Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il compito dei giovani

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

V’è nella storia degli italiani in Vienna dei periodi, la cui rimembranza fa nascere un momentaneo senso d’invidia: quando il Magalotti scriveva a Cosimo III di Toscana «non c’è in questa capitale persona che vesta civilmente, la quale non parli speditamente la dolce lingua». O quando Minatti, i Galeazzo, i Priorato, i Tintow, i Bonini e gli arciduchi, rinati arcadi, si raccoglievano all’Accademia italiana, intraprendevano coronati di lauro il necessario viaggio allegorico sul monte Parnaso, o discutevano «se un amante in presenza della sua dama debba impallidire o arrossire», «se le donne siano più vane che curiose» - e avevano la coscienza tranquilla e sicura di rappresentare la cultura ed il progresso, e il monarca ascoltava con interesse, con rispetto, come se ieri non avesse veduto partire gli eserciti alla difesa dei confini e oggi non si ripercuotesse ancora nell’aria l’eco dei rumori di guerra! Ora non più: schiere d’italiani colla miseria in volto passano per la via coperta di fango, oscura per la nebbia, gridando pane e lavoro, esuli, non ospiti; e noi stessi in volontario esilio, quando sediamo a una tavola comune non occupa più il pensiero delle belle Clori o dei vedovi ritrovi d’Arcadia, ma sentiamo tutta la precoce serietà della vita. Parliamo d’armi, di battaglie, di piani di guerra, di conquiste e di vittorie, membri coscienti di una società che arma e prepara, lasciate per un momento le affannose occupazioni di ogni dì, liberati per un momento dalla miseria della vita individuale quotidiana, in quest’ora di entusiasmo, l’uno indovina negli occhi dell’altro il profondo sentimento comune, la comune visione d’un avvenire migliore. E come dietro alle madonne ideali di Fra Angelico ritorna sempre la sua diletta valle del Chiana, così noi dietro al nostro ideale luminoso vediamo sempre delinearsi di lontano la cima dei monti e i colli e le torri dell'amata terra trentina. Partimmo una sera mesta e piovosa. Il noto suono di una campana si diffondeva da una torre sulla città, che abbandonavamo. Quel suono era lugubre, tristi erano i nostri pensieri. Pensavamo ai tempi in cui la medesima campana chiamava i cittadini a legiferare e a pregare, al tribunale e alla chiesa, quasi interprete quotidiana dell’unica, armonica coscienza morale del nostro paese. Oggi la campana dava un suono fesso, piangente. Noi al lugubre quadro che quel suono ci creava dinanzi mormoravamo una promessa mentre salutavamo le ultime case, le ultime torri, che sparivano dietro la curva del monte. E ora ci accade lungo il nostro esilioo, pur da questa Vienna che sta facendo si lunghi passi verso l’idealismo cristiano, osservare giorno per giorno venir smosse o magari cadere una dopo l’altra le pietre di quel tempio di cui gittò le basi S. Vigilio ed edificarono e custodirono i buoni per lunga serie di secoli. Amici, l’esperienza quotidiana e fatti recenti insegnano che è venuto il tempo anche per il Trentino, in cui il problema interiore s’impone a qualunque altro, che l’ora in cui il problema morale richiede una soluzione collettiva è suonata! La nostra borghesia liberale, impegnata in una lotta esterna, dalla quale a torto si crede dipendano principalmente le sorti di un popolo, dimenticò colpevolmente o volle ignorare che vale anzitutto l’unità interiore, l’unità morale e che un popolo è forte solo se inspirato ad un medesimo ideale, marcia ad una meta unanimemente voluta. E cosi si spezzò filo per filo tutta la mirabile tela intessuta dal cristianesimo. Ma d’altro canto forse anche da noi trovano applicazione le parole sfuggite recentemente all’Encken. «Non c’illudiamo: un forte sentimento di scontento con la civiltà attuale passa per l’umanità; noi sentiamo che la coltura moderna non penetra fino alla radice dell’essere, ch’essa non è capace di dare un senso ed un valore intrinseci alla vita e di riempire le anime con quel grande amore che rialza sopra ogni miseria ed angustia». Stretto fra contrasti sempre più risoluti pare che in gran parte della gente colta l’indifferenza se ne vada e che nello scontento generale si assista anche da noi alla rinascita dell’ideale positivo. Cattolici, aiutiamo questa tendenza, impadroniamocene! Se l’idealismo ritorna, se ritorna la tendenza a cose elevate, non si fermerà davvero alla conferenza del professore superuomo, ma