Enrichetto avendo compiuti gli studi liceali, e trovandosi perciò sulla soglia dell'Università, doveva chiarirsi intorno alla carriera che intendeva abbracciare. La scelta dello stato, diceva il padre, è la faccenda più importante della vita, come quella da cui dipende il carattere e tutto l'avvenire dell' uomo, e pur troppo s'ha a confessare che in ciò si procede colla massima leggerezza. Senza punto badare alla condizione, all'indole, alle spinte dell'animo, alle facoltà fisiche, morali e, intellettuali, altri si lascia far forza dai genitori o dagli amici, altri cercando solo il tornaconto s'appiglia a quello che gli promette maggior lucro; altri borioso si lascia adescare dalla vanità di un nome, e così accade non di rado che uno si trovi in tale tenor di vita, al quale riesce del tutto disadatto, e quindi continui ripetii, malcontenti, contrasti; quindi quel cambiar di professione e di mestiere, senza mai trovarne uno che gli vada, pari a quegli infelici di Dante, condannati a volgersi continuamente senza posa mai. La maggior parte poi di costoro finisce per far niente. Ripeteva il signor Carlo che tutti debbono avere una occupazione, dal ricco sfondolato all'ultimo operaio, secondo la condizion loro e facoltà; rammentava la professione del Cardinal Federico Borromeo nel Manzoni, che la vita non già destinata ad essere un peso per molti, e una festa per alcuni; ma per tutti un impiego, del quale ognuno renderà conto. Quindi ben a riprendere devono essere coloro che dicono: «tant' e tanto sono ricco, e non ho bisogno di lavorare; non ho mestieri di prendere una carriera per vivere; oppure io prendo cosi una professione per aver un titolo; ma non voglio punto esercitarla». E chi sei tu, esclamava egli, essere privilegiato che vai esente dal lavoro? Dunque a te inutili strumenti sono e le braccia e le mani e l'intelletto che ti diè la Provvidenza? La società umana è una grande macchina che per volgersi si richiedono le mani di tutti i viventi, e tu vorrai negare le tue, vorrai essere un attrito, un inutile ingombro al girarsi di quella? Il re sul trono, i magistrati ne' tribunali, l'operaio nelle manifattorie, il contadino ne' campi, concorrono tutti nella grand'opera della civiltà. Ogni uomo venne su questa terra per portare il suo sassolino al grande edifizio sociale; chi viene solo per comparsa, è come l'albero che solamente dà foglie il quale aduggia e reca danno a'fruttiferi; o meglio sono piante crittogame che incagliano la maturanza de'frutti. Ogni professione è buona ed onorata, purchè onesta e onestamente si eserciti; l'avvocato, il medico, il legnaiuolo, il ciabattino sono egualmente degni di rispetto, quando nell'esercizio dell'arte loro si mostrino capaci e virtuosi. Laddove per alta che sia la tua carica, tu riuscirai biasimevole e brutale, ove ti mostri inetto, o la deturpi colle tue nequizie. A questo proposito nel giornale di Enrichetto si leggevano le seguenti considerazioni, tratte da Silvio Pellico. « Entra in quella carriera, a cui sei chiamato e » t'innoltra, ma portandovi le virtù che richiede. Mediante » tal virtù ogni stato è eccellente per chi v'inclina. » Il sacerdozio che spaventa chi l' ha abbracciato » per leggerezza e con cuore avido di divertimenti, » è delizia e decoro ad uomo pio e ritirato.... » La toga che molti portano quasi enorme peso, per » le pazienti cure che esige, è grata all'uomo in cui » prevale lo zelo di difendere col senno i diritti del » suo simile. Il nobile mestiere delle armi ha un incanto » infinito per chi arde di coraggio, e sente » non esservi più glorioso atto che l'esporre i suoi » giorni per la patria. Mirabil cosa! tutti gli stati, » dal più sublime, sino a quello d'umile artigiano, » hanno la loro dolcezza ed una vera dignità! Basta » voler nutrire quelle virtù che in ciascuno stato son » dovute. Solo perchè pochi le nutrono s'odono tanto » maledire la condizione che hanno abbracciata. Ogni » via della vita ha le sue spine, dacchè ponesti il » piede in una, prosegui, retrocedere a fiacchezza. Il » persistere è sempre bene, fuorchè nella colpa. E solo » chi sa persistere nella sua impresa può sperare di » divenire alcun che di segnalato ». Enrichetto per altro non ebbe molto a riflettere sulla scelta dello stato. Egli fin da ragazzino era preso d'ammirazione per il medico di sua casa, da cui aveva appreso tante buone massime, e tante profittevoli abitudini, e più cresceva negli anni e più apprezzava la bontà, l'onestà, la scienza, l'operosità, la tenacità nel bene di lui; onde la medicina, che vedeva in figura nella persona di quello, gli pareva la più bella professione che potesse abbracciare. Senza che l'arte salutare, l'andar per le case ad asciugar lagrime, a sollevare dolori, meglio rispondeva a quel bisogno istintivo dell'animo suo di far del bene a ogni persona.
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Come regola generale io non esito a dichiarare che i genitori sono i primi, i naturali maestri dei figli, e che essi, meglio degli altri conoscendone lo spirito e la capacità, ponno anche dirigerli e guidarli nella carriera che debbono abbracciare, nello stato al quale vogliono consacrarsi. Ma se tu mi hai ben ascoltato, amica buona, io ti ho detto che i tuoi genitori ponno dirigere e guidare la tua vocazione, mai e poi mai importene una. Come suona, la parola vocazione significa voce che chiama, e questo è ben differente dal sentire desiderio, bramosìa, smania per uno o per altro stato. Molte ottime e brave signore amano, prediligono, se vuoi anche invidiano le Suore della Carità; ma tuttavia non hanno punto errato loro via nel diventare mogli e madri, poichè se dal frutto, come dice il Vangelo, si conosce l'albero, dalla invidiabile loro riuscita si può ben asserire che quello da esse abbracciato era lo stato cui le chiamava Iddio. La vocazione adunque non ti può venire altronde che dal Signore, non mai nè dai parenti, nè dagli amici, e neppure dalla tua volontà, la quale, è innegabile, è però spesse volte lo strumento di cui si serve l'Altissimo per farti sentire la sua, ma che molte fiate rimane estranea e fino divergente. Un tale, che divenne mio parente, in sua gioventù coltivò è vero gli studj e si laureò in parecchie facoltà; ma giovandosi di tutti i vantaggi che gli davano un bell'ingegno, un largo censo, l'avvenenza della persona e le numerose aderenze, si godeva una vita piuttosto libertina che libera. Parve infine volesse metter giudizio, e chiesta ed ottenuta la mano di nobile donzella s'avvicinava il dì delle nozze da entrambi sospirato. Sorge finalmente l'alba aspettata, la giovinetta bianco vestita sta coprendosi del candido velo nuziale; ma ancora lo sposo non arriva. Si corre in cerca di lui, non si trova; si cerca ancora e si sente ch'egli è fuggito sotto mentite vesti da quella città: il fratello della fidanzata lo insegue, ma non gli riesce di raggiungerlo. Alcuni anni dipoi Guglielmo... si presenta al padre e con tono umile, ma risoluto gli dice: « Fino dalla mia prima giovinezza mi sento chiamato al chiostro: ma io non volevo farmi frate, quindi ho tentato ogni mezzo, ho voluto godere il mondo, le sue lusinghe, e vedendo che ancor non bastava a far tacere quella voce potente, ho voluto stringere nozze per ogni rapporto desiderabili ed invidiabili. Al punto di recarmi all'altare a giurar fede ad una donna, più forte quella voce ha gridato dentro di me; quasi una mano di ferro mi ha trattenuto, mi ha distolto dall'appressarmivi. Ho lottato ancora alcuni anni; ho tentato far tacere i miei rimorsi immergendomi nuovamente nel piacere e nel libertinaggio; ora non posso, non voglio più resistere, voglio dedicarmi a Dio. » Non è a dire la meraviglia del padre e dei parenti; ma questa aumenta a mille doppj quando la già orgogliosa testa di Guglielmo riceve umilmente la tonsura; quando, Barnabita, è un miracolo di pietà e di zelo quando fonda scuole, collegi e ad essi dedica non solo i suoi averi, ma più ancora la sua vita; quando, quasi l'Italia non bastasse al suo zelo, fu chiamato a Parigi a fondar scuole; quando finalmente su quel capo venerando posa l'onorevole carica, ch'egli degnissimamente disimpegna, di Generale della Compagnia, fino a quel giorno in cui da tutti venerato e compianto, fino dall'augusto Pontefice Pio IX, il suo spirito ritorna nel grembo di Dio. Mi pare che da questo fatto potrai rilevare tu stessa cosa sia la voce di Dio, la vocazione. È una voce indipendente da noi, indipendente dagli altri, indipendente dalle circostanze; è una voce che da noi ascoltata e secondata come, benchè troppo tardi, fece colui del quale ti ho fatto il racconto, porta frutti di vita; è una voce che da noi attutita, ributtata, ci trascina da un male in un altro peggiore, come lo prova la sua gioventù, e come assai meglio lo provano i grandi apostati della religione. Lutero, Calvino, Zuinglio, e tutta la loro obbrobriosa schiera, è gente che chiamata forse al secoio, ha voluto per seconde mire indossare il sajo e la cocolla; è gente che, sbagliato un passo nel sentiero della vita, è tosto precipitata nel burrone, nel precipizio che la doveva condurre a rovina. Se adunque i tuoi genitori, non contenti di suggerirti lo stato che credono a te più conveniente, osassero importelo, tu, forte della forza stessa di Dio, puoi liberarti da un laccio che ti affoga, ti strozza, poichè qui stanno i confini dell'obbedienza ad essi dovuta. Se essi pretendessero che tu li superassi questi confini, la loro sarebbe una pretesa, non un diritto; e tu potresti liberamente seguire quella voce che ti viene dal Cielo, e che ti si farà sentire chiaramente, nettamente, e dentro di te colle inspirazioni, e fuori di te coi consigli delle persone buone, e soprattutto colla parola illuminata di chi dirige la tua coscienza in nome dell'Altissimo. Tu sei dispensata non solo dall'andar monaca, o dall'andare a nozze se ciò ti ripugna; ma neppure sei obbligata a quel tal chiostro o a quelle tali nozze che ti si vogliono imporre, poichè il Signore, vero amante della libertà, ti lascia quella di scegliere liberamente. Ti ripeto, niuno più dei tuoi genitori ti ama e desidera veramente il tuo bene, quindi sarebbe un delitto imperdonabile il tuo, se non dipendessi dal loro consiglio e dalla loro esperienza. Qualora poi tu veda chiaramente che essi si oppongono alla tua libertà, tu non sei pù obbligata di obbedirli in proposito; ma quando il loro avviso non diverga di molto da quello che senti dover seguire, tu devi cercare di obbedirli, poichè può essere solo un'eccezione quella che ti dispensa da questo dovere. Se il Signore ti chiama al drappello dei vergini, non chiudere gli occhi alla luce; ma volonterosa e gaudente stringi in