Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbassare

Numero di risultati: 48 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Fisiologia del piacere

170472
Mantegazza, Paolo 3 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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La vista ci offre, fra tutti i sensi il minor numero di piaceri negativi, perchè il semplice abbassare delle palpebre o il minimo moto di allontanamento bastano a difenderci dalle immagini più irritanti e disgustose.

Pagina 100

La verità non può mai abbassare ciò ch'essa impronta del suo suggello. L'unione dei sessi non è un'azione brutale, nè vile: è legge necessaria di natura, è fenomeno fra i più belli della vita, e che solo l'uomo può deformare e avvilire colla prostituzione della morale, come può fare delle cose più belle e più sante. Si può amare, e violentemente, di purissimo affetto platonico, senza neppure pensare all'amplesso; ma nell'ordine, naturale delle cose, questa passione è sempre fondata sull'idea fondamentale del sesso e della generazione. Non si può amare che una persona di diverso sesso e nell'età feconda; ciò che prova abbastanza la ragione necessaria dell'affetto. Dal ceppo di una stessa pianta l'industre giardiniere può ritrarre un rampollo da frutto, come può educare una gemma che esaurisca la sua vita nel fiore e nelle foglie. Ogni ramo però, sia che s'adorni soltanto di fronde e di fiori, o sia carico di semi, ha pur sempre la stessa origine, e spetta sempre alla stessa pianta. Lo stesso avviene dell'amore. Nell'ordine naturale questo sentimento ci dà le foglie nelle sue gioie più pure, ci dà i fiori nei piaceri misti che si possono indovinare, e ci rallegra coi frutti quando arriva al suo sviluppo completo. Come un albero può crescere alto e rigoglioso senza dar fiori nè frutti, così l'amore può illuminare di gioia la vita di due individui, senza che mai abbiano insieme spasimato nei piaceri del senso. Ma non per questo è men vero che la natura destina l'albero a tramandare la sua vita per mezzo dei semi, come accende il fuoco dell'amore perchè tramandi il calore della vita. Nello stesso modo con cui la vita d'una pianticella si prolunga, quando le si impedisce di portar fiori o frutti; così la vita dell'amore si protrae assai più a lungo, quando si accontenta di porgerci le foglie sempre verdi delle gioie platoniche. Quando la pianta ha dato i suoi frutti, il fine della natura è raggiunto, e se la vita, e conseguentemente l'amore, si prolunga ancora, ciò si deve alla generosità della provvidenza.

Pagina 167

I filosofi, che vogliono abbassare la dignità umana, come se noi non fossimo già molto in basso, pretendono che abbiamo imparato i primi elementi di musica dagli uccelli. Per quanto la fisonomia degli animali sia difforme dalla nostra, noi possiamo leggere la gioia e il dolore anche nei lineamenti di un uccello; e se abbiamo potuto solo una volta spiare da vicino l'usignuolo nelle sue esercitazioni musicali, dobbiamo aver veduto che esso gode assai, quando colla sua testolina intenta, cogli occhi lucidi e fissi ascolta il suo canto, col quale pare scherzare, ripetendo le note che lo dilettano, o studiando variazioni semplicissime. Quasi tutti gli uomini godono della musica; pochissimi vi sono indifferenti. Ma fra Cuvier, che doveva fare uno sforzo su se stesso per sentir suonare mirabilmente il cembalo dalla figlia prediletta, e Rossini che da quando nacque fino alla morte visse in un'atmosfera di armonia, della quale aveva bisogno come dell'aria, esistono infinite varietà di orecchi più o meno sensibili alle delizie della musica. A questo proposito gli individui si possono dividere in tre categorie: quelli che non sanno godere che della musica eseguita dagli altri; coloro che la possono ripetere; e gli ultimi che la sanno creare. È inutile dire che nel mondo dei suoni queste tre specie di persone sono diversamente privilegiate, e come soltanto i maestri possano pretendere ai piaceri più sublimi dell'udito. Nessuno ha il diritto di accusare di ottusità di mente chi rimane indifferente davanti ad un torrente impetuoso di armonia. La storia ci porge molti esempi di alti intelletti che non sapevano distinguere un accordo musicale da uno strillo; e l'osservazione ci mostra ogni giorno esecutori distinti di musica e dilettanti appassionati fra le persone di cervello più che mediocre. I piaceri dell'udito hanno invece un certo rapporto col sentimento, e spesso gli uomini egoisti e brutali sorridono di compassione a chi si commuove alle delizie di una melodia. La donna può godere più dell'uomo della musica, ma essa rimane assai al disotto nel godimento dei tesori intellettuali che spettano a questi piaceri, e che ne formano anche la parte più preziosa. Ben di rado poi essa può pretendere alla sublime voluttà della creazione, come lo prova abbastanza la statistica dei compositori di musica. L'uomo-bambino comincia a sentire i piaceri della musica, ma questi si riducono alla pura sensazione uditiva, che è anche incompleta e confusa. Divenuto fanciullo gode più assai di questi piaceri, ma la sua continua distrazione e l'imperfezione delle facoltà intellettuali gli impediscono di gustarli in tutta la loro pienezza. È nell'età della fantasia e del genio che la musica apre tutti i suoi tesori di armonia, portando al massimo grado di esaltazione tutte le facoltà cerebrali. Nell'età adulta l'esperienza supplisce, come nelle altre sensazioni, alla raffinatezza del piacere, per cui questo è più calmo, ma può essere ancora intenso e delizioso. Quando l'uomo scende per la curva della parabola, ritornando d'onde venne, allora l'udito si fa ottuso, la fantasia si fa opaca e i piaceri dell'udito impallidiscono.

Pagina 65

Sull'Oceano

171184
De Amicis, Edmondo 1 occorrenze
  • 1890
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Pagina 120

Come devo comportarmi?

172068
Anna Vertua Gentile 2 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Cosi pure durante i viaggi, in ferrovia, devono, se appena possono, procurare ch'essi abbiano il posto d'angolo; e abbassare e rialzare per essi i vetri quando ne mostrano desiderio. Son piccoli atti di cortesia che non costano nulla o ben poco e spesso procurano la compiacenza di un sorriso o di un ringraziamento, che sono una lode e una benedizione insieme. Le signore giovani e le signorine poi, hanno l'obbligo di usare con le persone attempate, gli stessi riguardi che gli uomini educati usano ad esse medesime. «Uno dei piaceri della vecchiaia - mi diceva un gentiluomo al di là degli ottant'anni - è di vedersi fatti segni di attenzioni e circondati da premure gentili dalle persone di garbo. Quando poi una donna giovine e Bella usa delle cortesie è una vera orgogliosa tenerezza!»

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Non si rivolga, senza necessità, al terzo o al quarto, per farsi alzare o abbassare i vetri, tirare le cortine, levare borse o valigiette dalla reticella. Un servigio richiede un ringraziamento, e il ringraziamento può essere invito a discorsi, a domande importune, qualche volta a complimenti arditi e noiosi. La signora se ne stia tranquilla al suo posto, e se si tratta di un viaggio lungo, vada in uno scompartimento per le signore. Se ha con sè dei bambini, faccia del suo meglio perchè non disturbino gli altri. Li intrattenga, li diverta, tanto che non rechino noia con la vivacità e ardire infantile. La signora si guardi bene dal mangiare, in viaggio, cibi solidi e grassi, che potrebbero far nausea ai cornpagni. Io ricordo ancora il disgusto e la sofferenza vera provata lungo un viaggio di ventiquattro ore, a cagione dei lauti pasti fatti da due signore che erano nel mio stesso carrozzone. Sento ancora l'odore neuseabondo di stracotto freddo, di polli lessati, di salsiccia all'aglio, di stracchino e altro ancora. Rivedo quella mensa imbandita su le ginocchia, il grassume, gli avanzi sparsi su la carta; le mania le labbra lucide di untume; qualche cosa di urtante, che levava appetito, e obbligava ad aprire i vetri in pieno inverno.

Pagina 366

Il successo nella vita. Galateo moderno.

173184
Brelich dall'Asta, Mario 6 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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Di notte bisogna abbassare la luce e smettere ogni conversazione per non disturbare il sonno degli altri. Per un passeggero di seconda classe il mangiare nello scompartimento è una cosa poco distinta, qualora si trovi nel convoglio una carrozza ristorante. I passeggeri di terza classe generalmente non hanno i mezzi per far uso di questo servizio e perciò devono mangiare nello scompartimento; tuttavia essi dovrebbero osservare le regole del buon contegno e non mangiare ininterrottamente durante tutto il viaggio. Il pasto dovrebbe essere preparato in precedenza e più pratici di tutto sono i panini imbottiti. Assai poco estetico è il vedere la gente mangiare tenendo tra le mani, pane, coltello, salumeria grassa con la relativa carta, ciò che frequentemente si nota anche da persone che sembrano di ceto elevato. Quando si suppone che un compagno di viaggio sia sprovvisto di cibi e dimostri appetito senza avere la possibilità di procurarsene, sta bene offrirgli delle proprie provviste. Ciò dev'essere fatto naturalmente con la dovuta cortesia ed il cibo offerto non dev'essere stato toccato colle mani. Se il compagno rifiuta, non è motivo di risentirsene, ma un'insistenza è fuori posto. Naturalmente non si offre mai da bere nel bicchiere da cui si ha già bevuto. Non sta bene guardare con insistenza le persone che mangiano, nè i loro bauli o zaini aperti. Gli avanzi non vanno gettati sotto i sedili o lasciati sopra di essi, ma gettati fuori dal finestrino però non durante le soste alle stazioni o nel passaggio attraverso l'abitato. Con oggetti contundenti, bottiglie, scatole, ecc. si deve essere cauti per non ledere nessuno. Se qualcuno è al finestrino, non si devono gettare oggetti davanti al suo viso, ma alzarsi, andare al finestrino stesso e sporgere la mano fuori. Bisogna badare anche che l'oggetto gettato dal finestrino non venga portato dalla corrente d'aria nello scompartimento vicino. Ciò vale particolarmente per i liquidi, e purtroppo non è superfluo menzionare che per questa ragione non si deve mai sputare dal finestrino.

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Se il datore di lavoro approfittasse della mancanza di lavoro, per abbassare gli stipendi, nondimeno la riduzione della propria attività per ottenere un miglioramento non sarebbe motivata, perchè ciò porterebbe probabilmente soltanto ad una riduzione del personale. L'esecuzione trascurata del lavoro o altri errori commessi, non devono venir giustificati con ogni genere di scuse. Da un personale fidato si può ben pretendere che risponda della propria attività riconoscendo apertamente i propri errori. Naturalmente una seria giustificazione può essere sempre addotta in tono remissivo. Quando non si riesce a giustificarsi, si chiede cortesemente scusa per l'errore commesso. Verso i superiori bisogna essere molto cortesi, senza però abbandonarsi al servilismo. Parlando col principale di affari, conviene serbare la calma ed essere breve e conciso. Al capo-ufficio spetta da parte di tutti i dipendenti il trattamento dovuto ad un superiore e in questo riguardo non fanno eccezione nemmeno le donne. In ufficio l'impiegata saluta per la prima il principale, mentre per strada, o comunque fuori dell'ufficio, un principale distinto saluterà per primo le proprie dipendenti. Anche se un dipendente fosse privatamente in rapporti amichevoli o di parentela con il principale, deve evitare di sfruttare queste aderenze personali nella vita professionale. Nello stesso modo deve conservare il debito rispetto anche l'impiegato che si trova da molti anni alle dipendenze della casa. Naturalmente il dipendente, conversando col principale nel suo studio, non deve mai sedersi senza essere invitato. Entrando in un locale o salendo in una carrozza, spetta al superiore di grado la precedenza ed in caso di uguaglianza di gradi al più anziano. Se però il superiore invita il dipendente a precederlo, questi lo faccia senza esitazione, perchè il dipendente deve ubbidire in ogni circostanza e l'inopportuna ossequiosità può divenire antipatica. Per tutto il rimanente non si deve dimenticare che anche il principale va soggetto ad influenze e di conseguenza le cure famigliari e le preoccupazioni d'affari, nonchè lo stato di salute potranno avere una certa influenza sulla sua condotta. Se un dipendente s'accorgesse d'un errore commesso dal principale - specialmente trattandosi d'un errore che potrebbe arrecare danno all'azienda, non solo ha il diritto, ma anche il dovere di richiamare con tatto la sua attenzione sull'errore. Naturalmente non parliamo di piccoli errori insignificanti che non devono venir sfruttati per darsi maggiore importanza, poichè sarebbe mancanza di tatto il rendere inutilmente pubblica una distrazione del principale. Ritenendoci per qualsiasi circostanza trattati ingiustamente, si regoli la propria posizione a mezzo di un colloquio diretto col principale, sempre nel tono della massima cortesia e riguardo. Ciò può fruttare un accordo duraturo. Comunque, le scorrettezze degli altri non possono essere eliminate affrontandole con altre scorrettezze. In ufficio è necessario comparire con lo abbigliamento e con la persona accurata, particolarmente quando si è incaricati di trattare con la clientela. Nelle banche e nei negozi più distinti il personale indossa il migliore abito. Anche nella vita privata il dipendente deve aver riguardo verso la propria ditta e soprattutto se la posizione è rappresentativa, è necessario un tenore di vita privata, in base al quale nessuno possa fare delle deduzioni sfavorevoli per l'azienda.

Pagina 197

Incrociare le braccia innanzi al petto, abbassare i calcagni ed emettere il respiro (12). i) Distendere il corpo supino, alzare il piede sinistro tendendo la gamba, e poi abbassarlo (13); lo stesso col piede destro. l) Posizione supina; tirare a sè nello stesso tempo ambedue le gambe, tenendo uniti i ginocchi (14); spingere le gambe in fuori. m) Posizione bocconi; toccare il suolo soltanto con le mani e con le punte dei piedi (15); piegare le braccia, lentamente abbassare e di nuovo sollevare il corpo. n) Posizione supina (16), appoggiare le mani ai fianchi, lentamente sollevare il corpo superiore in posizione verticale, quindi lentamente ricoricarlo (17). o) Dalla posizione prima, tendere le mani in sù, spingere il piede sinistro indietro (18); ripetere lo stesso col piede destro. Questi esercizi, come ogni sorta di ginnastica, vengano eseguiti in un abbigliamento quanto più leggero, possibilmente del tutto nudi. Difatti la parola ginnastica deriva dal greco « gymnas » (nudo), il che dimostra che quest'arte veniva originalmente esercitata col corpo nudo.