passerà oltre all'antico cielo. Sarà un ritorno alle chiese, disse tempo fa un professore della Sorbona. Questo cambiamento però non avverrà senza il concorso di quella parte dei cattolici i quali si sono impossessati di quel corredo medio di cognizioni e di forme che passano sotto il nome di «coltura moderna». Le forme si sono mutate: e ora al pergamo si aggiunge la stampa quotidiana, la conferenza, l’opuscolo, la rivista scientifica. Questo è il campo, o amici, ove i cattolici colti devono gareggiare cogli avversari, stretto campo neutrale, ove è però possibile mantenere il contatto con loro. E questo è il campo ove noi giovani potremo far molto, se la preparazione sarà adeguata all’altezza del compito. Troppo spesso la buona causa ebbe cattivi avvocati, troppo spesso i cattolici inneggiarono all’avvento della vittoria invece di prepararla. Nessuno vuole che da noi escano altrettanti agitatori politici, ma questo aspetta la patria: che dispersi o raccolti, in qualunque posizione o carriera, fedeli agli ideali, sentiamo sempre ed ovunque il dovere di cooperare alla loro realizzazione. E se la borghesia mancasse al richiamo dei tempi e alle nostre speranze e dovesse cedere il passo all’altro che sale al potere, avanti, o giovani entusiasti, avanti, o democratici; nelle nostre vallate alpine stanno tesori d’energie! Vi dico solo una parola. Quella parola che tre anni fa pronunciavamo quasi furtivamente nei convegni nostri, che spargemmo poi entusiasti nelle valli, ove ora corre di bocca in bocca, intesa, sentita dal più umile popolano come parola di redenzione che ammirando applaudimmo dalle labbra del Pontefice: democrazia cristiana. Quella democrazia che non conobbero né Atene, né Roma, ma portò alla metropoli latina un pescatore di Galilea. Modeste forze ausiliari del clero, ci siamo consacrati alla causa con zelo di neofiti, con l’entusiasmo e l’impeto della gioventù, criticati spesso anche da quei nostri amici, che avrebbero voluto mettessimo in serbo il buon valore e l’opera per gli anni in cui forse la libertà se ne sarà andata. Ed ora che l’Unione ci dà nuovi fratelli, passiamo innanzi la nostra parola, poichè la battaglia è ingaggiata su tutta la linea e molti sono i posti scoperti. Io non vi dico: tenete conferenze, agitate per la stampa; vi dico: siate democratici cristiani convinti; e ovunque troverete un gruppo di gente che vuole istruirsi, che vuole salire, fate quello che sta nelle vostre forze e negli obblighi professionali; ma anche quello che vi detta il dovere inerente a un tale carattere. C’è della gente, lo so, che ride del nostro entusiasmo e ci guarda in aria di compatimento. Lasciateli ridere. Ma non sarà meno vero che la patria è chiamata a grandi cose, solo se nella gioventù arde la face sacra dell'ideale. Non è meno vero che un male lamentato anche da noi è che i giovani ritornano dalle università rotti e sfiduciati della vita, invecchiati nell'anima a vent’anni, ridotti ad una sola beatitudine, quella che dice Giorgio ad Ippolita in un romanzo d’annunziano: «Beati i morti, i quali non dubitano più»; e il cui curriculum vitae si scriverà colle parole di Gellert: Er lebte, nahm ein Weib, und starb. No, abbiamo occhi per la realtà del presente, ma anche fede inconcussa nell’avvenire. La causa nostra è quella di Cristo e della sua Chiesa; e davanti a Cristo mille anni sono un giorno, e noi dobbiamo lavorare innanzi pazientemente ignorando chi raccoglierà i frutti, ma certi che verranno. Alla fine della nostra giornata il nostro lavoro si aggiungerà al progresso di mille che marciarono tutti verso il trionfo del Bene e del Buono, fiduciosi in questo trionfo, checché ne dicessero i malvagi e gli indifferenti, col semplice motto serviendo consummar. E così rinnoviamo anche questa sera la nostra promessa di buoni cristiani e buoni trentini in seno a quest’alma Unione la quale custodisca e conservi acceso il fuoco sacro per tutta la vita. Soldati di fede e d’entusiasmo, non ci nascondiamo le difficoltà della lotta e soprattutto che gli [anni] nostri sono di preparazione e di studio, ma sappiamo anche momenti in cui vale la parola di Goethe: «In der jetzigen Zeit soll Niemand schweigen oder nachgeben!» Nel mondo degli inganni e delle illusioni accoppiamo ad una fede grande nell’ideale un carattere integro ed irremovibile, tanto che finito il compito nostro col nostro tempo, si possa dire di ognuno di noi: «Né mosse collo, né piegò sua costa!».

