Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi

400748
Murri, Romolo 14 occorrenze
  • 1907
  • Murri, La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi, Roma, Società Nazionale di Cultura, 1907, 1-297.
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Sappiamo che l'idealismo critico contemporaneo, una larghissima e vigorosa corrente filosofica che ha, diremmo quasi, raccolto ed incanalato tutte le acque vive della critica della conoscenza compiuta nei tre ultimi secoli, sostiene non esser la fede se non una conoscenza imperfetta e provvisoria, per miti e per leggende.Ma non essendo nostra intenzione entrar qui in dispute filosofiche, ci pare che la conclusione dell'impossibilità della filosofia a risolvere i problemi dei quali si occupa la fede 1. risulti da quel che siamo venuti dicendo, per chi dall'una parte conceda all'idealismo critico che la filosofia è la sintesi e la sistemazione dell'esperienza positiva e, dall'altra, ammetta la profonda distanza che separa la vita dello spirito dalla realtà fenomenica; 2. possa essere argomentata anche dalla enorme importanza che il prammatismo, nelle sue varie forme, è venuto acquistando negli ultimi tempi e della quantità enorme di difficoltà e di oscurità della vita di coscienza e dell'attività storica umana sulle quali esso va facendo la luce; una luce che si sarebbe invano sperata dall'indirizzo monistico e positivista.E possiamo anche aggiungere che le più importanti conclusioni morali che noi ci preoccupiamo di trarre qui dalle credenze cristiane non hanno in sé nulla che l'idealismo critico non possa o non debba accettare od almeno trovare altamente umane e meravigliosamente feconde di bene. Anche se la fede fosse solo — e non è — una virtù od energia spirituale atta a tradurre nella pratica della vita le più elevate conclusioni morali della speculazione filosofica, essa meriterebbe tutto il rispetto di idealisti sereni e positivi. E dobbiamo aggiungere che questo rispetto essa va oggi rapidamente conquistando.

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Gesù disprezzò ed attaccò violentemente i saccenti studiosi della legge che avevano costruito sulla tradizione primitiva le loro tradizioni umane; e con ogni suo sforzo richiamò le anime che volessero accettare lui e il suo messaggio a vivere, con semplicità e sincerità, le sue parole di vita, promettendo che in tal modo queste sarebbero divenute per essi il segreto d'una crescente abbondanza di ricchezza spirituale. La fede vera non germoglia che nell'animo umile e sincero.

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E questa molteplicità di desiderii e di tendenze diviene quindi facilmente contrasto; accettare uno scopo vuol dire escluderne un altro. Arricchire col lavoro paziente e godere spensieratamente, essere buon artista o scrittore o amministratore e distrarsi in occupazioni estranee, darsi tutto alla casa e ai figli e brillar per le vie o nelle conversazioni sono scopi contradittorii; conviene scegliere; conviene agire, nel più pieno e profondo significato della parola. E col dovere di agire, come norma nella scelta, si affaccia alla coscienza un criterio morale, che ci porta a distinguere il bene dal male, ciò che moralmente conviene da ciò che moralmente ripugna; criterio inevitabile in ogni uomo che abbia salito anche solo di pochi gradini il piano nel quale si svolge la vita puramente animale. Voi potete ribellarvi ad alcune esigenze morali che vi paiono ingiustificate o eccessive, potete scegliere fra varie morali, dichiararvi anche un amoralista:ma, solo che ci riflettiate, potrete certo indicarmi numerose categorie di atti che non vorreste compiere, o non sapreste compiere senza disapprovare voi stesso, senza sentirvi umiliato e spiritualmente più povero di quel che foste prima; e nella vostra vita passata vi sono assai probabilmente degli atti sui quali il pensiero torna con un senso di restringimento del flusso della vita e di rammarico, degli altri ai quali pensate volentieri, sentendo quasi rifluirne il ricordo nel moto più intenso della vita.

