Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbastanza

Numero di risultati: 222 in 5 pagine

  • Pagina 4 di 5

Come devo comportarmi?

172523
Anna Vertua Gentile 1 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Il tono laudativo è salito tanto acuto che ormai bisogna dir troppo per poter dire abbastanza. Il superlativo è in fiore; e il cimitero è non raramente il campo ove frondeggia la nuova eloquenza. La memoria delle anime buone non chiede altro elogio fuorchè la testimonianza del vero. Chi ha rettamente pensato, chi ha rettamente operato, non vuole, non consente, disdegna che a dire di lui la parola si studii di essere ambiziosamente ornata. Ci sono persone che si direbbero necrologi di professione. Hanno una vera smania di sfoggiare la loro eloquenza funebre; non lasciano passare occasione, e pur troppo le occasioni sono frequenti, che loro offra maniera di disfogare il gusto di parlare, con opportune inflessioni di voce, con gesti artisticamente trinciati e un'eloquenza stillata dalla maniera antica e dalla moderna, dalla sacra e dalla profana. Sono persone nate, fatte per accompagnare all'altro mondo con tutti gli onori e la pompa della rettorica.

Pagina 264

Per essere felici

179340
Maria Rina Pierazzi 1 occorrenze
  • 1922
  • Linicio Cappelli - Editore
  • Rocca San Casciano - Torino
  • paraletteratura-galateo
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Rammento a questo proposito un episodio abbastanza significativo. Certa dama, rendendo visita a una "nuova ricca„ fu condotta da questa a visitare l'alloggio suntuoso, nuovo fiammante, offertole dall'opulento marito, ex negoziante in pellami. Giunti nel salone, la signora additò alla dama, con visibile compiacenza, il grande ritratto di una gentildonna in parrucchina bianca, adorna di trine antiche e di perle superbe. Era un'antenata comprata a caro prezzo dal più accorto antiquario della città. La dama lasciò che la sua interlocutrice ripetesse la lezioncina d'araldica acquistata col quadro, ma allorchè colei pronunciò un titolo ed un nome immaginari, ella sorrise: — La conosco bene quella signora — disse tranquillamente — È la marchesa x, nonna di mia madre. Ho venduto io il quadro, l'anno scorso, per ragioni di famiglia...

Pagina 69

Le belle maniere

180007
Francesca Fiorentina 3 occorrenze
  • 1918
  • Libreria editrice internazionale
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
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Che fate voi stesse quando non vi vedete abbastanza curate, osservate, quando vi càpita qualche contrarietà? Musoneria su tutta la linea. Chi sa, allora, quando sarete vecchie! Io vi dico questo per mettervi in buone condizioni di spirito verso le povere creature curve e tremanti. La nonnina! Quante volte avrà preso le vostre parti, vi avrà fatto barriera del suo piccolo corpo malfermo contro la giusta collera paterna! Quante volte la sua voce avrà tremato di commozione intessendo le vostre lodi! Quante lagrime, calando, si saranno incontrate con le sue parole, che guidavano le vostre piccole voci balbettanti! Fanciulle mie, se il vostro cuore non è duro, dovete amare chi s'avvia assorto verso l'ombra, voi che, spensierate, andate verso la luce. Sì, i difetti - chi non ne ha? - si saranno un po'inaspriti con gli anni, come si sono infossate le guance e approfondite le rughe; ma pensate quante lagrime devono aver solcate quelle guance, quante contrazioni dolorose devono aver scavate quelle rughe. Pensate quanto bene avranno sparso attorno a sè quelle creature ora un po'trascurate, e quanto male avranno ricevuto! Hanno alimentato i figli gocciando dal cuore stille di pianto e di sangue; e il cuore è rimasto secco, nè, spesso, lo ammorbidisce il conforto. Siate voi, fanciulle, la rugiada benefica per quelle povere anime inaridite. Un soldo di carità è un nulla per un ricco; una sodisfazione in dono è un nulla per voi che ne avete tante. Fuori il sole vi chiama, la primavera vuole che il vostro canto si riversi in quello di tutta la natura esultante, la vostra amica v'ha pregate d'andare a casa sua, chè ha tante novità da comunicarvi o qualche cosetta da farvi vedere; ma la vostra nonnina un po' indisposta, rimarrebbe sola in casa; il sole che splende fuori è troppo lontano da lei, che, per riscaldarsi, ha bisogno del tepore del vostro corpicino, del raggio che parte dal vostro sorriso, dell'affetto vostro, delle vostre cure, in cui la povera vecchina si rannicchia, si crogiola, come facevate voi, piccine, nelle sue braccia. Le feste? Non ce n'è una sola che vi lasci nel cuore quell'intima gioia cui vi può dare uno sguardo tremulo di riconoscenza. Se resterete con la nonnina, ella interromperà il corso alla sua melanconia, per le vostre parole sentirà nella vecchia anima battere qualche suo dolce sentimento d'un giorno lontano, come un vecchio tronco che, accanto a un arboscello rinverdito, in un mattino d'aprile, senta correre nelle secche fibre un improvviso risveglio di giovinezza; crederà di rivivere in voi, per quel soave calore che le circolerà nel sangue al contatto della vostra tenerezza, e si chinerà, grande di riconoscenza, davanti alla sua fata gentile. Triste, invece, è la casa dove i vecchi sono relegati come un mobile inutile in un cantuccio a cui non giunge mai un raggio della luce vicina. Alcuni vecchi sono brontoloni, sì; altri sono egoisti; ce n'è dei sordi, con cui bisogna alzare la voce e scandire le sillabe; dei deboli di vista, a cui dobbiamo servire da occhiali. Alcuni saranno stati così, altri saranno divenuti; voi non dovete saperlo. Chè, se anche il loro passato fu inutile e vuoto, in loro dovete rispettare la vecchiaia, in sè; e vecchiaia v'ho già detto che cosa significa. Ricordatevi che i vecchi sono una vita; e in una vita c'è sempre un insegnamento, in ogni passato c'è sempre un dolore, molti dolori. No? C'è, se non altro, la privazione della gioia, poichè le anime vane non provano dolcezze. Compatite chi ebbe questo passato. Ogni attimo presente porta con sè un futuro; pensate che il futuro della vecchiaia è la morte, e inchinatevi a questa cosa immensa, terribile, divina. Quasi ogni vita di vecchio è germe d'una, di più giovani vite, e ha dato goccie del suo sangue, aneliti della sua anima ad altri, che, rinnegando i loro vecchi, soffocherebbero gran parte di sè. Pensate che la gioia negata alla madre di vostra madre, al nonno cadente, o il sacrifizio non fatto oggi per loro saranno forse inutili domani. Quanto strazio, allora, nel vostro rimorso:"E' troppo tardi". Pensate infine un'altra cosa:se vivrete - e Dio ve conceda! - diventerete anche voi vecchie. Non vi spaventate. La vita dello spirito - se l'avrete vissuta intensamente - vi darà gioie non illusorie, più che vere, anche nella vecchiaia: non siamo pagani, noi, da rattristarci al pensiero dell'età matura, e poi, come Alessandro Manzoni, siamo disposti a invidiare i più giovani per un motivo solo, perchè non hanno ancora avuto tutto il tempo che ci vuole per commettere molte corbellerie. Comunque, chiudete gli occhi, e immaginatevi un po'coi capelli bianchi, con molte rughe sulle gote, con la schiena curva, il passo strascicato, la voce bisciola, gli occhi opachi, le labbra svivagnate... Vi nascondete il viso fra le mani? E' nulla, care mie! Se, oltre tutto questo, vi vedeste disprezzate, trascurate, forse derise, che fareste? Preghereste Dio di prendervi presto con sè, di risparmiarvi l'ultimo crollo di tutte le illusioni. Immaginate un pensiero come questo dietro la fronte di ciascun vecchio, e il cuore vi dirà che cosa dovete fare. Io non voglio mettermi al posto del vostro cuore, perchè la mia prèdica sarebbe troppo fredda in confronto al dolce bisbiglio del suo ticchettio.

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Lei si crede intelligentissima e dubita di non mostrarlo abbastanza; s'attribuisce una bellezza meravigliosa e teme di velarla; ha la velleità di voter possedere una pronunzia infallibile, e ha soprattutto la sicurezza d'essere proprio lei il centro dell'universale attenzione. Pròvati, Giuliana mia, a cominciare un discorso fra molte persone, così alla buona, come parleresti in famiglia, e poi, a un tratto, immàginati che tutti stieno ad ascoltare te sola, che guàrdino te, che osservino la tua pronunzia, i tuoi gesti. Patatrac! Non saprai più azzeccarne una buona:le mani ti peseranno sulle ginocchia come un impaccio qualunque, ti si farà una confusione nella mente, e le parole ti s'appallottoleranno in una maniera pietosa. Questo avviene a quella signorina ch'io conosco, la quale ha pure la smania d'umiliarsi per essere esaltata. "Sono così sciocca! . . . vorrei esser bella, ma purtroppo. . . ". Ma una volta gliene capitò una carina davvero. Un signore, serio e schietto, a cui certe ipocrisie accartocciavano i nervi e quel fare melenso faceva venire il latte a' ginocchi, al sentirsi dire, con una voce smorente fra un pallore e un arrossamento repentini: - "Lei sa parlare così bene! Chi sa che cosa dirà di me, che non so spiccicar due parole come si deve! " - non potè trattenersi, e le spifferò il suo"te la do io! "lasciando scivolare tranquillamente la risposta: - Non è mica necessario essere degli oratori! Del resto lei è una donna, e certe deficienze può compensare con altre intime virtù che non appaiono a prima vista. Le ci voleva! La falsa modestia della signorina le suggerì di riparare alla sua sconfitta, dando una solenne smentita; ma le parole che le vennero sulle labbra uscirono con un gorgoglio di rabbia e di rancore, e sembrarono cincischii d'un balbuziente. Così a te, Giuliana, come a quella tal signorina, io vorrei insegnare un segreto efficacissimo a darci quella sicurezza spontanea ch'è di grande aiuto nelle nostre azioni e ne' nostri discorsi. Non ricordatevi troppo di voi, nè per pensare bene, nè per giudicarvi male; fate come l'ondina del mare, che si perde nell'infinita massa acquea, e talvolta trae dai raggi più vivo luccichìo e tal altra lo cede alla compagna vicina, e ora si solleva e ora ricade giù perchè un'altra la superi, e non s'illude che il sole debba illuminare lei sola o che sempre a lei tocchi d'innalzarsi su tutte. Perchè i vostri occhi sono sempre fissi su di voi, credete che tutti gli altri occhi debbano prendervi di bersaglio ma se cesserete di guardarvi con tanta compiacenza, vi libererete nello stesso tempo da quella stolta illusione che grava su di voi come un incubo e, con la semplicità spontanea, ritroverete la franchezza delle azioni, impacciata prima dalla mania di scambiare per giudice ogni vostro simile. Ma non vorrei che le mie fanciulle mi fraintendessero. Io son del parere che uno zinzino di timidezza nella donna, e specialmente nella donna ancora in boccio, non disdica affatto; anzi direi che una donna, senza quel certo granello di peritanza, è come un uomo senza forza, come un bimbo senza purezza. Il pronto affluire del sangue alle guance d'una fanciulla sorpresa nella sua ingenuità è naturale come lo scatto violento d'un uomo offeso nell'onore d'una cara persona. E io, mentre tento di riscuotere quelle di voi, fanciulle, che troppo si lasciano vincere dalla loro timidezza ammiro le altre che la limitano a un gentile riserbo, a un freno puramente fisico dell'animo ancora inesperto, ma consapavole di se stesso e della propria inferiorità di fronte ad altri, a una delicata titubanza, ch'è d'aiuto nel vigilare i propri atti e nel fortificare il proprio animo contro le cattive tendenze. Questo sia, o Giuliana, il tuo pudore; ma non eccessivo a tal punto da divenire dannoso.

Pagina 24

Su questo punto non insisterò mai abbastanza, figliole mie! Quanti fronzoli ch'io vedo indosso a giovinette appena agiate racconterebbero storie dolorose! Si può essere semplici e, aiutandoci con mille piccole arti note soltanto a noi donne, sembrare eleganti. Un'acconciatura modesta e graziosa, non deturpata da pettinini con coste auree o brillantate o da altri ninnoli inutili, un vestitino di mussola di poche lire sotto la vostra faccetta sorridente e rosea possono inspirare il pennello dello stesso pittore che arriccerebbe il naso davanti a un accozzo di tinte vivaci, a una rappezzatura di stoffe finissime, ma inadatte alla carnagione, alle fattezze, al sorriso. Una giovinetta dalle forme audaci si guarderà dall'indossare un abito celeste molto increspato, che invece donerà a una magra; la bruna sceglierà per una sua camicetta una sfumatura canarina o un bel porpora; mentre capelli biondi e carnagione bianca spiccheranno sopra un viola o un rosa pallido o sulle tinte scure. Le sfumature sono il gran segreto dell'eleganza; e vi ripeto che io per eleganza non intendo"lusso", ma "ciò che è scelto; "nè scambio il bello coll'appariscente. A chi sa questo segreto riuscirà l'accordare anche i colori che a prima vista ci sembrerebbero più cozzanti:il cielo ha talvolta certi effetti di lute che, a chi li osservi, possono servire di guida. Tutte, brune e bionde, si guarderanno dalle fatture complicate, pesanti di guarnizioni, esagerate nella ricerca della moda. L'esagerazione è nemica giurata del buon gusto; nè la moda è così tiranna da non lasciar sempre una scappatoia. Immaginatevi una faccia da luna piena, sul cui centro si posasse, come trasportato lì dal vento, un cappellino microscopico; sembrerebbe di vedere una ghianda madornale scappar fuori dal suo minuscolo calice. E nemmeno una piccola e tozza figurerà con sulla testa un areoplano di quelli che si usavano due o tre anni fa, chè parrebbe un fungo porcino. L'ordine e l'armonia sono fratelli del buon gusto, figliole mie:perchè voi siate vestite esteticamente bene, bisogna che formiate un tutto armonico dalla cima del cappello alla punta delle scarpe. M'è accaduto di giudicare sprecato un grazioso cappellino sopra un abito trasandato e viceversa, e, soprattutto, di condannare a morte l'eleganza d'una signora, perchè la calzatura lasciava molto a desiderare sotto il lusso della toeletta. Ma vorrei che vi persuadeste di questo:che il buon gusto nell'abbigliamento - come nel resto - consiste non in un qualunque accozzo di oggetti separatamente belli, ma nella sapiente unione di parti che formino quel dato complesso, direi, proporzionato e, specialmente, nel raggiungimento del fine col minimo dei mezzi. Così è bella una pittura che ci comunichi immediatamente una particolare commozione, senza che noi siamo costretti a cercarla in mezzo alla confusione di colori e di forme; è bello uno stile conciso, da cui il pensiero balzi nitido e non si perda in un labirinto di frasi e d'immagini; è bello un gesto della persona, che sia la rapida espressione del sentimento e ottenga l'effetto voluto. Conclusione? Se non possedete un buon gusto istintivo, acquistato da natura, per uno speciale temperamento o per eredità, formàtevelo procurandovi delle senzazioni estetiche per mezzo, specialmente, della vista e dell'udito, che dovete tener ben aperti alle bellezze naturali e artistiche che vi circondano. Per voi, generalmente, la vista non è che un mezzo meccanico d'accogliere l'immagine puramente esteriore delle cose; ma deve, invece, trasformarsi via via in un mezzo cosciente e pel quale gli oggetti acquistino ai vostri occhi un valore particolare, personale, e vi comunichino una sensazione non completamente estranea alla vostra sensibilità, alla personalità vostra. Non abituatevi, insomma, a dir bella una cosa perchè l'avete sentita dir tale o ad arricciare il naso davanti a un'altra perchè qualcuno, forse meno intenditore di voi, espresso il suo disgusto per essa. Sarebbe inutile che Dio v'avesse dato un bel paio d'occhi vostri, se poi doveste ricorrere a quelli degli altri per l'uso migliore! Più cose belle vedrete e udirete, più il vostro gusto acquisterà una certa virtù di selezione, e più s'affinerà in essa. Ve lo consiglio per bene di voi tutte, a cui la vita sarà piu dolce, piena e complessa; perchè con l'educare il gusto, non solo riuscirete a ornarvi esteriormente d'abiti e d'oggetti graziosi, ma, senz'avvedervene, eleverete il cuore e l'intelligenza, innamorandoli di quanto v'è di più eletto e gentile.

Pagina 66

Si fa non si fa. Le regole del galateo 2.0

180552
Barbara Ronchi della Rocca 1 occorrenze
  • 2013
  • Vallardi
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Quindi, se non abbiamo una caffettiera abbastanza capiente da consentirci di servire tante persone contemporaneamente, muniamoci di un bel thermos, che riempiremo in anticipo e porteremo in tavola al momento opportuno, accompagnato dalle tazzine, che per l'occasione sono presentate senza piattino, per essere più maneggevoli. Accanto alla zuccheriera metteremo un contenitore (ciotola, piattino) per raccogliere i cucchiaini individuali usati per mescolare lo zucchero. Gli eventuali cioccolatini e dolcini saranno già stati portati in tavola con il dessert. Se abbiamo una terrazza o un giardino, il barbecue è un'ottima soluzione per un pranzo estivo (non una cena: il buio e le zanzare rovinerebbero la serata), il cui menu troverà il suo punto di forza, invece che nel primo caldo, nei cibi grigliati: i classici hamburger, spiedini, bistecche e salsicce, ma anche pesce e verdure. Dovremo porre però grande attenzione a che il fuoco della griglia non sia rischioso per gli ospiti (specie se ci sono bambini) e che il fumo non infastidisca i vicini. Si tratta di un'occasione ancora più informale, e prevede piatti e tovaglioli di carta e magari verdura cruda da mangiare con le mani. Indispensabile però fornire a tutti gli ospiti un piano d'appoggio ad altezza giusta per poter posare il piatto e tagliare la carne con il coltello.

Pagina 127

Il Galateo

181355
Brunella Gasperini 3 occorrenze
  • 1912
  • Baldini e Castoldi s.r.l.
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Questa non farà scene, non chiamerà la maschera, non mollerà sberle: se il cinema è abbastanza vuoto, si alzerà e cambierà posto. Altrimenti respingerà le occulte manovre con decisione, sguardo glaciale e poche, sommesse ma drastiche parole: in genere, di fronte a una pronta e ferma reazione il pappagallo batte in ritirata per non rischiare guai. Più complicata può essere la faccenda quando la signora non è sola, ma accompagnata da un uomo: se lo avverte di quanto sta accadendo sull'altro versante della propria sedia, può venirne fuori una scenata, che invece è saggio cercar di evitare; ma se l'importunata non reagisce, l'importuno può sentirsi autorizzato a continuare. Conosco una signora che, importunata al cinema da un pappagallo mentre era al fianco del marito, non disse niente: con la massima impassibilità e serenità si accese una sigaretta e poi la spense sulla mano del pappagallo come se fosse un portacenere; all'urlo del disgraziato, chiese con stupore e rincrescimento: «Oh, mi scusi, l'ho forse scottato?» È un sistema divertente ma un po' barbaro, che non ci sentiremmo di consigliare. Meglio chiedere al marito, con una scusa, di scambiarsi di posto, oppure di andare un po' più avanti o un po' più indietro. La vera ragione gliela si spiegherà dopo, se mai. Applausi e fischi. Al cinema in genere non si dovrebbe né applaudire né fischiare (se non alle prime, per esprimere un giudizio critico). Gli applausi ironici, che sottolineano le scene particolarmente stupide, sono comprensibili ma inutili: i responsabili non sono lì a sentire. In quanto ai documentari e alla pubblicità, sappiamo quanto gli uni e l'altra possano essere noiosi, ma poiché sono pagati, non possono essere interrotti; quindi fischi, applausi e tramestii di piedi non fanno che aggiungere alla noia della pubblicità o del documentario il fastidio del chiasso. Coppiette. Oggi le coppiette sono più attrezzate di una volta, quindi gli innamorati che vanno al cinema solo per stare vicini al buio sono diminuiti; ma ce ne sono ancora, specie tra i giovanissimi. Non è molto carino, al riaccendersi delle luci, vedere una fanciulla congestionata e scomposta vicino a un cavaliere stranito che cerca di darsi un contegno, ma si può essere indulgenti. Si vorrebbe solo che non eccedessero: in fatto di scene erotiche, bastano quelle dello schermo. Bambini al cinema. Non portate i bambini al cinema di sera: il loro posto è a letto. Non portateceli neanche di pomeriggio, se non per vedere film sicuramente adatti a loro. E per «adatti a loro» non intendiamo solo film che non siano vietati ai minori, ma film che possano interessarli e divertirli, tipo cartoni animati, western non violenti, eccetera. Se però i bambini sono molto piccoli, anche i western alla lunga li annoiano: e poche cose sono irritanti come quei genitori che, interessati al film, lasciano che i pargoletti scorrazzino intorno, si arrampichino sui sedili o sulle gambe degli spettatori, o peggio che li tengono fermi a forza, incuranti delle vocine che chiedono, prima sommesse, poi via via sempre più querule, penetranti, stentoree: «Perché? Chi è? Cos'è? Cosa fa? Dove va? Perché fa così? Papà quello lì è buono? Mamma quello lì è cattivo? È cattivo? È cattivo? È CATTIVO?» mentre i genitori, senza staccare gli occhi dallo schermo, li zittiscono meccanicamente: «Sssst, ssst, se stai buono poi ti prendo il gelato», «zitto! se non stai zitto le prendi», finché si arriva fatalmente all'esplosione di lacrime, singhiozzi e grida. Tutto questo, ovviamente, è da evitare. Portate i bambini con voi dove volete, ma non in posti dove possono annoiarsi, respirare aria viziata e disturbare il prossimo. In quanto ai bambini più grandi: ci sono film vietati e ci sono film permessi ai minori. Purtroppo il criterio con cui si vietano i film è un criterio di tipo, diciamo, unicamente sessuofobo. Ci si preoccupa moltissimo dell'«oltraggio al pudore», ma pochissimo dell'oltraggio all'estetica, al buon gusto, alla sensibilità; si vietano film che potrebbero turbare (o istruire) i bambini nella sfera sessuale, ma non si vietano film che possono traumatizzarli o influenzarli negativamente in vari modi. Quindi, prima di portare i bambini a vedere un film «non vietato», informatevi bene: o dai giornali, o da chi l'ha già visto.