Il congresso dell'Associazione universitaria cattolica trentina - Relazione del presidente

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Alcide de Gasperi 4 occorrenze

Nel comizio convocato l’anno scorso a Natale abbiamo offerto alla causa dell’università italiana l’appoggio dei cattolici trentini, cioè della maggioranza del paese. Per tutta risposta ci hanno esclusi dai comitati. Per certa gente sono italiani soltanto i liberali, come Hutten in tedesco voleva dire luterano. Ora si è inaugurata solennemente una nuova tattica: quella di ignorarci. E la tattica del «volere e non potere». e finora non ce ne siamo accorti granché. Noi invece seguiremo attentamente le mosse degli avversari, sempre pronti a discuterle, e del resto continueremo tranquillamente per la nostra via, come abbiamo fatto durante l’ultima fase della questione universitaria. Per tutto questo rimandiamo alle nostre dichiarazioni precedenti.

Tutti noi, vecchi e giovani, abbiamo comuni due grandi amori: l’amore alla Chiesa cattolica, e quell’altro complesso di idee e sentimenti, che io chiamerei il «trentinismo», l’amore a questa nostra patria, che vogliamo difendere tanto dai nemici esterni che interni. Conservatori e innovatori ad un tempo, speriamo e prepariamo tutti un mondo nuovo, un’era novella che assomigli a tempi migliori. L’era d’oggi pare anche a noi, come a Fichte, un’ombra che si aggira gemendo sopra il suo corpo, dal quale l’ha cacciata un’infinità di mali, che invano tenta tutti i mezzi per ritornarvi dentro. Aure vitali circondano già quel corpo, ma esso non ha senso per loro, già dentro si sente il rumore di quella vita che dovrà farne una figura si bella; ma non basta. Che dobbiamo fare? Anche l’aurora del nuovo mondo è sorta di già ad indorare le cime dei monti e fa immaginare lo splendore del giorno che verrà. Ebbene prendiamo questi fasci di luce, in cui si intravede la nuova giornata, e teniamo il dinanzi come specchio all’anima avvilita, al corpo morto. E ritornerà l’anima nel corpo e ritornerà la vita e si rinnoveranno i tempi. Signori! Se questo congresso potrà mandare solo un raggio quale specchio salutare sul nostro tempo, oggi celebriamo una festa, che sarà segnata nella nostra storia.