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Una persona distinta camminando, guarda sempre diritto innanzi a sè, senza guardare le nuvole, nè abbassare lo sguardo timidamente verso terra. Se per qualche motivo si deve volgere lo sguardo a destra, a sinistra o all'indietro, si rallenta il passo per non urtare nessuno dei passanti. Non si deve però neanche fermarsi all'improvviso, perchè ciò potrebbe parimenti cagionare una collisione con chi ci viene dietro. Ed ora, cortesi lettori, state bene attenti! Siate sempre molto cauti se camminate su strade popolate, e badate alla circolazione. Uno che va per strada fantasticando come se sognasse non soltanto perde il godimento delle eventuali bellezze e cose degne d'essere viste, ma può anche trascurare un saluto ad un conoscente, ciò che può essere interpretato falsamente dall'altro. Ma, se per caso, qualcuno

Pagina 27

Stampa - Giornalismo Peste della patria è il giornalismo che accetta le notizie senza vagliarle, quando pur non le invita, per far alzare ed abbassare la rendita, per iscalzare un ministro o un deputato: loda e critica per partito, svisa i detti, maligna sulle intenzioni dell'avversario, vende la coscienza. C. Cantù, Attenzione. Quanto bene potrebbero fare le gazzette con quella loro smisurata diffusione e colla popolarità! ma quanto male fanno col palleggio di lodi e di vituperi, colle passioni che accaniscono, collo scontento che diffondono, colla calunnia che avventano! C. Cantù, Ivi. Il pubblicista è il vero seminatore della parabola e produce gli stessi effetti. Molte delle sue sementi andranno perdute, ma qualcheduna caduta su buon terreno fruttificherà. Pacico Valussi. Coloro che dicono il più gran male de' giornali e dei giornalisti sono quelli che ne mendicarono o sperarono la lode e il suffragio e non l'ottennero. G. Piacentini.

Pagina 429

Pagina 91

Le belle maniere

179995
Francesca Fiorentina 1 occorrenze
  • 1918
  • Libreria editrice internazionale
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
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Fate sempre in modo di non dover abbassare gli occhi o scappare improvvisamente, sorprese da persona che vi metta un po'soggezione. Anche la villeggiatura cercate di godervela completa, lasciandovi prendere dall'abbraccio delle cose semplici e buone, in mezzo a cui vi siete rifugiate per fuggire la polvere, il caldo e, sì, anche le noie della città; perchè volete procurarvene dell'altre, sorvegliando in modo esagerato la vostra toeletta, o dandovi dell'inutili pose? Un vestitino di percalle chiaro o una camicetta con una gonnellina di lanetta un po'corta, o un bel grembiulone che non impacci il respiro e i movimenti e vi dia l'aria di giovinette linde e ammodino; i capelli ben annodati sulla nuca, perchè viso e collo restino liberi; le scarpe comode con tacco basso per non privarvi della gioia di correre e, qualche volta, anche di saltare; e poi basta! Nelle passeggiate non fate come Coletta:se sentite di non poter resistere, state a casa; ma, se andate, siate agguerrite alla fatica e proponetevi di non dare agli altri le seccature che non vorreste voi. Il troppo amore di noi, mie care figliole, e l'eccessivo desiderio d'essere ammirati conducono spesso all'effetto contrario a quello voluto:dimentichiamoci noi, e saremo ricordati.

Pagina 125

Si fa non si fa. Le regole del galateo 2.0

180625
Barbara Ronchi della Rocca 2 occorrenze
  • 2013
  • Vallardi
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Poi, educazione vorrebbe che chiedesse al passeggero seduto dietro se può abbassare lo schienale; e educazione vorrebbe che lui desse il permesso. Da non chiedere, comunque, a chi ha un bimbo in braccio. -in caso di bambini che scorrazzano nel corridoio o si arrampicano con i piedi sui sedili, evita occhiate malevole e le battute sibilate e chiede all'hostess o allo steward di intervenire presso i genitori dei piccoli vandali... -non applaude all'atterraggio; il pilota è un professionista, non è eccezionale che abbia saputo fare atterrare l'aereo! Ma i più gravi sono gli errori di stile che contravvengono a regole di sicurezza, oltre che di educazione. Chi passeggia nel corridoio mentre vengono serviti i pasti e i rinfreschi, non si allaccia le cinture quando richiesto, si alza in piedi e si carica del bagaglio a mano non appena l'aereo tocca terra, ignorando i segnali luminosi che indicano di restare seduti fino allo spegnimento dei motori, o disobbedisce a una qualunque delle prescrizioni impartite dal personale di cabina, è maleducato; ma chi fuma nelle toilette o si precipita ad accendere il telefono cellulare quando le porte sono ancora chiuse è anche stupido, perché mette in pericolo la sicurezza di tutti, e merita senz'altro le peggiori occhiatacce.

Pagina 153

La gentilezza verso i compagni di crociera ci spingerà ad abbassare la suoneria del telefono cellulare e a limitarci a telefonate brevi e «neutre», come sempre quando si è in uno spazio ristretto. E, come sempre, il telefono è off limits a tavola. Se l'esperienza si rivela meno gradevole del previsto, invece di lamentarci, inventiamoci una scusa per un rientro a casa anticipato: salveremo così la nostra immagine, e soprattutto l'amicizia con i nostri compagni di barca. L'«aimatore» che invita deve essere molto chiaro sul tipo di imbarcazione e il tipo di ospitalità offerta; per esempio, se si aspetta qualche collaborazione alla vita di bordo, deve farlo presente. Non esageri inoltre in understatement, descrivendo come «gozzo» un cabinato da crociera di quaranta metri, perché gli invitati potrebbero trovarsi a disagio per un bagaglio troppo spartano... Sempre in tema di bagaglio, è bene informare in anticipo su eventuali party, cene, escursioni turistiche a terra, e su tutte le attività che richiedono un abbigliamento particolare. Il nudismo è concesso solo tra persone consenzienti e che si conoscono bene; se pensiamo possa offendere o mettere a disagio qualcuno, rinunciamo di buon grado a questo spazio di libertà - senza tacciare di provincialismo chi non se la sente di smutandarsi.

Pagina 161

Il Galateo

181539
Brunella Gasperini 1 occorrenze
  • 1912
  • Baldini e Castoldi s.r.l.
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Quel che potete fare, questo sì, è chiedere, con gentilezza, di abbassare il volume. Doccia. Se non potete evitare di fare la doccia nelle ore di punta, fate la fila con calma e buonumore, non accampate precedenze di sorta, e quando è il vostro turno sbrigatevi: non fate della doccia in spiaggia una complicata e meticolosa operazione di pulizia, né una compiaciuta esibizione di atteggiamenti plastici. Nessuno vi ammirerà. Ombrelloni. Non sempre l'affollamento della spiaggia consente di avere l'ombrellone nel posto preferito: pazienza. Non chiedete ogni giorno al bagnino di cambiarvi posto. Non occupate ombrelloni e sdraio d'altri, neanche quando questi sono assenti. Coi vicini di ombrellone il saluto è d'obbligo, qualche scambio di frase è normale, l'invadenza è proibita. Se i vicini d'ombrellone vi chiedono un favore (i fiammiferi, l'olio solare, il giornale in prestito) acconsentite cortesemente ma senza troppo entusiasmo: i postulanti non vanno incoraggiati. Voi, comunque, non chiedete niente in prestito a nessuno: se avete dimenticato qualcosa fatene a meno, oppure tornate indietro a prenderla. Bagni e bagnasciuga. Non correte in acqua come kamikaze, senza badare dove mettete i piedi e il resto. Non tuffatevi con enormi splash, travolgendo salvagenti e materassini, innaffiando i bagnanti freddolosi che sostano indecisi sul bagnasciuga. Anche se nuotate un crawl spettacoloso, finché la rotta non è libera nuotate adagio e con la testa fuori. Il traffico davanti al bagnasciuga non permette esibizioni natatorie. Ma nemmeno fate l'esibizione contraria, come quelle irritanti creature che indugiano interminabilmente sul bagnasciuga, tra civettuoli passettini avanti e indietro, lanciando gridolini di finto terrore ogni volta che un'onda sfiora loro la punta dell'alluce, e facendo drammi se un bambino sguazzante spruzza loro due gocce sul ginocchio. Se non volete essere spruzzati, state alla larga dal bagnasciuga. In quanto alla classica passeggiata lungo la battigia, non fatene una specie di sfilata in passerella, e neanche una travolgente maratona: camminate sensatamente, badando a non rovesciare i secchielli e i castelli di sabbia dei bambini, e non calpestate occhiali e importanti parti del corpo delle signore che stanno «scientificamente» abbronzandosi sulla riva. Non sedetevi in crocchio (l'unione fa la forza) a osservare criticamente la passeggiata, dandovi di gomito, ridacchiando e facendo sapidi commenti sulla forma, la dimensione, l'aspetto delle persone che passano. Spiaggia libera. Oltre che gratuita, può essere meno rumorosa, più «nature» della spiaggia organizzata: ma non pensate di poterci fare tutto quel che vi salta in mente. Neanche sulla spiaggia libera è permesso praticare il nudismo: quindi, o rinunciate a cambiarvi il costume, o adottate come riparo un accappatoio, un poncho, un copricostume, un lenzuolino che, opportunamente drappeggiato intorno al corpo, vi permetta di cambiarvi con qualche contorsione ma senza offesa al pudore. Dato che i servizi mancano, portate con voi tutto quel che occorre, compresi i sacchetti in cui riporre carta e rifiuti. Ricordatevi comunque che nei giorni festivi la spiaggia libera è spesso invasa dai cosiddetti cannibali, che arrivano per un giorno dal vicino entroterra con le automobili cariche di familiari, materassini, radioline, vettovaglie e umori esuberanti. È troppo pretendere che i bagnanti della domenica siano silenziosi, riservati, compiti: perciò, se non ve la sentite di sopportarli come sono, dedicate le feste comandate alle gite in bicicletta, a piedi, in barca, in collina, in pineta, lasciando il volgo accaldato e vociante a pigiarsi testardamente in quei pochi metri di spiaggia. Motoscafi. Anche se siete piloti superlativi, non partite mai dalla riva a motore acceso. Sappiamo che per molti padroni di motoscafi metter mano ai remi è cosa disonorevole, ma così vogliono regolamento, buon senso e buona educazione. Non portate mai il motoscafo in mezzo ai bagnanti; neanche ad andatura ridotta. Neanche se è «solo» un gommone: è il motore che conta. A proposito di gommone: questo simpatico natante, che non dà problemi di trasporto e di parcheggio, ha però l'inconveniente del motore che va portato avanti e indietro ogni volta. Ecco perché quando un proprietario di gommone dice: «Be', adesso farò un giretto», si vedono molti signori, anche amici suoi, fingersi immersi nel giornale o assopiti al sole, per non venir coinvolti nell'operazione trasporto-motore. Altri, più sportivi e servizievoli (e privi di natanti loro) si prestano invece volontariamente e con grande entusiasmo: ma una volta che vi hanno aiutato a portare il motore fino al gommone, potete esimervi dal portarli a fare un giretto con voi? No, non potete. Purtroppo questi signori servizievoli sono quasi sempre quelli maggiormente forniti di parenti, mogli, bambini, sorelle, zii, che arrivano giubilanti in massa ad affollare il gommone. Che ci volete fare? Se la cosa diventa eccessivamente fastidiosa, basterà qualche repentina accelerata, qualche brusca virata ogni tanto: gli ospiti si aggrappano, si fanno silenziosi, e dopo un po' vi chiedono, per piacere, di tornare a riva. È un sistema un po' brutale, che consigliamo solo in caso di ospiti veramente numerosi, irrequieti e invadenti. In quanto agli ospiti, sappiamo che sui gommoni si va sempre e solo a piedi nudi (lasciate a terra sandali e zoccoli); e che non ci si va mai unti di crema; non solo la crema unge e macchia, ma scivola contro la gomma, e come niente uno si trova in acqua: donde, sempre per la scivolosità della crema, sarà complicato issarlo a bordo, specie se si tratta di una formosa signora.

Pagina 193

Il saper vivere

185617
Donna Letizia 1 occorrenze
  • 1960
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Del resto, la persona di servizio funge da messaggero: riferisce se tutto va bene, se le pizzette sono state gradite, se il grape fruit è sufficiente e se la signorina ha rispettato l'ordine di non abbassare le luci: un salotto non è un night-club e per ballare non è indispensabile che l'abat-jour accanto al divano sia velato con un foulard. E ora, ecco come si comporta Sandrina nel ricevere gli amici. Li aspetta in salotto, va incontro a ognuno, non accoglie Giovanna con ululati di gioia e Clotilde con un gelido « ciao », anche se la prima è simpaticissima e la seconda no; nessuno dovrà accorgersi, in casa sua, delle sue preferenze. Se un'amica ha condotto una cugina timida e sconosciuta, Sandrina provvede a presentarla cordialmente: « Adriana Banti ». Appena arriva il "suo" ragazzo non dimentica di colpo i propri doveri di padrona di casa: non si precipita nelle sue braccia per un ballo di tre quarti d'ora. Non si vendica dell'amica che fa la civetta con lui, facendo a meno di offrirle il gelato. E' invece gentilissima e fa in modo, da vera signora, che a festa terminata persino lei debba convenire con gli amici che la Sandrina, quando riceve, è proprio formidabile. Lo svolgimento "tecnico" della festa è il seguente: a mano a mano che arrivano gli invitati si offre loro da bere: coca-cola e spremute di frutta, accompagnate da salatini leggeri. Per i ragazzi più "grandi": aperitivi a scelta, (o addiritura whisky che, si spera, verrà sorseggiato con discrezione). Grammofono, giochi di società fino alle otto e mezzo. Quindi, un buffet in piedi, probabilmente in sala da pranzo, composto di supplì, sandwiches, insalate e, volendo, anche di un piatto-forte caldo, per esempio risotto o pizza. Per finire, una crostata di frutta o una macedonia, o un gelato ecc. Da bere: "cup", vino semplice o birra. Alle dieci e mezzo in punto gli invitati si congedano. Le ragazze non rincasano sole né tanto meno accompagnate da un ragazzo. Il padre o la madre oppure l'autista con la macchina vengono a rilevarle.

Pagina 41

Galateo per tutte le occasioni

187981
Sabrina Carollo 3 occorrenze
  • 2012
  • Giunti Editore
  • Firenze-Milano
  • paraletteratura-galateo
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Dunque domandate prima di abbassare il finestrino se la cosa dà noia e regolate il volume di radio e riscaldamento secondo le preferenze comuni. Se portate una donna è cortesia gradita e mai desueta aprirle la portiera, almeno dall'interno, per farla salire. ✓ Se state ricevendo un passaggio, ricordate di allacciare le cinture di sicurezza (i punti li tolgono al guidatore), di portare avanti il sedile se qualcuno si accomoda dietro di voi in modo da fargli maggiore spazio e di non parlare al conducente per avvertirlo di ogni pericolo incombente. 0 vi fidate oppure no: nel secondo caso, o evitate di salire in macchina o, se proprio non potete farne a meno, affidatevi a un santo protettore. Ma fate in modo di non tormentare tutti con urla improvvise. Allo stesso modo, prima di indicare la strada, accertatevi della vostra rapacità di discernere la destra dalla sinistra. ✓ Se state per sedervi sul sedile posteriore, non scorrete per far posto ad altri, che saliranno dal lato opposto. ✓ In qualunque compagnia siate - anche dello zio centenario un po' duro d'orecchi - evitate di sfruttare al massimo le potenzialità dei subwufer facendo vibrare non solo la vettura ma l'intero quartiere che attraversate. È un'esibizione meno che adolescenziale davvero penosa. ✓ Se siete da soli, infine, non approfittatene per abbandonarvi a pratiche di scavo nasale-pettinatura e trucco-pulizia orale. I finestrini sono trasparenti e voi siete disgustosi.

