai loro consigli: ciò che sarebbe un gran
danno.
Due altre cose devono i genitori sorvegliare
con gran cura nei loro figliuoli: la scelta delle
letture e degli amici. Giunto a una certa età, il
giovinetto prova, in generale, un gran desiderio
di leggere; e poichè gli manca l'esperienza della
vita, tutto quello che legge crede che rispecchi
la verità di quel mondo che ancora gli è in gran
parte ignoto. L'adulto legge in una maniera del
tutto diversa; e qualunque sia il libro che ha
sott'occhio, istituisce sempre, anche involontariamente,
un confronto fra quel che in esso è detto
e quello che è in realtà; e finisce col far la sua
critica, dichiarando il libro o vero, o falso, o esagerato,
o troppo crudo, o troppo sentimentale. Il
ragazzo no: egli si fida ciecamente di quel che
legge, e crede e spera di trovarlo poi nella vita.
Non di rado si legge di giovinetti di dodici o quattordici
anni, i quali, montatasi la testa coi romanzi
d'avventure, hanno improvvisamente abbandonato
le loro famiglie e si sono messi a correre il mondo
per imitare i protagonisti dei loro libri prediletti;
e ci fu un tempo in cui la lettura delle Ultime
lettere di Iacopo Ortis, romanzo d'amore che finisce
con un suicidio, fu causa della rovina di molte
giovani vite. Sorvegliate adunque le letture dei
vostri figliuoli, scegliete i libri che si adattano alla
loro indole, e se non potrete sempre impedire che
leggano certi libri un po' fantastici, che sono la loro
passione, sappiate almeno porger loro un contravveleno,
invitandoli a leggere anche libri d'altro
genere e soprattutto aiutandoli, con la parola e con
l'esempio, a separare la fantasia dalla realtà, a
riconoscere tutta l'esagerazione di ciò che leggono.
Se si deve essere severi e oculati nella scelta
dei libri, severità e oculatezza anche maggiori saranno
necessarie nella scelta degli amici. Non permettete
mai che il vostro figliuolo si accompagni
con ragazzi della sua età o maggiori di lui, se non
li conoscete in modo da esser sicuri della loro moralità.
Non è esagerazione dire che i cattivi compagni
sono quel che di peggio possa capitare a
un ragazzo, tanto essi influiscono sul suo carattere,
sulla sua indole, sulle sue idee. E badate
che, in generale, non è per malizia che i giovinetti
stringono amicizie equivoche: quasi sempre
essi credono ingenuamente d'aver trovato la perla
degli amici; e solo più tardi, e insensibilmente,
prendono il fare, i modi, le abitudini del cattivo
compagno. Siate dunque, in questo, severissimi e
sorvegliate anche voi stessi, perchè non accada
che, in un eccesso di fiducia, non abbiate ad accogliere
in casa vostra chi non è degno della vostra
confidenza.
Le giovinette.
Molte delle norme che abbiamo date nel capitolo
precedente valgono così per i giovinetti come
per le giovinette. Ma, come abbiamo anche detto,
da una certa età in su non è più possibile educare
gli uni e le altre con gli stessi metodi.
La giovinetta ha l'animo più gentile, più sensibile
del giovinetto; e la sua educazione offre meno
difficoltà. Raramente, e solo in casi eccezionalissimi
e quando si abbia che fare con caratteri speciali,
si è costretti a ricorrere con lei ai grandi mezzi,
alle severità, ai gastighi: i buoni consigli della
mamma, le sue dolci parole, bastano in ogni occasione
a farle compiere, con buona volontà e con
serenità, il suo dovere.
Ogni fanciulla è come un fiore delicato, che
cresce sotto le cure amorose a pazienti del giardiniere;
trascurato, avvizzisce o intristisce.
Una volta, la giovinetta stava in casa con la
mamma, usciva fuori con la mamma, viveva tutta
la sua vita di fanciulla con la mamma. Oggi non
è più così: sarà un bene, sarà un male: non lo
so e non voglio giudicare; ma il fatto è che la signorina
moderna va a scuola come i ragazzi, sta in
iscuola coi ragazzi, esce di casa sola e ritorna sola,
con una libertà un tempo assolutamente ignota.
Se tutto ciò fosse frutto soltanto di una nuova
moda, si potrebbe anche esser tentati di consigliare
di tornare all'antico; ma di tutte queste
nuove abitudini sono causa principale le mutate
condizioni della società moderna, la quale sembra
voler imporre il precetto che la donna debba guadagnarsi
la vita come l'uomo. Le fabbriche, gli
uffici, le scuole sono oggi piene di operaie, d'impiegate,
di maestre; e in molte famiglie numerose,
anche d'antico stampo, non si vede di mal occhio
che le figliuole si assicurino un avvenire, indipendentemente
dalla speranza, sempre aleatoria, di
accasarsi.
Prendiamo dunque le cose come sono, che è il
più saggio dei consigli; e vediamo come ci si
debba regolare in questa nuova condizione di cose.
L'uso delle scuole promiscue, che al suo primo
apparire fu così biasimato, non ha poi prodotto
quei danni morali che i pessimisti avevano preconizzato.
Maschi e femmine, abituati fin da piccoli
a vivere insieme, sanno comportarsi con correttezza
e con disinvoltura, senza danno della convenienza
e del decoro. Tuttavia, non consiglieremmo
mai una madre a mettere in una scuola promiscua,
una figliuola già grande, abituata a vivere
in famíglia o in scuole femminili: sarebbe un
esporla a un troppo radicale cambiamento d'abitudini,
che potrebbe condurre a conseguenze spiacevoli.
I giovinetti e le giovinette debbono sapere
vivere insieme, acquistando, specialmente le giovinette,
quel fare semplice e spigliato, e nello stesso
tempo riservato e modesto, che non si acquista
che con la lunga abitudine.
Non sempre, specialmente nelle piccole famiglie
borghesi, si può permettersi il lusso di accompagnare
o far accompagnare le proprie figliuole
alla scuola; ed oggi vige quasi dappertutto l'abitudine
di mandarle sole. Non c'è gran male; ma
una madre saggia e oculata farà in modo che
questa eccezione, imposta dalle circostanze, non
divenga un'abitudine: altro è vedere una signorina
recarsi la mattina a scuola, coi libri sotto il
braccio, o ritornarne nel pomeriggio, percorrendo
sempre la stessa strada con passo frettoloso, altro
vederla aggirarsi per la città, in qualunque ora,
soffermandosi alle vetrine delle botteghe a osservare
e curiosare. L'andar fuori sole sia dunque
una necessità e non un'abitudine; e si ricordi che
a una signorina sola incombe il preciso dovere di
sorvegliare più che mai il proprio contegno, di
non accompagnarsi con nessuno, e meno che mai
con uomini, di vestire modestamente, per non dar
nell'occhio ai passanti.
In casa, una signorina per bene veste sempre
con correttezza, non esce di camera se non interamente
abbigliata e pettinata, non fa uso di
vestaglie, che sono permesse soltanto alle signore
maritate. La sua camera è semplice e modesta,
senza sfarzo e senza stonatura; non è ingombra
d'oggetti d'ogni genere, ma delle sole cose necessarie,
disposta con ordine e con metodo; la
biancheria, le vesti, le scarpe stanno al loro posto
e non sono sparse qua e là in disordine; le
pareti, il soffitto, le tende, le tendine sono a tinte
chiare, e danno a tutto l'ambiente un'aria incantevole
di festività e di gentilezza.
La madre deve educare la sua figliuola in modo
da sviluppare in lei i sentimenti più delicati, più
femminili, cercando soprattutto, se ha altri figli,
di tenerla lontana dall'influenza dei maschi. In
certe famiglie, nelle quali i maschi sono in maggior
numero, la figlia o le figlie finiscono col prendere
abitudini maschili: saltano, gridano, fischiano,
vengono alle mani. Moderate questi eccessi e fate
comprendere alle vostre bambine tutta la sconvenienza
del loro modo di comportarsi.
Una giovinetta fine e gentile è la consolazione
della casa. Essa è sempre ilare e tranquilla, non
ha scatti di malumore, non alza la voce, non si
lamenta; se ha dei fratelli, li tratta con cortesia,
con una premura quasi materna. Col padre e con
la madre è affettuosa, attenta, e cerca di prevenire
i loro desideri: tratta tutti con gentilezza,
così le persone di casa come gli estranei. Giunta
a una certa età, essa è l'aiuto della mamma in
tutte le faccende domestiche; e se studia e va a
scuola, non per questo deve credersi dispensata
da tali suoi doveri di figliuola; ma sa trovare
il tempo per compierli con serenità e con piacere.
La futura maestra, la futura impiegata, dovrà
anche essere, un giorno, una buona massaia;
avrà probabilmente una famiglia da curare, un
marito, dei figliuoli; e se non avrà fin da principio
imparata l'arte difficile di governare la casa,
sarà costretta a impararla in seguito, con maggior
fatica e con resultati molto meno soddisfacenti;
se pure non preferisca - e gli esempi purtroppo
non mancano - di abbandonar la casa a
sè stessa, con danno suo e della famiglia.
Soprattutto, la madre cerchi di avvezzare la propria
figliuola alla più severa economia: economia
in tutto, nelle spese personali, nelle spese di
famiglia. Il buon andamento d'una famiglia dipende,
più spesso che non si creda, dall'abilità
finanziaria della madre di famiglia. Se non si tengono
con diligenza i conti giornalieri, se nelle
compre non si cerca di risparmiare acquistando
via via i generi più convenienti, se non si sa
rinunziare ai capricci della moda, alle stoffe troppo
costose, ai gioielli, ai ninnoli troppo cari, la famiglia
si avvia inevitabilmente al fallimento. Ora,
accade spesso che i genitori, per un malinteso
affetto, si studiano di tenere i figliuoli all'oscuro
di tutte le loro difficoltà, cercano di accontentarli
nei loro desideri, anche se non conformi alla loro
condizione, e non hanno altro scopo che di tenerli
lontani da ogni preoccupazione; e i figliuoli
crescono su spensierati, egoisti, proclivi a spendere
il loro denaro nelle cose più frivole. Quando
poi devono essi stessi metter su famiglia, hanno,
per così dire, un triste risveglio, e si trovano improvvisamente
a contatto con le aspre difficoltà
dell'esistenza, senza la preparazione necessaria.
I genitori che non impongono ai loro figliuoli quei
sacrifizi che richiede la loro condizione, commettono
dunque un grande errore; e invece di spianar
loro la via della vita, non fanno che preparargliela
più grave e più difficile.
Il padre e la madre.
Il padre e la madre sono il nucleo della famiglia,
il punto centrale verso il quale convergono
tutti i membri di essa. Hanno perciò un
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maggior numero di doveri e di diritti. Grava su
di essi tutta la responsabilità della casa, così materiale
come morale, e il preciso incarico di fare
in modo che tutto proceda con regolarità e con
ordine. D'altra parte si deve ad essi il maggior
rispetto, non solo dai figli e dai domestici, ma
anche da tutti coloro che fanno parte della famiglia,
anche se, in un certo senso, alcuni di essi
siano di condizioni superiori o indipendenti. Per
esempio, se nella famiglia vive un fratello maggiore
del padre e della madre, esso dovrà tuttavia
sottostare agli usi e alle abitudini come
tutti gli altri, e lo stesso faranno i nonni. S'intende
d'altra parte che in questi rapporti un poco
delicati si dovrà usare gran tatto, per evitare
dissapori e per render facile a ciascun membro
l'adempimento del proprio dovere.
Sarà una famiglia modello quella in cui le cose
si disporranno in modo che tutto proceda senza
sforzo e senza difficoltà, che l'autorità del capo
di famiglia si esplichi in tale maniera che coloro
che le sono soggetti quasi non se ne accorgano.
Il padre e la madre dovranno usarsi reciprocamente
i massimi riguardi, e andar sempre d'accordo.
Il marito eviterà sempre di usare con la
moglie quel tono perentorio di comando, che invece
può esser utile coi figli e coi domestici; se
nascesse qualcuna di quelle divergenze di vedute,
che sono inevitabili anche nelle famiglie più concordi,
si deve, come abbiamo già detto, discuterle
e definirle a quattr'occhi. Nulla indebolisce più
il principio di autorità, quanto il vedere palesemente
discordi coloro da cui dipende l'ordine e
l'andamento della famiglia.
Nelle famiglie ben educate, il marito, anche
dopo molti anni di vita comune, tratta la moglie
con quella cortesia cavalleresca che userebbe con
una signora di conoscenza; e si fa un dovere di
aver per lei tutte quelle piccole attenzioni, che
gli uomini usano generalmente con le signore.
Per esempio, fa in modo che sia servita per la
prima a tavola, le cede il passo sulla soglia dell'
uscio, la difende sempre contro tutto a contro
tutti, anche se, in cuor suo, giudichi che abbia
torto. La moglie poi mantiene nei suoi rapporti
col marito quella gentilezza affettuosa, che essa
aveva nei primi tempi, e che non deve scemare
con gli anni, ma divenire ogni giorno più palese
e più profonda; se il marito ha qualche difetto,
cerca di nasconderlo agli occhi dei figliuoli, e, in
qualunque occasione, non prende mai la parte di
questi ultimi contro di lui.
La concordia fra il padre e la madre è il fondamento
della famiglia: senza di essa, tutto va
in rovina. Essa è così necessaria che, anche quando
per somma sventura non esista in una famiglia,
occorre usare ogni arte per simularla. So di molte
famiglie nelle quali esistevano dissapori profondi
e insanabili, e che pure sono andate avanti per
anni e anni, in una apparente concordia, che ingannava
anche gli amici più intimi. Condizione
veramente dolorosa e davvero non augurabile ai
nostri lettori e alle nostre lettrici. Ma sappiamo
noi quel che ci riserba l'avvenire? La buona educazione,
lo spirito di sacrifizio, una mutua sopportazione,
il senso del dovere e della dignità basteranno
a mantenere in voi quella concordia così
necessaria ad una vita di famiglia decorosa e tranquilla;
ma se essa venisse a mancare, meglio, per
il bene dei vostri figliuoli, una pace fittizia che
una discordia palese.
I nonni.
Una famiglia perfetta dovrebbe esser composta
soltanto di padre, madre, figli e domestici. Ma
non sempre è possibile far così; e le necessità o
le contingenze della vita impongono talvolta come
un dovere ai coniugi di tenere presso di sè i genitori
dell'uno o dell'altra, o di vivere nella casa
paterna del marito o della moglie.
Di regola, una simile convivenza non si deve
attuare che per necessità e per dovere; tutte le
volte che si può, se ne faccia a meno. Questo nostro
consiglio può sonare sgradito a qualcuno,
ma noi siamo convinti di dire una gran verità.
