Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbondanti

Numero di risultati: 57 in 2 pagine

  • Pagina 1 di 2

La fatica

169760
Mosso, Angelo 1 occorrenze
  • 1892
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Alcuni tendono dinanzi gli appunti ma non se ne servono, altri invece non possono dire due periodi di seguito senza darvi un'occhiata; alcuni fanno dei sunti brevissimi, altri li fanno così abbondanti che c'è quasi tutta la lezione scritta, e da una mano gestiscono e con l'indice dell'altra seguono le linee del loro quaderno per non ismarrirsi. Sono i professori novelli che qualche volta imparano a memoria tutta una lezione, o quelli che fanno scuola en grande toilette come mi diceva un collega di Parigi, raccontandomi di un professore che ripeteva le lezioni davanti allo specchio. Chi recita la lezione a memoria si tradisce facilmente, perché ha la voce monotona, il gesto freddo e l'occhio senza espressione. Mentre parlano questi professori si capisce subito che sono fuori dell'ambiente. che essi temono di distrarsi, che non stanno in contatto coll'uditorio. Fatte rarissime eccezioni, il modo di porgere di chi recita è ineguale e il discorso corre precipitosamente e senza colorito. Generalmente sono professori giovani che hanno poco talento oratorio, e nessuna pratica della scuola, quelli i quali devono aiutarsi con delle cifre, dei nomi e degli appunti che scrivono sulla tavola nera, e che spesso si volgono indietro a guardare, e vi si fissano sopra per dei minuti colla schiena rivolta al pubblico, tanto è grande la paura di abbandonare il filo che dovrà condurli fuori del labirinto. Ho sentito raccontare di professori celebri che sul principio della loro carriera avevano tale paura di dimenticare un numero, una formola, una data od un nome, che se lo scrivevano sulle unghie o sui polsini prima di entrare nella scuola. Poi non se ne servivano, ma ciò loro bastava per prendere coraggio. In generale i professori giovani sono tormentati dalla paura che nel far lezione manchi loro la materia su cui sono preparati, prima che sia finita l'ora. Solo il lungo esercizio dà il senso dell'ora, e la misura esatta di quanto può venir spiegato per compiere una lezione; i vecchi professori non hanno bisogno di guardare l' orologio per sapere quando è giunto il momento di finire il loro discorso.

Pagina 270

Come devo comportarmi?

172800
Anna Vertua Gentile 1 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

La padrona di casa deve provvedere a ciò, che non manchino lenze, ami e reti necessari, e che le vivande per la colazione sieno abbondanti e gustose. Qualche volta anche, specialmente nei laghi, si pesca alla fiocina, di notte, con un lume a prua della barca: il lume illumina i pesci, i quali sono presi dalla fiocina o tridente. Questa pesca di notte è oltre ogni dire divertente. Quel trovarsi in alto lago, allo scuro, in mezzo al silenzio, e far bottino di pesci in piena poesia di scintillio di stelle e scroscio di onde, è cosa quasi commovente.

Pagina 357

Il successo nella vita. Galateo moderno.

174451
Brelich dall'Asta, Mario 5 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Ma non sono forse i bei lineamenti, le forme scultorie del corpo, gli occhi limpidi, la pelle delicata, i capelli abbondanti ed i denti simili a perle, i doni di natura una benefica fata, che, mentre con alcuni si dimostra generosa anzi munificente, con altri si dimostra matrigna? E non è dunque la bellezza un puro caso e conseguentemente non è inutile parlare della cura d'un pregio, da alcuni diggià posseduto e che gli altri invano s'affaticherebbero di conquistare? - No, assolutamente no! E' bensì indiscutibile che tanto le qualità morali ed intellettuali dell'uomo, che quelle fisiche, dipendono in prima linea dalla sua disposizione naturale. Ma anche le condizioni di vita e gli effetti esterni esercitano sull'organismo una rilevantissima influenza, sicchè ogni persona è in un certo grado il prodotto del suo ambiente. Mentre però le attitudini ereditarie sono assolutamente immutabili, il corpo, mediante una corrispondente sistemazione delle influenze esterne e delle condizioni ambientali, può subire mutamenti e modificazioni. Naturalmente una persona brutta non potrà trasformarsi mai, nonostante la più diligente cura del suo corpo, in un miracolo di bellezza, però in ogni caso anche una persona, verso cui madre natura si sia dimostrata matrigna, potrà con una costante e metodica cura del proprio corpo guadagnare esteticamente almeno tanto, quanto una persona, dotata dei maggiori vantaggi, può trascurandosi, perdere. Una gran parte della bellezza, con cui c'incontriamo nella vita di società, altro non è dunque che la benefica conseguenza della cura del corpo. Però noi dobbiamo voler essere belli, non soltanto per gli altri, ma anche per sè stessi. Questa volontà non è assolutamente una vanità sprezzabile derivando essa da quel senso estetico, comune più o meno a tutti gli uomini, che rende sensibile la nostra anima non soltanto per la bellezza che influisce su noi dal di fuori, ma anche per la nostra propria bellezza. Potendoci presentare al nostro prossimo con un esteriore piacente ed attraente, il vantaggio della nostra bellezza consiste principalmente nell'influenza che essa esercita sul sentimento nostro di sicurezza di noi stessi. Una persona bella si muove, agisce, si presenta dappertutto con una certa coscienza del proprio valore, con una sicurezza di trionfo, che lo aiuta poi a trionfare veramente. Ed ancora una circostanza molto importante parla in favore della necessità di curare la nostra bellezza! Come abbiamo già constatato, nei moderni sistemi di cura della bellezza si tratta d'un effettivo influenzamento del corpo, e non, come in passato, dell'ingannevole produzione di apparenze false mediante l'uso di mezzi artificiali, in parte anche dannosi alla salute. Se anche l'odierna cura della bellezza non esclude del tutto un moderato e ragionevole uso di mezzi artificiali assolutamente innocui, pure essa tende anzitutto ad un trattamento di tutto il corpo. Essa è dunque una cura attiva, in contrapposto all'abbellimento passivo di prima. Il corpo deve esprimere la sua forza in base alle sue proprietà naturali, riducendo queste a quella bellezza sana, che non è il risultato del suo trattamento esterno, bensì una conseguenza del suo fortunato sviluppo. Con ciò la cura della bellezza si unifica con la tanto indispensabile cura della salute! Soltanto una persona sana è produttiva, soltanto in un corpo sano può abitare un anima sana e soltanto un organismo resistente si conserva a lungo elastico ed atto al lavoro. Ed appunto il tempo in cui viviamo, con le sue esigenze professionali che fanno dell'uomo una macchina, posta a duro cimento, richiede una sistematica e regolare cura del corpo. Molte persone, specialmente uomini, si sottraggono a questa cura, dicendo di non aver tempo. E' vero che apparentemente la moderna cura del corpo e coltura della bellezza esigono un grande spreco di tempo. In realtà però ciò non è il caso. Almeno nella misura in cui la cura del corpo e della bellezza si rende necessaria ed opportuna a tutte le persone, essa abbisogna di poco tempo. A ciò va aggiunto che ogni energia che il corpo ben curato immagazzina in più, non solo è in grado di far riguadagnare il tempo perduto, ma di aumentarlo anche con una produzione quantitativamente e qualitativamente migliore. Chi non lo crede, lo provi una volta soltanto! Se anche il lavoro si fosse raccolto sul nostro tavolo raggiungendo l'altezza d'un monte, - lasciamolo giacere sul tavolo senza scrupoli e dedichiamo un po' di tempo al nostro corpo; rinfrescati e rinvigoriti noi ci riporremo poi con aumentata energia al lavoro, che riusciremo a superare in un tempo sorprendentemente breve. Non si deve credere che quelle persone che giorno per giorno, non escluse nemmeno le domeniche e i giorni di festa, stanno chinati sino a tarda notte sul loro lavoro, possano vantare sempre una produzione massima. Il più delle volte, presso tali persone si tratta piuttosto d'una specie di nervosità, della paura di non essere pronti, ed infine d'una certa ignavia e consuetudine, che le tengono legate al loro tavolino o nel loro studio. Se si osserva più a fondo il risultato di questa diligenza esagerata e sbagliata, ci si meraviglierà di vederlo in realtà molto scarso. Molti professionisti moderni, che del resto s'intendono meravigliosamente di organizzare grandiose industrie, non sono in grado di dare al proprio corpo un trattamento economico. Spesse volte si priva il corpo delle cure necessarie per conseguire un momentaneo aumento di produzione, anzichè, sacrificando un po' di tempo e di fatica alla cura del corpo, aumentare costantemente la capacità di produzione ed in tal modo conseguire un più di produzione veramente prezioso. La cura della bellezza è dunque non soltanto cura della salute, ma in pari tempo anche un allenamento al lavoro! Necessaria è una cosa soltanto: la volontà! Questa si deve fortificarla, e allora tutto il resto va da sè; allora anche l'uomo più occupato troverà il tempo necessario e ciò che originalmente gli costava uno sforzo, gli diventerà una necessità. Del resto una buona parte della cura del corpo consiste in certe regole che dobbiamo seguire e che non vanno congiunte ad alcuna perdita di tempo: regole che ci indicano un quotidiano sistema di vita, ragionevole e sano. Di queste regole vogliamo occuparci in prima linea.

Pagina 216

Si trovano abbondanti anche nel pane di puro frumento e nelle patate, mentre invece si trovano appena, molto scarsi, negli asparagi e nei cavolfiori. Nelle lenticchie e nell'uva orsina mancano quasi del tutto. Viveri contenenti, rispettivamente producenti acidi nel senso di Ragnar Berg, sono la carne, il pesce e le nova. Se vogliamo mantenerci stabilmente sani, dobbiamo stabilmente consumare una maggiore quantità di alimenti che contengono sali basici e per non eliminare poi questi sali dai cibi e non distruggerli, bisogna cuocere i legumi nel proprio sugo non troppo a lungo e non su fuoco troppo caldo, in modo ancora da conservar loro in gran parte il sapore e la fragranza naturale. La preparazione industriale degli alimenti è spesso dannosa dal punto di vista igienico, inquantochè mediante la fabbricazione vengono allontanate dagli alimenti stessi parti preziose per la nutrizione, come ciò è il caso nella farina macinata molto finemente e nel riso brillato.Il ritorno alla farina più oscura, ruvida, ma più ricca di contenuto ed al pane nero od a quello di frumento granelloso, sarebbe quindi importante e molto raccomandabile. Tutti questi riconoscimenti, che a ragione tendono a rendere di nuovo l'alimentazione più naturale e più sopportabile, condussero nelle loro forme più acute alla cosidetta cucina cruda. I seguaci della cucina cruda, partendo dall'idea che l'energia del sole immagazzinata nelle piante, passa in questo modo nell'uomo, rispettivamente diventa energia umana, si nutrono principalmente di frutta e legumi crudi. Senza dilungarci in particolari, rammentiamo soltanto che la cosidetta cucina cruda è un sistema di nutrizione unilaterale, che, applicato ragionevolmente, può condurre allo scopo che si prefigge, però dovrebbe essere sempre accompagnato da un controllo medico. Sebbene anche la cucina cruda si astenga dal consumo di tarianismo, il quale ripudia bensì ogni sorta di carne ed anzi, nelle sue forme estreme, anche altri prodotti animali (uova, latte, formaggio), nondimeno si permette il consumo di frutta e legumi cotti. Il vegetarianismo è molte volte conseguenza di particolari concezioni del mondo e della vita, come lo è in misura speciale nel caso della dottrina indiana del Mazdaznan, la quale vuol far conseguire agli uomini la redenzione per mezzo della spiritualizzazzione e ripudia ugualmente il consumo di carne. Sebbene basati esclusivamente su principi etici, i precetti della dottrina del Mazdaznan hanno molta somiglianza con le nostre moderne vedute sulla assimilazione corrispondente alle norme igieniche. Prescindendo dalla parte qualitativa della nostra nutrizione, dobbiamo prendere in considerazione anche i suoi rapporti quantitativi. La maggior parte degli uomini mangiano troppo. La conseguenza di ciò è che essi non sono più capaci di sentire un sano appetito. Questo viene piuttosto costantemente eccitato o stuzzicato mediante cibi fortemente drogati e salati, ghiottonerie e cibi piccanti e pesanti, sicchè il palato non è più assolutamente capace di reagire a nutrimenti semplici. Anche in questo riguardo molto si può migliorare con una nutrizione naturale e non eccitante. Soltanto coloro il cui appetito viene stimolato già dalla vista di un pezzo di pane asciutto, sono in questo riguardo perfettamente sani. Compendiamo ora queste nostre considerazioni nella seguente domanda:

Pagina 224

Chi si nutre in tal modo o in modo simile, conserverà a lungo un eccellente aspetto, un colorito fresco, occhi espressivi, abbondanti capelli, buoni denti, umore vivace e fresco. Una nutrizione sbagliata cagiona umore tetro, irritabilità, occhi stanchi, pelle floscia e denti cattivi.

Pagina 228

Essi consistono anzitutto in una modificazione della nutrizione, indirizzandola ad un consumo più abbondante di cibi, che in pari tempo siano anche più ricchi di calorie, dunque: molto grasso, molto latte, cioccolata, carne grassa, spessi ed abbondanti pasti. Si devono evitare le fatiche, sia fisiche che intellettuali, e si dedichi abbastanza tempo anche alla dormitina del dopopranzo; non starebbe bene però di tralasciare del tutto la ginnastica. Moderati esercizi del corpo sono utili e consigliabili dunque anche durante a cura d'ingrassamento, per conservare l'agilità, la salute e il buon umore.

Pagina 229

Si provi una volta di mettere a disposizione abbondanti mezzi ad una persona che sinora non si è mai troppo curata del suo vestire. Certo che essa si acquisterà i migliori vestiti, fatti all'ultima moda e cionondimento può accadere facilmente ch'egli appaia ridicolo ed impossibile. Perchè non si tratta già di acquistare con molta spesa un vestito elegantissimo, una cravatta perfetta, biancheria e calzature carissime, ed un cappello all'ultima moda. La nostra apparenza perfetta dipende principalmente dal « come » ci vestiamo, ossia come sappiamo comporre gli effetti acquistati in un tutto armonioso, sappiamo portare i vestiti comprati, come vi sappiamo in essi comportare.

Pagina 70

Per essere felici

179635
Maria Rina Pierazzi 2 occorrenze
  • 1922
  • Linicio Cappelli - Editore
  • Rocca San Casciano - Torino
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Dote principale di quest'abito deve essere la semplicità; più è semplice, più è signorile; i ricami, le cianciafruscole, le guernizioni abbondanti, dànno un'aria bottegaia che urta; e più di tutto la fidanzata deve portare, come unico gioiello. l'anello ricevuto dallo sposo. Quell'anello è la promessa, è il legame, è la vita di domani; è il segno tangibile che una donna non si appartiene più. Deve imperare solo, sulla persona della prescelta, come il suo stesso destino. Se la sposa appartiene a famiglia altolocata, naturalmente il pranzo, pur mantenendosi fra i limiti della più affettuosa cordialità. potrà avere una speciale impronta di eleganza. I parenti e gli amici vestiranno, la "redingote„ le signore saranno in abito da sera, scollato e in colori chiari. Ciascuno si sarà fatto precedere da un mazzo di fiori per la fidanzata. Se dopo s'improvviseranno quattro salti, nessuno dei convitati inviterà la signorina a ballare; ella potrà astenersene se il fidanzato non balla, o danzerà solamente con lui. Ho detto "quattro salti„ perchè con la mania del "fox trott„ imperversante ai nostri giorni è difficile che trovandosi riunite anche poche persone non cedano alla tentazione dello sgambetto. Ma, in realtà, i ricevimenti per fidanzamenti dovrebbero essere improntati a un carattere di simpatica ma non spensierata allegria, perchè, volere o no, il passo compiuto è sempre grave e deve suscitare nell'animo qualchecosa di più serio che non il solletico del ballo. Regola di perfetta cortesia è questa: non alludere mai, nè da parte dei parenti nè da parte degli invitati, alla posizione finanziaria degli sposi. È assolutamente borghese e di cattivo gusto sentir dire da un padre e da una madre: — Si... veramente, mia figlia fa un buon matrimonio. Lui ha una bella posizione... una fortuna considerevole. Oppure gli invitati, fra di loro: — Quanto le danno di dote? Quanto spenderanno nell'alloggio?... Quanto costerà il corredo? E così via, spinti da una curiosità riprovevole e poco fina — tantopiù che certi particolari non devono avere l'onore della pubblicità. È vero che tanti matrimoni sono fatti per accomodare gli interessi da una parte e dall'altra, ma non è meno vero che questo non deve interessare le persone estranee e molto meno deve diventare oggetto di discorsi e di commenti inutili ed indelicati. Nei tempi passati le regole del fidanzamento non permettevano che i due giovani si dessero del "tu„ sino a pochi giorni prima del matrimonio, e non era loro concesso parlare da solo a sola, avendo sempre a le spalle qualche guardiano. Ora, invece, si lascia ai giovani molta più libertà considerando giustamente che prima di unirsi per tutta la vita con un vincolo inscioglibile, devono conoscere il loro reciproco carattere ed affezionarsi profondamente per vivere una vita di concordia e di pace. Di più un giovane onesto e ben nato non mancherebbe di sentirsi offeso trovandosi continuamente uno sbirro alle costole, nella stessa casa della sua fidanzata; sarebbe por lui una grave prova di sfiducia capace soltanto d'irritarlo e di urtarlo. Occorre quindi che i parenti della sposa trattino con molto riguardo, e pur esercitando una ragionevole sorveglianza, evitino la possibilità di passare per sospettosi e indelicati verso l'uomo che dovrà essere la natural guida e il natural protettore nel domani della loro figliuola.

Pagina 132

Durante il ricevimento tocca a lui presenziare il servizio di buffet e di rinfreschi, avendo cura che l'uno e l'altro siano abbondanti, e di primissima qualità. Settimanalmente egli renderà conto alla padrona di casa del denaro speso, di quello incassato, presentando scrupolosamente fatture e ricevute, onde non rispondere in malo modo alla fiducia riposta in lui.