Pagina 185

È considerato un gesto di grande maleducazione dimenticarsi di abbassare il coperchio del water. Al pub si paga un giro per ciascuno, adeguatevi e pagate il vostro. Gli aborigeni hanno abitudini particolari, che comprendono una certa facilità al contatto fisico ma grande riservatezza nel guardarsi negli occhi, inteso come massima confidenza. ✓ Nuova Zelanda. Attenzione se si desidera fotografare cerimonie o riti religiosi maori: meglio chiedere il permesso prima. ✓ Papuasia-Nuova Guinea. La ricchezza e la varietà di dialetti ed etnie richiedono una grande delicatezza nei rapporti interpersonali. ✓ Samoa Occidentali. Mai mangiare davanti a un locale stando in piedi. Vietato entrare in una casa quando i proprietari stanno pregando. La domenica sono vietate le attività produttive. ✓ Tonga. Assieme a Fiji, l'unica isola in cui le mance non ono considerate offensive. Anche qui la domenica è sacra, attenzione a non svolgere nessun tipo di attività, siete a rischio di multe. L'ombrello serve per ripararsi dal sole, non dalla pioggia.

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All inclusive; ✓ non esiste uno standard di tempo per fare la doccia; ✓ ognuno disfa da sé la sua borsa da sport; ✓ il calcio è solo uno degli appuntamenti che la serata propone; ✓ volendo, c'è campo anche sopra il circolo polare artico; ✓ la mamma viene dopo; ✓ abbassare la tavoletta del water non è una cortesia che concedete magnanimamente e occasionalmente all'altro sesso, bensì un obbligo. Secondo voi il coperchio che segue immediatamente dopo per cosa è stato messo? Le donne invece tengano a mente: ✓ la partita non è una sfilata di moda. Commentare il taglio di capelli dei giocatori o gli accostamenti di colore della seconda maglia non viene apprezzato, soprattutto durante momenti di alta tensione come in occasione di un rigore; ✓ le serate tra maschi non sono necessariamente un ritrovo per cacciare; ✓ è possibile che lui non la pensi come voi; ✓ è possibile che non gli piacciano le vostre migliori amiche; ✓ è possibile che detesti il sushi; ✓ trovarvi in seduta fiume al telefono quando torna dal lavoro non è gentile. Ricordate che in fondo a ogni uomo c'è un piccolo cacciatore che pensa di essere tornato alla caverna e di trovare ad attenderlo la sua compagna adorante. Fate almeno finta; ✓ ogni tanto può capitare effettivamente che si ammali per davvero; ✓ nessun giudice avallerebbe mai la vostra interpretazione del contratto matrimoniale secondo cui scaldare i piedi ghiacciati la sera nel letto è un dovere coniugale; ✓ esistono altri momenti, oltre a quello in cui lui sta beatamente pisolando sul divano, per passare l'aspirapolvere; ✓ nessuno, nemmeno voi, si alza la mattina con un alito da dentifricio "brezza di montagna"; ✓ o lavora, o passa il tempo a lambiccarsi per scovare una nuova idea per sorprendervi con un regalo di eccezionale bellezza e originalità ogni santo giorno. Ma nel secondo caso, non avrebbe il contante necessario per acquistarvelo. Dunque regolatevi; ✓ esistono uomini cortesi e affettuosi. E non necessariamente perché devono nascondere una doppia vita; ✓ se lo volevate massaggiatore, dovevate cercare in un centro estetico. La parità dei diritti, o almeno questo suo goffo tentativo che ci ritroviamo a vivere, ha apparentemente assolto i signori da alcune piccole, gradevolissime cortesie che sono sparite molto più rapidamente di quanto non siano apparsi benefici rivoluzionari femministi a ripareggiare il conto. Ricordiamo cordiamo a tutti gli uomini che quella che viene sbrigativamente liquidata come "cavalleria" ha ancora un suo valore, può fare la differenza e comunque ha un appeal notevole, tale da poter garantire un consistente ritorno di punteggio nella scala dei valori con cui una donna giudica l'altro sesso. Gesti che poco costano ma tanto rendono all'immagine del principe azzurro che - ahinoi - ancora popola le fantasie recondite di legioni di fanciulle. Scherzi a parte, pur senza secondi fini è sempre un piacere assistere a tali gentilezze da parte del sesso forte. Ecco quali: ✓ cedere il passo alle gentili donzelle di fronte a una porta (tranne che nei casi previsti, vedi al prossimo capitolo); ✓ reggere loro il cappotto per aiutarle a infilarlo; ✓ aprire la portiera dell'auto; ✓ portare i pacchi più pesanti; ✓ cedere il posto a signore in dolce attesa, con bimbi piccoli o anziane; ✓ scostare la sedia dal tavolo per farle accomodare; ✓ non chiedere l'età. Infine, una piccola nota sul cognome nella vita di coppia. È stabilito dal diritto che generalmente il cognome dei figli sia quello del padre. Secondo lo stesso principio, è previsto per le signore di usare il cognome del marito. Ultimamente si è diffusa sempre più l'abitudine di mantenere il nome della famiglia d'origine anche tra le donne sposate. In caso di convivenza poi, questa dovrebbe essere una regola, anche se il nome del compagno gode di un certo rilievo sociale.

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Dei doveri di civiltà ad uso delle fanciulle

188263
Pietro Touhar 1 occorrenze
  • 1880
  • Felice Paggi Libraio-Editore
  • Firenze
  • paraletteratura-galateo
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Nelle vie sgombre ed ampie, è naturale usare maggiore attenzione di non urtarsi coi passeggieri, poichè se questo avvenisse potreste esser tenute in conto di male educate o almeno di storditelle; quando piove è necessario saper tenere con destrezza e sveltezza l'ombrello per non incrociarlo nè percuoterlo con quello degli altri, e conviene all'occorrenza saperlo alzare o abbassare prontamente. Potreste per avventura incontrarvi in una donna di vostra conoscenza, che senza avere ombrello, si trovasse colta da un rovescio d'acqua; ed allora la garbatezza vuole che le offriate posto sotto il vostro, e che anche la conduciate fino al luogo al quale s'incammina; ma se qualche faccenda di premura v'impedisse di compiere questo dovere, bisognerebbe almeno che procuraste di metterla al coperto, dimostrandole il vostro dispiacere di non poterla accompagnare più oltre. Non vi sarà al certo bisogno di far noto quanto stia male squadrare le persone che ci passano d'accanto, ed è chiaro che sarebbero esposte a severo giudizio quelle fanciulle che si voltassero l'una verso dell'altra con atti che facessero credere in esse l'intenzione d'occuparsi di esse sottoponendole a favorevole o sfavorevole esame. Quando incontrerete per via una donna di vostra conoscenza, basterà che la salutiate con dimostrazione di quell' affetto o di quel rispetto che si merita: ma se per cortesia vi è duopo fermarvi con lei, non intavolate lungo discorso benchè d'altronde non tocchi a voi ad esser la prima a prender commiato. Ad una donna, e più ad una giovanetta è vietato fermarsi a discorrere con un uomo, a meno che non sia di stretta conoscenza e d'età avanzata. I giovani bene educati non salutano le fanciulle, o se pur lo facciano, esse usar debbono la maggior possibile ritenutezza nel restituire il saluto. Il non restituire il saluto a chiunque cel faccia è scortesia; e quando siete con altre persone, avete obbligo di far cenno di saluto anche voi a coloro che la vostra compagnia riverisce. La politezza e la garbatezza sono il più comune indizio di buona educazione. Se vi occorresse di dover richiedere qualche servigio, come l'indicazione d'una strada o altro simile, fatelo più garbatamente che potete con chi si sia, e non trascurate di ringraziare dopo averlo ottenuto; chè in ogni caso i modi altieri e sprezzanti, in simili congiunture, vi farebbero credere imbevuta di quei pregiudizi che sono affatto contrari a civiltà. Nel capitolo intorno al Contegno troverete parecchie altre osservazioni importanti sul modo di diportarvi per istrada. Dobbiamo: Cedere il miglior posto alle persone autorevoli che incontriamo per via; scansare d'essere d'impaccio con ombrelli, ombrellini od altro a chi passa vicino a noi; offrire ricovero sotto il nostro ombrello in tempo di pioggia a una donna di nostra conoscenza che non lo avesse; restituire il saluto; ringraziare chi fa qualche servigio ancorchè di poco rilievo. Non dobbiamo : Camminare sbadatamente a rischio d'alzar polvere o di infangarci; dare spinte a chi passa; nè guardar fisse le persone, nè far mostra di parlare o di beffarci di chi si sia.

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Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

188701
Pitigrilli (Dino Segre) 2 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
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Nei lunghi percorsi si può essere tentati di abbassare un vetro; ma è cortesia domandare che ne pensano i signori che sono seduti dietro. Far entrare l'aria perchè noi abbiamo caldo è egoismo; chiuderlo è un diritto. Però anche in questo caso è bene consultare i compagni. Alle donne piccole di statura suggerisco di rimanere in piedi, perchè il ciondolìo delle gambe che non arrivano a terra è ridicolo. Anche agli uomini, comunque essi siano; consiglio di stare in piedi. E' molto più chic. Ho conosciuto a Losanna un re in esilio, che alloggiava in un hotel in un paese vicino. Un disturbo che gli impediva di stare seduto, e del quale soffersero anche Luigi XI e il Re Sole, gli fecero lanciare la moda dello stare in piedi in autobus. Tutti gli uomini di Losanna si misero a viaggiare in piedi. La moda sorge spesse volte così. Nei primi anni di questo secolo si vide, alla corte d'Inghilterra, i lords e le ladies praticare lo shake-hands, cioè la stretta di mano, sollevando il gomito fino all'altezza della spalla. Si seguiva l'esempio dato dalla Regina Alexandra. Ciò che non si sapeva, è che Sua Maestà soffriva di foruncoli tenaci sotto il braccio destro. Quando l'ascella della graziosissima Maestà guarì, il suo saluto tornò alla normalità. Il Re in esilio in Svizzera non guarì, e il giorno che tornerà a sedersi sul trono dei suoi avi rimpiangerà i tempi in cui a Losanna lanciò la moda di stare in piedi in autobus.

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Il medico che ti guarda la lingua e ti ordina un cucchiaio di magnesia, fa meno fatica del caricaturista che «butta giù», come dici tu per abbassare la quota della tua riconoscenza, uno schizzo: ma per giungere a dirti che hai un semplice imbarazzo gastrico ha fatto sette anni d'Università e ha respirato l'aria delle sale anatomiche e i miasmi caldi delle corsie d'ospedale. Ti fa piacere che Renzo Ricci o Elena Zareschi accettino l'invito a un tuo ricevimento e recitino «Davanti a San Guido» o una scena dei « Sei personaggi? » Domanda loro quanto è il loro cachet, o metti qualche biglietto di banca in una busta di cuoio di Russia o di coccodrillo, o offri un gioiello. Non dire loro «per voi recitare quattro cosucce...» Trattali con rispetto, anche se si degnano di concederti la loro amicizia. Non aver l'aria di elevarli fino a te e al tuo clan. Non fare come quella ricca macellaia di Boston, che aveva combinato con un'illustre attrice una recita du- rante un suo ricevimento, e s'era messa d'accordo sul prezzo: mille dollari. Però aggiunse: - Debbo avvertirla che finito il suo numero, lei si ritirerà senza salutare, cioè non si mescolerà ai miei invitati, che sono il re del salame allo zafferano, il re dell'anguilla marinata, la proprietaria della famosa crema per scarpe... - Oh, in questo caso, se non debbo mescolarmi a tutta quella gente, invece di mille dollari basteranno cinquecento - rispose l'attrice rimettendo in mano alla signora la metà. Quando tu, notaio o pizzicagnolo, colonnello o pretore, piazzista in coniugazioni o esercente in teoremi, parli a un'attrice o a un attore, non assumere l'aria di scendere fino a lui o a lei. E' sempre l'artista quello che si curva verso di te.

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IL nuovo bon ton a tavola e l'arte di conoscere gli altri

190953
Schira Roberta 2 occorrenze
  • 2013
  • Salani
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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. - Abbassare il tono di voce. Come i maschi di tutte le specie animali, l'uomo di fronte a una potenziale partner si pavoneggia con una serie di gesti. È stabilito che, nei primi incontri, chiacchiera di più, anche con l'obiettivo di mettere a proprio agio e far parlare la donna; proseguendo nella relazione racconta sempre meno di sé e sempre più il dialogo esprime informazioni. Peccato che all'inizio vi parli dei propri sogni e dopo un anno del mutuo. Gli studiosi hanno ormai dimostrato che tutta la strategia di corteggiamento nel maschio umano si focalizza, inconsciamente, sulla zona inguinale. E non servirà a nulla anche al più evoluto intellettuale negarlo: è così. Pensate alle foto che ritraggono muscolosi giovanotti con le mani in tasca tranne i pollici, un chiaro messaggio a focalizzare lo sguardo da quelle parti. Il maschio, persino il più insospettabile, tende inconsciamente a mettere in evidenza l'inguine. Il che può avvenire anche indossando pantaloni aderenti o portando un voluminoso mazzo di chiavi appeso alla vita, lasciando un lembo della cintura penzolare fuori dai passanti. Insomma ogni espediente è utile per darsi quella che gli studiosi di linguaggio del corpo chiamano «sistematina». Noi donne non faremmo mai una cosa simile. E non mancano i signori che si esercitano sotto la tovaglia: l'istinto è troppo forte. A proposito di simboli fallici, se volete misurare l'interesse di una donna (ma non solo), invitatela fuori e spostate appositamente la cravatta di lato: se lei si metterà a raddrizzarla il messaggio sottinteso è «Così sei più in ordine e mi piaci di più». È vero, oggi la cravatta si porta meno, lo stesso esperimento lo potete fare con la «prova pelucco», e questo vale per entrambi i sessi. Appoggiate un pelucco o un granello di polvere su un braccio e state a vedere cosa succede.