L'uomo che prende moglie o la donna che prende
marito vanno incontro a nuovi e grandi doveri,
ai quali devono dedicare tutto il cuore e la mente;
vero è che tali doveri non infirmano e non annullano
i doveri già contratti verso i propri genitori,
ma è bene che non si trovino di fronte gli
uni agli altri, per non ingenerare conflitti talvolta
dolorosissimi.
Se i doveri di figlio e i doveri di marito sono
ben chiari e distinti, sorgono spesso in famiglia
difficoltà o dissensi, non gravi di per sè, ma capaci
di turbare gravemente la tranquillità e la
pace. Fra la madre e la moglie come deve comportarsi
il nuovo marito? S'egli vive a sè, gli basterà
un po' d'astuzia e d'abilità per uscire da
tutti gl'impicci: ascolterà i consigli materni con
deferenza e con rispetto, e se li troverà giusti,
cercherà, con tatto e con pazienza, di farli trovar
tali anche alla sua compagna; quando si tratti
di cose di lieve importanza, di usanze o di abitudini
care alla sua famiglia, ma che possono benissimo,
senza danno della convenienza e della
morale, essere ignote alla famiglia della sposa,
egli saprà regolarsi in modo da non offendere la
suscettibilità della madre e nello stesso tempo lasciar
libera la moglie di fare a modo suo. Non è
cosa facile, ma neppure impossibile. Invece, nella
convivenza sotto lo stesso tetto, è fra le cose più
difficili.
Se si trattasse di cose gravi e importanti, il
marito saprebbe senza dubbio come comportarsi:
c'è una morale ben definita, con le sue leggi e
le sue norme, che s'impone a ogni uomo di buon
senso. Ma come deve fare il pover uomo a prender
posizione fra la madre che preferisce le uova
all'olio e vorrebbe che tutti, in famiglia, le mangiassero
così, e la moglie che le preferisce al burro,
perchè le ha mangiate sempre al burro? fra la
madre che non approva i romanzi francesi e la
moglie che ne è pazza? fra la madre che adora
le opere di Donizetti e la moglie che non giura
che su Puccini? Sono sciocchezze, alle quali, purtroppo,
non c'è rimedio. Se il marito, per amor
filiale, dà ragione alla madre, la moglie mette il
broncio; se dà ragione alla moglie, la madre
piange in segreto sul perduto amore del figlio.
Non c'è rimedio; non se n'esce. La causa dei
dissensi non si può toglier via, perchè suocera
e nuora appartengono a generazioni diverse, a
diverse famiglie, con abitudini diverse, anche se
rispettabilissime. E poi c'è sempre sotto quella
gelosia, che, in forma più o meno larvata, cova
sempre nel cuore dell'una e dell'altra; dell'una,
perchè, in fondo, la giovane sposa è un'intrusa,
che si è presa la miglior parte del cuore del figlio
prediletto; dell'altra, perchè la suocera è
quella donna per la quale suo marito ha attenzioni
speciali, per la quale nutre un affetto profondo
e immutabile, e alla cui volontà spesse volte
s'inchina con reverenza e con sommissione.
Tale il quadro delle relazioni fra suocera e
nuora; e non è esagerato. Tra suocero e genero
le cose si passano un po' diversamente; un po' perchè
l'uomo - bisogna confessarlo, lettrici cortesi
- aborre più di noi donne dai litigi e dai pettegolezzi;
un po' perchè gli affari e la professione
lo costringono ad altri e più gravi pensieri.
Tuttavia anche fra suocero e genero i rapporti
non son sempre cordialissimi; e neppure tra suocero
e nuora è tutto color di rosa.
Meglio dunque, fin dove è possibile, che i giovani
sposi vivano da sè. Ma, come già dicemmo,
ci sono delle circostanze in cui la vita in comune
è una necessità. In tali casi, con l'educazione,
col tatto, con la pazienza, con l'adempimento preciso
e costante dei propri doveri, si riesce quasi
sempre ad andare avanti assai bene, evitando i
guai più seri.
Una madre che vive col figlio ammogliato, si
ricordi che è preciso dovere di questo mostrare
alla moglie tutto il suo affetto, tener conto dei
suoi consigli e dei suoi desideri, quando non sian
falsi o esagerati, adattarsi ai suoi gusti perchè
essa si senta poi in dovere di adattarsi a quelli
di lui; si ricordi che la nuora viene da un'altra
famiglia, la quale ha naturalmente abitudini diverse
dalle sue, e che non è detto che le une
siano migliori delle altre; si ricordi specialmente
ch'essa è giovane, e che il mondo muta; e che
quello che era in uso trenta o quarant'anni fa,
oggi non usa più e sarebbe ridicolo che usasse.
Se nasce un nipotino, si ricordi che la giovane
madre ha il sacrosanto diritto di allevarlo a modo
suo, d'accordo col marito e col medico, e che anche
in questo gli usi cambiano continuamente;
la medicina e l'igiene hanno progredito e quel
che una volta si considerava come utile e necessario
oggi è riconosciuto o inutile o dannoso. Se
c'è dissidio tra marito e moglie, non prenda alla
cieca le parti del figlio, ma si astenga dal dare il
proprio giudizio, e se vi è costretta, dia il suo appoggio
a quello dei due che essa crede in coscienza
dalla parte della ragione; se dà torto
alla nuora, lo faccia con animo sereno e con parola
posata e tranquilla, per evitare che si creda
ch'essa parli per partito preso.
Una nuora non dove dimenticar mai che la
suocera è la madre di suo marito, colei che lo ha
messo al mondo, allevato e educato, che è stata
fin allora il suo affetto più grande, e che perciò
è naturale ch'egli abbia tuttavia per lei rispetto
e obbedienza. Pensi anche che è una donna d'età,
e per ciò solo meritevole di ogni riguardo; che è
vissuta in altri tempi e con abitudini diverse; e
quindi non può con facilità adattarsi alle idee
più moderne. Consideri ancora ch'essa è ormai,
da lunghi anni, sposa e madre, e che ha necessariamente
acquistato quell'esperienza che a lei,
sposa e madre da poco tempo, non può non mancare;
e che perciò i suoi consigli, anche se in
qualche parte dovranno esser mutati o integrati,
sono in fondo buoni. Tutto questo pensi, ed eviti
sempre il rifiuto insolente, le male parole, i dispetti,
le volgarità: sappia, quando occorra, soffrire
in silenzio, per amore del marito e dei figliuoli.
Soprattutto abbia per la madre di suo
marito i riguardi che le sono dovuti; sia essa
la prima a chiederle consiglio, a sottomettersi,
quando può farlo senza danno, ai suoi desideri,
anche se poco ragionevoli. I buoni effetti di un
tal modo di comportarsi non tarderanno a farsi
sentire: la suocera comincerà ad amare veramente
la nuora, apprezzerà il suo giudizio, loderà
la sua cortesia; e la pace di famiglia riposerà
su basi solide.
I domestici.
I domestici fanno anch'essi parte della famiglia.
Essi ne sono il necessario complemento, ed
esigono cure e riguardi come tutti gli'altri membri
di essa, anzi, sotto un certo punto di vista,
più di essi.
Saper trattar bene i domestici è una delle arti
più difficili. Spesso si va da un eccesso all'altro:
dalla troppa confidenza all'eccessivo rigore.
Tra il padrone e il servitore, tra la signora e
la donna di servizio, non c'è, moralmente, nessuna
differenza: tanto è il rispetto che il padrone
deve al servo, quanto quello che il servo deve
al padrone. I tempi della schiavitù sono, grazie
a Dio, passati.
Ma se il rispetto deve essere uguale e reciproco,
diversi sono necessariamente i doveri dell'
uno e dell'altro. Il servo deve obbedire al padrone,
il padrone ha il diritto di comandare:
poichè la diversa condizione sociale vuole e impone
così.
Il padrone che comanda non deve tuttavia far
pesar troppo sul suo subordinato l'impero della
propria volontà. Si può comandare in tante maniere,
anche pregando; e piuttosto che dire, con
maniera brusca: - Fate questo, fate quest'altro,
- non c'è nulla di male, anzi molto di bene, a
dire: Vi prego, fate questo; per favore, fate
quest'altro. - Chi è così interpellato, sa che deve
obbedire, ma, se l'ordine è dato con buona grazia,
obbedisce più volentieri.
In molte famiglie si usa invece strapazzare la
servitù. Oggi, veramente, quest'uso è divenuto
più raro, non tanto perchè si sia fatto progresso
nelle buone usanze, quanto perchè, in mezzo a
tanta penuria di persone di servizio, ognuno cerca
di non disgustare quelle che ha; ma sussiste ancora,
specialmente nelle città di provincia. È un
errore grave e un segno di poca educazione. La
signora che sbraita in cucina con la cuoca o che
tratta aspramente la cameriera, non è una signora
fine. Se la cuoca o la cameriera non fanno
il loro dovere, basteranno, in generale, poche parole
severe per richiamarle all'ordine; se non si
ottiene subito l'effetto, si può rincarar la dose,
sempre correttamente e dignitosamente; se non
si ottiene ancora l'intento desiderato, e se il fallo
o la negligenza è tale da non poter permettere
che si ripeta, non c'è che il licenziamento che
accomodi le cose.
Quando si vuol dare una prova convincente del
cattivo carattere d'una signora, si dice che non
c'è donna di servizio che ci stia. Ed è veramente
una prova di gran valore. Se una signora
cambia regolarmente donna di servizio tutti i mesi,
state pur sicuri ch'è una di quelle persone da
evitare e da non contrarci amicizia; fidatevi invece
di quelle che, da dieci, da venti, da quarant'
anni hanno la stessa vecchia serva, ciecamente
affezionata. Potete star sicuri che sono persone
ben educate, gentili, accomodanti.
Se dovete evitare ogni rigore e ogni asprezza
con la servitù, siete anche in obbligo di non dar
loro soverchia confidenza. Ci sono, in certe case,
delle serve padrone, alle quali la signora, e talvolta
anche il signore, non si attentano di fare
un'osservazione, per timore d'averne una cattiva
risposta. Se a una donna ormai vecchia, e che
vi ha visti nascere, si possono permettere e perdonare
molte cose, non si deve mai lasciare che
una donna giovine e sana manchi di rispetto ai
suoi padroni, o si arroghi il diritto di fare a modo
suo. Nè lo farà, se, in ogni occasione, avrete saputo
tenere il vostro posto con dignità e con risolutezza.
Non lesinate il vitto alle persone di servizio: non
fate che si dica che nella vostra casa si muore di
fame. Non tenete sempre chiuso cassette e dispensa,
o almeno non lo fate ostentatamente, per
non offendere una giusta sensibilità. Non mostrate
mai di dubitare dell'onestà di chi vi serve, salvo
che non abbiate prove chiare e lampanti. Siate
esatti nel pagamento dei salari; non permettete
a nessuno della vostra famiglia, neppure ai bimbi
più piccoli, di trattar male la bambinaia o la cameriera;
avvezzateli a rispettarle e a parlar loro
con correttezza e con buone parole.
Insomma, ricordatevi sempre che il mestiere del
domestico è il più odioso di tutti, e cercate di renderlo
meno grave che potete alle persone che sono
alle vostre dipendenze; cercate soprattutto di non
far pesar troppo su di loro la vostra autorità, e
addolcite le necessarie asprezze della loro posizione
con la dolcezza dei modi e delle parole.
I maestri.
I professori, i maestri, le maestre che si recano
a impartire le loro lezioni nelle famiglie, non sono
dei servitori; anche l'umile maestrina, che viene
in casa vostra a insegnare a leggere e scrivere
ai vostri bambini, ha diritto a tutto il vostro rispetto,
e deve esser considerata come una persona
di condizione uguale a voi, se non superiore. In
certe famiglie di poca educazione, specialmente
in quelle arricchite improvvisamente, i maestri
sono considerati col disprezzo o con l'indifferenza
che si suol mostrare alle persone salariate: nessuno
si occupa di loro quando vengono o quando
se ne vanno, nessuno si crede in obbligo di far
loro una gentilezza; e i ragazzi, che vedono e
osservano tutto, approfittano della situazione per
mostrarsi con essi sguaiati o ignoranti.
Il primo obbligo degli scolari verso il loro maestro,
è il rispetto. Il maestro ha diritto al rispetto
per la sua età, per la sua superiorità intellettuale,
per il suo valore, per l'autorità della funzione che
esercita.
Il primo modo di mostrare rispetto ai professori
o maestri è l'essere esatti e attenti. Il bambino,
il giovinetto, la signorina devono esser sempre
pronti prima dell'arrivo del maestro, e non
si debbono mai far aspettare: il tempo è denaro;
e quel che si dà al maestro è appena sufficiente
a pagare la sua ora di lezione. Se per caso l'allievo
si fa aspettare qualche istante, è suo dovere
chiedere scusa.
Lo scolaro ha il dovere di ascoltare con attenzione
le parole del maestro; durante la lezione,
non deve nè gingillarsi nè distrarsi. Ogni distrazione
è, in fondo, una mancanza di riguardo, che
il maestro ha tutto il diritto di considerare come
un'offesa personale.
Una madre diligente avvezzerà il suo bambino
a presentarsi davanti al suo maestro vestito pulitamente
e ben ravviato, com'ella vorrebbe che
si presentasse in salotto davanti alle sue amiche;
ad offrirgli la sedia o la poltrona, a sbarazzarlo
del cappello o dell'ombrello, insomma ad aver per
lui tutte quelle cortesie che sono dovute a una
persona che si rispetta.
Se, per una ragione qualunque, anche di malattia,
lo scolaro non potesse prender lezione, è
assoluto dovere dei genitori di avvertire in precedenza
il maestro; permettere che questi vada
inutilmente a casa dell'allievo, per sentirsi dire
sulla porta che può tornarsene indietro, è, più
che una scortesia, una vera villania, anche se l'onorario
è mensile e corre lo stesso. Se si tratta di un
impedimento improvviso e non ci sia stato modo
nè tempo di avvisare, sono dovute al maestro le
più ampie scuse e, se l'onorario si computa a lezioni,
il pagamento della lezione non data.
Poichè il professore non è un salariato qualunque,
ci si guardi bene dal credere che, soddisfatti
verso di lui i nostri doveri pecuniari, ogni obbligo
cessi: opinione che, purtroppo, è assai comune.