Pagina 107

Ognuno ne ha più che abbastanza delle proprie. È tipico del nostro tempo il commensale che mangia come se fosse inseguito e volesse terminare il pasto prima di essere catturato; non parla e non ascolta, ingurgita pietanze e bevande a velocità record, e nelle pause dà segni di nervosismo, si agita sulla sedia, tamburella, guarda l'orologio. Non è necessariamente una persona scortese, è soltanto uno dei tanti infelici divorati dall'ansia e dall'ossessione di «perder tempo»: perder tempo per che cosa? Per altre cose che farà con uguale impazienza, ansia, insofferenza. Poveretto. Per i commensali, comunque, è più fastidioso il tipo opposto, quello che mangia a uno all'ora, che a ogni boccone appoggia le posate sul piatto e rumina per mezz'ora, oppure si dimentica di mangiare per parlare, parlare, parlare, incurante del cibo che si raffredda, del servizio che ne risente, dei commensali che in silenzio ferocemente lo maledicono. Masticate con una certa discrezione. A bocca rigorosamente chiusa. Evitando di muovere in modo appariscente tutti i muscoli facciali, o di far apparire in una o nell'altra guancia improvvise protuberanze. Non è grave, è soltanto comico. Fate bocconi piccoli. Se mentre masticate vi arriva uno sternuto, schiacciatelo nel tovagliolo, per non aspergere i vicini coi risultati della vostra masticazione. E se è un altro a sternutire (questo non solo a tavola) non ditegli «Salute!» o «Evviva!» come fosse una festa nazionale. Non lo é. Che non si parla a bocca piena lo sanno anche i bambini. Eppure c'è un sacco di gente adulta che emette parole impastate di risotto o di budino, che ride grandiosamente mostrando tutto quel che ha in bocca: non è una gran bella vista. Per la stessa ragione, non interrogate chi sta masticando, costringendolo a una precipitosa deglutizione, o a una forzata esibizione di cibi masticati, oppure a quei buffi mugolii che si fanno, indicando la bocca, per spiegare la propria temporanea afonia. Se dovete usare lo stuzzicadenti (ci auguriamo di no), fatelo rapidamente, e senza ripararvi pudicamente le fauci con il tovagliolo: il che attira maggiormente l'attenzione. Le signore, specialmente, dovrebbero rimandare le operazioni di scavo e rimozione a quando saranno sole con se stesse nella stanza da bagno. In quanto ai signori, compiuto celermente il lavoretto, non restino a gingillarsi con lo stuzzicadenti negligentemente infilato in bocca, né se lo infilino nel taschino a mo' di stilografica. I cra-cra delle mandibole, i glu-glu della laringe, gli schiocchi, i risucchi, i sibili, i gorgoglii e tutti gli altri rumori idraulici-odontoiatrici connessi, non sono graditi a tavola: e anche questo lo sanno tutti. Eppure c'è un sacco di gente che succhia, sibila e gorgoglia. E un sacco di gente, me compresa, che soffre fisicamente di questi concertini. Non è questione di essere schizzinosi (io non lo sono affatto). È solo questione... vogliamo dire di sensibilità acustica? Per me non è nemmeno quello. Se mai, si tratta di eccesso di immaginazione. Bisognerebbe evitare ai commensali certi collegamenti audiovisivi: e sono eupeptici. Non augurate «Buon appetito!» ai commensali. Non è chic: e questo non mi turba molto. Ma il fatto è che non serve a niente, se non a costringere a dire «grazie altrettanto». Questa del «buon appetito» è un'usanza solo apparentemente gentile, in realtà inutile e meccanica. E le cose inutili e meccaniche, non solo a tavola, sono da evitare. Sono in parecchi quelli che cedono alla tentazione di togliersi le scarpe sotto la tavola. Non sarò io a bollare questa tendenza, considerata turpe vizio dal galateo. Io mi limiterò a consigliare una certa cautela: anche posto che nessuno si accorga del misfatto, può succedere che per un movimento imprevisto la scarpa rotoli in là, costringendovi a tastare col piede tutt'intorno e a compiere strane contorsioni per ricuperarla. Se poi è uno dei vostri vicini che si toglie la scarpa e voi ve ne accorgete, non fate come me (ammetto la mia colpa), cioè non divertitevi a spingergli via malignamente la scarpa e assistere con espressione innocente alle sue contorsioni e al suo crescente panico. Su, ridategli la sua scarpa: son scherzi da fare? Non litigate a tavola. Né in casa né fuori. Lo so, oggi l'ora dei pasti è per molti l'unico momento in cui ci si possa trovare insieme e parlare, ed è fatale che proprio per questo il desco familiare sia spesso il luogo dove si mettono in tavola, insieme coi cibi in scatola, i discorsi più antipatici, i rinfacci più pedestri, i lamenti, le accuse, le grane. Cerchiamo di evitarlo; nei limiti del possibile. Va bene che tutti i nodi vengono al pettine, ma non si potrebbe farceli venire in un altro momento? I piatti. Secondo il galateo, non si dovrebbero mai toccare con le mani. Quante storie: quando è utile, toccarli è più che lecito. Se per esempio c'è un sugo particolarmente buono in un piatto crudelmente piatto, nessuno si scandalizzerà se lo inclinerete per raccogliere quel che altrimenti andrebbe perduto. Potete alzare il piatto dalla parte vicina al bordo della tavola, in modo che il brodo o il sugo scivolino distintamente verso l'esterno e non ingordamente verso di voi, ma anche qui non staremmo troppo a sottilizzare; l'importante è che questo gesto, bocciato dal supergalateo e ammesso dal buon senso, venga compiuto senza ridicola furtività, ma apertamente. Magari con qualche parola di compiacimento: in fondo, alla padrona di casa fa piacere che onoriate i suoi brodi o i suoi sughi. Le posate. Tenetele come sapete, scioltamente, senza preoccupazioni e senza affettazione. Il galateo classico prescriveva che il liquido si sorbisse dal lato e non dalla punta del cucchiaio: ma è una regola che, essendo oltretutto illogica, non ci sentiamo di avallare. Il coltello si usa solo quando è necessario e serve solo per tagliare, non per portare il cibo alla bocca. Perché? Perché sì: la forchetta, se no, che ci sta a fare? Il bicchiere. Si tiene semplicemente e saldamente nella mano destra (senza alzare graziosamente il mignolo). Quando qualcuno, cameriere o convitato, versa da bere, non si spinge il bicchiere verso di lui, né lo si solleva; lo si lascia al suo posto: diminuiscono così le probabilità di debordamenti e sbagli di mira. Quando si vuol rifiutare il vino o l'acqua che qualcuno ci offre, lo si fa con un sorriso e un «no, grazie». Non si copre il bicchiere con la mano; nessuno intende ubriacarci proditoriamente. Almeno si crede. Le tazze. Tutti i liquidi che vengono serviti in tazza vanno sorbiti direttamente dalla tazza stessa: il cucchiaio o cucchiaino serve solo per mescolare il liquido, eventualmente per assaggiarlo. Poi va posto sul piattino, mentre la tazza, tenuta per il manico, si solleva direttamente alla bocca. Mi sembra abbastanza logico: se la tazza ha un manico (o due) ci sarà pure una ragione. Comunque, se vi va di bere il brodo col cucchiaio, affar vostro: dopo tutto, che fastidio date? Il vecchio galateo proibisce di inzuppare pane, grissini o altro nelle tazze (o nei piatti fondi). Ma oggi non c'è niente di male se uno dice: «Qualcuno si scandalizza se inzuppo i grissini nel brodo?» Domanda puramente retorica. Il pane. Non si fa a pezzettini, sbriciolandolo tipo mangime per gallina. Non si fanno palline unticce con la mollica. Secondo il galateo classico, è vietato anche usare il pane per «fare scarpetta», cioè per raccogliere il sugo. Storie. Se il sugo è buono, non si vede perché non dovreste raccoglierlo infilando il pane con la forchetta, ed eventualmente dicendo: «È talmente buono!» Sarete compresi e giocondamente imitati. Il vino. Va messo in tavola nelle bottiglie originali. Solo per qualche rosso pastoso, mi dice un raffinato intenditore amico mio, si può preferire la caraffa: ve la do come l'ho sentita. Non bevete il vino come fanno gli assaggiatori, annusandolo, sciacquandovi la bocca, socchiudendo gli occhi per mostrare concentrazione. Siete degli intenditori, va bene, l'abbiamo capito tutti. Ma se dovete esprimere il vostro apprezzamento, fatelo con la voce, non con la mimica. A proposito: i sullodati intenditori di vino, o sedicenti tali, commentino pure ogni vino che viene loro offerto, ma non si lancino in troppo lunghe e dotte disquisizioni cultural-enologiche, che sono una grossa seccatura per, chi, pur non disdegnando affatto il buon vino, non lo considera un importante ramo della cultura né un interesse, fondamentale della propria vita. E poi ci sono anche gli astemi: congeniti o coatti. Che ne facciamo, li sopprimiamo? Io direi di risparmiarli (sono io stessa, come forse si intuisce, un'astemia coatta). L'acqua. Anche se i bevitori di vino ostentatamente la disprezzano, anche se i camerieri dei ristoranti sono sempre riluttanti a procurarla, e dal tempo che ci impiegano sembra che vadano ad attingerla a sorgenti impervie, l'acqua sulla vostra tavola non manchi mai: abbondante, fresca, presentata in terse caraffe, e rinnovata subito quando finisce. Solo l'acqua minerale, per conservare sapore e gasatura, e anche perché uno sappia che acqua sta bevendo, va lasciata nelle bottiglie originali, che sono però piuttosto squallide a vedersi: fanno trattoria. Su una tavola con pretese d'eleganza si preferisce perciò servire acqua naturale, nelle sullodate caraffe.

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Abbastanza pestifero è anche il giocatore saccente, che alla fine di ogni mano ricostruisce tutto il gioco a memoria, carta per carta, a edificazione del popolo. E molto irritante per i giocatori «seri» è il tipo che, appena guarda le sue carte, comincia a borbottare cupamente sulla propria sfortuna, oppure si abbandona a ghigni satanici che preannunciano agli avversari una fine atroce; o peggio comincia a fare divinazioni sulle carte dell'avversario, basandosi sulle espressioni della sua faccia («Guarda guarda, garantito che gli è entrata la scala»). Ma su, siamo tra amici: tolleriamo. Le serate miste. Chiamiamo così le serate in cui parte degli invitati giocano e parte fanno altre cose. Chi non gioca non si fermi alle spalle dei giocatori a osservare le loro carte: o, se lo fa, non commenti, non ridacchi, non faccia cenni: stia fermo e zitto. Chi gioca non dia segni di impazienza se qualcuno si ferma vicino al tavolo («mi mena gramo») o se il gruppo dei non giocanti, conversando, ballando, disturba la sua concentrazione. E ancora: per quanto amanti delle carte siate, non assillate il prossimo. Non fate come quei tipi che, mentre gli altri si divertono in altro modo, stanno lì sulle spine in attesa di cominciare a giocare, si affannano a cercare compagni che non gli danno retta, sgomberano inopinatamente un tavolo, tirano fuori le carte e ci giocherellano da soli con aria nervosa, facendo passare la voglia di giocare anche a chi magari ce l'aveva. Se siete giocatori seri: - Non prendete in mano le carte prima che il mazziere abbia finito di distribuirle (ma anche se lo fate non casca il mondo). - Non tenete le carte a grappolo, a piramide, pericolanti l'una sull'altra; non tenetele sotto al tavolo, né strette al seno guardando con sospetto i vicini. - Non ritirate una carta dopo averla giocata. - Quando mescolate, fatelo sobriamente, senza prodezze spettacolari alla Danny Kaye. - Quando distribuite le carte, non fatele planare come aeroplani, non lanciatele come siluri, non buttatele a mucchietti, non seguite criteri fantasiosi; distribuitele con ordine e misura, facendole scivolare leggermente sul tavolo, una per una, da sinistra a destra o da destra a sinistra (a seconda del gioco). - Non fate segni, tossettine, ammicchi. - Non sbirciate le carte altrui. - Non fate scongiuri, non girate intorno alla sedia per esorcismo: sono scherzi troppo vecchi (e se non sono scherzi, peggio). - Non chiedete di cambiar posto perché la vostra sedia vi mena gramo. Anche se «non» siete giocatori seri: - Non maltrattate e non sporcate le carte. - Non bagnatevi il dito (orrore) per farle scorrere. - Non proponete mai di smettere mentre state vincendo. - Non rifiutate mai la rivincita; ma se state perdendo, non cercate di rifarvi a tutti i costi, costringendo gli altri a giocare fino all'alba.

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L'angelo in famiglia

182841
Albini Crosta Maddalena 3 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
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Però, credilo, figliuola mia, il mondo è pur abbastanza cattivo, e dirò meglio, insidioso per te: dopo d'averti festeggiata appena t'ha veduta in mezzo a lui, e d'aver lodato tutte le tue qualità, anche le meno lodevoli, cercherà di toglierti dal tuo cantuccio, di levarti la vernice di collegiale, di farti spigliata, di farti insomma tutt'un'altra da quella che sei, da quello che vuoi, e che devi essere. Poverina! tu fanciulla ancora inesperta, tal fiata ti vergognerai perfino della tua modestia e delle tue migliori qualità, e ti sforzerai di ostentare un brio, una galanteria di cui prima non conoscevi che il nome. Per pietà, amica carissima, per pietà, non fare questo passo falso, o se sventuratamente lo hai fatto, ritirati prontamente, se non vuoi legare il tuo cuore vergine e libero al primo anello di quella catena, che, sotto il nome bugiardo di emancipazione, non è altro invece se non schiavitù e schiavitù abbominevole. Ascoltami, o anima sorella, perchè creata dallo stesso Iddio Padre, dallo stesso Gesù redenta, dallo stesso Spirito Santo illuminata; ascoltami, o cara; io non ti parlo per piacerti, o per dilettarti, io ti parlo solo per farti del bene, per rendere tranquilla e buona la tua vita, la tua morte, la tua eternità, e, lascia che tel ripeta, anche perchè serena ti scorra l'esistenza, e inalterata sia la tua pace. Io, prima di scrivere queste pagine, ho piegato le ginocchia davanti all'Immacolata, le ho chiesto d'inspirarmi quello che debbo dire a te per toglierti ai travagli delle passioni, per ajutarti a combattere e vincere la guerra terribile che il mondo, il demonio e la carne ti faranno, e la Madonna mi ascolterà. Non credere, sai, a quei cotali che ti van ripetendo che i libri di pietà ti renderanno uggiosa, melanconica, egoista: Oh! non creder loro; essi o sono ingannati, o sono ingannatori. Gli è appunto per recare al tuo labbro quel sorriso che tanto ti stupisce sul labbro di quell'anima afflitta, travagliata, ch'io ti parlo come faccio, e cerco di riverberare, sulla tua mente e sul tuo cuore la luce soave e smagliante del Vangelo. Allorchè io mi sento l'animo oppresso, mi reco appiè dell'altare, poi, sai dove vado? vado a ritemprare l'animo mio a fianco di una vecchia inferma che, caduta da condizione civile in bassa fortuna, conserva tra gli stenti e gli acciacchi de' suoi ottantotto anni un'inalterabile serenità. Essa ha trovato il segreto di tutto sopportare non solo coraggiosamente, ma allegramente, e da lei emana come un effluvio di pace che non può a meno di comunicarsi a tutti quanti la circondano. Allorchè esco da quell'umile cameretta mi trovo assai rincorata, ma vergognosa però d'essere tanto da meno di colei che mi ha sovranamente edificata. Sì, credilo, te lo dico in nome di Dio; io desidero vivamente di farti lieta e contenta; e per far ciò debbo metterti sull'avviso, affinchè quel brutto mondo, dal quale sei circondata, non ti prenda di sorpresa, non ti allucini co' suoi falsi splendori e ti rapisca quella cara serenità che ora allieta il vergine tuo cuore. Anche la mia cara inferma è vergine ancora, e pura è stata tutta la sua lunga vita: basta solo vederla per leggerglielo in fronte, in quegli occhi limpidi, in tutta la sua persona. Tempera adesso, mia cara, la foga della tua gioja, e non abusare di quel tanto di libertà che il tuo ritorno alla casa ti ha accordato, per non dover poi pentirtene più tardi. No, no, non abbandonarti soverchiamente alla gioja, se vuoi stare sollevata anche nei giorni tristi, se vuoi tenere un po' d'equilibrio. Sta tanto bene l'uguaglianza di umore, di carattere, che per acquistarla o mantenerla non è soverchio, nè ti deve parer grave alcun sagrificio. Tante e tante sono le cose che vorrei dirti e che mi fanno ressa alla mente, che non so veramente per ora a quale appigliarmi. Temo tu mi sfugga, temo di pesarti troppo addosso, ed io vorrei che la parola mia ti suonasse cara come quella di tua madre, dolce come quella della più cara amica della tua infanzia. Ebbene, non voglio affollarti la testa con troppe considerazioni serie; mi basta per oggi ripeterti di stare in guardia con te stessa, cogli altri, con tutto e con tutti, se non vuoi essere presa incautamente a qualche laccio. Ogni giorno io tornerò probabilmente su questo soggetto, e tu mi ascolterai sempre, n'è vero? Oh! quanto desidero che tu sii felice! ma per essere felice bisogna essere buona, dolce, pia, caritatevole, tollerante, anzi più, indulgente; bisogna insomma che tu sii veramente virtuosa e santa. Io pregherò sempre con gran cuore il buon Dio di renderti tale, e forse in fondo in fondo ci ho anche un po' d'egoismo; mi lusingo che quando la mia parola ajutata, anzi inspirata da Dio stesso, avrà cooperato a renderti virtuosa, allora tu pure pregherai per me, affinchè io divenga un po' buona; e mi dimentichi una volta di me medesima, per non ricordarmi che degli altri.

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Tuttavia se mi è caro intrattenermi teco, ed a te non è grave porgermi benigno ascolto, io ti dirò e ti ripeterò quello che cento volte ti sarà stato ripetuto, ma che non mai sarà abbastanza radicato nell'animo tuo. Il Signore non esige nè da te, nè da me il freddo adempimento di certe formole, di certe preghiere; ma vuole, esige, gradisce la nostra volontà retta ed intera; vuole che noi confessiamo al suo Ministro tutti i nostri peccati con sincerità e con confidenza, tutti i peccati mortali senza tacerne pur uno sotto verun pretesto; vuole che ci pentiamo di vero cuore, e gli promettiamo con fermo proposito di mantenere le nostre promesse. Altrettanto si dica della Santa Comunione alla quale, come alla Confessione, ci dobbiamo preparare la sera innanzi, se non altro con uno slancio, con un pensiero, con un affetto. Alla sacra mensa rechiamo un cuore volonteroso di ricevere il Sacramentato nostro Gesù, di avvicinarci al suo Sacratissimo Cuore, di onorarlo; e pur sentendo la nostra indegnità, preghiamolo d'entrare dentro di noi per mondarci, salvarci, santificarci. Un buon libro ci sarà d'ajuto ai Sacramenti come alla meditazione ed alla Messa; ma allorchè il libro avrà eccitato in noi gli affetti, chiudiamolo senza esitanza; egli ha già fatto l'ufficio suo, il Signore farà direttamente il resto. Allorchè la mente si distrae ed i sentimenti si smorzano, il libro sacro è destinato a raccogliere l'una e riaccendere gli altri; ma non mai il libro deve vincolare gli slanci e gli affetti nostri, i quali devono e vogliono presentare a Dio le necessità nostre e dei nostri prossimi, i nostri ringraziamenti, le nostre aspirazioni più sante!... A chi vedendoti frequente alla chiesa, ai Sacramenti, ti biasima, deride o compatisce, tu rispondi coll'arme potentissima del cristiano, la preghiera; questa è l'unica vendetta che Iddio permette, ama, comanda; questa è l'unica vendetta che ti è permessa, anzi comandata. Oh! sì, preghiamo assieme pei poveretti che non hanno gustato mai le gioje celesti che partono dal Tabernacolo, e supplichiamo il Sacramentato nostro Gesù di farne loro sentire le ineffabili dolcezze. Gesù Sacramentato, investiteli del vostro amore! 30

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Che se ci fosse taluno abbastanza ardito da crederti persona dappoco, perchè dichiaratamente credente e perfettamente cattolica, gli potrai rispondere che non t'incresce essere tenuta persona dappoco nella schiera che dal grande Aquinate, a Dante e Manzoni, ha portato alto la stessa bandiera, la quale forma il loro non meno che il tuo vanto. Ma lo so: pur troppo, se ci è facile sopportare e vincere la guerra fatta alla nostra pusillanimità dalle persone che non ci riguardano se non da lontano e colle quali ci troviamo di rado, ci è poi difficilissimo vincere l'altra fattaci dalle persone colle quali viviamo in continuo contatto; ma ciò non toglie che le suaccennate ragioni valgano tanto per le une quanto per le altre. In questo caso sarai però obbligata a raddoppiare i tuoi sforzi, e più forte ti stringe l'obbligo di presentarti a Dio riparatrice dei torti altrui, anche allo scopo di non cadere tu pure ignominiosamente a rinnegarlo, od a servirlo meno fedelmente per rispetto umano. Poi devi cercare ogni occasione per vincerti; e benchè non ti corra grave obbligo di dichiarare apertamente la tua fede se non nelle cose e nelle circostanze di qualche gravità, perderai molto non solo di merito davanti a Dio ma di forza in te stessa, se non sei e non ti mostri sempre coraggiosa nelle piccole come nelle grandi occasioni. Ed infatti se ti vergogni di farti vedere a leggere un libro di pietà, a frequentare i Sacramenti, le prediche, la chiesa, l'orazione; che caparra ti rimane di saper poi dichiarare apertamente la tua fede, quando la vedrai vilipesa o posta in dubbio ed in canzone? No: tu sai che ogni giorno devi piegare le tue ginocchia davanti a Dio per implorare la sua protezione sulla tua giornata dapprima, poi sulla tua notte; dunque, piegale senza rossore anche se havvi alcuno nella tua camera che ne faccia le beffe. Quella persona deve vergognarsi di dileggiare la tua buona azione, non tu di farla. Se un'amica, o più propriamente si dovrebbe dire una nemica, ti deride o ti guarda con compassione perchè ti accosti spesso al tribunale di penitenza e ricevi con frequenza il Pane dei forti, o per qualunque altra tua pratica di pietà dalla più piccola alla più grande; continua coraggiosamente il tuo cammino, ed invece di lasciarti pervertire cerca di convertire l'amica, colla quale sarai sempre buona, amabile e condiscendente come Dio vuole in tutte le cose che non riguardano il divino servizio. Ringraziamo Iddio che ci ha fatte nascere nella sua Chiesa, che ci ha alimentate coi Santi Sacramenti, che ci nutrisce ogni giorno colla sua parola e colle sante sue ispirazioni, e deh! non sia mai che diventiamo ree d'ingratitudine e di apostasia col vergognarci dei doni suoi. Noi siamo deboli, anzi io sono più debole di te; ma facciamoci coraggio, attacchiamoci al pegno di nostra salute, alla Croce, ed ivi troveremo la forza di superare la guerra mossaci dagli altri e quella che ci viene da noi medesime. Ma se ci poniamo appiè della croce, a chi ci troviamo vicini? Alla Vergine addolorata che, nascosta quando il suo Gesù veniva recato in trionfo a Gerusalemme, si presenta coraggiosa a Lui dappresso quando è vilipeso, bestemmiato e crocifisso. Ci troviamo vicini al caro Apostolo vergine che ha posato il capo sul cuore del Salvatore, e alla gran peccatrice la quale sola ha sentito quella grande parola:Va; ti sono rimessi molti peccati, perchè molto hai amato. O buon Gesù, deh! non permettete mai che dopo di aver parlato con tanta convinzione e con tanto cuore, contro il vile rispetto umano, abbia poi io stessa a rendermene rea; questa sarebbe troppo tremenda pena, e Voi, amante e redentore dell'anima mia, me ne libererete mai sempre. Cara Madre Maria, S. Giovanni, S. Maria Maddalena, Santi tutti del cielo, Angelo mio Custode, liberatemi, per pietà, da sì grave delitto!