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In casa, una musica di sottofondo è piacevole mentre si aspettano gli ospiti, ma durante la cena dovrete abbassare il volume. Nella scelta, sbizzarritevi: oggi ci sono cd di accompagnamento per ogni esigenza, chiedete in un negozio specializzato. Personalmente adoro, dal tramonto in poi, il vecchio Frank. Per un cocktail in piedi o un garden party, la musica è sempre fondamentale. Una domanda: vi siete mai chiesti dove vanno a prendere quei terribili cd nelle hall di certi alberghi paludati? Naso. Ovviamente ogni operazione di pulizia è vivamente sconsigliata. Nel linguaggio del corpo ogni volta che si toccano le zone periferiche intorno al naso il nostro commensale potrebbe mentire. Attenzione, potrebbe. È il retaggio di un comportamento infantile che porta a mentire coprendosi la bocca con le mani; visto che l'amministratore delegato di una multinazionale non può coprire con entrambe le mani la bocca spalancando gli occhi, ecco che l'inconscio si accomoda sfregando il naso o con movimenti simili. Noccioli. I noccioli della frutta o le parti di scarto, inavvertitamente messe in bocca, non si lasciano cadere direttamente nel piatto. Se sono stati portati alla bocca con una posata si fanno scivolare su di essa e poi sul piatto, ma forse è più facile deporli nella mano chiusa a pugno e riportarli sul piatto. Noia. Sarebbe bello divertirsi follemente a ogni occasione conviviale: ma non è così. Se vi annoiate a morte perché il vostro vicino di destra parla solo di insetti in via di estinzione e l'altro è un distinto ottantenne ma con problemi di udito, tenete duro. Non si guarda l'orologio, né le vie di fuga come la porta d'uscita, né si parla con un tizio nell'altro tavolo escludendo i commensali vicini a voi. Odore. Gli odori di cucina se si invita a casa vanno eliminati azionando le ventole o ancora meglio aprendo le finestre prima che arrivino gli ospiti. Al ristorante sarebbe obbligatorio non narcotizzare i clienti con odori molesti, d'altra parte una stanza completamente asettica non fa buona impressione. Signore, non profumatevi troppo. Olive. Si portano alla bocca con gli stuzzicadenti (unico utilizzo ammesso degli odiosi aggeggi), ma se vengono servite come aperitivo sono consentite anche le mani. Il nocciolo si pone nella mano e poi si lascia in un apposito piattino. In realtà spero sempre di trovare cibo più originale come aperitivo, sia in casa che nei bar, o almeno se volete offrirmi delle olive devono essere buonissime. Ossi. Si lasciano nel piatto e non si toccano con le mani. Evitate, nel tentativo di staccare un pezzo di carne rimasto attaccato all'osso, di farlo schizzare in testa a qualche malcapitato. Lo Sgalateo prevede il contatto con gli ossi da scarnificare e succhiare a piacere come per rivivere un rituale primitivo. Ostriche. Se le offrite voi dovete essere sicuri della qualità superiore, fatele aprire e non gettate via, per carità, la loro acqua di vegetazione. Esistono delle speciali forchettine a tre denti per molluschi che potete usare per estrarre la polpa, in caso contrario potete usare la mano destra evitando il più possibile ogni risucchio. I puristi le degustano assolutamente nature. Nello Sgalateo, ca va sans dire, se ne fa grande uso, sarà per l'alto valore simbolico del mollusco considerato afrodisiaco. Padroni di casa. Dovrebbero essere sorridenti e freschi, anche se in realtà sono stravolti dalla stanchezza. Mai iniziare a mangiare prima della padrona di casa, ma attendere un suo cenno per cominciare. Pane. Una delle poche cose che si possono toccare con le mani, ma non si spezza con i denti. Si fa a pezzi con le mani e poi si porta alla bocca a piccoli bocconi. Evitate di tagliarlo a tavola a meno che non si tratti di un rarissimo pane toscano che desiderate far vedere in tutto il suo splendore, in tutti gli altri casi si taglia in cucina e si porta a tavola in un cestino oppure in un vassoio d'argento. Il piattino del pane, gradito nelle cene formali, si mette in alto a sinistra di ogni commensale. Pasticcini. Si prendono dal vassoio con le mani, insieme alla carta pieghettata che li avvolge. Vietato indugiare nella scelta e soprattutto toccarli tutti prima di sceglierne uno. Pâté. Si mangia con la forchetta e, se accompagnato dai crostini, non viene spalmato ma mangiato separatamente. Pausa. Quando si smette di mangiare per fare una pausa, si mettono le posate con le punte del coltello e della forchetta che si incrociano, con i rebbi della forchetta all'ingiù e la lama del coltello verso il centro del piatto. Come già detto, in questo modo il cameriere o chi per esso dovrebbe, dico «dovrebbe», capire che non deve portar via il piatto. Per piacere e grazie. Ricordiamoci di pronunciarli sempre, ogni volta che chiediamo di passarci qualcosa, quando veniamo serviti a casa o al ristorante, quando chiediamo qualcosa al cameriere. Pesce. Prima il pesce e poi la carne, questa è la regola. Qualsiasi portata di pesce si serve con le posate apposite, se non avete le posate adatte usate solo la forchetta. Pesche. Mangiare frutta intera (purtroppo) con le posate non si fa quasi più, perché difficilmente i ristoranti metropolitani la propongono. È considerata ancora una portata in certe pensioni familiari sull'Adriatico o sulle coste ioniche. Se a una cena formale decidete di mangiare una pesca che vi viene servita intera consideratela una faccenda seria. Si puntano (non infilzano!) i rebbi della forchetta sul frutto e si incide la polpa col coltello per tagliare uno spicchio alla volta, quindi si ferma con la forchetta lo spicchio e lo si sbuccia con il coltello. Si tiene lo spicchio sbucciato sulla punta della forchetta, si taglia un boccone (massimo 2 centimetri) e lo si porta alla bocca senza cambiar di mano alla forchetta, che quindi rimane nella sinistra. Piatti. Quando il cameriere si avvicina per portarci i piatti, e soprattutto per toglierli, non va aiutato. Allo stesso modo, non si impilano i piatti sporchi: perché volete intralciare il lavoro del personale di servizio? Rilassatevi, se pagate il conto avete il diritto di farvi servire. Si può aiutare il personale perché distante, solo se ce lo chiede, anche se non dovrebbe mai farlo. Picnic. Che bello vedere un po' di galateo anche sull'erba, basta poco: piatti di cartone, fazzolettini e tante torte salate. Unica eccezione, mai i bicchieri di carta, mettete dentro un bel cesto di vimini tante flûte di vetro, di certo qualche partecipante al picnic sarà felice di aiutarvi. Il bon ton si rilassa sotto il cielo e diventa più elastico, ma ritorna rigidissimo al momento del dopo picnic. Vietato lasciare mozziconi, plastica e rifiuti abbandonati sull'erba, e vi assicuro che questo è ben peggio che dire «Buon appetito». Piedi. In teoria dovrebbero stare sotto la sedia del proprietario, e questo vuol dire non allungarli incivilmente sotto il tavolo intralciando le estremità altrui e tanto meno lateralmente provocando involontari effetti «piedino». Lo Sgalateo permette di sbirciare sotto il tavolo per, studiare la posizione dei piedi: incrociati, ci sono ancora un po' di riserve. Con le punte all'interno? È rimasto un pizzico di infanzia. Accavallate? C'è ancora qualche resistenza nel vostro commensale. Piedino. Sono due le regole fondamentali da rispettare per il seduttore (uso il maschile, ma vi sono signore grandi esperte nel campo) che usa il piedino come arma di seduzione. 1. Si fa solo se si è certi di non ricevere un rifiuto. 2. Si fa solo se si è certi di non essere scoperti dal resto dei commensali. Pinzimonio. Uno dei pochissimi casi nei quali è permesso usare le dita per mangiare. Le verdure vengono servite già tagliate e ogni commensale ha una scodellina dove intingere carote e sedani. Piselli. È esilarante vedere, come è capitato a me, schizzare i piselli dal piatto come proiettili. Se accade significa che il cuoco era pessimo: dovrebbero essere morbidi. Di norma, basterebbe raccoglierli con la forchetta. Pollo. Anche se un commensale vi ricorda il detto popolare secondo cui pure la regina Margherita mangiava il pollo con le dita, lasciate perdere e continuate a usare forchetta e coltello. Il pollo è difficile da tagliare in tavola anche con il trinciapollo, fatelo in cucina dopo averlo mostrato, se volete, ai commensali. Polpette. Per qualche inspiegabile motivo servire polpette a una cena formale è considerato scorretto, probabilmente perché si può sospettare che siano preparate con gli avanzi. Quindi evitatele, anche se sono un piatto straordinario, in primis quelle di bollito. Sono vivamente consigliate dallo Sgalateo, che incoraggia il consumo di polpettine, cibo da mangiare con le mani e soprattutto da imboccare. Pompelmo. Si serve tagliato a metà e si consuma prelevando la polpa con un cucchiaino. Posacenere. Non si mette in tavola, mai, se non a fine pasto e dopo aver chiesto il permesso di fumare agli altri commensali. Al ristorante non si può più fare, ma non lamentatevi. È così bello ritrovarsi fuori sul marciapiede: si fanno molte conoscenze interessanti. Vietato però abbandonare il proprio ospite o accompagnatrice per interminabili pause. Posate. Oggi si tende a snellire il più possibile il numero delle posate. L'ideale è il tris: una forchetta, un coltello e un cucchiaio, se serve; man mano che si susseguono le portate si cambiano le posate. Posti. L'uomo siede alla destra della donna, le riserva il posto lungo la parete o che comunque le permetta di vedere la sala. Ogni uomo siede a fianco di una signora che non sia sua moglie (o compagna). Nel caso di due coppie, ogni signora siederà alla destra dell'uomo che non è suo marito. Se invece l'uomo e la donna siedono da soli, ai due lati consecutivi di un tavolo quadrato, lui siederà alla sua destra per poter utilizzare il braccio destro e quindi versarle da bere con più agio. I signori siedono un attimo dopo le signore. Lo so, non lo fa quasi più nessuno tranne che in certi adorabili ambienti. Durante il pasto se una signora si allontana dal tavolo, per qualunque motivo, gli uomini si alzano contemporaneamente a lei, si risiedono appena si allontana e si rialzano appena riappare. A una cena in casa privata, ricordate, l'ospite d'onore uomo si siede alla destra della padrona di casa, mentre l'ospite d'onore donna si siede alla destra del padrone di casa. Prenotazioni. Se avete prenotato in un ristorante e poi per qualsiasi motivo cambiate idea, soprattutto se il locale possiede coperti limitati, telefonate sempre per disdire. All'estero nei ristoranti stellati si lascia il numero di carta di credito perché in caso di mancato avviso viene addebitata una mora. Presentazioni. Prima di imparare qualsiasi altra regola, la buona educazione ci impone di presentarci ogni volta che ci troviamo a dividere una tavola. In teoria dovrebbero pensarci i padroni di casa, ma se chi ospita è assente lo faremo noi dicendo il nostro nome con un sorriso accompagnato da un buongiorno o da un buonasera. Prezzemolo. Che dilemma, dire o non dire della fogliolina di prezzemolo tra i denti del nostro commensale. Sì, meglio dirlo. Basta sussurrarlo discretamente in un orecchio. Ribes e frutti di bosco. Si servono in coppette con il cucchiaio da frutta. Reclami. Nel caso di un cibo malcucinato, di un vino che sa di tappo o di una posata o un piatto non pulitissimi, ci si limita, senza recriminazioni, a chiedere che vengano sostituiti spiegando il problema con gentilezza. Con educazione e garbo è giusto sottolineare gli errori da parte della cucina o del servizio, nei locali pubblici. È peraltro di cattivo gusto mostrarsi incontentabili, critici, polemici, commentare la scelta dei piatti al cameriere o parlare dei propri disturbi intestinali agli altri ospiti. Ricci di mare. Solo se volete male ai vostri ospiti li servirete a una cena formale. Meglio lasciare questo ingrediente sensuale per uno spaghetto a due, magari cucinato insieme e consumato su una terrazza al tramonto. Riso e risotto. Si mangia con la forchetta, non si soffia sul risotto e non si allarga nel piatto come si vede fare. Ritardo. Mai arrivare in ritardo a un appuntamento galante, anche se alla signora è permesso un indugio di dieci minuti. Se arriviamo in ritardo in una casa privata o al ristorante è d'obbligo telefonare per avvisare. Sale e pepe. Non si chiede al ristorante di classe se non strettamente necessario, è come sottolineare che il piatto non era perfetto. In casa, durante i pasti quotidiani si mette in tavola, ma è meglio non farne uso. Salame. In una cena formale non si serve. Con gli amici e in famiglia ben venga qualche fetta di salame. Si può prendere con le mani e mangiarlo accompagnato dal pane; si eviti il classico panino, a meno che non ci si trovi a un bel picnic. Salmone. Si consuma con le posate da pesce, se accompagnato da crostini non va messo sul pane ma consumato a parte. Salse. Le salse non si raccolgono se non con il salsacoltello, una posata a forma di cucchiaio, ma con un lato tagliente creata apposta per tagliare e tirar su ciò che rimane nel fondo del piatto. Scampi. Serviteli già sgusciati quando è possibile. Consigliati per le cene private a due. Scarpetta. Mi dispiace, ma il galateo non ammette scarpette di sorta e soprattutto non tollera surrogati, e cioè tutte quelle pratiche che i commensali ingegnosi si inventano per raccogliere un buon sugo dal fondo del piatto. Non esistono deroghe. Via libera alla scarpetta, invece, nelle riunioni familiari e per lo Sgalateo. Segnaposti. È un bel gesto predisporre i segnaposti quando si hanno tanti ospiti e soprattutto se vogliamo mantenere la regia a tavola. Potete sbizzarrirvi con oggetti di ogni genere, che servano da supporto al cartoncino sul quale sarà scritto il nome. Soffiare. È molto maleducato soffiare sul cucchiaio o sul piatto per raffreddare il cibo. Sottopiatti. Sono utili e doverosi nelle cene formali, belli quelli in argento, ma sono ammessi tutti i materiali. Spaghetti. Si mangiano arrotolandoli alla forchetta, che non va puntata sul piatto, ma tenuta leggermente inclinata, quasi orizzontale. Si raccolgono pochi fili di pasta per volta, in modo da portare alle labbra un boccone piccolo. Evitate accuratamente risucchi di ogni tipo e rimasugli di sugo sul mento. Orribile l'utilizzo del cucchiaio o, peggio ancora, del coltello per tagliarli! Spumante. Quello secco non si serve mai a fine pasto insieme ai dolci. Se volete mostrarvi esperto di vino, dite «metodo classico», oggi lo spumante si chiama così. «Bollicine» pare sia superato, ma rende l'idea. Quando si stappa tenete la mano destra sopra l'imboccatura della bottiglia per evitare che il tappo colpisca qualcuno nella stanza e soprattutto cercate di essere silenziosi. Starnuto. L'ideale sarebbe reprimerlo, soffocarlo, ucciderlo, specialmente durante cerimonie e pranzi formali. Quando vi accorgete che lo starnuto sta arrivando, conviene alzarsi e procurarsi un fazzoletto pulito. Se proprio dovete restare seduti, voltate il viso all'esterno del tavolo e starnutite dentro il fazzoletto, badando di fare meno rumore possibile. In Giappone è considerato ripugnante starnutire a tavola. Stuzzicadenti. Come tutte le operazioni riguardanti il proprio corpo, stuzzicarsi i denti a tavola non è ammesso. In realtà i ristoratori dovrebbero mettere il contenitore degli stuzzicadenti in bagno. Se il fastidio è insopportabile, alzatevi dal tavolo. Sushi. Se non sapete usare le bacchette, non pasticciate inutilmente. Usate le mani, che è consentito, oppure chiedete una forchetta. Ogni pezzo di sushi va intinto nella soia dalla parte del pesce, mai dal riso. Le bacchette si appoggiano all'apposito utensile che assomiglia a un poggiaposate, e quando avete finito si mettono allineate sulla ciotola che contiene la salsa di soia. Al sushi bar, se sedete al bancone, non date soldi al maestro sushi presi dall'entusiasmo: non può toccarli. Tavola. Sulla tavola non si appoggia nessun oggetto, niente chiavi, occhiali, portafogli o telefoni. Tè. Si beve sorseggiando dalla tazza senza sollevare il mignolo, per carità. Non vi si inzuppano dolci o tartine, ma si alternano piccoli bocconi e sorsi di bevanda. La padrona di casa che invita per il tè predispone zucchero, latte e fettine di limone, qualche biscotto ed esorta gli ospiti a servirsi da soli dopo aver versato il tè nelle tazze. Toilette. Non c'è bisogno di annunciarlo rumorosamente, se si vuole andare in bagno ci si alza con un semplice «Scusate». Alle signore consiglio di non abbandonare per ore il proprio cavaliere ad aspettare al tavolo. Torta. Si mangia con l'apposita forchetta a tre punte. Tovaglia. La tovaglia, di qualsiasi colore sia, dovrà essere stirata alla perfezione e questo va fatto una volta che viene stesa sulla tavola, sopra un «mollettone», così si chiama il telo morbido di protezione alla superficie del tavolo. Scegliete tessuti naturali in colori contrastanti con i piatti la cui base, sarò tradizionalista, deve essere rigorosamente bianca. Tovagliolo. Solitamente piegato e posato sopra il piatto o il sottopiatto va a destra, ma si può semplicemente piegare a triangolo e adagiare sul piatto. Evitate piegature fantasiose e laboriose. All'inizio del pasto va steso sulle ginocchia, sempre dopo la padrona di casa o, al ristorante, dopo la persona che ha invitato. Non va mai legato al collo. Si usa prima di bere, sempre, e dopo aver appoggiato il bicchiere. Alla fine del pasto si lascia alla sinistra del piatto. In alcuni ristoranti di alto livello, prima del servizio del dolce, il tovagliolo viene cambiato con uno più piccolo. È un atto di grande cortesia. Signore, cercate di non lasciare vistose impronte di rossetto, signori non usatelo per detergervi il sudore dalla fronte. Ubriachezza. Può succedere che un ospite esageri con l'alcol: che fare? Un bravo anfitrione cerca di arginare come può la serata, ma di certo non lo abbandona fuori dalla porta a fine cena. Si preoccupa di accompagnarlo a casa e di assicurarsi che stia bene. Uomo. Uomini, ricordate! Basterà un gesto come aprirle la portiera o alzarsi nel momento in cui lei lascia il tavolo per farsi ricordare a lungo. Insomma, vi verrà perdonato anche qualche sbaglio, se saprete usare qualche galanteria al momento giusto. L'uomo entra per primo in un locale, comunica con i camerieri, versa da bere, si dimostra più interessato alla compagnia che al cibo, conversa e dovrebbe pagare il conto. Uova. Non si usa mai il coltello, in qualsiasi modo siano cucinate. Lo si può usare solo per tagliare il prosciutto o la pancetta che le accompagna. Uva. Va tenuta con la mano sinistra, mentre con la destra si staccano gli acini che andranno alla bocca. Verdure. Non si tagliano mai con il coltello. Vino. Non si versa mai sino al collo del bicchiere. Si stappa sempre davanti agli ospiti, e così pretendete al ristorante. Si fa scegliere alla signora e se questa si rifiuta si prende l'iniziativa chiedendo almeno «bianco o rosso». Chi invita, sia a casa sia al ristorante, propone i vini e chiede se gli invitati sono d'accordo. Il vino non si mescola con l'acqua e non deve essere raffreddato con il ghiaccio. Si lascia in un secchiello di qualsiasi materiale, possibilmente su un tavolino a parte. Zotico. È l'epiteto che si merita chi a tavola pecca di prepotenza e maleducazione. Per neutralizzare lo zotico recidivo è necessaria più fermezza che ironia, la seconda non la coglierebbe. Un seccato richiamo ha più probabilità di venire accolto. Zuppa, zuppiera. Non si soffia sulla minestra o la zuppa. In Inghilterra, il cucchiaio non viene introdotto in bocca di punta, ma appoggiato lateralmente alle labbra. In Italia il cucchiaio viene introdotto in bocca di punta. Ma ciò non vuol dire, beninteso, che lo si debba inghiottire fino al manico. È tollerato che, arrivati agli ultimi cucchiai di minestra, si sollevi appena il piatto inclinandolo verso il centro della tavola. Zuzzurellone. Avete presente quei soggetti che pur essendo adulti si comportano come ragazzini e si divertono a fare i giocherelloni? È il buontempone, il burlone che a tavola gioca con il cibo, estenua i commensali con storielle imbarazzanti, indovinelli, racconti di vita privata e via discorrendo. Basterà ignorarlo senza ridere delle sue battute pesanti per neutralizzarlo.