No; i genitori dell'allievo devono aver per lui deferenza
e riconoscenza, poichè egli, in un certo
modo, fa, in una parte importantissima dell'educazione,
qual'è l'istruzione, le loro veci. Si cerchi
dunque di testimoniargli stima e cordialità, in
ogni occasione: per esempio, se si invita a pranzo
con altri amici di casa, si ha l'obbligo di trattarlo
alla pari con gli altri, fors'anche con maggior distinzione,
e di esigere che i figliuoli abbiano per
lui riguardi speciali. Se si hanno in casa istitutori
o istitutrici, si deve trattarli come persone
di famiglia, con perfetta cortesia e con deferenza,
specialmente dinanzi ai loro allievi. Se si ha ragione
di far loro qualche osservazione o rimprovero,
si faccia sempre a quattr'occhi, in modo che
i figliuoli non ne sappiano nulla. Ogni rimprovero
palese diminuirebbe quel prestigio che è loro tanto
necessario per compiere con profitto la loro missione.
Si abbia anche cura che i domestici trattino
i maestri, gl'istitutori e le istitutrici con gran
rispetto; non di rado essi, nella lore ignoranza,
li considerano appena appena d'un gradino superiori
a sè stessi.
Si sia esatti nel pagamento degli onorari. Il
maestro non è ricco, anzi, molto spesso, è povero:
e pochi sanno di quanto danno, di quante preoccupazioni
gli sia causa un ritardo, anche di pochi
giorni, nel pagamento di ciò che gli è dovuto
e che egli, per delicatezza, non può sollecitare.
L'onorario sia sempre offerto in una busta, dalla
madre o dal padre dell'alunno, e mai alla presenza
della servitù.
Il maestro deve, da parte sua, mostrarsi di
un'esattezza scrupolosa nell'adempimento del suo
dovere; non lascerà mai una lezione, se non per
malattia o per qualche grave motivo; e in tal
caso dovrà sempre mandare un preavviso. Se non
gli sia stato possibile, dovrà poi fare le più ampie
scuse.
Le sue lezioni non saranno mai abbreviate;
piuttosto non esiterà, quando l'argomento lo richieda,
a prolungarle di qualche minuto. Tratterà
con signorile cortesia i genitori del suo scolaro,
e quest'ultimo con bontà e benevolenza. Non alzerà
mai la voce, non s'irriterà fuor di misura:
se le cose non vanno, se lo scolaro non fa il suo
dovere, ne avvertirà il padre o la madre, con
serietà e con dignità.
Nel trattare le modalità d'un corso di lezioni,
affronterà anche la questione degli onorari, con
serenità e con delicatezza, ma francamente. È,
questa, una questione sempre poco gradita, e molti
genitori e maestri non osano parlarne in un primo
colloquio. In generale, si cominciano le lezioni alla
cieca; e solo qualche tempo dopo, quasi sempre
verso la fine del primo mese, il padre o la madre
dell'alunno si fanno coraggio e azzardano la
delicata domanda. E qualche volta si hanno delle
dolorose sorprese: gli onorari variano da professore
a professore; molte famiglie poi sono alle
loro prime armi, e si son fatte un'idea molto diversa
sulla spesa da sostenere: il professore fa
la domanda, e i genitori non possono trattenere
un oh! di sorpresa; e la situazione, già delicata
di per sè, diviene scabrosa. Quanto è meglio definire
la questione fin da principio, quando nulla
è ancora fissato e si ha sempre il modo, se le
condizioni dell'uno o dell'altro non convengano,
di mandare a monte ogni cosa! Tocca ai genitori
del futuro alunno a intavolar la questione;
ma se questi non lo fanno, il professore non esiti
a formulare, nel modo più gentile, le sue pretese.
Gli amici e le amiche.
Ai veri amici la casa vostra sia sempre aperta.
Riceveteli con franca cordialità, con viso sereno,
anche se in quel dato momento vi disturbano.
L'esser cortesi non è sempre facile, ma la vera
cortesia si mostra appunto quando costa di più;
e nulla offende più l'amico quanto il vedersi ricevuto,
in certi momenti, con freddezza o con malumore.
Sappiate distinguere tra amici e amici, tra amici
fedeli e amici d'occasione. Guardatevi soprattutto
da quelle amicizie contratte alla leggera, in campagna,
al mare, in montagna, con persone pochi
giorni prima del tutto ignote, di cui non conoscete
se non quel tanto che si mostra alla superficie.
Il vivere per settimane nello stesso ambiente,
il ritrovarsi tutti i giorni allo stabilimento dei bagni
o sulla passeggiata, può condurre a una certa
familiarità, e anche a una superficiale amicizia;
ma quando si torna in città o alla vita normale,
tutti questi rapporti devono cessare; ed è questa,
fra le regole mondane, una norma così fissa
e costante, che se una persona, che avete conosciuta
in una di tali occasioni, si presenta a casa
vostra come amica intima, mostra già con tale
atto di non conoscere i primi elementi dell'educazione
e d'esser indegna della vostra amicizia.
Alle persone di una certa età è poi inutile dire
quali brutte sorprese possono riserbare le amicizie
contratte alla leggera.
Molte signore ricevono le loro amiche, eccettuate
quelle intime, in un dato giorno della settimana:
uso comodo, che lascia una maggiore libertà
negli altri giorni. Nel giorno di ricevimento,
una signora ha l'obbligo di dedicarsi tutta ai suoi
visitatori, di riceverli con cortesia, in una toelette
semplice ma elegante.
Una signorina per bene non dovrebbe fare
nè ricevere visite d'amiche, specialmente nella
sua prima giovinezza. Le poche amiche che ha,
scelte con giudizio e col consiglio e consenso della
mamma, dovrebbe riceverle insieme con la mamma,
quando venissero alla lor volta accompagnate dalla
madre loro. Sono questi gli usi che vigevano un
tempo, e che sono in vigore anche oggi nelle buone
famiglie. In altre è invalsa ormai una maggior
libertà, la quale, se contenuta nei giusti termini,
può anche essere esente da biasimo. Ma badino
le madri che, concedendo questa maggior libertà
alle loro figliuole, esse si assumono un grave compito
e si rendono responsabili degli eventuali inconvenienti:
tengano dunque gli occhi aperti,
siano sempre vigilanti e pronte a intervenire ogni
qual volta l'opera loro e il loro consiglio si rendano
necessari. Studino soprattutto il carattere
delle amiche delle loro figliuole, e se vi trovano
dei gravi difetti non esitino ad esigere che si
tronchi un'amicizia che non potrebbe esser che
dannosa.
Ai figli maschi si concede, necessariamente, una
maggior libertà che alle femmine; ma la necessità
di sorvegliare le loro amicizie è, l'abbiamo
già detto, uno dei doveri più stretti dei genitori.
Non ci possiamo astenere dal raccomandare ancora,
su questo particolare, una grande oculatezza
e severità. Si impedisca soprattutto, in una casa
che si rispetta, quel viavai d'amici che vengono a
cercare il signorino, si trattengono con lui, escono,
rientrano con lui: giovinetti ignoti, che si designano
col vago nome di compagni. La madre e,
da una certa età in poi, il padre mantengano gelosamente
e faccian sempre valere il diritto d'esser
informati con esattezza di tutto quello che riguarda
i loro figliuoli, dei luoghi che frequentano,
delle compagnie che preferiscono, delle amicizie
che contraggono.
Gli ospiti.
L'ospite era, presso gli antichi, persona sacra,
e chi tradiva l'ospitalità era condannato a morte.
Una persona, anche ignota, che entrasse sotto l'altrui
tetto, era fatto segno al rispetto e alla reverenza
di tutta la famiglia. La causa di tanto
riguardo verso gli ospiti va ricercata specialmente
nelle diverse condizioni della civiltà d'un tempo,
quando la mancanza o la scarsezza d'alberghi faceva
dell'ospitalità una condizione necessaria dell'
esistenza.
Oggi, coi progressi moderni, la necessità d'essere
ospitati è, si può dire, un'eccezione. Chiunque
arriva in un luogo qualunque, anche di poca
importanza, trova sempre un albergo in cui passare
la notte e sfamarsi. Ma anche oggi vive la
gentile costumanza di ospitare un amico caro nella
propria casa, per procurare a noi una piacevole
compagnia o a lui un vantaggio; e nei rapporti
con gli ospiti nulla si deve omettere dell'antica
gentilezza.
L'ospite, dal momento che ha varcato la vostra
soglia, diviene il personaggio più importante della
casa. A lui si debbono tutte le attenzioni, tutti i
riguardi: ogni membro della famiglia dove trattarlo
con estrema gentilezza, prevenire i suoi desideri;
il padrone e la padrona di casa hanno
l'obbligo d'informarsi dei suoi gusti e delle sue
abitudini, cercando di far in modo ch'egli si trovi
a suo agio, come in casa sua; devono assegnargli
una buona camera, provvista di tutte le comodità,
e dargli a tavola il posto d'onore. Non
debbono d'altra parte infastidirlo con le loro gentilezze,
ma lasciargli ampia libertà; in certe famiglie
si crede di far una buona cosa trascinando
l'ospite di qua e di là, tenendogli sempre compagnia,
non lasciandolo un momento solo, e non
ci si accorge che questo è il vero mezzo di stancarlo,
di rendergli grave l'ospitalità. Si sappia dunque
tenere il giusto mezzo fra la trascuratezza
e la soverchia attenzione, in modo che l'amico
possa usufruire sempre della compagnia dei suoi
ospiti o appartarsi, se gli fa piacere.
D'altra parte, non minori e non meno delicati
sono i doveri di chi è ospite in casa altrui. Una
persona ben educata non giunge mai in casa d'altri
con un monte di bauli e di valigie, come farebbe
in un albergo, ma si accontenta di quel
poco che gli è strettamente necessario. Tuttavia
deve portar con sè tutto quello che serve al suo uso
personale, come gli oggetti di toelette, i pettini,
le spazzole, il sapone; chiederli ai propri
ospiti, sarebbe una mancanza d'educazione.
Uno dei primi doveri d'un ospite è quello di
uniformarsi agli usi e costumi della famiglia che
lo ospita, anche se sono diametralmente opposti
a'suoi; chi ha certe piccole manìe, certe abitudini
egoistiche dalle quali non sa liberarsi, stia
a casa sua o si fermi a un albergo, dove può,
pagando, concedersi tutti i suoi comodi.
Anche se richiesto, l'ospite non deve mai palesare
il suo pensiero su cose che non lo riguardano,
nè esporre i suoi gusti, specialmente quando
suppone che non siano quelli dei suoi amici; deve
esser tollerante delle altrui idee, nè intavolare
mai discussioni su soggetti delicati, come di politica,
di morale, di religione. Quando, nella conversazione,
si accorga che le sue opinioni non
concordano con quelle degli ospiti, cerchi abilmente
di cambiar soggetto, o, se si tratti di cosa
importante ch'egli creda per dovere di coscienza
di non poter tacere, dica poche parole con tranquilla
serenità, facendo insieme capire che non
desidera accettare la discussione. Insomma, si comporti
sempre con estrema delicatezza, e non dimentichi
mai che in casa altrui si deve essere
di un'estrema tolleranza, anche se si vedono o si
odono cose che non ci piacciono. Fra persone dabbene
non avviene mai, ma se si vedessero o udissero
cose contrarie all'onestà e alla morale, non
resterebbe che abbreviar la visita, con un pretesto
qualunque. S'intende che la famiglia, il cui ospite
osasse commettere mancanze così gravi, avrebbe
tutto il diritto di metterlo alla porta.
Un vecchio dettato dice che l'ospite è come il
pesce: dopo due giorni sa di marcio. È un dettato,
in verità, un po' atroce, e non corrisponde
sempre a verità; ma è bene che l'ospite ne tenga
conto, per non prolungar mai troppo il suo soggiorno
in casa altrui. Su ciò non si possono dare,
del resto, regole fisse: tutto dipende dal grado
d'intimità, dalle circostanze, dai luogi. Un amico
intimo potrà trattenersi presso i suoi ospiti anche
due o tre settimane, anche un mese, specialmente
in campagna o in montagna; ma in generale,
dopo al più una settimana, si prenderà
congedo, salvo a rimanere ancora qualche giorno,
se le insistenze degli ospiti saranno cordiali e
sincere; viceversa, non si esiti a far le valigie
se si ha anche il vago sospetto che la nostra presenza
sia d'impiccio o di noia.
Purtroppo, nella società moderna, non tutto
quello che la bocca dice è anche nel cuore. Quanti
inviti si fanno per convenienza, per passatempo,
per complimento! e poi, se l'invitato accetta, non
si sa che pesci pigliare. Ricordate la Scampagnata
del nostro Fucini? Invitato più e più volte a
pranzo da dei signorotti di campagna, egli finisce
con l'accettare; e appena entrato in casa dei suoi
ospiti, sa dal ragazzo di casa che la mamma,
quando ha saputo della sua venuta, gli ha mandato
una filza d'accidenti! Andate dunque adagio
nel fare e nell'accettare inviti.
Nel prender congedo, è dovere dell'ospite di
dar la mancia alle persone di servizio; e la mancia
dev'esser sempre molto larga, la più larga
che i mezzi consentano. Non vi mostrate tirati o
spilorci; l'economia è una gran bella cosa, ma
in questo caso è fuor di luogo.
Negli otto giorni, si farà una visita di dovere.
Se la lontananza non lo permette, si scriverà una
lettera di ringraziamento, e si rimetterà la visita
alla più prossima occasione.
Rapporti reciproci.
La famiglia è, come dicemmo, una società in
miniatura, nella quale tutti i membri hanno il
loro posto, i loro obblighi, i loro diritti. Dei doveri
e dei diritti di ciascun membro abbiamo
già parlato, ma tutti questi doveri e questi diritti
devono poi concatenarsi fra loro, fondersi
insieme in un'armonia perfetta. Ciò non è possibile
se non presiede alla famiglia un'autorità
indiscutibile e indiscussa, dinanzi alla quale tutti
pieghino il capo, quella del padre, di quel pater
familias che presso gli antichi Romani aveva diritto
di vita e di morte sulla moglie, sui figli, sui
servi.
Tutti i componenti la famiglia devono ubbidire
al capo di essa, tutti: anche la madre di famiglia,
che è pure quasi alla pari con lui. In quelle
case dove la donna comanda e l'uomo china il
capo, non c'è, nè ci può essere, armonia perfetta.
Degli altri membri, ognuno renda al padre di famiglia
quella forma d'obbedienza che è conforme
alla sua condizione subordinata.