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Galateo ad uso dei giovietti

183906
Matteo Gatta 2 occorrenze
  • 1877
  • Paolo Carrara
  • Milano
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Similmente dobbiamo guardarci da quanto può recare molestia all'odorato: quindi impedire con ogni diligenza che dal nostro corpo non emani alcun odore cattivo, come interviene, specialmente nella stagione estiva, a coloro che, non si curando abbastanza della nettezza dei piedi sudati, mandano fuori un tal puzzo da ammorbare una casa. Anche il profumo troppo acuto d' un fiore o d' una essenza odorosa torna di grave incomodo, specialmente in un piccolo stanzino o in un salotto molto affollato; e non è raro il caso che qualche signora di delicati nervi sia côlta da svenimento o deliquio. Meglio adunque, come dicemmo altrove, nessun odore. Cavarsi le scarpe a fine di riscaldare i piedi intirizziti o bagnati è unicamente permesso in casa propria. Sciorinare il moccicchino dinanzi al fuoco od alla stufa per asciugarlo è sporcizia indegna d'ogni persona educata. Così pure non è dicevol costume, quando ad alcuno vien veduta per via qualche cosa stomachevole il rivolgersi ai compagni e loro mostrarla. E molto meno il porgere a fiutare alcuna cosa puzzolente, come alcuni sogliono fare con grandissima istanza, pure accostandola al naso e dicendo: « Sentite come questo pute; » anzi dovrebbero dire: « Non lo fiutate perchè pute. » Atti di questa natura offendono insieme due sensi, la vista e l'olfato. Siccome poi anche l'alito delle persone che non l' hanno abitualmente corrotto può per qualche peculiare circostanza riescire spiacente all'odorato, non hassi mai da accostare di troppo il volto a quelli coi quali parliamo. Rispetto all'usanza del fumare, tanto e troppo generalmente diffusa, avremo occasione di toccare in altro luogo. Intanto abbiate per fermo essere grave inciviltà l'accendere pipa o sigaro in una vettura, in un vagone, in una sala comune, senza prima domandarne il permesso almeno alle signore. All' udito, invece, riesce molesto e fastidioso il dirugginare i denti, lo zufolare, lo stropicciare pietre aspre, il fregar ferro, il graffiar vetri, cose queste ultime che destano il ribrezzo d' una lima stridente. Nessuno ha l' obbligo d'essere un canarino: ma chi sgraziatamente ha voce discorde e stonata e non ombra di abilità musicale senta compassione degli altri e non si faccia «Lacerator di ben costrutti orecchi.» Valga l'osservazione anche per quelli che nei caffè, nei convegni gridano a squarciagola con gran disturbo di chi ragiona tranquillamente e di chi è intento alla lettura dei giornali. Vi sono taluni che, tossendo o sternutando o purgandosi il naso, fanno uno strepito che assorda ; e altri che, non usando in ciò alcuna diligenza, spruzzano il viso ai circostanti. Non è mestieri che io raccomandi ai miei ascoltatori e alle mie ascoltatrici di guardarsi da questi atti in urbani. Al senso del gusto o al palato si può recar molestia, tanto per allegar qualche esempio, col goffo e grossolano scherzo di mettere alcun che di sgradevole, poniamo, in una bevanda, per poi sghignazzare sguaiatamente a spese di colui che resta colla bocca attossicata; e, in altro modo col voler costringere una persona, sia pur amico, ad assaggiare vino ammuffato, inacetito e peggio, o vivanda immangiabile per ostico sapore o nauseante condimento. Moltissimi sono gli atti inurbani che offendono il tatto. Lasciando stare gli usi plebei dei facchini e dei monelli da piazza di fare materia di scherzo e di giuoco le ceffate, i pugni, i calci, l'afferrarsi pei capegli, il pigliarsi a sassate, con gran consolazione dei presenti e dei passanti, vi hanno anche nelle classi più educate certuni che per riuscire seccanti e incivili valgono tant'oro. Ti picchiano sulle spalle per ricordarti una cosa; ti prendono pei bottoni dell'abito onde tu non abbia a sfuggire dalle loro ugne; passeggiando s' appoggiano di peso al tuo braccio e gli danno strappate da lasciartelo indolenzito; in compagnia credono porgere bel saggio di spirito con un buffetto sul naso a questo, col dare il gambetto a quello, coll'accostare alla mano del vicino la estremità del sigaro acceso..... Non dirò nulla di que' scioperati (e non basta qualificarli con tale epiteto) che d' improvviso levano di sotto via lo scranno a chi sta per sedere, con manifesto pericolo di vederlo stramazzare supino al suolo. Codeste non sono burle, sono attentati alla salute e alla vita delle persone, e i loro autori vorrebbero essere esclusi da ogni onesta brigata. Nelle occasioni di grande concorso poi, quando, in mezzo alla folla costretta all' immobilità, tra migliaia di persone stivate non cadrebbe un granellino di miglio, fa propriamente dispetto la villania di coloro che, armeggiando di mani, di gomiti, di petto, di gambe, vogliono a forza cacciarsi innanzi agli altri per veder meglio e smentire l'antico proverbio. « Chi tardi arriva male alloggia,» credendo rimediare agli urti violenti, alle ammaccature delle vostre spalle, de' vostri piedi, di tutto il corpo, con una scusa biasciata in italiano od in francese. E trovasi anche tale che, sbadigliando, urla o ragghia come un asino; e tale che con la bocca aperta vuol pur dire e seguitare il suo ragionamento, e manda fuori quella voce o piuttosto quel rumore che fa il muto quando si sforza di favellare: le quali sconcie maniere si voglion fuggire come sgradevoli alla vista e all' udito. E dato pure che lo sbadiglio non venga accompagnato nè dal raglio asinesco nè dal mugolo di cui sopra, il giovinetto costumato farà molto bene ad astenersene per varii motivi. Anzitutto perchè non sembri gli venga a noia la brigata e gli rincrescano i discorsi e i modi delle persone che la compongono; poi perchè, quando uno sbadiglia, quasi tutti gli altri, come vi sarà occorso di notare più volte, sentono il bisogno di fare lo stesso e quindi il primo è come la causa indiretta di questo sonnacchioso e generale contagio dello sbadiglio. Il suggerimento vale pei maschi, come per le femmine: ma con voi, buone fanciulle, mi corre anche qui, come in molti punti, l'obbligo di rincarar sulla dose per la ragione che certe cose spiacenti e meritevoli di censura nell'uomo, lo sono in grado superlativo nella donna. Non è egli vero che il vostro sesso è qualificato coll'epiteto di gentile? Ebbene, dee mostrarsene degno. Mi mancherebbe forse prima il tempo che la materia se io volessi enumerarvi ad uno ad uno gli atti che offendono i sensi; ma, dopo il saggio che vi ho posto sotto gli occhi, dopo i varii e speciali esempi che ho recato, sono persuaso che avrete una norma bastante per discernere quanto la civiltà permette da quanto riprova e condanna su questo proposito. Quindi io non vi toccherò nè di rutti nè di altre peggiori indecenze che, solo a intenderle accennare, destano un senso di schifo e di ribrezzo; mi arresterò invece su certe abitudini più comuni, su certe azioni che peccano d' inciviltà e qualche volta anche di egoismo, e che vediamo commesse con troppa frequenza più per sbadataggine che per maligna intenzione. Noi le porremo sotto una sola rubrica denominandole

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Lo stesso ragionamento fate per tutte le professioni, per tutte le arti, per tutti i mestieri; giacchè ciascuno si crede e pretende d'essere creduto abbastanza esperto nell'arte o nella professione che esercita. Anche l'età entra in codesto soggetto. Il vecchio a cui si fa accusa di non aver pratica nè degli uomini nè della vita, che si vede arrogantemente redarguito e contradetto da un giovine imberbe in cose che egli dee conoscere e realmente conosce meglio di lui, grazie all'esperienza che è il frutto degli anni, sentesi giustamente ferito nell'amor proprio ed ha la ragione di rimbeccare e di ridurre al silenzio il presuntuoso e malcapitato saputello. Tra le più gravi offese all'amor proprio notiamo quella di volgere la faccia altrove per non corrispondere al saluto di una persona male in arnese, e l'altra di propalare il segreto di un sussidio ricevuto da quell'indigenza che ha bisogno di nascondere i suoi cenci sotto le apparenze d' una miglior condizione. Vi sono atti inurbani che insieme coll'amor proprio offendono anche l'onore, cioè quanto l'uomo ha di più prezioso; ma questi appartengono a un ordine di idee e di fatti che non sono del nostro libro. Ve n'ha altri la cui convenevolezza o sconvenevolezza dipende dalla diversa qualità delle persone. Un uomo maturo potrà dare il ganascino al giovinetto che conosce fin dall'infanzia, ma questi non dovrà mai permettersi altrettanto coi più vecchi di lui. Non parrà disdicevole che un principe, in segno di benevolenza, ponga la mano sulla spalla d'un veterano, e che questi alla sua volta usi lo stesso atto confidente col giovine coscritto. Il figliuolo mancherebbe al rispetto che deve a' suoi genitori, pigliandosi con essi la libertà di uno scherzo che è lecitissimo coi fratelli e cogli uguali. Per la ragione adunque enunciata in principio e spiegata dagli esempi, questi atti si dicono relativamente inurbani, stantechè assumono diverso carattere dalle diverse circostanze che gli accompagnano. Dicemmo altrove che il galateo è maestro di bella creanza per tutti i momenti della giornata, per tutte le occasioni in cui l'uomo si può trovare. Vediamo adunque partitamente come ilgiovinetto debba contenersi a mensa, in conversazione, a teatro e così via. Cominciamo dalla prima.

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Come devo comportarmi. Le buone usanze

184913
Lydia (Diana di Santafiora) 1 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
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È un'ottima abitudine, che non possiamo mai raccomandare abbastanza; e su di essa ci fermeremo ancora a lungo. La casa è il regno della donna; ed essa deve esserne gelosa come di cosa che appartiene tutta a lei. Una casa ben tenuta non solo fa onore alla padrona di casa, ma è fonte d'armonia fra i coniugi e di felicità familiare. Il marito che torna stanco dal lavoro, entra contento nel suo nido tutto lindo, dove ogni più piccolo oggetto rivela le cure amorose d'una persona gentile; da una casa sporca e mal tenuta egli si stacca invece volentieri, e cerca altrove, nelle sale del circolo o nei caffè, una distrazione alle fatiche della giornata. Pensateci, lettrici cortesi.

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Il galateo del campagnuolo

187526
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 1873
  • Collegio degli artigianelli
  • Torino
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Non è egli già abbastanza infelice, per non aver una madre, a cui rivolgersi negli sconforti della vita, senza che ogni voce lo venga del continuo a richiamare alla sua sventura? Egli intanto è assai più educato, e si diporta ora con molto più rispetto che non codesti bravazzoni, che abbiam intorno, cui non manca nè padre, nè madre... Gian Matteo, che potè intendere di che si trattava, e le parole di lei, fu tocco dentro, gli si riempirono in un subito gli occhi di lagrime, e fuggì frettoloso a casa. Alle ingiurie c'era avvezzo, e non ci badava manco più; ma ad una sì calda difesa, no; onde quelle parole, quella voce soave e accalorata, non furono dimenticate più; nelle ore di sconforto, quando s'è sforzati al pianto, si trovava quelle parole nel fondo dell'animo che gli sonavano come incoraggiamento, gli pareva di non essere più solo sulla terra. Egli non ci aveva mai parlato alla Caterina; come neppure lungo tempo appresso; più di buon dì, buona sera, come s'usa tra contadini nel passarsi vicino, altro non s' eran mai detto. Altra volta cadde malato papà Bastiano; Gian Matteo non poteva assisterlo; ma solo faceva qualche scappata in fretta a portargli qualche cosa; e chi trovava quasi sempre Iì a rendergli servizio? Caterina; essa stava di casa lì presso, e sapendo come nessuno potesse prendersi cura del malato, la bontà del cuore la spingeva di tempo in tempo a venir lì, ad accendergli un po' di fuoco, ad allestirgli un po' di minestra; ed era carità fiorita quella, solo conosciuta da chi cresce alla scuola de' patimenti! Gian Matteo non sapeva manco ringraziarla; gli pareva un'azione tanto di cielo, che non si teneva degno di volgerle una parola; e innalzava gli occhi a Dio, come a dire: a voi, che vedete tutto, e che sapete degnamente ricompensare le opere sante, raccomando costei! Quando Gian Matteo andò a tirar il numero, scontrò la buona fanciulla, che usciva da una cappella, dedicata alla Vergine, e aveva gli occhi rossi rosai; ma egli non vi pose mente, e tra l'allegro ed il melanconico: — Addio, Caterina, le disse, vo a far il soldato. — Dio non voglia, rispose dolente la ragazza, ho pregato tanto la Madonna...! e poi confusa d'essersi scoperta, entrò per un sentiero, che metteva ne' campi. Come Gian Matteo si trovò padrone d'una casa, e di un po' di poderetto ben suo, ed ebbe, come diceva, il nido fatto, sposò la Caterina, che non vi so dir io, come rimanesse felice; perchè, se prima poteva nutrir delle speranze, poi che lo vide divenir proprietario, le svanirono tutte; essa senza dote, di lusinghe non se ne faceva punto; tanto più che sapeva, che molte madri a lui mettevano in vista le loro figliuole, facendogli sentire il suono delle mille lire, che portavano in dote. Ma Gian Matteo, quando ne chiese la mano, le disse: chi pigliò le difese di questo miserabile bastardo? Chi soccorse papà Bastiano? Chi pregò perchè fosse salvo dalla leva questo derelitto sulla terra? O voi, o nessun'altra sarà mia moglie. Pianse di consolazione Caterina a queste parole, e Dio benedì quelle nozze. Essa è la felicità di quella casa; accudisce a tutto, nulla le passa inosservato. E con che garbo! Chiunque capiti lì, anche all'improvviso, essa non si confonde per nulla; ma trattiene, complimenta, e non lascia partir nessuno senza avergli fatto accettare qualche cosa, con tanta bella grazia, che molte signorine, con tutta la loro educazione di collegio, non saprebbero fare altrettanto. Gian Matteo appena sposatala, le disse: a te la casa, a me la campagna. E non volle mai, che si mettesse ai duri e faticosi lavori de' campi. E che può far una donna, diceva, colla zappa o colla vanga? Guadagnerà pochi soldi al dì; ma quanto più non potrà guadagnare accudendo alla casa, in lavori più convenienti alla sua natura, e alle sue forze? E infatti le donne nell'allestir le vivande, nel governare la biancheria, nel rappezzar le robe, nel badar al pollame, al maiale, alle bestie, nell'allevar i figliuoli, risparmiano di bei quattrini alla fine dell'anno, e guadagnano una giornata ben più fruttuosa, che in adoperar la zappa o la falce a' raggi del sole. Nè sarà fuor di proposito metter in chiaro i principali lavori di Caterina nel governo della casa e i suoi consigli; perchè possano essere presi a imitare da tutte le donne di campagna.

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Galateo per tutte le occasioni

188033
Sabrina Carollo 1 occorrenze
  • 2012
  • Giunti Editore
  • Firenze-Milano
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. ✓ Quando si entra in un nuovo gruppo è bene leggere i messaggi che vengono scambiati tra gli utenti, prima di intervenire: ogni comunità ha infatti regole abbastanza precise, stabilite dall'uso, sul metodo con cui si tratta un determinato argomento. Leggere equivale ad ascoltare, per evitare di intervenire a sproposito. Allo stesso tempo, però, non partecipate silenziosi a lungo a una chat. Passereste per guardoni (lurker), ficcanaso sgraditi. ✓ Quando si invia un messaggio (che nel linguaggio internazionale degli informatici è definito article) è bene cercare sempre di essere sintetici e diretti nel centrare la questione che volete esporre. Vietato il linguaggio volgare. ✓ Quando si manda un messaggio, specificare sempre, in modo breve e significativo, l'oggetto (subject) del testo. Ciò vale soprattutto per i gruppi più affollati in cui vengono scambiati centinaia o migliaia di messaggi al giorno. Questa piccola cortesia consente a chi partecipa di capire immediatamente se il messaggio può interessargli o meno. ✓ Non divagare rispetto all'argomento del newsgroup o della lista di distribuzione. Se si risponde a un messaggio, non va riportato sistematicamente l'intero originale ma va "quotato", ovvero ne vanno stralciati solo i passaggi rilevanti a cui si intende rispondere precisamente. Evitare gli invii multipli del proprio messaggio a diversi gruppi. Limitarsi parsimoniosamente agli utenti che sono effettivamente interessati. Quando si invia un messaggio a più gruppi (cross-posting) evidenziare tale fatto in modo che i frequentatori di entrambi i gruppi lo sappiano ed evitino di rileggere lo stesso messaggio. ✓ Non condurre guerre di opinione sulla rete, né farne il proprio personale teatro dove condurre battibecchi con singoli utenti. Le questioni personali si risolvono in corrispondenza privata tramite e-mail. Le discussioni (flames) possono degenerare facilmente senza l'intermediazione del tono della voce. A volte una semplice ironia può essere raccolta come un'offesa. Evitare allo stesso modo di prendere contenziosamente le parti dell'uno o dell'altro rinfocolando il contrasto. Non è facile farsi capire, tanto più quando non ci sono supporti fisici. Questo è uno dei motivi per cui nelle chat abbondano comportamenti aggressivi. I fraintendimenti sono all'ordine del giorno. Non aggravateli. ✓ Evitare di mandare messaggi di prova per verificare il funzionamento del software: a questo scopo esistono dei gruppi appositi. La posta elettronica è come quella cartacea, dunque non si fa leggere ad altri. Non pubblicate mai messaggi personali. Leggere sempre le FAQ (Frequently Asked Questions) relative all'argomento trattato prima di inviare nuove domande, per evitare di farsi dare di stupidi, principalmente. ✓ Vietato fare spamming, ovvero mandare messaggi pubblicitari o catene inutili. SPAM sta per Stupid Person AdvertiseMent (pubblicità fatta da persone stupide), dunque siete avvisati. ✓ Anche l'intolleranza verso chi commette errori di grammatica è al bando. Vero è che ognuno deve cercare di scrivere al meglio delle proprie capacità. ✓ Scrivere in maiuscolo equivale ad alzare il tono di voce, dunque non fatelo. Per sottolineare un concetto o una parola si usa racchiudere il termine tra asterischi. ✓ Non si devono utilizzare caratteri accentati, perché in altri sistemi possono non venire letti. Si usa l'apostrofo al loro posto. ✓ Le battute di spirito e l'ironia in generale vanno accompagnate da un emoticon, ovvero una di quelle faccine ottenute dalla punteggiatura, che consentono di intuire il tono con cui una frase viene scritta. ✓ La firma in fondo al messaggio deve essere breve e sintetica. Evitate la lista di titoli e definizioni. Internet è il regno della democrazia. ✓ La rete è principalmente uno strumento di lavoro, dunque evitare i messaggi inutili, frivoli o di carattere personale, e dunque non di interesse generale, a meno che non sia espressamente indicato dal genere di scambio. ✓ Gli scambi di materiale pesante intasano il traffico di rete, dunque programmarli in orari diversi da quelli di massima operatività (per esempio di notte), tenendo presenti le eventuali differenze di fuso orario. ✓ Accertarsi che chi riceve un allegato pesante sia in grado di scaricarlo. Non tutti hanno lo stesso tipo di linea, e per alcuni potrebbe essere un problema ricevere file di dimensioni troppo grandi. Non scrivere messaggi in HTML. Sono inutilmente ingombranti, oltreché non leggibili da tutti. ✓ Rispettare brevetti e/o vincoli di utilizzo del materiale che si raccoglie in rete. Violare la sicurezza di archivi e computer della rete, violare la privacy di altri utenti della rete, leggendo o intercettando la posta elettronica loro destinata, compromettere il funzionamento della rete con virus costituiscono dei veri e propri crimini elettronici e come tali sono punibili dalla legge.