Pagina 160

Saper vivere. Norme di buona creanza

193339
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 2012
  • Mursis
  • Milano
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L'uomo perfettamente bene educato deve prestare il suo giornale, il suo orario, il romanzo che legge, alla prima richiesta di un compagno o di una compagna di viaggio: deve sempre sapere il nome della stazione, in cui si arriva: deve sempre aprire o chiudere lo sportello, sollevare o abbassare le tendine, chiamare il conduttore, il facchino, parlamentare col capostazione. L'uomo perfettamente bene educato, in barca, in omnibus, in carrozza, in ascensore, in automobile, in cima a una torre, in fondo a una cripta, deve sempre eclissarsi innanzi alle signore, lasciando loro il miglior posto, o guidandole, scortandole, proteggendole. Egli, in albergo, non fa chiasso, non canta, non ride, non urta nei mobili, non batte alle porte, non suona a distesa: in ascensore, sta sempre col cappello in mano, se vi è qualche signora; a table d'hôte viene in frack o in smoking, sempre a tempo; si serve modestamente, non mangia molto, non si ciba, ma gusta il pranzo; non si mette a fumare, prima di arrivare al fumoir; non sequestra i giornali nel salon de lecture; non legge quello che scrive la sua vicina nella salle d'écriture. L'uomo perfettamente bene educato, nei teatri, nei café - chantant, nei musei, nelle gallerie, non toglie la visuale a nessuno e se la lascia togliere, senza mormorare. L'uomo perfettamente bene educato, in viaggio, è una vittima: ma ha qualche consolazione. Talvolta, egli incontra una compagna di viaggio che, stupita di trovarsi con un uomo bene educato, dopo aver incontrato tutti uomini male educati, s'innamora perdutamente di lui.

Pagina 114

Nuovo galateo. Tomo II

195306
Melchiorre Gioia 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Le gride lombarde del XVII secolo dicono: E perché da alcun tempo in qua è stato introdotto un abuso di portar certe montère in cambio di cappello, fatte in maniera che si allargano per coprir la faccia e servono di maschera, potendosi al punto alzare ed abbassare, con che li male intenzionati se ne vogliono per non esser conosciuti, nè poter esser posti chiaro et castigati, perciò si proibisce sotto pena di 100 scudi che si fabbrichi, si venda, si porti questa specie di cappello. Vedi le Gride 18 luglio 1633, 6 dicembre 1633, se luglio 1634, 10 maggio 1638, 9 aprile 1648, 6 febbraio 1649. Nelle forme de' cappelli attuali non si vede il perfido scopo di nascondere il volto de' delinquenti e sottrarli al guardo della Polizia giudiziaria. Di quella vecchia usanza onesta si varrebbero oggidì gli aggressori, i quali, per non essere conosciuti, si pongono una maschera sul volto. Quando poi alle ridicolosaggini della moda, io non ricorderò nè l'uso di portare l'una calza alla gamba d'un colore, e l'altra d'un altro, né i ventri finti che s'applicavano gli uomini, per cui sembravano tutti pantaloni, nè le finte natiche delle donne; ma dirò che nel XV secolo la torre che sorgeva sulle teste femminili, sostenuta da due corni laterali che s'incurvavano all'estremità superiore, questa torre, dissi, ergevasi in alto e si estendeva in largo in modo che quando Elisabetta di Baviera, sposa di Carlo VI re di Francia, tenne corte a Vincennes nel 1416, fu necessario alzare ed allargare le porte, acciò potessero passar la regina e le sue dame. Si può concepire un'idea della bizzarria dei nostri maggiori dall'uso seguente: « Quando l'abate » di Figeag (piccola città nel Querci), diceva » Saint Foix nello scorso secolo, fa il primo ingresso » in questa città, il signore di Meutbrun » de la Roque, vestito da arlecchino ed una gamba » nuda, è obbligato di condurlo sino alla porta » della sua abbadia, tenendo la briglia della sua » cavalla; poscia pranzano insieme l'abbate e » l'arlecchino ». (OEuvres, t. V, p. 376). III. Ne' secoli XV e XVI si davano in Francia alla minuta pasticceria da mensa le forme più oscene e i nomi più infami. Champier che fioriva verso la prima metà del XVI secolo, dopo d'avere descritto le diverse pasticcerie accreditate al suo tempo, dice; « Quædam pudenda muliebria, aliae » virilia (si diis placet) repraesentant. Sunt quos » C... saccharatos appellitent. Adeo degeneravere » boni mores, ut etiam christianis obscæna » et pudenda in cibi placeant». Negli stessi secoli ed anche nel XVII si vedevano sulle mense francesi fontane zampillanti, che somministravano il vino, l'ipocrasso (liquor fatto con vino, zucchero e cannella), ed altri liquori. Ordinariamente scorreva nel tempo stesso acqua di rosa od altre ugualmente odorose, onde profumare le sale; fin qui noi facciamo applauso ai nostri maggiori. Le loro idee di decenza però erano diverse dalle nostre; infatti quelle fontane modellate a forme diverse rappresentavano talora: Una donna, dalle poppe della quale scorreva l'ipograsso; Un fanciullo, >« Le quel, dice le Grand d'Aussi, pissoit de l'eau de rose; « Il quale pisciava acqua di rosa». Una fanciulla, e il vino scorreva da tutt'altra parte che da' suoi bagli occhi neri. (Hist, de la vie privée des François, t. III, p. 198-199). Al tempo di Luigi XIV e XV (fine del XVII e principio del XVIII secolo) i Francesi, oltre di cantare a mensa e bere insieme, si permettevano anco di abbracciare le donne; la quale indecenza cessata ha indotto un poeta a dire:

Pagina 279

Le buone usanze

195647
Gina Sobrero 1 occorrenze
  • 1912
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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Solo scrivendo ad un sovrano, ad un alto prelato si firma umilissima; una donna non deve mai abbassare sè stessa, anche se per modestia, si sente inferiore ad altri. Una signora giovane non scrive nè riceve lettere da un giovanotto, a se per circostanze speciali è costretta a farlo, sia molto cauta nelle espressioni; non è quistione di moralità, ma di prudenza; l'uomo migliore può, per mille ragioni interpretare male le sue frasi più semplici, e farsene un'arma contro di lei. Se è vedova non aggiunge al proprio nome questo appellativo, salvo che negli atti pubblici. Scrivendo ad un inferiore sono da osservarsi le stesse regole; per di più, tanto l'uomo che la donna aggiungono al proprio nome il titolo, se lo hanno. Un uomo scrivendo ad una signora non si firma per esempio: ingegnere tale, dottore tal altro, a meno che sia sconosciuto dalla destinataria e le scriva per un incarico avuto o per chiedere un favore. Egli può dichiararsi nella chiusura della sua missiva; devotissimo, umilissimo, ecc., può terminarla con una frase cortese, per esempio: signora mi comandi sempre; pronto ai suoi ordini, ecc.; può dire, se c'è un certo grado di intimità, signora, le bacio la mano, ecc. Con tutto questo egli non perde affatto di dignità. Sull'indirizzo si mette il titolo, la professione e il nome senza farli precedere da nessun aggettivo; chiarissimi, nobilissimi, ecc., sono diventati patrimonio della gente volgare. Le formole che adesso si usano sono le seguenti: Contessa X. di L., Ingegnere I. R. , poi il nome della via, la città, la provincia, la nazione, tutto scritto chiaro, distinto, per evitare imbrogli e fatica inutile all'impiegato postale. Ad una persona di famiglia titolata, ma non tale per matrimonio, si fa precedere al nome aggettivo nobile; così Nobil donna Rosa...; Nobile tale dei tali. Anzi per un uso gentile oggi si fa precedere l'aggettivo nobile a qualunque nome di donna che non vanti nè per eredità, nè per le nozze contratte, un titolo qualunque. È giusto; poichè è un omaggio reso alle nostre donne, tante volte così nobili, anche se l'almanacco di Gotha non se ne immischia. Ora s'usa molto dire semplicemente, per esempio: donna Maria O. Ad un fornitore si mette sulla busta: Sig. X., e poi la professione; se si scrive per caso ad un domestico, a una cameriera a servizio altrui, si ha cura di aggiungere: nella casa del Sig. X., della contessa Z., ecc. Una lettera va affrancata secondo il suo peso; è vera ineducazione imporre una tassa a chi ci legge. Si può mandare il francobollo per la risposta solo ad un inferiore per non aggravarlo di questa spesa, oppure ad una casa di commercio a cui si è chiesta qualche informazione: è scortesia in tutti gli altri casi. Una lettera di presentazione, di raccomandazione, va consegnata aperta alla persona di cui è quistione; è quindi sconveniente di trattarvi affari di ordine privato. Invece si può benissimo chiudere una lettera che altri si incarica di far recapitare per noi, e in cui non si tratti della persona che ci fa il favore. Pregando alcuno di impostare una lettera, bisogna prima affrancarla, chè sarebbe scortesia dargli il carico della spesa o consegnargli in mano il prezzo del francobollo. Nella nostra vita rapida, febbrile, abbiamo trovato il mezzo di abbreviare la lettera, riducendola ad una cartolina postale; brutto mezzo che toglie tutto quanto ha di intimo e di caro la corrispondenza coi lontani. Non si scrive mai una cartolina ad un superiore, nè ad una persona colla quale si abbiano semplici relazioni di società; un uomo non lo scrive mai ad una signora. La cartolina deve contenere in breve l'oggetto, che interessa, non vi si mettono frasi d'affetto, non vi si trattano questioni che possano compromettere chi la riceve; siffatte missive passano per cento mani prima di giungere a destinazione, in ogni frase che scriviamo è un lembo della nostra anima, ed a chiunque sente finemente, non può far piacere il sapersi in balìa degli indifferenti. Si può scrivere una cartolina ad un negoziante per dargli una ordinazione, ad un servo per annunziare il nostro arrivo: ma in complesso essa è un mezzo troppo economico, ed occupa tra i vari generi di lettere il posto che occupa la tranvia tra i veicoli: mezzo di locomozione che tutti abbiamo adottato per economia e comodità, ma di cui non si servirà mai una gran dama che ha la fortuna di possedere una vettura propria. Il telegramma è una lettera nervosa che dobbiamo usare il meno possibile per non far sentire agli altri le conseguenze dei nostri nervi. I telegrammi devono essere scritti con chiarezza quando si consegnano all'impiegato telegrafico e debbono rappresentare esattamente il nostro pensiero, per non costringere chi li riceve a torturarsi il cervello nell'interpretazione. I baci, le carezze, le espressioni troppo affettuose non debbono trovar luogo in un telegramma per la ragione che ho detto prima. Bisogna aver riguardo di spedirli in ore tali da non suscitare inutilmente in chi li riceve spavento od emozioni. Questo naturalmente quando non si tratta di casi urgenti.