mano il giglio della purezza, e com'esso diverrà candido ed olezzante l'esser tuo che molto assumerà dell'angelico. No, non calpestare quel giglio; calpesto, ei diverrà marciume fetente e tu com'esso! Oh! se il Signore ti chiama al drappello dei vergini, a quel drappello di cui Egli è capo, non esser tarda a rispondere all'invito; ma corri, ma vola e benedici al Signore d'averti dato la parte migliore. Se il Signore ti chiama al drappello dei vergini, gli è ch'Egli solo vuol essere tuo sposo, egli ti vuol libera da ogni legame terreno: allora, corri, vola, va in braccio a Lui che ti chiama!... Se in quella vece il buon Dio, amante e padrone dei cuori, ha fatto sentire al tuo una voce che t'invita a porre in sul dito l'anello di sposa, attendi pazientemente, ed accetta allegramente quello sposo che da Lui ti verrà presentato, e che per una certa parità di principj, di educazione, di condizione e di età, a te meglio si addice. Tu devi guardarti bene dal seguire in questa scelta il capriccio o la passione; ma qui più che mai t'è d'uopo porre le briglie al tuo cuore per imperarlo, mentre il più delle volte i matrimonj combinati dietro l'impulso della passione sono fatti all'impazzata, senza tener calcolo delle parità e convenienze accennate più sopra, e sono quindi seguiti miseramente da discordie, da divisioni e perfino da gravi delitti. Segui nella scelta dello sposo il parere saggio ed illuminato dei tuoi, quando non ti senta aperta ripugnanza, nel qual caso potrai stare aspettando una circostanza migliore, guardandoti possibilmente dallo stringere un nodo al quale non vada unita la benedizione dei genitori. La benedizione dei genitori è sorgente di tutte le altre benedizioni, ed io tutte le invoco sul tuo capo; sul tuo capo che forte abbastanza per levarsi e seguire prontamente la voce del Signore, saprà altresì umiliarsi per ricevere i lumi di chi glieli comunica per parte di Dio. Riepilogando dirò, che tu sei obbligata sempre ad obbedire il padre e la madre tua; sempre quando il loro comando non sia in contraddizione colla giustizia, od in opposizione al voler del Signore, il quale è unico assoluto padrone delle sue creature non solo, ma delle vocazioni. Sempre tu adunque sei tenuta ad obbedire il padre e la madre tua, e ricordati che sei dispensata, anzi obbligata a non obbedirli, quando per obbedire ad essi tu debba disobbedire a Dio; orbene questa non è nè può essere se non un'eccezione, e questo non te lo dimenticar mai. Se anche tu sarai forzata a trovarti in un'eccezione, quando ti mostrerai e sarai veramente soggetta, devota, affettuosa coi tuoi genitori in tutto quanto è giusto, potrai e saprai dir loro umilmente ma francamente: Dio mi é padre prima di voi, io debbo obbedire Lui solo, e quantunque ti possano essere riserbate delle lotte, e delle lotte acerbe, il tuo cuore, benchè addolorato, conserverà una calma inalterabile, e, non tarderà molto, l'iride della pace ritornerà sull'orizzonte della tua esistenza; cesseranno gli odj, si riuniranno i cuori, poichè Iddio non rifiuta mai la sua benedizione ad un'opera stata iniziata, coltivata o posta a termine sotto i suoi auspicj. Quanto a te, io come amica tenerissima ti amo, e ti desidero che tutta scorra serena la tua esistenza, che mai tu sii forzata a dire ai tuoi genitori: questi sono i confini dell' obbedienza che vi debbo. Oh! risparmiate, buon Dio, alle care giovinette che leggono questo libro un tale strazio, una simile pena; Voi suggerite alla mente, al cuore dei loro genitori quello che a loro si addice, affinchè invece di contrariarne la vocazione, la secondino, l'appaghino, e genitori e figliuole si meritino un giorno di sedere con Voi in Paradiso, dove non più lotte nè dolori, non più responsabilità nè restrizioni, ma gioja, pura, ardente, eterna, sarà il pascolo di quell'anime beate. Padre nostro che siete ne' cieli, sia santificato il nome vostro, sia fatta la vostra volontà come in cielo così in terra! 23
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E credilo fermamente, mia cara; ogni cosa buona che si apprende, torna utile un momento o l'altro; e noi non dobbiamo abbandonarci a quella dottrina poltrona e rovinosa che ci fa attaccare unicamente, e vorrei dire, avaramente, a quanto ci riguarda strettamente oggi; ma pensare e vedere con una testa ed un occhio meno limitato e circoscritto, e quindi abbracciare tutto quello cui possono arrivare le nostre forze e la nostra capacità. Poniamo tu sii la sorella maggiore o mezzana, e che, per circostanze speciali, graviti sulle tue spalle intero o quasi intero il peso della direzione della famiglia, e specialmente dei fratelli e delle sorelle. In tal caso la tua virtù d'annegazione dovrebbe arrivare alla generosità per metterti all'altezza del tuo ministero, e senza rinunciare alla giovialità ed alla semplicità che debbono essere l'abito costante della tua giovinezza, tu dovresti circondare il tuo petto d'una corazza invulnerabile di fortezza d'animo per renderti capace a superare ed a vincere le battaglie della tua condizione. Molto probabilmente qualche sorella e più ancora qualche fratello sfaccendato che vorrà farla da saccente, troveranno grave l'obbligo di stare a te soggetti; ma ove tu adorni il giogo di tenero amore, di un amore che ti renda facile all'ajuto, di un amore insomma che renda quel giogo leggiero e soave; il fratello e la sorella non cercheranno più di scuoterlo, ma saranno contenti di portarlo teco. Per venire però alla spiegazione pratica della cosa, sarà meglio discendere ai particolari, perchè se è bene formare in noi stessi un criterio complessivo che c'indichi i nostri doveri e ci mostri la loro importanza, questo criterio riesce spesso inutile e vago se dall'astratto non scendiamo al concreto di quella vita d'ogni giorno, di quella vita combattuta da quei cento e mille obblighi e contrasti che tentano deviarci dalla retta via, turbando la nostra pace e confondendo le nostre idee. Se a te spetta la direzione della famiglia, io vorrei vederti donnina fin d'ora; non già ch'io pretenda e neppure che io permetta tu ti spogli come t'ho detto poc'anzi della tua giovialità e dello slancio dei tuoi vent'anni; ma io desidero che a questi vantaggi tu aggiunga gli altri di una certa sodezza di principj e di condotta che ti facciano non tanto parere, quanto ti facciano veramente diventare una donnina, una cara donnina. Mi pare quasi di vederti come in uno specchio, lesta il mattino levarti di letto prima degli altri, volare appena ti sia possibile in Chiesa ad assistere all'incruento Sacrificio della Messa, ed intanto recitare le tue preghiere, fare la tua meditazione, prepararti agli avvenimenti possibili della giornata; quindi ornato il cuore e lo spirito dalla grazia e dalla luce che partono dal Tabernacolo Santo, far ritorno alla casa che te sola aspetta per risvegliarsi, per accogliere bramosa, insieme coi raggi del sole, i raggi di carità che emanano da tutta la tua persona. Sì, ho detto i raggi di carità, poichè tu sei pronta ai bisogni d'ognuno, dei grandi, dei piccoli, dei superiori, degli uguali e degli inferiori; hai occhio a tutto e nulla sfugge alla tua penetrazione. Questi ha bisogno di essere sollecitato, quello ha d'uopo di freno; questi ha bisogno una parola di conforto; quello ha d'uopo d'essere corretto, ed a tutti tu rivolgi la parola prodigiosa. Ciò riguardo allo spirito; ma tu sai che l'uomo è composto non di solo spirito ma altresì di corpo, ed a questo pure si rivolgono le tue solerti cure. Tu prevedi i bisogni dei tuoi sudditi, e regnando sovr'essi con un regno di devozione, di sacrificio, ti privi per essi, ti posponi ad essi, e ti sforzi procurar loro il bisognevole vestimento, il nutrimento, l'istruzione, e tutto quanto ponno e debbono desiderare. Ma saggia ugualmente che premurosa, tu misuri il vitto e le vesti alla condizione e, più ancora allo stato finanziario in cui ti trovi, e fedele a quell'assioma: è utile abituarsi piuttosto al meno che al più, abitui te stessa ed i fratelli tuoi ad una vita frugale e scevra affatto da quelle leccornìe e da quelle levigature che ci rendono piuttosto servi che padroni, assuefacendoci a quelle esigenze e quei bisogni che costituiscono altrettante privazioni, quando taluna delle molteplici combinazioni e casualità della vita ci rendono difficile o penoso il conseguirle. Pulito ma semplice e non molto dispendioso sia il vestire, e parimenti semplice e sano il pasto: una sola la voce che chiama i componenti la famiglia alla refezione del mattino, refezione uniforme per tutti, tranne l'unico caso di malattia di alcuno: si contenti oggi il gusto dell'uno, domani il gusto dell'altro; ma, ripeto, ognuno si adatti a quello che è preparato per tutti. Io credo e credo fermamente che non solo dall'osservanza di questa regola sia giovato il buon andamento e l'economia domestica in modo assai rilevante; ma so per prova che altamente ne è giovato l'indirizzo morale e intellettuale degli individui. E perchè ridi a questa mia proposizione? Ti pare strano e quasi incredibile che ci abbiano a che fare tra loro le vivande ed i costumi, le vesti e l'intelligenza? Prendendo la cosa così vagamente si crederebbero davvero impossibili tali rapporti; ma se per poco tu esamini ben benino la faccenda, ci scommetto, converrai perfettamente con me. Ma ora mi avvedo che se mi dilungo in quest'argomentazione, perdo di vista, od almeno mi allontano da quello che più davvicino riguarda i doveri della sorella maggiore; e però mi riservo di comunicarti le mie idee in proposito ai legami che passano tra il vitto ed i principj, nella conferenza che tratterà dei pranzi e quindi della ghiottonerìa. Tu adunque, donnina provvida e previdente, dopo la colazione comune ed uniforme, mandi alla scuola quelli tra i tuoi fratelli e sorelle che ci debbono andare; ma li mandi dopo d'esserti bene accertata che hanno compiuto con diligenza i loro cómpiti, e dopo d'averli tu stessa guidati ed indirizzati al bisogno. Fra il giorno ti occupi della casa, dei genitori, se Iddio te li ha serbati, e quando le tue forze pajono indebolirsi, e il tuo cuore ha bisogno di qualche cosa che lo sorregga, lo levi a Dio, e pur toccando coi piedi la terra, sollevi al cielo il tuo spirito tuffandolo, per così dire, nel mare di dolcezza che è il cuore di Gesù, e ti senti incoraggiata, rinforzata, rinnovata. La convivenza con diverse persone d'indole probabilmente differente e fors'anche opposta, ti costerà non solo fatica, ma bene spesso contrasto: quel contrasto che non potrà essere vinto con altra arme se non con quella della virtù e dell'annegazione, cercando costantemente di correggere il carattere tuo e quello dei tuoi soggetti ed uguali. Qualche