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Se voi ponete ora questa interna esigenza in relazione con quel che abbiamo detto sopra, dei fini ultimi ed universali della vita, voi vedrete come questi giudizii e preoccupazioni morali nascono nella coscienza umana dal rivelarlesi di questi fini, che noi dobbiamo accettare o subire con la vita, e che ci si presentano, più o meno luminosamente, come imperativi. L'uomo ha potuto dubitare qualche volta se le cose del mondo avessero uno scopo, e ritenere che esse facessero sé stesse, così per fatalità o per giuoco, senza venire da alcuna parte, senza esser dirette ad alcuna parte. Ma la mia vita io l'ho in mano: come organismo morale non meno che come organismo fisico, essa chiede di essere adoperata con certi riguardi, con certe precauzioni; la sua attività interiore non ha di per sé un termine, poiché può averne molti e diversi ed opposti; ed io sono così costituito, spiritualmente, da non poter porre un atto personale e consapevole senza vederne innanzi le più vaste e remote ripercussioni, che io debbo quindi abbracciare in uno stesso atto di volere. Si trattasse solo di accordar la mia vita con l'universo esterno e con l'insieme degli uomini, io ho bisogno di farmene padrone, di dominarne l'interno motore, di dirigerlo consapevolmente ad un fine. Io posso anche sottrarmi ad una così elevata responsabilità ed alla vita morale, abbrutendomi; ma uno scopo mancato non è uno scopo soppresso e un profondo disagio morale mi avvertirà che sono oramai un fuor di luogo.

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C'è un punto, in particolar modo, di questa dottrina, nel quale il precetto cristiano fu affermato con una nettezza e precisione che non permise giammai nella vita della Chiesa incertezze e rilassamenti, benché il contenuto sia od almeno sia parso sino ad oggi il più difficile ad accettare per la nostra fragile natura. Intendo dire della continenza; per la quale solo nel matrimonio indissolubile — ed anche in esso con la delicatezza che impone ad ogni cristiano il rispetto del proprio corpo, santificato dal sacramento — è permesso il rapporto sessuale; fuori di lì il divieto è assoluto e severissimo. La passione infuria violenta nella vita individuale e sociale, essa ha spesso apertamente contaminato anche gli uomini del santuario; ma nessuno su questo punto ha mai potuto ingannarsi, anche nei momenti di maggior decadenza. E, come a tutela ed esempio della continenza imposta a tutti i fedeli, la società cristiana esige dai suoi ministri il celibato, e consiglia, come perfetta imitazione di Cristo, la verginità. Né questo rigore è per rallentarsi, mentre nella società contemporanea tante cause hanno così paurosamente acuito il vizio dell'incontinenza e fatto complici di essa il teatro, la letteratura, l'arte, sin nelle loro forme più popolari; e mentre in nessun altro ramo della vita morale si è manifestato più evidente l'indirizzo naturalista delle scienze mediche e della filosofia della vita, tanto facile giudice quanto pessimo consigliere.

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Ma il problema della coscienza, della vita interiore, dei valori spirituali, trascurato per qualche tempo, risorge esso stesso in tutta la sua gravità: la distanza fra i fatti fisici ed i fatti dello spirito, che ad alcuno parve superata, riapparisce, agli occhi di ogni studioso serio, più grave e più profonda che mai: minacciate o negate le basi della conoscenza dello spirito per timore di accettare con essa delle arbitrarie ed illusorie creazioni dell'anima nostra, le certezze esteriori nelle quali ci rifugiammo vacillano anche esse e sembrano frutto, alla loro volta, di convenzioni e di arbitrii che solo le esigenze d'una vita più profonda giustificano e solo la superiorità della coscienza rende possibili. — La coscienza stessa, in una parola, con la sua spontaneità consapevole, con la sua forza di rappresentarsi il mondo e le cose, di costituirsi una direzione, di vedere e di dare a sé una finalità suprema, apparisce come ciò che è innanzi tutto e sopratutto reale, degno di esame e bisognoso d'una spiegazione che non la travisi e non la rinneghi. La coscienza è il centro del mondo e Cristo è il centro della coscienza umana. La causa del Cristo torna così in qualche modo ad essere solidale con la causa della coscienza e con quella della filosofia delle cose e dell'universo; e il riconoscere queste profonde ed evidenti realtà spirituali che costituiscono la fede viva ed operosa nel Cristo può essere da noi invocato come punto di partenza per la ricerca del Dio nascosto.

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Ed è egli possibile che, se per procurarsi un godimento estetico, o per aumentare la somma di utilità del loro lavoro, gli uomini si associano, e se anzi la comunione di certi maggiori interessi civili li forza ad appartenere ad una società politica e ad accettare le sue leggi ed i suoi istituti, la ricerca del più importante e del più sociale dei beni che essi debbono procurarsi non li porti ad associarsi in comunità religiose?