Pagina 122

Galateo morale

196704
Giacinto Gallenga 2 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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M'è avviso che non si potrà giammai nutrire solida speranza sul rapido progresso della civiltà in un popolo che si lascia predominare dalla vile passione del lotto, talmente da incoraggiare il Governo ad accrescere, in mezzo alle generali miserie, le così dette ricevitorie e ad abbassare le poste in modo da rendere accessibile questo giuoco alle più minute fortune, fomentando così il vizio nelle popolazioni, e deprimendone a viva forza le condizioni morali sotto il povero pretesto di rialzarne le condizioni economiche! No! un paese non potrà dire giammai di trovarsi sul cammino del suo progresso finanziario (degli altri non occorre parlarne, perché nessuno oserebbe dire che potessero marciar di conserva colla libidine del guadagno, coll'ozio, coll'avvilimento che accompagnano questa perversa abitudine), finché il prodotto di quell'immoralissimo giuoco nel quadro delle entrate indirette sarà quello che darà maggiore e ognor crescente risultato di somme, che non quelle prodotte da tutti gli altri balzelli. La prosperità materiale di un popolo non può sposarsi a ciò che tende a vituperarlo e a rovinarlo; e il guadagno apparente del tesoro pubblico, guadagno deturpato dalla vergogna e dalla miseria di chi si lasciò indurre a fornirglielo, si deve poi scontare con più enormi deficienze derivanti dall'infingardaggine e dal pervertimento delle classi che sono vittima di quella sconcia passione.

Pagina 149

Pagina 354

Otto giorni in una soffitta

204595
Giraud, H. 1 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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. - Bisogna abbassare la fiamma. - Forse è cotto, - aggiunge Maurizio. - No, non è cotto. Guarda com' è diventato brutto, - risponde Alano. Riaccendono il fornello, e ricominciano abbassando la fiamma. Questa volta non vuol più bollire, e quando infìne si decide, non va affatto meglio. Il semolino è tutto un grumo. Credi che sarà buono? - domanda Maurizio. Alano non è ben sicuro, Francesco alza le spalle per far capire che non lo sa. Non c' è che Nicoletta che è già sicura del resultato. - Sarà molto buono, - decide essa. Povera Nicoletta! Quando, alla fine, la minestra è cotta, bisogna che la mangi; ma allora sembra che cambi parere. Comincia col bruciarsi un poco. - È buona? - domanda una voce ansiosa. E Nicoletta risponde, con voce lamentosa: - Sì.... ma credo che non abbiate messo il sale. - Il campo dei cucinieri è costernato. Hanno dimenticato perfino di portarlo, il sale. Maurizio propone di andare a prenderlo. Ma prima propone a Nicoletta di portare dello zucchero al posto del sale. - Sarà più buona, - egli dice. Ma ad ogni modo non potrebbe esser più cattiva. Nicoletta è stoica: mangia la sua minestra. La mattina ha preso una limonata purgativa e un decotto d'erbe, e quella minestra completa la giornata. Quando ha finito, Alano getta un grido: hanno

Pagina 83

Il giovinetto campagnuolo II - Agricoltura

205750
Garelli, Felice 1 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Si fanno altresì le colmate di monte, per abbassare poggetti; per colmare con la materia tolta a questi le forre, o i burroni adiacenti; e per convertire ripide balze, improduttive, in dolci e fertili declivi. Queste colmate si fanno con le acque di pioggia, dirette ed accompagnate dall'opera dell'uomo. DOMANDE: 1. È utile lo spietramento dei terreni ingombri di sassi? 2. Quali svantaggi presenta un terreno a superficie irregolare? - Come se ne fa lo spianamento? 3.Quando si ricorre alle colmate? - Come si eseguiscono? - Quali sono le colmate di monte? - E come si fanno?

Pagina 64

Lo stralisco

208422
Piumini, Roberto 2 occorrenze
  • 1995
  • Einaudi
  • Torino
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— disse, senza abbassare lo sguardo. — Sí, Madurer. Sono qui, — disse il burban a bassa voce. Anche lui, invisibile sul cuscino, respirava profondamente. Il suo fiato, piú vasto e lento di quello di Madurer, sembrava l'onda del vento che piegava lo stralisco.

Pagina 45

. — Alla fine, — disse il Signore facendo abbassare subito la voce di tutti, — alla fine ci siamo detti: scelgano loro. Piú di tutti noi, voi sarete rispettosi della vostra differenza, e generosi nella decisione. Scegliete dunque, maestri, chi di voi, se vorrà, potrà svolgere questo incarico prezioso, per il quale è annunciata, naturalmente, una generosa ricompensa. Non bisogna che lo facciate subito, s'intende. Il Doge tacque. Senza guardare il fratello, Giovanni prese la parola. — Illustre Signore, e voi nobili Anziani, non mi occorre consultare mio fratello Gentile io lo indico senza dubbio, e subito, come il piú adatto alla missione, la cui proposta onora anche me. Io non voglio, e certo nemmeno lui, discorrere qui, per questa ragione, sui diversi modi della nostra arte: cioè di come io penso e faccio le opere di pittura, o di come le pensa e fa lui... Se voi avete discusso, se vi siete accalorati, è stato vostro diritto e gioco: ma noi, quando insieme scoprimmo sotto lo sguardo amoroso e leale di Jacopo nostro padre, le diversità del nostro stile, subito le accettammo ed amammo come fossero parte dell'uno e dell'altro: in tale modo che mai ne vorremmo o sapremmo fare oggetto fra noi di discussione, e tanto meno di preferenza e contesa. Altre ragioni, in verità decisive, spingono invece a scegliere Gentile per questa missione: accade infatti che, come forse sapete, io stia in pieno lavoro alla Scuola Grande: e ad un punto tale che, interrotto o affidato ai soli aiuti, il danno sarebbe irreparabile, e la spesa rovinata. Un viaggio come quello che proponete, poi, richiede forza e buona salute: e io, benché qualche anno più giovane di mio fratello, sono di natura piú fragile e malsana. Vado soffrendo da mesi un perfido male ai piedi, che mi costringe a dipingere seduto, e non mi permette di sopportare altri viaggi che quello da casa mia a San Marco... Gentile ha tempra robusta, adatta ai viaggi, e per di piú ha da pochi giorni dato l'ultima pennellata al Salone del Maggior Consiglio, proprio oltre quella parete. Egli è dunque libero da impegni presenti, e nessun contratto lo lega per i prossimi mesi. Infine, rivelo che in un periodo della giovinezza in cui io ero affidato a una balia a Treviso, a causa della mia debole salute, Gentile ebbe una balia turca qui a Venezia, che gli raccontava storie dell'Oriente e gli insegnò la misteriosa lingua di Costantinopoli. E Gentile cosí bene l'apprese, che sempre era lui ad accompagnare nostro padre Jacopo alle fiere di piazza, dove i mercanti del Levante vendono terre colorate e i preziosi pennelli damasceni. Vedete dunque, Signore e Venerabili, come sembra che la stessa mano di Dio si sia mossa a indicare quale di noi due possa, se vorrà, prendere la via. E Giovanni, sbirciando questa volta Gentile con un sorriso truffaldino, abbassò la faccia come colui che umilmente s'apparta. Gentile sorrise. Il Doge, guardandolo, lo incoraggiò a parlare. — Signore illustre, e Anziani venerabili, — disse il pittore, — nonostante quello che mio fratello ha detto, pur accettando come sacra e benedetta la differenza delle nostre pitture, io sono nell'animo convinto che egli sia miglior pittore di me. Tuttavia, quello che lui dice sul corso dei nostri lavori, sul suo malanno, e sulla mia conoscenza della lingua turca, è la verità. Inoltre, io non nego che un viaggio nelle terre d'Oriente molto mi piacerebbe, giacché ricordo le storie che non solo la balia turca, ma nostro padre ci raccontava: storie di cavalieri e cavalli straordinari, di leoni e deserti, stupende magie e musiche, damigelle incantate. Io e Giovanni lo ascoltavamo in silenzio, seduti ai suoi piedi, con la schiena contro il muro del campiello ancora caldo di sole: e l'odore salato del canale diventava per noi il profumo dei porti d'Oriente. Alla fine, ricordi, Giovanni? nostro padre diceva: «E domani, pesciolini, ve ne conterò una nuova! » Giovanni Bellini, che durante il racconto di Gentile aveva mutato la sua espressione allegramente cospirativa in una di intensa e commossa memoria, alzò verso il Doge gli occhi rossi di pianto. — Miei cari, miei cari, — disse il Signore, sporgendosi in avanti sullo scranno, dopo una pausa rispettosa, — mi sembra che quello che occorreva sia ottenuto. Giovanni non può, e non vuole. Gentile vuole e può. A voi va bene, a noi va bene: anche all'illustre Maometto piacerà.

Pagina 81

La freccia d'argento

212020
Reding, Josef 1 occorrenze
  • 1956
  • Fabbri Editori
  • Milano
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Be', potrebbe almeno abbassare un po' il volume del suo altoparlante! Andiamo a vedere che cosa succede. Benissimo! La porta è aperta. Ecco, la nostra macchina è già avviata. Primo quadro: lo studio dell'avvocato Ramthor. Personaggi: l'avvocato, sua moglie, la loro figlioletta Carin e il giardiniere Waldemar. Tutti tacciono, perché parla lui, il dottor Ramthor. Sentiamo un po' che cosa dice. Innestiamo quindi anche la registrazione sonora. -... Ve lo dico e ripeto per la quarta volta. Con le mie stesse mani ho preso questo libro, La struttura psicopàtica del cleptòmane recidivo, e l'ho rimesso nello scaffale, esattamente al posto dove si trovava prima. Patapumfete... il libro è caduto all'indietro! Notate bene: all'indietro! Non sarebbe caduto all'indietro, se ci fosse stata ancora la parete posteriore! Una parete di compensato dello spessore di tre millimetri, lunga tre metri ed alta due. E dov'è andata a finire questa parete? Vo...glio an...da...re a fon...do del...la que...stio...ne! La voce del signor avvocato diventa stridula e fa una stecca. Qui tira aria di tempesta! È meglio che lasciamo lo studio e la casa e ce ne andiamo altrove a caccia di novità. Non è necessario però andar troppo lontano: dal solaio del gran casamento di piazza Wieland giungono degli strilli al nostro orecchio, come dianzi da casa Ramthor. Questa volta però è un coro a più voci. Salire inosservati in solaio è per noi una bazzecola, ché siamo agili come scoiattoli. Ancora una volta mettiamo in azione la nostra macchina da presa. Un solaio ingombro di vecchie lettiere arrugginite, un grammofono antidiluviano a tromba, cataste di vasi da fiori, vecchi mastelli da marmellata, paralumi... e una carrozzina da bambini di dimensioni eccezionali. Torno torno, in un gruppo pittoresco, sono radunati il facchino Kroppke, il macchinista delle ferrovie Spandig e alcune donne. Attenzione! Anche il sonoro è in azione. - Ma certo, Spandig, lei può prendere senz'altro la carrozzina dei gemelli. Tanto a me non serve più. I miei due ragazzi hanno ormai tredici anni. - Era il facchino Kroppke che parlava, con la sua voce di basso profondo. - Ih, ih, ih! Ma guarda! Tredici anni! Proprio l'età ingrata! - Naturalmente quella era una delle donne. - Grazie infinite, Kroppke! Due eredi in una volta sola non me li aspettavo davvero, e alla nostra vecchia carrozzina non so come avrei potuto attaccare un rimorchio. Questa è robustissima e durerà chissà per quante generazioni ancora? È a prova di bomba! - Chi parlava era il macchinista Spandig. - Oh, giusto? Il suo Klaus, quello scavezzacollo, ce la fa senz'altro a metterla in pezzi! Quello fracassa tutto! - Naturalmente era ancora una delle donne. - Be', io allora me la prendo e vado! - E questo era Spandig. - Ma non ci sono le ruote! - Era Spandig di nuovo. - Guarda, guarda, che stranezza! Mancano le ruote! - Questo era il coro delle donne al completo. - Perdindirindina! Dove sono andate a finire le ruote?! - Era il facchino Kroppke che urlava, ed era fuori di sé. ... Anche qui l'aria si fa incandescente, e perciò ci affrettiamo ad andare qualche isolato più in là. Ci rechiamo a far visita a un signore che dovrebbe essere la calma in persona: il cappellano Holk. Egli è il direttore spirituale dei ragazzi della tribù di San Michele e basta guardarlo per capire che deve tener testa a dieci dozzine di ragazzi, perché nella sua chioma bionda ci sono all'incirca dieci dozzine di capelli bianchi: un capello bianco per ogni ragazzo. Per il cappellano Holk tutti si butterebbero nel fuoco, e altrettanto farebbe lui per i suoi monelli. Però in questo momento il cappellano non si butta nel fuoco, ma cerca i suoi occhialoni da motociclista, perché fra pochi minuti deve andare in periferia, da un malato grave. Ma il reverendo non riesce a trovare i suoi occhiali. Cerca, cerca! Cerca sotto il breviario, dietro il telefono, dietro la Santa Cecilia (la statua, s'intende), dietro l'armonio e dietro lo scaffale dei libri... Non ci sono? Il cappellano comincia a perdere le staffe. Tu però non ti stupisci, perché sai fin dall'inizio del capitolo che, per lo più, i cittadini di C. sono fuori dei gangheri. Anche senza gli occhialoni, il cappellano Holk schiaccia l'avviamento e inforca la sua motocicletta.

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Al tempo dei tempi

219283
Emma Perodi 1 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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A un tratto s'accorse che il cavaliere col serpente sull'elmo non le levava gli occhi da dosso, anzi, quando anche non voleva, era costretta da quello sguardo ad accostarsi a lui e ad abbassare gli occhi. Un po' per la minaccia del padre e il timore d'essere rinchiusa per tutta la vita nella torre, un po' per quello sguardo affascinante che pareva le comandasse: «Devi scegliere me! Devi scegliere me!» Mariuccia lo scelse davvero, e terminato il banchetto andò dal padre. - Li hai guardati bene, hai scelto? - le chiese il Principe. - Sì, signor padre, ho scelto il cavaliere col serpente sull'elmo. - Il padre storse la bocca. - Fra tanti principi, baroni e conti, che tutti conoscono e hanno feudi a bizzeffe, sei proprio andata a scegliere quello che non si sa chi sia, nè di dove venga! - Eppure è il solo che sposerò fra tutti. - Il Principe aveva promesso di contentarla, e quella sera stessa dichiarò a tutti i pretendenti che il prescelto era il cavaliere col serpente sull'elmo. Questi si fece avanti, chinò un ginocchio in terra e disse al Principe che era altamente onorato della scelta della Principessina e lo pregava di farla chiamare per scambiar subito con lei promessa di matrimonio e offrirle i doni che aveva recati. Il Principe, naturalmente fece chiamare la figlia, che comparve magnificamente vestita, ma quando si vide davanti lo sposo, tremò tutta, perchè le parve che la guardasse più come un serpe che come un cristiano. Ma aveva promesso e si lasciò complimentare da lui e offrire monili bellissimi di zaffiri e smeraldi, di carbonchi e diamanti; ma appena il cavaliere se ne fu andato, Mariuccia incominciò a piangere dicendo: - Povera me, che scelta ho fatta! Povera me, che scelta ho fatta! Quello m'inghiottirà in un boccone come inghiottisce i polli; quello non è un cristiano, ma un animale! - Mentre piangeva così, si rammentò del cavallino sauro al quale tutti i giorni portava una bella razione di biada e che in quel giorno aveva trascurato. Scese nella scuderia, prese l'orzo e glielo porse. Ma il cavallino contrariamente al solito lo rifiutò. - Che hai, cavallino bello? - gli chiese la ragazza, prendendogli il muso fra le mani - hai sete? - E gli porse da bere. Ma il cavallino rifiutò la limpida acqua che Mariuccia gli offriva, come aveva rifiutato l'orzo. Allora ella gli alzò la testa per guardarlo bene e s'accorse che il cavallino piangeva. - Ma che hai che piangi - Piango per te, - rispose il cavallino sauro. - Piango perchè hai scelto per isposo chi non dovevi scegliere. - E perchè non lo dovevo scegliere? - Perchè il cavaliere al quale hai dato promessa è un certo tale che per sette anni è uomo e per sette anni è serpente. - Ah, povera me! - esclamò Mariuccia. - Per questo inghiottisce i polli interi e ha negli occhi quello sguardo di serpe! - Sicuro, e io piango perchè ti voglio bene e non posso vederti infelice. - Liberami da lui, cavallino bello, e ti farò una mangiatoia tutta d'argento e ti terrò come terrei l'amica più cara. - Il cavallino sospirò e rispose: - Ora non posso liberarti. Bisogna che stanotte io parli col Mago della grotta. Vieni qui domattina e forse ti potrò aiutare. - Com'era disperata Mariuccia! E dire che quella sera doveva assistere a un gran ricevimento e presentare a tutti il cavaliere come sposo! Invece di farsi