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Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

189117
Pitigrilli (Dino Segre) 6 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
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Ecco il problema, abbastanza conosciuto, ma sempre nuovo, perchè nessuno ne ricorda la soluzione: Un capo cannibale dice ai suoi tre prigionieri: «Questi sono tre bottoni bianchi e due bottoni neri. Un bottone sarà cucito sulla schiena di ciascuno di voi e ognuno dovrà indovinare il colore del proprio bottone. Ognuno avrà il diritto di guardare il colore del bottone degli altri due, senza rivelarlo, beninteso, e di ascoltare le risposte». Se uno di voi indovina e ne dà la dimostrazione, sarete liberi tutti e tre. Il terzo interrogato avrà gli occhi bendati senz'altra guida che le risposte udite dei primi due interrogati. Fatti i preparativi, il primo rispose «non so». Il secondo, «non so». Il terzo, che aveva gli occhi bendati, indovinò, ma che cosa rispose? Soluzione: Il terzo che aveva gli occhi bendati, rispose che il proprio bottone era bianco. - Dimostralo - disse il capo cannibale. - Facilissimo - rispose il prigioniero. - La base del ragionamento è questa: se uno dei due primi interrogati avesse visto due bottoni neri, avrebbe concluso che il suo era bianco. Io dico che il mio bottone è bianco, perchè non può essere nero. Infatti, supponiamo che io abbia un bottone nero. I due primi hanno dunque visto questo bottone nero sulla mia schiena. Ora, avendo il primo risposto che ignorava il colore del proprio bottone, divenne evidente per il secondo che lui, il secondo, non poteva avere che un bottone bianco. Essendo rimasto nel dubbio, bisogna concludere che il mio bottone non è nero. E' bianco. E così il capo tribù liberò i tre, la professoressa sposò il discepolo, Dio benedisse le loro nozze, e dopo cinque mesi ebbero un figlio, che rivelerà presto una forte disposizione per il ragionamento matematico. Ma se voi proponete il problema in un gruppo di amici, uno dirà a casaccio «bianco» o a casaccio «nero». Un altro dirà che il problema è insolubile perchè il terzo aveva gli occhi bendati; un altro protesterà contro il vostro attentato all'integrità delle sue meningi; un altro... La gamma della stupidità umana è troppo estesa perchè io mi avventuri in supposizioni. Provate! E se poi volete assistere a una esplosione di cretineria, vi offro un ultimo test, il più intelligente che io abbia trovato finora. E' ragionamento puro. In un'isola imaginaria, vivono bianchi e neri. I bianchi dicono sempre e solamente la verità. I neri mentono sempre. Qualunque cosa i bianchi dicano è vero, qualunque cosa dicano i negri è falso. Una notte senza luna passano in una piroga tre uomini. Un tale che è sulla riva, domanda: «Siete bianchi o siete neri?» Il primo dà una risposta, ma non si odono le sue parole, perchè se le porta via il vento. Il secondo dice testualmente: «Ha detto di essere bianco; è proprio bianco; anch'io sono bianco». Il terzo, dice: «No, è un nero. Io sono bianco». Domanda: di che colore sono i tre? Ebbene, non avrete ancora finito di esporre il problema, che qualcuno o qualcuna risponderà: «Sono tutti e tre neri, perchè mentono». Oppure: «Due neri e un bianco». Oppure «Il primo è nero perchè non ha voluto rispondere». Guardatevi bene dallo sposare costui o costei. O dall'intraprendere qualcosa di serio insieme. E se volete spingere la vostra indagine psicologica all'estremo limite, osservate come reagiranno quando voi darete la soluzione, e le obiezioni che si scateneranno, e le cadute e ricadute da una stupidaggine all'altra, e la lentezza nel ragionare e la refrattarietà a capire. La soluzione è questa: Come avrà risposto il primo del quale non si udì la voce? Avrà risposto «io sono bianco», perchè o è bianco, e allora ha risposto io sono un bianco perchè dice la verità, o è un negro, e avrà risposto io sono un bianco perchè i negri mentono. Quando il secondo, affermando che il primo «ha detto di essere bianco» ci dà la dimostrazione di dire il vero, ne deduciamo che è un bianco. Ormai la verità la sappiamo, e concludiamo che il terzo mente, e perciò è un nero. Conclusione: il primo è un bianco, il secondo un bianco, il terzo un nero. Ma, conclusione delle conclusioni, avrete scoperto che razza di cranio avete come compagno d'ufficio, di caffé o di letto matrimoniale.

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Il pubblico è il tuo termometro, il tuo barometro, il tuo voltimetro; quando lo interessi è immobile, tutti gli sguardi sono rivolti verso di te, se arriva un ritardatario, colui che deve spostarsi per cedergli il passaggio assume un'espressione contrariata: ha l'aria di lagnarsi perchè questo disturbatore non fa abbastanza in fretta, è giunto nel momento più interessante e avrebbe fatto meglio a rimanere in piedi in fondo alla sala; e dopo che è passato, il signore che gli ha ceduto il passaggio si slancia con lo sguardo ancora più attento verso il conferenziere, come per ricuperare le gemme che ha perduto. Se invece si annoia, l'arrivo di un ritardatario è una distrazione, un diversivo: lo guarda, lo segue, gli sorride, e se l'altro gli chiede scusa, egli si prodiga in inchini e in sorrisi e lo segue con lo sguardo fino a che non si è comodamente seduto. L'interesse dell'uditorio è dimostrato dalla immobilità e dal silenzio; quando tutte le teste oscillano, si voltano indietro, si studiano a vicenda, e le borsette delle signore si aprono e si chiudono, e si sente il fruscio della carta delle caramelle, e i signori accavallano e scavallano le gambe, dànno un'occhiata all'orologio, al programma, alle proprie unghie, allora vuol dire che la tua conferenza è fallita. 7°: Ma queste cose tu non le puoi vedere se leggi. Se invece parli e le vedi, e non hai l'abilità necessaria a risollevare l'interesse, non credere che basti ogni tanto alzare la voce, assumere un tono polemico e rivendicatore come se tu affermassi una coraggiosa verità che nessuno finora ebbe la temerità di proclamare. Ormai il pubblico non ti segue più. Quando l'interesse è esaurito, è come se l'uditorio fosse già per le scale o nella strada. Non è ricuperabile. La sola salvezza è tagliare, tagliare eroicamente, anche se ti pare che il taglio sia brusco, che la dimostrazione che volevi dare di un tuo pensiero sia incompleta. Nessuno si accorgerà che il tuo taglio è violento, perchè a questo punto di noia e di esaurimento, il pubblico ha rinunciato a seguirti; tu potresti, oramai, inserire nella tua prosa una pagina dell'annuario del telefono, un capitolo della Bibbia, la biografia dell'inventore del paracqua, e nessuno si domanderebbe «ma che c'entra?», perchè da venti minuti non ti seguivano più. Un taglio improvviso apparirà coerente come apparirebbe coerente la lettura dell'orario ferroviario; nessuno aspettava che tu dicessi cio che sopprimi, come nessuno si meraviglierebbe delle più stravaganti aggiunte. 8°: Il coefficiente di sopportazione del pubblico è limitato. In linea generale posso offrirti dei dati: una conferenza con i fogli di carta in mano non deve durare più di venticinque minuti, perchè al ventiseiesimo il pubblico comincia a considerare lo spessore dei fogli che ti rimangono, a guardare se i rimanenti sono impermeabili alla luce della lampada o se lasciano già filtrare una rosea e promettente luce crepuscolare. Altri si domandano se le pagine che hai letto le hai posate da parte o se le hai collocate sotto quelle che ancora debbono passare. Considerazione che, oltre a impedire all'uditorio di seguire il tuo argomento, aumenta la sua intolleranza. Se invece di leggere delle pagine invariabili, implacabili e insopprimibili, tu parli senza appunti, con gli occhi negli occhi del tuo pubblico, e girando lo sguardo come un riflettore di qua e di là per la sala, la cerimonia non deve oltrepassare i 55 minuti. Al cinquantaseiesimo il pubblico è stanco; metà del pubblico ti ha già mentalmente abbandonato da un quarto d'ora. 9°: Esigi che accanto a te non ci siano lampade; dànno fastidio. Che la sala sia illuminata in pieno e che sulla tribuna o sul palcoscenico si diffonda una luce discreta. Tu devi vedere il tuo pubblico, per metterti in sintonia con lui, per dare a te stesso la sensazione che tu sia il suo interprete, che tu non gli tenga una lezione, ma gli faccia delle amichevoli confidenze. 10°: Non credere agli applausi che, partiti da un piccolo gruppo o da un parente isolato, si sono estesi faticosamente alla sala. Sono applausi autentici quelli che esplodono collettivamente e non ti permettono di finire la frase. Tutto il resto è usanza mondana, accettazione sociale, «tanto non costa nulla». 11°: Quelli che poi ti diranno che è stata «un'ora di fine godimento spirituale» sono tutti bugiardi. 12°: Le conferenze sono un castigo di Dio. Il solo momento emozionante è quando l'oratore dice: «Ma non voglio abusare della vostra pazienza e mi affretto a concludere».

Pagina 172

Rimane il tempo di finire la sera in un teatro o in un variété, per medicarsi la gola e gli orecchi delle sciocchezze dette e udite durante il pasto; o, se non si crede di averne ancora dette e udite abbastanza, si può andare in casa di quello fra i commensali che ha delle poltrone comode, del whisky ragguardevole una intelligente biblioteca. Ma se proprio sei decisa a invitare in casa tua - articolo settimo - abbi almeno la precauzione di radunare persone che già si conoscano e abbiano un minimo di affinità mentale. Il vecchio sistema di alternare un signore e una signora è infondato, a meno che la tua non sia una casa di appuntamenti o un'agenzia matrimoniale. Due uomini politici cóllocali a grande distanza, per evitare che improvvisino un meeting: due cacciatori cóllocali vicini, in modo che si smaltiscano a vicenda le loro eroiche fanfaronate, senza che l'uno affligga l'uditorio con le virtù del suo setter, e l'altro con la precisione del suo fucile o la furberia dei coccodrilli del lago Tanganika. Se c'è un poeta, sistemalo fra due donne belle e analfabete (non scarseggiano mai), così gli impedirai di toccare il più impopolare di tutti gli argomenti: la letteratura.

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Quando gli presentarono il conto raccapricciante, D'Aurevilly constatò che aveva abbastanza per pagare il padrone, ma non gli rimaneva per dare la mancia. - Cameriere, ho lasciato tre fragole. A tre franchi l'una, sono nove franchi. Mangiátele, sono per voi. Agì molto male quello scrittore. L'albergatore e il cameriere vendono due merci differenti: primo vende vino, carne, vegetali e dolci; il secondo vende dell'imponderabile, dell'inafferrabile e del relativo, ed è per questo che la mancia non dovrà essere soppressa nemmeno il giorno in cui invece del 22 per cento il cameriere percepirà il 100 per 100 sull'importo. Chi non vuole andare al restaurant si comperi pane, formaggio e un fiasco di vino, e si consumi il suo pasto in casa, o a cavalcioni sul parapetto di un fiume o nella sala d'aspetto della ferrovia.

Pagina 284

Ce n'era abbastanza per farlo assolvere per insufficienza di prove. Ma il vecchio innocente, per un'involontaria reazione, disse fra sé e sé: «Dio sia lodato! Ecco uno che non mi ha riconosciuto!» Voleva dire: «Ecco finalmente un galantuomo che ha la lealtà di mettersi contro i testimoni di accusa, e con una probità che contrasta con la faciloneria e l'incoscienza dei soliti testimoni, ha l'onestà di non riconoscermi!». La frase fu raccolta da uno dei tre giudici, che la interpretò in altro senso, come se avesse voluto dire: « io sono colpevole e non mi ha riconosciuto!» Quelle parole significavano il contrario. Il tribunale (che il Cielo ci liberi dagli psicologi togati e dagli psicologi in uniforme!) aderì alla sua tesi, e pronunciò la condanna a morte, che fu confermata dalla Corte d'Appello de la Tournelle. Due giorni dopo che l'innocente fu giustiziato, un criminale condannato alla stessa pena per un altro delitto dichiarò sullo stesso patibolo che il colpevole era stato lui. Piccolo contrattempo che, come al solito, non compromise la carriera dei tre signori del Tribunale e delle cinque Eccellenze della Corte, né tolse loro l'appetito, ma intanto un innocente per mancanza di self-control aveva lasciato sulla ruota le ossa e la vita.

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Non disporre a canne d'organo i grissini, e - non sarà mai abbastanza ripetuto - non fare pallottole di mollica di pane; per quanto limpidi siano i tuoi polpastrelli, le pallottole diventano grige. Il cucchiaio. L'estetica consiglia di non introdurlo in bocca per la punta, bensì di avvicinarlo alle labbra per la curva più ampia. Non si deve succhiare lo strumento a fondo a ogni cucchiaiata, e quando rimane un po' di liquido nel piatto, non lo si sollevi da una parte per racimolare le ultime gocce. Il sugo non va raccolto col pane, ma poichè quel sugo fu oggetto di cure particolari di uno specialista, invece di disprezzarlo lo si raccolga con un pezzo di carne o con un legume. E' consuetudine che il formaggio non si mangi con la forchetta, ma lo si posi su un pezzo di pane. Consuetudine. Mi pare che la forchetta renderebbe assai più comoda l'operazione senza obbligare a un gioco di equilibrio, che qualche volta non riesce; ma conviene sottomettersi alle usanze per dimostrare che non le si ignora. Non credo che a una tavola appena decente si giunga a tal livello di degradazione da offrire delle ova al guscio; può accadere, se c'è un dispeptico. In questo caso il dispeptico faceva meglio a ruttare a casa sua, o ad andare al sanatorio. Non c'è nulla che tolga l'appetito come la vicinanza di un dispeptico. Il problema di mangiare l'ovo «à la coque» ha diviso i tecnici in due scuole, i «grosboutiens» e i «petitsboutiens», sostenendo i primi che lo si deve rompere dalla parte più larga - le gros bout - e i secondi da quella più acuta - le petit bout. - Non ho preferenze, e per conto mio lascio insoluto il problema. Ciò che è da evitarsi è di intingere il pane. Vuotato l'ovo c'è l'uso di rompere il guscio. Non è obbligatorio. Gli spiriti pratici affermano che questa rottura tende a evitare che il cameriere portandolo via lo proietti per forza centrifuga fuori del piatto. Coloro che spingono lo sguardo oltre il velo del mistero, invocano l'autorità di Lévy-Bruhl, che immergendosi nell'etnologia, nella magia, negli arabeschi inesplorabili dell'anima primitiva, sostiene che un mago o una strega, essendosi procurato il guscio dell'ovo che voi avete mangiato, tiene in suo potere la vostra vita e la vostra anima. Io, più modestamente, penso che rompere il guscio sia da evitarsi, perchè si debbono risparmiare tutti i rumori, e con nessuna eccentricità si deve attirare l'attenzione sopra di sé. A una tavola di gente educata non si deve udire l'urto delle posate sui piatti; è questa una raffinatezza che non si impara da un giorno all'altro; conviene abituare i bambini fin dal giorno in cui hanno il dominio del proprio cucchiaino, come nelle antiche scuole di borsaioli si attaccavano i campanelli a un vestito e l'alunno riceveva un colpo di bacchetta sulle dita se un solo campanello suonava. All'età di dieci anni già troppo tardi. Educato si nasce; villanzone si diventa. L'invitato non ha l'obbligo di mangiare di tutto e di trovare tutto eccellente : i cinesi, maestri di etichetta, di formalismo e di saper vivere, applicano una formula che risolve il problema del mangiare e dell'astenersi da ciò che non piace: sono tre parole: «Ten; yen; hen» , che significano: attendi, évita, attacca. Aspetta quando ti servono una portata che non ti piace; evita quella dove la quantità è superiore alla qualità, ma passa senz'altro all'attacco quando ti servono un piatto perfetto. La dietetica moderna e le malattie più o meno immaginarie dell'apparato digerente, le raccomandazioni e le prescrizioni dei tecnici che giocherellano con le calorie e con le vitamine hanno allargato le frontiere della libertà. Oggi più nessuno si meraviglia se una signora si siede a tavola senza toccare cibo. Certi pranzi borghesi rassomigliano ai pranzi di corte, dove un cameriere non ha ancora finito di riempirti il piatto, che un altro cameriere te lo porta via. Per questo è consigliabile tenere nel proprio frigidaire un paio di ova da mangiare quando si rientra in casa, alla coque, con l'inalienabile libertà di immergerci il pane, di rompere il guscio dalla parte che capita e di scaraventarlo contro la fotografia di quel signore che ci ha inflitto l'immeritato castigo di invitarci a pranzo.

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La gente per bene

191683
Marchesa Colombi 6 occorrenze
  • 2007
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Qualche volta dovrà farlo, se vede una vera mancanza; ma avrà cura di volgere la cosa in ischerzo, mettendola sul conto della distrazione e mostrandosene abbastanza stupita per non lasciar credere che quello sia il modo abituale con cui ii suo marito tratta le signore cominciando da lei. Sarebbe quanto dire: - Vedono che zotico ho sposato ! Se non foss'io ad insegnargli la creanza! Se una signora, entrando a far visita in una casa, vi trova suo marito, dovrà salutarlo porgendogli la mano, subito dopo aver salutati i padroni di casa e le altre signore, e prima d'ogni altro uomo. Se lui arriva in campagna o ai bagni dopo un certo tempo di separazione, e lei si trova ad accoglierlo alla presenza di altre persone, non eviterà per questo di corrergli incontro e di abbracciarlo; se non lo facesse mostrerebbe di vergognarsi di dargli una dimostrazione d'affetto. Ma dopo quella prima accoglienza dovrà subito ricordarsi dei doveri di cortesia e d'ospitalità, e presentare il marito alle persone che non conosce ancora, se ce ne sono o ad ogni modo lasciare che faccia i saluti e complimenti che crede, e non accaparrarlo tutto per se, e non domandargli particolari di famiglia di cui gli altri non sono informati o non si curano, e serbare le espansioni ed i discorsi intimi per più tardi, quando sarà sola con lui o in famiglia. Se il marito le offre un divertimento qualunque, una serata, un viaggio, l'accoglierlo con freddezza, il mostrarvisi indifferente per far pompa di gusti casalinghi, è una mancanza di tatto, che tende a diminuire il pregio dell'offerta ed umilia chi la fa. Qualche volta il marito approfitta del Natale, del capo d' anno, dell' onomastico, d'una festa di famiglia, per offrire in dono alla sposa un oggetto che avrebbe dovuto provvederle. Il farne l'osservazione sarebbe addirittura villano, come pure il calcolare sul prezzo della cosa offerta, e considerare quella spesa nel bilancio di famiglia. Un dono si accetta sempre come un dono, con elogi, ringraziamenti, e si mostra alle persone intime, e si ripete, che è una gentilezza del marito, precisamente come fosse d'un'altra persona. Al marito ed ai suoceri si deve il riguardo di aspettarli sempre prima di mettersi a tavola, e non si deve spiegare il tovagliolo che quando sono seduti. La moglie, alla tavola di famiglia, tiene sempre la destra del marito; ma se c'è una suocera, le cede il diritto di servirsi per la prima, e le risparmia tutte le brighe del servizio, il tagliare, il mescere, ecc. Gli stessi riguardi deve pure accennare di usarli anche al suocero, per deferenza alla sua età, ma non insistere se, come uomo, rifiuta d'accettarli. Infine una signora educata non deve ammettere altra differenza tra il contegno che usa in società, e quello che tiene in casa fuorchè un grado maggiore di espansione.