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Accettare come norma della propria vita il precetto cristiano vuol dire due diverse cose: imporsi volontariamente, ma così che l'atto volontario non è che un riconoscimento del dovere e dell'ufficio proprio della vita umana, una norma direttiva della volontà e degli atti proprii intesa come autorevole ed immanente, e volta al raggiungimento della piena consapevolezza e dell'unità dei voleri in Dio: in secondo luogo vuol dire un entrare a far parte d'una determinata società d'anime credenti, sottomettersi alla disciplina sociale, acquistare dinanzi a questa società ed ai suoi organi normali dei diritti e dei doveri di solidarietà e di cooperazione. Ognuno, quindi, che divenga cristiano, compie una iniziazione, nella quale due diverse cose possono essere considerate: l'iscrizione ad una società con l'entrata in possesso dei beni collettivi che a questa appartengono, e l'impegno formale assunto di vivere in essa, di far fruttificare quei beni collettivi, di compiere quanto la legge e l'autorità sociale prescrivono pel raggiungimento dei fini comuni.

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Se l'egoismo prevale, essa foggia per i vantaggi di questo le ingegnose teorie utilitarie ed eudemonistiche che sono in voga oggi: se un principio di vita religiosa agisce nell'anima, questa assorge ad una più giusta ed oggettiva visione del posto e dell'ufficio di ogni singolo uomo nella vita; e l'uomo sente che per esser degno di vivere, per sostituire la consapevolezza all'istinto, la bontà all'egoismo, egli deve traversare un processo di negazione di sé, rompere spiritualmente la corteccia del proprio io individuale, sentirsi prima uno fra molti, soggetti tutti a una stessa legge dall'alto, e poi anche uno con molti, chiamato a vivere con unità di intenti, di mezzi, di animi — più specialmente — con questi molti; e il bene finisce con l'apparirgli qualche cosa che è, sì, per lui, ma che non ha il suo esser bene dall'esser per lui, ma piuttosto, appunto perché è bene indipendentemente dal giudizio e dal senso particolare di lui, debba essere voluto e cercato; e del quale bene egli poi fermamente creda che possa essere raggiunto; poiché nulla ci farebbe accettare la necessità di cercare e volere ciò che sappiamo esser fuori del nostro sforzo.

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Nella chiesa il reo deve presentarsi al sacerdote autorizzato, esporgli la sua colpa, subire il giudizio di lui, accettare la pena assegnatagli. La disposizione positiva non deroga alla efficacia dell'amore che cancella le colpe; ma essa impone un atto al quale la coscienza, o che desideri redimersi o già redenta, non può venir meno volontariamente, senza rimanere nella colpa e sottrarsi al mite precetto della società cristiana. Ed un rito speciale fu designato a raccogliere nella comunione vivente della Chiesa e del Cristo i colpevoli che si pentono delle loro colpe e chieggono a Dio e alla Chiesa il perdono: il rito o il sacramento della penitenza o confessione auricolare.

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All'intensità dello sforzo spirituale richiesto per accettare e far propria, nel battesimo, la legge del Cristo, ed alla profondità della conversione etica richiesta pel passaggio dal paganesimo alla vita cristiana rispondeva l'esecrazione e lo spavento della ricaduta: e si pensò comunemente nella Chiesa che la penitenza non potesse esser concessa che una volta ai ricaduti; non quasi dubitando che il Signore non potesse anche dopo mille colpe ricevere nella sua comunione colui che la potenza dell'amore rinnovasse, ma perché si temeva della sincerità di chi, perdonato e salvato dal naufragio spirituale una volta e due, tornasse alla colpa; e si pensava che pericoloso per i fedeli sarebbe stato l'esempio della facile assoluzione. Ma poi, diminuendo il primo fervore e scemando, col crescere del numero dei fedeli, il livello medio della vita spirituale intensa, la disciplina della Chiesa divenne più mite; e l'esempio delle coscienze che, dedite a una vita di perfezione, cercavano nella frequenza e nell'uso, talora anche quotidiano, del rito penitenziale conforto e pace spirituale, diffuse fra i fedeli l'uso del sacramento anche per le colpe leggere, per le frequenti debolezze della vita.