volta dal tuo petto uscirà prolungato e mesto un sospiro, le tue braccia come stanche ed abbattute si abbandoneranno in atto di prostrazione; ma se il tuo occhio si solleverà in alto e s'incontrerà con qualche immagine della Vergine Santa, che la tua pietà porrà in ogni angolo della casa, quasi a profumarla, a santificarla, Essa, la Mamma nostra pietosa, t'infonderà una virtù, una forza, che ti renderà capace di tutto fare, di tutto ottenere, di trionfare delle maggiori difficoltà. La tua operosità non interrotta, permettendoti di sollevare tratto tratto il tuo cuore alla fonte dell'amore, renderà amabile la tua compagnia, efficace l'opera tua ed oltremodo feconda, e non ti priverà del necessario riposo della mente e del corpo. Questo riposo ti verrà talora da una passeggiata; talora da una visita carissima fatta o ricevuta; talora da una buona lettura; talora da una combinazione imprevista, che Dio penserà Lui stesso a mandarti se vedrà che l'avrai meritata; ma il riposo in un modo o in un altro verrà, stanne pur certa. Dopo di avere dedicato te stessa ai tuoi fratelli, ti guarderai bene di far loro sentire il peso del tuo sacrificio, poichè essi, oltre al provarne umiliazione, ne sarebbero molto probabilmente irritati, e questo non concorrerebbe sicuramente a rendere efficace l'opera tua, ma l'attraverserebbe e le sarebbe di ostacolo spesso insuperabile. Il tuo regno, tel ripeto ancora, il tuo regno sia regno di amore, di dolcezza, ed essendo condiscendente in tutto quanto non urta il principio e la regola indeclinabile della casa, potrai usare di una santa fermezza in tutto il resto. Le tue cure non saranno interrotte nella giornata, nè dal ritorno a casa dei tuoi, nè dal loro coricarsi, osservando tu sempre pel pranzo e per tutto il resto quelle massime di uniformità e di economia alle quali ho solo accennato, ma che tu hai bene compreso. Guai se tu facessi delle preferenze, o parzialità, guai! ne andrebbe grandemente compromessa la tua autorità e svanirebbe il tuo ascendente! Tu, come angelo della famiglia, appartieni non tanto alla terra quanto al cielo, quindi non devi tenerti paga di curare nei fratelli e nelle sorelle la vita del corpo; tu devi, curare assai più in essi la vita dell'anima, quindi offrir loro in te stessa l'esempio di una fede cieca, operosa, costante. Tu devi avvalorare il tuo esempio con buoni consigli, con saggi ammaestramenti, insegnando tu stessa ai tuoi fratelli ed alle sorelle le verità della religione, le preghiere e le pratiche, ajutandoli a compierle, conducendoli alla Chiesa, ai Sacramenti, alla predica e anche più alla spiegazione della Dottrina Cristiana. Oh! se tu con quella dolcezza insinuante che nella bocca di una giovinetta semplice e virtuosa acquista tale un fascino da cui non sanno sottrarsi neppure le anime inveterate nel vizio e nell'incredulità, se tu con quella dolcezza inviterai, ammaestrerai coloro che teco hanno comune la nascita, l'educazione, la fortuna e perfine il nome, oh! la tua famiglia si manterrà o diventerà una famiglia di santi, una famiglia veramente invidiabile. Che se il demonio riuscirà ad infiltrarsi in quel santuario consacrato dalla tua presenza e dalla tua virtù, e prenderà dominio di taluno dei tuoi cari, oh! non ti perdere di animo, no non ti perdere di animo! il Signore permette che il tuo cuore sia trafitto, ma solo per rinvigorire, per ritemprare la tua costanza! Già ti pare quell'anima diletta sia perduta nell'abberramento dell'incredulità o delle passioni; già ti pare veder quell'anima sull'orlo del precipizio che la deve gettare in un luogo di eterna riprovazione; già tu la vedi precipitata... No, non temere, non temere; là in fondo a quel cuore sopita, ma non morta, c'è l'idea di Dio, anzi la fede in Dio; quell'idea di Dio si risveglierà, la scuoterà, la muterà, la risusciterà, e quello che ti sembrava un tizzone d'inferno, diventerà carbone ardente sull'altare del Dio che tu adori, che tu ami! Oh! è pur bello quel racconto evangelico in cui si narra come gli apostoli si trovavano sul mare, e questo furioso ingrossava, ingrossava; le onde si sollevavano spaventosamente; il vento sibilava con orrido suono e quegli uomini la di cui fede era ancor debole e vacillante, si spaventarono, e svegliarono il maestro divino che sul fondo della barca placidamente dormiva. E, non temete, diss'egli con quella sua voce soave, e levatosi in piedi comandò ai venti ed al mare, e si fece bonaccia. Fatti animo, figliuola, quel fratello, quel padre, quell'anima che ti preme, è la barca in preda alle onde; ma in fondo alla barca 26 c'è Gesù, quel Gesù che vi è stato collocato nell'infanzia, nella primitiva educazione... Destalo tu Gesù in quel cuore, colla tua fervorosa, incessante preghiera, e quel Gesù si alzerà, e dicendo: Non temete, porrà in silenzio il vento delle passioni e ritornerà nel tuo diletto congiunto la calma, la pace... L'arcobaleno sfoggia nel cielo azzurro i suoi bei colori, e ti annunzia il sereno, la fede. Leva a Dio l'inno del tuo ringraziamento!
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La giovinezza è naturalmente portata a vagare per l'ignoto, ad investigare nel proprio avvenire, a fare progetti, ad abbracciare idee, sistemi, illusioni, che diretti come sono non ad un punto fisso e conosciuto, ma ad un campo nuovo, inesplorato, nascosto, hanno minore probabilità d'incappare nel vero, di quello non abbia colui il quale confida che la prossima estrazione gli porti un bel terno, anzi un'intera quintina. I numeri del lotto sono novanta, ed i numeri dai quali pretendiamo indovinare il nostro avvenire sono numerati solo da Dio! Un francese chiamò la fantasia, la matta di casa, e il dettato passò in proverbio. La colpa veramente non è tanto sua quanto nostra, che se invece di governarla colla ragione, ci lasciamo da essa governare, la fantasia ci fa deviare dalla giustizia e dalla rettitudine, ci fa disperare cogl'irragionevoli suoi sbalzi, e ci conduce a commettere delle vere pazzie. Pure, lo so, è tanto bello e lusinghiero lasciar vagare la fantasia, sognare, fabbricare nel nostro avvenire un edificio capriccioso, delizioso, superbo... Lo so, lo so che è bello e lusinghiero, ed appunto per questo mi fa paura e desidero porti sull' avviso, affinchè tu non abbi a lasciarti illudere, allucinare dal suo ingannevole bagliore. Alcune fanciulle di famiglia civile, ma privata e modesta, vanno fantasticando viaggi, pompe principesche, cocchi e donzelli, e pescano e trovano una tal quale possibilità di potere un dì esse pure posseder tutto questo; nè ciò basta; esse si figurano il come, il dove, il quando, faranno la loro grande comparsa; studiano i modi, le parole, i complimenti che dovranno usare coi loro soggetti. Che avviene? Il sogno è sempre sogno, quindi un fantasima che corre dentro il cervello colle forme più strane e stravaganti, lasciando però che il corpo percorra in tutta la sua realtà il campo della famiglia, della vita domestica e sociale. Pensa tu l'accozzaglia che faranno tra di loro la testa che si crede regina, e il corpo che si trova suddito; pensa tu cosa di bene possa venir fuori da questo credere una cosa e trovarne un'altra. La poveretta che sogna e fantastica si trova sempre al disotto d'ogni sua aspirazione, e per quanti sieno gli agi che la circondano, i baci, le carezze de' suoi cari, gli sforzi loro per vederla felice, ella è sempre mesta, cogitabonda, spira da tutto il suo individuo una cert'aria di abbandono e di degnazione, il suo riso è mesto e forzato, il suo sguardo languido con caricatura, e lunghi sospiri escono dal suo petto. Io credo che con questi simulacri di giovinette un solo rimedio sia eccellente ed efficace; sai tu quale? Un bel frustino che suoni nell'aria e ne batta vigorosamente le spalle. Ti parrà forse triviale ed antiquato il mio rimedio, e forse discorde dal mio sistema di medicina per le malattie giovanili; ma che vuoi? in questo caso non mi pare ce ne sia un altro capace a surrogarlo, e finchè tu non me lo additi, io insisto per questo. La mamma difficilmente si decide ad adoperare il frustino, ed allora il Signore, colle anime che vuol salvare dalla mattía dell'immaginazione, pensa Lui a mandare i gastighi o le sventure, affinchè dal campo aereo la fanciulla cada naturalmente in quello della realtà, non altrimenti della sonnambula che nella veglia si ricrede di quanto ha detto o fatto durante il sonnambulismo. Le giovinette non si contentano di crearsi nell'ardente fantasia cocchi, castelli e paggi; ma si creano altresì cavalieri; cavalieri che diventano erranti, che si perdono nell'ombra dell'avvenire, perchè corpo non hanno; che sono un'illusione, perchè in essi non v'ha nulla di reale; che sono un inganno, un doloroso inganno a chi in essi si pasce. Non mi regge l'animo di condannarla; ma mi fa un'immensa compassione quella sconsigliata, la quale si strugge in vani desiderj, in stolte immaginazioni, e di ogni giovane che le faccia di cappello, o la saluti con garbo, o le dica una parola graziosa, si fabbrica tosto colla fantasia uno sposo. Dal primo castello in aria altri ne sorgono e crescono a vista d'occhio, e già le pare di ricevere il dono della promessa, d'indossare la veste nuziale, di stringere in dito l'anello; di ricevere i doni, le poesie, gli evviva, di regnare sola nella propria casa, di fare ogni cosa a sua voglia, di vestire a suo capriccio i figliuoletti, e cento altre corbellerie che non hanno maggior corpo, nè meritano maggior importanza delle bolle di sapone, o delle parole di una ciarliera. Oh! tu, non t'abbassi cotanto, da credere non capace la tua condizione a fornirti pensieri e soddisfazioni sufficienti per cercarli nei sogni dell'immaginazione! Nel contentarsi di quanto si ha, io trovo la vera grandezza d'animo e la sodezza dei principj; orbene, questi sono il verdetto di condanna dei visionarj. Vedere uno sposo in ogni uomo azzimato, o ricco, o giovane, o procace? È troppo serio il pensiero di un collocamento per idearlo od accarezzarlo così all'impazzata senza probabilità veruna. Ho sempre visto che coloro i quali hanno vagheggiato lungamente un matrimonio sotto speciali auspicj, hanno fatto come coloro che allungata la mano ad un frutto lontano od immaginario, allorchè hanno creduto di afferrarlo, non vi hanno trovato che un pugno di mosche... Oh! i sognatori sono come i re di scena; re per un momento e sudditi par tutta la vita. Oh! il frustino, il frustino, quanto bene farebbe! Tu desideri, è vero, un onesto e vantaggioso collocamento, mia cara figliuola? E perchè a questa mia interrogazione ti salgono le fiamme al viso e chini il capo in atto di vergogna? Non c'è ombra di male in codesto, purchè il tuo