Parecchi colleghi hanno già percorso gran parte del Trentino nella propaganda e delle simpatie che hanno guadagnato sono testimonio di plauso e la presenza, o l’adesione di moltissime società operaie a questo nostro congresso. Parecchie furono anche le conferenze d’igiene popolare a cui va data una lode speciale al d.r Pizzini che, nel breve tratto di sei mesi, ne tenne otto, applauditissime. Noto quest’anno anche un aumento della collaborazione alla nostra stampa, quotidiana e settimanale, che vorremmo fosse oggetto di attenzione speciale da parte dei colleghi. Solo una cosa abbiamo da deplorare che intorno al periodico edito dall’Associazione non vi sia maggiore intensità di lavoro e maggior buon volere, ma abbiamo ragioni per assicurare che questo lagno chiuderà un periodo triste. L’appoggio che trova il piano finanziario fatto nel I Congresso cattolico, ci dice che molti dei nostri amici non aspettavano che il nostro appello. Li ringraziamo vivamente. Vedano i colleghi di pensare più efficacemente alla collaborazione specialmente quelli che, liberi dalla pressura della propaganda, vi dovrebbero consacrare almeno gli ozi della vacanza.

Tuttavia ogni qual volta ci troviamo a rendere conto ai nostri amici, ne chiediamo il compatimento. Tanto è difficile il nostro sentiero, tanto alto e inaccesso il compito nostro. Non temo smentita quando asserisco che la nostra società tiene nelle nostre organizzazioni uno dei posti più avanzati, e l’essere per gran parte dell’anno tagliate le comunicazioni col grosso dell’esercito cattolico, rende oltremodo faticoso il lavoro di educazione e di formazione interiore. Eppure in questo proposito si é fatto molto, e s’io volessi oggi riferire tutto quanto accade anche solo nei due ultimi semestri nelle Unioni locali di Vienna e di Innsbruck per l’educazione dei soci, non mi basterebbero i pochi minuti assegnatimi. Si racconta che i bambini negri, al passaggio delle cavallette, siedono sul deserto per pigliarle nell’aria a bocca aperta ed ingoiarle come fossero leccornie. Simile avviene nel deserto anticattolico che li circonda, e se considerate che accade spesso anche a persone vecchie ed assennate di prendere qualche locusta liberale per una leccornia cattolica, comprenderete la difficoltà di tenerci nel campo delle idee sulla via maestra. Tuttavia noi, fiduciosi in Dio e nella virtù della nostra stirpe, andiamo formandoci da noi stessi in mezzo, ma contro lo spirito anticristiano di oggidì, né ci lasciamo come il piombo inerte fondere in qualunque forma da una mano qualunque. Di questi sforzi che noi facciamo contro corrente poco appare all’esterno, ma la relazione fatta dai giornali delle nostre feste, vi dà anche la risultante di tutte le nostre fatiche, coronate dal radicarsi in noi delle convinzioni e dell’entusiasmo crescente, dimostrato in queste occasioni solenni. L’istruzione che venne data nelle adunanze settimanali, versò specialmente sulle relazioni fra la fede e la scienza o sulla molteplice questione sociale. Noi, o signori, non pretendiamo che i nostri soci diventino tutti propagandisti, ma pretendiamo che ognuno si occupi nelle ore libere in modo specialissimo delle questioni che si agitano ora, perché è qui che trovate anche le nostre ragioni d’essere, i nostri diritti di diventare sempre più. È inutile che i nostri colleghi avversari cerchino differenze e contrasti nel campo nazionale. No, no, signori miei, voi evitate la questione prima, in cui vi sentite troppo malsicuri per accettare la prova. Cristiani o non cristiani e socialmente cristiani, ecco la questione. Nel campo religioso e sociale anzitutto erigiamo le nostre colonne, le quali staranno secolari come le colonne dei nostri templi, malgrado le folle che vi si accalcarono d’intorno.

La questione meridionale (II red.)

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Sturzo, Luigi 8 occorrenze
  • 1903
  • Scritti inediti, vol. i. 1890-1924, a cura di Francesco Piva, pref. di Gabriele De Rosa, Roma, Cinque Lune-Ist. Luigi Sturzo, 1974, pp. 240-244.
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La ragione per cui mi sia indotto io siciliano di parlare della Questione Meridionale a Bologna si è che i nostri fratelli del Nord non ci conoscono; non ci comprendono neppure i cattolici, di tutte le gradazioni, dall'estrema destra all'estrema sinistra; e perciò che anch'essi concorrono a mantenere un antagonismo in gran parte ingiustificato.