La confusione dei diritti e dei doveri è causa
di discordia nelle famiglie. In certe case, tutti
comandano: il padre alla madre, la madre al padre,
i figli ai loro fratelli, tutti ai domestici; in
altre invece tutti obbediscono nello stesso modo:
il padre tiranno ha avvezzato a un'obbedienza
cieca e paurosa la moglie, i figli, i servitori. Errori
gravi gli uni e gli altri: una moglie deve,
sì, obbedire al marito, ma in una forma dignitosa,
senza perdere il prestigio di madre di famiglia;
e colui che la tratta da schiava è indegno
del nome di uomo. L'obbedienza dei figli dev'esser
più passiva e più intera, ma sempre imposta
con moderazione, senza abusi. Un padre intelligente
si guardi dal forzar troppo la mano, e dal
far uso della sua autorità quando non ce ne sia
bisogno: il mostrare ad ogni momento ch'egli è
il padrone e può fare quello che vuole, è un cattivo
metodo, che produce spesso effetti contrari
a quelli attesi. Prima di comandare, pensi bene
a che cosa comanda e a chi comanda: non usi
lo stesso tono con un bambino di cinque anni e
un giovanotto di venti.
Soltanto il padre e la madre hanno il diritto
di comandare ai figliuoli; e devono esserne gelosissimi.
I diritti di primogenitura sono ormai
tramontati da un pezzo, e dinanzi al padre e alla
madre i figli sono tutti uguali. Non si mostrino
dunque preferenze, che son sempre causa di malumori
e di gelosie; non si permetta ai figli maggiori
di sgridare i figli minori. Se qualcuno ha
da lamentarsi, c'è in famiglia un tribunale inappellabile,
al quale ogni membro deve ricorrere;
nè gli è permesso farsi giustizia da sè.
Abbiate cura che i vostri figliuoli si trattino
fra loro cortesemente: nulla spiace più che vedere
due fratelli azzuffarsi, nulla è più bello della
concordia, della gentilezza tra fratelli. Soprattutto
non permettete mai che un vostro figliuolo manchi
di riguardo verso sua sorella; inculcategli
fin da piccolo quel rispetto cavalleresco verso la
donna, di qualunque condizione essa sia, di qualunque
età, di qualunque grado di parentela.
La cortesia, la gentilezza su tutti i rapporti di
famiglia sono il miglior segno di educazione perfetta.
Una persona cortese in famiglia è cortese
anche fuori; chi non sa attenersi in casa alle regole
del galateo, non le osserva a lungo andare
neppur fuori di casa. In famiglia si forma l'uomo
e il cittadino; e la moralità delle famiglie è arra
di moralità dello Stato.
La religione.
Questo libro è destinato a lettori d'ogni genere
e d'ogni credenza: si può e si deve esser persone
bene educate a qualunque religione si appartenga,
anche se, per disgrazia, non si appartiene
a nessuna. Ma poichè la religione quasi
universale d'Italia è la religione cattolica, non
ci par fuor di luogo dare alcune norme sul modo
col quale ci si deve comportare di fronte ad essa.
Se siete credenti - e ve l'auguriamo di gran
cuore, perchè l'uomo senza fede è un infelice -
cercate di educare e di fare educare nella religione
i vostri figliuoli. Oggi, in generale, i figli
sono, in fatto di religione, più indifferenti dei genitori,
e di questo doloroso fenomeno si ricercano
le cause nelle condizioni dei tempi, nei cattivi
compagni, nelle letture. Ma forse la causa vera
è più vicina e più semplice. Un tempo, la religione
era insegnata ai bambini dai genitori e
dai maestri; essi la succhiavano, per così dire,
col latte della madre; appena balbettavano poche
parole imparavano la prima preghiera, e la
maestra insegnava loro l'abbiccì sulla dottrina
cristiana e sulla storia sacra. Oggi, la madre
spesso non ha tempo, più spesso non ha voglia
di occuparsi dell'educazione religiosa del bambino;
nella scuola non si parla di religione: e
i figliuoli crescono imparando un monte di cose
utili che un tempo non imparavano, ma senza
sentir mai pronunziare una parola su ciò che una
volta era l'insegnamento principale.
Che maraviglia se, giunti a una certa età, si
mostrano, nelle cose di fede, svogliati o indifferenti?
Dunque, se si vuole il fine, si provvedano i
mezzi; i quali, a chi sa cercarli, non mancano
neppure oggi. E questo sia detto di passaggio,
senza entrar nella coscienza di nessuno.
Ad ogni modo, qualunque siano le vostre idee
e le vostre convinzioni in fatto di religione, siate
e avvezzate i vostri figliuoli ad essere tolleranti e
rispettosi delle opinioni altrui. Lasciate ad ognuno
la libertà della propria coscienza: se siete credenti,
non vi date a una propaganda inopportuna
e non mostrate intransigenza; se non lo siete,
non vi prendete giuoco di chi non pensa come
voi. È un segno d'animo piccolo e gretto il considerar
come vere soltanto le proprie opinioni e
non ammettere che altri possa, con retta coscienza,
professarne altre diametralmente opposte alle vostre.
Nel mondo c'è posto per tutti, e quando l'onestà
e la morale sono salve e rispettate, in ogni
altra cosa ognuno ha diritto di comportarsi a suo
talento.
Se andate in chiesa, comportatevi col rispetto
dovuto a un luogo sacro: andarci per chiacchierare
con gli amici o per far la corte alle signore,
è cosa indegna d'ogni persona educata. Il vostro
contegno sia dunque serio e corretto, come davanti
a un superiore; devoto, ma senza ostentazione.
Le signore evitino di recarsi in chiesa vestite
con abiti troppo sfarzosi, o poco decenti: oltre a
mostrar poco rispetto alla casa di Dio, si renderebbero
responsabili di cattivi esempi proprio nel
luogo dedicato alla devozione e al raccoglimento.
Evitino anche i saluti, le strette di mano, le piccole
conversazioni con le amiche e le conoscenti;
tutte queste cose si possono fare fuori, dopo terminata
la messa o la funzione religiosa.
Si abbia rispetto ai sacerdoti, e non ci si permetta
mai contro di essi scherzi, canzonature o
motti ironici o salaci. Per il credente, il sacerdote
è una persona sacra, doppiamente degna di
rispetto e di considerazione; per il non credente,
è almeno una persona come un'altra, verso la
quale egli non ha diritto di comportarsi da maleducato.
Le nazioni più civili sono quelle nelle quali i
cittadini si mostrano più rispettosi delle altrui
convinzioni e più tolleranti in fatto di fede e di
religione. Le persecuzioni furono sempre un segno
di barbarie; e certe limitazioni che ancora s'impongono,
in alcuni paesi, ai seguaci di sètte o di religioni
particolari, mostrano palesemente che la
barbarie non è ancora spenta in questo mondo.
Mostriamoci degni, in questa nostra Italia che fu
la culla della civiltà, di camminare alla testa del
progresso moderno.
In società
Per la strada.
Usciamo dalla famiglia e, varcata la porta di
casa, entriamo nella strada.
La strada è di tutti: ognuno ha diritto di passeggiarvi,
di fermarsi, di discutere con chi incontra
per caso. In certi paesi meridionali si può dire
che si vive nella strada, dal mattino alla sera, e
talvolta anche la notte. Eppure, nonostante questa
sconfinata libertà, anche nella strada il cittadino
bene educato deve osservare certe regole
precise, volute dall'uso e dalla civiltà.
Già abbiamo parlato del saluto e delle norme
che lo regolano. Aggiungiamo ora che anche del
saluto, come di ogni altra cosa di questo mondo,
bisogna far un uso giusto, senza esagerare nel
troppo e nel poco. Ci son persone che provano
un gran godimento a salutare e a esser salutate:
salutano anche le persone che conoscono appena
di vista, quelle incontrate per caso una volta sola
in tram o in ferrovia, e con le quali hanno barattato
dieci parole di complimento; incontrando poi
persone a loro inferiori per condizione o per età,
ne provocano il saluto in mille modi, atteggiando
la persona e il viso a quell'attesa cortese e insieme
impaziente che significa a chiare note: -
Salutatemi! - Altri invece hanno un sacro orrore
del saluto e fanno di tutto per evitarlo. Se vedono
da lontano avvicinarsi un loro conoscente, spiegano
tanto di giornale e fingono di leggerlo attentamente;
oppure si soffermano davanti a una vetrina
tutti intenti a guardare, che so io?, un paio
di guanti o un bastone da passeggio; e non si
muovono finchè quel tale non sia passato oltre.
Conosco perfino di quelli che fanno un brusco
voltafaccia e cambiano strada.
Non c'è bisogno di dire che una persona normale
non cerca nè fugge il saluto. Salutata, risponde
cortesemente, o, se tocca a lei, saluta
quando è necessario, con serena disinvoltura. Ma
del saluto in genere abbiamo già dato le norme.
Nella strada, si eviteranno quelle soverchie effusioni,
che piacciono tanto a noi, popoli meridionali.
Incontrando un amico che non si vede da
gran tempo, sarà inutile dare in esclamazioni, alzar
le braccia al cielo e poi buttargliele al collo,
baciandolo su tutte e due le guance: tutte cose
belle e buone, ma sconvenienti in un luogo dove
tutti ci guardano. La maraviglia, la gioia si possono
esprimere con più moderazione e non meno
efficacemente. Si potranno fare delle eccezioni in
casi veramente speciali; ma anche allora si farà
bene ad evitare ogni pubblicità.
C'è già occorso di parlare del contegno di una
signorina che va fuori sola. Non si creda però
che soltanto alle signorine sole sia imposto un
contegno riservato e corretto: anche la donna in
genere, anche l'uomo devono sottostare a certe regole
d'educazione inderogabili. Così, avremo tutto
il diritto di considerare come ineducato l'uomo
che parla per la strada ad alta voce, che si abbandona
a grandi gesti, che fa roteare il bastone
o l'ombrello, che cammina in modo da dar noia
ai passanti, che non cede il passo alle signore,
che attacca briga per un nonnulla.
Gli uomini che, appena passata una signora, si
voltano indietro a guardarla con ostentata curiosità,
sono degli impertinenti. Colui che, passando
accanto a una bella signora, si permetta rivolgerle
una parola d'ammirazione, anche innocente,
è un mascalzone: se la signora fosse accompagnata
dal marito o dal fratello, egli avrebbe probabilmente
la lezione che si merita.
Una persona bene educata, non scende mai in
istrada se non vestita di tutto punto; nè deroga
da questa abitudine neppure per impostare una
lettera a cinque passi dall'uscio di casa. Non di
rado, anche in quei brevi istanti, si possono fare
incontri che ci inducono a pentirci amaramente
della trascuraggine commessa.
Chiunque cammina per la strada deve comportarsi,
oltrechè con educazione, anche con prudenza:
soprattutto deve evitare le osservazioni
inutili, le critiche, i litigi. Non tutti i passanti
sono persone educate, e spesso una parola tira
l'altra e nascono delle scene spiacevoli. Questa
norma di prudenza dev'essere specialmente osservata
quando si sia in compagnia di signore, semprechè
l'atto altrui non sia tale da meritare d'esser
rilevato. Coloro che, per un malinteso senso
di cavalleria, si credono in obbligo di difendere
l'onore della loro dama attaccando lite in mezzo
alla strada con un maleducato qualunque per una
cosa da nulla, non mostrano nè tatto nè cervello.
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E non è neppure una bella cosa vederli piantare
in asso la signora affidata alle lore cure, per venire
alle mani col primo che capita. Una cosa
da nulla può diventare una cosa seria, e le signore
in generale sone facili a impressionarsi e
spaventarsi. Ognuno del resto capisce che questi
sono consigli di prudenza e non di vigliaccheria,
e hanno il solo scopo di far evitare eccessi
inutili. Se l'occasione veramente si presentasse,
un uomo deve saper affrontare ogni pericolo senza
esitazione, pronto anche, per l'onore di colei che
lo accompagna, ad arrischiare la vita. Ma chi ha
veramente coraggio, non lo sciupa inutilmente e
se ne serve soltanto al momento del bisogno.
A questo proposito, non possiamo astenerci di
dare anche alle signore un avvertimento. Le liti
per la strada sono sempre spiacevoli, spesso pericolose:
non cercate mai di provocarle col vostro
contegno, perchè, più spesso che non si creda, esse
hanno origine dall'imprudenza vostra. Ci sono
molte signore che s'adombrano di tutto, che s'inquietano
se non si fa loro posto, che non esitano
a buttar là una di quelle parole acri e impertinenti,
che irritano ed esasperano. Il marito, il
fratello, prendono naturalmente le loro difese, anche
se, in cuor suo, riconoscono tutto il torto
della loro compagna; e le conseguenze sono spesso
dolorose. Siate dunque prudenti, signore mie; sappiate
anche, al momento opportuno, non avere nè
occhi nè orecchi: eviterete ai vostri mariti, ai
vostri fratelli, ai vostri amici delle noie e dei pericoli.
Se poi, per disgrazia, una questione avviene
in vostra presenza, non intralciate col vostro
contegno l'opera di chi vi accompagna: non
gridate, non piangete, non date in ismanie.
Se ci accade per la strada di urtare involontariamente
una persona, si è in obbligo di chiederle
scusa; e le scuse saranno più ampie se
si tratterà di un vecchio o d'un mutilato. Chi è
urtato, se è persona bene educata deve accontentarsi
di quelle scuse e rispondere con una parola
gentile. Chiunque, transitando per la strada
in bicicletta, in automobile o su qualunque altro
veicolo di sua proprietà, è causa involontaria di
una disgrazia, ha l'obbligo assoluto di mettersi
interamente a disposizione del ferito e di curarne
il trasporto a casa o in un ospedale: fuggire per
timore delle responsabilità nelle quali, sia pure
involontariamente, è incorso, è azione da barbaro.
Una persona di cuore considera un dovere prestare
l'opera sua ai passanti tutte le volte che
ne vede la necessità, senza credere di decadere
dalla propria dignità neppure se si tratta d'un
umile servizio. Una persona di buon senso evita
di far circolo intorno ai ciarlatani e soprattutto
intorno a coloro che leticano o vengono alle mani.
Questa brutta abitudine di godersi come uno spettacolo
le baruffe che così frequentemente avvengono
nel mezzo di strada, fu già ripresa da Dante
che, come di tante altre cose, s'intendeva anche
d'educazione. Dice Virgilio a Dante, dopo averlo
rimproverato d'essersi fermato ad ascoltare due
dannati in lite fra loro:
E fa' ragion ch'io ti sia sempre allato,
se più avvien che fortuna t'accoglia
ove sien genti in simigliante piato;
chè voler ciò udire è bassa voglia.
Le visite.
Norme generali sulle visite non si possono dare.
Tra la visita intima dell'amico di casa che entra
senza farsi annunziare e quella ufficiale che esige
la redingote e il cappello a cilindro, non c'è, si
può dire, somiglianza alcuna. Ognuno deve dunque
sapersi regolare secondo le circostanze.