desiderio sia regolato dal criterio e specialmente dalla virtù, ed anzichè rivolto a cercare nell'aria quello che non si trova che nella terra, o dirò meglio nel cielo, in un dolce abbandono tu lo cerchi a chi solo te lo può dare e conservare. Sì, quel che tu cerchi è nel cielo, perchè tu cerchi uno sposo col quale dividere le gioje, le pene e le fatiche dell'esistenza, ed un simile sposo deve avere il suo cuore nel cielo, sì nel cielo, dove si trova anche il tuo... La religione, la virtù non ti proibiscono un regolato desiderio di formarti tu pure uno stato, una famiglia, ed anzi t'insinuano, ti consigliano ad appoggiarlo colla preghiera. Una vecchia signora, che ora non è più, allorchè con inarrivabile soddisfazione mi raccontava come i cinquant' anni trascorsi insieme al suo consorte, erano stati cinquant'anni di pace e di affetto sempre crescente, mi andava ripetendo con viva compiacenza che il suo sposo lo aveva ricevuto da Dio, il quale aveva largamente esaudita la preghiera quotidiana ch'essa gli aveva indirizzata dai suoi quattordici ai ventiquattr' anni:Signore, se volete darmi uno sposo, datemelo, ma buono, proprio buono, poi tre Avemmaria alla cara Madonna. Le figlie nate da sì bene auspicato connubio provano una volta di più che da pianta sana escono frutti sani, e sono tuttora la benedizione delle famiglie dove sono entrate, e che hanno la fortuna di possederle. Per carità, guardati dal sognare, se non vuoi da un sogno fallace e lusinghiero essere balzata ad una triste realtà. Poi se anche tu raggiungessi ciò che hai ideato, non saresti ancora felice, perchè continueresti a vagare colla fantasia, a fare castelli in aria, ed il tuo stato ti sarebbe penoso. Una signorina, mia conoscente, sognava uno sposo nobile, ricco, amante; trovò infatti uno sposo nobile, ricco, amante, ed ognuno le invidiava la grande ventura, tanto più che un caro angioletto era venuto a rallegrare la sua casa. Senonchè ben lungi dall'essere felice quella casa invidiata, la giovane dama continuava i suoi sogni ed aveva finito col persuadersi come aveva fantasticato, che essa, benchè nata in condizione molto inferiore, meritava non solo quella fortuna, ma ben maggiori riguardi. Il marito allora incominciò a farle sentire il peso che andava unito al titolo che le aveva comunicato, a farle sentire la propria superiorità; e siccome essa si ribellava, egli la fece accorta, benchè troppo tardi, che i suoi sogni l'avevano ingannata, acerbamente ingannata, facendole credere che la gioja conjugale consistesse nell'opulenza, nel lusso, nel grado elevato, e non piuttosto nella parità di principj, di convinzioni, di bisogni, di condizione. Non andò molto ed essa, povera illusa, delusa troppo tardi, e quando era forza subirsi il triste effetto di un fatto compiuto, non ebbe forza di sostenerlo; tornò nella modesta e povera sua casa, rinunciando a tutto e non solo alle agiatezze, ai cocchi, alle gale; ma altresì al proprio bambino che le veniva negato, per trascinare una vita nascosta sì, ma senza umiliazioni. Poveretta! Per vivere è obbligata a lavorare, insegnare la musica... Poveretta! Se tu non sognavi cotanto, avresti ugualmente afferrata la fortuna di uno splendido connubio; ma vi avresti recato l'umiltà, la tolleranza, un criterio giusto, una virtù abbondante, e queste doti t'avrebbero salvata dal nuafragio, e ti avrebbero non solo reso sopportabile, ma leggiero e soave il giogo conjugale. O fanciulla, se Iddio te lo vuol dare uno sposo, e se tu lo cerchi a Lui con dolce insistenza e collo spirito retto e pio della mia povera vecchia amica, Egli te lo darà tale che ti sia di premio, non di gastigo; e se porrai freno alla tua fantasia la quale tenta di traviarti, avrai virtù bastevole a godere il bene che Iddio ti dà, a cementarlo, ad aumentarlo, a comunicarlo a chi ti circonda, a farti pregustare nella vita del tempo quella gioja, quella pace che raggiungeranno poi la massima loro perfezione in quell'avvenire che solo è certo, e nel quale soltanto possiamo figgere desioso e consolato lo sguardo, sicuri di non andare ingannati, poichè in esso risiede il suo regno eterno, beato, ed immutabile l'increata sapienza e l'increata bontà. Non sognare, non sognare: se sogni, pensa al frustino!
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Di più io credo che tra lo schiavo dei rispetti umani e l'apostata non vi sia che un passo: quello misura le sue dimostrazioni di fede e di pietà sulle altrui, questo le rinnega apertamente; io non saprei dunque bene se quegli trovandosi una volta appetto ad un apostata, saprebbe rifiutarsi egli stesso ad abbracciare l'apostasia, come altre volte non ha saputo rifiutarsi di ridere cogli altri delle cose più sacre, e perfino di Dio. Forse tu mi accuserai di essere troppo forte ed acre, e d'ingigantire le cose; ma dimmi un po', che stima faresti tu di quel soldato che in tempo di pace grida Viva il re, e che in tempo di guerra gli volta poi ignominiosamente le spalle? E per venire ad un confronto più pratico, che ne dici tu di quell'amica tua, la quale ti prodiga cento carezze nel dì della tua festa, mentre allorquando si trova presso qualcheduno che ti calunnia o ti deride, non sa levare una parola sola in tua difesa, ma invece approva tacitamente o palesemente la condotta degli altri a tuo riguardo? Che dici tu di quella tua amica che dice di amarti, ma che non vuol essere veduta in tua compagnia, e si nasconde quando viene in tua casa? Ma t'intendo. Io ho già parlato troppo, perchè tu più di me hai in odio il rispetto umano, e tu più di me hai deliberato di non voler mai e poi mai astenerti dal fare una cosa, o farne un'altra soltanto per essere veduta o per non essere veduta dagli uomini. E dove sarebbe la dignità personale? Una volta che io so che una cosa è mal fatta, mi vergognerò e asterrò dal farla, non per il biasimo altrui, ma pel male in sè stesso; ma quand'io so che quello che io faccio è bene, non mi vergognerò no davvero di mostrarlo in pubblico, sarò anzi ben lieta di dare a Dio ed al mio medesimo carattere di cristiana una protesta di fedeltà; perfino, lasciamelo dire, mi sentirò più donna di proposito se avrò e sosterrò con fermezza la mia credenza e le sue pratiche. Mi è ben forza convenire con te che la franchezza del tuo carattere ti attirerà talvolta qualche sogghigno e più d'una parola ironica o di scherno; ma credilo e tienlo bene a mente: tutto sommato, quand'anche tu fossi forzata a vivere con persone che la pensano diversamente da te, la tua franchezza ti circonderà di stima e di riguardi. Quelle stesse che t'avranno derisa, non anderà molto, ti faranno comprendere che stimano assai più te per la fermezza delle tue opinioni e per la conformità fra la tua vita e le tue credenze che non hai mai tentato nascondere, di quello non stimino quelle tali figurine chinesi delle quali abbiamo parlato e riso jeri. Che se ci fosse taluno abbastanza ardito da crederti persona dappoco, perchè dichiaratamente credente e perfettamente cattolica, gli potrai rispondere che non t'incresce essere tenuta persona dappoco nella schiera che dal grande Aquinate, a Dante e Manzoni, ha portato alto la stessa bandiera, la quale forma il loro non meno che il tuo vanto. Ma lo so: pur troppo, se ci è facile sopportare e vincere la guerra fatta alla nostra pusillanimità dalle persone che non ci riguardano se non da lontano e colle quali ci troviamo di rado, ci è poi difficilissimo vincere l'altra fattaci dalle persone colle quali viviamo in continuo contatto; ma ciò non toglie che le suaccennate ragioni valgano tanto per le une quanto per le altre. In questo caso sarai però obbligata a raddoppiare i tuoi sforzi, e più forte ti stringe l'obbligo di presentarti a Dio riparatrice dei torti altrui, anche allo scopo di non cadere tu pure ignominiosamente a rinnegarlo, od a servirlo meno fedelmente per rispetto umano. Poi devi cercare ogni occasione per vincerti; e benchè non ti corra grave obbligo di dichiarare apertamente la tua fede se non nelle cose e nelle circostanze di qualche gravità, perderai molto non solo di merito davanti a Dio ma di forza in te stessa, se non sei e non ti mostri sempre coraggiosa nelle piccole come nelle grandi occasioni. Ed infatti se ti vergogni di farti vedere a leggere un libro di pietà, a frequentare i Sacramenti, le prediche, la chiesa, l'orazione; che caparra ti rimane di saper poi dichiarare apertamente la tua fede, quando la vedrai vilipesa o posta in dubbio ed in canzone? No: tu sai che ogni giorno devi piegare le tue ginocchia davanti a Dio per implorare la sua protezione sulla tua giornata dapprima, poi sulla tua notte; dunque, piegale senza rossore anche se havvi alcuno nella tua camera che ne faccia le beffe. Quella persona deve vergognarsi di dileggiare la tua buona azione, non tu di farla. Se un'amica, o più propriamente si dovrebbe dire una nemica, ti deride o ti guarda con compassione perchè ti accosti spesso al tribunale di penitenza e ricevi con frequenza il Pane dei forti, o per qualunque altra tua pratica di pietà dalla più piccola alla più grande; continua coraggiosamente il tuo cammino, ed invece di lasciarti pervertire cerca di convertire l'amica, colla quale sarai sempre buona, amabile e condiscendente come Dio vuole in tutte le cose che non riguardano il divino servizio. Ringraziamo Iddio che ci ha fatte nascere nella sua Chiesa, che ci ha alimentate coi Santi Sacramenti, che ci nutrisce ogni giorno colla sua parola e colle sante sue ispirazioni, e deh! non sia mai che diventiamo ree d'ingratitudine e di apostasia col vergognarci dei doni suoi. Noi siamo deboli, anzi io sono più debole di te; ma facciamoci coraggio, attacchiamoci al pegno di nostra salute, alla Croce, ed ivi troveremo la forza di superare la guerra mossaci dagli altri e quella che ci viene da noi medesime. Ma se ci poniamo appiè della croce, a chi ci troviamo vicini? Alla Vergine addolorata che, nascosta quando il suo Gesù veniva recato in trionfo a Gerusalemme, si presenta coraggiosa a Lui dappresso quando è vilipeso, bestemmiato e crocifisso. Ci troviamo vicini al caro Apostolo vergine che ha posato il capo sul cuore del Salvatore, e alla gran peccatrice la quale sola ha sentito quella grande parola:Va; ti sono rimessi molti peccati, perchè molto hai amato. O buon Gesù, deh! non permettete mai che dopo di aver parlato con tanta convinzione e con tanto cuore, contro il vile rispetto umano, abbia poi io stessa a rendermene rea; questa sarebbe troppo tremenda pena, e Voi, amante e redentore dell'anima mia, me ne libererete mai sempre. Cara Madre Maria, S. Giovanni, S. Maria Maddalena, Santi tutti del cielo, Angelo mio Custode, liberatemi, per pietà, da sì grave delitto!