Pagina 240

E proprio a Bologna il processo Palizzolo ha turbato la visione del problema - processo Murri, Ubaldelli, ecc.

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la camorra, la corruzione contro a sopraffare gli onesti che sono i più, ma nella vera condizione individuale.

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Il meridionale fino a Depretis fu di sinistra, poscia prestò gli ascari ai ministeri. È strano, ma è così.

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I primi dieci anni si visse di idealità (unità — Roma cap[itale] — trasformazione ecc.) e allora le forze (sia pure traviate) ma vive e individuali del meridionale sacrificarono noi a tutta l'Italia; dopo, supercostrutte le nuove cricche locali, subentrò alle individualità oneste, rette, ideali, il tornacontismo politico rinsaldato dalle cricche locali.

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insufficienza a comprendere il carattere locale unità e uniformità: due cose diverse: bisogno di autonomia larga, finanziaria e amministrativa

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Un po' di storia dal '94 sino a oggi, un decennio. Dalla Sicilia a Napoli.

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Necessità di provvedere a sé stessi nella vita interna delle regioni.

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Il legittimismo in Italia

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Sturzo, Luigi 10 occorrenze
  • 1903
  • Scritti inediti, vol. i. 1890-1924, a cura di Francesco Piva, pref. di Gabriele De Rosa, Roma, Cinque Lune-Ist. Luigi Sturzo, 1974, pp. 245-249.
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firmatari del celebre Ordine del Giorno; portata che non è stata analizzata dai borbonici o pseudo-borbonici del campo cattolico, che hanno strillato a più non posso contro l'abate Sturzo, a cominciare dal Conte Pasini Frassoni, che pubblicò una protesta a nome del Collegio araldico e della Nobiltà Cattolica Italiana,a terminare alla Discussione,ad Elia Rotondo, a Galati-Scuderi con i loro articoli, lettere aperte, dialoghi italo-siculi e giù di lì.

Pagina 245

Ho lasciato per un mese che una certa stampa si sbizzarrisse contro di me, che ho assunto nel campo cattolico, dal Congresso di Bologna a questa parte, per merito loro (bisogna riconoscerlo), l'impresa di una crociata incruenta contro i borbonici infestanti le associazioni cattoliche napoletane. E il mio silenzio non è stato privo da una certa tendenziosità; perché volevo una giustificazione patente alla mossa che io e molti amici del meridionale d'Italia credemmo opportuna fare a Bologna, quando nell'ordine del giorno sulla « Questione Meridionale » abbiamo scritto che era necessario dissipare l'equivoco legittimista del nostro movimento cattolico.

Pagina 245

A ogni modo a me non preme che abbiano equivocato o voluto equivocare; anzi mi giova molto; e quell'equivoco legittimista,che tanti offende, potrà chiarirsi, dando a ciascuno le proprie responsabilità.

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Dalla lettura attenta dei documenti umani (un bel titolo messo dall'Osservatore Cattolico a titolo della protesta del Collegio Araldico contro di me) si volevano dire tre idee fondamentali: 1° - che il legittimismo è un dovere dei cattolici meridionali; 2° - che la difesa della causa della Santa Sede, riguardo al potere temporale, e quella dei principi spodestati hanno un legame di connessione e di rapporto intrinseco; 3° - che la salvezza del Meridionale sta nell'autonomia che non si potrà ottenere senza le rivendicazioni storico-legittimiste.

Pagina 246

Non s'intende così giustificare il modo o l'origine storica del potere pubblico, come oggi è; perché se volessimo, con la storia alla mano, esaminare a punta di diritto e di morale i passaggi delle dinastie e dei re, troveremmo da quanto sangue e da quante ingiustizie trassero i titoli di dominio la gran maggioranza delle famiglie regnanti in Europa in tutti i secoli. Invece a norma del più elementare diritto, noi reputiamo che le potestà politiche sono pel bene della nazione e non viceversa; per cui ad evitare i mali di lotte e di fazioni politiche (ieri militari e oggi civili) è dovere dei cattolici di non turbare l'ordine e di non alzare bandiere faziose. È in questo senso che Leone XIII ha appoggiato in Spagna l'attuale famiglia regnante, pur di principii liberali, invece del pretendente Don Carlos e dei carlisti, in massima parte cattolici e preti, alla stessa guisa che consigliò ai cattolici francesi l'adesione alla repubblica.