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E se un argomento prende il campo e minaccia di non cessare finchè se n'e visto il fondo, o se nasce una discussione, la padrona di casa deve avere abbastanza spirito per troncarli. Basterà una parola: - Signori miei, non sanno che noi signore, della loro politica non ci divertiamo punto?... - Badiamo che non s'avessero a sfidare in casa mia.... Non cerchino dei ripieghi. Non gioverebbero a nulla. Una signora aveva letto in un galateo moderno pubblicato alcuni anni fa, non so che bislacca storia d'una contessa, che per far cessare una discussione politica molto animata, aveva trovato il sublime ripiego di rompere un piatto. Quella poveretta l'aveva presa sul serio, e vedendo due signori riscaldarsi in una questione alla sua tavola, s'affrettò a gettare in terra una magnifica salsiera di porcellana. Sciupò il suo abito, i calzoni del vicino; ma era troppo educata per dar importanza a quel disastro. - Via non ci badino; e cosa da nulla, disse. Ed i due oratori ripresero il discorso al punto preciso dov'era rimasto: - E come le dicevo, la Prussia e una nazione che pensa; una nazione filosofica.... - Ma lasci stare! La Francia è la prima nazione del mondo.... Un momento dopo erano più animati di prima, e la signora si credette in obbligo di rompere una fruttiera, più tardi una tazza da caffè senza ottener altro risultato, che interruzione di un momento. Se li avesse interrotti con garbo, ma francamente, la questione sarebbe finita senza lasciare sul campo la rovina di due servizi. All'opposto, bisogna aver grande cura noi stessi, è raccomandare caldamente ai servitori, di evitare, per amor del cielo, quei disgustosissimi incidenti, di rovesciamenti, di rotture, che obbligano sempre una persona a fare un atto eroico, per dimostrare uno stoicismo sovrumano, dinanzi ad un servizio guasto od un abito sciupato. Alzandosi da tavola la padrona di casa dà il braccio non più al suo vicino di destra, ma a quello di sinistra, e s'avvia per la prima alla sala dove si deve prendere il caffè, che servirà in persona aiutata dalle signorine. Gil invitati la seguono ed in ultimo viene il padrone di casa colla sua vicina di sinistra.

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disse la fidanzata al suo ballerino, abbastanza forte perchè tutti i vicini l'udissero, compresa la signora, la quale si fece di brace. Poco dopo venne suo fratello a prenderla. Era il fidanzato della signora di spirito; lei non conosceva neppure di vista quella futura cognata, maritata fuori di Milano, e giunta pochi giorni prima per passare un po' di tempo in famiglia. Da quella sera, i genitori del giovine posero tanti bastoni nelle ruote che il matrimonio non si fece più fin dopo la loro morte. Le due cognate non si vedono ancora. Boccaccio ha detto : - Il motto deve mordere come la pecora, non come il cane.

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Se il battesimo dev'essere fatto con pompa, si dà l'acqua al bambino, e si differisce la cerimonia fino a che la madre sia abbastanza guarita per assistervi. Però questo non si fa da molti. Quelle esistenze pargolette sono così fragili, che difficilmente una mamma si mette in pericolo di veder morire il suo bambolino senza battesimo, sebbene alla crudeltà del limbo le mamme non ci credano, e si tengano sicure, che tutte le porte del paradiso si spalancherebbero dinanzi al piccolo innocente, per lasciarvelo svolazzare nella forma idealmente pura d'una testina alata. La mamma non è obbligata a ricevere il compare in camera finchè sta a letto. Se crede però di farlo nessun riguardo di convenienza vi si oppone. Ad ogni modo sarà il solo uomo che godrà un tale privilegio, al quale la comare ha diritto. Dopo il battesimo, il padre del bambino offrirà un rinfresco al compare, alla comare ed agli invitati. In alcuni paesi si suol dare un pranzo; ma da noi non si usa prolungare dei complimenti, che terrebbero il marito lontano dalla moglie in momenti, in cui sentono più che mai l'uno e l'altra il bisogno di stare uniti, di comunicarsi le impressioni di quel nuovo amore, che è venuto a vincolare maggiormente le loro esistenze. Oltre alle carte di visita in risposta all'annunzio, la mamma riceverà una visita dalle persone più intime, fra quelle a cui ha comunicata la felice novella. Se la sua salute glielo permette comincierà a ricevere dopo tre settimane dalla nascita del bambino. Non in sala però, ma in camera da letto, o in un salottino accanto. La mamma deve avere un abito sciolto ad accappatoio, ed una cuffietta. Nella sua abbigliatura deve dominare l'azzurro se il piccolo angelo che dorme accanto a lei è un bambino; il roseo, se è una bambina. Il personaggio minuscolo dovrà essere in ordine per venir presentato alle visitatrici. Lui però non dovrà darsene pensiero, nè prendersi disturbo di sorta. Basta che, steso tra i merletti della sua culla, si degni di lasciarsi ammirare; del resto può gridare, dormire, e fare il suo comodo in tutta l'estensione del termine. La prima visita della mamma, dopo essere stata in chiesa a rientrare in santo, dev'essere per la comare. In seguito andrà da tutte le persone che sono state a vederla. E, più tardi, quando il bambino comincerà ad uscire, dovrà andare con lui portato dalla nutrice o dalla bambinaia, da tutte le persone che hanno salutato con una visita la sua venuta nel mondo. Per riguardo al bambino, a cui si debbono evitare gli urti dei passeggieri affrettati, la signora, andando a piedi in istrada, cederà sempre la destra alla persona che porta il suo tesoro.

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Quando una signora, o anche un visitatore, si alza per uscire, se la casa non è abbastanza ricca perchè vi sia sempre qualche servitore in anticamera, la signorina suonerà il campanello perchè una persona di servizio vi si trovi ad aprire l'uscio. Trattandosi d'un uomo però, dovrà lasciarsi salutare prima da seduta, e non alzarsi per suonare il campanello, se non quando lui sarà per uscir dalla sala. Le convenzioni vogliono che una signorina non sia mai la prima ad osservare che una visita è stata breve, nè insista perchè si prolunghi. Questo riguarda sua madre. Non deve mai domandar conto alle visitatrici dei loro figli, dei fratelli, dei cognati, quando sono giovinotti. Si deve limitare ad informarsi, delle signore, dei vecchi, dei mariti, dei bambini. È una affettazione ipocrita, ed io non l'approvo. Ma l'uso ne ha fatta una legge, che ora però si va perdendo. E badino di non dire a nessuno: Come sta il suo signor padre o la sua signora madre, ecc. Non si sono mai trovate a sentire le vecchie commedie in cui i personaggi parlano così! A noi fa un effetto strano; sembra uno scherzo. Se la situazione sociale della persona a cui parliamo non è differente della nostra, si dice semplicemente il suo babbo, la sua mamma. Se poi si tratta di persone di gran soggezione, invece di nominarle col titolo di parentela, si dirà: Come sta il conte? La contessa? Il commendatore? II presidente? Il duca? ecc., ecc. Alle persone che ci sono superiori non si mandano saluti; sarebbe un atto di confidenza. S'immagini un povero scrittorello, un professorello, un concertista ricevuto dalla Regina, il quale nel congedarsi dicesse: Maestà, mi saluti il Re! Andando a far visite una signorina, sia a piedi che in carrozza, lascierà la destra alla mamma. Se è col babbo, accetterà lei la destra, se le è offerta. Non avrà carte da visita, s' intende. Se è figlia unica, può avere un biglietto collettivo colla mamma: Signora e signorina tale. È però un'usanza imitata affatto dai Francesi. Da noi nessuno si chiama signora nè signorina sulla carta di visita. Si mette soltanto nome, cognome e titolo, se c'è, e la figlia scrive a matita il proprio nome sotto quello della madre. Entrando in una sala una signorina siede accanto alla sua mamma, o accanto alla signorina di casa, se c'è. Se la padrona di casa le accenna un posto, anche al suo fianco, lo deve accettare senza complimenti, in atto d'obbedienza. Questo genere di complimenti indicano un sentimento di eguaglianza, che una giovinetta non può arrogarsi con una signora. Cederà poi quel posto d'onore alla prima signora che entrerà. In tal caso dovrà evitare di impegnare una questione noiosa. Dovrà alzarsi, ed accennando in atto di offerta il sedile abbandonato, andar subito a sedere presso sua madre. È affatto provinciale l'usanza di certe signorine, di offrire alle figlie delle visitatrici di passare in un'altra stanza, o di andare con loro al balcone. Questo fa supporre discorsi secreti, che offendono le mamme, e fanno torto alle signorine. L'uscire sul balcone poi, perchè sono signorine, mentre le signore rimangono in sala, vuol dire: -"Dacchè non abbiamo ancora trovato un cormpratore, andiamo a metterci in mostra; chi sa?" Se la signora di casa è una di quelle adorabili padrone attempate, che amano la gioventù, e la trattano con quell'aria di dolce protezione che invita l'affetto, una signorina farà bene a porgere il volto in atto di domandare un bacio nel congedarsi. Altrimenti cercherà, nello stringerle la mano, di accentuar molto l'inchino, in modo di escludere quel che c'è di confidenziale in quell'atto. Se una signorina non ha madre, e fa o riceve visite colla istitutrice, deve lasciare a lei il posto alla destra del camino o del divano, con quella deferenza che è sempre dovuta da una giovinetta ai superiori. Però sarà lei che osserverà che la visita fu breve quando una signora si alza per congedarsi, e che insisterà presso le persone intime, perchè si trattengano più a lungo. In tali circostanze, se c'è qualche invito affatto privato e confidenziale (non potrebbero essere differenti, perchè in una famiglia senza signore non si fanno inviti), toccherà alla signorina il farlo. Potrà benissimo pregare un'amica di rimanere a pranzo, o a passare la sera; o di andare in campagna con lei. Ma non mancherà mai di dire che farà molto piacere anche al babbo ed all'istitutrice; e pregherà questa di unire le sue insistenze alle proprie, affinchè la povera signora, condannata dalle circostanze a vivere in una casa che non è la sua, non se ne senta troppo estranea, e messa da parte. Gli stessi riguardi dovrà usare ad una zia, o ad una parente qualsiasi che vivesse con lei.

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Non era abbastanza agiata per avere una istitutrice addetta alla sua persona. Viveva sola con uno zio vecchio e severo. Per una delle tante licenze poetiche rigorosamente vietate da tutti i codici delle convenienze, s'era fidanzata di sua testa con un compagno d'infanzia; e con un coraggio degno di miglior causa, ed una fede idem, rifiutava tutte le proposte di matrimonio per aspettare che quel suo fidanzato minuscolo raggiungesse una situazione non ancora determinata, che si smarriva nel più lontano avvenire. Un giorno una conoscente di fuori città le mandò un bel giovine, un vero giovine con baffi e basette, munito d'una lettera di presentazione. Andava a stabilirsi in quella provincia, e la signora, amica della madre di lui, voleva procurargli qualche conoscenza. Un'altra sconvenienza. - Alle signorine senza mamma non si presentano giovinotti. Ma quella signora sperava di veder combinarsi un matrimonio, ed aveva presa la sola via che le era aperta. I due giovani si rividero in società, in teatro, e, per farla breve, perchè mi accorgo d'essermi impegnata in una storia lunga, s'innamorarono come due eroi da romanzo, malgrado quel fidanzatino più da romanzo ancora. Un bel giorno il giovine si presentò in casa della signorina portandole una lettera della signora che lo aveva presentato a lei, e che aveva riveduta in una sua gita a Torino. Lasciò la lettera ed uscì. Lo zio era presente, ma udendo che si trattava semplicemente d' un'epistola da signora, si risparmiò la briga di leggerla. Era quello appunto su cui il giovine aveva contato. La lettera era sua, e, confessando sentimenti che i suoi occhi ed il suo contegno avevano già rivelati, offriva la sua mano ed il suo cuore, e domandava alla signorina il consenso per chiederla in isposa allo zio. Precisamente il contrario di quello che avrebbe dovuto fare. Ma erano eroi da romanzo e dovevano passare di sconvenienza in sconvenienza. Infatti, la fanciulla non disse nulla allo zio, e, lottando col proprio cuore, innamorato del bel giovinotto coi baffi, e stemperandosi in lacrime, rispose segretamente nella prossima visita, che era fidanzata, e spinse l'eroismo donchisciottesco, fino a dirsi innamorata di quell'ombra di fidanzatino col quale giocava alla sposa. II bel giovine fu desolato, pianse, prese atteggiamenti sentimentali, .... poi si fece sposo con un'altra. Ma la signorina, che s'era imposto un vero eroismo per rifiutarlo mentre ne era innamorata, pensò che l'eroismo di cui nessuno è informato non ottiene il compenso d'ammirazione che gli è dovuto. E narrò la sua grande azione ad un'amica in tutta confidenza, tanto che vi fosse almeno una voce al mondo, per rimandare ai posteri la notizia di quel gran sacrifizio che si era compiuto in quel piccolo cuore. Il segreto fu così ben custodito che si seppe in anticamera ed anche in cucina. Uno di quei casi, che sembrano fatti apposta per gli eroi da romanzo, portò, poco tempo dopo, una cameriera che era allora in casa della signorina eroica, a servire la nuova sposa del giovinotto. Quella cameriera era una giovine invidiosa e pettegola. E appena ebbe veduto lo sposo, profittò di quanto sapeva per informare la sposa del precedente amore, della precedente domanda e del precedente rifiuto, tacendo, con malizia crudele, le lacrime che quel rifiuto aveva fatte spargere, e che erano a tutta gloria del giovine. Narrata cosi, la cosa era d'una trivialità.... La povera sposa si vide nel pericolo di accettare un uomo rifiutato, disprezzato da un'altra. (Oh! disprezzato!) E, con quell' amor proprio che distingue, o per dir meglio, accomuna tutti gli esseri umani, dichiarò che: visto e considerato che il tale giorno del tale anno, nella casa tale, il signorino aveva patito un rifiuto, la sua dignità la obbligava a dargliene un altro. Ma i parenti della sposa non potevano' lasciar andare a rotoli un matrimonio ben assortito, per quella inezia; si misero intorno al povero giovine, e lo indussero a scrivere alla infelice eroina del gran rifiuto, invitandola a dichiarare per iscritto, che lui non le aveva mai fatta domanda formale di matrimonio. «Da questo, scriveva, dipende per me una questione vitale.» La domanda che egli aveva fatta, in realta, era tutt'altro che formale, ma era una domanda di matrimonio bella e buona. Ad ogni modo però, quella povera fanciulla aveva troppo decoro, malgrado il suo curioso fidanzamento, per non mostrare di aver dimenticata tutta l'importanza che lui aveva data a quel passo extralegale. E dichiarò che mai in eterno lui aveva pensato a lei, che la conosceva appena, ecc. E l'altro matrimonio si fece. Morale. Una parola imprudente, suggerita dalla vanità di farsi vedere desiderata, può offendere l'amor proprio di un uomo, e far nascere un ginepraio di guai, in cui la meno umiliata e ferita non è certo la signorina imprudente.

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Marina ovvero il galateo della fanciulla

193768
Costantino Rodella 2 occorrenze
  • 2012
  • G. B. Paravia e Comp.
  • Firenze-Milano
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E così avvenne di fatti; chè, invanita della sua beltà, fiera del suo impero sul padre e su tutti, dava in furie se tosto non fosse stata ubbidita ne’ suoi capricci; altezzosa guardava d' alto in basso le compagne, i servi li comandava a bacchetta; altro non sognava che vestiti nuovi, che nastri, che gingilli, che mode; questa veste non le andava, quella frangia non era abbastanza ricca, faceva disperare la sarta, la crestaia e tutti quelli che avevano da provvederla di alcun che. Fortuna che quell' onda di. bizzarria fu di breve durata. La signora Bianca, donna tutto cuore, modesta e gentile con tutti, educata in guisa al bene, che tutta la sua vita era un'aspirazione alla virtù, uno slancio alle cose superiori, che danno pascolo allo spirito, non tardò ad avvedersi di queste arie mal sane di Marina. Conobbe che il maggior nemico delle giovinette è la bellezza, e che le lodi prodigate dalla gente sono come lenti veleni, che ammorbano le più pure sorgenti della virtù. Essa si diede tosto a combattere i vizi incipienti con un sistema di calma non mai alterata e di fermezza risoluta, onde ai comandi oppose dinieghi, ai capricci rifiuti, agli atti di sdegno una tranquillità imperturbabile, contro cui veniva a spegnersi la foga della bambina. Quando poi la figliuola tutta lieta si tratteneva colla madre, in quelle ore di intime confidenze e di calda effusione di cuore, la signora Bianca coglieva il destro di farle conoscere che la beltà non è una virtù, che i distintivi delle creature umane sono le qualità del cuore e della mente; e che una giovane ad essere bella o brutta non ci ha merito di sorta. Anzi un bel corpo senza belle doti di animo riesce ridicolo ed argomento di riso nel conversare degli uomini. Tirava poi in mezzo alcune sentenze della sapienza popolare, come: beltà e follia spesso in compagnia; oppure:beltà senza virtù, è un fiore senza odore; e filava sempre la medesima conclusione: chi ha il dono della bellezza del corpo, deve avvalorarlo con ottime qualità di animo, se non vuol essere il zimbello degli altri. E le correvano facilmente al labbro di molti esempi per mettere in evidenza che la bellezza è cosa passeggiera, è un tesoro che si consuma cogli anni e che fa iattura nella più leggera burrasca; una malattia, un malestro qualunque. A tutta prima Marina ascoltava, sì; ma quasi fossero cose estranee, che per nulla la toccassero, non vi dava retta. Tuttavia la madre aveva quell' argomentare opportuno, insinuante, che richiama alla riflessione. Non si metteva mai in tuono di predica, nè riusciva noiosa e stucchevole con un moraleggiare pedante e continuo; aspettava sempre l'opportunità, in guisa che l’osservazione nasceva, come a dire, da sé; e neppure allora tirava in lungo: due parole, una sentenza, un esempio, e via; il che faceva come un colpo di dardo, che lascia la traccia, senza restar nella ferita. Per il che Marina a poco a poco veniva tratta a riflettere sopra le sue azioni, e così alla cheta, non più sotto l'impressione della passione, che gliele faceva compiere, si riconosceva veramente in colpa. Ma venne a mettere il colmo al suo ravvedimento la disgrazia d'una sua cugina, Ester, giovinetta da dipingere, corpo d' un taglio elegantissimo, viso gentile e fine, capelli biondi, occhi turchini,brillanti; spigliata e sciolta; nel suo quindicesimo anno, per una risipola nella faccia, le si strabuzzarono gli occhi, si storse la bocca per forma, che quella faccia di Venere si mutò in una Megera. Povera Ester, che fiera pur del suo bel viso, ad altro non aveva mai ubbidito che all'ambizione ed alla vanità dell'abbigliatoio, ora si consuma in lacrime di disperazione nella solitudine della sua casa, vergognando di mostrarsi in pubblico! Marina, cui Ester serviva già di ideale, ne fu spaventata: allora sì che prese sul serio i consigli della madre, e si convinse quanto poca cosa siano le grazie del volto scompagnate dalle virtù dell'anima! Fu allora che conobbe, che ciò che si deve desiderare è la beltà del cuore, la sommissione al volere de'genitori, la compassione degl'infelici. Sono i tesori della mente che non soffrono avaria, e innalzando l'animo alla luce del vero e del buono, ricreano lo spirito de' beni eterni. La madre ne era lietissima, e ringraziava Dio di così felice e rapido ravvedimento; ne gioiva il padre, e tutti l’ammirarono. La signora Bianca, come donna in tutte parti compiuta, dava anche molto pregio alla gentilezza e alla urbanità degli atti esteriori; perché da questi si riconosce la coltura dello spirito e la bontà del cuore; o come ella soleva dire: sono manifestazioni di un animo buono, educato a virtù. La rozzezza del tratto indica rozzezza d’animo, superbia e povertà d’ingegno; uno, quanto più è grande, tanto più si mostra con modi cortesi e piacevoli. Per il che non cessava di richiamare l’attenzione di Marina sopra gli atti di garbatezza e di civiltà, che per una fanciulla valgono quanto una ricca dote, se non più. E per riuscire meglio, aveva pigliato l’abitudine di leggere ogni giorno dopo il pranzo un breve capo del Galateo; e quindi lì per lì tanto essa quanto il padre ed anche la figliuola facevano le loro osservazioni, adattando gli avvertimenti e le censure del libro ai casi pratici della società; rincalzandoli con esempi della giornata di atti praticati da conoscenti; il che veniva a ribadire nell’anima della figliuola quella scienza civile e pratica che si traduce in moti composti e gentili, in tratto urbano e cortese, quale è la scienza della vita. Onde chi si mettesse con un esame diligente a ritrarre il tenor di vita di Marina, e le cure della signora Bianca per educarla, non farebbe egli opera profittevole a tutte quelle giovinette, che, meglio che alla vanità e all’appariscenza, mirano alla saviezza ed alla virtù?

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Trovava che fino ai diciotto c'è abbastanza di tempo per istruirla in ogni ramo conveniente ai tempi progrediti, alla civiltà del secolo, e ritornava sempre alla sua idea, che dalla donna istruita infiniti beni ridondano alla società. E come pensava, praticò con Marina; il che spiega come questa abbia potuto erudirsi in tutte quelle materie che abbiam detto.