Pagina 220

Le belle maniere

180225
Francesca Fiorentina 2 occorrenze
  • 1918
  • Libreria editrice internazionale
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

E abbiate la stessa cura per i vini, più o meno abbondanti secondo l'importanza del pranzo, e di cui i comuni saran serviti in bocce di cristallo, i più fini nelle loro bottiglie. Tutto qui? No, care; bisogna che anche l'occhio abbia la sua parte, bisogna che la tavola sia degna di ricevere i cibi squisiti da voi preparati, e che i vostri invitati ammirino l'eleganza pratica della padroncina, in ogni particolare. La tavola dev'essere sufficentemente ampia per il numero dei commensali, a cui non garberebbe certo starsene striminziti come acciughe nel barile. Se c'è diversità di seggiole, guarderete sempre di riserbare le più comode alle signore, che avranno più cara l'attenzione d'un panchettino. Alla tovaglia, me l'immagino, avrete dato una sferrata di fresco:non si sa mai, alle volte nel guardaroba si formano delle pieghe secche così antiestetiche! Una leggerissima insaldatura non nocerà, ma sarà indispensabile un perfetto nitore. Della medesima qualità della tovaglia dovranno essere i tovaglioli:o damascati, o di Fiandra, senza o con iniziali. Ma, per carità! non vi scervellate a immaginare forme bizzarre per le salviette: un quadrato quasi perfetto sarà preferibile a qualunque poligono. Le metterete, per caso, dentro il bicchiere? Scusate, ve l'ho domandato per eccesso di prudenza. Mi par già di vedere i coperti disposti in una bella fila: ognuno ha il suo piatto, a cui fan da sentinella tre o quattro bicchieri, quelli necessari per tutto il pranzo, e tengon compagnia il coltello e il cucchiaio a destra e la forchetta a sinistra, dalla qual parte trovo anche il panino posato sul tovagliolo. Non manchino i fiori dal profumo tenue, o disposti in ghirlanda, o affacciati a graziosi vasetti sparsi qua e là, non in trionfi ingombrati, come s'usava una volta, nel Seicento! Se a ogni portata non v'è possibile cambiar le posate, sarebbe almeno necessario farlo quando l'invitato ha lasciato le sue sopra il piatto e, anche, dopo il pesce, il cui gusto è appiccicaticcio. Mi sembra superfluo dirvi che per il dolce bisogna aggiungere al piccolo coltello la forchettina dello stesso servizio, e per le frutta in composta o per la crema il cucchiaino. E guardate di preparare con una certa eleganza anche le frutta e le paste, che devono essere fini e leggere. Sicuro, anche nella loro disposizione si rivelerà il vostro gusto! Il caffè sarebbe meglio servirlo in una tavola a parte, non in quella seminata di bicchieri e di bricciole. Le tazzine si usano piccolissime, perchè s'immagina che la qualità del caffè ne compensi la quantità. Prima che gl'invitati vadano via, sarà bene servire il tè o qualche rinfresco, secondo la stagione. Per finire:non ripiegate neppure in casa vostra il tovagliolo. Sa di provinciale! Badate, io v'ho parlato soltanto di pranzi relativamente modesti, pe'quali basti, a servire, una cameriera giovine, ravviata, con un bel grembiulino bianco ricamato, e, magari, la cuffietta in testa; lascio quelli di gala, a cui bisogna rassegnarsi a sopportare, impalata alle spalle, l'ombra nera de'camerieri, e a vedere i loro guanti bianchi portarci via il piatto, magari nel momento che si cominciava a gustar la pietanza. Che soggezione, mamma mia! Ma di questi pesi sullo stomaco non ne auguro nè a voi nè a me. Intrattenendovi su questo vostro ufficio di padroncine, v'ho immaginate sole col babbo e col ricordo della povera mamma. Se ci sono fratelli, toccherà ugualmente a voi a fare gli onori di casa; se c'è qualche sorella, con lei dividerete i vostri piccoli doveri.

Pagina 199

Voi non siete, fortunatamente, nel caso del povero deforme o della vecchia abbandonata, voi non mancate di conforti, che largamente vi sono offerti dalla letizia della vostra giovinezza, dall'affetto dei genitori, della famiglia, delle amiche. . . abbondanti finchè la gioia è con voi; nè, a dirvela schietta, mi garberebbe sorprendervi col cagnolino addormentato in grembo o col gatto sonnecchiante su'vostri quaderni. Ma, senza esagerazioni sentimentali, dovete voler bene a queste creature inferiori, pensando che anch'esse fan parte della grande opera divina, che anch'esse vengono come noi dalla vita e come noi sono soggette al dolore e alla morte. San Francesco, il grande e umile santo della vera carità cristiana, amava le bestie, e le chiamava sorelle; e Gesù Cristo, entrando in Gerusalemme, non sdegnò di cavalcare la più disprezzata e maltrattata delle bestie, l'asinello. Non sopportate che altri, in presenza vostra, sia inutilmente crudele con gli animali; e, se vedete un vostro fratellino che, per semplice gioco, inchioda un maggiolino, strappa l'ali a una farfalla, disturba un nido di rondini, tira la coda a un gatto, squarcia una rana, spiuma una gallina viva, strazia l'agonia d'un rospo, rimproveratelo severamente, perchè il suo atto è barbarico, è inumano. Ma. . . e le zanzare, le mosche, le piattole, i tarli, i ragni? Ammazzatene quanti più potete, fate pur loro una caccia spietata, da buone massaie, poichè il vostro fine giustifica pienamente i mezzi; e, d'altra parte, è più che lecito sacrificare gli esseri inferiori al vantaggio de' superiori, nello stesso modo ch'è riprovevole far soffrire, sia pure una mosca, inutilmente, e addirittura crudele è gioire di tali sofferenze.

Pagina 255

Il Galateo

181474
Brunella Gasperini 1 occorrenze
  • 1912
  • Baldini e Castoldi s.r.l.
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Se avete capigliature abbondanti, ricordate che alla gente non piace mangiare capelli, sia pur bellissimi. Non leggete i giornali o i libri dei vicini, cosa per alcuni oltremodo irritante. Ma neanche pretendete, in un tram gremito, di leggere un libro o un giornale sopra le spalle o le teste degli altri. Non litigate con altri passeggeri, non tirate in lungo le discussioni; qualsiasi discussione in luogo pubblico è di cattivo gusto, e in tram è quasi sempre comica. Una persona sensata preferisce di gran lunga rinunciare a sconfiggere verbalmente l'avversario piuttosto che diventare il centro della curiosità, del «tifo» o dell'ilarità del non sempre raffinato pubblico tranviario. Non perdete i biglietti: se vi succede, e se il controllore vi becca, non dilungatevi in vane e complesse ricerche, non rovesciate l'intero contenuto delle vostre tasche e borse sotto il naso dell'impaziente funzionario, non mettetevi carponi a cercare il biglietto latitante tra i piedi dei passeggeri. Pagate la multa e amen. Se vedete un amico in un tram affollato, non pretendete di raggiungerlo subito fendendo la ressa a colpi di gomito, né intavolate con lui una conversazione altisonante da un capo all'altro del tram. Anche se siete vicini, meglio parlare a bassa voce; e mai di faccende intime vostre, o peggio altrui. Non ascoltate i discorsi degli altri passeggeri: almeno fingete di non ascoltare, mantenendo impassibilità e sguardo vacuo; non state lì con le orecchie frementi a captare ogni sillaba della conversazione. Anche se avvincente, soprattutto se avvincente. Non fissate le persone. So bene che in tram, non avendo niente altro da fare, può essere divertente e istruttivo osservare il prossimo, ma bisogna farlo senza che gli altri se ne accorgano, senza fissare, senza scrutare, senza passare in rivista le persone dalla testa ai piedi e viceversa. Peggio se gli osservatori sono due, e bisbigliano tra loro fissando una terza persona: in tram come in qualsiasi altro posto, è indisponente. Non fate gli equilibristi. Se restate in piedi, cercate un punto d'appoggio. Non fate come quelli che, fidando sportivamente nel proprio equilibrio, continuano a ondeggiare e saltellare, si inchinano di qua e di là a ogni curva, corrono velocissimi in avanti a ogni frenata, precipitano indietro a ogni ripresa, del tutto incuranti dei piedi che pestano, delle membra che acciaccano, delle frane di corpi umani che provocano nei loro repentini spostamenti. Ci sono i sostegni appositi: usateli, su. Anche se siete sportivissimi.

Pagina 180

L'angelo in famiglia

182578
Albini Crosta Maddalena 2 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

amica mia, nella tua età, l'anima tua ha bisogno di essere lavorata, educata, perfezionata; poichè come la vite, che manda fuori in primavera rigogliosi i suoi tralci, promette inutilmente frutti dolci ed abbondanti in una stagione futura, se l'agricoltore non le sta intorno a lavorarla, a legarla, a puntellarla; la tua esistenza così promettente in adesso, così fiorente, rimarrebbe arida e sterile, giunto il tempo di coglierne i frutti, se tu non la coltivassi fin d'ora. Se adesso ti dai a godere a corpo perduto di tutto quanto ti si presenta, credi tu che il tuo cuore e l'istesso tuo corpo non invecchieranno anzi tempo, e che non tarderà molto e ti accorgerai d'aver varcata la giovinezza in quell'età nella quale altri ne sono nel fiore? Per me è uno spettacolo lagrimevole il vedere una donzella che tocca appena, o di poco ha trascorso i vent'anni, portare impressi tutti i segni della noja sul volto e nel portamento; e la mia compassione aumenta a mille doppj allorchè la sento parlare di disinganno e di mondo cattivo, con un accento che dimostra un'esperienza precoce degli uomini e delle cose; esperienza tutt' altro che necessaria, anzi nociva che le fa raggrinzare sì presto quella fronte che aveva diritto di non corrugarsi, e di conservare ancora lungamente la sua serenità. Per carità, amica mia, per carità, guardati dal diventar vecchia essendo tuttavia giovane di anni. Conserva gelosamente l'ingenuità del tuo cuore, la semplicità delle tue abitudini, se non vuoi trovarti in quel campo nero e triste che ti vanno dipingendo i pessimisti, e che è nero e triste solo per chi lo vuole. Essi, vedi, non sanno più godere delle gioje vere, perchè, come coloro che per l'abuso dei liquori hanno alterato il gusto e non sentono più il sapore delle vivande delicate e neppure del vino generoso; essi hanno bisogno per elettrizzarsi di piaceri troppo sensibili, ma niente invidiabili; di commozioni febbrili, di quei piaceri e di quelle commozioni che io auguro ti restino sempre stranieri. L'aspetto della natura non produce più in essi alcuna impressione; quell' aspetto istesso che all'animo tuo semplice e buono è sorgente inesauribile di gioja e delle più soavi sensazioni, è muto per essi. E perchè vi sono taluni i quali mantengono nei loro vecchi anni quella sensibilità delicata che ci pare ed infatti è una prerogativa delle anime vergini? Oh! perchè essi non hanno appressato mai le labbra alla tazza dei gaudenti del secolo, perchè l'hanno respinta lungi da sè, e avvicinando il mondo solo quel tanto di cui era loro impossibile far a meno, non ne hanno ricevuti quei dolori e quei disinganni coi quali egli paga coloro che ne amano il contatto. Ma se in tutte le età è bene vivere più che si può liberi e svincolati dai piaceri mondani, questo diventa un dovere più stretto in una damigella, la quale come il volto deve mantenere fresco il cuore, e non lasciarlo avvizzire da verun alito profano. Io non intendo no che essa passi i giorni e le notti in continua meditazione, e conduca vita penitente come la Maddalena nel deserto; no, l'ho già detto, io ammiro tutte le vocazioni quando sono buone e vere; ma sono ben lungi dal consigliare alla generalità quanto può essere consigliato soltanto ad alcune anime privilegiate, le quali hanno inteso la voce dello Sposo che le chiama a servire Lui solo per tutta la loro vita. Beate quelle anime! io le ammiro e le invidio! Ma io e tu siamo chiamate da Dio a percorrere la via ordinaria, siamo però chiamate a percorrerla rettamente e santamente: guai a noi se dopo d'aver ricevuto tanti doni e tanti lumi da Dio deviamo dal sentiero del bene e della virtù!... Mia cara, non credere ch'io ti voglia sacrificare all'isolamento e alla tristezza, poichè anzi desidero e voglio come S. Filippo Neri vederti sempre allegra e contenta. Divertiti, divertiti pure; ma il divertimento per te sia uno svago dopo il lavoro, non l'occupazione speciale della tua vita; sì divertiti, divertiti pure, ma non dei divertimenti mondani, chiassosi, colpevoli; ti piaccia godere nella conversazione dei tuoi famigliari, e nelle festicciole che si danno in casa tua. Ti dirò anche di più: promovi tu pure, ove nol vietino circostanze speciali, promovi tu pure o in casa tua o delle tue parenti od amiche ritrovi piacevoli, qualche merenda, perfino qualche recita; e vedrai che questi semplici piaceri saranno più cari al tuo cuore di quelle feste grandiose e turbolente che ti fanno tanta gola perchè le vedi da lontano. Oh! quelle feste, credilo, sono più che mai spinose, strapperebbero dalla tua fronte quel fiore che tanto l'adorna, la cara ingenuità, e pianterebbero nel tuo cuore quell'acuta spina che ahimè! lo farebbe forse sanguinare fino all'ultimo anelito! 18 Non basta però conservare gli anni della giovinezza ugualmente lontani dalla tristezza e dalle folli gioje; bisogna altresì seminarli di buone azioni, e soprattutto immergerli in un bagno di pace e di soavità. Dove si trova questo bagno? Oh! vieni, vieni qui vicino al mio cuore, affinchè io ti mostri l'immagine della Madre nostra, te la presenti a modello, e ti persuaderai agevolmente che imitando la Vergine santa, e adempiendo fedelmente i tuoi doveri, gli anni tuoi correranno sereni; e come la rosa apre olezzanti i suoi petali alla rugiada mattutina, e dal sole e dalla luce prende i suoi vaghi colori, così gli anni tuoi giovanili saranno imperlati e tinti dalla rugiada celeste e dai raggi dell'eterna luce. Ti ho detto in principio: bisogna prepararsi alla vita che ti attende, bisogna prepararsi senza perdere il tempo in inutili vaneggiamenti, anzi non solo inutili ma sommamente perniciosi all'anima; ora soggiungo: bisogna prepararsi all'adempimento dei doveri più gravi di padrona e di madre col perfetto adempimento dei doveri meno gravi di soggetta e di figliuola, Ora, pel momento chiudi il libro: rifletti seriamente in cuor tuo, chiedi a Dio i lumi, ed a rivederci domani. Domani ci intratterremo di te soltanto. Addio.

Pagina 265

Quando poi le lacrime ti cadono amare dal ciglio e l'angoscia ti opprime, cerca nell'esercizio della cristiana carità la tua gioja, la tua pace, il tuo conforto, e dagli occhi tuoi sgorgheranno abbondanti le lacrime di consolazione. Oh! prova e vedrai, come alleviando i mali e le miserie altrui saranno addolcite le tue miserie, i tuoi mali! Prova e vedrai quanta virtù e quanta letizia è nel sacrificio e nell'eroismo di dimenticar sè per gli altri!

Pagina 850

Il codice della cortesia italiana

184275
Giuseppe Bortone 1 occorrenze
  • 1947
  • Società Editrice Internazionale
  • Torino
  • verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