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io dico a costoro. E se siete i pochi, anzi se men siete come partito civile e politico in Italia, a che, entrando nelle associazioni cattoliche, cercate il terreno adatto per coltivare una vostra inutile e dannosa aspirazione?

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Né spetta a noi risolvere il problema, ma al Papa; e nostro dovere è cooperare e lavorare come vuole il Papa a questo scopo; oggi, per esempio, astenendosi dalle urne, domani andando alle urne; formando le coscienze cristiane e ravvivando gl'ideali guelfi della missione dell'Italia; contrastando il socialismo antireligioso e sviluppando l'organizzazione cattolica.

Pagina 248

Del resto io non arrivo a comprendere che vogliano questi uomini con la faccia voltata indietro, come gl'indovini dell'inferno dantesco.

Pagina 248

Nessun cattolico viene da noi per sostenere la repubblica, e pure non pochi sono repubblicani; così nessuno deve venire da noi a sostenere la causa legittimista, ma solamente la causa della religione, del Papato, della nazione, del popolo per rigenerare e nazione e popolo in G[esù] C[risto].

Pagina 248

A parte il resto che neanche col ritorno dei Borboni si salverebbe il Mezzogiorno..

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La questione meridionale

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Sturzo, Luigi 13 occorrenze
  • 1903
  • Scritti inediti, vol. i. 1890-1924, a cura di Francesco Piva, pref. di Gabriele De Rosa, Roma, Cinque Lune-Ist. Luigi Sturzo, 1974, pp. 234-239.
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esiste se non nella riscaldata fantasia di politicanti, di giornalisti, di interessati; alterando linee e contorni, travisando fatti e condizioni ambientali, per cui oggi, dopo quarantatre anni di vita unitaria nazionale, noi non siamo meglio conosciuti dai fratelli del Nord, di quando eravamo divisi da barriere politiche e doganali, in un'Italia a pillole.

Pagina 234

Ho accettato, io siciliano, di parlare in Bologna sulla Questione Meridionale non solo per un senso di carità sentita verso il natio loco, troppo vituperato e troppo sconosciuto, non solo perché sento che è una nobile missione rivendicare la verità e farla conoscere a chi, per quanto abiti mentali vi facciano ostacolo, non vi ripugna con le prevenzioni della volontà; ma anche perché noi cattolici, che oggi diamo all'Italia lo spettacolo del come sappiamo sentire cristianamente tutta la vita moderna, sentiamo anche quanto importanza abbia nella vita nazionale e nello sviluppo delle coscienze proletarie, una adeguata percezione del problema del Nord e Sud Italia, e una pronta e sicura visione delle vie di rinnovamento; al quale noi, se comprendiamo per intiero la nostra missione, dobbiamo partecipare con la vergine potenzialità dei nostri ideali.

Pagina 234

E mi piace tenere questa sera la mia improvvisata conversazione sopra un tema che mi sta a cuore, qua a Bologna, dove il processo Palizzolo, la cui eco è tuttora così viva in questi luoghi, ha contribuito a creare una quasi leggenda, attraverso le arringhe interessate e preconcette di avvocati, le articolesse di giornali, lo spettacolo quotidiano di una turma di poveraglia, chiamata qua a testimoniare non contro un uomo, che già è stato condannato, ma contro il proprio paese.