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Ma se prima di abbracciare una violenta risoluzione egli si abbocca colla moglie, questa gli farà conoscere con quella forza di persuasione che da l'affetto l'inconseguenza del suo procedere, e i tristi effetti di cui può essere cagione; e torna poco a poco alla mente agitata del marito quella riflessione, quella pacatezza che deve ognora procedere una importante decisione. Dicono i S. Proverbii che la moglie prudente viene da Dio. Perché dunque tenere in non cale, colui che ha la ventura di possederlo, un simile tesoro? perchè non approfittarne e stringere, con quelle saggie confidenze, l'affetto che nasce dall'estimazione? Alcuni sciocchi mariti non danno veruna importanza alle cure poste dalla moglie nel tenere in sesto la casa. Considerano questo zelo, questa passion per l'ordine, per la pulizia come una mania, non altro; ed anco qualchevolta ne ridono, quando non se ne mostrano impazienti. E non pensano costoro che con quelle cure minute le donne fanno un considerevole guadagno; giacché in tal modo nulla si guasta, nulla si perde, nulla si consuma inutilmente; sono meno frequenti, perchè più difficili a nascondersi, i furti, gli scialacqui per parte dei servitori. La polvere, la ruggine non ha alcuna presa sui mobili, sugli arnesi: il tarlo non si mangia gli abiti e va dicendo. Vi par poco tutto questo, o mariti?
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composto, senza approfittarne per abbracciare una graziosa signorina o una bella donna. Quanto ai balli moderni, abbiate il buon senso di rinunciarvi se avete superato i venticinque anni, o per lo meno se non sapete ballarli benissimo. Ma non per questo dovete ostinarvi su una posizione di nostalgia, chiedendo all'orchestra vecchi tanghi o valzer di Strauss oppure insistendo presso la persona che ha l'incarico di cambiare i dischi perché metta in audizione tutti i successi di vent'anni fa. Entrando in un night-club, gli uomini devono precedere la loro dama: e questo non per fare eccezione alla regola che impone di dare sempre la precedenza al gentil sesso, ma per non dare la sensazione alla donna di essere senza accompagnatore. Questo conduce anche a una seconda regola: una donna non deve mai entrare da sola in un locale da ballo. Anche due o più amiche non frequenteranno per nessun motivo un night-club o qualsiasi altro locale da ballo se non c'è almeno un uomo che le accompagni. A che età le ragazze possono andare a ballare? Stando alle regole classiche i diciott'anni sono quelli del debutto in società e del grande ballo in loro onore. In pratica le ragazze d'oggi cominciano a ballare molto prima, magari riunendosi in casa di questa o di quella compagna di scuola o frequentando determinati locali per giovani. Niente di male se tutto si svolge secondo le regole del lecito. Il ballo invece non deve servire da giustificazione e da pretesto per amicizie e riunioni poco consigliabili.
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Si cantano al pianoforte romanze erotiche; il papà si lascia vedere a fare uno scherzo galante alla cameriera, la mamma tante volte flirteggia a sorrisi, a sguardi, a parolette spiritose col più intraprendente dei suoi adoratori; o la sorella fidanzata non si fa scrupolo di lasciarsi abbracciare e baciare dal futuro sposo, in cospetto dei fratellini minori. E gli occhi azzurri o neri che fioriscono nei visetti muti si spalancano, accolgono le visioni di qualche cosa ch' è per essi ancora l' incomprensibile, ma in cui intuiscono già l' illecito, l'impuro. E le orecchie ascoltano, recano per via dell' udito alla mente tenera l' impronta rude delle volgarità, delle miserie, dei pericolosi problemi dell' essere. Ascoltano e ritengono, poichè la profanazione della loro innocenza non è senza frutto ; così si demoralizzano presto, si fanno anzi tempo scettici, maliziosi, opportunisti : spesso diventano complici e imitatori. I buoni esempi additati dai maestri, le esortazioni dei genitori, i consigli dei buoni libri a nulla servono se nella vita dimentichiamo di nascondere ai fanciulli le nostre debolezze, le nostre defezioni: se dimentichiamo il rispetto dovuto all'infanzia che deve corazzarsi di fortezza e di fede. Ogni mamma dovrà dunque assolutamente impedire che davanti ai bambini si tengano certi discorsi, si inizino certe discussioni, si scenda a certi scherzi, non solo, ma vigilerà assai sui domestici, onde le loro parole e i loro atti nulla abbiano di sconveniente, e la vanità, la dissolutezza, la disonestà non si rivelino in azione ai fanciulli con la terribile efficacia dell' esempio. Io ho conosciuto madri di condotta immoralissima, ma che pure erano riuscite a farsi credere dai loro figliuoli modelli di virtù, perchè osservavano scrupolosamente che in loro presenza nessun atto, nessuna parola sfuggisse rivelando il contrario. E sebbene colpevoli, quelle madri dimostravano però col loro rispetto all'infanzia di onorare le purezza e il bene.
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La fanciulla corse ad abbracciare a sua volta il Corsaro Nero. "Papà!" mormorò con affetto. "Sono molto lieto di vedervi," disse il Corsaro Nero con una espressione cupa che non lasciava scorgere affatto la sua allegria "ma..." Si staccò dalla figlia, rivolgendosi alla vecchia: "Come diavolo vi è saltato in mente di venire qui, alla Tortue?" "Abbiamo approfittato di uno sciabecco genovese che veniva da queste parti," rispose la nonna "ed eccoci qui..." "Ma perché siete venute?" "E volevi che ti lasciassi solo?" proruppe la vecchia. "Tu, il mio unico nipote? E senza una persona accanto che abbia cura di te..." "Veramente" disse il Corsaro Nero "questo non è un posto per donne." Giovanna, la nonna del Corsaro Nero, si rivolse alle quattro creole che avevano smesso di ballare e si erano affollate con gli altri intorno al gruppo composto dal Corsaro Nero e dai suoi familiari: "Avete capito voi?" disse in tono perentorio. "Questo non è un posto per donne... Perciò, fuori di qui!" "Ma," tentò di obiettare ancora il Corsaro Nero "anche voi e Jolanda siete donne..." "Io sono tua nonna" protestò Giovanna. "E io sono tua figlia!" esclamò Jolanda, fieramente. "Quindi abbiamo il dovere di starti accanto anche nei pericoli..." "Che non debbono essere pochi a voler giudicare dalle facce patibolari che ti circondano!" concluse la nonna, girando lo sguardo sui volti dei pirati. I filibustieri, lusingati di essere stati chiamati "facce patibolari" scoppiarono in una grande risata. "C'è poco da ridere!" esclamò la nonna impermalita. "Avete tutti delle facce che fanno spavento..." "Ma sono i migliori pirati del Mar delle Antille!" esclamò il Corsaro Nero. "Migliori, in che senso?" domandò la nonna con diffidenza. "Nel senso che sono tutti Fratelli della Costa..." "Tutti fratelli? Che brutta famiglia!" esclamò Giovanna, facendo una smorfia. "Questi signori" continuò il Corsaro Nero indicando quattro brutti ceffi dalla cui espressione si capiva che, se avessero incontrato per la strada quel viandante di cui si parlava poco fa, lo avrebbero lasciato in mutande "da soli hanno conquistato il Panama..." "Bella prodezza rubare un cappello di paglia!" esclamò la nonna, con una smorfia di disprezzo. "Peuh!" "E questo signore qui," proseguì il Corsaro Nero indicando il Pirata Col Coperchio" aiutato solo dal suo matelot, si è avvicinato di nottetempo ad una caravella spagnola e, a colpi d'ascia, le ha praticato un buco nella fiancata facendola affondare..." "Peuh!" esclamò Giovanna, con disprezzo. "In fondo cosa ha fatto? Ha inventato la caravella col buco..." "E che dire del signor Mendoza," disse il Corsaro Nero senza lasciarsi smontare, indicando il Pirata Meno Un Quarto" che ha lasciato un occhio su un galeone spagnolo, una mano a Trinidad e una gamba a Portobello?" "Dico che non mi piace la gente che lascia la sua roba in giro dappertutto!" rispose la nonna con espressione disgustata. "E lui," così dicendo il Corsaro Nero indicava il nostromo Nicolino "che in una sola giornata nel "E che dire del signor Mendoza, che ha lasciato un occhio su un galeone spagnolo, una mano a Trinidad e una gamba a Portobello?" "Dico che non mi piace la gente che lascia la sua roba in giro dappertutto!" rispose la nonna con espressione disgustata. suo paese ha tagliato mille teste con il suo coltello, tanto che lo hanno soprannominato il Terrore di Pozzuoli?" "Bella roba!" esclamò Giovanna."No, mi dispiace tanto, ma tu questa gente non puoi assolutamente assumerla..." La dichiarazione di Giovanna, che in fondo era la nonna del loro comandante, destò una grande sensazione fra i filibustieri che si guardarono fra loro interdetti. Il Corsaro Nero intervenne: «Come?" domandò."E perché?" «Perché da quello che ho potuto capire," dichiarò la vecchia "questi pirati sono una massa di bricconi... Non sono pirati per bene..." "E noi non ti lasceremo davvero imbarcare con una simile compagnia!" aggiunse Jolanda, con forza. "Ma, signora..." balbettò il nostromo Nicolino "se lei ci caccia via, noi che facciamo?" "Mi dispiace," rispose la nonna crollando il capo "ma siete tutti gente troppo poco raccomandabile..." "Ma io" protestò Nicolino "non ho mai fatto male ad una mosca!" "E le mille teste?" rimbeccò Giovanna. "Le mille teste che avete tagliato in una giornata?" "E... erano teste di pe... pesce, signora..." rispose Nicolino che quando era emozionato balbettava più che mai. "Al mio paese facevo il pescivendolo e non c'era nessuno nella mia città sve... svelto come me a pulire i merluzzi e le sardine..." "E perché allora vi chiamavano il Terrore di Pozzuoli?" inquisì Giovanna guardandolo con diffidenza. "Il Terrone di Pozzuoli, non il Terrore" corresse Nicolino. "Sapete, io sono di vicino Napoli e loro" e così dicendo indicò i pirati "sono tutti settentrionali... E così mi chiamano il Terrone... Il Corsaro Nero ha capito il Terrore e mi ha nominato nostromo... Se gli dicevo la verità perdevo il posto..." "Va bene..." sentenziò Giovanna "questo può restare... Ma gli altri?" Nicolino, visto che a lui era andata bene, volle intervenire a favore degli altri pirati. E con la voce querula che fanno i meridionali in genere quando vogliono ottenere qualche cosa: "Signora," disse "gli altri sono pirati vecchi, fra poco vanno in pensione! Li volete mandar via all'ultimo momento?" Giovanna rifletté un istante. "E va bene," disse "li posso anche tenere, ma ad un patto..." "Che patto?" domandò il Corsaro Nero. "Che assuma io il comando della nave..." Persino Jolanda che, si vedeva benissimo, aveva per la sua bisnonna una vera adorazione, questa non riuscì a mandarla giù. "Ma, nonnina" non poté fare a meno di esclamare. "Avete ottant'anni!" "Ti sbagli, mia cara nipotina" ribatté Giovanna, prontamente. "Ne ho appena venti." "Venti?" trasecolò il Corsaro Nero. "Certo" rispose Giovanna. "Sono nata il 29 febbraio 1587... Siamo nel 1667..." "Quindi avete ottant'anni" calcolò il Corsaro Nero. "No, perché essendo nata il 29 febbraio, cioè 2. Giovanna in anno bisestile, compio un anno ogni quattro" rispose Giovanna con logica strettamente femminile. "Già, ma non so se..." volle ancora obiettare il Corsaro Nero. Ma intervenne Jolanda. "Su, paparino, fai contenta la nonna" pregò, giungendo le piccole mani. "Quando tu non c'eri, al castello, se l'è sempre cavata, sai..." "Sì, questo è vero," annuì il Corsaro Nero, esitando "ma non so se ai miei uomini faccia piacere essere sottoposti a una donna che comanda..." Il Pirata Meno Un Quarto sogghignò. "Perché, mia moglie non comanda forse?" disse. "E la mia?" disse il Pirata Col Coperchio. "Comanda poco quella?" "Io ho sempre sognato di avere una nonna" sospirò il pirata Catenaccio, mentre una lagrima gli solcava il volto patibolare seguendo il percorso tracciato dalla cicatrice. "E voialtri, ragazzi?" "Anche noi!" esclamarono i pirati all'unisono. "Viva la nostra comandante?" gridò il Pirata Meno Un Quarto. "Viva Giovanna, la nonna del Corsaro Nero!" gli fecero eco gli altri pirati in coro, sventolando tutti in aria i loro cappelli, meno il Pirata Col Coperchio che non poteva, com'è facile immaginare, mettere a nudo il proprio cervello sventolando la calotta d'argento. "Viva!" "Allora, siamo tutti d'accordo" concluse il Corsaro Nero. E avvicinatosi alla infernale vecchietta: "Nonna," le annunciò con voce sonora "vi cedo il comando della mia nave..." Giovanna, la nonna del Corsaro Nero, respirò con forza. Quindi, sguainata la lunga spada che le pendeva al fianco e levandone la punta verso il cielo, gridò minacciosamente: "Ed ora a noi due, conte di Trencabar, governatore di Maracaibo! A noi due, assassino dei miei nipoti! A noi due!" Dall'alto del ballatoio che attraverso una scala di legno conduceva al piano superiore si affacciò un bambino, il figlio del bettoliere: "Dice così mamma" disse "che per favore quando dice: 'A noi due!' lo dica un po' più piano... Su, c'è un malato!"