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Ora io non so, né cerco qui, se lo Stato laico, il quale cioè dichiara di prescindere, nella sua attività, da ogni principio e finalità religiosa, possa rattenersi sulla china fatale per la quale lo trae la sconsecrazione, ai suoi occhi, del matrimonio e della famiglia; né so se i cattolici, i quali cosi giustamente si opposero all'introduzione del divorzio nella nostra legge, possano contare ancora per molto tempo di far argine, con le forze politiche che essi possiedono, alla marea montante: ma so che, cattolici, noi dobbiamo accettare intieramente la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio fra cattolici e sulla solidità delle ragioni sulle quali riposa e dalle quali è giustificato, agli occhi dello studioso, il precetto divino, che è legge per i credenti. E quando la società civile dichiarasse che essa sente di non poter imporre, ai contraenti il vincolo matrimoniale, l'onere d'una unione perpetua, e il divorzio dilagasse, manifestazione triste del marcio che si nasconde nella vita familiare, noi dovremmo ancora opporre il matrimonio cristiano indissolubile all'infuriare della voluttà nella vita civile, custodirlo ed alimentarlo con più vigili cure, speranza ed auspicio di giorni migliori.

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Ma amarlo per sé, e quando anche nelle vicende della vita terrena non ce ne venisse che male, amarlo perché egli è il Bene, la bontà, la giustizia, la Vita vera, amare anzi in Lui tutte queste cose e cercarle o volerle e quindi tradurlo nella pratica della nostra vita: ma accettare questa vita da Dio, e trarla con uno sforzo consapevole là dove egli vuole che essa approdi un giorno, o sforzarsi di giudicare uomini e cose come Dio le giudica, tutto questo è assai spesso intieramente estraneo a quel sentimento, tenue o languido, che nella nostra vita interiore si avvicina più d'ogni altro a ciò che può essere chiamato amore di Dio. Che cosa è Dio per voi, o cristiani? E quale posto occupa egli nella vostra vita? Quali affetti vi desta e vi alimenta? Quali opere si ispirano a questo amore e lo traducono nei fatti? VII. Io vi ho ricordato il Pater noster. Ognuno di noi forse recita od almeno ha recitato assai spesso nella vita questa preghiera. In essa è quel versetto: sia fatta la volontà tua in terra, come essa è fatta nel cielo. Esprimere a Dio il voto che la volontà di Lui sia fatta sulla terra senza che poi noi facciamo quel che ci è possibile per compierla noi stessi, è menzogna; con questo di peggio, e di sciocco, che è menzogna inutile, poiché Dio vede i cuori.

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Accettare una religione, professarla, e continuare poi in tutta la pratica della vita a cercare quel che essa nega, a negare quel che essa cerca, è una contraddizione strana, ma pure frequentissima.

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Il Parlamentarismo in Italia e la funzione del partito socialista

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Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1907
  • Murri, R., La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari–Società Naz. di Cultura, 1908, 166-191.
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Ferri, il quale propose le dimissioni in massa, che il comune senso di disagio fece accettare pare da quelli che le disapprovavano. Da quelle dimissioni in massa nacque poi l'integralismo, l'ambigua posizione politica di chi non vuol giungere fino in fondo, e tien conto dello spirito delle masse, e di tutte le sue fanciullagini e di tutti i suoi difetti, per dominarle più facilmente; e l'on. Ferri ed i suoi amici integralisti conservarono nel partito la loro posizione e crearono la piattaforma per i dibattiti del futuro congresso; pur abbandonando al suo fato quel ministero Sonnino che era sorto da una situazione parlamentare creata in gran parte da essi, e sulle spalle del quale avevano così solennemente gittato un bel programma di democrazia di governo.

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Appendice

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Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1907
  • Murri, R. La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari–Società Naz. di Cultura, 1908, 246-263.
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E l'inverso, invece, è quel che si va oggi facendo: poiché, come sempre, il non accettare, con passioni e per partito preso, un principio, conduce ad esagerare il principio opposto e portarlo fino all'assurdo.

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Il bivio della politica ecclesiastica in Italia (colloquio con un giornalista)

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Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1907
  • Murri, R., La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari–Società Naz. di Cultura, 1908, 138-148.
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Di queste vecchie abitudini, una è appunto l'opinione, così radicata in certi animi, che la Chiesa non possa vivere ed agire se non sotto la tutela e col consenso del potere civile; e che valga la pena di accettare questo concorso, anche quando, come fu quasi sempre, dalla conversione ufficiale dell'impero romano, e come è oggi, esso dato non per sin¬ cero spirito religioso, ma per ottenere un corrispettivo di servizi politici che la Chiesa sconterà poi con l'avversione profonda di quanti sono sinceri democratici.

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