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Solo da poco Murri, Mauri, Pennati sono venuti fra noi a veder qualche cosa della Sicilia, quel ch'era possibile in una corsa più o meno in fretta, per averne delle impressioni per quanto sincere altrettanto fugaci. Noi non ci conosciamo; e lo stacco si rende tanto più reale, quanto ancora non si è trovato una ragione specifica di lavoro di tutti i cattolici d'Italia anche a favore di una questione che non è semplicemente politica, ma che è fondamentalmente questione di conoscenza e di condizione di animo.

Pagina 235

Le affrettate generalizzazioni, tanto più facili, quanto meno sono gli elementi conosciuti e di fatto, sui quali dovrebbero basarsi, han servito a creare tanti ostacoli, addirittura insormontabili alla conoscenza del Meridionale; mentre una folla di interessi antagonistici ha trovato il facile pretesto per affermarsi sulle condizioni politiche diverse, da creare lo stacco vero, reale, di due Italie che si guardano in cagnesco; con la differenza che il disprezzo o la commiserazione, la noncuranza spesso, concorrono a determinare un urto di animi, assai più disastroso che l'urto degli interessi.

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Non occorre, o meglio, sento il dovere di premettere una dichiarazione: non sono uno chauvinista,che vengo qua a descrivere le bellezze della mia terra natale, e a vituperare coloro che l'hanno oppressa e disprezzata; sono e voglio essere un analizzatore spassionato di un problema, che amo sia percepito in tutta la sua realtà.

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Entriamo adunque nell'analisi accurata, coscienziosa, sobria e serena del problema, con la convinzione che anche a noi spetta interessarcene, come di un vitalissimo problema di vita nazionale, che non sfugge alla nostra attività di cattolici, per quanto limitata, e alla quale anche l'alta e media Italia deve partecipare con senno, solidarietà e amore fraterno.

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Penetrare nell'intimo del nostro problema meridionale è per molti, per moltissimi, come penetrare in una contrada inesplorata, della quale i geografi non hanno maggiore competenza di colui che nella carta d'Africa del Vaticano pose hic sunt leones;così per molti la geografia di Italia arriva a Roma e poscia il resto è segnato con le parole hic sunt meridionales.

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Dirò cose che spiaceranno ai miei colleghi del meridionale, come a quelli del settentrionale; ma proverò di essere obiettivo. È la prima volta che ad un pubblico e ad un uditorio non composto di meridionali, parlo della questione meridionale, di una questione, che non è estranea al nostro programma democratico cristiano, ma che anzi lo tocca abbastanza; per cui son sicuro che l'interessamento per il principio nazionale si unirà quello di un programma, che sentiamo così vivo, oggi specialmente, che si afferma vigoroso e pieno di speranze per l'avvenire.

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Se al grande amore patrio che animò coloro che sinceramente vollero l'Italia una nazione, si fosse aggiunto una percezione esatta del problema che affrontavano, e se coloro che reagivano avessero inteso i tempi, e guardato più allo spirito pubblico che alle combinazioni diplomatiche e alle violenze della polizia, questo grande fatto di vita nazionale, che ha elevato la nostra nazione a una vitalità notevole, non sarebbe andato incontro a uno dei più forti tarli di vita interna, che per molto tempo ancora intristirà e aduggerà molte energie e potenzialità.

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., divenuta anche uno stato nella violenta e artata caduta degli altri stati, una più che altro nell'unificazione uniforme, violenta, distruttrice delle tradizioni locali, delle storie avite, del sentimento, dell'educazione, della vita di ciascuna parte di questo vecchio organismo in poco tempo rifatto a nuovo e messo sotto un altro regime.

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Nell'evo moderno andò mancando la forza potentissima e unificatrice di Roma, e nel suo continuo decrescere arrivò sino alla Italia presente nazione a sé, che non è più Roma, ma ogni singola parte e tutta insieme.

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I sensi sono aperti alla vita, e a una vita molteplice in una soddisfazione singola, per cui il sentimento individuale entra più facilmente, più da sé, in comunicazione con la natura; il senso collettivo e sintetico è meno sviluppato in chi nell'analisi minuta della vita svolge una attività di sensi e di pensiero esuberante. L'individuo aderge nella sua forza di comprensione della natura, il

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