Per le persone intime, la porta è sempre aperta:
esse sono ricevute a qualunque ora e in qualunque
circostanza. Si badi però che, per comportarsi
così, l'intimità deve esser davvero grande,
e che, ad ogni modo, non si deve mai abusare
della cortesia altrui. Un certo ritegno nelle relazioni
amichevoli, una certa parsimonia nelle visite
non fanno che rendere più stabile e più sentita
l'amicizia. L'amico che è sempre per casa finisce
con l'esser considerato meno di nulla, quando non
sia d'imbarazzo e di noia.
Normalmente, nelle visite fra amici non troppo
intimi, si devono osservare certe regole. Per fare
una visita si sceglierà sempre il pomeriggio o
almeno le tarde ore della mattina. Un amico o
un'amica si ricevono senza complimenti, alla buona,
anche nel salotto da studio, nella stanza da lavoro.
La lunghezza delle visite dipende da tante
cose: ma non sarà mai esagerata, specialmente
quando si abbia ragione di supporre che la nostra
presenza possa impedire al padrone o alla
padrona di casa di dedicarsi alle sue occupazioni.
Per le visite d'una certa etichetta, ci si atterrà
a norme anche più rigorose: le prime ore della
sera, fra le quattro o le sei, sono, si può dire,
di prammatica. L'uomo che si reca a far visita
a una signora si vestirà di scuro, e meglio ancora
di nero. Introdotto, depositerà nella stanza
d'ingresso cappello e mazza, paltò, calosce, tutto
quello insomma che si porta fuori di casa, mantenendo
soltanto i guanti. Nel salotto di ricevimento
potrà sedersi fino all'arrivo della signora;
al giungere di questa, si alzerà in piedi e le moverà
incontro; le stringerà la mano soltanto se
essa gliela porgerà. Sedutosi, sosterrà con brio
e con disinvoltura la breve conversazione (una
visita d'etichetta dura appena un quarto d'ora),
evitando soprattutto quelle pause silenziose, che
son causa di tanto imbarazzo a chi riceve e a chi
fa la visita. Nell'accomiatarsi abbrevierà tutti quei
convenevoli, dei quali si faceva tanto uso una
volta: una parola cortese, un lieve inchino, una
stretta di mano, se la mano gli vien porta dalla
signora, e uscirà rapidamente dal salotto.
Per le visite di gran cerimonia c'è tutta un'etichetta,
che varia da caso a caso e subisce anche
cambiamenti a seconda della moda. Non è
perciò qui il luogo di dar delle norme speciali.
Vogliamo tuttavia mettere in guardia il lettore
da due eccessi opposti. C'è chi, al solo pensiero
d'una visita di cerimonia, si sente venire i brividi,
perde il sonno e l'appetito: l'idea di trovarsi
davanti a una tal persona illustre lo mette
in un orgasmo tale da fargli venir la febbre. Sono
timori esagerati: una visita di tal genere è quasi
sempre più facile che una visita normale. La
persona illustre, abituata ad ogni sorta di visitatori,
sa comprendere e compatire: e l'esitazione
e la timidezza, lungi dall'annoiarla, le danno invece
una chiara idea della bontà e della gentilezza
d'animo di chi le si presenta davanti: soltanto
gli sciocchi o i presuntuosi non conoscono
la soggezione. Neppure c'è da farsi troppo cattivo
sangue se il timore o l'ignoranza di certe
leggi d'etichetta ci fanno commettere una di quelle
che si soglion chiamare, con vocabolo francese,
gaffes, cioè atti o parole fuor di luogo. Se l'errore
non dipende da sfrontatezza o da mal animo,
non ci sarà gran male, e la persona illustre sarà
la prima a compatire. Ben diverso è il caso di
coloro che, pieni di fiducia nei propri meriti, si
recano a tali visite con una sfacciata disinvoltura,
e trattano da pari a pari: essi fanno sempre cattiva
impressione e meritano quelle accoglienze
fredde o quelle parole severe, di cui poi si lamentano.
Vogliamo chiudere questo capitolo con un consiglio
d'ordine generale. Non fate mai visite se
non siete sicuri che saranno gradite. Studiate bene
le abitudini, i gusti, la psicologia dei vostri amici
e conoscenti; e tutte le volte che avete motivo
di supporre che la vostra visita possa recar disturbo
o noia, rinunziateci. Fate, per civiltà e per
educazione, le visite di dovere; delle altre non
abusate mai. Pensate quante volte, anche in casa
vostra, si è mandato un respiro di sollievo dopo
una visita importuna; pensate quante volte anche
le persone più gentili sono costrette a far dire
di non esser in casa, per sottrarsi alla noia e qualche
volta al danno di un visitatore sgradito; e
comportatevi in modo che quel che si è detto degli
altri non s'abbia a dire con ragione anche
di voi.
Nel fissarvi le regole per questa importantissima
norma del viver civile, tenete ben conto delle
mutate condizioni dei vostri amici e conoscenti.
Ci sono nella vita improvvisi cambiamenti di stato,
che portano seco modificazioni profonde. L'amico
che diviene, per esempio, ministro, ha diritto d'esser
lasciato in pace, perchè ha, o dovrebbe avere,
poco tempo da buttar via; l'amico che prende moglie
è, quasi sempre, un amico perduto: e colui che
pretendesse di seguitar con lui la vita di prima,
di averlo a compagno al caffè o nelle passeggiate
per parecchie ore del giorno o della settimana,
mostrerebbe di aver poco senno; peggio ancora
se lo importunasse con visite giornaliere e s'avesse
per male d'un rifiuto.
I rapporti d'amicizia sono forse, fra i rapporti
sociali, i più difficili di tutti, perchè non possono
essere assoggettati a regole fisse e si regolano
più che altro col tatto e con la gentilezza. L'uomo
veramente bene educato si riconosce soprattutto
dal modo con cui, nelle varie circostanze della
vita, si comporta con gli amici.
Al teatro.
Il teatro è un luogo di divertimento e di ricreazione:
inteso come dovrebbe intendersi in una
nazione civile, esso è anche mezzo possente di
moralità. Napoleone, che se n'intendeva, protesse
a tutto potere attori e autori, e curò personalmente,
nei brevi momenti di riposo fra una guerra
e l'altra, la messa in scena di commedie e di tragedie,
mostrandosi severissimo nella scelta degli
argomenti e proscrivendo inesorabilmente tutto ciò
che recasse offesa al buon costume.
Ma oggi, purtroppo, per quel che riguarda la
moralità del teatro non si può essere che pessimisti.
Gli autori moderni, e specialmente quelli
di oltr'Alpe, fanno a gara per mettere sulle scene
argomenti frivoli o peggio che frivoli; e le poche
e lodevoli eccezioni non bastano a rimediare al
gran male che ne deriva.
Fra i doveri d'una madre di famiglia, c'è quello
imprescindibile di non condurre al teatro le proprie
figliuole se non è sicura che il dramma o
la commedia che si reciterà sia tale da poter esser
ascoltata senza arrossire. Quante madri, che
non hanno preso questa precauzione, si sono poi
pentite amaramente della loro trascuratezza! Non
c'è cosa più spiacevole che vedere in un teatro
delle signorine, condotte a caso ad ascoltare un
lavoro scabroso o palesemente indecente, assumere
quel contegno di disagio e di simulata indifferenza,
con la quale cercano di far fronte alla
spiacevole situazione. Nè è a dire quanto poco ci
guadagni, nella stima degli uomini, la riputazione
della madre e delle figlie. Purtroppo l'uomo, anche
il più corrivo, diviene, in questi casi, d'una
inesorabile severità.
Neanche alle signore maritate, specialmente se
madri di famiglia, io saprei consigliare di recarsi
al teatro così alla cieca, senza conoscere
almeno all'ingrosso a che cosa vanno incontro.
Ci sono certe commedie contro le quali si rivolta
ogni pudore, e che non soltanto una donna, ma
anche un uomo serio e dabbene dovrebbe rifiutarsi
d'ascoltare. A che pro andare a passare qualche
ora, che dovrebbe esser di riposo e di svago,
in mezzo all'oscenità e al sudiciume?
Al teatro, come in qualunque altro luogo pubblico,
è obbligo d'ogni persona bene educata di
comportarsi con dignità e decoro. I gridi, le urla,
i fischi, gli applausi insistenti e clamorosi vanno
lasciati alle genti di strada: l'applauso discreto
o un breve segno di disapprovazione, quando proprio
non se ne possa fare a meno, sono quanto
di più possa concedersi a una persona a modo:
le donne, e specialmente le signorine, faranno
bene ad astenersi da ogni manifestazione troppo
visibile.
Quanto alle disapprovazioni e ai fischi, essi dimostrano,
oltre che poca educazione, anche poco
cuore. L'artista, attore o cantante, è un individuo
che lavora per vivere, e che esercita una delle
professioni più ingrate e faticose; umiliarlo se le
sue qualità non ci piacciono o sono manchevoli,
è un atto incivile.
Fatevi un dovere, durante la rappresentazione,
di non disturbare gli spettatori. A tale scopo, evitate
di entrare e uscire quando il sipario è alzato,
non chiacchierate quando gli altri ascoltano, non
fate rumore, non tossite. Se siete raffreddato, rimanete
a casa.
L'abito da indossare al teatro cambia a seconda
del genere della rappresentazione e del posto che
si occupa. A una rappresentazione di gran gala,
e per chi vada in un palco o in poltrona, sono
di rigore il decolleté per le signore e l'abito nero
per gli uomini; per chi si rechi in altri posti
meno di lusso basterà l'abito da passeggio. Mettersi
l'abito da sera per una rappresentazione qualunque,
anche se si va in palco o in poltrona, è
un'esagerazione di cattivo gusto, da lasciare agli
americani.
Negli intervalli fra atto e atto, non è vietato
di guardare in giro, anche col canocchiale; ma
si eviti ogni insistenza; si eviti specialmente -
e il consiglio va soprattutto ai signori uomini -
di fissare ostinatamente un dato palco, una data
persona. Oltre a compiere un atto importuno, si
può non di rado suscitare un giusto risentimento,
e trovarsi in degl'impicci ben meritati.
Le visite che si sogliono fare nei palchi siano
brevi, e non se ne abusi: al suono del campanello
che indica la ripresa dello spettacolo, ognuno
deve tornare al suo posto, salvo che non riceva
invito di rimanere. E in questo caso, si comporti
in modo da non occupare il posto migliore e da
non dar noia a chi l'ha invitato.
Al ballo.
Grave questione, il ballo! Ci sono ancora certe
famiglie all'antica per le quali parlare di ballo
è lo stesso che parlare del diavolo! E veramente
a vedere certi balli moderni, vien voglia di dar
loro ragione. Ma, per mantenerci nel giusto mezzo,
dobbiamo dire che, inteso ed esercitato con misura
e con decoro, il ballo è un onesto divertimento,
vecchio quanto il mondo, pieno d'attrattive
specialmente per la gioventù.
Più che al ballo in sè, una madre che ha delle
figliuole ormai giovinette deve badare all'ambiente
in cui si balla e alle persone che vi prendono
parte. Se il ballo ha luogo in una famiglia
amica, conosciuta e rispettata per la sua moralità,
tutto va bene: ma se esso si farà in un ambiente
ignoto o poco noto, è stretto dovere della
madre di famiglia di informarsi particolarmente
del carattere del trattenimento, di quali balli vi
si balleranno, di quali persone v'incontrerà. Purtroppo,
una sala da ballo diviene facilmente un
focolaio di pettegolezzi, di gelosie, di scorrettezze,
e la riputazione d'una signorina è una cosa delicatissima,
che s'appanna come il vetro.
Per queste ragioni, non sapremmo raccomandare
certi balli, dati o promossi da circoli o da
associazioni, nei quali si va alla cieca, in mezzo
a persone sconosciute o quasi: quasi sempre una
persona finemente educata vi si trova a disagio.
Ma vi sono anche in questo delle onorevoli eccezioni
delle quali si saprà tenere il dovuto conto.
Normalmente, ad un ballo d'una certa importanza
si va in abito da società: gli uomini in
frac, le signore in decolleté. Toccherà ai padroni
di casa, quando si tratti d'un ballo di famiglia
o in campagna, di avvertire che basta l'abito da
passeggio. Per le signore, anche in quest'ultimo
caso, è di regola una leggera scollatura.
Un uomo ben educato non fa danzare troppo
spesso la stessa signora, nè insiste nell'invito, se
questo sia stato rifiutato una prima volta. Generalmente,
non si invitano signore alle quali non
si sia stati presentati, ed è questo l'uso migliore:
oggi però si deroga talvolta da questa buona abitudine,
o col presentarsi da sè stessi o col fare
a meno della presentazione. Uso da non approvarsi.
La signora o signorina che riceve l'invito, può
declinarlo con cortesi parole non solo se è già
impegnata, ma anche se non ha desiderio di ballare.
Nel tener conto degli inviti già accettati,
cercherà di non far confusioni, rispettando con
scrupolo l'ordine di precedenza: una dimenticanza
o una trasposizione può non di rado essere
interpretata malignamente.
Regola generale, soprattutto per gli uomini: se
non sapete ballare, non andate a un ballo. Una
signorina che balli male è tollerata, un uomo no;
egli attira il ridicolo su sè stesso, impedisce alla
sua compagna di far figura, dà noia agli altri ballerini,
si espone a rifiuti umilianti. Se non balla,
è inutile e ingombrante.
Dar delle norme sul modo di ballare, oltre
che fuor di luogo, sarebbe del tutto inutile. La
moda cambia, si può dire, da un giorno all'altro,
e i balli nuovi si susseguono vertiginosamente.
Ma non vogliamo tacere un consiglio generale,
che vale da solo più di tutti gli altri:
ballate con compostezza e con decenza. Qualunque
sia il ballo che danzate, c'è modo e modo
di ballarlo; i più innocenti e i più semplici si
possono con poco fare apparire indecenti, i più
arditi possono diventare castigati. Tutto dipende
dal contegno dei ballerini, i quali debbono sapere
astenersi da tutto ciò che di troppo rude e di
procace si nasconde non di rado anche nei balli
più comuni.
Se alla sala da ballo è annessa una sala di
buffet, sappiate comportarvi da persone educate.
C'è chi va a un ballo per avere un pretesto per
mangiare a crepapelle e bere in proporzione; è
inutile dire che gente che si conduce così, mostra
di non conoscere i primi elementi della civiltà.
L'eccessiva timidezza è senza dubbio intempestiva;
e nulla vieta, specialmente alle persone
giovani e di buon appetito, di servirsi al buffet
con una certa abbondanza e senza timidezza; ma
ogni troppo stroppia, e il buffet non è una trattoria.