Terminata la guerra, che era durata tre anni, con lo sterminio del nemico, il Reuccio coperto di gloria se ne tornò alla Corte del Re suo padre, tutto bramoso di rivedere la sposa e di abbracciare il figlio che ancora non conosceva. Il popolo gli mosse incontro acclamandolo, la Regina e il Re gli andarono incontro fino alle porte della città. Appena li scorse, non vedendo nè Mariuccia nè il figlio accanto a loro, si turbò tutto e corse a chiedere dove fossero. Il Re e la Regina si guardarono maravigliati. - Ma non scrivesti tu che dovevano essere scacciati? - domandò il Re. - Io?! Ma io scrissi che li teneste di conto più che la pupilla degli occhi vostri. - Ma la lettera l'abbiamo serbata, - disse la Regina. Basta. Tutta la gioia del Reuccio svanì. Vide la lettera e sentenziò: - Questa non l'ho scritta io. Qui c'è inganno, ma chi è stato il traditore? Ah, se l'avessi qui! - Il povero Reuccio non faceva che disperarsi e far cercare la moglie e il figlio. Egli se ne stava sempre rinchiuso nella sua camera e non parlava se non coi messi che tornavano dall'aver cercato la Reginuzza e il bambino. Così passarono molti anni senza che il suo dolore si calmasse, e spesso la madre gli diceva: - Vedi, ormai non c'è più speranza di ritrovarli; dovresti pensare a prendere un'altra moglie per assicurare la successione al trono. - Ma egli rispondeva: - Non sposerò mai altra donna; se Mariuccia e il figlio mio sono morti, io vivrò di dolore, ma nessuna Principessa prenderà il posto della mia sposa. - Un giorno alcuni signori della Corte stabilirono d'andare a caccia in un bosco lontano lontano, e tanto dissero e tanto fecero che indussero il Reuccio ad unirsi a loro. Partono a cavallo, battono il cinghiale, ma sul più bello si scatena una tempesta. I fulmini abbattevano gli alberi, il vento schiantava i rami, la pioggia e la grandine venivano giù come Dio le mandava. I cacciatori spronarono i cavalli per uscire dal bosco e schivare il pericolo d'esser fulminati. Appena all'aperto scorsero un bellissimo palazzo, bussarono e furono accolti gentilmente da tante cameriere, che li fecero entrare in una gran sala, dove in un vasto camino ardeva il fuoco. Da quella sala passò Mariuccia col figlio per andare nelle sue stanze, e tutti i cacciatori s'alzarono, credendola la padrona del palazzo, e l'ossequiarono. Ella, non appena ebbe fissato il Reuccio, lo riconobbe e impallidì, ma non disse nulla sul momento e si ritirò insieme col figlio. Però di lì a poco disse al giovinetto: - Hai veduto quel cacciatore più alto di tutti e col portamento così nobile, benchè pallido e come affranto dal dolore? Ebbene, quel cacciatore è il Reuccio tuo padre. Va' da lui e baciagli la mano. - Il fanciullo tornò nella sala, s'accostò al cacciatore che la madre gli aveva indicato, mise un ginocchio in terra e baciandogli la mano, gli disse: - Padre mio, beneditemi! - Figuriamoci quel che provasse il Reuccio in quel momento! Rialzò il fanciullo, se lo strinse al petto e pianse di gioia su quel capo che aveva tanto bramato di baciare. Poi si fece condurre dalla madre, e qui nuovi abbracciamenti e nuove lacrime. Mariuccia gli raccontò tutto quello che aveva sofferto e quanto l'aveva aiutata il cavalluccio e la promessa che gli aveva fatta di dargli una mangiatoia d'oro. Naturalmente il Reuccio insieme con la moglie, il figlio e il seguito andarono subito alla Corte. Il cavallino fu montato dal fanciullo e in città si fecero grandi feste a tutti, e anche al cavallino, che ebbe la sua mangiatoia d'oro e una stalla tutta di marmo e visse tanti anni, grasso bracato, e vide il Reuccio divenir Re, la Reginuzza divenir Regina e poi regnare anche il figlio di Mariuccia. Finalmente un giorno anche il cavallino sauro morì, e il Re gli fece erigere una statua.
In cammino per Mimosa, e ansiosi di giungere a casa, si fermarono un attimo per abbracciare le ragazze e diedero la notizia della resa. Tutto era finito; e sembrava che avessero poca voglia di parlarne. Volevano soltanto sapere se Mimosa era stata incendiata. Sospirarono con sollievo nell'udire che la loro casa era stata risparmiata e risero quando Rossella raccontò loro la selvaggia cavalcata di Sally e come aveva scavalcato la loro barriera. - È una ragazza in gamba - affermò Toni; - ed è proprio una disgrazia per lei che Joe sia stato ucciso. Avete un po' di tabacco da masticare, Rossella? - Ho solo un po' di tabacco da pipa: lo fuma il babbo... - Ah, non sono ancora arrivato cosí in basso! Ma probabilmente ci arriverò... - E Dimity Munroe come sta? - chiese Alex con avidità ma con un leggero imbarazzo; e Rossella ricordò vagamente che egli si era sempre mostrato premuroso verso la sorellina di Sally. - Sta bene. È dalla zia, a Fayetteville. La loro casa a Lovejoy è stata incendiata; e il resto della famiglia sta a Macon. - Ma non capite - fece Toni, divertendosi delle occhiate furibonde che gli lanciava suo fratello - che vuole soltanto sapere se Dimity ha sposato qualche bravo colonnello della Guardia Nazionale? - Ma no; non si è sposata affatto - rispose Rossella divertita. - Forse avrebbe fatto meglio - brontolò Alex. - Come diamine... Scusate, miss Rossella; ma come può un uomo chiedere a una ragazza di sposarlo quando non ha piú la croce di un quattrino, non ha uno schiavo, non ha nulla di nulla da offrirle? - Sapete benissimo che Dimity non ci farebbe caso - rispose Rossella. Non le costava nulla dir bene di Dimity, perché Alex Fontaine non era mai stato un suo spasimante. - Fa lo stesso. Se non ci fa caso lei, ci faccio caso io... Mentre Rossella discorreva coi giovinotti nel porticato anteriore, Melania, Súsele e Carolene erano scivolate silenziosamente in casa, appena udita la notizia della resa. Rientrando, dopo che i Fontaine si erano avviati attraverso i campi verso Mimosa, Rossella udí le ragazze singhiozzare; erano tutt'e tre sedute sul divano nello studio di Elena. Tutto era finito: crollato il bel sogno che avevano amato e per cui avevano sperato; perduta la Causa che aveva portato via amici, innamorati, mariti, e aveva ridotto in povertà le loro famiglie. Ma per Rossella, non vi erano lagrime. Il suo primo pensiero era stato: «Ringraziamo Dio! Ora nessuno potrà piú rubare la mucca. Il cavallo è salvo. Possiamo togliere l'argenteria dal pozzo e tutti possono avere un coltello e una forchetta». Che sollievo! Non avrebbe piú il batticuore sentendo uno scalpitar di zoccoli. Non si sveglierebbe piú la notte trattenendo il respiro e tendendo l'orecchio chiedendosi se era realtà o sogno il tintinnar di finimenti che sentiva nel cortile, il tramestio e gli aspri comandi degli yankees. E, soprattutto, Tara era salva! Il suo tremendo incubo non si avvererebbe mai piú. Sí; la Causa era perduta; ma la guerra le era sempre sembrata una follia e la pace era assai migliore. Ella non aveva mai contemplato con gli occhi sbarrati le Stelle e le Strisce che salivano su un'asta, e mai aveva provato un brivido sentendo suonare «Dixie». E nelle sue privazioni non era stata sostenuta dal pensiero della Causa per la quale si poteva sopportare qualsiasi sacrificio. Tutto era finito! Finita la guerra che sembrava interminabile, che aveva spezzato la sua vita con una frattura cosí netta da rendere difficile perfino il ricordare i giorni precedenti, liberi e sereni. Non le sembrava di esser lei, la graziosa Rossella con gli scarpini verdi, con cento schiavi, con la ricchezza di Tara accumulata dietro di sé, e coi genitori pronti a soddisfare ogni suo capriccio. La giovinetta di quattro anni prima era scomparsa e al suo posto era una donna con gli occhi verdi penetranti, che contava il denaro e costringeva le sue manine a molti lavori faticosi, una donna a cui dal naufragio non era rimasto nulla, se non la terra rossa su cui posava i piedi. Mentre ascoltava i singhiozzi delle ragazze, la sua mente lavorava attivamente. «Pianteremo molto piú cotone. Domani manderò Pork a Macon a prendere altra semente. Il cotone arriverà alle stelle, quest'anno!» Entrò nello studio e, senza guardare le ragazze piangenti, sedette alla scrivania e prese la penna per calcolare il prezzo della semente e quanto denaro contante rimaneva in cassa. «La guerra è finita!» pensò; e a un tratto lasciò cadere la penna, sentendo un'ondata di felicità correrle per le vene. Era finita; e Ashley... Se Ashley era vivo, ora tornerebbe a casa. Chi sa se Melania aveva pensato a questo, nel suo dolore per la Causa perduta! Ma i giorni e le settimane passarono senza notizie di Ashley. Il servizio postale era malsicuro; e nei distretti rurali non esisteva affatto. Un viaggiatore occasionale proveniente da Atlanta portò un biglietto piagnucoloso di zia Pitty che chiedeva alle ragazze di tornare. Ma nessuna notizia di Ashley.