In ogni caso, abluzioni abbondanti d'acqua e sapone; non trascurando la parte superiore del torace, il collo, gli orecchi. Sul collo è bene passare e ripassare con le nocche delle dita, per irrobustirlo e premunirlo contro i facili malanni. Abluzioni abbondanti al viso e al collo vanno fatte anche ogni sera, e quasi ogni volta che si entra in casa, per detergerli dal pulviscolo che vi si è depositato e che, ostruendo i pori, impedisce la traspirazione e fa avvizzire l'epidermide. Possono essere sostituite da sfregamenti con un batuffolo di cotone bagnato nell'acqua di Colonia. Almeno tre volte alla settimana - tutti i giorni se d'estate - bagni d'acqua tiepida e sapone, o di acqua acidulata, alle estremità inferiori. I denti vanno lavati tre volte al giorno: la mattina e dopo i due parti principali. Lo spazzolino si usa di sotto in su, non da destra a sinistra. Tanto meglio se di setola piuttosto dura e un po' ricurvo: si conserva nel suo astuccio, col manico in basso. Preferibili, come dentifrici, gli alcoolati, in qualche cucchiaio di acqua, alle polveri; i saponi alle paste. Il cuoio capelluto va lavato almeno una volta la settimana, specialmente se di adoperano fissatori grassi. Se si fa a meno di questi, tanto meglio: non è eleganza davvero portare in giro una testa lucida di graveolente untume. Chi non avrebbe ribrezzo di poggiare una mano su certe teste brillantinate? E a chi non ripugnerebbe stringere una mano che fosse, sotto i suoi occhi, delicatamente, mollemente scivolata su una impomatata capigliatura? Ed ecco anche perché i capelli debbono essere accuratamente ravviati: appunto perché si deve assolutamente evitare di portarvi su le mani durante il giorno, e, sopra tutto, fuori di casa e in presenza d'altri. So bene - e chi, oramai, non lo sa? - che le signore portano il pettinino nella borsetta - meno male se in busta, e a una certa distanza dalle caramelle e dalle sigarette - e che i signori lo portano nel taschino superiore del panciotto: che le une e gli altri se ne servono piuttosto spesso e da per tutto, negli uffici, sulla via, nei salotti, e fin nelle chiese e nelle stanze da pranzo; che, poi, lo puliscono con le dita, o lo rimettono a posto con qualche capello fra i denti e qualche po' di forfora; sí, son cose che tutti sappiamo e tutti vediamo fare; ma non è questa una buona ragione perché le cose medesime sieno ben fatte. E non credo sia necessario dimostrarlo! Bisogna ugualmente curare le unghie: tagliarle, pulirle, delicatamente scarnificarle alla periferia superiore; asportare, con forbici piccole e affilate, quelle pellicole comunemente dette pipite. E quasi per la medesima ragione che per i capelli; cioè, perché non è davvero da persone bene educate ripulirle in pubblico, lucidarle, e anche semplicemente contemplarsele. E ci son poi i profumi, la cipria, i belletti. Cose queste che non riguardano gli uomini; giacché nulla è piú spregevole di un uomo effeminato, che ricorra a questi mezzucci per... per che cosa? Probabilmente né pur essi saprebbero dirlo, o si vergognerebbero di confessarlo. Gli uomini si affermano per altro; per altro riescono interessanti, e si impongono: loro quotidiana esigenza è quella soltanto di accuratamente radersi. Quanto alle donne, qualcosa bisogna pur loro concedere; ma che l'uso sia discreto e razionale! In altri termini, correggere in qualche cosa la natura; ma evitare che la correzione, per eccesso, diventi uno sgorbio. Questo, specialmente, per la quantità e i colori della cipria, per la quantità e per la qualità delle tinte sulle unghie, sulle guance, sulle labbra. È bene tener presente che, fino a qualche lustro addietro, queste tinte, con le altre piú o meno azzurrognole intorno agli occhi, erano indizio sicuro di donne poco per bene. Che fa se anche le cosí dette « grandi signore » ne dànno l'esempio? Dopo tutto, le « grandi signore » - come oggi s'intendono - non son davvero, per lo piú, modelli di gusto squisito. Si va molto diffondendo l'uso delle tinture per capelli: fra gli uomini, fors'anche piú che fra le donne. Alcune di queste lo fanno in tutte le età, per una « stranissima civetteria », passando dal nero corvino al biondo oro e, talora, al lilla piú o meno acceso. Gli uomini lo fanno per nascondere il grigio o il bianco della inoltrata maturità; col pretesto - messo avanti dai fabbricanti di tinture - che l'uomo con i capelli neri, socialmente, dà maggiore affidamento; ma, sostanzialmente, per sciocca vanità e perché ignorano l'arte - d'altronde non facile - di invecchiare. Ora, l'uso delle tinture, specialmente se non è discreto, e rende ridicoli, accentuando il contrasto fra l'avvizzimento dell'epidermide e la giovanilità della chioma e è pericoloso - essendo quasi tutte le tinture a base di sali di piombo, che sono velenosissimi - e è « poco giovevole », oltre che disastroso per l'epidermide e per la biancheria. Francamente, quasi non si capisce come uomini, in altri campi serissimi e fierissimi, dimostrino in questo una « cosí evidente » debolezza! Anche nell'uso dei profumi la massima discrezione, sia come quantità, sia come qualità ; evitando ogni esotismo e ogni capricciosa sostituzione: fatta la scelta, che sia sempre quello. È bene anche avere a portata di mano una scatola di sapone in pasta a base di pomice, per poter sfregare le dita rese giallognole dal fumo delle sigarette. Il pettine, con la spazzola, nella loro unica busta: guardarsi dal lasciare dei capelli sul piano della toeletta o, comunque, in vista. Né si lascia mai, nella vaschetta o nella catinella, l'acqua di cui ci siamo serviti. Non si esce di camera senza aver messo il maggior ordine possibile, per quanto affrettato, nella persona. Una donna - signora o signorina - non va in giro per la casa in pigiama; salvo che non vi sia costretta da circostanze imprevedute ed eccezionali. Aggiungerò, anzi, che l'uso del pigiama, tanto per letto quanto per casa, va quasi completamente scomparendo dal corredo femminile, per essere sostituito ancora dalla lunga camicia e dalla vestaglia. Anche l'uso delle ciabatte dev'esser limitato alla camera: l'urgenza può giustificare per la casa, l'uso delle pantofole, non quello delle pianelle. Se se ne può fare a meno, evitare di farsi portare il caffè, mentre si è ancora a letto. Per la prima colazione, si va nella saletta comune. I coniugi debbono - nel reciproco interesse - rivaleggiare per l'ordine: l'uno e l'altro sieno di esempio ai figlioli e ai servitori: né tollerino infrazioni. Lo zucchero si prende dalla zuccheriera col cucchiaino comune; egualmente il burro, il miele, le marmellate; però non si portano direttamente dal vaso al pane, ma si mettono nel proprio piattino, e nel mezzo non sui margini. Trattandosi di colazione di famiglia, si può inzuppare; e, per bere, si prende soltanto la tazza; quando, invece, si tratti del caffè, o d'altro, servito in sala, non si può inzuppare, e si prende la tazza col piattino: la tazza si porta alla bocca con la sinistra. Il cucchiaino si lascia nel piattino, non nella tazza. Certamente nessuno verrà a far visita nelle prime ore del giorno; ma se qualcuno, per necessità, capitasse, presentarsi vestiti anche alla buona, ma perfettamente in ordine, lavati e pettinati, non sbadigliando, né con gli occhi ancora insonnoliti o imbambolati. Quanto alle relazioni con i casigliani, regolarsi secondo il grado di educazione dei medesimi. Il meglio, a mio modo di vedere, è conservare rapporti cortesi di vicinato: tono altezzoso, no ; ma intimità né pure; perché, fatto il bilancio dei vantaggi e dei fastidi, si trova, il piú delle volte, che i secondi superano di gran lunga i primi.

Pagina 89

Come devo comportarmi. Le buone usanze

185113
Lydia (Diana di Santafiora) 1 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Un tempo, s'imbandivano dei pranzi pantagruelici, con un'infinità di portate così abbondanti, che più di mezze ritornavano in cucina; oggi, e con più buon gusto, si preferisce la qualità alla quantità, badando più che altro alla delicatezza dei cibi e alla loro elegante disposizione. Ad ogni modo, senza giungere alle esagerazioni dei nostri avi, si provveda a che la roba non scarseggi, e non abbia ad accadere che qualche convitato debba servirsi scarsamente. Un pranzo si compone generalmente dei così detti principî, di una minestra, di alcune portate guarnite, di un dolce o gelato, formaggio, frutta e caffè. I principî possono essere di vario genere, e non è nostro compito indicarne le diverse specie. Ma, di qualunque genere siano, debbono essere fini e delicati e non troppo abbondanti. Servono, come si suol dire, a stuzzicar l'appetito e a preparar lo stomaco ai cibi che verranno: perciò ogni convitato se ne servirà con parsimonia. Quanto alla minestra, l'etichetta vuole che sia servita in piccola quantità; ma a un pranzo che non abbia pretese troppo aristocratiche, si potrà servire, senza incorrere nella taccia di grossolanità, una buona scodella di minestra ben calda. Le portate, per così dire, di prammatica di un pranzo di buon gusto sono tre, raramente quattro. I nostri nonni, su questo punto, erano d'un rigorismo feroce, e i piatti erano sempre gli stessi: lesso, fritto, umido e arrosto; qualche volta, nei pranzi meno sontuosi, si faceva a meno del lesso o del fritto, ma il resto non cambiava; cambiava soltanto la materia prima, per chiamarla così: il lesso poteva essere di manzo o di pollo, l'arrosto di pollo o d'agnello o di manzo, l'umido di vitella o di rigaglie: la scelta, come si vede, era molto ristretta. Oggi invece è ormai sanzionata dall'uso una libertà maggiore; tuttavia, anche nei nuovi e variati aspetti, le portate conservano ancora, almeno nel fondo, il loro carattere primitivo. Ad ogni portata sarà sempre unito un piatto di legumi: così vogliono l'uso e l'igiene. Il dolce sarà fine e abbondante; belle e abbondanti e ricche le frutta; aromatico il caffè. Prima di dire come si debba servire un pranzo, occorre premettere qualche parola sul modo di preparare la tavola; preparazione divenuta nell' uso d'oggi importantissima e da cui traspare il buon gusto e la finezza della padrona di casa. La tavola deve esser disposta e preparata in modo da dare ai commensali un senso d'elegante semplicità. Si eviterà dunque di sovraccaricarla troppo con oggetti incomodi o ingombranti: una candida tovaglia, più fine che è possibile, i piatti e le posate disposti in bell'ordine, i bicchieri di varia grandezza ben allineati; nel mezzo le bottiglie dell'acqua e del vino, le saliere, ecc.; dei piccoli vasi da fiori davanti a ciascun piatto o uno più grande, ma basso, nel centro: ecco quanto è necessario e sufficiente a una bella apparecchiatura. La finezza della biancheria, la bellezza del vasellame, della cristalleria e della posateria contribuiscono più che tutto all'eleganza d'una tavola, anzi si può dire che siano l'unico ornamento di essa. Sbagliano tuttavia coloro che credono di renderla più bella facendo sfoggio di tutta la guardaroba e di tutta l'argenteria; poichè il troppo nuoce, anche se è bello. È quindi da approvarsi l'abitudine ormai invalsa di disporre sulla credenza o su altra tavola tutti gli oggetti che dovranno servire nel corso del pranzo, salvo i bicchieri: sulla tavola da pranzo si troverà soltanto un piatto per ciascun convitato, e una posata. Tovaglia e tovagliuoli di candido lino sono i più adatti in ogni circostanza; potranno anche esser finemente ricamati e traforati con gusto. Oggi, specialmente nei pranzi in campagna e nelle colazioni che abbiano un certo carattere intimo, si fa uso di biancheria colorata; e l'uso non è da disprezzarsi, quando si sappia con gusto scegliere i colori e i disegni. Il pranzo deve esser servito da persone attente e pratiche, in modo che la padrona di casa non sia costretta a correggere gli errori e tanto meno ad alzarsi da tavola. Si cambierà il piatto e le posate ad ogni portata; si serviranno le pietanze alla sinistra di ogni convitato e si eviterà l'uso familiare di posare il vassoio nel mezzo della tavola. Ogni pietanza sarà sempre servita due volte, salvo la minestra e il formaggio; e si farà in modo che fra pietanza e pietanza corra il tempo necessario perchè possano mangiare comodamente anche i più lenti, senza tuttavia esagerare: i lunghi intervalli fra piatto e piatto stancano i convitati e prolungano troppo la seduta a tavola. Nei pranzi di parata, sarebbe una sconvenienza invitare gli ospiti a riprendere ancora di questa o di quella vivanda; ma abbiamo già detto che di tali pranzi non ci occupiamo. In quelli di famiglia, anche se abbiano una certa pretesa d'eleganza, non ci sarà nulla di male se il padrone o la padrona di casa incoraggeranno l'ospite a mangiare con qualche parola cortese; ma, per carità, non s'insista mai su questo punto: detta la parola e ricevuto un cortese rifiuto non è lecito aggiungere altro. Non è neppure segno di buona educazione incitar l'ospite a bere, riempiendogli il bicchiere ad ogni momento, o infastidirlo con dei continui: - Ma Lei non mangia; ma Lei non beve! - L'ospite ben educato sa da sè come deve comportarsi, conosce la capacità del proprio stomaco e ha tutto l'interesse a non levarsi da tavola con la fame come a non prendere un'indigestione. Si lasci dunque fare, o tutt'al più si inviti con parole gentili a non far complimenti e a considerarsi come in casa sua. La parte più scabrosa d'un pranzo è il principio, quando ancora i convitati non si sono ben affiatati, e la tavola è silenziosa. Più tardi, i cibi e il vino, anche se presi in dosi convenienti, faranno il loro effetto: la cordialità regnerà da sovrana e la conversazione diverrà spiritosa e animata. Il padrone e la padrona di casa metteranno perciò ogni impegno a superare quel primo quarto d'ora d'imbarazzo, sostenendo essi stessi la conversazione 7 su argomenti piacevoli e gai; ma sapranno farlo con tatto, in modo da lasciare agl'invitati tutta la libertà di mangiare e di bere. Un pranzo ben riuscito non è soltanto quello in cui siano stati serviti cibi e vini squisiti, ma quello che sia stato rallegrato da una conversazione arguta e piacevole. Quest'ultima qualità essenziale si ottiene soprattutto con una sapiente e prudente scelta dei convitati, invitando persone che per carattere, per cultura, per educazione, per idee, possano stare bene insieme e trovarsi facilmente d'accordo. Esistono individui dotati di particolari requisiti, che sono, in questi casi, veramente preziosi: simpatici all'aspetto, buoni parlatori, faceti, pieni d'un umorismo lepido e castigato. La loro presenza basta a tenere allegra la conversazione, a stabilire legami d'amicizia, sia pure provvisoria, fra i convitati. Un padrone di casa farà gran conto di essi e non mancherà, quand'è possibile, d'invitarli. Finito il pranzo, si suol passare in altra stanza a prendere il caffè e a fumare. Generalmente, si proseguono allora le conversazioni incominciate e la cordialità diviene più espansiva. Il compito dei padroni di casa è quindi di molto facilitato, ma non finito. C'è sempre, fra i convitati, specialmente se numerosi, qualcuno che rimane in disparte, o per naturale timidezza o perchè il genere di conversazione che si sta svolgendo non è adatto per lui. A costui o a costoro si rivolgerà allora l'attenzione degli anfitrioni, i quali troveranno modo di toglierlo dal suo isolamento rivolgendogli parole cortesi o toccando argomenti che sappiano interessarlo. Dopo il caffè, e fatta una mezz'ora di conversazione, gl'invitati prendono generalmente congedo, con parole di ringraziamento, dai loro ospiti. Ma negli inviti che abbiano una certa intimità, e specialmente in campagna, questo periodo del dopopranzo si protrae talvolta a lungo, anche per qualche ora. Se ciò avviene, i padroni di casa hanno il dovere di intrattenere piacevolmente i loro ospiti con qualcos'altro che non sia la semplice conversazione. Se la compagnia è tutta omogenea e vi predomina l'elemento giovane, si troverà modo con molta facilità di passare allegramente il resto della giornata mettendo tutti d'accordo: dei giuochi di sala, i soliti quattro salti, una passeggiata nel giardino o nel bosco sono altrettanti mezzi adatti allo scopo. Ma nel caso, più frequente, di molti gusti da contentare, bisognerà ricorrere a vari espedienti: mentre le persone d'età rimarranno probabilmente in salotto a parlare del più e del meno, gli altri si raduneranno intorno al pianoforte o nella sala da biliardo o scenderanno in giardino all'aria aperta. Toccherà allora ai padroni di casa a farsi in quattro, come suol dirsi, per riparare a questo e a quello, per far sentire la loro presenza dappertutto: fatica non lieve e tutt'altro che piacevole, che si aggiunge all'altra sostenuta durante il pranzo e prima di esso; ma, come dice un proverbio, quando si è in ballo bisogna ballare. Quando gli ospiti si congedano, i padroni di casa li ringraziano dell'onore ricevuto ospitandoli; sicchè, lo scambio di cortesie è reciproco. Dentro gli otto giorni è di regola la così detta visita di digestione.

Pagina 186

Il galateo del campagnuolo

187477
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 1873
  • Collegio degli artigianelli
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Nè lo spargeva fitto nel campo; ne' terreni grassi e buoni i semi rari dànno sempre assai più abbondanti prodotti degli spessi. Di grano, mentre gli altri ne seminavano 80 litri per moggia, cioè 33 are, egli non ne spargeva più di 50 litri. Usava dire: che il più gran nemico del grano è il grano stesso. Aveva riguardo di non seminar tardi, nè per tempo umido; anzi nessuna aratura voleva che si facesse quando il suolo era molle; perchè diceva che s'appesta il terreno, invece di fecondarlo.

Pagina 44

Galateo per tutte le occasioni

187707
Sabrina Carollo 1 occorrenze
  • 2012
  • Giunti Editore
  • Firenze-Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

. ✓ È importante inoltre rispettare gli orari dei pasti e di servizio, essere cordiali con il personale, lasciare mance abbondanti.

Pagina 69

Dei doveri di civiltà ad uso delle fanciulle

188242
Pietro Touhar 2 occorrenze
  • 1880
  • Felice Paggi Libraio-Editore
  • Firenze
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Badate bene di non imitare quella malaccorta massaia che vorrebbe mettere sulle bilance il pane della donna di servizio, e che si mostra di malumore se gli avanzi che tornano in cucina le sembrano più abbondanti del solito: se a caso riceve qualche commensale va spiando il contenuto delle bottiglie, dei piatti, della zuccheriera man mano che son levati di tavola; e sotto le splendide apparenze del lusso fa trapelare la gretteria, la sordidezza, la diffidenza. Sfuggite questo mostruoso mescuglio di fasto ridicolo e di abbietta spilorceria. Il quale avvertimento valga sì per l'interna direzione della famiglia che per le convenienze sociali. Dobbiamo: Sfuggire ogni atto di superbia e d'orgoglio nel comandare alle persone di servizio; mostrar loro gradimento dei ricevuti servigi; riprenderle al bisogno con dolcezza; far che abbiano buona maniera e rispetto per tutti; chiamarle col nome di battesimo, senza mai usare titoli spregiativi; vigilare convenientemente le loro azioni e mostrare fiducia nella loro onestà. Non dobbiamo : Lasciarci trasportare da atti di collera contro i servi; permettere che acquistino soverchia familiarità; metterli a parte dei nostri propri affari, nè dar loro a conoscere di avere grandi segreti; permettere che siano vestiti male nè che facciano sfoggio di lusso; acconsentire che prendano parte ai nostri colloqui, che facciano domande indiscrete, che rispondano con cenni e con mal garbo; dar loro del tu, nè umiliarli con atti o parole; nè usare soverchia parsimonia nel provvedere ai loro bisogni.

Pagina 40

Gli altri fannosi ai congiunti, agli amici, in certe date epoche, per esempio, pel capo d'anno, pel giorno onomastico, od in certe particolari occasioni, come al ritorno da un viaggio, alla partenza per paese lontano, nella raccolta di alcuni frutti dopo una caccia o una pesca che siano riuscite abbondanti. I regali esser devono appropriati all'età, allo stato ed alla posizione delle persone alle quali giudichiamo doverli offrire; ed è facile conoscere la ragione per cui sarebbe quasi sempre cosa sconveniente scegliere per farne donativo un oggetto di pura necessità. La posizione sociale, il grado d'intimità, le differenze d'età; le relazioni di parentela, consentono di allargare o persuadono a ristringere i limiti del donativo. A volere che un donativo abbia tutto il suo pregio, deve giungere inaspettato: poichè perderebbe una parte di merito, se non arrecasse il piacere della sorpresa. Sarebbe assoluta mancanza di delicatezza il voler far rilevare il valore d'un regalo nell'atto di consegnarlo, e peggio il tornare a parlarne allorchè la persona che lo ha ricevuto ne ha già reso grazia e dato prova del suo gradimento. Non importerà dire che sarebbe atto d'inciviltà per parte di chi riceve un regalo il mostrarne riconoscenza relativamente al valore del medesimo. Quando si tratta di aver avuto un donativo ragguardevole, è necessario fare una visita alla donatrice, o scriverle una lettera qualora sia lontana. Non è da scordare la mancia pel servitore che ce lo porta. Del rimanente l'uso insegnerà le tante altre più minute avvertenze che rispetto al fare o ricever regali verrebbero in acconcio, ma che sarebbe impossibile enumerar tutte in questo libro. Dobbiamo: Porre ogni studio di garbatezza nel far piacere agli altri: esporre con schietta e semplice afflizione le cagioni che ci obbligano a negare un favore a chicchessia: farlo con premura quando possiamo; adattare i donativi al proprio stato ed ai propri averi; mostrare riconoscenza nel ricevere un donativo ancorchè minimo. Non dobbiamo: Fare alcuna promessa quando non abbiamo intenzione di mantenerla; menar vanto d'aver reso un servigio; essere indiscrete nel chiedere ad imprestito; offrire un regalo come ricompensa d'un servigio ricevuto; mostrar l'intenzione di fare il regalo innanzi di mandarla ad effetto, perche vi è il pericolo di togliergli il pregio; vantarne il valore; studiarci di rinnovarne la ricordanza.