È oggi molto in uso, alla fine del ballo o quando
piaccia, eclissarsi all'inglese, cioè senza salutare
i padroni di casa. Nei balli di gran parata, dove
gl'invitati sono numerosi, un tale uso non è da
disapprovare, perchè sottrae chi ha dato il ballo
a una fatica non indifferente e dà agl'invitati
una maggior libertà; ma nei balli più intimi, e
specialmente quando intercedono legami d'amicizia,
andarsene senza salutare può essere, e non
senza ragione, interpretato come un atto di scortesia.
Si compia dunque quest'atto di deferenza,
secondo il buon uso antico.
Chi è intervenuto a un ballo deve una visita
di convenienza, dentro gli otto giorni.
A pranzo.
Chi riceve un invito a pranzo deve, se non può
accettarlo, avvisarne subito chi di ragione; mostrerebbe
mancanza assoluta di delicatezza e di
tatto disimpegnandosi poche ore prima del pranzo
stesso. Quando una grave cagione lo costringesse
a un tal passo, ha il dovere di fare ampie scuse
adducendo il motivo imprevisto che gl'impedisce
di mantenere l'impegno.
Si può essere invitati a pranzi di famiglia, presso
persone amiche, e a pranzi d'etichetta. Per i pranzi
di famiglia, ci si regolerà via via secondo il grado
di intimità o d'amicizia. Un corretto abito di colore
scuro, nero o bleu, sarà più che sufficiente
per gli uomini; per le signore basterà un leggero
decolleté. Per i pranzi di parata si ricorrerà
all'abito da società.
L'invitato deve presentarsi un po' prima dell'
ora fissata, ma non molto prima. Nelle famiglie,
anche in quelle dove non mancano servitori, la
padrona di casa ha, nell'ora che precede il pranzo,
un monte di cose a cui provvedere: dare un'ultima
occhiata alla cucina e alla sala da pranzo,
preparare i fiori, disporre i posti, ecc., e l'invitato
troppo solerte le dà impiccio e noia. È inutile
dire che non si deve mai giungere in ritardo.
Nel passare dal salotto in cui è stato ricevuto,
nella sala da pranzo, l'invitato offrirà il braccio
a una signora; alla padrona di casa, se non ci
sono altri invitati, o se questi sono a lui inferiori
di condizione o d'età. Sedutosi al posto che gli sarà
indicato, spiegherà il tovagliuolo e attenderà d'esser
servito conversando brevemente coi suoi vicini.
Se è servito uno dei primi, aspetterà a mangiare
che siano serviti anche gli altri, soprattutto le
signore. Non mangerà troppo velocemente per non
terminare quello che ha nel piatto quando gli altri
hanno appena cominciato, nè troppo adagio,
per non costringerli ad attendere il suo beneplacito.
Non parlerà mangiando, non beverà mentre
ha ancora il boccone in bocca. Se vorrà comportarsi
da persona veramente ben educata, non toccherà
nulla colle dita, salvo il pane. Questa norma,
che ci viene dall'Inghilterra, è ormai stata adottata,
a torto o a ragione, anche da molte famiglie
italiane; e chi la disprezzasse o infrangesse
potrebbe passare per un ignorante. S'intende che
presso famiglie amiche, delle quali ben si conoscono
gli usi e le abitudini, si può anche derogare
un po' da questa regola davvero troppo rigida:
e quando si è nell'intimità, adoprare le
dita per mangiare una coscia di pollo o per sbucciare
una mela o un'arancia non è poi un gran
male, ed è tanto comodo!
Chi, invitato a pranzo in casa altrui, credesse
ben fatto toccare appena i cibi e levarsi da tavola
con la fame, per dare una buona idea della
sua continenza e della finezza della sua educazione,
sarebbe uno sciocco, e non raggiungerebbe neanche
lo scopo di far cosa gradita ai suoi anfitrioni.
Chi invita, non può non desiderare che si
faccia onore al suo pranzo, e se vede un invitato
che non mangia, ha tutto il diritto di credere che
non sia soddisfatto di ciò che gli vien servito.
Viceversa (come in tutte le cose di questo mondo,
anche in questa gli estremi si toccano) è, più che
sciocco, maleducato chi si rimpinza fino a scoppiare,
chi beve smoderatamente. Se la mancanza
di misura nel mangiare e nel bere è un brutto
vizio, diventa addirittura insopportabile quando
si è in casa d'altri.
L'invitato si ricordi che, durante il pranzo,
egli non deve pensare soltanto a saziare l'appetito,
sia pure moderatamente. È suo obbligo contribuire
a render piacevole il pranzo, aiutando i
padroni di casa a tener viva la conversazione, a
infonder brio negli altri convitati. Parlando del
più e del meno, toccando argomenti graditi ai
padroni di casa, egli eviterà tuttavia i discorsi
troppo lunghi, le chiacchierate interminabili che
allungano il pranzo, e soprattutto le discussioni
e le polemiche. Se vede che qualcuno dei commensali
non è del suo parere, saprà tacere a tempo
e mutar tema. A tavola si chiacchiera ma non si
discute. Nei pranzi d'intimità, chi ha vicino a
sè una signora, le presterà tutti quei piccoli servizi
che sono altrettanti obblighi per una persona
educata.
Finito il pranzo, l'invitato s'alzerà quando si alzano
i padroni di casa e, se sarà il caso, passerà
con essi in altra sala. Preso il caso, resterà un
po' a far conversazione con le signore. Invece, se
gli uomini, secondo l'uso inglese, si tratterranno
a fumare in sala da pranzo, egli resterà con loro,
anche se non fuma. Si regolerà insomma secondo
le abitudini della casa, cercando di rendersi accetto
e gradito. Non prolungherà di troppo la sua
visita e, a cose normali, se ne andrà dentro un'ora
dalla fine del pranzo; si tratterrà di più soltanto
se richiestone, o quando dopo il pranzo si faccia
circolo o si giuochi. Nell'accomiatarsi troverà
qualche parola gentile per i padroni di casa, ma
non avrà l'obbligo di ringraziare per il pranzo
ricevuto.
Farà, dentro gli otto giorni, la così detta visita
di digestione; se gliene mancherà il modo,
scriverà un biglietto di ringraziamento.
Al ristorante.
Il ristorante è uno dei luoghi dove meglio si
studia e si conosce il carattere e il grado d'educazione
d'un individuo.
Vedete là il cavaliere X? Grasso, pacifico, sorridente,
col tovagliuolo infilato nell'occhiello della
giacchetta, egli mangia tranquillamente, assaporando
ogni boccone e dando ogni tanto un'occhiata
alla carta che gli sta davanti, appoggiata
alla bottiglia dell'acqua minerale. È l'amico di
tutti i camerieri, ai quali si rivolge sempre con
un sorriso e che lo servono con premura; e conosce
quasi tutti i suoi vicini di tavola, cui rivolge
spesso parole cortesi o cenni di saluto. È
un brav'uomo, simpatico a tutti.
Ecco invece da quell'altra parte l'avvocato Y.
Silenzioso, arcigno, mangia col viso sul piatto, non
guarda nessuno, non saluta nessuno, comanda ai
camerieri con cenni della testa. Appena ha mangiato,
s'alza e scappa via. È un nevrastenico che
digerisce male.
C'è poi il tipo del malcontento, che strapazza
i camerieri, che disprezza ogni vivanda, che rimanda
indietro quello che ha ordinato, che lascia
a mezzo ciò che ha davanti: scortese, brontolone,
è la disperazione di chi lo serve. C'è il
chiacchierone, che attacca discorso con tutti, che
conosce tutti, che parla dei propri affari, che vuol
conoscere quelli degli altri. Ci sono insomma tipi
infiniti, che si rivelano con grande evidenza in
quell'ora in cui l'uomo si toglie la maschera e
si dimostra per quello che è.
Quando andate al ristorante, ricordate che vi recate
in un luogo pubblico e che siete esposti agli
sguardi di tutti. Comportatevi dunque con educazione,
mangiate correttamente, non siate troppo
esigenti. Entrando nella sala da mangiare, salutate
senz'affettazione, e se il luogo è riscaldato
quanto potrebbe esserlo una stanza della vostra
casa, toglietevi paltò e cappello. Mangiare col
cappello in capo non è cosa molto fine, e va evitata
tutte le volte che è possibile: non diciamo
sempre, perchè in certi locali si gela, e la cortesia
non deve essere spinta al punto da procurarci
un malanno.
Durante il pranzo, cercate di dar meno disturbo
che potete agli altri commensali. Non esigete
che il cameriere sia tutto a vostra disposizione;
non vi lamentate ad alta voce e in tono
arrogante se qualche cosa non è di vostro gusto:
un'osservazione fatta a bassa voce raggiunge quasi
sempre il suo scopo.
Se vi trovate in compagnia d'amici, non fate
baldoria, non gridate, non conversate rumorosamente
in modo da disturbare i vostri vicini. Se
desiderate fumare, non abusate del diritto ormai
invalso nei ristoranti di accendere il sigaro a
tutte l'ore, ma se avete vicino una signora, domandatele
il permesso, che essa non vi rifiuterà.
Una signora o signorina va quasi sempre al
ristorante accompagnata dal marito, dal padre o
da persona di conoscenza: e i suoi doveri sono
quelli di una signora educata. Non è necessario
dire che a lei, ancor meno che a un uomo, si
conviene alzar la voce, far chiasso, darsi a un'allegria
smodata: essa cercherà soprattutto di non
dar nell'occhio, di non abbandonarsi ad eccentricità,
di non mettere in imbarazzo la persona che l'accompagna.
Tutti questi suoi doveri diventano ancora
più rigorosi e più stretti se è sola o in compagnia
d'altre signore. La donna emancipata, dalle
pose maschili e dai modi troppo disinvolti, non
ha fatto ancora fortuna in Italia, se Dio vuole:
e le persone dabbene non hanno per lei che parole
di biasimo.
Terminato di mangiare e pagato il conto, non
si resterà troppo a lungo nel ristorante, specialmente
se questo è affollato e si ha motivo di supporre
che altri voglia prendere il nostro posto.
Ad ogni modo, chi vorrà rimanere ancora a fumare
o a leggere il giornale, saprà farlo educatamente,
senza prender pose sguaiate, non concesse
neppure nell'intimità della propria famiglia.
Giunto il momento d'andarsene, si chiederà
scusa alle persone che si fosse costretti a incomodare,
e si uscirà salutando, come nell'entrare.
In viaggio.
Regola generale: chi viaggia deve saper viaggiare;
chi non sa viaggiare, supplisca con l'attenzione
e col buon senso alla sua ignoranza.
Non possiamo qui dar norme per quei viaggi
improvvisi, imposti da necessità urgenti e talora
dolorose, e decisi in un quarto d'ora. Si parte
col primo treno che capita e si sopportano volentieri
o con indifferenza tutti gl'inconvenienti
derivanti dalla fretta e dall'impreparazione. Ma
chi si prepara con calma a un viaggio, farà bene
ad attenersi a certe regole essenziali, che gli faranno
risparmiare tempo e denaro.
Cominciate con lo stabilire la durata del viaggio
e la somma che gli destinate. Molti vi diranno
che i preventivi non servono a nulla, se
non forse a procurare delle disillusioni. È un errore
che riguarda soltanto i preventivi mai fatti:
un buon preventivo, compilato con spirito pratico
e con una certa libertà, è sempre utilissimo.
Esso sarà fatto dopo aver assunto informazioni
sui luoghi che s'intende di visitare, dopo aver
consultato una buona guida, dopo aver stabilito
il proprio genere di vita. Tirate le somme, si aggiungerà
sempre un terzo per gl'imprevisti.
Curate voi stessi il vostro equipaggiamento.
Fate una nota di quegli oggetti di vestiario o
d'altro genere che vi occorreranno, tenendo conto
della stagione, del clima, dei luoghi ove vi recate,
degli eventuali cambiamenti di tempo. A
questo proposito, evitate due eccessi opposti, poichè
c'è chi, per troppa prudenza, non porta seco
che abiti gravi e suda durante tutto il viaggio,
e chi, per sventatezza, non pensa a una possibile
raffrescata, e si ritrova a battere i denti.
Una nota fatta un giorno o due prima di partire
è pressochè inutile; bisogna cominciare a compilarla
molto prima, e aggiungere via via quello
che viene in mente: soltanto così essa sarà davvero
completa. Giunto il momento, fate da voi
stessi la valigia o il baule e confrontate con la
nota.
Questa di fare i bagagli è forse l'occupazione
più importante di tutte. Un bagaglio ben fatto
procura durante il viaggio infiniti vantaggi, evita
noie, disagi e spese; perchè il privarsi di certe
cose è spesso doloroso, talvolta impossibile: e non
c'è altro rimedio che metter mano alla tasca.
Badate tuttavia, con non minore diligenza, di lasciare
a casa tutto ciò che è inutile: non vi sovraccaricate
di bauli, di valigie, di valigette, di
scatole, di fagotti: tutte cose che vi preoccuperanno
durante il viaggio e vi turberanno la gioia
che vi ripromettete. Un bagaglio ideale è quello
che contiene tutto il necessario e nient'altro che
il necessario, ed è contenuto, secondo i casi, o
da una sola valigia, o da un baule e una valigia.
Mettetevi sempre in viaggio con un itinerario
stabilito. Salvo il caso - molto raro del resto -
che sia per voi indifferente tornare dopo una settimana
o dopo un mese, stabilite preventivamente
la durata del vostro viaggio e dei vari soggiorni.
Accade spesso che uno parta da casa con l'intenzione
di visitare, supponiamo, Venezia, Firenze,
Roma e Napoli, e di trattenersi una settimana in
ciascuna di queste città. Ma Venezia è così incantevole
ch'egli vi trascorre quindici giorni, Firenze
così artistica che una settimana non gli
basta a vederla tutta; non c'è rimedio: o raddoppiare
la durata del viaggio, o rinunziare a
Roma e Napoli. Inconvenienti come questo si evitano,
mettendosi in viaggio dopo essersi fatti
un'idea chiara dei luoghi che si ha intenzione
di visitare, e non lasciandosi poi tentare a prolungare
un soggiorno in un dato luogo, quando
si è visto abbastanza.
Se avete intenzione di recarvi in una grande
città, assumete informazioni sugli alberghi, sui
ristoranti più adatti da amici e conoscenti che
l'abbiano in pratica: vi sarà facile di trovarne.
Eviterete così l'inconveniente d'arrivare a caso,
stanchi dopo lunghe ore di ferrovia, e di capitare
in alberghi non adatti per voi, per esser
troppo di lusso o d'una categoria troppo bassa. Per
una piccola città, ricorrete ad una guida o alle
informazioni di qualche viaggiatore cortese. Se vi
recate in montagna o al mare, in stazioni climatiche
ove non siano che alberghi, è inutile dire
che occorrerà scrivere avanti e far patti chiari e
precisi.