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Le buone usanze

195442
Gina Sobrero 10 occorrenze
  • 1912
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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. - Un fanciullo che entra nella classe, saluta prima di tutti il maestro o la maestra, prende il suo posto senza obbligare la persona che ha l'incarico già abbastanza gravoso d'istruirlo, a sgolarsi per ottenere silenzio ed attenzione. Interrogato, risponde a voce chiara, moderata, e quando dove convincersi, della propria ignoranza, esso non ne fa scontare la pena ai compagni o al superiore. Niente di più antipatico di quei bimbi che al primo errore commesso, alla prima osservazione, chinano il capo sul banco, s'immusoniscono, non dicono più una parola. È la sola volta in cui quasi rimpiangerei lo staffile dei nostri nonni: sbaglieranno ben altra volta nella vita! Abbiano i còmpiti fatti in ordine, con grazia, abbiano cura di presentarsi in iscuola puliti negli abiti e nelle persone; capisco, è più dovere delle mamme che del bambini, ma se questi fino dai primi giorni in cui cominciano gli studi, si fanno un'idea giusta ed elevata della scuola, dell'importanza dei maestri, del rispetto che loro debbono, useranno verso questi gli stessi riguardi che userebbero in un tempio e verso un sovrano. Non ho mai capito quelle mamme che dicono di un abito dei loro figli: - Questo é sdruscito, servirà per la scuola! - Niente affatto! Sia pur di cotone l'abito, ma senza macchie, decente; siamo in tempi in cui la prima autorità riconosciuta è quella dell'ingegno, e il maestro, che per la sua posizione prova di possedere questa superiorità, ha diritto a tutto il rispetto dei suoi allievi. Nella scuola ci sono i compagni, e un fanciullo ben educato dove a questi gli stessi riguardi che egli ha verso i fratelli e le sorelle: protezioni verso i piu piccoli e una certa deferenza ai maggiori. Se la natura gli ha dato l'inapprezzabile dono d'una bella intelligenza, è fuori posto che prenda delle arie di superiorità coi compagni meno favoriti da natura, come è insopportabile vedere questi ultimi farsi umili e servili verso i piccoli trionfatori. Molti fanciulli hanno un orribile vizio: spiare i compagni e riferirne le poco lodevoli azioni ai maestri; per sistema io punirei sempre l'accusatore prima dell'accusato. Ha base in questo difetto infantile il mal vezzo del pettegoleggiare, che è in rovina della società. È assai di cattivo gusto l'abitudine che hanno bimbi e fanciullette di contare a scuola le ricchezze, la nobiltà delle loro famiglie; nella scuola si è tutti uguali; la sola aristocrazia, il solo bene valevole è il merito personale. In alcune scuole è in uso far regali ai maestri; cattiva abitudine che impone sacrifizi e mortificazioni ai meno ricchi; capisco che a questo dovrebbero provvedere piuttosto i superiori, ma un bimbo finemente educato, piuttosto che imporre un sacrifizio ai suoi genitori, abbia la forza di dire: non posso; si risparmierà così per l'avvenire un mondo di guai che nascono appunto dal non aver il coraggio di confessare la propria posizione anche modesta, il che crea tanti spostati e tanti infelici. Anche verso gli inservienti delle scuole hanno doveri i fanciulli; essi debbono ricordarsi sempre che quanto più in alto ci ha collocati la sorte, tanto maggiormente ci si impone l'obbligo di cortesia e di compiacenza. Non spetta a loro dare ordini, ma costretti a farlo, l'accompagnino sempre con una parola buona; non perdono affatto della loro dignità e sovente con un: per favore, con un: grazie, detti a tempo, si cattivano un'anima degna di affetto e di simpatia. E questo non solamente a scuola, ma anche in casa dove vanno puniti severamente i fanciulli che tiranneggiano i servi, ne spiano gli atti, rendono più misera la vita di quelli che solo un capriccio del caso ha condannato a servirli. Infine il bimbo deve imparare fino dai suoi primi giorni a non dar noia a chi gli sta vicino per necessità o per amore; si trastulli, salti, giuochi, corra, ma pensi che i suoi piccoli fratelli, i suoi piccoli amici, hanno come lui diritto a trastullarsi, correre, saltare; scherzi, canti, rida, ma impari a moderare la sua voce, perchè questa può recar noia al babbo, alla mamma, ai vicini; giuochi pure col gatto, coll' uccelletto, col grillo, ma sappia che i piccoli animali hanno un essere che sente e soffre e ne impari a rispettare il diritto alla vita, alla difesa contro il dolore; impari subito il coraggio delle proprie colpe, l'orrore d'ogni più lieve menzogna: gli si insegni fino dai giorni del grembiulino, dei calzoni corti a vivere per spargere intorno a sè della gioia, della simpatia, che sono appunto lo scopo delle semplici massime che andiamo compilando in questo volume.

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L'inchiostro deve assolutamente essere nero, abbastanza oscuro da dare chiarezza alla scrittura e non troppo da dilagare sulla carta; si è tentato l'azzurro, il viola, il rosso, ma sono tutti capricci e la moda non è durata. Gl'inchiostri colorati stancano la vista di chi legge, sbiadiscono facilmente e sono tutt'altro che di buon gusto. La scrittura è pur troppo un argomento di grande importanza e molto trascurato. So, per dolorosa esperienza, che è difficile acquistare una bella scrittura quando una cattiva maestra, o una eccessiva nervosità, l'hanno da principio impedito; ma tutti possono e debbono scrivere chiaro, per non imporre a chi riceve la nostra lettera soverchia fatica. Sono sconvenienti tanto le scritture troppo alto quanto quelle minutissime; e, del pari, le imitazioni delle scritture altrui, che deturpano la nostra e tolgono quello che ha di individuale questa maniera di dare forma esterna al nostro pensiero. Preparàti questi varii elementi, si può scrivere la lettera. Si mette in testa al foglio la data del giorno in cui si scrive, il luogo di residenza e qualche volta l'indirizzo proprio, specialmente scrivendo ad una persona di riguardo, perchè non possiamo pretendere che tutti si rammentino il nostro recapito, nè abbiamo diritto d'imporre la noia di cercarlo. Viene poi l'intestazione; scrivendo ad un parente, ad un amico affezionato sono leciti tutti gli aggettivi più affettuosi; queste lettere sfuggono allo convenzioni: è il cuore che parla. Ad una semplice relazione, una donna scrive: Mio gentile amico; Gentilissimo signore; Cara signora; Mia cortese amica; secondo il grado di intimità. Non si mette mai un titolo, per intestazione, senza farlo precedere dalle parole; gentile, illustre, ecc., per esempio: Gentilissimo signor marchese; Pregiatissimo signor barone; Ingegnere carissimo. Ad un deputato si intesta: Onor. deputato; ad un ministro: Eccellenza; ad un sacerdote: Molto reverendo signor curato, teologo, ecc.; ad un vescovo, semplicemente: Monsignore; ad un cardinale: Eminenza Reverendissima: ad un principe del sangue: Altezza Reale; al re, alla regina: Maestà. Rivolgendosi ad un inferiore, ad un fornitore si usa il gentilissimo Signore o semplicemente signor Z.; è però sempre meglio eccedere in cortesia verso queste persone che la sorte ha collocato al di sotto di noi e che hanno perciò appunto diritto ai maggiori riguardi. Per ciò che riguarda lo stile della lettera non sarà mai raccomandata abbastanza la più grande semplicità e la chiarezza. Nelle scuole, invece di insegnare tanta vana retorica, tanta filosofia inutile, tante favole del passato, sarebbe assai meglio esercitare i fanciulli e le giovinette in questo così difficile e così utile componimento. Ma, come ho già detto, quanto serve a formare il concetto, il pensiero di una epistola e a indicare il modo di esprimerlo, è opera del maestro e della scuola, mentre io mi limito essenzialmente alla forma materiale. Non si comincia mai la lettera troppo in alto, nè a meta del foglio; non si lascia margine; non si scrive per traverso; non si tollerano macchie, cancellature, richiami: infine dobbiamo fare, come in tutti gli atti della nostra vita, più il piacere degli altri che il nostro; ora certo è poco gradita l'impressione prodotta da una lettera trascurata nell'apparenza, per quanta ne siano elevate le idee, delicati e affettuosi i sentimenti. In Italia teniamo in poco conto tutto questo, ed ho visto coi miei propri occhi lettere di alti impiegati dello Stato, perfino provenienti dal Ministero degli Esteri, che pure dovrebbe dare agli stranieri l'idea della nostra civiltà più raffinata, scritte in maniera che un francese, un inglese non si permetterebbero certo verso un fattore o verso un servo. Ci accusano di sdolcinature, di leziosaggini; io dico invece, e credo di non errare, che manchino completamente di forma. Nella lettera non si deve troppo ripetere caro signore, mia buona amica, ecc., ciò genera noia e non aggiunge grazia alla frase. Ad una persona colla quale non si è in relazione di affetto non si scrive più di un foglio. Nei saluti, una donna che scrive ad un uomo non lo incarica di baci per la moglie, per i figli, nè si firma affezionata, nè devota; può anzi omettere tutti gli aggettivi e scrivere semplicemente: mi dichiaro, mi sottoscrivo, mi firmo, ecc. Solo scrivendo ad un sovrano, ad un alto prelato si firma umilissima; una donna non deve mai abbassare sè stessa, anche se per modestia, si sente inferiore ad altri. Una signora giovane non scrive nè riceve lettere da un giovanotto, a se per circostanze speciali è costretta a farlo, sia molto cauta nelle espressioni; non è quistione di moralità, ma di prudenza; l'uomo migliore può, per mille ragioni interpretare male le sue frasi più semplici, e farsene un'arma contro di lei. Se è vedova non aggiunge al proprio nome questo appellativo, salvo che negli atti pubblici. Scrivendo ad un inferiore sono da osservarsi le stesse regole; per di più, tanto l'uomo che la donna aggiungono al proprio nome il titolo, se lo hanno. Un uomo scrivendo ad una signora non si firma per esempio: ingegnere tale, dottore tal altro, a meno che sia sconosciuto dalla destinataria e le scriva per un incarico avuto o per chiedere un favore. Egli può dichiararsi nella chiusura della sua missiva; devotissimo, umilissimo, ecc., può terminarla con una frase cortese, per esempio: signora mi comandi sempre; pronto ai suoi ordini, ecc.; può dire, se c'è un certo grado di intimità, signora, le bacio la mano, ecc. Con tutto questo egli non perde affatto di dignità. Sull'indirizzo si mette il titolo, la professione e il nome senza farli precedere da nessun aggettivo; chiarissimi, nobilissimi, ecc., sono diventati patrimonio della gente volgare. Le formole che adesso si usano sono le seguenti: Contessa X. di L., Ingegnere I. R. , poi il nome della via, la città, la provincia, la nazione, tutto scritto chiaro, distinto, per evitare imbrogli e fatica inutile all'impiegato postale. Ad una persona di famiglia titolata, ma non tale per matrimonio, si fa precedere al nome aggettivo nobile; così Nobil donna Rosa...; Nobile tale dei tali. Anzi per un uso gentile oggi si fa precedere l'aggettivo nobile a qualunque nome di donna che non vanti nè per eredità, nè per le nozze contratte, un titolo qualunque. È giusto; poichè è un omaggio reso alle nostre donne, tante volte così nobili, anche se l'almanacco di Gotha non se ne immischia. Ora s'usa molto dire semplicemente, per esempio: donna Maria O. Ad un fornitore si mette sulla busta: Sig. X., e poi la professione; se si scrive per caso ad un domestico, a una cameriera a servizio altrui, si ha cura di aggiungere: nella casa del Sig. X., della contessa Z., ecc. Una lettera va affrancata secondo il suo peso; è vera ineducazione imporre una tassa a chi ci legge. Si può mandare il francobollo per la risposta solo ad un inferiore per non aggravarlo di questa spesa, oppure ad una casa di commercio a cui si è chiesta qualche informazione: è scortesia in tutti gli altri casi. Una lettera di presentazione, di raccomandazione, va consegnata aperta alla persona di cui è quistione; è quindi sconveniente di trattarvi affari di ordine privato. Invece si può benissimo chiudere una lettera che altri si incarica di far recapitare per noi, e in cui non si tratti della persona che ci fa il favore. Pregando alcuno di impostare una lettera, bisogna prima affrancarla, chè sarebbe scortesia dargli il carico della spesa o consegnargli in mano il prezzo del francobollo. Nella nostra vita rapida, febbrile, abbiamo trovato il mezzo di abbreviare la lettera, riducendola ad una cartolina postale; brutto mezzo che toglie tutto quanto ha di intimo e di caro la corrispondenza coi lontani. Non si scrive mai una cartolina ad un superiore, nè ad una persona colla quale si abbiano semplici relazioni di società; un uomo non lo scrive mai ad una signora. La cartolina deve contenere in breve l'oggetto, che interessa, non vi si mettono frasi d'affetto, non vi si trattano questioni che possano compromettere chi la riceve; siffatte missive passano per cento mani prima di giungere a destinazione, in ogni frase che scriviamo è un lembo della nostra anima, ed a chiunque sente finemente, non può far piacere il sapersi in balìa degli indifferenti. Si può scrivere una cartolina ad un negoziante per dargli una ordinazione, ad un servo per annunziare il nostro arrivo: ma in complesso essa è un mezzo troppo economico, ed occupa tra i vari generi di lettere il posto che occupa la tranvia tra i veicoli: mezzo di locomozione che tutti abbiamo adottato per economia e comodità, ma di cui non si servirà mai una gran dama che ha la fortuna di possedere una vettura propria. Il telegramma è una lettera nervosa che dobbiamo usare il meno possibile per non far sentire agli altri le conseguenze dei nostri nervi. I telegrammi devono essere scritti con chiarezza quando si consegnano all'impiegato telegrafico e debbono rappresentare esattamente il nostro pensiero, per non costringere chi li riceve a torturarsi il cervello nell'interpretazione. I baci, le carezze, le espressioni troppo affettuose non debbono trovar luogo in un telegramma per la ragione che ho detto prima. Bisogna aver riguardo di spedirli in ore tali da non suscitare inutilmente in chi li riceve spavento od emozioni. Questo naturalmente quando non si tratta di casi urgenti.

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In conclusione: io sento che non insisterò mai abbastanza sulla necessità del buon gusto, quel buon gusto che consiste nell'appropriata convenienza di ogni oggetto al suo uso, nell'eliminare quelli inutili, quelli, cioè, che non hanno scopo. Eliminate i molti gingilli, sopratutto se non vi sono regalati; cercate che non ve li regallno dichiarando la vostra antipatia per simili superfluità, e allorquando il piccolo disastro vi accada, mettete in armi il vostro cervello per trovare ad essi un impiego qualunque e, non riuscendovi, radunateli affettuosamente in un cassetto od in un armadio che io battezzerei magari il tempio del ricordi. Pensate, sì, con gratitudine al donatore, ma non aggiungete ingombri di cattivo gusto, e fatica a chi deve ripulire la stanza; non diminuite lo spazio necessario al lavoro ed al respiro.

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Agli ammalati, anche per lieve indisposizione, vanno cambiate lenzuola e fodere tutti i giorni, purchè il medico lo permetta: la nettezza è la prima medicina: non l'avrò ripetuto mai abbastanza. Per conservare la camicia da notte sono assai graziosi quei sacchi in cui la fantasia e l'arte di una signora trovano tanto campo a sbizzarrirsi. È poco pulito far passare il lenzuolo superiore al posto dell'inferiore, è la nostra pelle che, cogli umori che segrega, insudicia la biancheria; ora non so perchè il triste privilegio dovrebbe essere riservato ad un solo dei panni che ci avvolgono durante il riposo. Per aver caldo è meglio servirsi di coperte soffici e leggere; i piedi molto caldi impediscono che nel sonno il sangue si porti alla testa. Bisogna dormire colla testa fuori delle coperte, se vogliamo svegliarci col volto fresco e riposato. Chi, viaggiando in mare o in ferrovia, si corica, perchè deve percorrere lunghi tratti di strada, fa bene a provvedersi di una lunga camicia di flanellina leggera colorata da soprapporre a quella di tela; evita così i reumatismi e si trova pronto e decente per ogni evenienza.

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Nè io so abbastanza rallegrarmene, poichè tale riguardo fa più solenne il solo momento che quegli uomini, occupati, anche se milionari, nelle cure degli affari, passano colla loro famiglia. Le regole cui ho accennato non impediscono che si possa nell'amicizia fare un invito a pranzo per la sera stessa o per il domani. Chi non interviene ad un ballo o ad un pranzo dove avvertire subito le persone che avevano mostrato di desiderare la sua compagnia; dire la cagione del rifiuto, se è possibile; altrimenti scusarsi con gentilezza, ma non mai farsi aspettare inutilmente. Da noi, dove non è ancora d'uso generale l'abito a coda per qualunque invito a pranzo, bisogna prender consiglio dal buon senso. Negli otto giorni che seguono la festa, bisogna fare una visita di ringraziamento. Molte volte per un ballo una signora prega qualcuno dei suoi più intimi di presentarle in quella circostanza dei ballerini; questi non hanno l'obbligo di una visita, ma debbono però il domani lasciare una carta di visita alla signora che li ha ospitati, anche se l'invito venne fatto con un po' d'interesse. Chi ha passato qualche giorno in campagna, o anche in città, in casa di amici, ha l'obbligo di scrivere subito una lettera di ringraziamento agli ospiti; sarebbe scortese mandare subito un regalo; si aspetterà invece per sdebitarsi del favore ricevuto. Chi accetta un invito da persona di condizione inferiore alla propria, può, per provare la sua gratitudine, offrire un dono di roba utile; una cassa di vini fini, frutta, dolci, salumi, ecc.; è un modo gentile di compensare l'aggravio di spese che quella ha subìto per noi. Anche questo però va fatto con grazia, accompagnando il dono con una lettera delicata ed affettuosa. Infine non bisogna mostrare di voler pagare l'ospitalità ma nello stesso tempo è indelicato approfittarne senza cercare di sdebitarsene. È molto scortese chi andando a passare qualche tempo in campagna da amici porta seco il fondo delle guardarobe, tutti i vecchi stracci, per finirli. Anche se la campagna è isolata, se non c'è vita di società, bisogna aver riguardo ai padroni di casa, e se sono da disapprovarsi le signore che arrivano con dieci bauli, per una breve dimora, è invece lodevole il pensiero di preparare qualche costume grazioso per l'ora dei pasti, per le serate in famiglia, per le circostanze impreviste. Chi è in casa d'altri dove adattarsi alle abitudini che trova, anche a costo di rinunziare a qualche propria consuetudine; è fuori posto comportarsi come un membro della famiglia, imporre idee, dar consigli non chiesti, ma non lo è meno vivere come se si fosse in un albergo, indifferenti alle gioie e ai dolori di chi ci ospita; insomma bisogna tenere una via di mezzo se vogliamo la nostra presenza sia piacevole e desiderata. Una giovinetta, una signora giovane possono benissimo dar mano nel porre ordine alla camera che occupano, se la famiglia dispone di pochi servi. Possono intrattenere i visitatori di minor confidenza per aiutare la padrona di casa, possono disimpegnare con lei qualche faccenda; infine, esserle di sollievo e non di peso. Chi è ammalato o avvezzo a molte delicatezze di vita, farà bene a rifiutare simili inviti, a meno che sia certo di non recare il più lieve disturbo. Partendo da una casa dove siamo stati accolti, è necessario lasciare una mancia a tutti i servi, tanto più generosa quanto fu più lunga la nostra permanenza e maggiori i servizi richiesti. Tali mance non si dànno però in presenza dei padroni di casa, chè sarebbe un'ostentazione, uno sgarbo. Invitati ad una partita in campagna, di quelle dette a pick-nick, si chiede subito il prezzo stabilito per ciascuno, per non correre il rischio di qualche poco piacevole sorpresa; si ha il diritto di domandare il nome delle persone che interverranno e se non sono di nostro gusto si potrà rifiutare, ma senza diffondersi in commenti pericolosi, che potrebbero urtare qualche suscettibilità. Invitati ad una festa nuziale, se non si è fatto un dono alla sposa, è quasi indispensabile farsi precedere da un mazzo di fiori; i fiori si mandano anche se per ragioni speciali si rifiuta l'invito. Chi pranza sovente in una casa è obbligato, in certe circostanze, ad un dono alla padrona di casa, e a qualche mancia al domestico o alla cameriera che apre la porta, che aiuta a mettere e deporre il soprabito. Se poi vi sono bambini, il dono si fa a questi di preferenza. Ciò riguarda specialmente gli uomini scapoli; chi ha famiglia, difficilmente lascia la propria per la tavola altrui, e può sempre rispondere ad un invito con un altro invito. Uno scapolo può benissimo invitare una signora sola a passare qualche giorno nella propria campagna senza comprometterla; ma allora farà in modo di riunire varie persone nella stessa circostanza, sicchè vi sia una famiglia, o una signora d'età, alle quali, tacitamente, affida l'incarico delicato di tutelare il buon nome della signora sola. Se la invita solamente a pranzo od a colazione, all'albergo; o anche a casa propria, avrà l'avvertenza di estendere la cortesia ad un parente di lei o ad un amico comune; una signora può accettare in queste condizioni un invito, senza scapitare affatto nel suo buon nome. Dopo tale invito la signora non ha obbligo nè di lettera, nè di visita; le si presenterà facilmente l'occasione di sdebitarsi con una persona che, dopo tutto, a lei debitrice di una piacevole ora. Un artista può invitare una signora, sia pur giovane e sola, a visitare, il suo studio, ad ammirare una nuova opera d'arte, e la signora farebbe male a farsi accompagnare da qualcuno, quasi a proteggere la sua virtù; se ella dubita dei sentimenti dell'artista, rifiuti addirittura con una scusa plausibile, e altrimenti si fidi alla educazione di lui; gli artisti debbono essere e sono gentiluomini, e una donna trova sempre in sè stessa, l'egida migliore. Invitata da un sacerdote a visitare una chiesa, un oggetto sacro, prezioso, od antico, una persona facoltosa lascia un'elemosina per i poveri della parrocchia; ma ciò non è un obbligo. Si potrà del pari regalare una mancia al sagrestano che avrà annunziato i visitatori o mostrato l'oggetto in questione. Come si fanno gli inviti per scritto, ho già detto parlando della lettera in genere; insisto ora sul fatto che debbono essere chiari, semplici, graziosi.