Pagina 85

IL nuovo bon ton a tavola e l'arte di conoscere gli altri

190965
Schira Roberta 1 occorrenze
  • 2013
  • Salani
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

L'invito per un dinner può essere alle 19 oppure alle 18.30 per un tea time a base di abbondanti piatti freddi. Lo slurping (trangugiare, bere rumorosamente) va assolutamente evitato anche da loro. Vietato anche «pucciare» in tutto il Regno Unito in qualunque liquido, dal tè all'uovo à la coque. Le mani vanno in grembo se non sono utilizzate, come vedremo. L'abbigliamento deve essere sobrio e i jeans non sono apprezzati, così come le cravatte regimental che indicano l'appartenenza a un club. Gli inglesi amano consumare formaggio a fine pasto e gli stuzzicadenti, al supermercato, non sono mai nel reparto casalinghi, ma in quello degli articoli da party (servono per infilarci le olive e non per pulirsi i denti). Il pane non viene servito a tavola, tranne che imburrato come accompagnamento al salmone. In molte famiglie vige ancora l'uso antico di dividere i due sessi alla fine della cena: le signore sono invitate a powder their noses (incipriarsi il naso) e bevono sherry, mentre gli uomini rimangono seduti a tavola a sorseggiare porto e fumare sigari. Se il porto viene servito in tavola viene passato in senso orario e non si versa mai al proprio vicino: ognuno si serve da solo. Nei paesi del Centro e Sud America le persone di un certo riguardo metteranno Don e Doña davanti al vostro nome. La cena inizia sicuramente dopo le 21 e il ritardo accettato può arrivare anche a un'ora. Ecco, in questa cultura è meglio mandare fiori il giorno dopo e non portare nulla di commestibile, facendo pensare che il menu debba essere rinforzato: è considerato offensivo. Fanno eccezione prodotti come souvenir di un paese straniero. Urge una parentesi. Anche qui, come negli Stati Uniti e nel Regno Unito, tra una portata e l'altra si tengono le mani in grembo. Il francese (come l'italiano) le appoggia sul tavolo fino al polso, mentre l'inglese beneducato le tiene in grembo. Il galateo a tavola, come noi lo conosciamo oggi, si sviluppa in Francia, in un'epoca di veleni e tradimenti, perciò si impose la regola: entrambe le mani ben visibili ai commensali, quindi sul tavolo. L'Inghilterra non poteva accettare un'imposizione francese, era ancora bruciante la perdita dei territori sul suolo continentale dopo la guerra dei Cent'anni (1337-1453). Ecco perché gli isolani decisero per la mano in grembo, anziché appoggiata al tavolo, ben visibile: spirito di contraddizione! Ricordo, a proposito, il motto di una severissima anziana anglofila baronessa fiorentina che diceva: «Jamais, parfois, toujours» e cioè «Mai, qualche volta, sempre», dove ogni avverbio si riferisce a una posizione, rispettivamente: gomiti sul tavolo, avambracci appoggiati e mani in grembo. Tornando al Sud America, l'abbigliamento di sera è piuttosto formale, quindi sono gradite giacche e cravatte e per le signore sconsigliati i pantaloni in alcune cerimonie ufficiali. Ricordate cosa abbiamo detto dello spazio personale e della prossemica: in questi paesi le distanze sono ravvicinate ed è normale che quando qualcuno vi rivolge la parola si avvicini molto; non ritraetevi. Ho potuto verificare di persona; più si va a sud più le distanze si accorciano, più si va a nord più aumentano. Lo stesso avviene tra abitanti di campagna e di città: i primi, insieme a chi vive in montagna, staranno più scostati e vi daranno la mano restando arretrati con il corpo, mentre chi vive in una grande città (abituato a tram e metropolitana affollati) accorcia le distanze. In Sud America evitate, se siete voi che invitate, di cucinare coniglio: è considerato un animale da compagnia. Nei paesi islamici si salutano con rituali lunghi e si baciano più volte; con gli occidentali usano la classica stretta di mano. Tra uomo e donna non deve avvenire alcun contatto fisico. Nella presentazione evitate di tenere lo sguardo fisso sul volto, molto meglio uno sguardo basso e reverenziale. Nella conversazione non ci si informa mai dello stato di salute delle mogli; è considerata un'invasione di campo, così come ogni battutina sulla condizione femminile. Il pranzo è intorno alle 14 e la cena alle 22: siate puntuali. Non intestarditevi a voler pagare il conto, è offensivo, paga chi fa l'invito, come da noi. Di norma non si porta nulla e ovviamente, se il dono è d'obbligo, sono vietatissimi gli alcolici e prodotti che contengano carne di maiale. Se siete voi a invitare, informatevi sul Ramadan che cade in mesi diversi ogni anno. In questo caso ogni convivio slitterà dopo il tramonto. Ricordate che canottiere e pantaloni corti sono un insulto al buon gusto anche se indossati dai maschi. Val la pena aprire una parentesi sull'abbigliamento. L'occidentale che, nell'immaginario di certi paesi, è ricco e stimabile, se arriva seminudo si comporta come un indegno, come uno di una casta inferiore che non può permettersi una camicia. «Questo provoca un vero e proprio cortocircuito mentale in chi lo accoglie nel suo paese» dice anche Barbara Ronchi della Rocca nel suo libro dedicato al galateo del viaggiatore. Lo stesso, come abbiamo visto, vale per i jeans, che da noi sono ormai sdoganati come abbigliamento per tutte le occasioni; in molti paesi non vengono compresi. In Australia, per esempio, sono considerati una divisa destinata ai lavori più umili della campagna, quindi guai a indossarli anche per una cena tra amici. Iran, Siria e molti paesi islamici considerano i jeans un abbigliamento maledetto, per via dell'origine americana. Un po' come camicie e pantaloni stile militare in Zimbabwe, Zambia e Botswana. Se cercano di convincervi che nei paesi islamici è accettato un rutto a fine pasto come segno di gradimento non credeteci, è un gesto al limite tollerato, ma non incoraggiato. In questi paesi, come nel sud dell'India e in Indonesia, la sinistra si usa per la pulizia del corpo, fate quindi attenzione a passare le portate al vostro vicino con la mano destra. In Giappone evitate il più possibile il contatto fisico, anche la stretta è inusuale; meglio l'inchino. Se siete invitati mostrate deferenza e ammirazione verso i piatti che vi vengono offerti. I giapponesi adorano che la propria tavola venga ammirata; infatti le presentazioni dei cibi sono attentissime alle proporzioni, ai colori e alla composizione: I commensali si presentano con il cognome e usano sun davanti al vostro, che significa onorevole. Il che non è un'offesa, come sta diventando nel nostro paese. Usate i biglietti da visita, lì sono indispensabili, e porgeteli con entrambe le mani: è un segno di deferenza. Starnutire, soprattutto a tavola, è uno dei gesti più maleducati che potreste fare, cercate di ricordarlo. Vige l'assoluta puntualità e, se entrate in casa d'altri, toglietevi le scarpe in segno di rispetto. Non portate fiori, tipico dono del corteggiamento; ben graditi i dolci, avvolti nella carta rossa, segno di gioia. Mai però nel numero di quattro e nove, considerati numeri nefasti. A tavola non si usano tovaglioli, ed è apprezzato l'uso delle bacchette per portare il cibo alla bocca; tuttavia, per evitare pasticci potrete chiedere una forchetta, in mancanza di meglio usate le dita. Nella conversazione siate sempre calmi e pacati e soprattutto sorridenti. Non versate nulla sul riso e cercate di non avanzare nulla, sarebbe maleducato. Non servite prodotti caseari fermentati se avete al tavolo giapponesi o cinesi; non li gradiscono e sembra che non siano digeribili per loro a causa dell'assenza di alcuni enzimi intestinali. Nell'abbigliamento, le donne evitino vestiti sgargianti e profumi intensi. Lo stesso vale nell'occidentalissimo Canada, dove il profumo infastidisce quanto una sigaretta. E, per finire, non lasciate la mancia, sarebbe un'offesa, dal momento che il lavoro per loro è una missione. Anche in Cina è molto apprezzata ogni forma di autocontrollo. Durante le presentazioni si osservano rigidamente le regole e le gerarchie, che vedono al primo posto sempre l'uomo più anziano e la persona di maggior prestigio. La cosa vale anche per la conversazione: vietato toccare argomenti delicati. Gli inviti sono rari e di norma sono intorno alle 18, perché dopo le 21 i trasporti pubblici sono scarsi. I regali sono graditi, ma devono essere estesi a ogni componente della famiglia. A tavola si aspetta sempre che sia chi invita a dare i tempi. Accanto al vino ci sarà una coppetta per il tè, mentre l'acqua non è prevista. In Israele usate i biglietti da visita, vi serviranno, ci tengono molto a ruoli e cariche. Gli anziani godono giustamente di grande rispetto e, quando entrano in una stanza, ci si alza in piedi. Nella conversazione tutto è permesso, tranne ovviamente riferimenti alla questione palestinese. Sono apprezzati i fiori e una bottiglia di vino come regali per i padroni di casa.

Pagina 149

Galateo morale

196542
Giacinto Gallenga 1 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

I danari intanto sottratti in tal modo ai legittimi padroni, invece che a servire a sollevar la miseria, di chi ricorre a simili fraudi, va in parte nelle bettole e nelle bische a soddisfare la voracità e la cupidigia: la parte maggiore va ad impinguare le tasche agli arruffoni che prestano i loro lumi, il loro appoggio in questi scrocchi vergognosi; specie di legulei azzeccagarbugli, impresari di cavilli, uomini di qualunque genere d'affari, pronti a patteggiare colla vergogna e colla colpa, pur di trovar modo di far abbondanti quattrini.

Pagina 98

Signorilità

198931
Contessa Elena Morozzo Della Rocca nata Muzzati 1 occorrenze
  • 1933
  • Lanciano
  • Giuseppe Carabba Editore
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Indossino un «completo» formato da pantaloni, sottana e giacca «tailleur», una camicetta o un blusone (indicatissimi quelli di maglia di lana che sono ora anche di gran moda), solide scarpe chiodate e calzettoni; portino nel sacco un maglione bianco tipo sport, un ricambio di biancheria, un paio di pantofole, abbondanti fazzoletti, una candela, degli zolfanelli, il piccolo «nécessaire» da lavoro sopra descritto, una minuscolissima farmacia e un «nécessaire» da toilette, di cui vi sono in vendita diecine di tipi. Ognuno può farsene uno praticissimo e punto ingombrante; esso consta di una scatola robusta del tipo di quelle scatole in cui i piccoli scolari mettono le penne e i lapis, e può contenere una spazzola da testa lunga e stretta, un pettine, uno spazzolino da denti chiuso in una custodia di celluloide sottile, per evitargli ogni ingrato contatto, un pezzo di sapone, quel «nécessaire» da unghie della dimensione di un agoraio (vedi pag. 104) e uno specchietto pure lungo e stretto, fissato al coperchio. Questa «nécessaire» va avvolto in un solido asciugamano e in una federa. Sicuro!... Dato che nei rifugi alpini si dorme vestiti, occorre almeno una federa immacolata, per posare la testa su qualcosa che sia veramente di bucato... Il nécessaire così detto sanitario, consta di una scatoletta in metallo ben chiusa, con alcune compresse di sublimato, un tubetto di chinino, un tubetto di vasellina, una fascetta di garza sterile, delle zollette di zucchero, un foglietto dattilografato con i rimedi per casi urgenti. A tracolla la signora o la signorina portino una borsa con una bottiglietta di cognac, un contagoccie con un po' di laudano, e un portacarta topografica, dove tengano anche la carta d'identità prescritta e necessaria a tutti gli italiani. Portino il denaro in una piccola borsa in pelle di guanto bianca, attaccata al collo con una minuscola catenina d'argento, oppure fissata con due robusti spilli di sicurezza al maglione. Se poi una ragazza vuol fare una breve villeggiatura in montagna, porti, oltre che il sacco da viaggio attrezzato come sopra è detto, una valigia con un'aggiunta al corredo, ma senza trascinare un vagone di roba. Sarà sufficiente un vestito intero con maniche lunghe di lana buona e soffice; un golf, un vestito da mezza sera per eventuali quattro salti, un paio di scarpe da passeggio e un pajo da sera con le calze e col sottoabito relativo, un cappellino di feltro e uno, di paglia, entrambi arrotolabili, pel forte sole di montagna. Notisi infine che al ritorno in città, valigie e bauli vanno ben puliti e messi in ordine, prima di essere riposti. I vari «nécessaires» vanno riordinati e riguarniti, per l'eventualità di un'improvvisa nuova partenza.

Pagina 300

Come presentarmi in società

200341
Erminia Vescovi 1 occorrenze
  • 1954
  • Brescia
  • Vannini
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Anche per questo, sarà cura degli invitanti preparare una o più sale ampie e ben illuminate, ornate con eleganza severa, e disporre perché circolino abbondanti rinfreschi. L'abbigliamento può essere di gran gala (e allora i padroni avvertiranno) oppure di mezza gala, non mai da visita o da passeggio, ed essi ne daranno l'esempio. I tè sono riunioni che tengono la mezza via tra gli inviti di lusso e quelli intimi, e terminano a volte con quattro salti. Si svolgono fra le cinque e le otto del pomeriggio. La prima cosa per offrire bene un tè... è farlo buono, il che non è sempre facile. Un buon tè dev'essere biondo, chiaro, caldissimo. La padrona di casa serve il tè ella stessa, facendosi aiutare dalle signorine o anche da qualche giovanotto intimo di casa. Sulla tavola coperta di una finissima tovaglietta stanno la teiera, il bricco del latte, il limone o la caraffa del liquore; tartine, dolci e biscotti svariati e abbondanti. Soltanto se il numero degli invitati fosse molto grande, si serve a gruppi, su piccoli tavolini, altrimenti ciascuno rimane al suo posto. Ad ogni persona si chieda, servendola, se gradisce limone, panna o liquore coll'aromatica bevanda, si ripete poi il giro, offrendo una seconda tazza e magari anche una terza. Ma siccome non tutti hanno pel tè una grande simpatia, sarà bene aver anche pronto un bricco di ottimo caffè, nonché vermouth e aperitivi per chi arriva sul tardi. Oltre ai biscotti, ai crostini (non mai paste con crema o panna) si suol mettere sulla tavola, seguendo l'uso inglese, un dolce di larghe proporzioni: torta, marzapane, plum cake o simili, che si taglia per ultimo. Si faranno poi circolare bibite svariate, caramelle e cioccolatini in eleganti coppe. La padrona di casa che offre un tè riceve con un abito elegantissimo, non però scollato; le visitatrici in abito da visita con qualche ricercatezza. Non si toglieranno il cappello. In questo dopoguerra sono venuti di gran moda, sulla scia dell'uso americano, i cocktails, che permettono di invitare anche gli uomini, i quali, essendo occupati durante la giornata, difficilmente possono intervenire a un tè. Si tratta di riunioni che iniziandosi verso le sette di sera, dovrebbero di regola durare due tre ore, ma volendo si possono anche protrarre (comunque, non oltre la mezzanotte) assumendo un po' il tono di cena in piedi, e che possono essere anche danzanti. Ai cocktails non si offre tè, ma aperitivi, vermouth, bibite varie e soprattutto quelle misture di liquori che danno il nome alla riunione: il tutto accompagnato da tartine, pasticcini salati e dolci come per il tè, ad esclusione delle torte. Se la riunione assume il tono di cena si offrirà anche una tazza di brodo, o un risotto, e qualche piatto freddo. Le signore indosseranno per questi inviti un abito più elegante che non per i tè, da mezza sera, che può essere un po' scollato ma non lungo; gli uomini un abito normale grigio scuro o blu. I pranzi di gran lusso, quelli a cui si va in marsina e abito scollato, sono, più che altro, noiose parate di convenienza. Chi è al caso di offrirne ha generalmente a sua disposizione anche un maggiordomo e un capo cuoco coadiuvato da numerosi vassalli (come dice Dante) e non ha bisogno dei consigli di questo libro. La sala ove si darà il pranzo dovrà essere ampia in proporzione degli invitati, riscaldata moderatamente nell'inverno, aereata nell'estate. L'illuminazione deve essere abbondante. Generalmente pendono dal soffitto le eleganti lumiere o circondano i doppieri le pareti, ma qualcuno usa anche mettere bei candelabri con candele di cera. Questione di gusti. La tavola ampia, in modo che ognuno disponga almeno di sessanta centimetri di spazio, sarà coperta da una tovaglia ricadente ai lati: la tela damascata di Fiandra, benchè ancora usata dalle famiglie che ne hanno guarniti gli armadi, non è più moderna, e viene sostituita piuttosto da altre tele di lino, purchè finissime, variamente lavorate. Sotto la tovaglia ci deve però essere una grossa coperta, bianca o di colore adatto alla trasparenza se la tovaglia è traforata, per attutire i rumori e preservare il tavolo dalle eventuali macchie. La decorazione di fiori si può fare in vario modo: grandi coppe larghe e basse, per non impedire la vista, ricolme di fiori variopinti, o vasetti di fino cristallo o di metallo collocati presso ogni convitato, o ghirlandine leggere che corrono lungo la tovaglia. Si badi però di evitare ogni ingombro soverchio. Per questo sono state abolite anche le grandi alzate di frutta e dolci che una volta solevano guarnire le mense. Il tovagliolo va messo alla sinistra del piatto, piegato in quattro, semplicemente: a destra coltello e cucchiaio, a sinistra la forchetta. La piccola posata per frutta e dolce si colloca orizzontalmente davanti al piatto. Tre calici di varia dimensione servono per l'acqua, pel vino da pasto e pel vino bianco. Le coppe dello spumante si possono portare al momento. Sulla credenza e sopra una piccola tavola, ambedue coperte di fini tovagliette, staranno pile di piatti, posate di ricambio, tovaglioli di riserva, bicchieri, boccie di acqua e di vino già pronto, oltre alle bottiglie che vanno sturate al momento. L'argenteria abbondante e massiccia, la fine porcellana, i cristalli delicati sono la gloria e l'eleganza della mensa, oltre la biancheria. E' troppo giusto che gli invitanti sfoggino quanto hanno di meglio in queste occasioni, e non lo fanno certamente per vanità, ma pel desiderio di onorare gli ospiti. I posti sono talvolta indicati da cartelli, e così pure si suol collocare vicino ad ogni piatto la lista dei cibi, in elegante cartoncino fregiato da decorazioni artistiche. Ma questa usanza sa troppo di albergo... o di banchetto diplomatico. Il padrone e la padrona di casa siedono l'uno di fronte all'altro ai due capi della tavola, avendo ciascuno ai lati le persone di maggior importanza. Se vi è un sacerdote, spetta a lui il posto d'onore che è quello a destra della padrona di casa. Il servizio comincia il suo primo giro dalla signora che sta a destra del padrone, il secondo dalla signora che sta a sinistra, il terzo dal signore che sta a destra della padrona, il quarto da quello che le sta a sinistra. Ad ogni portata, si deve far girare due volte il vassoio. Le persone che fanno il servizio devono essere addestrate a farlo con precisione e disinvoltura; la padrona le tenga d'occhio, ma se qualche principiante commettesse una svista, non metta in evidenza la cosa, e si riservi a far dopo le sue avvertenze. Nulla è più spiacevole di sentir a tavola, una signora dar lezione alla cameriera, e peggio ancora se la rimproverasse o mortificasse. La scelta delle portate dev'essere varia e gustosa per avere il gradimento generale. Ora non si usano più, grazie al cielo, i banchetti pantagruelici a cui resistevano, e non si capisce come! gli stomachi dei nostri avi. Ma non bisogna esagerare nell'altro senso. Chi si reca alla mensa altrui ha diritto che sia soddisfatto ampiamente il suo appetito, e il numero e la varietà dei cibi deve in certo modo compensare la libertà ch'egli avrebbe a casa sua, di scegliere e mangiare comodamente, nonchè il sacrifizio delle sue abitudini e dei suoi gusti personali. Bisogna dunque usare una certa larghezza. Francesco Petrarca si compiaceva per conto suo dei pesciolini che gli riusciva di pigliare nelle «chiare, fresche e dolci acque» della sua Sorga, e del pane scuro che si faceva dare dall'ortolano, ma quando riceveva ospiti li trattava splendidamente. Un pranzo di gala è composto di tre o quattro portate oltre la minestra e il dolce. Dopo la minestra si avrà un primo piatto leggero, generalmente pesce con salsa; anche un fritto variato può andar bene. Indi un piatto di carne con contorno, uno sformato o pasticcio, l'arrosto di pollo o vitello con insalata, e finalmente il dolce e le frutta. In pranzi più semplici si sopprimerà il primo piatto di carne e magari anche il piatto di mezzo. Una colazione sarà sempre molto più semplice di un pranzo, poiché si suppone che gli invitati debbano andarsene presto avendo altri impegni per il pomeriggio: in generale avrà al massimo una portata di carne ed una di verdura, oltre, si capisce, dolce e frutta. Alla minestra asciutta si potrà sostituire un antipasto variato (prosciutto, burro, acciughe, sottaceti, insalata alla russa, ecc.), accompagnato magari da una tazza di brodo. Si tenga comunque presente, nell'organizzare un pranzo, che in nessun caso la durata di esso dovrebbe superare l'ora. La minestra non si porta in tavola, ma si serve da un lato, o si fa trovar pronta nelle scodelle. La prima portata deve sempre essere presentata da sinistra, mentre il piatto usato si porta via da destra: le posate si cambiano ogni volta. A tavola non si scalca: i polli devono comparire già fatti a pezzi e la carne tagliata a fette. L'insalata si presenta già condita. Per evitare la sbucciatura delle frutta è molto elegante l'uso della cosidetta macedonia, molto impropriamente chiamata, all'inglese, insalata di frutta. Zucchero e vino bianco finissimo si versa nelle coppe ove prima saranno disposte sbucciate e tagliate a spicchi o a fette le frutta più delicate. Se si serve il gelato, vi deve sempre essere unito un piatto di pasticcini leggeri. Il caffè dev'essere aromatico, caldissimo, abbondante: si serve in eleganti tazzine che sono di stile speciale, oppure analoghe al servizio già usato per la mensa. I vini si servono gradualmente secondo i cibi, dai più leggeri ai più forti. Ogni regione di questa nostra fertilissima Italia ha i suoi, sicché si potrà pasteggiare con Chianti e il Barbera, servir il Capri dopo il pesce, il Barolo dopo l'arrosto, il vin Santo e lo Spumante d'Asti in fine di tavola. Ma nessuna eleganza di preparativi, nessuna squisitezza di cibi o bevande potrà valere quanto la cordiale cortesia degli invitanti. Essi devono tener presente che tutto, in quelle ore, deve contribuire alla gioia e alla serenità dei loro ospiti. L'accoglienza dovra dunque essere improntata al desiderio di compiacerli e rallegrarli in tutto. Essi li attenderanno in una sala attigua, vestiti con eleganza, e pronti un quarto d'ora almeno prima dell'invito; faranno festa ad ogni arrivante e lo presenteranno agli altri, trattenendo la compagnia in piacevole conversazione, sino a che non viene dato l'annunzio che il pranzo è servito. Allora il padrone di casa offre il braccio alla dama più ragguardevole: vengono poi gli altri, a coppie, e ultima la signora di casa col suo cavaliere. Durante il pranzo gli anfitrioni devono vigilare che tutti siano ben serviti. Toccherà a loro mantener nutrita la conversazione, proponendo piacevoli argomenti, ed eliminando avvedutamente ogni soggetto meno che conveniente. Se c'è un festeggiato, il padrone di casa farà, alla fine del pranzo, un breve brindisi in suo onore; se il brindisi è fatto da altri, si alzerà a rispondere in nome di tutti. Avvertiamo che ora, nei brindisi, non si usa più toccare i bicchieri: basta alzarli moderatamente. E dopo tanta... prosa, non dispiaccia la poetica descrizione d'un banchetto, dovuta a quell'impareggiabile artefice di versi che fu Ugo Foscolo:

Pagina 314

Eva Regina

204238
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 8 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Non vegliare molto tardi la sera per abitudine ; levarsi sollecitamente a tutte le stagioni e fare doccie e bagni, abbondanti lavacri seguiti da un buon massaggio ; — nutrirsi di cibi sostanziosi, leggeri e semplici; pochi dolciumi che sciupano i denti e lo stomaco ; pochi acidi che danneggiano il sangue, fare uso di acque minerali ai pasti; moderazione nel consumo di caffè e di thè; nessun liquore. E alternare il più che sia possibile le proprie occupazioni ; fare in modo che un' attività materiale succeda a un' attività del pensiero — così non molte ore immobili alla macchina da cucire, al pianoforte, alla scrivania, ma variare spesso, interrompersi spesso per dare riposo agli occhi ed al pensiero, che riprenderanno poi le proprie funzioni con più lucidità. Ottima l'abitudine d'una passeggiata giornaliera, specie nelle ore del mattino, e il pattinaggio d'inverno, e tutti i giochi da giardino l'estate. Buonissima l'equitazione, la bicicletta; il canottaggio, il nuoto sono pure fra gli esercizi da consigliarsi, segnatamente a chi ha bisogno di sviluppare le braccia e il torace.

Si fa sboffare i capelli sulla fronte e non porta più la treccia cadente, ma la ripiega a metà o stringe i bei capelli abbondanti in un nastro nero sul collo. Va ai concerti, a qualche teatro di musica, a qualche commedia. Ha una bibliotechina di libri a sua disposizione; serve il thè nel salotto della mamma, l'accompagna quasi sempre adesso, nelle passeggiate, nelle visite. Ha fatto un viaggetto sola col babbo e sogna il suo primo ballo...

Pagina 10

Poi c' è la berlina del costume, per quelle di forme troppo... abbondanti, come per quelle di forme troppo... scarse. Ma non importa, le donne amano il mare, il gran mare benefico e purificatore, e gli sacrificano generosamente qualche lembo della loro vanità. Forse ora si fa un po' meno volentieri la vita degli stabilimenti, vivaio di pettegolezzi e d'invidie, ma ogni famiglia ama di avere sulla spiaggia sabbiosa la sua tenda o la sua capanna dove rimanere a fare la siesta in cospetto della cerulea immensità risonante, mentre i bimbi affondano i piedini nudi nell'arena calda e fine, e vanno e vengono dall'onda che si dilata spumosa fra i loro trastulli. Alcune di queste capanne sono vere succursali della casa, veri piccoli luoghi di delizie nell'interno dove non mancano sedie americane, amache, tavolinetti, necessaires, libri, e perfino mobilucci da riporvi le stoviglie per poter far colazione in accappatoio uscendo dal bagno, e prolungare quell'igienica vita da selvaggi e da nòmadi fino all'ora di pranzo. Quest' è la vera vita di cura, a cui una signora di senno, sia che vada per la sua salute o per quella dei suoi piccini, deve uniformarsi. Nè, la sera, rubi le ore al placido sonno che dovrà rinvigorirle le forze e permetterle di essere lesta di buon mattino, o lasci i suoi bimbi, o, peggio, li trascini dietro, per intervenire ai concerti o ai balli nelle sale chiuse, delizia delle signorine in cerca di marito o delle signore avide di... novità. Il più delle volte, poi, una signora è costretta a rimanere ai bagni senza lo sposo, trattenuto in città dalla sua professione o dal suo impiego o dai suoi affari. E allora il suo contegno deve essere ancora più riguardoso, in modo che i maligni non trovino proprio nulla da ridire. Sia pure guardinga nelle conoscenze che contrae : giacchè le può avvenire di ingannarsi sulla rispettabilità di qualche persona, e può stringere inconsideratamente dei vincoli di cui avrà a pentirsi e a vergognarsi; quando non si veda mescolata a qualche intrigo a fatta vittima di qualche soperchieria. La facilità con cui al mare si annodano conoscenze deve consigliarla, almeno, a mantenerle di un carattere superficiale. Non confidenze intime, dunque, non abbandoni d' anima, non espansioni calorose verso una donna che il giorno prima nemmeno salutavate e che, forse, in capo a un mese non rivedrete più. Cortesia con tutti, aiuto vicendevole, anche,giacchè si può dare il caso che una donna abbia bisogno di un' altra donna in qualche triste ora della vita, e nessuna di noi dovrà sottrarsi per il motivo che non è un'amica ma un' estranea colei che attende il nostro soccorso; ma in via normale, intrinsichezza no, almeno finchè non siamo ben sicure che l' oggetto della nostra preferenza è del tutto degno. L'abbigliamento, ai bagni, sia semplice, lindo, fresco, ma nulla più. Molto bianco per le mamme, le giovinette, per i bambini: lunghi veli per riparare il volto dalla brezza troppo rude: cappellini sobri, calzature pratiche. Pochi e meglio non gioielli affatto, perchè si dimenticano nei camerini del bagno o si smarriscono fra la sabbia: fascette elastiche e leggere, in modo da lasciare al torace tutta la libertà di respirare e di muoversi. Accuratezza, decenza ed anche una certa eleganza nel costume incriminato, che alle signore magre consiglierei bianco, di lana ruvida e consistente, con grande collare: alle signore un po'... forti, come dicono le sarte, nero, a lunga blusa.

Pagina 119

Siano pur abbondanti le rendite, siano pur lauti i guadagni dell' uomo, se la sua compagna non conosce la scienza del vero risparmio, dell' equilibrio fra le entrate e le spese, dell' ordine e della regola nell' amministrare il denaro che ha a sua disposizione, la famiglia non potrà mai godere di un tranquillo benessere, d' agiatezza vera. Ed è appunto qui la spiegazione del problema che a molti pare insolubile: la vita comoda condotta da famiglie di mezzi limitati, mentre certe altre che potrebbero trattarsi con una relativa larghezza, tirano avanti alla peggio a furia di sotterfugi e di ripieghi. Una brava padrona di casa è un tesoro inuguagliabile, è per se stessa sorgente di ricchezza, se anche non recò danaro all'uomo che la scelse. Ma non si creda che il buon metodo vero di governare una casa e una famiglia sia retaggio delle menti limitate e porti come conseguenza l' ignoranza e la rozzezza. La vera economia domestica è anzi un complesso di nozioni e di intuizione che richiede spirito pronto, accortezza, riflessione sagace e facilità a comprendere e a ritenere. Gioverà conoscere un poco la chimica per le sue varie applicazioni, per la ripulitura degli oggetti, per la smacchiatura delle stoffe, e per una quantità di piccoli rimedi occorrenti: l' aritmetica per sapere subito quanto si possiede, quanto si spende e si risparmia, e la contabilità per registrare con ordine entrate e uscite e controbilanciarle, sono pure indispensabili. L' igiene, che si estende dalla sorveglianza della nettezza e dell'ordine, all' assistenza dei malati, all'alimentazione e alle cure preventive o ai primi soccorsi nei casi d' urgenza, fa pure parte in certo modo dell' economia domestica, come pure la gastronomia, conoscenza preziosissima per il risparmio, la salute e il buon umore dei mariti; e finalmente l' abilità nei lavori d' ago che permetta alla signora non solo di cucirsi a macchina qualche capo di biancheria, qualche abito da casa e vestire i bambini, ma di rammendare, di rattoppare, di accomodar calze e di tener in ordine il guardaroba della casa, la biancheria e gli abiti del marito. L' esercizio pratico dell' economia domestica consiste pure nella saviezza del bilancio, nella previdenza per le spese eventuali e nella coraggiosa rinunzia alle spese superflue o eccedenti il preventivo : nella prontezza di trovare il male e vincerlo con la modificazione o coll' energico rimedio, nel scegliere tra due metodi il più confacente alle proprie forze e a quello attenersi superando anche, se occorre, il rispetto umano e l' ambizione di parere più di quello che si è in realtà. Per fare tutto questo occorre intelligenza ed anche un po' di coltura. « Non si riflette mai abbastanza — scrive Angelo De Gubernatis — che una buona istruzione dà alla sposa e alla madre vantaggi inapprezzabili nel governo della famiglia.

Pagina 283

Le prime rughe già si disegnano agli angoli delle sue labbra e dei suoi occhi; i primi fili d' argento serpeggiano tra i suoi capelli bruni, ancora abbondanti, ed essa si trova il cuore ricolmo di un'ebbrezza e di un affanno di cui conosce troppo bene il significato. È l'amore venuto insidiosamente a visitarla. È una tardiva rosa di maggio sbocciata solitaria nel suo cuore: un cuore che ha molto sofferto, che nulla ha goduto, che visse per anni e anni nella nebbia, nel freddo, nella solitudine, e che ora prima di arrestarsi per sempre, reclama la sua parte di gioia e di ebbrezza al banchetto della vita. Ed essa invano gli impone silenzio col ragionamento, con l'ironia; invano rinchiude gelosamente quel segreto di passione che le pesa come una colpa. Tutta l'anima sua è fiorita e odorosa come un giardino. È l'ultima primavera, il cui profumo la inebbria e che ha in sè l'ardore di tutte le passate stagioni non vissute e lo strazio dell'imminente addio. « Momento unico e commovente nella vita della donna! scrive il Nencioni. Se bella, la sua bellezza prende allora un carattere di bontà, di tenerezza autunnale : è la bellezza del cuore, del cuore profondo, dei sensi intelligenti, dell' anima passionata; bellezza spirituale che illumina ed armonizza le forme. È il frutto appena maturo punto dall'insetto alato d'agosto e divenuto più dolce: è la donna ferita dal desiderio intenso d' Amore.»

Pagina 428

In generale i capelli più abbondanti e più lunghi sono bruni e neri; è difficile trovare dei capelli biondi e fulvi molto copiosi e prolissi. I più maravigliosi capelli ch'io m'abbia veduto sono stati quelli di un' attrice, la povera Serafini Checchi, morta ancor giovane in America. Alta, formosa, la sua splendida capigliatura le scendeva al ginocchio. Rammento il mormorìo di stupore e d' ammirazione che s'elevò nel teatro una sera che recitava Frine, quando nell'ultimo atto, vestita di un sol manto, si rivolse verso l'areopago concedendo al pubblico la vista di quei stupefacenti capelli d'un bel castano caldo, serici, ondulati, liberi sulle spalle, che la coprivano fino al polpaccio. Anche un' altra attrice della compagnia De Sanctis possedeva una chioma inverosimile. Rammento due treccie brune che scendevano sino alla balza dell'abito bianco. Queste signore non possono certo seguire la moda nella pettinatura. Ma i capelli sono la loro nota personale e possono acconciarli come vogliono. Maggior cura devono usare le donne che non ebbero dalla natura questo dono regale. In questo momento, però, la moda è favorevole agli scarsi capelli, offrendo il soccorso dei toupé, dei postiches, dei rotolini e dei riccioli. Consiglierò sempre però le signore a non sottoporsi ciecamente al modello imposto dall'ultimo figurino di Parigi, ma a seguire la moda nelle sue linee generali, modificandola poi secondo le fattezze del volto, le linee della fronte. Per esempio, una piccola fronte ben disegnata starà bene se si lascia vedere alquanto ; mentre una fronte troppo alta acquisterà a essere nascosta. I visi larghi dovranno preferire le pettinature alte, i visi rotondi le pettinature basse. Ma viene un momento doloroso in cui qualche filo bianco comincia a serpeggiare fra il bruno ed il biondo; e poi il bianco cresce cresce, fino a dominar tutta la massa ancora abbondante. Che fare ? Inutile negarlo: i capelli grigi invecchiano terribilmente, precipitano giù per la china della maturità nella vecchiaia. Vi sono oggi dei preparati innocui per ridonare ai capelli il colore primitivo, e non so perchè una signora non ne dovrebbe approfittare. Soltanto che la consiglierei a farsi fare l'applicazione da un parrucchiere nei gabinetti appositi, dove si possano digrassare i capelli, asciugarli con maggior prontezza e miglior risultato che in casa, dove una mano inesperta può danneggiare. In Francia le signore d' una certa età adottano il biondo, ma chi non è nata bionda difficilmente evita la stonatura fra il colore dei capelli e il proprio tipo. Le bionde hanno una carnagione speciale: la pelle delle brune appare sempre o troppo pallida o grossolana a confronto dei capelli biondi. Meglio dunque serbare il proprio colore naturale. Alcune signore sfoggiano una finissima capigliatura candida che le fa somigliare alle leggiadre figurine dell'epoca di Luigi XVI. Ma è molto difficile arrivare a far diventare i capelli di un candido perfetto: inoltre bisogna che siano di qualità assai fine e soffice. Coi capelli bianchi gioveranno le sopraciglia nere e il volto un po' roseo.