Se scrivete o telegrafate fissando una camera,
ricordatevi che essa sta per voi e che siete obbligati
a pagarla anche se non arrivate il giorno
stabilito. Non fate dunque riserve o atti di maraviglia:
sareste dalla parte del torto.
Viaggiando lontano dalla propria città o dal
proprio paese, ognuno si sente più libero, più indipendente.
È questo un sentimento naturale, al
quale non è possibile sottrarsi. Nel luogo dove
abitiamo, anche se è una grande città, si finisce
sempre col procurarci una quantità di legature,
di rispetti umani che c'impediscono di compiere
certi atti, innocenti di per sè, ma che potrebbero
essere interpretati, dal mondo pettegolo, a nostro
danno. Lontani da casa, la situazione è diversa:
nessuno ci conosce, nessuno si occupa di noi; e
possiamo anche permetterci il lusso di fare il nostro
comodo. E sia pure; ma ricordiamoci anche
che l'educazione non è una vana parola e che
il vero gentiluomo è educato dappertutto. Dunque,
maggior libertà, sì; licenza o sguaiataggine, no.
In treno.
Il treno era una volta il mezzo di locomozione
più comune e più rapido. Oggi è rimasto il più
comune, perchè la sua rapidità è stata vinta dall'
automobile e dall'aereoplano. Ma siccome chi
viaggia va quasi sempre in treno, parliamo di come
si comporta in treno la persona bene educata.
Cominceremo col ripetere per il treno quello
che già si è detto per il ristorante: il treno è
un luogo pubblico, dove il cittadino ha il dovere
di usar dei riguardi ai suoi vicini, che hanno diritti
uguali ai suoi. Sdraiarsi sui sedili o ingombrarli
con le proprie valigie, costringendo gli altri
a stare scomodi o magari in piedi, è atto villano
e, per di più, contrario ai regolamenti. C'è
chi crede, perche è in viaggio, d'aver il diritto
di fare il proprio comodo ai danni altrui, ma è
una credenza da screanzato.
Cedere il posto a una signora, in treno, è
sempre un atto da gentiluomo, ma non è così
obbligatorio come in tram. Quando uno ha da
fare un viaggio lungo, e si è scomodato ad andare
alla stazione un'ora prima per conquistare
un posto a sedere, nessuno può pretendere che
una signora giunta all'ultimo momento lo privi
d'un vantaggio così necessario. Ma si sapranno
fare delle eccezioni a questa regola generale: una
signora incinta, o malata, o sofferente, o molto
avanzata in età dovrà ottenere quello che si può
rifiutare a una donna giovane e sana. Il male è
che, purtroppo, accade spesso il contrario: una
bella signora trova sempre posto, una vecchia cadente
è per lo più costretta a rimanere in piedi.
Ad ogni modo le signore non debbono fare assegnamento
sulla cortesia del sesso forte; e, all'
occasione, debbono saper rifiutare un favore che
costa un sacrifizio così grave. Prendano anch'esse
le loro precauzioni, e si rechino in tempo alla
stazione.
Avviso alle signore: se vi dà noia il fumo, non
entrate in uno scompartimento per fumatori. Avviso
agli uomini: se una signora è in uno scompartimento
da fumatori, e voi volete accendere
il sigaro o la sigaretta, domandatele il permesso.
Può darsi ch'essa non abbia trovato posto altrove
e che il fumo le faccia veramente male; e in tal
caso la vostra improntitudine sarebbe davvero riprovevole.
In ogni altro caso, la signora che con
la sua presenza impone un sacrifizio non necessario,
abusa della sua posizione e dell'altrui cortesia.
Una signora che viaggia sola si comporterà con
molta riservatezza. Non sarà facile ad attaccar
discorso coi compagni di viaggio, soprattutto con
gli uomini. Interrogata, risponderà con ritegno
in modo da far capire che non desidera di esser
disturbata; se riceve uno di quei piccoli favori,
così frequenti in ferrovia, ringrazierà gentilmente,
ma senza effusione e con poche parole.
Contenendosi così, disarmerà gl'intraprendenti e
sarà lasciata in pace. La maggior parte delle noie
che possono capitare in treno a una signora sola,
derivano quasi sempre dal suo contegno poco riservato,
che non di rado sembra autorizzare gl'importuni
a tentare una parola o un gesto ardito.
Non importa del resto aggiungere che un vero
gentiluomo ha per una signora sola tutto quel
rispetto che le mostrerebbe se fosse accompagnata.
Mostrarsi noiosi, esigenti, brontoloni è segno di
cattivo carattere e di poca educazione. In treno
non si è a casa propria, e conviene adattarsi anche
ai desideri altrui. Sono esigenze imperdonabili
voler tener tutto chiuso e tappato, quando
nello scompartimento si soffoca dal caldo, o pretendere
di aprire i finestrini quando si gela; lamentarsi
se un bambino piange o un vecchio ha
la tosse.
L'abito da viaggio sia semplice e comodo, ma
non trascurato. La signora che entra in treno con
un vestito di mussolina bianca, non si lamenti se
qualcuno inavvertitamente le stampa sulle maniche
o sulla sottana cinque ditate nere: la colpa
è tutta sua e della sua storditaggine; nè si lamenti
l'uomo cui vengano pestate le scarpine verniciate
o macchiati i candidi calzoni, che avrebbe
fatto meglio a lasciare a casa. Viceversa, non potremo
che biasimare l'uomo il quale, entrando nello
scompartimento, si toglie il colletto e magari le
scarpe, e si sdraia comodamente come se fosse
in camera sua, o la signora che trascura quella irreprensibilità
e correttezza del vestiario che le è
altrove abituale.
Sappiate, anche in treno, provvedere a tutto
coi vostri propri mezzi. Il viaggiatore o la viaggiatrice
che non sa dove deve scendere per cambiar
treno, che non conosce le coincidenze e che
importuna ad ogni istante i compagni di viaggio
o il personale ferroviario con domande sciocche
o moleste, si espone a risposte poco cortesi. Una
breve preparazione prima di partire rimedia a
tutti questi inconvenienti ed evita equivoci talvolta
spiacevolissimi.
Lo ripeto: se non sapete viaggiare, state a
casa vostra.
All'albergo.
La vita d'albergo ha i suoi comodi e i suoi
svantaggi. Alcuni ne dicono un gran bene, altri,
e soprattutto le persone casalinghe, non la possono
soffrire. Io mi schiero risolutamente con quest'
ultimi. Ma poichè gli alberghi ci sono, e in certe
circostanze della vita non se ne può fare a meno,
lascio la questione insoluta, e mi limito a parlare
del modo col quale deve contenersi l'uomo
educato quando, lasciata la propria casa, ricorre
all'ospitalità a pagamento. Prima di tutto, sappiate
scegliere l'albergo secondo la vostra condizione;
e ciò non soltanto per evitare sgradite
sorprese alla resa dei conti, ma anche, e più, per
non trovarvi in ambienti indegni di voi. È questa
una precauzione da prendere soprattutto nelle
grandi città, ove certi alberghi non sono adatti
per le persone per bene.
Ad ogni modo, anche se arrivate a un albergo
precedentemente scelto, non trascurate d'informarvi
di nuovo delle condizioni; non si è mai
troppo chiari a tal proposito.
Nella vita d'albergo, sappiate fare il vostro comodo
senza disturbare i vicini. C'è chi, appena
giunto, mette a dura prova la pazienza di tutto
il personale con le sue esigenze, e chi, per timore
di recar disturbo, fa a meno delle cose più
necessarie. Una persona normale e pratica sa provvedersi
tutti i suoi comodi senza dar noia al prossimo,
e sa rinunziare alle esigenze; sa, in particolar
modo, rispettare i diritti altrui: non urla, non
grida, non canta in ore indebite; rientrando a
ora tarda, cerca di far il minimo rumore possibile,
evita di trafficare in camera quando i vicini
dormono; si comporta insomma con quel tatto e
con quella delicatezza necessari quando si vive
sotto uno stesso tetto con altre persone.
Chi è in albergo, specialmente se di passaggio,
ha il diritto di comportarsi come se non ci fosse
nessuno intorno a lui. Non ha obbligo di saluto
neppure con quelli che incontra più frequentemente.
Una parola detta in sala di lettura, per
chiedere un giornale o una rivista, o a table d'hôte
per chiedere il sale o una salsa, non porta con
sè nessun obbligo di cortesie reciproche. Tutt'al
più, incontrando nei corridoi una persona già vista
altre volte, si farà atto di dovere abbassando
leggermente la testa in segno di saluto, o sollevando
il cappello. Ciò non toglie che non si possa,
quando si voglia, avviare una di quelle conversazioni,
che lasciano il tempo che trovano e servono
a far passare un quarto d'ora d'attesa. Ma
si anderà molto adagio con queste conoscenze effimere
con persone ignote che possono esser ben
diverse da quello che sembrano; e soprattutto si
eviterà ogni intimità, non si accetteranno inviti,
non si faranno promesse di futuri legami. In generale
le amicizie contratte all'albergo non hanno
seguito, ed è inutile far promesse che si è convinti
di non mantenere.
Chi sta in albergo deve adattarsi alla vita comune
e non pretendere attenzioni speciali, cui
creda aver diritto per il suo titolo o per la sua
posizione. Tutti sono uguali dinanzi all'albergatore,
il quale, se mai, favorirà di più coloro che
si mostrano più gentili e meno esigenti. Se lo
tengano per detto tutti quelli che credono d'imporsi
con l'albagia e con le maniere arroganti.
È un buon uso saldare i propri conti settimanalmente,
e anche più spesso. Si evitano così molte
contestazioni e molti errori, che è quasi impossibile
mettere in chiaro, quando il conto risale a
quindici giorni o un mese. Ad ogni modo, quando
si abbiano reclami da fare, sarà bene farli con
cortesia: così, oltre a dar prova di buona educazione,
si raggiungerà più facilmente lo scopo.
Lasciando l'albergo, si prenderà congedo soltanto
da quelle persone con le quali si è fatto
conoscenza, approfittando del momento in cui le
incontriamo: per esempio a tavola o in sala di
lettura. Non usa recarsi a salutare negli appartamenti
altrui. Venendo a mancare l'occasione, si
lascerà al bureau un biglietto da visita.
Ai bagni.
Nelle stagioni balneari estive, sul mare o sui
laghi, è concessa a tutti una maggior libertà. Così
dicono e così, in conseguenza, si comportano molte
signore, le quali, quando sono al mare, si permettono
un contegno che si guarderebbero bene dal
tenere a cose normali.
Non dico che in tutto ciò non ci sia qualche
cosa di vero. Al mare, oltre che per salute, si
va anche per divertirsi e per ricrearsi; e la vita
all'aria aperta, l'animazione della spiaggia e tante
altre circostanze non possono non influire sul tenor
di vita di qualunque persona; e chi, recandosi
al mare, menasse un'esistenza ritirata e monotona,
sarebbe ridicolo. Ma ci sono dei limiti
che l'onestà e la decenza non permettono d'oltrepassare;
e la signora o signorina che si crede
lecito, perchè è al mare, di civettare con questo
e con quello, di far bella la spiaggia con le
sue risate e coi suoi motti arguti, di mostrarsi
alla passeggiata in vesti eccentriche o immodeste,
non può che attirarsi le critiche delle persone
ammodo. Sappia dunque esser allegra e vivace
6
senza esagerazione, socevole senza ostentazione,
elegante senza cadere nel ridicolo.
Una signora per bene adotta un costume da
bagno che, senz'essere inelegante, salvi la decenza
e non richiami troppo su di sè gli sguardi
degli uomini; e quando lo ha indosso, si ricorda
che è un costume da bagno, cioè destinato a star
nell'acqua; quindi non si mette a girare sulla
spiaggia, nè a far conversazione, come se fosse
vestita di tutto punto. Finchè non entra nell'acqua,
farà molto bene a non togliersi l'accappatoio.
Quando è nell'acqua, evita il contatto e la compagnia
degli uomini: non scherza con essi, non
giuoca, non si fa insegnare a nuotare; non si allontana
a nuoto con un uomo solo, nè accetta da
esso inviti in barca o in patino. Se non vuole star
sola, trova facilmente compagnia tra le persone
del suo sesso. Uscendo dal bagno, evita ancor
più di trattenersi sulla spiaggia, perchè il costume
bagnato disegna con troppa evidenza le forme del
corpo. Non esce dal camerino se non vestita di
tutto punto.
Il contegno d'un uomo deve esser sempre prudente
e corretto. Egli deve evitare con le signore
ogni familiarità ed ogni arditezza. Purtroppo, la
spiaggia di mare, oltre che delle persone dabbene,
è il convegno di gente d'ogni sorta e soprattutto
di signore e signorine di dubbia o di cattiva fama;
e non sempre, sotto il costume da bagno che
tutto livella, è possibile distinguere le une dalle
altre. D'altronde, in un luogo pubblico, io non
saprei, non dico approvare, ma neppure compatire
un uomo che si permettesse un contegno
scorretto con una donna, di qualunque genere essa
sia; e ciò per ragioni di convenienza e di decoro
così ovvie, che non c'è bisogno di enumerarle.
Il vero gentiluomo saprà dunque controllare ogni
suo atto in presenza di qualunque donna; eviterà
gl'inviti, i colloqui a due, le confidenze, gli scherzi.
Se, dall'alto dello stabilimento, assiste al bagno
altrui, eviterà i commenti, le critiche, le lodi. Ci
possono sempre essere, fra coloro che lo ascoltano,
amici, parenti, genitori della persona della quale
egli parla; e uno scandalo fa presto a nascere.
Durante la stagione balneare, sono frequenti i
balli, i thè danzanti, le serate di beneficenza. Ci
si regolerà per essi secondo quelle norme che
abbiamo già date per i balli in genere; ma una
madre di famiglia accorta si ricorderà che tutti
quegl'inconvenienti a cui accennammo crescono
a mille doppi quando, come nel caso presente, a
simili ritrovi prende parte una società cosmopolita,
frivola e non di rado equivoca. Io la consiglio
perciò a pensarci non una ma dieci volte,
prima di condurre le proprie figlie a un ballo in
uno stabilimento balneare o in un così detto Kursaal;
e se non ne farà di nulla, tanto meglio.
In campagna e in montagna.
Anche in campagna e in montagna, come al
mare, i legami dell'etichetta si allentano; anzi,
per chi vive in villa, lontano dai centri abitati,
la libertà è anche maggiore. Chi va per la prima
volta in una campagna, non ha obbligo di visita
coi villeggianti vicini e può astenersi dal far la
loro conoscenza. Ma, in pratica, è difficile, durante
un soggiorno di qualche mese, che non capiti
l'occasione d'incontrarli; e allora un saluto
cortese è doveroso in ogni persona ammodo.