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È ineducato chi per istrada mostra di non riconoscere una persona, o perchè questa sia malvestita, o perchè egli stesso si trovi in compagnia di tale da cui creda innalzati il proprio merito e la propria importanza; costui mostra semplicemente di non pregiare abbastanza la sua individualità. La stretta di mano non va data con soverchia prodigalità. I nostri moderni principii di eguaglianza hanno però resa questa forma di saluto molto popolare, e i nostri sovrani ne dànno l'esempio, tanto che Sua Maestà il Re non sdegna di stringere colla sua mano regale la destra bruna e callosa di un operaio. Però ciò che è lodevole atto di cortesia nei sovrani può essere assai sconveniente in una signora, sicchè essa farà bene ad essere prudente prima di stendere la mano, specialmente ad un uomo. Sono ugualmente ineducati quelli che col pretesto della stretta all'inglese vi rompono le dita, e gli altri che posano nella vostra una mano inerte, glaciale. Non ci vuole soverchio calore nè indifferenza; sia nella stretta di mano una espressione di franchezza, di cordialità, che faccia giudicar bene del nostro carattere. L'uso di abbracciarsi in istrada è molto sconveniente; le espansioni di affetto debbono essere riserbate nell'intimità; ma qui piuttosto che di educazione è questione di carattere, sicchè non saprei condannare due amici, due amiche, che rivedendosi dopo vario tempo si gettano affettuosamente le braccia al collo dovunque si trovino. Gli uomini non hanno gran che questa abitudine; le donne fanno bone a non manifestarla troppo. Accade purtroppo, non di rado e per ragioni varie, di essere costretti a troncare le nostre relazioni con amici e parenti; ciò si faccia senza strepiti, senza scandali; è sconveniente di parlare a terze persone dell'accaduto, dicendo male di quelli che abbiamo dovuto eliminare dal circolo delle nostre relazioni. Incontrando questi individui in società, in visita, si fa un lieve cenno di saluto, tanto da non mettere nell'imbarazzo i presenti. Incontrando per via le stesse persone è scortese di volgere la faccia o mostrare un'espressione di noia. Le rotture tra uomini sono sempre più gravi, e finiscono talora col codice cavalleresco. Perciò è meglio essere molto cauti prima di stringere amicizia; è questa la parola più sfruttata di tutto il vocabolario, ma sono così rari i veri amici! Coi vicini di casa, in città e in campagna, bisogna usare i massimi riguardi; non disturbarli con rumori di nessun genere, non usurparne i diritti, non annoiarli. I regolamenti di tutti i Municipi stabiliscono le ore in cui è lecito battere i tappeti; è dunque un dovere farlo a tempo debito. Chi suona uno strumento, qualunque esso sia, abbia pietà delle orecchie dei vicini, e non faccia i suoi esercizii in ore troppo mattutine, o troppo tardi la sera. Non si ha affatto l'obbligo di far relazioni cogli inquilini della stessa casa, ma, fatta che si abbia, non li si annoino con visite troppo frequenti, con continue richieste d'imprestiti, lavori od altro. Ognuno ama la propria libertà e vi sono ore e giorni in cui è possibile che anche la migliore amica ci riesca importuna. Se un inquilino muore, si manda l'annunzio a tutti gli abitanti della stessa casa, i quali sono obbligati ad intervenire al funerale, ed a mandare il proprio biglietto di condoglianza, anche se non v'è relazione tra le famiglie. Se si dà un ballo o, per una ragione qualunque, si fa chiasso la notte, si chiede scusa ai vicini del disturbo arrecato. Oramai fumano tutti; e se l'abitudine è in sè poco elegante, si può aggraziarla con un poco di educazione. Bisogna badare, fumando, di non gettare il fumo in faccia ai vicini. Un uomo non fuma se non è autorizzato dalla signora che è presente; non si getta la cenere in terra col rischio di bruciare tappeti o strascichi di vestito. Se la sigaretta ed il sigaro sono già poco eleganti, la pipa è insopportabile, e un uomo che ha il difetto di servirsene, lo fa solo nella propria camera e mai in pubblico, a meno che ne sia autorizzato. Non si saluta una signora, un superiore, nè si parla loro, col sigaro in bocca; entrando in un luogo pubblico, o in una casa privata, si getta il sigaro, anche se appena incominciato: non è pulito, nè elegante metterlo in tasca spento o lasciarlo in anticamera. L'uso delle sigarette per le signore è una delle questioni più discusse oggi: è un male che le signore fumino? Io non credo: se hanno un marito, un padre cui non piace tale abitudine, se ne astengano per compiacenza; ma in caso diverso non parmi esse vengano meno all'educazione nè commettano cosa che debba celarsi come una colpa. Non dovranno però mai fumare in un caffè, o nella via; nè eccedere nel darsi a questo capriccio: e sempre apportarvi la grazia eletta che è la caratteristica della donna.

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Una giovinetta bene educata non esce dalla propria stanza prima d'aver compiuto il suo abbigliamento; non le è permesso d'avere una veste da camera; quindi, indossata una modesta vesticciuola destinata al mattino, e generalmente coperta da un ampio grembiale bianco, attende alle faccende domestiche: tocca a lei, se la mamma glie ne lascia il diritto, sorvegliare alla spesa della cuoca, fare in maniera che siano interpretati, il più possi- bile, i desideri di tutti i membri della fa- miglia, per quanto riguarda i pasti; quindi non insisterò mai abbastanza sulla necessità di avere una scuola pratica di cucina, dove si impari a conoscere il grado di freschezza della carne, dei pesci, il modo di rinfrescare la verdura nelle stagioni in cui nei nostri paesi questo elemento prezioso del pranzo e della colazione giunge da terre lontane. Tocca a lei a sopraintendere alla nettezza, della biancheria da tavola, di riempire l'acetiera, l'oliera, le saliere, le zuccheriere: disporre con grazia la frutta, i fiori, i pasticcini nelle graziose porcellane a ciò destinate; sembrano inezie, ma se ella ha oggi un padre, fratelli indul genti che perdonano una svista, potrà domani trovarsi con un marito che le muoverebbe accusa di queste piccole mancanze. Del resto, queste cure non urtano i suoi sentimenti più delicati, ed essa sarà sempre soddisfatta di sentirsi il Dio ignoto della materiale felicità domestica. Ad esempio di tutte cito le figliuole e le nipoti della compianta Regina Vittoria d'Inghilterra, che, chiamate ad occupare i più gran troni del mondo, sono state cento volte trovate da illustri visitatori colle bianche mani impiastricciate di uova e di farina, destinate a preparare i famosi puddings che formano la delizia dei conviti inglesi. Per comandare, bisogna saper fare, e state certe che, altrimenti, il più onesto maggiordomo finirà col tempo per prevalersi dell'ignoranza della sua padrona. Tocca alla fanciulla spolverare i gingilli che ingombrano ogni salotto un po' elegante, rinnovare i fiori, dare all'ambiente, generalmente un po' convenzionale, quell'aspetto abitato, ospitale che distingue la casa finamente elegante; far sì che ogni ospite abituale trovi il cantuccio che risponde ai suoi gusti, che ogni nuovo venuto si senta a prima vista davanti ad uno spettacolo gradito, che lo inviti a ritornarvi. Anticamente le famiglie ricche ricevevano in appartamenti esclusivamente a ciò destinati; di qui una certa convenzionalità nel mobilio che però s'adattava ai solenni ricevimenti ufficiali; ricevimenti, ad esempio, sempre in uso alle ambasciate e in quelle famiglie le cui condizioni sociali sono tali da obbligarle a ricevere molte persone in date circostanze. Le nostre case più modeste, in generale, non hanno che una sola stanza o sala destinata alle riunioni di parenti e di amici; inutile quindi parodiare, con vani e dispendiosi appartamenti, le grandi case; ma è però ugualmente necessario dare a questa stanza o sala la maggiore attrattiva possibile; buone seggiole, buone poltrone, tavolini comodi, solidi, semplicità d'insieme e di colori; nulla riesce più prosaico di una sala da ricevimento farraginosamente ingombra di mobili e di oggetti i più disparati; la bellezza deve venire dalla vita piacevole che in essa sala vi si vive, dalle ore gradevoli che vi si trascorrono. Oggi le signorine assistono ai ricevimenti della mamma, quindi debbono sapere come comportarsi nel loro salotto. Esse si alzano ogni volta che entra una visitatrice; abbracciano le loro coetanee, se intime; porgono modestamente la mano, accompagnando l'atto con un inchino, alle signore maggiori d'età; cedono a queste il posto migliore; non fanno capannelli e clamorose risate colle loro amiche; si occupano un po' di tutti, anche se il farlo costerà il sacrifizio del loro piacere, e specialmente poi si occupano di quelli che l'umiltà della condizione o la timidezza del carattere lasciano un po' in disparte nella conversazione generale. Quando c'è la mamma, non tocca alle figliuole tenere animate le chiacchiere, anzi si mostrino bene attente a non interrompere il discorso con contraddizioni ed osservazioni; ma se esso languisce, possono benissimo, con una frase detta a tempo, con una parola sempre buona, animare un circolo di signore anche attempate. In fondo, per una fanciulla, quello del ricevimento e un po' un giorno di sacrifizio; ma essa faccia che sia anche un giorno di scuola, una lezione di quella vita mondana che più o meno dobbiamo vivere tutti. La signorina accompagna le visitatrici alla porta del salotto dove le ha incontrate, e, in mancanza del domestico o della cameriera, apre loro pure la porta di casa senza derogare affatto alla sua dignità; le incarica di saluti per la mamma, per le figlie, per le sorelle, mai per i parenti maschi. Se l'ospite è un uomo, la signora non si alza mai; è però autorizzata a porgere la mano a quello che, venuto in casa sua, ella ha diritto di considerare accetto ai suoi genitori; non lo riaccompagna fuori, può incaricarlo di saluti, non di baci per la sua famiglia. Se, contemporaneamente a questo visitatore ci sono delle signore, ella deve un po' trascurarlo, anche se egli rappresenta per lei il principe grazioso, che le darà un giorno tutte le gioie della vita. Il breve sacrifizio le sarà compensato dall'acquisto della fama, che non potrà mancarle, di dama perfetta, di donna che sa dominare i propri sentimenti, qualità inapprezzabili nel nostro sesso fatto tutto di impressioni e di slanci. Non dirà mai male di nessuno, prima perchè, in questo caso, la regola dell'educazione è fatta più autorevole dal consiglio della coscienza, e poi perchè può, anche senza volerlo, urtare i sentimenti dei presenti. Per massima, questo principio deve informare i suoi discorsi tanto a casa che fuori, colle amiche e coi conoscenti. Succede qualche volta che, con poco riguardo per i sentimenti altrui, si tengano in un salotto discorsi un po' troppo liberi; si parla di scandali della società. Ora una fanciulla non vi deve partecipare; però è inutile che abbia l'aria di scandalezzarsi, di sentirsi offesa; oramai all'ingenuità nessuno crede più, anzi io la autorizzo perfino, se si tratta di una sua amica, a mettere una buona parola, mitigare la severità dei giudizi emessi; il suo desiderio di fare del bene, di difendere la accusata, farà migliore impressione che tutte le sciocche maniere di una virtù che vuol parere oltraggiata. E quest'idea l'accompagni sempre in tutta la vita famigliare e in quella della società. Tanto in questi ricevimenti settimanali che nelle serate che in sua famiglia offre agli amici, la signorina deve vestire con grande semplicità, deve cercare di eclissarsi, anzichè di primeggiare sulle compagne; non intenda con questo di far la cenerentola, che anzi sarebbe di pessimo gusto mostrare trascuratezza. Le sono permessi gli abiti chiari adatti alla sua freschezza, al suo tipo, ma le guernizioni ed i gioielli li conservi per quando è ella stessa invitata. Non tutte le sue ospiti hanno uguali mezzi di fortuna ed ella dà prova di bontà dimenticando la propria soddisfazione, sacrificandosi per non dar loro ombra. Se la riunione ha per iscopo un ballo, ella deve saper rinunziare al piacere di un valtzer, di una quadriglia, quando la mancanza di cavalieri obbliga un'altra fanciulla a star seduta; vicina alla mamma riceve gli invitati via via che entrano, presenta i giovanotti alle sue amiche, accompagna le signore, che non ballano, ai loro posti, e non le dimentica durante la serata; chiede loro soventi se hanno desiderio di qualche cosa, di un rinfresco, osserva che siano in posizione da non aver a soffrire per le correnti d'aria o per le pestate dei ballerini. Se la sua mamma non balla più, è generalmente lei che apre il ballo con l'ospite di più riguardo; ma può rinunziare al suo diritto, quando, per esempio, si tratti di un ballo ufficiale e si trovi tra le ballerine una signora, moglie di un alto funzionario superiore, dipendente o collega del padre. La padrona di casa è costretta ad intrattenere chi la onora della sua presenza, quindi è la fanciulla che presiede il servizio del tea, alla dispensa, magari alla cena; ella deve dunque badare a non trascurare nessuno; la riuscita della festa affidata al suo tatto. Lo so che, a conti fatti, sono queste per lei ore piuttosto di fatica che di piacere; ma prenderà la sua rivincita in altre serate in cui, grazie alla sua provata bontà, troverà pari accoglienze festose e cordiali. Per i ricevimenti intimi, le occorre pure fare provvista di una gran dose di pazienza; se l'intimità è tale da permettere un lavorino, si prepari un ricamo leggiadro, qualche cosa che non richieda troppa attenzione; mai niente di vecchio da rattoppare, niente che dispiaccia all'occhio; sono bellissimi ed utili lavori, ma la giornata è tanto lunga che un'affettazione ed una scortesia ad un tempo, serbarli proprio all'ora destinata alla conversazione. Non è affatto bello vedere una donna appassionata del giuoco, pure mi pare necessario che una gentile padroncina di casa impari alcuni di quei giuochi che sono di moda secondo le epoche e che le permettono di rendersi utile alle persone che non possono più lavorare alla luce delle lampade e che non si appassionano della musica. Se possiede un bel talento di musicista e una bella voce, canti e suoni senza farsi pregare, ma non affligga il suo uditorio con un'arte imperfetta, o con una filza interminabile di pezzi troppo difficili per le generali cognizioni. Se per una circostanza qualsiasi venne invitata a casa sua un'artista o una delle sue maestre, tocca alla giovane allieva occuparsene in maniera che l'ospite si senta apprezzata per quello che vale, e non abbia a supporre che l'invito fu fatto a vantaggio della famiglia che la riceve.

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Non saprei abbastanza sconsigliare uomini e donne dal servirsi senza necessità nel discorso di termini sportivi: è anche questa un'affettazione, una volgarità: se lo sport è una cosa utile e simpatica, non è però parte essenziale della educazione e chi per una ragione o per un'altra deve tenersene lontano, può trovarsi nell'imbarazzo per il malvezzo di qualcuno tra questi elegantissimi d'infiorare le frasi di barbarismi intraducibili, di neologismi sconosciuti a tutti i dizionari più recenti. Una signora, una signorina possono benissimo accettare un invito a prender parte sole ad una di queste partite; naturalmente rifiuteranno una passeggiata in bicicletta, a cavallo, in automobile al chiaro di luna, sole, con uno o più cavalieri; ma poichè i casi della vita sono tanti, darebbero prova di poco buon gusto, di poca fiducia in sè stesse, se, accadendo di doversi trovare appunto sole per il ritorno da una partita di piacere, si mostrassero offese, riluttanti, paurose d'accettare la compagnia di uno o più uomini. Questi dal canto loro debbono più che mai in tali occasioni provarsi gentiluomini perfetti verso la donna affidata alla loro cura. Anzi, i rapporti fra uomo e donna, nei giuochi all'aria aperta, devono essere in modo speciale cordiali quanto si vuole, ma riservatissimi. È naturale che l'uomo si serva della sua forza, della maggior esperienza, per proteggere, iniziare alla maestria dei giuochi, una fanciulla, una giovane signora, ma queste apparirebbero volgaruccie, anzi che no, se ne approfittassero per turbare con la loro civetteria la pace del compagno, per annoiarlo facendo pesare la propria inesperienza, la propria debolezza. Così ha torto la signora che, trovandosi sola in una riunione di giuocatori, si esime da quelle piccole spese di noleggio, mance che incombono ad esempio a chi non possiede attrezzi propri. Questi giuochi all'aria aperta non mirano al guadagno; purtroppo invece anche in case distintissime, i giuochi detti di tavolino dànno al vincitore un premio materiale; ma io non saprei abbastanza lodare quelle signore che si rifiutano ad ammettere nel loro salotto questa speculazione mondana. Non ho detto a caso speculazione, chè disgraziatamente uomini e donne si servono troppo sovente di questo mezzo per ingrossare rendite miserelle; in ogni modo, tradire avidità del guadagno, eccessivo dolore per la perdita, adirarsi contro chi vince, contro un partner poco fortunato, sono prove di cattiva educazione che vanno severamente condannate. Chi non è disposto a perdere può benissimo rifiutarsi di prendere parte ad una partita dove il rischio sia troppo forte, nè gli occorre dichiarare la propria insufficienza; la piccola menzogna d'ignoranza del giuoco, gli verrà facilmente perdonata. Ha torto chi insiste nell'invito al giuoco: è questione di tatto: ma sono appunto fatte di tatto queste nostre buone usanze. Mi parrebbe quasi inutile osservare che la mancanza di correttezza, di delicatezza nel giuoco, l'approfittare dell'inesperienza altrui o dell'altrui buona fede, oltre che essere un vero delitto, è anche un delitto di lesa mondanità, pure, specialmente le signore assai più sovente che non si creda, si rendono colpevoli di questa infrazione alla legge e la galanteria degli uomini che risparmia loro quel brutto aggettivo che squalifica i loro compagni, l'impunità che esse godono, lo obbliga moralmente ad una più perfetta condotta. I debiti di giuoco si pagano nelle ventiquattro ore: debbono ricordarsene le signore che aspirano ad aver diritti uguali a quelli degli uomini. Interrompere i giuochi con chiacchiere, giuocare svogliatamente, ingerirsi nel giuoco dei vicini, sono tutte sconvenienze che deve evitare una persona per bene. Così è scortese quello che rifiuta di tenere il posto di una persona momentaneamente assente, scortesissimo l'altro che rifiuta di giuocare con una persona troppo anziana, con un inabile giuocatore. Per fortuna i famosi giuochi di società sono quasi in disuso. Essi pure richiedono da parte degli uomini e signore molto riserbo, una grandissima dose di spirito, l'offendersi per uno scherzo un poco spinto, l'insistere in questi scherzi, arrischiare doppi sensi poco corretti, sono tutte mancanze gravi che vanno evitate. Spetta alla padrona di casa che ha la disgrazia di ricevere nel suo salotto persone delle quali non garantisce l'educazione, di impedire questi giuochi onde non mettere nell'imbarazzo una giovinetta, una timida signora. In conclusione, sia nei giuochi all'aria aperta, sia giuochi di tavolino come in quelli di società, occorre una grande dose di finezza, se si vuole che il giuoco non degeneri in scurrilità, non sia fonte di mali umori, di danni, anzichè sollievo e benefizio alla vita.

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In uno dei primi Istituti d'Italia vige un'usanza che non saprei abbastanza lodare; ogni anno sono concesse tre medaglie, dette di gentilezza, a tre allieve elette, per iscrutinio segreto, dalle loro compagne: ebbene, io non so dirvi quali criterii di giustizia signoreggiano l'elezione, nè quali istinti di rettitudine guidino nella scelta la mente di quelle giovinette di cui alcune non hanno raggiunto i dieci anni; ma so di certoche per gentilezza esse non intendono servililà, ma bontà vera, generosità, altruismo nell'alto senso della parola. E ciò che io più ammiro in questa consuetudine è la completa libertà di scelta che si lascia alle fanciulle, perchè è vera sapienza rispettare il carattere originale del bambino, trattarlo come un uomo, e, dicendo di fanciulle, vorrei dire come adulte, perchè la donna oramai vuole essere educata virilmente. E se nel bimbo d'oggi c'è l'uomo di domani, se la fanciulletta rappresenta la madre delle future generazioni, noi dobbiamo fin da principio porre nel loro cuore le basi di queste buone usanze, avvezzandoli a rispettar tutti nella scuola e fuori; tutti assolutamente: grandi e piccini, ricchi e poveri, buoni e cattivi, pur lasciandoli pensare col loro cervellino, e sentire col loro tenero cuore. C'è ancora una cosa che io vorrei dire ai bimbi d'Italia: da noi esiste, è vero, alquanta famigliarità tra padroni e servi, industriali ed operai, famigliarità che addolcisce certi contatti necessarii, ma non sempre piacenti; ma il rispetto verso i dipendenti considerati come uomini e come cittadini manca quasi completamente; ed io vorrei che questo sentimento di rispetto per tutti fosse ispirato fin dai primi anni di scuola ai bimbi ed alle fanciullette, senza di che, credetemi, le buone usanze rimarranno sempre lettera morta.