Pagina 586

LA DONNA FORTE Quando le sarte si trovano dinnanzi una signora dalle forme molto abbondanti, per quella conoscenza profonda che esse hanno acquistata della psiche muliebre penetrandovi dal varco più infallibile, quello della vanità, adoperano un aggettivo che pur esponendo il vero stato delle cose toglie tutta la crudezza della realtà, dicono: « La signora è forte.... » E sotto l' usbergo di questa fortezza possono impunemente consigliare e sconsigliare : aiutare a stringere, a raccogliere, a dissimulare: inventare con la cliente nuovi ordigni di tortura. Giacchè questa « fortezza » è tutt' altro che gradita a chi la possiede, ed anzi si fa di tutto per cacciarla.... Ma essa è come l' istinto, cacciato dalla porta torna dalla finestra. In qualche luogo dell' anima o del corpo, istinto, e.... « fortezza » bisogna lasciarli in pace. Tutte le sarte sono però d' accordo nel dire che è assai più facile vestire una signora di forme abbondanti di una che le abbia troppo scarse. Basterà tendere bene la stoffa, far pieghe ed incavi, perchè l'abito stia a pennello. Infatti, solo che la signora sia un po' alta, certi abiti tailleurs, succinti, attillati, sono sul suo corpo una perfezione. Sono gli abiti che una signora « forte » dovrà preferire : scuri, con pochi ornamenti, nessuno vistoso. Da casa porti i vestiti principessa ed anche gli « impero » purchè le disegnino le linee della persona. E il trionfo la aspetta con le toelette di sera, dagli arditi décolletés, dalle spalle che s' intravvedono sotto il velo; le braccia che mostrano il loro modello scultorio sotto la pelle del guanto che non fa una grinza. Lo strascico che le allunga la figura, le dà imponenza regale : i gioielli hanno bel risalto sul suo collo pieno, sul suo seno ricolmo. Con quale sguardo di giusto orgoglio la signora forte può allora guardare le donnine dalla vita di vespa che alla passeggiata le fanno tanta invidia e che nella sala da ballo si difendono male in una nuvola di veli! Ad ogni modo è una compiacenza di breve durata: al mattino dopo, tornano a invidiarle. Pensano ai tormenti del busto, del caldo, e si trovano molto infelici. Un igienista inglese afferma che la causa prima della corpulenza è il troppo mangiare: consiglia quindi un regime di sobrietà. Mangiare, bere, dormire il meno possibile; fare molto moto, in bicicletta, a cavallo, al remo, a piedi, in montagna, per promuovere la traspirazione e il sudore. Astenersi dai cibi grassi, dai dolciumi, dai farinacei, dal latte, dalla cioccolata, dalla birra e dai vini pesanti. Mangiare carne la più asciutta possibile.

Pagina 600

Quindi bagni, abbondanti lavacri, nitidezza nella biancheria, minuziosa cura in ogni dettaglio della toilette intima: semplice eleganza negli abiti e nella acconciatura. Come nella persona, così nei modi. Lo sposo rimanga sempre un poco il fidanzato a cui si desidera esser cara e gradita. Nulla di più poetico e di più dolce che il vedere fra marito e moglie di vecchia data, continuate quelle premure, quelle cortesie, quegli atti d'urbanità, quelle minute e tenere dimostrazioni d'affetto che abbellirono il primo periodo della loro vita in due. E la casa, il nido, rispecchi sempre, per opera della donna, l' accordo, la serenità, la freschezza inalterabile dei cuori. Sentite in che modo delicato e commovente madame Rostand, che vi citavo dianzi come esempio di moglie, esprime il proposito di conservare intatto il suo prezioso tesoro d' amore attraverso la fuga degli anni e le offese del tempo:

Pagina 88

Il giovinetto campagnuolo II - Agricoltura

205989
Garelli, Felice 4 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Ma non bastano i lavori, da soli, a farti ottenere abbondanti raccolti. Se per alcuni anni di seguito tu lavori un terreno, e lo semini, senza concimarlo, il ricolto si fa, da un anno all'altro, sempre più scarso. E perchè? Perchè ogni raccolta porta via dal terreno una parte delle sostanze nutritive ch'esso contiene; cioè porta via le sostanze che esso ha dato alle piante per farle crescere, e fruttificare. Per ciò il terreno, d'anno in anno, si impoverisce, fino a che non avrà più di che nutrire altri ricolti; esso perde la sua fertilità, e diventa sterile. Il suo magazzino di viveri a poco a poco si vuota, come si vuota una cisterna, da cui sempre si prenda acqua, senza che ne venga dell'altra a rimpiazzare quella che si toglie. 2. Che cosa dunque bisogna fare, perchè il terreno conservi la sua fertilità? Tu devi restituirgli, ogni anno, almeno altrettante sostanze nutritive, quante ne diede alle piante che hai in esso coltivate. Se trasgredisci questo precetto, rovini le tue terre, e la tua borsa. DOMANDE: 1. Basta lavorar bene il terreno per averne buon prodotto? - Le raccolte annuali non lo impoveriscono? 2. Che cosa bisogna fare per mantenerlo fertile?

Pagina 107

Dove essa non manca, specialmente in estate, si ricavano abbondanti raccolte; e si gode aria salubre. L'acqua che ristagna, si guasta; perde nel riposo ogni sua virtù; fa intristire le piante; rende malsana anche l'aria. Nei terreni acquitrinosi nemanco i prati ci reggono: là non trovi che erbe di cattiva natura. 2. Anche l'acqua che è nell'aria giova, o fa danno alle piante. Le nebbie, se frequenti nell'estate, fan bene ai prati, e male ai frutti. Le pioggie, a principio di primavera, favoriscono le seminagioni; più tardi disturbano la fioritura. Le pioggie estive ristorano la meliga, i prati; ma se un po' lunghe, danneggiano la raccolta del frumento, e la maturazione dei frutti: onde il proverbio: «Il fresco d'estate fa dolere il capo d'inverno». Le pioggie d'autunno, se lunghe, impediscono la buona maturazione dell'uva, disturbano i lavori d'apparecchio delle terre per la seminagione; epperciò si suol dire che «chi semina con l'acqua, raccoglie col paniere». La rugiada, nei climi caldi e nel periodo estivo, ristora le piante, le ravviva, e quasi supplisce al difetto delle pioggie. Dopo una rugiada abbondante, le piante si tengono fresche, anche nelle ore più calde. Ma la rugiada, se fa ancora un passo, divien brina; non ha che a provare un freddo abbastanza vivo per gelare. E le brine, specialmente tardive, fan gravissimo danno a tutte le piante, particolarmente a quelle di vegetazione precoce. La neve nei paesi freddissimi ripara il terreno, e i seminati. Le piante, coperte da questo mantello, sono assicurate dal freddo. «Sotto neve, pane». Ma il troppo nuoce; se fonde, e poi il freddo rincrudisce e l'agghiaccia, allora fa danno. Quanto alla gragnuola, tu sai la strage che mena sui raccolti: è una desolazione. Dio ne scampi le tue terre! DOMANDE: 1. Quando l'acqua si dice viva? - Morta? - Quando fa bene? - E quando fa male? 2. L'acqua dell'aria fa sempre bene alle piante? - A quali piante giovano, e a quali fan danno le nebbie? - Le pioggie primaverili? - Le estive? - Le autunnali? - Come giova la rugiada? - A quali piante fa più danno la brina? - La grandine? La neve fa bene? - Sempre?

Pagina 32

Ogni pianta ha un terreno prediletto, nel quale dà i migliori, e i più abbondanti prodotti. Coltivate in terreno, pel quale non hanno amore, le piante richiedono maggiori spese di lavori, e di concimi, per dare un buon raccolto. Di ciò ti convince ogni dì l'esperienza. 2. I terreni argillosi, non troppo compatti, convengono al frumento, al trifoglio, alle fave, alle veccie, ai cavoli, in una parola alla maggior parte delle piante coltivate. Le terre marnose sono proprie alla vite, al gelso, al castagno, al frumento, ai prati temporari di trifoglio, di erba medica e di lupinella. Le terre sabbiose, sane, si attagliano alla segala, all'avena, all'orzo, al trifoglio bianco; se profonde, al ciliegio, al castagno; se fresche e buone, al granturco, alla carota, alla barbabietola, alla rapa, e particolarmente alla patata; se ciottolose, alla vite; se umide, al salcio, al pioppo, al platano; se puramente sabbiose, al larice, al pino silvestre e marittimo. Le terre fresche, profonde, e di mezzana consistenza, sono in particolar modo convenienti alla coltivazione della canapa, e del lino. Le terre calcari convengono principalmente ai prati temporari di lupinella, e alle piante di ontano, di frassino, di nocciuolo, di cipresso, di abete, e in generale degli alberi sempre verdi e resinosi. Le terre sabbiose-calcari, bastantemente concimate, dànno buone raccolte di segala, d'orzo, di avena; se profonde, convengono pure al gelso e alla vite. Le terre vegetali di torbiera, o di palude, prosciugate e risanate, forniscono buone raccolte di orzo, e d'avena; vi fanno bene i prati, ed anche l'ontano, i salci, i pioppi. 3. Ciò ti insegna l'esperienza; e alle norme di essa devi attenerti nel coltivare le tue terre. Chi trasgredisce tali norme, non si lagni di scarsi prodotti. Se coltivi patate in terre umide, è naturale che esse infracidiscano; se pianti la vite in terre basse, è anche naturale che il vino ti riesca acquoso. DOMANDE: 1. È vero che ogni pianta ha il suo terreno prediletto? 2. A quali piante convengono i terreni mezzanamente argillosi? - I marnosi? - I sabbiosi? - Le terre fresche, profonde, e di mezzana consistenza? - Le calcari? - Le sabbiose-calcari? - Le vegetali? 3. È proficua la coltivazione di piante in terreno disadatto?

Pagina 55

Coltivando le piante che servono ai bisogni suoi, e delle industrie, l'agricoltore si propone di ricavarne i migliori, e più abbondanti prodotti con la minore spesa possibile. Questo scopo lo raggiunge coi tre mezzi seguenti: 1° Coltivando le piante meglio adatte al luogo; 2° Preparando bene il terreno; 3° Accrescendo e conservando la fertilità del medesimo. DOMANDE: 1. Qual risultato ottiene il coltivatore dalle piante addomesticate? - Se confronti le piante selvatiche con le stesse piante addomesticate, quale differenza vi trovi? - Può il coltivatore creare piante nuove? - Può modificare quelle che Dio ha create? 2. Quale scopo si propone l'agricoltore nel coltivare le piante? - Con quali mezzi ottiene il suo scopo?

Pagina 7

La giovinetta campagnuola

207773
Garelli, Felice 1 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

È un fatto certo che, più vi sono uccelli in un paese, più le raccolte riescono abbondanti, e meglio si conservano le piante dai guasti dei bruchi e degli insetti. Un giorno l'Inghilterra concepì la funesta idea di sterminare tutti i piccoli uccelli credendoli causa delle scarse raccolte, perchè essi bèccano qualche grano per le vie, sull'aia e nelle terre seminate; ma l'Inghilterra non tardò guari a pentirsene. Gli insetti si moltiplicarono spaventosamente, distrussero le raccolte, e avrebbero ridotto il paese alla fame, se non si fosse tosto cessata la guerra agli uccelli. Malgrado ciò, da per tutto si continua a cacciarli spietatamente con schioppo, reti, lacciuoli, e trappole d'ogni maniera. Gli stessi ragazzi campagnuoli trattano da nemici questi piccoli uccelli, che sono i veri amici, i guardiani delle raccolte; ne distruggono le loro covate; alla primavera girano lungo le siepi e nei boschi, frugano nei cespugli, e nel cavo degli alberi, per cercarvi i nidi, e rapiscono alla madre i pulcini appena nati, e fin le uova. Essi rendono male per bene. Invece di proteggerli, per l'aiuto che porgono nel distruggere gli insetti, li uccidono. E questa è una cattiva azione. Dunque si lascino vivere gli uccelli: il buon Dio li ha posti a guardia delle raccolte. Oggi i paesi civili tutelano, con leggi speciali, la conservazione degli uccelli utili, e puniscono con multe chi dà la caccia ai loro nidi.

Pagina 85

Lo stralisco

208502
Piumini, Roberto 2 occorrenze
  • 1995
  • Einaudi
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Alzò la faccia oltre il corpo di lei: come chiedendo aiuto con gli occhi a quelli del suo accompagnatore: ma non vide, accecato di lacrime violente e abbondanti, altro che il misterioso e pacato intrico dei palmizi. Non vide, per lacrime ed ombra, lo sguardo di riservata simpatia, di mesta comprensione, che forse dal folto dei rami gli giungeva.

Pagina 105

In quella stanza, dopo che lei si è addormentata, io faccio sempre accendere luci abbondanti, perché assai spesso, quando le dormo accanto, o anche quando dormo nei miei alloggiamenti, io mi sveglio con il desiderio di guardarla: e cosí faccio, recandomi in silenzio nella sua stanza, e a lungo, senza mai saziarmi, pascolo con gli occhi il suo incanto... Proprio durante una di queste contemplazioni notturne, ospite gentile, mi è venuta l'idea del ritratto... — Tu chiedi dunque che io la ritragga addormentata, Signore? — No, certo, — disse Maometto, spingendo lo sguardo nel cielo già stellato. — Pur restando infinita, la sua bellezza sarebbe incompleta: metà di essa è infatti nel lago degli occhi... — Come farò dunque, o potente? — disse Gentile, con voce lievemente esasperata. — Dipingendola addormentata io non potrò mai vedere i suoi occhi. Pensi forse di raccontarmeli tu, descrivendoli con le parole che un amore come il tuo sa trovare? Maometto sorrise appena. — Che idea strana, amico mio... Potrebbe forse il piú eloquente degli uomini descrivere a un cieco l'immensità del mare, la luminosità dell'alba, lo struggimento di un tramonto, o la gioia di un piccolo che torna a vedere la madre dopo essersi creduto abbandonato? Come potrei io, seppure con parole innamorate, descrivere qualcosa di ancora piú grande e forte: un mistero che, per quanto guardi e scruti, io non capisco e in cui continuamente mi perdo? Dunque, tu vedrai gli occhi di Amilah: il modo e il luogo, li saprai al momento opportuno.

Pagina 97

Il giovinetto campagnuolo I - Morale e igiene

215535
Garelli, Felice 1 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

È un fatto certo che, più vi sono uccelli in un paese, più le raccolte riescono abbondanti, e meglio si conservano le piante dai guasti dei bruchi e degli insetti. Un giorno l'Inghilterra concepì la funesta idea di sterminare tutti i piccoli uccelli, credendoli causa delle scarse raccolte, perchè essi bèccano qualche grano per le vie, sull'aia, e nelle terre seminate; ma l'Inghilterra non tardò guari a pentirsene. Gli insetti si moltiplicarono spaventosamente, distrussero le raccolte, e avrebbero ridotto il paese alla fame, se non si fosse tosto cessata la guerra agli uccelli. Malgrado ciò, da per tutto si continua a cacciarli spietatamente con schioppo, reti, lacciuoli, e trappole d'ogni maniera. Tu stesso, figlio di coltivatore, tratti da nemici questi piccoli uccelli che sono i veri amici, i guardiani delle raccolte; tu distruggi le loro covate; alla primavera giri lungo le siepi e nei boschi, frughi nei cespugli e nel cavo degli alberi per cercarvi i nidi, e rapisci alla madre i pulcini appena nati, e fin le uova. Tu rendi male per bene. Invece di proteggerli, per l'aiuto che ti porgono nel distruggere gli insetti, tu li uccidi. La tua è una cattiva azione. Ora che t'ho avvisato, spero che ricorderai sempre questo precetto: lascia vivere gli uccelli: il buon Dio li ha posti a guardia delle tue raccolte. Oggi i paesi civili tutelano, con leggi speciali, la conservazione degli uccelli utili, e puniscono con multe chi dà la caccia ai loro nidi. Tu, figlio di coltivatore, quind'innanzi ne rispetterai il nido, ancorchè non ti venisse minacciata una multa.

Pagina 124

Il Plutarco femminile

217341
Pietro Fanfano 1 occorrenze
  • 1893
  • Paolo Carrara Editore
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Gli applausi vi furono ma non troppo abbondanti: e non essendovi chi facesse veruna osservazione, non fu tarda la direttrice a dire: "Brava signorina: della Violantina ella ha parlato con assai garbo, e la lodo di cuore per quel che riguarda la composizione. Tuttavia ella ne ha portato alle stelle la bellezza, che, nol niego, fu veramente meravigliosa ed unica; ed ha parlato brevemente, e quasi per incidenza, della sua virtù, la quale sola è degna di vera lode. La bellezza, signora Zita (e parlando a lei intendo di parlare a tutte le compagne), la bellezza è dono di natura; e non dico che sia da tenersi in pregio; ma quando si pensa che per sè stessa non opera nulla di bene: che anzi può esser cagione di molto male, come, per esempio, fu cagione dell'esterminio della sua patria la bellezza di quelll'Elena da lei ora, ricordata: quando si pensa che la bellezza è come un fiore, il quale necessariamente in poco tempo appassisce e muore; chi ha senno non crede che basti essa sola a rendere chi n'è dotato degno di onore e di fama. Può bene essa fruttare e disonore ed infamia; quando una donna vana e di cervello leggero se ne pavoneggia, perchè le può essere occasione a molti e gravi falli; ed invece di lodi e di ammirazioni, poi, si acquistano gli scherni e le beffe delle persone di senno, e degli stessi giovani galanti quelle fanciulle, la cui vanità è così grande che si manifesta in ogni loro atto, nelle foggie del vestire, dell'acconciarsi e del camminare. Ella dunque, gentil signorina, parlando della bella Genovese, doveva esaltarne la meravigliosa bellezza; ma doveva aggiungere che la fama di lei è così chiara, perchè questa beltà era congiunta alla semplicità di costumi, alla pudicizia ed all'amor conjugale, di cui essa dette raro esempio: e dopo aver detto quel che ho detto io sulla caducità della bellezza, doveva chiudere il suo discorso col dimostrare come la virtù non muore, è efficacissima operatrice del bene, è la sola insomma che meriti altissime lodi." La signorina intese benissimo dove andavano a battere le parole della direttrice, e fece il viso come di fuoco: lo intesero parimente alcune di quell'altre ragazze, e ne fecero bocca da ridere. Fatto sta per altro che la predica fruttò; perchè quella fanciulla, la quale in fin de' conti era buona, temperò assai quel poco di vanità che aveva per il capo; e fu anzi di buon esempio alle altre.