Se si soggiorna in una stazione climatica, di
mezza o d'alta montagna, tornano di nuovo in
campo tutti gl'inconvenienti lamentati per le stazioni
balneari. Anche lì la società è composta di
persone d'ogni genere, buone o cattive, bene educate
o maleducate; anche lì bisogna perciò sapersi
comportare con tatto e con prudenza. Se
si vive in albergo, come accade più frequentemente,
ci si atterrà alle norme già date, osservando
però che, trattandosi d'un soggiorno in generale
assai lungo e in luoghi dove la vita in
comune si impone, non sarà possibile rimanere
in disparte a far vita a sè: non sarà possibile,
e non è nemmeno consigliabile. Perciò, si dovranno
fare delle conoscenze, imbastire delle amicizie:
e tutta l'abilità consisterà allora nel sapere
scegliere, fra le persone e le famiglie con le quali
ci troviamo a contatto, quelle che per contegno,
per finezza, per signorilità di maniere ci sembrano
più vicine a quell'ideale che vagheggiamo.
Una persona di buon senso raramente si ingannerà
nella scelta; del resto, saprà procedere con
cautela, ed evitare una soverchia familiarità nei
primi tempi d'una nuova amicizia. Fatta così la
scelta, si formeranno in un albergo vari gruppi,
a formar ciascuno dei quali avranno concorso la
uniformità di vedute e di tendenze: e con un
po' di tatto, tutto procederà regolarmente.
Screzi, dispettucci, pettegolezzi non mancano
mai in un albergo; ma una persona ammodo saprà
sempre cavarsene con onore. Eviterà essa
stessa di essere causa di simili inconvenienti, sapendo
esser prudente, tacere a tempo, e soprattutto
non occupandosi dei fatti altrui; coinvolta
suo malgrado in qualche fatto spiacevole, o testimone
involontario, troverà sempre il mezzo mostrando
moderazione e sapendo a tempo perdonare
e compatire, di accomodare le cose. E se darà
prova col suo contegno d'essere un vero gentiluomo,
una persona fine e ben educata, disarmerà
anche i più violenti e ignoranti.
In un albergo di montagna si organizzano sempre
delle gite. Gli organizzatori sono spesso delle
persone mal pratiche, che, credendo di darsi importanza,
non fanno che commettere degli errori;
e spesso la gita riesce male, e lascia malcontenti
o inquieti coloro che vi presero parte. Chi dunque
si fa promotore di un'escursione, deve essere
in grado di far buona figura e di accontentar
tutti: si preoccuperà perciò d'ogni particolare, anche
minimo, misurerà - se si tratta di un'ascensione
faticosa o difficile - le forze di ciascuno,
sapendo, quando bisogni, escluder con parole cortesi
ma ferme coloro che non giudica capaci di
reggere alla fatica; esigerà puntualità e disciplina.
Se, come quasi sempre accade, ci saranno
spese da sostenere, stabilirà in precedenza la
quota individuale, tenendo conto delle possibili
evenienze; e la stabilirà in modo che non abbia
poi a subire modificazioni in più. Nelle questioni
di denaro bisogna procedere con gran delicatezza,
e mai giudicare dalla capacità della propria
borsa. Per molte persone, la spesa è la cosa
più importante; e spesso una modificazione di
preventivo reca loro grave danno: bisogna dunque
essere esatti su questo punto.
Chi è invitato a prender parte a una gita deve,
da parte sua, tener ben conto della propria capacità
e resistenza, e accettare soltanto se crede
di potervi partecipare con onore. Il passeggero
che si stanca facilmente, che si sofferma ogni poco
o, peggio ancora, si ferma definitivamente a un
certo punto dichiarando che non vuole o non può
andare più innanzi, non solo si rende antipatico
a tutti, ma compromette gravemente l'esito della
gita; se è una signora, costringe qualche compagno
a rinunziare alla mèta stabilita, sacrificandosi
per lei.
Durante la gita, tutti debbono deferenza e obbedienza
a colui, che ne è il capo. Non è educazione,
quando si è in molti, voler fare di propria
testa, allontanarsi dal nucleo della comitiva,
cambiare itinerario. Se qualche cosa non va, se
qualche inconveniente si verifica, ci si asterrà da
lamenti e da critiche; si cercherà invece di volger
tutto in ischerzo e di ricondurre il bonumore
nei gitanti.
Chi è di difficile contentatura, chi non sa rinunziare
ai propri comodi, chi non vuol sottostare
alla disciplina, farà bene a non prender parte
alle gite in comitiva.
Il giuoco.
Non abbiamo intenzione di parlare di quel
giuoco che si potrebbe chiamare legalmente organizzato
e che si fa nei così detti Casini, nei
grandi alberghi, nei Circoli, nelle case di dubbia
fama. Quando si è detto che è una vergogna
che lo Stato lo tolleri, e che un uomo onesto non
deve mai prendervi parte neppure come spettatore,
si è detto tutto. Diremo invece due parole
del giuoco che si fa così alla buona, fra amici o
fra conoscenti.
Non di rado, specialmente in campagna, qualche
famiglia si riunisce in una casa o in una villa
amica; e lì, mentre i ragazzi giuocano e le signore
parlano fra loro, gli uomini si divertono
al biliardo, o seduti a un tavolino con un mazzo
di carte. Si tratta per lo più di giuochi innocenti,
che hanno soltanto lo scopo di procurare un po' di
svago e di far passare piacevolmente un'ora. Qualche
volta a questi giuochi, specialmente se richiedono
molte persone, partecipano anche le signore.
Non ricordo più chi ha detto che l'uomo educato
si rivela durante il giuoco. Ma, chiunque esso
sia, ha detto una gran verità. Chi è poco educato,
e perciò non trova nell'educazione forza bastante
per controllare e frenare i propri impulsi, raramente
sa comportarsi bene nel giuoco: se vince,
mostra una gioia smodata e rumorosa; se perde,
si fa cupo, irascibile e non di rado pronunzia parole
o frasi poco corrette.
La persona dabbene, il vero gentiluomo, giuoca
con serenità e con calma, e non mostra mai di
dar troppa importanza al giuoco che fa. Se perde,
non si lamenta e non mette su muso, neppure se
altri è causa, coi suoi errori, della sua perdita:
evita i rimproveri, le parole scortesi. In caso di
contestazione, non si ostina e cede anche se crede
di aver ragione: per nessun motivo al mondo suscita
liti o questioni.
Non importa dire che nel giuoco bisogna sempre
comportarsi con estrema correttezza. Anche
quando non si giuoca di denaro, anche quando
si abbia voglia di scherzare, non ci si permetterà
mai di alterare la partita, di scambiare una carta
o di modificare un tiro. In queste cose lo scherzo
non è permesso; e ogni galantuomo si fa, di
chi si lasci andare a simili indelicatezze, un cattivo
concetto.
Se si volesse far bene, non si dovrebbe mai
giocar di denaro; poichè una persona ammodo
giuoca per divertirsi e non per guadagnare. Tutt'al
più, la posta dovrebbe esser di pochi centesimi,
tanto per crescere l'interesse della partita.
Ad ogni modo ci si ricordi quello che si è detto
a proposito delle gite: non si mettano gli ospiti
o gli amici nel caso di far delle perdite dolorose.
In casa propria, non si permetterà mai che si giuochi
di somme forti; e appena si vedrà che il giuoco,
cominciato per ischerzo, finisce col diventar serio
(ciò che purtroppo avviene assai spesso), si
sarà pronti a metterci un freno. Così facendo,
non solo impediremo una cosa disonesta in sè, ma
toglieremo non di rado dall'imbarazzo qualche
amico o conoscente il quale, per timidezza o per
un malinteso senso di dignità, non abbia saputo
dir di no a chi gli proponeva di raddoppiare o
triplicare le poste, mettendo così in grave pericolo
la sua borsa poco fornita.
Per quel che riguarda i cosiddetti giuochi di
società, si sappia giocarli con ritegno e con prudenza.
Alcuni di questi giuochi sono fatti a base
di domande e di risposte, di giudizi, di considerazioni.
La persona bene educata, pur sapendo
scherzare, si mantiene sulle generali ed evita le
personalità; si astiene da critiche troppo ardite,
soprattutto verso coloro che son conosciuti come
permalosi ed ombrosi, risparmia le signore giovani
e le signorine; non prende mai occasione
per far dello spirito da infermità o difetti fisici.
In quei giuochi che richiedono contatti confidenziali
(meglio sarebbe evitarli), sa comportarsi da
gentiluomo senza insistere e senza trasmodare.
In tal modo, i giuochi si mantengono innocenti
e divertono; ma se vi prendono parte persone
poco fini, si cambiano facilmente in sollazzi poco
decorosi e non di rado danno origine a spiacevoli
incidenti.
Alle signore e signorine non sapremmo mai
troppo raccomandare un contegno riservato. Molto
spesso le confidenze d'atti e di parole, che altri
si prende con loro durante il giuoco, sono o sembrano
giustificate dalla sventatezza di cui esse
danno prova. Una signorina deve sempre ricordarsi
che molti uomini, in apparenza bene educati,
non lo sono che superficialmente, e che il
chiasso, l'allegria, la presenza di persone giovani
e vivaci tolgono loro molto spesso la vernice
esterna e rivelano quello che si nasconde sotto
di essa: che non è sempre una bella cosa. Sia
dunque prudente, e sappia all'occasione gastigare
con una parola severa l'intraprendenza maschile.
Con gli stranieri.
Se questo libro non fosse destinato ad Italiani,
io avrei qui un monte di cose da dire, sul rispetto,
sulla cortesia, sulla gentilezza della quale
si deve far mostra con gli stranieri. E mi sarebbe
facile dimostrare che lo straniero è, in certo
qual modo, un ospite del nostro paese, e che a
lui si debbono tutti quei riguardi che l'ospitalità
esige.
Ma purtroppo tutte queste parole sono inutili;
perchè fra i più grandi difetti nostri c'è quello
di usare verso gli stranieri una deferenza così
spinta, da arrivare perfino a mettere in mostra i
nostri torti, la nostra deficienza, per trovar modo
di esaltare i pregi, le grandezze di un'altra nazione.
In questo, gli stranieri ci possono insegnare.
Non sarà facile trovare un Inglese, un Francese,
un Tedesco che in Italia o in casa sua dica male
del suo paese o dei suoi connazionali: ne troveremo
invece di quelli che li difenderanno accanitamente
anche quando il torto o il difetto sono
palesi. Esagerazione più che perdonabile; anzi,
direi quasi, degna d'encomio.
Invece, a uno straniero che loda il cielo d'Italia,
un Italiano si sente purtroppo in dovere di
rispondere che non bisogna credere che nel nostro
paese faccia sempre bel tempo, e che Firenze
e Milano hanno caldi torridi e freddi glaciali. A
chi gli loderà l'arte italiana, l'Italiano risponderà
che l'arte gotica è più severa e più bella, a chi
dirà che Dante è il primo poeta del mondo, risponderà
che Shakespeare e Goethe gli stanno
alla pari; a chi si rallegrerà con l'Italia perchè
è immune o quasi dalla piaga dell'alcoolismo,
replicherà che però tiene il primato dei delitti
passionali.
Si potrebbe continuare a citare all'infinito. E
il peggio è che lo straniero, che vede l'Italiano
così ben disposto a dir male di sè stesso, ne approfitta
non di rado oltre il limite del giusto e
del ragionevole, e diviene scortese e sgarbato.
Io dunque raccomando ai miei lettori e alle
lettrici di far prova, sempre e dappertutto, di un
decoroso orgoglio nazionale, il quale, senza essere
eccessivo, sappia mostrarsi pari alla grandezza e
alla gloria del nostro paese. L'esagerazione di
questo sia pur nobile sentimento sarà senza dubbio
riprovevole; ma oserei dire che, se esagerazione
ci deve essere, sarà sempre meglio che sia
per eccesso che per difetto.
Come regola generale, non dite mai male del
vostro paese e non permettete che altri ne dica
male alla vostra presenza. Siate gelosi del buon
nome della patria vostra, come un figlio della
buona fama dei suoi genitori, e siate sempre pronti
a rintuzzare, con parole civili ma ferme, l'audacia
di chi commetta la grave mancanza d'offenderla.
Purtroppo l'Italia di molti decenni fa era
così piena di difetti, così povera, così miserabile,
e gl'Italiani d'allora così avvezzi a servire e a
fare la volontà altrui, che il primo straccione
che passava le Alpi poteva permettersi impunemente
i giudizi più audaci; ma oggi, se Dio
vuole, non è più così, e la rinnovata coscienza
nazionale dà il diritto e il dovere di esigere il
rispetto e l'ammirazione d'ogni straniero.
Si obietterà che anche l'Italia ha i suoi difetti.
Senza dubbio; ma non tocca agl'Italiani,
suoi figli, a metterli in evidenza. I panni sudici,
dice un proverbio, si lavano in casa; e tutte le
volte che si può nascondere una cosa brutta o
indecorosa, si deve farlo.
Spesso mi è capitato di trovarmi insieme con
stranieri i quali, non si sono fatti uno scrupolo
di far critiche poco benevole verso il nostro paese.
Il contegno da tenere in simili casi è di replicare
brevemente, facendo intendere che in presenza
nostra simili apprezzamenti non sono permessi,
e soggiungendo che anche gli altri paesi hanno
i loro difetti: se non gli stessi che abbiamo noi,
altri non meno gravi. Lo straniero che ha osato
permettersi una simile indelicatezza, generalmente
se lo tiene per detto, e non tocca più l'increscioso
argomento; se seguitasse, non c'è che piantarlo
lì, e andare per i fatti nostri.
Ogni buon Italiano deve sperare e affrettare col
desiderio e con l'azione che venga il momento che
l'Italia divenga la prima nazione del mondo, ed
avere un giusto orgoglio di quello che intanto produce
e fa. Siamo già sulla buona via, ma bisogna
percorrerla sino in fondo. Mettiamo dunque da parte
ogni sciocca idolatria per ciò che ci viene dall'
estero. Fino a qualche anno fa, nessuna cosa in
Italia aveva valore se non portava la marca estera:
colpa in parte della deficienza della nostra produzione,
ma anche della manìa che aveva invaso
gl'Italiani: oggi, quel che si fa da noi è in gran
parte ben fatto: libri, utensili, macchine, stoffe
posson rivaleggiare con quelle delle altre nazioni
d'Europa. Dobbiamo esser noi i primi a incoraggiare
la nostra industria, dando la preferenza ai
nostri prodotti, anche se, per le condizioni speciali
d'un dato momento, il far questo c'imponga
qualche sacrifizio. È l'unico mezzo per mostrarci
buoni Italiani.