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Abbracciare un sistema, in arte, come in politica, importa negare certe cose e crederne delle altre, rinunziare a certe categorie di emozioni e di opinioni, non vedere più che in un modo determinato. Realismo e idealismo sono al tempo stesso delle dottrine etiche e dei metodi estetici, sistemi filosofici e partiti artistici. Un romanzo idealista nell'ispirazione e naturalista nell'esecuzione - o viceversa - non è possibile: Zola ci si è provato, ed ha fatto il Sogno.... Da un'altra parte, il pubblica generalizza troppo facilmente. Se in un libro si descrivono soltanto delle miserie, delle vergogne, delle crudità, che ragione ha la gente di rimproverare all'autore: "Voi rinnegate le nobiltà, le delicatezze, gli eroismi?" Se un altro libro è tutto pieno di queste cose che mancano all'altro, c'è ragione di pigliarsela con l'autore perchè spazia sempre nell'alto? A volere che uno scrittore dia un'adeguata imagine del mondo materiale e morale, bisognerebbe dargli, per lo meno, un po'di tempo! "Dio mio! - esclamò una volta Luigi Capuana - non si può mettere l'universo in sette novelle!..." Supponiamo che un pittore faccia un quadro rappresentante una tempesta; lo accuserete voi di negare il sole e l'azzurro? Tutto ciò che potrete domandare è che egli dipinga bene il suo quadro. Quest'altra volta egli farà un mare tranquillo... se non farà un'altra tempesta, per disposizione naturale dello spirito, per una preferenza tecnica, per una ragione qualunque che egli potrebbe anche non dire.... Discorrendo parecchi anni or sono col Capuana di queste cose - portavo allora intatta la mia verginità letteraria - pensando alla facilità con cui si formano i giudizii di questo genere, io feci all'amico mio una proposta. "Vi incolpano di non sapervi aggirare se non nei bassi fondi sociali? di non avere delicatezza, fantasia, simpatia? Scrivi un romanzo idealista, in cui siano soltanto passioni esaltate, caratteri nobili, azioni generose; in cui ritrarrai un ambiente elevato, i cui personaggi porteranno dei titoli sonori o rappresenteranno l'aristocrazia dell'ingegno; in cui non si sentirà l'odore del popolo zoliano, ma quello degli estratti doppii alla moda.... Scrivi un romanzo romantico, secondo vuole lo stile, dimostra come sia molto più facile che non lo scriverne uno naturalista; è probabile che, dopo, ti lascieranno in pace!" L'idea piacque al Capuana, e con la felice versatilità dell'ingegno che gli ha permesso di passare da Giacinta a C'era una volta, dallo Spiritismo ai Semiritmi, egli avrebbe sicuramente fatto del Feuillet da confondersi col genuino; la storia delle sue contraffazioni avrebbe contato un gustoso capitolo di più.... Altre cure gl'impedirono di porre ad effetto questo disegno; io lo ricordai quindi naturalmente dopo la pubblicazione del mio libro, allorchè accuse simili a quelle fatte al Capuana si fecero a me; allorchà Ella, dimostrandomi l'alta stima - furono sue parole - in cui teneva il mio ingegno, mi disse che avrebbe voluto vederlo impiegato in modo migliore. Ecco come è nata la prima idea di quei Documenti umani che le ho mandati. Come Ella avrà visto, la prima novellina dimostra le mie intenzioni. Documenti umani si sono chiamati i fatti che comprovano le realità miserabili e lamentevoli? Chiamiamo Documenti umani un libro di novelle ispirate alle più alte idealità. Forse i lettori non mi accuseranno più di rinnegarle, forse il signor Treves mi stamperà.... Non le nascondo - sarebbe inutile, Ella se ne sarà accorta da sè - che in quei racconti io ho un poco qua e là calcata la mano, con un partito preso di distinzione, di lindura, di levigatezza quand même. Vi è in questo un movimento di reazione giustificabile, se non giusta, dinanzi alle accuse che mi si fecero. Abyssus abyssum invocat, e le esagerazioni in un senso provocano naturalmente le esagerazioni in un senso opposto. Se vi sentirete rimproverare da ogni parte di appestare i vostri vicini con l'odore dell'aglio, sarete molto probabilmente tentati di procurargli un'accapacciatura a furia di opoponax.... Quando la nuda semplicità della Nedda sollevò, in un certo mondo letterario, quegli scandali che Ella conosce, Giovanni Verga ebbe la tentazione di una solenne canzonatura: un rifacimento arcadico della sua novella, nel quale il famoso e scandaloso raglio dell'asino doveva essere sostituito dai gorgheggi dell'usignuolo.... Questo non vuol già dire che l'autore dei Malavoglia non creda all'esistenza dell'usignolo; come le esagerazioni alle quali io mi sono lasciato andare non significano che io non creda all'esistenza dei sentimenti raffinati e dei caratteri scelti che ho rappresentati. Io credo che tutto possa essere - ma credo del pari che l'artista, in mezzo all'infinita varietà dei fatti umani, abbia piena ed intera la libertà della scelta e della interpretazione. Scegliere fra questi fatti quelli che rappresentano il lato seducente dell'umanità, è certo accaparrarsi un più largo consenso; se, dunque, molti artisti vi rinunziano, per appigliarsi a quegli altri fatti che rappresentano il rovescio della medaglia, più che il biasimo non crede Ella che meritino una lode per il coscienzioso disinteressamento di cui dànno prova? Ma, dirà Ella, perchè scegliere l'altro lato?... Arrivati a questo punto, le teoriche non hanno più che farci: la scelta, il modo di vedere, sono quistioni di temperamento, di gusti, di educazione, di disposizioni permanenti o transitorie, di attitudini speciali: tutti elementi personali, che non è possibile, e si potrebbe fino a un certo punto anche aggiungere non è lecito, di rintracciare. Se una dimostrazione filosofica o gli ammaestramenti di una esperienza mi inducono a credere che i sentimenti più alti e più rari si risolvono negl'istinti primitivi della bestia, io farò oggetto della mia rappresentazione artistica dei fatti dai quali questo concetto scaturisca. Se la mia esperienza mi avrà detto invece che gl'istinti meglio radicati sono domati da qualcosa di più potente e di più puro, io vedrò le cose in tutt'altro modo, la mia scelta sarà diversa. E la scelta è poi libera: - meglio: c'è vera scelta, o sotto l'illusione della libertà si nasconde una rigorosa predeterminazione?... Non passiamo i confini del campo letterario. Se i soggetti presi a trattare dai naturalisti non sono di quelli che più piacciono alla massa dei lettori, io vorrei dimostrare la ragione tecnica di questo fatto. Naturalista è chi vuol riuscire naturale, cioè chi cerca di dare alla finzione artistica i caratteri del vero. Ora, non tutti gli oggetti veri sono egualmente caratteristici, riconoscibili e starei per dire individualizzabili. È quindi evidente che lo scrittore naturalista darà la preferenza a quelli che, per avere dei tratti più salienti, un aspetto più distinto, più accidentato, assolutamente proprio, gli forniscono il mezzo di conseguire il suo intento. Ora, la virtù e la salute sono più uniformi, più semplici, più monotone del vizio e della malattia; questi offrono una più grande varietà ed una più grande particolarità di manifestazioni; e lo scrittore naturalista in traccia di fatti significativi, ne trova, negli ambienti corrotti, nei tipi degenerati, nei casi patologici, una più ricca messe. Questa è pure la ragione perchè, in una gran parte di casi, il mondo dei naturalisti è quello della povera gente. I lettori domanderebbero di assistere a scende della vita elegante, di vedere in azione delle grandi dame e dei gran signori; le descrizioni di catapecchie dove si aggirano dei miserabili in cenci sono, a priori, condannate. Lasciamo stare se questa antipatia è giusta o pur no, se essa risponde ai principii ispiratori della morale cristiana e dell'ideale democratico.... È così, e basta. Ma sa gli scrittori naturalisti non contentano questi desiderii, egli è che a misura che si scende nella gerarchia sociale, le differenze si accrescono e i tipi si determinano più nettamente. Un contadino, un operaio, un marinaio, un minatore hanno dei caratteri esclusivamente proprii, specifici, nella fisonomia, nell'abito, nel modo di fare e di parlare, da renderli riconoscibili a cento miglia lontano; la folla elegante che popola un salone è più uniforme, offre meno presa all'osservazione. Ella mi dirà che le preferenze dei naturalisti si risolvono così nella ricerca di ciò che loro riesce più agevole; nè io le darò torto. Fare della realtà elegante - l'espressione è di Edmondo de Goncourt, ecco l'impresa che si vorrebbe tentata. La quistione è, però, che molto probabilmente l'eleganza di un naturalista procurerebbe dei disinganni agli eleganti di professione. Non bisogna dimenticare che il fatto rettorico è connesso al fatto psicologico, che forma e contenuto s'impongono vicendevolmente; così, il naturalista avvezzo a veder brutto, troverebbe delle immagini brutte, per ritrarre le cose belle, come quell'eroe di Karl Huysmans agli occhi del quale i fiori più smaglianti si paragonavano naturalmente a piaghe, ad escrescenze, ad erosioni patologiche.... Tornando all'ordine di idee interrotto dianzi, un'altra accusa fatta ai nostri novellieri naturalisti è quella del regionalismo. "Voi mi date dei marinai di Aci-Trezza, dei mulattieri di Licodia, dei contadini di Viagrande: che geografia è cotesta? Come volete che io m'interessi ad una gente che non so neppure dove stia di casa?" La quistione è che se voi non potete interessarvi a questi ignorati, lo scrittore non può conseguire una fedeltà di rappresentazione se non mettendosi innanzi dei modelli; ora, se io sono vissuto in Sicilia, non posso pigliare i miei modelli nel Friuli! Ed una quistione strettamente connessa con questa, è l'altra dello stile che i novellieri regionalisti sono costretti a foggiarsi per la necessità di quel che si potrebbe chiamare il colore locale della rappresentazione artistica. I popolani di Sicilia parlano un loro particolare dialetto; quando io li introduco in un'opera d'arte ho due partiti dinanzi a me: il primo, che è l'estremo della realtà, consiste nel riprodurre tal'e quale il dialetto - come hanno tentato per le loro regioni il D'Annunzio, lo Scarfoglio, il Lemonnier - il secondo, che è l'estremo della convenzione, consistente