Pagina 39

Il ponte della felicità

219055
Neppi Fanello 2 occorrenze
  • 1950
  • Salani Editore
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Da alcune bisacce tolsero cibi vari e abbondanti e cominciarono allegramente a mangiare, intercalando i bocconi con lunghe sorsate di vino di Cipro. - Chissà che cosa dicono! - mormorò Alvise all'orecchio di Agnolo, che gli stava accanto con il braccio appoggiato alla sua spalla. - Te lo dirò poi, - gli assicurò sottovoce il marinaro. Evidentemente Agnolo, che aveva navigato molto nei mari di Levante, comprendeva il turco. Il ragazzo non vedeva l'ora che il bivacco finisse per essere ragguagliato sulle intenzioni e le mire dei corsari. Alla fiamma crepitante del falò continuamente .... accesero un grande falò e vi si sedettero intorno. alimentato, e nel quale finirono miseramente buona parte delle tavole della zattera, il pasto si protrasse a lungo. Finalmente gli uomini si alzarono barcollando e si guardarono intorno con una cert'aria stupita, borbottando qualche cosa tra loro. Con un gesto rapido Agnolo trasse Alvise nell'angolo più remoto della grotta e gli bisbigliò: - Taci, e non fare il più piccolo rumore. - Trattenendo il respiro, stretti uno accanto all'altro, l'uomo e il ragazzo udirono i corsari camminare più volte avanti e indietro, come se fossero incerti, fin che poi svoltarono l'angolo della scogliera dove si aprivano altre grotte. Poco dopo tutto tacque, tranne il respiro gigantesco delle onde. - Chi sono? - osò allora chiedere Alvise. - Sono corsari, diretti nel golfo di Lepanto per unirsi all'armata turca. Hanno detto che i nostri saranno attaccati dopo il cinque di ottobre. - Ma perchè sono qui? - Sono scesi in questa isoletta per rifornirsi di acqua e domattina riprenderanno il mare. - Ma che cosa cercavano con tanta ansia? - Si meravigliavano di non trovare più la grotta dove erano soliti coricarsi. Buon per noi che avevamo mascherato l'ingresso e che il buio della notte ha favorito i nostri piani! - Tutto questo Agnolo lo aveva sussurrato rapidamente, ansando per l'emozione. - Sicchè, la battaglia contro i Turchi non è ancora avvenuta? - No, certo; ma è imminente. Un centinaio di galee, agli ordini di Alì pascià, sono in procinto di assalire l'armata della Lega. - Dopo un lungo silenzio, il ragazzo disse: - Agnolo, facciamo qualche cosa per la nostra patria? - Di tutto cuore; ma non so che cosa possiamo fare in quest'isola! Non possiamo certo assalire i corsari, disarmati come siamo. La lotta sarebbe impari: due contro otto! - Giocheremo d'astuzia, Agnolo. - Hai già un piano combinato? - Sì; ma è necessario che prima di tutto io mi renda conto di molte cose. Voi, che non potete ancora camminare, aspettatemi qui. - Vuoi uscire? Ne va di mezzo la tua vita, Alvise! - Per Iddio e per san Marco. - Come vuoi, caro ragazzo.... Che Dio e san Marco ti proteggano! - Piano piano, Alvise cominciò a demolire la barricata che ostruiva l'ingresso alla caverna, ma per quanto cauti fossero i suoi gesti, un sasso rotolò con un tonfo sordo lungo la scogliera. Il cuore di Alvise cessò per un attimo di battere; ma nulla si mosse, segno evidente che i corsari si erano addormentati. Rinfrancato, il ragazzo continuò il suo lavoro, e poco dopo era sulla spiaggia. Le ceneri del bivacco biancheggiavano sulla rena, ancora tepida. Tutto intorno, pace e silenzio. Alvise si avvicinò alla barca dei corsari e raccogliendo tutte le sue forze tentò di spingerla verso il mare. Dapprima la chiglia, incassata nella rena, resistette, poi si mosse con lentezza e scivolò fin dove le onde si fermavano spumeggiando. Soddisfatto, il ragazzo tornò sui suoi passi e andò cautamente, come un felino, verso l'angolo della scogliera, dove si aprivano le altre grotte. Anche da quella parte, pace e silenzio. Alvise raggiunse di nuovo la caverna, e al compagno, che lo aspettava trepidante, sussurrò: - Fuggiamo. Appoggiatevi a me. - Senza una parola, Agnolo si aggrappò al ragazzo e insieme percorsero il breve tratto di spiaggia. Raggiunsero la barca e non senza fatica vi salirono e s'impossessarono dei remi. Dolcemente, affinchè il tuffo dei remi non fosse udito dai corsari, essi spinsero la barca verso la galea. Raggiuntala, legarono l'imbarcazione perchè non andasse alla deriva, poi si arrampicarono sulla scaletta di corda che pendeva lungo la murata, e furono a bordo. - Bisogna che ci allontaniamo alla svelta, - disse Agnolo. - Se i corsari si accorgessero ora della nostra fuga, ci sarebbero presto addosso e ci farebbero morire tra i più atroci tormenti. - .... si mosse con lentezza e scivolò dove le onde.... Svelto come uno scoiattolo Alvise si arrampicò sui pennoni e sciolse le vele. Ma la notte era calma, fresca, senza un filo d'aria. Le vele rimasero inerti e lo scafo non ebbe il più piccolo rollìo. Agnolo e Alvise si guardarono, sgomenti. - Non ci resta che aspettare pregando, e che san Marco ci assista! - disse Alvise. - Hai ragione. Il Cielo non ci può abbandonare. - E infatti il Cielo vegliava sui miseri. Una leggera brezza cominciò a soffiare, aumentò gradatamente d'intensità, gonfiò le vele, e la galea scivolò rapida sulla superficie increspata. Agnolo e Alvise ringraziarono Dio e tornarono sul ponte. Il marinaro fece rettificare ad Alvise la direzione delle vele, poi si pose al timone. - Tu, - disse al ragazzo - scendi; un po'di riposo ti farà bene. - Alvise s'impadronì di un mantello che giaceva vicino all'albero di trinchetto, vi si avvolse, e sdraiato accanto ad Agnolo disse: - Rimango con voi a farvi compagnia. Chiacchiereremo un pochino. - Ma la testa del giovane aveva appena toccato le dure tavole che gli occhi gli si chiusero in un sonno di piombo. Agnolo, le salde mani strette alla ruota del timone, rimase a vegliare quel letargo innocente. La notte era senza luna, ma un'infinità di stelle brillavano in cielo e la loro luce fu indicibilmente consolante per il cuore del vecchio marinaro.

Pagina 101

Con l'aiuto di certe erbe aromatiche che crescevano abbondanti nella parte orientale dell'isola, Agnolo, così si chiamava il marinaro, riusciva a fare un'ottima zuppa di pesce. Sempre a oriente dell'isola, Agnolo aveva suggerito ad Alvise di scavare nella roccia alcune buche che, riempite poi d'acqua di mare, formavano piccoli stagni artificiali dove l'acqua, evaporata dal calore del sole, lasciava uno strato di sale, molto utile per i loro cibi. Gli uccelli, che nidificavano numerosissimi sui rami frondosi degli alberi, fornivano con la loro carne e con le loro uova una variante al cibo quotidiano. Essi venivano catturati mediante alcune rudimentali tagliole nascoste intorno agli alberi e cotti nello spiede davanti a una bella fiamma crepitante. Agnolo aveva raccolto una grande quantità di alghe, seccate dal sole, e con dei pezzi di vele cuciti con fibre animali aveva fatto due materasse asciutte e morbide. Così, nell'incessante lavoro e nel reciproco aiuto, la loro vita scorreva abbastanza serena. Ma, dove era in quel tempo la squadra veneta? La battaglia contro i Turchi aveva avuto luogo?... E quale ne era stato il risultato? Domande che i due naufraghi si rivolgevano spesso. Alvise, inoltre, pensava al padre, a nonna Bettina, a Loredana. Che cosa facevano i suoi cari? Invocavano il suo ritorno o piangevano la sua morte? Mentre la zattera procedeva mollemente cullata dalle onde, Alvise lasciava che la nostalgia cullasse il suo tenero cuore. Qualche volta tornava da Agnolo, con gli occhi rossi nel viso dimagrito e bruciato dal sole e dal vento salmastro; ma bastavano poche parole buone del suo compagno per rincorarlo e infondergli fiducia nell'avvenire. Per fortuna la stagione si era mantenuta buona. Solamente qualche giorno prima il cielo si era rannuvolato e la pioggia era caduta monotona e insistente per ventiquattr'ore. Sembrava, quella pioggia, l'addio accorato dell'estate. Il sole, tornato nel cielo di un pallido azzurro, aveva illuminato il mare improvvisamente scolorito. Solo la vegetazione delle dune e le foglie dell'albero apparivano più verdi e lucide dopo quell'acquazzone. All'alba e al tramonto l'aria cominciava a farsi pungente e già aveva il mesto sapore dell'autunno. Che ne sarebbe stato dei due naufraghi quando il maestrale, e le raffiche della pioggia sempre più fitte, e le brume sempre più dense avessero avvolto l'isola? Quando le verdi foglie dell'albero fossero ingiallite e la pispigliante tribù dei pennuti dispersa in cerca di lidi più clementi? Ma nel chiaro mattino di fine estate era dolce vogare, cullati dalle onde leggiere, sospinti dalla tepida brezza. E nel cuore di Alvise ferveva un grande amore, per le cose e per gli uomini. Egli andava, andava, sulle ali dei suoi giovani anni, e gli pareva di compiere viaggi sognati in giorni lontani, viaggi ammalianti che, pur percorrendo tutte le strade del mondo, lo riconducevano sempre alla sua città benedetta. Eccolo lì, il leone di san Marco che sventola sul pennone di fortuna della zattera, vicino alla piccola vela bucherellata! Gli bastava di alzare gli occhi su quel fragile lembo di patria perchè tutte le cose, mare, cielo, scogli e spiaggia, assumessero uno splendore insolito. Lo avresti creduto tu, piccola Loredana lontana, un simile miracolo, mentre la tua mano dipingeva l'emblema dell'Evangelista sullo sfondo turchino? Immerso nei suoi pensieri, il giovane non si accòrse che stava per doppiare la punta della scogliera e avvicinarsi alla loro piccola rada sabbiosa. Si era dimenticato di lanciare il solito richiamo all'amico intento certamente ad ammannire il frugale pranzo. - Agnolo, Agnolooo! - gridò con tutta la forza dei suoi capaci polmoni. Nessuna voce rispose al suo appello. Sorpreso e inquieto, Alvise afferrò una specie di remo giacente nel fondo della zattera, e con poche bracciate spinse l'imbarcazione ad arenarsi sul lido. I suoi occhi corsero subito alla grotta; ma Agnolo non c'era. Lo scoprì poco dopo, addossato agli scogli. Con grande fatica si era trascinato fin là e stava fissando un punto lontano. Nella luminosità cristallina dell'orizzonte si profilava una galea. La prora era rivolta verso l'isolotto e le vele, tutte spiegate, sembravano di una leggerezza irreale. - Agnolo! Agnolo! - mormorò Alvise, mentre Lo scoprì poco dopo, addossato agli scogli. sentiva il cuore battergli in gola. - Iddio ci assiste: saremo liberati, Alvise! - rispose il marinaro. E le sue chiare pupille si velarono di lacrime. - Quando credete che la galea giungerà qui, Agnolo? - chiese Alvise, afferrato da una grande impazienza. Avrebbe voluto gettarsi in mare e a forza di braccia andare incontro alla nave salvatrice. - Figliuolo mio, potrà esser qui verso sera, purchè il vento non cada. - Tanto tempo impiegherà?... - disse Alvise, deluso. - E se frattanto sopraggiunge la notte, la nave passerà senza vederci. - Non temerlo. Quando il sole tramonterà, accenderemo un bel fuoco per richiamare la sua attenzione. - Vado subito a raccogliere degli sterpi e delle alghe secche. - Piano, piano, Alvise! - mormorò il marinaro, sorridendo all'impazienza del giovane. - Aiutami piuttosto a scendere da questi scogli. Consumeremo prima il nostro pasto, poi penseremo al da farsi. - Il cibo era pronto e saporito; l'appetito non mancava; eppure Alvise non riusciva a inghiottire nulla. La commozione e l'orgasmo gli stringevano la gola e pareva lo soffocassero. Teneva il viso rivolto al mare, verso quella nave che per la sua lontananza sembrava ancora tanto piccina, e che pur conteneva, nel sue scafo leggero, un mondo intero di care speranze. E la muta, ardente preghiera delle mani incrociate sulle ginocchia lo accompagnava sull'immensa distesa lucente.

Pagina 95

Al tempo dei tempi

219402
Emma Perodi 1 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Tutti i carrubbi che crescevano abbondanti sul colle di Monreale erano stati scortecciati dal fulmine, e naturalmente l'iniziale del nome reale era pure scomparsa. - Signora del Cielo! - esclamò a quella vista Guglielmo. - Non permettete che il nemico del genere umano impedisca che io possa usufruire della Vostra benignità; fate che io possa sollevare le angustie del mio popolo! - Questa volta il Re non cadde nel sonno dopo la fervida invocazione, ma desto udì la voce dolcissima che gli diceva: - Vicino al carrubbo al cui piede sono seppelliti i tesori, vedrai una pianta di rosa tutta fiorita. Lì conficca la spada che ha sull' impugnatura la croce, e il nemico implacabile del genere umano, Satana, fuggirà nel vederla. - Il Re cadde ginocchioni ringraziando la Vergine della Sua benignità e si diede a cercare la pianta di rosa fiorita; ma in quel momento il cielo si fece di piombo, si alzò un vento impetuoso, e fulmini e tuoni accompagnati da acqua e grandine resero impossibile al Re di proseguire. Rifugiato in una grotta naturale attese lungamente il cessar della bufera, ma quando questa si calmò la notte era già calata, i sentieri del colle erano convertiti in tante fiumane, cosicchè Guglielmo dovette attendere l'alba. E questa sorse radiosa. Le piante verdissime parevano tutte rivestite di nuove foglie, il cielo era di un azzurro pallido, incantevole e l'aria di una purezza deliziosa. Dopo la consueta preghiera mattutina il Re si diede di nuovo a cercare la pianta di rosa fiorita, ma ahimè! il temporale aveva portato via tutti i petali dei fiori e vide non poche piante di rosa, ma nessuna aveva fiori. Cerca cerca finalmente ne scoprì una, spoglia pure di rose, ma nel fondo di una fossa che l'acqua vi aveva scavato al piede riempiendola, vide molti petali incarnativi mescolati al fango, e lì nella terra conficcò la spada con l'impugnatura a forma di croce, quella stessa spada che i suoi avi avevano cinta nell'impresa di Terrasanta prima di approdare a Salerno e d'incominciare la conquista delle Puglie. Col cuore pieno di speranza nell'efficacia del santo segno per fugare Satana e i suoi demoni, Guglielmo fece ritorno alla Reggia di Palermo, e fatti chiamare i villani di Malata Busambra, i quali erano fuggiti durante la tempesta suscitata dal gran nemico del genere umano per impedirgli di ritrovare i tesori seppelliti dal padre, tornò nel bosco di Monreale. Là con sua immensa gioia trovò la spada ov'egli l'aveva conficcata, e poco distante vide una specie di voragine aperta nel terreno, dalla quale Satana certo era sprofondato nell' interno, vedendo la croce. Lì Guglielmo fece scavare, e appena a pochi palmi nel terreno le vanghe dei villani incontrarono la roccia. Tolta la terra si vide una porticina di ferro, che il Re fece rompere, e aperta quella apparve una lunga scala scavata nella roccia. Scese quella scala, e qual non fu la sua gioia, la sua commozione trovandosi in una grotta ampia come una piazza, con tutte casse di ferro giro giro, che contenevano monete sonanti. Il Re risalì e spedì un messo a Palermo con l'ordine d'inviargli cento mule, e quando queste giunsero le fece caricare di monete; poi, lasciati alcuni cavalieri a guardia del tesoro, andò a Palermo. Dopo sei giorni la grotta era vuotata, e Guglielmo quel giorno stesso faceva un bando. Valletti e paggi giravano per le città e per le campagne annunziando che il Re ritirava tutta la moneta di suola, come la chiamavano, e dava in cambio moneta sonante, e sempre in quel giorno partivan messi per tutte le città del mondo per invitare gli architetti più celebri a presentare un disegno del tempio, che doveva sorgere sulla collina di Monreale, bello e maestoso come niuno altro tempio della cristianità; i maestri mosaicisti a presentare disegni per ornare le navate con i fatti più noti dell'antico e del nuovo Testamento, e gli scultori per farvi i lavori di marmo. Nell'abside doveva esser raffigurata in mosaico la Vergine in trono, coi due angeli, gli apostoli ai due lati, più sotto quattordici santi, e più sotto ancora e dai lati, san Pietro e san Paolo e finalmente il Cristo, come era apparso a Guglielmo la prima volta. Vennero gli architetti in Palermo e presentarono i disegni; vennero i mosaicisti da Venezia e da Costantinopoli, e vennero gli scultori da Pisa e da Firenze, ma nessuno dei disegni parve a Guglielmo quale egli lo aveva sognato. E sempre pregava la Vergine che ispirasse Lei gli artisti per il tempio che voleva dedicarle. Una mattina nel destarsi Guglielmo trovò i disegni tracciati sulle pareti della sua camera. Su una c'era la facciata, su un'altra una delle porte laterali, sulla terza l'abside con la visione riprodotta, e sulla quarta uno dei lati interni della navata. Nessuno può ridire l'esultanza di Guglielmo. Cadde ginocchioni, pregò con tutto il fervore di cui era capace il suo cuore riconoscente, e subito, chiamati architetti, maestri mosaicisti e scultori, ordinò loro di copiare il disegno, d'ingrandirlo e di preparare i materiali. E nell'anno 1174 fu posto mano alla costruzione e vi furono impiegati per ordine del Re tutti coloro che non avevano lavoro. La costruzione durò quindici anni, e Guglielmo spese per il tempio somme enormi, e sempre sollecitava architetti e maestri mosaicisti di terminarlo presto, per timore di morire senza vederlo compiuto. Annesso alla cattedrale costruì un convento, vi fece venire i Benedettini di Cava, e sopra il trono reale, nell'interno della cattedrale, fece fare un mosaico che lo rappresentava in atto di offrire il tempio alla Vergine. Il Re non aveva figli, ma non si crucciava tanto della successione al trono, quanto di quella della cattedrale. Mancava poco che fosse ultimata quando il Re, che era nel fiore degli anni, ammalò di un male che nessuno conosceva. Egli non pregava perchè gli fosse concessa la salute, soltanto supplicava la Vergine che gli concedesse tanti giorni di vita per veder terminato il tempio. E la grazia gli fu concessa. Quel giorno di gioia egli lo visse e sentì le benedizioni del popolo. Poi si spense, ma Guglielmo vive ancora nella memoria del popolo siciliano, e il tempio è là in alto, con le sue colonne, con le sue porte bronzee, con i suoi mosaici preziosi su fondo d'oro, e quando il sole del tramonto penetra dalle alte finestre, pare un lembo di paradiso ed è degno trono alla Vergine. E ancora il popolo, orgoglioso di quel tempio, dice:

Contessa Lara (Evelina Cattermole)

220086
Storie d'amore e di dolore 1 occorrenze
  • 1893
  • Casa editrice Galli
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

La faccia lunga e scarna d' un pallor olivastro appariva quasi infantile all'ombra del cappello di feltro molle che gli si posava su' capelli neri e abbondanti. E poichè il perito sembrava cercarlo, allungando il collo, il giovane, impacciato sotto tanti sguardi, rasentò la parete, s'accostò al banco, e cavandosi di tasca un portafogli slabbrato, ne tirò fuori una carta rosea da cento franchi. Mentre la tendeva, le dita lunghe dalle nocche sporgenti gli tremavano. - Non importa che paghi adesso. Basta il suo nome. Le manderemo, se crede, il quadro a casa — disse il perito con cortesia, ma evidentemente seccato di questa interruzione. — No, no, ora, ora.... La porto io stesso - insistè l'acquirente, il cui nome ignoto fu prontamente allineato nel registro dallo scritturale. Il giovine, rosso fino alla punta de' capelli, preso con uno sguardo tra diffidente e incerto il ritratto muliebre per la cornice, se lo portò via con passo rapido e con addosso il fremito convulso d'uno che l'avesse rubato. Subito un altro lotto circolava....