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Mitchell, Margaret

222010
Via col vento 6 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Invece di abbassare gli occhi o di guardarla con aria di sfida come facevano le altre donne allegre quando si trovavano dinanzi alle signore, Bella aveva ricambiato il suo sguardo, fissandola con un'espressione quasi compassionevole che aveva fatto salire le fiamme al volto di Rossella. Ma ora non poteva accusarlo; non poteva adirarsi, chiedergli fedeltà né svergognarlo, come non poteva scusarsi di averlo incolpato della morte di Diletta. Si sentiva oppressa da un'apatia stupefatta, da un'infelicità che non riusciva a comprendere, un'infelicità piú profonda di qualunque cosa ella avesse mai conosciuto. Era abbandonata come non era mai stata. E aveva paura di non potersi piú rivolgere a nessuno, eccettuato a Melania. Perfino Mammy, il suo principale appoggio, era tornata a Tara. Tornata per rimanervi. Non aveva dato spiegazioni della sua partenza. I suoi occhi stanchi avevano guardato con tristezza Rossella, quando le aveva chiesto i danari per il biglietto ferroviario. Alle lagrime, alle suppliche di Rossella che le chiedeva di rimanere, Mammy aveva solo risposto: «Mi pare di sentire miss Elena che dire: "Mammy, vieni a casa; tuo compito essere finito". Cosí io andare a casa». Rhett che aveva udito il discorso, le diede il denaro e le accarezzò un braccio. - Hai ragione, Mammy, miss Elena ha ragione. Il tuo compito qui è finito. Vai a casa. Se hai bisogno di qualche cosa fammelo sapere. - E poiché Rossella prorompeva in nuove insistenze: - Taci, sciocca! Lasciala andare! Come vuoi che qualcuno rimanga volentieri in questa casa.... adesso? Nei suoi occhi era una luce cosí strana e cosí viva, che Rossella indietreggiò sgomenta. - Dottor Meade, credete che possa... che abbia perso il cervello? - interrogò piú tardi, trascinata a consultare il dottore dalla propria inquietudine. - No, - disse il medico; - ma beve come un otre e se non la smette si ammazzerà. Voleva molto bene alla bimba, Rossella; e scommetto che beve per dimenticarla. Quello che vi consiglio è di dargli un altro bambino piú presto che potrete. - Ah! - esclamò Rossella amaramente, nell'uscire dallo studio. Era piú facile a dirsi che a farsi. Sarebbe ben contenta di avere un altro bambino, molti altri bambini, se in tal modo avesse potuto togliere quell'espressione dagli occhi di Rhett e riempire gli spazi dolorosi del proprio cuore. Un bimbo che avesse la bruna bellezza di Rhett, e un'altra piccina. Sí, un'altra piccina, bella, gaia, vivace, piena di risa, non come quella scioccona di Ella! Perché Dio non aveva preso Ella, se doveva toglierle uno dei suoi figli? Ella non le dava alcun conforto ora che Diletta era scomparsa. Ma sembrava che Rhett non desiderasse un'altra creatura. Almeno, non veniva mai nella sua camera, quantunque la porta non fosse mai chiusa, ma anzi socchiusa in maniera invitante. Pareva che non vi tenesse. Che non tenesse a nulla, se non al whisky e a quella donna sciupata coi capelli rossi. Era diventato amaro, mentre prima era piacevolmente beffardo; brutale, mentre le sue frecciate erano una volta temperate dalla celia. Dopo la morte di Diletta, molte signore del vicinato che erano state attratte dalle maniere graziose che aveva con la sua piccina, desiderarono mostrargli la loro simpatia. Lo fermavano per istrada per dirgli delle parole gentili o gli rivolgevano un saluto dai loro porticati o dai cortili. Ma ora che Diletta era scomparsa, anche le sue buone maniere scomparvero. Egli rispondeva brevemente e con asprezza ai saluti e alle condoglianze piú affettuose. Ma, cosa strana, le signore non si offesero. Comprendevano o credevano di comprendere. Quando lo vedevano passare al tramonto, tanto ubriaco che a stento si reggeva in sella, scansando quelli che volevano salutarlo, dicevano: - Povero diavolo! - e raddoppiavano i loro sforzi per essere buone e gentili. Provavano molta pena per lui che nel suo crepacuore non trovava a casa altro conforto che Rossella. Tutti sapevano quanto ella fosse fredda e senza cuore; ed erano inorriditi dell'apparente facilità con cui si era rimessa dal colpo provato per la morte della figliuola, non accorgendosi o non volendosi accorgere dello sforzo che si nascondeva dietro a quella tranquillità. Rhett aveva tutte le simpatie della città; cosa di cui non gli importava nulla. Rossella aveva le antipatie generali e, per una volta, avrebbe accolto ben volentieri la cordialità dei vecchi amici. Invece nessuno andava da lei, eccetto zia Pitty, Melania e Ashley. Solo i nuovi amici vennero, nelle loro magnifiche carrozze, ansiosi di mostrarle la loro solidarietà, di distrarla con pettegolezzi sul conto di altri amici di cui non le importava nulla. Tutti quei «nuovi venuti», tutti quegli estranei! Non la conoscevano. Non la conoscerebbero mai. Non sapevano che cos'era stata la sua vita prima di raggiungere quella salda posizione nella bella casa di Via dell'Albero di Pesco. Ed essi non le parlavano di quella che era stata la loro vita prima di avere i ricchi broccati e gli eleganti equipaggi. Ignoravano le sue lotte, le sue privazioni, tutto ciò che dava valore oggi alla grande casa, ai vestiti lussuosi, all'argenteria, ai ricevimenti. Non sapevano. Gente venuta chi sa da dove, che viveva alla superficie delle cose, che non aveva in comune con lei ricordi di guerra, di fame, di lotte, che non aveva radici che sprofondavano nella stessa terra rossa. Nella sua solitudine, le sarebbe piaciuto passare i pomeriggi con Maribella o con Fanny, con la signora Elsing o la signora Whiting e perfino con la temibile e bellicosa signora Merriwether. O con la signora Bonnell o... con qualsiasi delle vecchie amiche e vicine. Perché esse sapevano. Avevano conosciuto la guerra, il terrore, l'incendio, avevano visto morire persone care prima del tempo; erano state affamate e stracciate, avevano vissuto col lupo dietro alla porta. E avevano ricostruito la loro fortuna dalle rovine. Sarebbe un conforto sedere con Maribella, ricordando che anche questa aveva perduto un bimbo, morto nella pazza fuga dinanzi all'esercito di Sherman. Sarebbe un sollievo la presenza di Fanny, poiché entrambe avevano perduto il marito nei tremendi giorni della legge marziale. Sarebbe una triste gioia ridere con la signora Elsing, ricordando il viso della vecchia signora mentre spingeva a pazza corsa il suo cavallo il giorno in cui Atlanta era caduta, mentre il bottino di viveri presi al commissariato veniva disseminato per istrada. E sarebbe piacevole discorrere con la signora Merriwether, ormai sicura per la produzione della sua panetteria; piacevole dire: - Vi ricordate come andavano male le cose subito dopo la resa? Vi ricordate quando non sapevamo come avremmo fatto per procurarci un paio di scarpe? E guardate adesso come stiamo! Sí, sarebbe piacevole. Ora comprendeva perché, quando due ex-confederati si incontravano, parlavano della guerra con sollievo, con orgoglio, con nostalgia. Erano stati giorni che avevano messo alla prova i loro cuori; ma essi li avevano superati. Erano veterani. Anche lei era una veterana, ma non aveva camerati coi quali rievocare le vecchie battaglie. Oh, essere nuovamente con la propria gente, con la gente che era passata attraverso le stesse vicende e di cui conosceva i patimenti... eppure sapeva quanta parte di se stesso ciascuno vi aveva lasciato! Ma tutti costoro, non sapeva come, si erano allontanati. Capiva che era colpa sua. Non se ne era mai curata finora... ora che Diletta era morta ed essa era sola e spaurita; e vedeva dall'altra parte della sua lucente tavola da pranzo un estraneo bruno e ubriaco che dileguava dinanzi ai suoi occhi.

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Infatti, Mammy aveva sempre cercato di abbassare la sua presunzione. Il piccolo Wade non era piú una seccatura, perché tutta la famiglia, bianchi e negri, lo idolatravano; vi era un'incessante rivalità fra chi aspirava a tenerlo in grembo. Melania era specialmente tenera con lui. Anche nei momenti in cui urlava piú disperatamente, ella lo trovava adorabile e aggiungeva: - Che tesoro! Vorrei che fosse mio! A volte Rossella faceva fatica a dissimulare i propri sentimenti; trovava ancora che Zia Pitty era la piú stupida delle vecchie e la sua fatuità e inconsistenza la irritava in sommo grado. Aveva per Melania un'antipatia che andava crescendo col passar dei giorni; a volte le toccava uscire bruscamente dalla stanza quando Melania, raggiante di orgoglio amoroso, parlava di Ashley o leggeva ad alta voce le sue lettere. Ma in complesso la vita trascorreva felicemente quanto era possibile, date le circostanze. Atlanta era piú interessante di Savannah o di Charleston o di Tara, e offriva una tale quantità di strane occupazioni da tempo di guerra che ella aveva poco tempo per pensare o annoiarsi. Solo qualche volta, quando spegneva la candela e sprofondava la testa nei guanciali, sospirava e pensava: «Se Ashley non si fosse sposato! Se non dovessi andare a curare i feriti all'ospedale! Oh, se almeno avessi qualche corteggiatore!» Aveva immediatamente avuto orrore di fare l'infermiera, ma non poteva sfuggire a quel dovere, perché faceva parte dei due comitati, quello della signora Meade e quello della signora Merriwether. Questo significava quattro mattine della settimana in un ospedale opprimente e maleodorante, coi capelli avvolti in un asciugamano e un pesante grembiale che la copriva dal collo ai piedi. Tutte le signore di Atlanta, vecchie o giovani, facevano le infermiere con un entusiasmo che a Rossella sembrava un po' fanatico. Ritenevano che ella fosse imbevuta dello stesso fervore patriottico e sarebbero state scandalizzate se avessero saputo quanto poco le importava della guerra. Eccettuata la continua preoccupazione che Ashley potesse essere ucciso, la guerra non la interessava affatto; e se assisteva gli ammalati era unicamente perché non sapeva come potersi esimere da quell'obbligo. Certamente nel fare l'infermiera non vi era nulla di romantico. Per lei, significava gemiti, delirio, morte e cattivi odori. Gli ospedali erano pieni di uomini sudici, pidocchiosi, con la barba lunga; che puzzavano terribilmente e avevano nel corpo delle ferite tanto orrende da far rivoltare lo stomaco. Gli ospedali puzzavano di cancrena; era un odore che colpiva le narici molto prima che si aprisse la porta e che rimaneva a lungo nelle mani e nei capelli e la ossessionava nei suoi sogni. Mosche, zanzare e mosquitos volteggiavano ronzando e cantando a sciami nelle corsie, tormentando gli uomini che imprecavano e singhiozzavano debolmente; e Rossella, grattando le proprie punture di zanzara, agitava ventagli di foglie di palma finché le spalle non le facevano male; e allora si metteva a desiderare che tutti gli uomini morissero. A Melania, invece, sembrava non dessero noia gli odori, le ferite, le nudità; e Rossella trovava strano ciò, in quella che sembrava la piú timida e pudibonda delle donne. A volte, mentre reggeva bacinelle e strumenti al dottor Meade che tagliava delle carni incancrenite, Melania era pallidissima. E una volta, dopo una di quelle operazioni, Rossella la trovò in guardaroba che vomitava tranquillamente in un asciugamano. Ma finché si trovava dove il ferito poteva vederla, era gentile, allegra e piena di simpatia; gli uomini la chiamavano "angelo misericordioso". Anche a Rossella sarebbe piaciuto essere chiamata cosí; ma questo portava con sé il toccare uomini formicolanti di pidocchi, ficcare le dita nella gola di ammalati incoscienti per vedere se soffocavano per avere inghiottito una cicca; fasciare tronconi e togliere vermi dalla carne che si andava corrompendo. No, non le piaceva fare l'infermiera! Forse sarebbe stato sopportabile se avesse potuto usare del suo fascino sui convalescenti, perché molti di loro erano simpatici e di buona famiglia; ma essendo vedova non poteva farlo. Le signorine della città, a cui non si permetteva di andare all'ospedale per timore che vedessero cose non adatte ai loro occhi verginali, si occupavano di quelli. Non impedite dal matrimonio o dalla vedovanza, esse facevano strage fra i convalescenti; e anche le meno attraenti - notò Rossella cupamente - non tardavano ad esser fidanzate. Eccettuati gli ammalati e i feriti gravi il mondo di Rossella era esclusivamente femminile, e questo l'addolorava, perché ella non aveva mai avuto simpatia né fiducia nel proprio sesso e, quel ch'era peggio, esso l'annoiava profondamente. Per tre pomeriggi settimanali doveva recarsi ai comitati di lavoro per la preparazione di fasciature delle amiche di Melania. Le ragazze che tutte quante avevano conosciuto Carlo, erano buone e premurose con lei in queste riunioni, specialmente Fanny Elsing e Maribella Merriwether, figlie delle vecchie nobili della città. Ma la trattavano con deferenza, come se lei fosse una donna anziana e finita. E le loro continue chiacchiere sui balli e gli spasimanti la rendevano invidiosa dei loro divertimenti e irritata perché la sua vedovanza la escludeva da essi. Diamine, era tre volte piú graziosa di Fanny e di Maribella! Oh, com'era ingiusta la vita! E come era sciocco che tutti credessero che il suo cuore era nella tomba di Carlo! Invece era in Virginia con Ashley! Ma nonostante queste afflizioni, Atlanta le piaceva. E il suo soggiorno si prolungava, mentre le settimane passavano.