nel farli parlare in lingua, con accento toscano e con sapore classico. Ora, se nel primo caso io rischio soltanto di non farmi comprendere dai lettori che ignorano il dialetto, nel secondo rischio addirittura di farli ridere tutti. Fra i due partiti estremi, io tento, con l'esempio del Verga, una conciliazione; sul canovaccio della lingua conduco il ricamo dialettale, arrischio qua e là dei solecismi, capovolgo dei periodi, traduco qualche volta alla lettera, piglio di peso dei modi di dire, cito dei proverbii, pur di conseguire questo benedetto colore locale non solo nel dialogo, ma nella descrizione e nella narrazione ancora. Per venire ai presenti Documenti umani - Ella troverà che ho divagato un po' troppo - questa che io chiamerei localizzazione artistica vi manca. In alcuni racconti non è neppur detto il luogo dove l'azione si svolge; là dove è detto, potrebbe essere spostato impunemente. È naturale: se si vuole un modello che convenga a tutti, bisognerà sacrificare la precisione. E vede come la differenza dei punti di partenza si trascina dietro la differenza dei processi? Nelle novelle realiste della Sorte io dovevo descrivere delle varietà di costumi: i miei personaggi erano diversi, necessarii, tipici, l'osservazione esteriore era minuziosa; in queste novelle ideali ho dovuto notare delle gradazioni di sentimenti: i personaggi sono dei prestanome, si rassomigliano un po' tutti; l'analisi psicologica soverchia ogni cosa. L'analisi psicologica! Se ne ragionassimo un poco? In che cosa consiste essa? Essa consiste nell'esposizione di tutto ciò che passa per la testa ai personaggi, delle loro sensazioni, dei loro sentimenti e delle loro volizioni. Dato un personaggio con un certo carattere e messo in presenza di una certa situazione, l'analisi psicologica consiste nel rintracciare tutti i movimenti interiori di questo personaggio, come egli apprezzi questa situazione, che cosa essa gli suggerisca, quali partiti gli si presentino per uscirne, e per quale trafila di impulsi e di ragionamenti egli si apprenda all'uno piuttosto che all'altro. Alcuni scrittori eccellono in questo genere: Paolo Bourget specialmente, pel cui ingegno io professo una grandissima stima. Quando però si è letta una di queste pagine così precise, in cui l'azione del personaggio è legittimata da cento motivi uno più sottile e più profondo dell'altro, vien fatto istintivamente di domandare all'autore: "Come li avete saputi? Il vostro personaggio vi ha egli raccontato tutto ciò ch'egli ha provato, sentito, ricordato, previsto, trascurato, ponderato? Se no, come avete fatto ad entrare nel suo cervello ed a leggervi quel che vi si passava?..." Victor Hugo, nell' Homme qui rit, ha un'epica descrizione del naufragio di una nave di Baschi, nessuno dei quali però si salva. Ragazzo, appena finito di leggerla, io domandavo a chi ne sapeva più di me: "O come ha fatto Victor Hugo a risaper tutto quel che è avvenuto a bordo della Mattutina dal momento della partenza fino al naufragio, se nessuno è sopravvissuto per dargliene la notizia e se nessun altro poteva esser presente, in mezzo al mare?" E quelli che ne sapevano più di me, mi rispondevano: "È tutta forza di fantasia e di imaginazione!" Ora, l'analisi psicologica è anch'essa il prodotto di un particolar genere d'imaginazione: l'imaginazione degli stati d'animo. In un sol caso essa può essere il prodotto reale dell'osservazione immediata, ed è quando lo scrittore fa argomento della propria analisi sè stesso. Mettendosi direttamente in iscena, o prestando la propria coscienza ad uno dei suoi attori, egli potrà sviscerare gli stati d'animo più complessi, più delicati e più rari che nel campo di quella coscienza e sotto la propria diretta percezione si svolgono. Ma in tutti gli altri casi, quando studia dei caratteri dissimili dal suo, e specialmente in tutta la grande categoria dei caratteri femminili, ciò che cade sotto la sua diretta osservaiione non sono che gli atti, le parole, i gesti. Ora, se si riflette che non solamente il numero dei gesti, delle parole e degli atti non è proporzionato al numero infinito dei pensieri - che, per dir meglio, non hanno numero, essendo una successione continua ed omogenea - ma che i medesimi atti, le medesime parole, i medesimi gesti servono a diversissimi uomini, per diversissimi motivi in diversissime circostanze, si vede quanta poco probabilità di successo vi sia nel desumere dagli indizii esteriori il processo latente che si svolge nelle singole coscienze. Se si riflette ancora che noi stessi non ci sappiamo spesso dar conto di noi stessi, l'impresa apparisce in tutta la sua ingrata difficoltà. Lo ricostruzioni psicologiche dei romanzieri, pertanto, sembrano poggiate sopra una base poco solida e risultanti da induzioni più o meno possibili; e, in fondo, anche quando lo scrittore non parla di sè stesso, la sua analisi altruistica si risolve nel prevedere simpaticamente ciò che, nella pelle dei suoi personaggi, egli stesso proverebbe e penserebbe. I realisti, invece, presumendo di dar l'impressione del reale, fanno agire i loro personaggi, riproducono ciò che in essi è apparente, lasciando ai lettori l'imaginare quel che vi si passa internamente; tal'e quale come nella realtà, in cui noi vediamo degli uomini e delle donne che parlano e che si muovono, e non delle anime messe a nudo e starei per dire scorticate. Cercando di fare intravedere le modificazioni interiori dai segni esterni, rappresentando una situazione d'animo con un gesto o con una parola che la riassumono, si può ben dire che i realisti, invece dell'analisi psicologica, procedono per mezzo della sintesi fisiologica. Molte di queste cose, in forma diversa, sono state recentemente dette da Guy de Maupassant, con l'autorità che gli viene dalla forte produzione, nella prefazione di Pierre et Jean. Ma il Maupassant, pure ammettendo la legittimità dei varii metodi, tiene troppo al suo e lascia intravedere assai chiaramente le sue preferenze. Per essere veramente disinteressati, dopo la critica dell'analisi psicologica, bisognerebbe farne la difesa. Un analista, infatti, potrebbe rispondere: "Ciò che preme sopra tutto è l'anima umana. Noi non possiamo leggervi dentro, ma vale per noi infinitamente di più la ricostruzione verosimile di uno stato psicologico, che tutti i fatti e gli atti più veri. Il fatto, la parola, il segno esteriore non sono che dei momenti; il pensiero, che non è, ma diviene continuamente, è quello che caratterizza l'individuo e che importa conoscere. Ciò è tanto vero, che le azioni possono essere, e sono spesso, contrarie alle intenzioni: sono questi contrasti quelli che vanno studiati. Del resto, se voi presumete che i vostri lettori possano ricostrurre i processi intimi dagli indizii che voi ne date, noi non facciamo che metterci al posto dei vostri lettori, e scriviamo le nostre ricostruzioni. Del resto ancora, se è vero che ciascun uomo ha una psiche diversa, è ancor vero che la natura umana è una, ha un fondo uniforme, e che le differenze da uomo ad uomo non sono determinate se non dal diverso sviluppo che certe facoltà e certe tendenze prendono in seguito a circostanze speciali e riconoscibili. Nulla, in tutto ciò, che precluda la via all'analisi degli stati d'animo più disparati." E non sarebbero neanche necessarie tante dimostrazioni: basterebbe che gli analisti dicessero: "Noi siamo fatti in modo da analizzare!" Stendhal, che ha un'imaginazione psicologica, scrive la Certosa e Armanzia; Flaubert, che ne ha una tutta fisica, scrive Salambô e la Tentazione di Sant'Antonio.... Siamo sempre lì: i metodi sono molteplici, l'arte è una. Chi vuol rappresentare degli stati d'animo deve naturalmente ricorrere all'analisi psicologica; l'analisi psicologica essendo la narrazione del pensiero, ne deriva come nuova conseguenza che lo scrittore è costretto ad adoperare una forma tutta personale. Altra grossa quistione: Obbiettivismo, subbiettivismo; accademia forse!... Se la lasciassimo lì? Ella imagina già quel che io vorrei dire: si possono conseguire degli effetti di prim'ordine coll'un metodo e con l'altro, nè i metodi sono arbitrarii: lo psicologo sarà sempre subbiettivo; il naturalista, volendo limitarsi a riprodurre quel che vede, sarà necessariamente impersonale. Riassumendo perciò questo lungo discorso - era proprio tempo - se io potei prevedere i rimproveri che i critici avrebbero fatto alla mia Sorte, sono oggi ancor meglio in grado di indovinare le accuse che toccheranno a questi Documenti umani. Vuol vedere se sbaglio? Mi diranno che le favole sono troppo romantiche, che i personaggi sono troppo convenzionali, che lo stile è troppo artifìcioso. Nella Sorte s'incontravano troppi mastri, don e comari; qui vi saranno troppi artisti, cavalieri e contesse. Quelli erano troppo sciatti, questi saranno troppo preziosi. Lì ero troppo indifferente, qui esprimerò troppe opinioni. La Sorte era troppo vera; i Documenti umani saranno troppo inverosimili.... Si metta ora un poco nei miei panni e consideri che bell'impiccio! Lei mi dirà: "Non si preoccupi della critica!" Ma si fa presto a dire! I critici sono o non sono i giudici naturali di noi poveri autori? sono o non sono i supremi custodi della legge dell'Arte? Se cominciamo a discutere la loro autorità, sa come potrebbe finire? Che un bel giorno essi pianteranno lì la loro missione; e allora addio garbo, misura, buon gusto, buon senso: tati i freni saranno sciolti, a scempio del bello, del buono e del vero! Tolga Iddio cho io contribuisca a tanta sciagura! Io sono un autore timorato ed ossequente alla critica costituita. La Sorte era naturalista? Ecco qui delle novelle ideali. Sono troppo ideali? Ed io metto a scrivere un romanzo a modo mio.... Me lo stamperà? Mi stamperà, innanzi tutto, questa lettera? A discorrere solo, uno si persuade presto d'aver ragione; però, dopo aver riletto queste pagine, comincio a persuadermi che probabilmente le mie teorie non avranno persuaso niente affatto lei. Lasci correre lo stesso; tanto, a discutere, si finisce per confermarsi nella propria opinione. Guardi come il pubblice resta incrollabile nella sua, che è quella di non darci retta! Catania, Ottobre 1888. Di lei cordialissimamente F. DE ROBERTO.