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Non sono abbastanza formalista per mettere quest'usanza tra le regole fondamentali, ma sono abbastanza pratica per consigliare di non trasgredirla a chi vuole dimostrarsi compìto in tutte le forme della civiltà. Del resto, come ho già detto, una donna senza religione è un fiore senza profumo, un essere incompleto; essa fa supporre un'assenza di sentimenti che agghiaccia chi l'avvicina, e l'assenza del sentimento una prova di deficienza dell'anima; e mi pare che non vi sia momento della vita, in cui ella debba sentire più forte il bisogno dell'aiuto divinoAvvertiamo che questa recisa affermazione dell'egregia Autrice può considerarsi come puramente soggettiva. (Nota degli Edit.) e della propria forza. Molte spose regalano al fidanzato un anello di ricordo, e, semplice o ricchissimo, lo sposo è tenuto, per riguardo alla sua futura donnina, di portare questo simbolo della tenerezza che li lega. Il fidanzato, in qualche paese, regala la cosidetta corbeille, che rappresenta in certo modo il cofano intagliato o intarsiato che i vassalli dell'antico signore offrivano alla sposa. In molti casi si fa chiedere alla fanciulla quali sono gli oggetti che ella preferisce e crede di maggior utilità; se essa è intelligente saprà adattarsi alle circostanze; quindi se è destinata ad una vita mondana, sceglierà le trine, i velluti, i gioielli, mentre se la sua vita futura le si presenta modesta, preferirà gli abiti di lana, le tele, le fiandre, i solidi merletti destinati a rendere semplicemente elegante la sua casa. La sposa dove assolutamente fare buon viso a questo dono che rappresenta, direi quasi, l'accoglienza fatta a lei nella nuova famiglia. Questo dono collettivo varia anch'esso a seconda dei gusti, delle ricchezze della famiglia dello sposo; deve informarsi al genere di avvenire che attende la famigliuola. Se il matrimonio civile è celebrato il giorno prima di quello religioso, la sposa vi indossa un abito da visita elegantissimo, il più elegante che ha, col cappello intonato; sarebbe ridicolo che si vestisse in bianco o avesse un velo invece del leggiadro chiffon di tulle o di trine. Regolarmente la sposa aspetta in casa lo sposo che venga a prenderla, e quindi ella va al municipio scortata o dalla mamma o da una zia, una sorella maggiore; sale la scala al braccio del padre, del fratello o di un vecchio amico e ascolta con attenzione il discorso, che il sindaco o l'assessore incaricato si credono in dovere di esporle; può anche sedersi, la nostra natura moderna, nervosa e delicata, ammette queste debolezze naturali in un momento di emozioni così forti. I fidanzati escono dalla sala del municipio marito e moglie, davanti al mondo, ma la sposa torna a casa dei suoi genitori; fino a che Dio non ha benedetto il suo amore, ella non ha diritto di seguire il suo compagno. Molte spose non vestono nemmeno per la chiesa l'abito bianco, vi portano l'abito da viaggio reso un pò più gaio da un cappellino maggiormente elegante di quello che deve affrontare la polvere della ferrovia. La sposa entra in chiesa come al municipio, dando cioè il braccio al padre o a chi ne fa le veci; quivi pure la seguono i testimoni, i parenti, gli amici; lo sposo dà il braccio alla sorella della sposa, o alla signora che l'accompagna. Quando il matrimonio si fa con pompa, si adotta anche da noi l'uso delle demoiselles d'honneur, che vestono di chiaro e quasi sempre in modo poco dissimile l'una dall'altra. Per il ritorno a casa, dopo la chiesa, la sposa si appoggia al braccio di quegli che oramai, davanti a Dio non meno che davanti agli uomini, le appartiene per la vita. Salgono nella stessa carrozza e, generalmente, vanno a casa della sposa dove è imbandita la colazione o semplicemente offerto un rinfresco o un lunch. Molti però adesso, e fanno benone, rifuggono da tutte queste cerimonie; le due famiglie vanno al municipio e in chiesa tranquillamente, magari a piedi, vi dànno convegno ai testimoni e compiono senza chiasso la doppia funzione. Se ha luogo il pranzo di nozze, lo sposo siede tra le due madri interessate, la sposa tra i padri; ella è servita per la prima, e se ha adottato la moda inglese del famoso wedding cake, gâteau de noces, è lei che lo taglia e ne distribuisce i pezzetti, che devono portar fortuna alle sue amiche. Per la colazione è vestita da viaggio, porta i suoi gioielli a scelta; è una signora, oramai, e le è permesso lo sfoggio dei suoi tesori. Se fa il viaggio di nozze abbia cura di non portarsi un numero straordinario di toilettes e cartoni; dà subito noie al marito, il quale non può a meno di supporre che ella pensa piuttosto alla propria vanità che non alle nuove gioie; che ama solo il suo piacere non tenendo affatto conto dell'incomodo che recano tanti ingombri. Intorno alla convenienza ed alla estensione del viaggio di nozze esistono mille opinioni; io non ne emetto alcuna; consiglio però, se si fa: molto tatto da una parte e dall'altra, se non si vuol renderlo una fatica noiosa anzichè un diletto. La sposa si uniformi molto ai gusti del marito, non si mostri troppo appassionata dei luoghi che vede, ma non rimanga fredda davanti agli entusiasmi di lui per le bellezze naturali od artistiche. A questo punto, la nobile dama che ha avuto la cortesia di consigliarmi nella revisione di questo libriccino, mi dice: "E perchè mai la sposa deve uniformarsi ai gusti del marito? Perchè deve nascondere, soffocare le proprie impressioni? È desiderabile la repressione di ogni personalità nella giovine sposa? Manifestare entusiasmi e ammirazione che non si sentono, non è forse ipocrisia?,, - In fatti la questione può essere semplificata così: far cosa grata al marito facendolo partecipe dei proprii gusti partecipando ai suoi, in quella misura giusta e naturale, pur serbando, la sposa, intatta la propria personalità. Guai alla donna che da principio rinnega sè stessa, schiava dell'amore o di una falsa edncazione. Quando arriva negli alberghi sappia subito dare un aspetto di abitato alla camera scelta, e a questo scopo abbia cura di porre nel suo baule alcuni di quei gingilli che le sono famigliari, qualche fotografia dei suoi cari, un vasetto per i fiori; lo sposo acquisterà subito una buona idea delle sue qualità di donnina di casa, e sarà felice di trovarsi con lei in quell'ambiente reso meno banale dalle sue piccole attenzioni femminili. Noi Italiani che viaggiamo poco, non conosciamo quest'arte; molte volte il viaggio di nozze è il primo della nostra vita, dunque indispensabile di sapersi regolare per non renderlo un tedio reciproco. La sposa scrive subito alla mamma, parlandole naturalmente della sua felicità; la buona signora attende ansiosa quella lettera forse la prima che riceve dalla figliuola che non visse mai separata da lei. Le partecipazioni del matrimonio compiuto si mandano anche a tutti i più lontani conoscenti: devono essere stampate su carta fina; siano semplici, eleganti e chiare; devono portare dei due domicilii per la restituzione dei biglietti di visita. Sono i parenti che le spediscono il giorno stesso del fausto avvenimento, e sono essi che annunziano le nozze celebrate tra i loro figliuoli, come già ne hanno annunziato il fidanzamento. Qualche volta però, trattandosi di orfani, per esempio, o di una vedova che si rimarita, sono gli stessi sposi che rendono pubblico il fatto. La formula per queste partecipazioni é quasi la stessa che si usa per far note le scambiate promesse. Se la sposa non è più molto giovane, si ricordi di evitare, anche in questa cerimonia finale tutte le pompe; non si vesta di bianco, non metta il candido velo, sono cose che si addicono ai volti freschi e rosei, mentre stuonano con le prime fatali traccie del tempo.

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Signorilità

198193
Contessa Elena Morozzo Della Rocca nata Muzzati 1 occorrenze
  • 1933
  • Lanciano
  • Giuseppe Carabba Editore
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Eppure quella moda non era punto scorretta, quando non si accoppiava a modi sguaiati e a mode sconvenienti: anzi, avrebbe dovuto essere adottata da tutte le donne lavoratrici (se non comportasse ancora una spesa abbastanza rilevante di capelli... tenzione) perchè era igienica, obbligando e facilitando la pulizia! Non ebbe, però, la simpatia di molte teste coronate!... Infatti, la Regina Mary d'Inghilterra faceva invitare per la famosa presentazione a Corte, nella season (la grande «stagione» mondana londinese) soltanto quelle nobili signorine che avevano i capelli lunghi!

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Come presentarmi in società

200189
Erminia Vescovi 3 occorrenze
  • 1954
  • Brescia
  • Vannini
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Tra quegli ascoltatori vi sono spesso uomini che hanno già un nome nell'arte e nella scienza, vi sono vecchi professori che credono di non saperne mai abbastanza, vi sono raffinati intellettuali che colgono bramosi ogni occasione per elaborare e tornire ancora più la loro coltura, vi sono anche dame gentili che sanno coltivare il sapere senza darsi l'aria pedante di superdonne. Un pubblico così fatto (e si riconosce subito) desta veramente riverenza, e impone dei doveri a cui la persona novizia deve sapersi piegare. Si entri dunque senza chiasso e gli uomini a capo scoperto: ciascuno prenda il posto che gli conviene, si attenda l'oratore in silenzio, oppure in moderata conversazione con chi siede vicino, e che deve immediatamente cessare, quando l'uomo col suo rotolo in mano, si presenta alla cattedra che gli è preparata. Si ascolti in silenzio, si approvi con discrezione qualche passo che sembra meritevole, ma senza interrompere frequentemente e senza prolungare un plauso che farà certo piacere al parlatore, ma che alle lunghe disorienta. Non è poi lecito mormorar commenti sottovoce, sia benevoli o no; e non si deve far mostra della propria erudizione, completando le citazioni classiche accennate dal parlatore. E' una tentazione, qualche volta assai viva. Finito il discorso, si applaudisca a piacere e si tributino anche quei segni di amicizia e di consenso che formano il coronamento della cerimonia. Gli amici più vicini gli stringan la mano con lodi e congratulazioni: altri si facciano presentare, tutti gli porgano ossequi e ringraziamenti per la bella ora passata, pel diletto di cui son debitori al conferenziere, il quale, intanto, poveretto, si terge il sudore dalla fronte non sa come fare a rispondere a tutti. Vi sono però conferenze di carattere popolare o informativo, ove le cose vanno molto più semplicemente; si fanno per lo più nei teatri o in altre sale di spettacoli pubblici, il pubblico rimane quasi estraneo all'oratore, e bene spesso composto di sconosciuti fra loro. In tali casi, v'è libertà massima nel vestiario, nell'entrata e uscita, nella scelta del posto: rimangono sempre però i doveri generali delle persone bene educate che devono guardarsi dal fare ogni cosa che possa disturbare o spiacere. E i conferenzieri hanno essi dei doveri verso il pubblico? E come, se ne hanno! Chi chiama della gente a spender una serata per udirlo, e spesse volte fa anche pagar un biglietto, si assume la sua bella responsabilità. Ma purtroppo, al giorno d'oggi, tale responsabilità viene assunta con molta leggerezza. Dante diceva dei suoi tempi guerreschi:

Una signora dunque non sarà mai abbastanza riservata, specialmente se è sola. Entrerà con modestia e con franchezza, si toglierà il mantello se l'ambiente è notevolmente più caldo che fuori, non mai il cappello. Non farà conversazione a voce troppo alta con chi la accompagna, si asterrà dal ridere forte, dal volger troppo gli occhi in giro; lascerà al suo cavaliere dare gli ordini al cameriere e far le osservazioni. Se è colla madre, o colla zia, o in genere con altra signora più anziana, le userà tutti i riguardi nella scelta del posto, l'aiuterà a togliersi e a rimettersi il mantello, e non permetterà mai che il cameriere adempia a questa bisogna, ringraziando, però, con cenno cortese alla sua offerta. Ora è meno raro di un tempo vedere signorine, anche giovanissime, entrar a prendere un pasto in qualche ristorante. Mancherebbe seriamente ai doveri non solo del galateo, ma della più elementare convenienza chi si permettesse con tali giovanette il più piccolo atto di libertà, uno sguardo men che rispettoso. Al caffè vanno per serale ritrovo i signori uomini, e talvolta vi conducono anche le loro signore. Ma una donna sola, che voglia esser rispettata, cercherà di non trattenersi oziosamente a uno di quei tavolini; solo di giorno le sarà lecito sedere quel tanto che è necessario perchè le venga servito un gelato o una bibita qualsiasi di cui abbia bisogno. Se però accompagna i suoi bambini, nessuno troverà a ridire di vederla fermarsi un po' di più. Gli uomini, se sono soli, nel caffè chiuso hanno una grande libertà, di cui però faranno bene a non abusare; fumano, conversano ad alta voce, ridono, scherzano. In generale sono amici e colleghi che si riposano dalle fatiche del giorno. Ma hanno però l'obbligo di rispettarsi reciprocamente, di vigilare che lo scherzo non si tramuti in offesa, che la discussione non divenga disputa... Molte gravi querele, che spesso son finite nel sangue, hanno avuto origine da una parola imprudente, da uno scherzo troppo confidenziale... Tra conoscenti che non siano amici, e tra estranei frequentatori del caffè, si usi cortesia e riguardo: non si accaparrino i giornali e le riviste, non si finga di non vedere chi cerca un posto, non si pretenda d'esser sempre serviti prima. All'aperto, quando i tavolini son gremiti di gente che nelle belle serate gode la musica, i caffè presentano l'aspetto di una piacevole e variopinta confusione. Si odono voci gaie di signore e giovinette, voci squillanti di bambini, trilli e risate. E un tintinnio di bicchieri e di piattini, e un correre affaccendato di camerieri da un tavolino all'altro, e... se è lecito trarre a scherzo una frase classicamente solenne:

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Ma il male è quando il popolo non abbastanza educato, tumultua, grida e fischia. Il fischiare è un atto crudelmente villano contro chi non si può difendere, e ha fatto quanto meglio poteva per divertire il pubblico e farsi un po' d'onore. La persona bene educata non fischia mai. ... Cioè, ammetto un solo caso. Ed è questo: se una scena immorale fosse accolta da una salve di fischi, la lezione sarebbe severa per chi tocca, ma non certo inefficace. In tutti gli altri casi è inutile usare tal modo di riprovazione, quando c'è quell'altro così semplice e dignitoso, e che non fa male a nessuno: alzarsi e andarsene.

Pagina 207

Come si fa e come non si fa. Manuale moderno di galateo

200562
Simonetta Malaspina 1 occorrenze
  • 1970
  • Milano
  • Giovanni de Vecchio Editore
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Un tempo era escluso che le ragazze avessero un proprio biglietto di visita: oggi invece è abbastanza normale. Esso non dovrà avere necessariamente forma e carta tradizionale: una ragazza può usare anche più fantasia senza peccare di gusto. Una signora che abbia perso il marito può avere un biglietto di visita con scritto "vedova X"; però questo tipo di biglietto è un po' in disuso. Una signora appena sposata avrà il biglietto di visita recante prima il cognome del marito, quindi il proprio. La signora (o la signorina) laureata avrà' anch'essa due tipi di biglietti di visita; in uno ci sarà' soltanto nome e cognome (se è' sposata a sempre quello del marito), nell'altro, nome e cognome da signorina, preceduti dal titolo accademico. Il primo servirà per esprimere auguri, ringraziamenti, condoglianze, per rispondere o mandare inviti. Il secondo servirà' esclusivamente per i rapporti di lavoro e di affari. Chi ha un titolo nobiliare dovrebbe astenersi dal decorare il suo biglietto con corone o stemmi, ed evitare di far precedere il nome da un altisonante titolo. Regola prima: mandate le bomboniere soltanto a nozze avvenute e a chi vi ha già mandato un regalo. Inviarle prima delle nozze significherebbe quasi sollecitare un dono. Regola seconda: evitate di scegliere bomboniere troppo originali. Chi non può permettersi di comprare bomboniere in argento, scelga piattini o cestini di porcellana e di cristallo, o magari di ceramica e di vetro. L'importante è che siano semplici. L'eleganza non esige bomboniere diverse dalle solite, e se non siete sicuri del vostro gusto è meglio che non vi avventuriate tra le molteplici scelte, non sempre belle, che offrono i negozi specializzati in questo genere di articolo. Ai testimoni e a chi vi ha fatto un regalo molto bello è sempre consigliabile offrire una bomboniera più bella delle altre, in ricordo della giornata. Tuttavia non dovete neppure dimenticare l'amica che si limitata a regalare una dozzina di strofinacci spiritosi o qualche oggetto poco costoso. Meglio, perciò, calcolare un certo numero di bomboniere in più, e non tutte necessariamente dello stesso valore. I confetti devono essere sempre in numero dispari. Sono racchiusi generalmente in un fazzolettino di tulle, chiuso da un filo dorato nel quale è infilato anche un piccolissimo fiore bianco. Tra i confetti c'è un bigliettino bianco, rettangolare, di solito piegato in due, sulle cui facciate interne sono scritti i nomi degli sposi. Niente data di matrimonio né altra indicazione superflua.

Pagina 60

Le buone maniere

202191
Caterina Pigorini-Beri 1 occorrenze
  • 1908
  • Torino
  • F. Casanova e C.ia, Editori Librai di S. M. il re d'Italia
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Della quale se alcuno ricaverà se non vantaggio reale almeno un qualche diletto, pel richiamo ai costumi antichi nazionali in confronto dei moderni, io mi riterrò abbastanza lieta e soddisfatta.

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Eva Regina

204441
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 3 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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Se il terrazzo è abbastanza vasto perchè sia possibile collocarvi qualche vaso pieno di terra, si potranno coltivare garofani, vaniglia, gerani, reseda, fucsie, viole, ciclamini. I grandi e capaci portafiori non sono più di moda ora, per i salotti. Le signore di buon gusto preferiscono le anforine snelle dalle forme capricciose, che non contengono che un fiore solo di rarissima specie : oppure due o tre piccoli vasi graziosi riuniti insieme. Così i trionfi da tavola s' usano bassissimi ; qualche volta si distribuiscono sulla mensa molti portafiori di ceramica, piccoli e larghi, od anche si cosparge la tovaglia di fiori recisi. Si adoperano pure, ora, dalle signore eleganti che hanno la fortuna di possederne, piccoli recipienti antichi, purchè siano belli e rari, come caffettiere d'argento, fiaschette, vetri di Murano, piccoli boccali. Una signora potrà ornarsi del suo fiore preferito o ricevendo, o recandosi alla passeggiata o a qualche ritrovo serale ; ma non esageri nella quantità. Se non è più molto giovine, meglio tenere i fiori fra le mani. Le signorine possono ornarne il manicotto, l' ombrellino chiuso. I fiori in testa per i balli e i teatri non si portano che con le toilettes di gala e non si addicono che alle giovanissime.

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Abbastanza recentemente ella conseguì col suo Inno di Santa Cecilia uno dei tre premi straordinari consistente in preziosi oggetti d'arte elargiti dalla Spagna per un grande concorso internazionale di musica a cui presero parte migliaia di concorrenti. Carlotta Ferrari è morta a Bologna, non sono molti anni. Fra le pittrici, per citare qualche nome, dirò d' Emma Ciardi appartenente a quella famiglia di pittori veneziani che ormai nelle esposizioni fa scuola a parte. Questa giovine artista, modesta quanto valorosa e laboriosa, pur derivando dalla nobile arte paterna, si è fatta uno stile e un genere a parte, pieno di delicatezza, di grazia, di pensiero e di dolce malinconia. Più d' uno dei suoi quadri ebbe l' onore d' esser scelto dai nostri sovrani per le loro private gallerie ; e recentemente a Londra, a Monaco, dove Emma Ciardi espose una ricca collezione dei suoi lavori in Mostre individuali, ottenne risultati finanziari assai soddisfacenti e lusinghieri trionfi. A Firenze vive e lavora Ernestina Orlandini nata Mack, tedesca di Hanow sul Meno, che l'amore e l'arte fecero italiana. I suoi ritratti hanno un pregio singolare e le procurarono molti premi. I maravigliosi fiori dei giardini di Firenze trovano pure in lei la loro interprete delicata e sincera. Nè voglio dimenticare Antonietta Fragiacomo che segue le traccie del suo illustre parente ; e Anita Zappa, milanese, autrice di studi all' aperto pieni di luce e di freschezza. La scultura femminile è rappresentata degnamente in Italia da Adelaide Maraini che nello studio del padre, lo scultore Pandiani, trovò, bimba ancora, la sua vocazione e il suo destino. Studiò a Brera,ma ancora più studiò da sè per sviluppare il suo vero temperamento. I suoi primi lavori avevano una gentile impronta mistica, e furono bassorilievi, fontane, sculture ornamentali. Andata sposa all' ingegnere Maraini di Roma sacrificò serenamente l'arte ai suoi dolci doveri, e per nove anni tenne chiuso lo studio per occuparsi soltanto dei suoi bimbi e della sua casa. Poi tornò alle sue creazioni di bellezza, con un' anima più matura e più forte. La prima grande statua modellata da lei: Saffo, inviata all' Esposizione di Parigi, e poi acquistata da Rotschild, le diede la rinomanza. Da allora le sue opere si moltiplicarono per emigrare candide e pure, nei giardini aristocratici, nelle gallerie, nei camposanti. Un giorno ella vide entrare nel suo studio di Lugano l'imperatrice Elisabetta, la grande dolorosa, che si portò seco nella silente villa di Corfù un' altra ispirazione di Saffo ; e più tardi anche una figura d'Aspasia trovò posto nell'Achylleion. Ora Adelaide Maraini vive a Roma fra la sua famiglia, nella pace gloriosa che segue una giornata nobilmente vissuta. « Benedetta questa donna — scrisse di lei una penna illustre — che è grande artista senza aver perduto nessuna delle tenerezze della madre; benedetta questa donna in cui il genio dell'arte non ha spento una sola delle più soavi femminilità di Eva ! » Possano tutte le artiste meritare simile elogio, smentendo la leggenda accreditata presso il volgo che le donne artiste amino l'eccentrico, il vistoso, l'esagerato, e prendano pose stucchevoli. Certo, fra tante, vi sono anche queste che si rendono ridicole per i colori e le foggie dei loro abbigliamenti, per le loro abitudini zingaresche, il loro linguaggio pieno d'affettazioni ; ma per amor del vero bisogna riconoscere che le artiste dei nostri tempi sono, in generale, signore e signorine che non differiscono nell'aspetto e nelle maniere dalle altre, con una nota di gusto più personale, un po' originale forse anche, ma che deriva dalla loro famigliarità con le cose belle ed armoniose ed è artisticamente giustificata.

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E forse in questa lunga enumerazione ho ancora dimenticato qualche opera provvida, ad ogni modo ne avrò sempre accennato abbastanza per dimostrare che non mancano occasioni di fare il bene secondo qualunque intendimento o tendenza ; di giovare al prossimo nobilmente ed efficacemente; di proporre alla propria attività e al proprio cuore un còmpito utile ed alto.

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