Mitchell, Margaret

221092
Via col vento 1 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

In compenso, erano ancora abbondanti la carne di maiale, il pollame e i legumi. Il blocco yankee era diventato piú rigoroso e alcuni articoli di lusso, come il tè, il caffè, le seterie, le stecche di balena, l'acqua di Colonia, le riviste di moda e i libri erano scarsi e carissimi. Perfino i tessuti di cotone piú ordinari erano aumentati di prezzo e le signore erano costrette, loro malgrado, a indossare gli abiti della stagione precedente. Telai, che da anni erano stati relegati in soffitta a riempirsi di polvere tornavano all'onor del giorno e quasi in ogni salotto si trovavano rotoli di stoffa tessuta a mano. Tutti, soldati, borghesi, donne, bambini, negri, cominciavano a portare di queste stoffe. Il cenere, che era il colore delle uniformi della Confederazione, era praticamente scomparso per dar luogo a questi tessuti color bruno grigio. Gli ospedali cominciavano a preoccuparsi per la mancanza di chinino, di calomelano, di oppio, cloroformio e iodio. Le bende di tela e di cotone erano diventate troppo preziose per esser gettate via dopo averle adoperate; tutte le signore che facevano servizio di infermiera in qualche ospedale portavano a casa cestini di roba insanguinata da lavare e stirare per essere rimessa in uso. Ma per Rossella, appena uscita dalla crisalide della vedovanza, la guerra non era che un periodo di gaiezza e di divertimento. Anche le piccole privazioni di cibo e di vestiario non le davano noia in quella sua felicità di esser tornata nel mondo. Quando pensava alle giornate cupe e monotone dell'anno precedente, le sembrava che la vita avesse preso oggi un ritmo velocissimo. Ogni giorno le portava una nuova avventura; nuovi uomini che chiedevano di recarsi a farle visita, che le dicevano che era bella e che combattere e forse morire per lei era un privilegio. Amava Ashley con tutte le forze del suo cuore, ma non poteva fare a meno di invogliare altri uomini a chiederle di sposarla. La guerra sempre presente nello sfondo, dava alle relazioni sociali una piacevole mancanza di cerimonie, che le persone anziane osservavano allarmate. Le mamme stupivano vedendo che uomini a loro sconosciuti venivano a far visita alle figlie; gente che giungeva senza lettere di presentazione e i cui precedenti erano ignoti. La signora Merriwether, che non aveva mai baciato suo marito prima del matrimonio, non credeva ai suoi occhi quando sorprese Maribella che baciava il piccolo zuavo. E la sua costernazione aumentò quando Maribella rifiutò di sentirsi piena di vergogna. Anche il fatto che lo zuavo chiese immediatamente la mano della fanciulla non giovò a nulla. La signora Merriwether ebbe la sensazione che il paese andasse verso una completa rovina morale e non mancò di dirlo, spalleggiata dalle altre madri. Ma coloro che si aspettavano di morire fra una settimana o fra un mese non potevano certo attendere un anno per chiedere il permesso di chiamare una ragazza per nome, magari col «Miss» davanti. Né potevano perder tempo in un corteggiamento riguardoso come quello in uso prima della guerra. Al massimo aspettavano un paio di mesi prima di chiederla in moglie; e le ragazze a cui era stato insegnato che bisognava rifiutare almeno tre volte prima di accettare, ora accettavano alla prima domanda. Tutto ciò divertiva Rossella, la quale - a parte la noia di curare gli ammalati e di preparare le bende - sarebbe stata contenta che la guerra non finisse mai. In verità, ora sopportava ottimamente anche il servizio d'ospedale, perché questo luogo era un buonissimo terreno di caccia. I deboli feriti soccombevano al suo fascino senza lotta. Bastava cambiar le fasciature, sprimacciare i guanciali e sventolarli un pochino, ed ecco che si innamoravano. Era il paradiso, a confronto dell'anno scorso! Rossella era tornata ad essere quella che era prima di sposare Carlo; come se non si fosse mai maritata, non avesse mai avuto la triste notizia della sua morte, non avesse messo al mondo Wade. Guerra, matrimonio, maternità erano passate sopra di lei senza toccare alcuna corda profonda nel suo intimo; e il bambino era cosí ben curato dagli altri nella casa rossa, che ella quasi dimenticava di averlo. Era nuovamente Rossella O'Hara, la bella della Contea. I suoi pensieri erano identici a quelli di prima, ma il campo delle sue attività si era enormemente ampliato. Incurante della disapprovazione delle amiche di zia Pitty, ella si comportava come si era comportata prima del matrimonio; andava ai ricevimenti, ballava, usciva a cavallo con ufficiali, civettava, insomma faceva tutto ciò che faceva da fanciulla; soltanto non si toglieva il lutto. Sapeva che per Pitty e Melania sarebbe stato un colpo troppo forte. Si sentiva felice quanto poche settimane prima si era sentita disgraziata; felice di avere i suoi spasimanti, di essere sicura del proprio fascino; felice quanto era possibile esserlo con Ashley marito di Melania e in pericolo. Ma era piú facile sopportare il pensiero che egli appartenesse a un'altra, quando era lontano; con le centinaia di miglia che erano fra Atlanta e la Virginia, a volte le pareva che fosse piú suo che di Melania. I mesi d'autunno del 1862 trascorsero velocemente in queste divertenti occupazioni, interrotte da qualche breve visita a Tara. Queste non le davano la gioia che ella si riprometteva quando le pregustava ad Atlanta, perché non vi era il tempo di star seduta accanto ad Elena, mentre questa cuciva, aspirando il lieve profumo di verbena delle sue vesti; ed era impossibile avere lunghe conversazioni con sua madre e sentire le dolci mani di lei sulle sue guance. Elena, smagrita e preoccupata, era in piedi dalla mattina sino alla tarda sera, molto tempo dopo che tutta la piantagione era addormentata. Le richieste del commissario della Confederazione erano sempre piú gravose; ed ella aveva il compito di far produrre a Tara il piú possibile. Perfino Geraldo era occupatissimo, per la prima volta da molti anni, perché non aveva trovato un sorvegliante che sostituisse Giona Wilkerson e quindi correva in persona attraverso la piantagione. In queste condizioni, Rossella trovava Tara noioso. Perfino le sue sorelle si occupavano delle proprie faccende. Súsele si era messa «d'accordo» con Franco Kennedy e gli cantava «Quando questa guerra crudele sarà finita» con un'intenzione maliziosa che Rossella trovava insopportabile e Carolene fantasticava pensando a Brent Tarleton, sicché non era una compagnia interessante. Benché Rossella andasse sempre volentieri a Tara, pure era ben contenta quando le inevitabili lettere di zia Pitty e di Melania la supplicavano di tornare. Elena sospirava, attristata dal pensiero che la sua maggior figliuola e l'unico nipotino dovessero lasciarla. - Ma non debbo essere egoista e trattenerti qui quando c'è bisogno di te come infermiera ad Atlanta - diceva. - Soltanto... mi pare di non avere mai il tempo di parlare con te, tesoro mio, e di sentire che sei di nuovo la mia piccina, come una volta. - Sono sempre la tua piccina - rispondeva Rossella; e nascondeva il volto nel seno di Elena, sentendo che la coscienza le faceva dei rimproveri. Non diceva a sua madre che erano i balli e gli spasimanti che la richiamavano ad Atlanta e non il servizio della Confederazione. Vi erano molte cose che ella taceva a sua madre. E soprattutto conservava il segreto sul fatto che Rhett Butler si recava sovente in visita a casa della zia Pitty.

Pagina 239

Cosima

243690
Grazia Deledda 2 occorrenze
  • 1947
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
  • verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

I loro vestiti sono davvero buffi, con la sottana larga e lunga allacciata alla vita intorno alla camicetta a sprone con le maniche abbondanti: il tutto di un tessuto a striscie colorate: della stessa stoffa è la borsa per i libri: hanno anch'esse le calze bianche e gli scarponcini coi chiodi; e in testa fazzoletti di seta che già però esse annodano con civetteria sulla guancia sinistra, lasciando scoperti i capelli fino a metà testa. La piccola, Cosima, che ancora non ha l'età di andare a scuola, le guarda con ammirazione e invidia, ma anche con un certo timore, poiché esse, specialmente Enza, non solo non giocano volentieri con lei, ma le prodigano pugni, spintoni e bòtte e parolacce: tutta roba imparata dalle compagne di scuola. Piú buono, con lei, è il fratello Andrea. Ecco che, quando le due sorelle sono già anch'esse avviate a scuola, il ragazzo scende, ma disdegna di prendere il caffè e latte; roba di donnicciuole, dice. Lui mangerebbe già una fetta di carne rossa mezzo cruda, e non essendoci questa si contenta di tirar giú il canestro dei servi e rosicchia coi suoi forti denti il pane duro e una crosta di formaggio. Nanna gli va appresso supplichevole, con la tazza colma in mano: poiché questo Andrea è il suo idolo maggiore, il suo affanno e la sua sola preoccupazione. «Mi sembri un pastore» dice, mettendogli davanti la tazza. «Prendi questo; prendi, agnello; il maestro ti sentirà l'odore del formaggio.» «E lui, chi è? Io sono un pastore ricco, ma lui è un povero accattone, un ubriacone pidocchioso.» Cosí parla Andrea del suo professore di latino; e lo dice con convinzione poiché tutta la gente che vive di lavoro intellettuale è per lui piú povera dei mandriani e dei manovali. La sua mentalità è davvero da ricco pastore, che fa una vita rude ma ha bestiame, terre e denaro; e sopra tutto libertà di azione, tanto per il bene come per il male. Anche la sua persona è tozza, squadrata, le vesti trasandate; ma la testa è caratteristica, possente, tutta capelli nerissimi; il profilo è camuso, con le labbra sensuali; gli occhi d'un grigio dorato, corruscanti come quelli del falco. Non ama lo studio, ed è felice solo quando può scappare di casa, a cavallo, come un centauro adolescente. Nessuno gli ha insegnato a cavalcare: eppure egli monta anche senza sella sui puledri indomiti, e i suoi urli per aizzarli gareggiano coi loro nitriti. Nell'accorgersi di Cosima, che se ne stava quieta seduta su una seggiolina bassa, con la scodella in grembo, le sorrise e prima di uscire le si avvicinò dicendole sottovoce, con un accento sommesso di complicità: «Domenica ti porterò, a cavallo, al Monte: ma zitta, eh!» I grandi occhi di lei si aprirono, lucenti di gioia e di speranza: e questa promessa del fratello, piena di lusinghe e di visioni straordinarie, si mischiò alle sue fantasticherie, intorno al mistero della creatura nata quella notte in casa, venuta non si sa di dove, come, né perché.

Pagina 17

Il viso color bronzo era circondato da una barba a collare, di un nero corvino, che lasciava scoperte le grosse labbra sanguigne: gli occhi, con le sopracciglia come quelle della sorella dei banditi, ma esageratamente piú abbondanti, avevano la pupilla grande e la sclerotica azzurra. "Sono perduto" pensò il signor, Antonio, ma non finse neppure di sorridere per nascondere la sua forza. Fece entrare l'uomo, e notò che costui, nonostante la mole massiccia della sua persona, camminava silenzioso e leggero come un daino: aveva ai grandi piedi calzari di pelle grezza, allacciati sotto le uose di orbace: calzari da uomo che usa correre furtivo e allontanarsi in poche ore dal luogo del suo misfatto, in modo da procurarsi un infallibile alibi. "Questo, stanotte mi strozza" pensa il signor Antonio: tuttavia lo fa entrare nella stanza ospitale, gli assegna il posto d'onore davanti alla tavola, ma non si affretta a offrirgli da bere per dimostrargli la sua sicurezza. Anche prima di essere interrogato, l'uomo comincia a parlare: la sua voce è bassa e quieta; la parola lenta, prudente. E subito il signor Antonio respira: poiché tutto nell'uomo, anche l'occhio, può mentire: mai la voce, anche se egli cerchi di mascherarla. E la voce di quell'uomo che pareva un ciclope venuto giú dai monti pietrosi per abbattere qualche cosa che non gli andava a genio, era quella di un saggio. L'argomento era quello: l'affitto del bosco ghiandifero ai banditi. Egli non disse che era un loro favoreggiatore, anzi un loro complice, ancora a piede libero perché troppo furbo e prudente per lasciarsi scoprire; narrò che era un loro amico, perché i disgraziati erano pur degni di avere amici, fra tanti nemici che li perseguitavano come i cacciatori i cinghiali, colpevoli solo della loro fiera indipendenza: questi nemici arrivavano al punto di impedire ai due fratelli di far pascolare le loro greggie e i loro branchi di porci in terre di cristiani: onde il signor Antonio era pregato di aver compassione delle bestie e dei loro padroni. «Questo è il denaro: due, trecento scudi; quello che vuole, signor Antonio.» Trasse dal petto un portafogli legato con una correggia, e fece atto di toglierne il denaro: la mano bianca dell'altro fermò la sua, e non se ne staccò, mentre gli occhi chiari del galantuomo cercavano di penetrare in quelli scuri del colosso come un fanciullo fiducioso che si avanza in un bosco spinoso certo di trovarci un sentiero. Disse: «Amico, voi sapete che la cosa è impossibile.» Quel contatto, quello sguardo, sopra tutto la parola «amico» pronunziata in quel modo e in quel momento operarono, come l'uomo ebbe a dire piú tardi, un vero miracolo. Egli rimise il portafogli, ma insisté nella sua richiesta, calcando, forse con sincerità da parte sua, sul bisogno assoluto che i fratelli S. avevano di protezione e di soccorso da parte delle buone persone che conoscevano le loro disavventure. «L'unico soccorso che io posso suggerire ai due sviati, è che si costituiscano subito alle autorità» disse il signor Antonio; «prima che sia tardi per loro, ed anche per i loro amici.» L'uomo ha un sogghigno: il suo viso rassomiglia proprio, in quel momento, a quello del diavolo. Ma l'altro continua: «Noi un giorno ci rivedremo; e allora mi darete ragione. Quei due giovani sono come due pietruzze staccatesi dalla cima di una roccia: cadono, ne travolgono altre, precipitano sulla china, diventano una valanga, finiscono nell'abisso.» «Certo, se nessuno li aiuta.» Brontola il gigante. «È facile parlare cosí, seduti davanti a una tavola tranquilla, col foglio in mano. Bisogna però trovarsi nel loro covo, nelle loro difficoltà, per pensare in altro modo. E bisognerebbe parlare con loro, non coi loro ambasciatori.» «Io sono disposto a parlare con loro, e convincerli a cambiare strada. Procuratemi un abboccamento, dove e quando essi vogliono; parlerò ai due disgraziati ragazzi come fossi il padre loro.» Pensando forse che essi invece, noti anche per la loro loquela impetuosa e appassionata, avrebbero convinto lui, procurandosi in tal modo un nuovo amico e «protettore» potente per la sua sola bontà e la fama della sua rettitudine, l'uomo della montagna si animò insolitamente. Accettò il bicchiere di vino che l'ospite gli offriva, e se ne andò silenzioso, dopo aver promesso di tornare. Tornò, infatti, ma per il colloquio coi S. non si poté concludere nulla. I banditi erano diffidenti, e i discorsi romantici del signor Antonio li facevano ridere. Costituirsi? Può un guerriero barbaro, che difende la sua libertà e la sua sanguigna fame di vivere, darsi prigioniero al nemico? Eppure la profezia del signor Antonio si avverò. Di delitto in delitto, di rapina in rapina, essi e la loro banda precipitarono in un abisso. Fra gli illusi da loro travolti, vi fu anche, con dolore del signor Antonio, e di tutta la famiglia, anche il giovane servo, malarico e visionario, Juanniccu, che, senza aver commesso la piú lieve colpa, solo per spirito di avventura, si uní negli ultimi tempi alla banda e fu con loro preso. In compenso l'uomo della montagna tornò spesso dal signor Antonio, e diventò il suo «pastore porcaro». Per lunghi anni fu uno dei dipendenti piú fedeli e affezionati al signor Antonio. E confessò che quella notte era venuto con la sinistra intenzione di sopprimerlo, se non si piegava ai voleri dei malvagi.

Pagina 55

Documenti umani

244586
Federico De Roberto 1 occorrenze
  • 1889
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Le parole scorrono più abbondanti, più facili, quando il cuore è tranquillo; se esso precipita o rallenta i suoi palpiti, non escono dalle labbra che grida inarticolate.

Pagina 222

Rosario. Dramma in un atto

249294
Federico de Roberto 1 occorrenze
  • 1899
  • Copisteria Presaghi
  • Roma
  • verismo
  • UNICT
  • ws
  • Scarica XML

Sono eccellenti ed abbondanti. Ave Maria, piena di Grazia, il signore è con voi, voi siete benedetta fra le donne, e benedetto il frutto del vostro ventre Gesù... Il fattore di Passo Martino è andato via?

Pagina 13