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. - Molti di loro starebbero assai meglio in uniforme grigia e in Virginia - rispose senza curarsi di abbassare la voce. Parecchie madri, orgogliose dei loro figliuoli che erano nella milizia, udirono l'osservazione. La signora Guinan divenne scarlatta e poi pallida, perché il suo venticinquenne Guglielmo era nella compagnia. Rossella fu sbalordita nell'udire simili parole da Melly e dinanzi a tutti. - Melly! - esclamò. - Sai benissimo che è vero, Rossella. Non parlo dei ragazzi e dei vecchi. Ma vi sono nella milizia molti che potrebbero tenere in mano un fucile; ed è ciò che dovrebbero fare in questo momento. - Ma... ma... - cominciò Rossella che non aveva mai pensato a questo - qualcuno deve pur rimanere a casa per... - Che diamine le aveva detto Guglielmo Guinan per giustificare la sua presenza in Atlanta? - Qualcuno deve pur rimanere a casa per proteggere lo Stato da un'invasione. - Nessuno ci ha invaso e nessuno ci invaderà - replicò freddamente Melania, guardando verso il gruppo della milizia. E il miglior mezzo per tenere lontani gli invasori è andare in Virginia a battere gli yankees. Quanto alla storia che la milizia deve impedire una sollevazione dei negri... è la cosa piú sciocca che io abbia mai udita. Perché dovrebbe sollevarsi il nostro popolo? È un'ottima scusa, questa, per i codardi. Scommetto che sconfiggeremmo gli yankees in un mese se la milizia di tutti gli Stati andasse a combattere. Ecco! - Ma Melly! - esclamò di nuovo Rossella guardandola sbalordita. Gli occhi neri di Melania ardevano di collera. - Mio marito non ha avuto paura di andare e neanche il tuo. E preferirei che fossero morti tutti e due piuttosto che vederli qui a casa... Oh, cara, perdonami! Come sono crudele e imprudente! Afferrò il braccio di Rossella come per scusarsi e quella la fissò. Ma in quel momento non pensava a Carlo morto. Pensava ad Ashley. Se morisse anche lui? Si volse in fretta e sorrise automaticamente al dottor Meade che si avvicinava al loro banco. - Brave, figliuole - fece salutandole. - Siete state molto gentili a venire. So che per voi è stato un sacrificio; ma tutto si fa per la Causa. Ora vi dirò un segreto. Ho trovato un modo per fare parecchio denaro per l'ospedale; ma temo che qualche signora sarà scandalizzata. Si fermò e ridacchiò mentre si grattava la barbetta caprina. - Che cosa? Ditecelo, siate buono! - Veramente è meglio farvelo indovinare. Ma voialtre ragazze dovrete difendermi, se i membri della chiesa propongono di espellermi dalla città per questo. Del resto, è per l'ospedale. Vedrete. Non è mai stato fatto niente di questo genere. Proseguí pomposamente verso un gruppo di accompagnatrici in un angolo e proprio mentre le due giovani si volgevano l'una all'altra per discutere sulle possibilità di quel segreto, ecco avvicinarsi due vecchi signori i quali dichiararono ad alta voce che desideravano dieci metri di merletto. «Beh, meglio vecchi che niente» pensò Rossella misurando il merletto e rassegnandosi pudicamente ad essere accarezzata sotto il mento. I vecchi si rivolsero poi verso il banco dei rinfreschi ed altri presero il loro posto. Il loro banco non aveva tanti clienti come gli altri, dove risuonavano la risata squillante di Maribella Merriwether e la risatina sommessa di Fanny Elsing e le allegre risposte delle ragazze Whiting. Melly vendeva oggetti inutili ad uomini che non sapevano che cosa farne, tranquilla e serena come una negoziante, e Rossella modellava il suo contegno su quello della cognata. Dinanzi a tutti i banchi, eccettuato il loro, era una folla di ragazze che ciarlavano e di uomini che compravano. I pochi che si avvicinavano al loro banco parlavano della propria camerateria universitaria con Ashley, dicevano che era un bravo soldato, oppure accennavano rispettosamente a Carlo, affermando che la sua morte era stata una grande perdita per Atlanta. Quindi la musica attaccò il ritmo irregolare di «Johnny Booker, aiuta i negri!» e Rossella ebbe voglia di urlare. Desiderava ballare. Ne sentiva il bisogno. Guardò il pavimento e batté i piedi in cadenza; i suoi occhi ardevano di una fiamma verde. Attraverso la sala un uomo, appena arrivato e ancora fermo sulla soglia della porta, li vide, sussultò riconoscendoli e osservò piú attentamente quegli occhi dal taglio obliquo nel volto caparbio e ribelle. Quindi ghignò fra sé riconoscendo l'invito che qualsiasi uomo avrebbe potuto leggervi. Era vestito di panno nero; alto in modo da superare tutti gli ufficiali che gli erano accanto, con le spalle larghe ma la vita sottile, e dei piedi assurdamente piccoli nelle scarpe verniciate. Il suo abito severo, con la camicia finemente pieghettata e i calzoni elegantemente allacciati sotto le uose molto alte, contrastava stranamente col suo volto e con la sua figura; appariva tutto agghindato, con gli abiti di un «dandy» su un corpo da atleta, e segretamente pericoloso sotto la sua graziosa indolenza. Aveva i capelli nerissimi e i baffi piccolini erano anch'essi neri, tagliati corti come quelli di uno straniero in paragone a quelli lunghi e sfioccati degli ufficiali di cavalleria che gli erano accanto. Sembrava - ed era - un uomo di appetiti viziosi e svergognati. Aveva un aspetto di sicurezza e di spiacevole impertinenza; vi era anche un lampo di malizia nei suoi occhi che fissavano audacemente Rossella, finché questa, sentendo finalmente il suo sguardo, si volse verso di lui. Ebbe l'impressione di riconoscerlo, pur non riuscendo dapprima a ricordare chi fosse. Ma era il primo uomo che, da molti mesi, le mostrasse un certo interesse; perciò gli sorrise gaiamente. Rispose con un piccolo cenno al suo inchino; ma quando egli mosse verso di lei con una singolare andatura, flessuosa come quella degli indiani, ella portò la mano alla bocca con un gesto d'orrore, riconoscendolo. Rimase paralizzata, come colpita dal fulmine, mentre egli si apriva un varco attraverso la folla. Quindi si voltò, pronta a fuggire nella sala dei rinfreschi; ma la sua gonna si impigliò in un chiodo del banco. La tirò furiosamente, lacerandola; ma intanto egli era giunto accanto a lei. - Permettete - disse chinandosi a staccare delicatamente il volano. - Non speravo che vi ricordaste di me, miss O'Hara. La sua voce suonò bizzarramente piacevole al suo orecchio; era la voce ben modulata di un signore, sonora e col leggero accento strascicato di Charleston. Ella lo fissò implorante, col volto che si era coperto di rossore al ricordo del loro ultimo incontro, e si trovò di fronte gli occhi piú neri che avesse mai visto, che brillavano di una gaiezza spietata. Fra tutti gli uomini del mondo che avrebbero potuto capitare in quel luogo, bisognava che fosse proprio quel tremendo individuo che aveva assistito a quella scena con Ashley che le dava tuttora degl'incubi; quell'odioso mascalzone che rovinava le fanciulle e non era ricevuto dalle persone perbene; quell'uomo spregevole che aveva detto - e con ragione! - che lei non era una signora. Al suono di quella voce Melania si volse e, per la prima volta in vita sua, Rossella ringraziò il cielo per l'esistenza di sua cognata. - Ma... è il signor Butler, non è vero? - E Melania sorrise lievemente tendendogli la mano. - Vi ho conosciuto... - Nella felice circostanza dell'annunzio del vostro fidanzamento - la interruppe egli chinandosi a baciarle la mano. - Siete molto gentile a ricordarvi di me. - E che cosa fate cosí lontano da Charleston, Mister Butler? - Affari, Mrs. Wilkes, e affari poco divertenti. Da ora in poi dovrò andare avanti e indietro dalla vostra città. Non soltanto debbo portar dentro le merci, ma anche sorvegliare come vengono distribuite. - Portar dentro... - cominciò Melania aggrottando la fronte; e subito dopo ebbe un sorriso di piacere. - Ma allora... voi siete il famoso capitano Butler di cui ho sentito tanto parlare... quello che attraversa il blocco! Figuratevi, tutte le ragazze qui dentro indossano abiti che sono stati introdotti da voi. Rossella, non sei emozionata... Che hai, tesoro? Ti senti male? Siedi... Rossella piombò sulla sedia, respirando cosí affannosamente che ebbe paura che le stringhe del suo busto si rompessero. Oh, che cosa tremenda! Non aveva mai pensato di poter nuovamente incontrare quell'uomo. Egli prese dal banco il suo ventaglio nero e cominciò a sventolarla con sollecitudine, troppa sollecitudine; il suo volto era grave ma gli occhi brillavano ancora maliziosamente. - Fa troppo caldo qui - disse poi. - Non fa meraviglia che miss O'Hara si senta poco bene. Volete che vi accompagni a una finestra? - No. - Il monosillabo fu pronunciato con tanta durezza che Melly la guardò stupita. - È un pezzo che non è piú miss O'Hara - riprese poi Melania. - È la signora Hamilton.. mia cognata. - E le lanciò un breve sguardo affettuoso. Rossella si sentí soffocare vedendo l'espressione del bruno volto di pirata del capitano Butler. - Sono sicuro che è una gioia per entrambe queste graziose signore - replicò questi con un lieve inchino. Era l'osservazione che facevano tutti gli uomini; ma detta da lui, a Rossella sembrò che significasse proprio il contrario. - Immagino che i vostri mariti siano qui stasera, in questa lieta occasione? Sarebbe un piacere per me rinnovarne la conoscenza. - Mio marito è in Virginia - rispose Melania alzando fieramente la testa. - Ma Carlo... - La sua voce si spezzò. - È morto al campo - disse Rossella con voce atona. Quasi masticò le parole. Oh, non se ne andava mai quell'uomo? Melly la guardò stupita e il capitano ebbe un gesto di rimprovero verso se stesso. - Care signore... non immaginavo...! Dovete perdonarmi. Ma permettete a un estraneo di dirvi che morire per il proprio paese è vivere per sempre. Melania gli sorrise attraverso le lagrime, mentre Rossella sentí dentro di sé un impeto di collera e d'odio impotente. Egli aveva nuovamente fatto un'osservazione gentile, il complimento che qualunque gentiluomo avrebbe fatto in simili circostanze; ma certo senza pensarne neanche una parola. Si burlava di lei. Sapeva che ella non aveva amato Carlo. E Melly era tanto sciocca da non capire quello che vi era sotto le sue parole. «Dio mio, speriamo che nessuno lo capisca!» pensò con un sobbalzo di terrore. Avrebbe detto quello che sapeva? Certo non era un gentiluomo; e perciò sarebbe stato capacissimo di spiattellare ogni cosa. Lo guardò e vide che la sua bocca era un po' abbassata agli angoli con beffarda simpatia, mentre egli continuava ad agitare il ventaglio. Qualche cosa in quell'espressione fu per lei come una sfida e le fece tornare le forze in un impeto di antipatia. Bruscamente gli strappò di mano il ventaglio. - Sto benissimo - disse sgarbatamente. - È inutile sventolarmi per scompigliarmi i capelli. - Rossella, cara! Capitano, dovete scusarla. Non è... È fuori di sé quando sente parlare di Carlo... e forse non saremmo dovute venire qui stasera. Siamo ancora in lutto, come vedete; e per lei è uno sforzo... tutta questa gaiezza e la musica... povera figliuola! - Capisco - rispose egli con studiata gravità; ma nel rivolgere a Melania uno sguardo che penetrò fino in fondo nei suoi dolci occhi turbati, la sua espressione mutò. Sul suo volto bruno si dipinse il rispetto e una certa gentilezza. - Credo che siate una piccola donna molto coraggiosa, Mrs. Wilkes. - E non una parola per me! - disse fra sé, indignata, Rossella, mentre Melly sorrideva un po' confusa e rispondeva: - Oh Dio, no, capitano Butler! Il comitato dell'ospedale ci ha pregate di tenere questo banco perché all'ultimo momento... Un copricuscino? Eccone uno graziosissimo, con la bandiera. Si volse a tre soldati di cavalleria che si erano avvicinati al banco. Per un momento, Melania pensò che il capitano Butler era molto gentile. Poi si augurò che qualche cosa di piú sostanziale che la tarlatana fosse tra il suo abito e la sputacchiera che era di fianco al banco, perché la mira dei soldati con la bocca piena di tabacco masticato non era cosí esatta come quella che essi dimostravano con le loro pistole. Quindi dimenticò il capitano, Rossella e la sputacchiera, perché nuovi clienti circondavano il banco. Rossella era rimasta tranquillamente seduta a sventagliarsi, senza osare alzare gli occhi e augurandosi di vedere il capitano sulla tolda della sua nave. - Vostro marito è morto da un pezzo? - Oh sí. Quasi da un anno. - Un'eternità, naturalmente. Rossella non ne era ben certa; ma sulla qualità adescatrice di quella voce non potevano esservi dubbi. Comunque, non rispose. - Siete stata maritata per molto tempo? Perdonate la mia domanda, ma sono stato a lungo assente da questi luoghi. - Due mesi - rispose Rossella involontariamente. - Una vera tragedia - proseguí la voce tranquilla. «Che Dio lo maledica» pensò Rossella con violenza. «Se fosse un altr'uomo non farei altro che prendere un'aria glaciale e congedarlo. Ma egli sa di Ashley e sa che non amavo Carlo. Ed ho le mani legate.» Non rispose e guardò il suo ventaglio. - E questa è la vostra prima comparsa in società? - So che la cosa può sembrare strana - si affrettò a spiegare. - Ma le ragazze McLure che dovevano vendere a questo banco son dovute partire e non vi era nessun altro; quindi Melania ed io... - Nessun sacrificio è troppo grande per la Causa. Strano: le stesse parole della signora Elsing. Ma quando le aveva pronunciate lei, le erano sembrate tutte diverse. Le salí alle labbra una risposta bruciante ma la inghiottí. Dopo tutto, lei si trovava colà non per la Causa ma perché era stanca di stare in casa. - Ho sempre pensato - aveva ripreso il capitano riflessivamente - che il sistema del lutto e di imprigionare le donne nel crespo per il resto della vita impedendo loro le gioie piú naturali, è tanto barbaro quanto il sutti indiano. - Il sutti? L'uomo rise ed ella arrossí della propria ignoranza. Detestava le persone che usavano parole che le erano sconosciute. - In India quando un uomo muore, lo bruciano invece di seppellirlo; e sua moglie si arrampica sul rogo funerario e viene arsa con lui. - Che cosa orribile! E perché lo fanno? La polizia non lo impedisce? - No davvero. Una donna che non si facesse bruciare insieme al proprio marito sarebbe socialmente una fuori casta. Tutte le donne indú di una certa importanza parlerebbero di lei perché non si è comportata come deve una donna ben nata... precisamente come quelle degne signore in quell'angolo parlerebbero di voi se stasera foste apparsa qui vestita di rosso e se vi metteste a dirigere una danza. Personalmente io ritengo il sutti un uso molto piú misericordioso che il nostro simpatico costume meridionale che seppellisce vive le vedove. - Come osate dire che io sono una sepolta viva! - Come ci tengono le donne alle catene che le imprigionano! Voi ritenete barbaro il costume indú... ma avreste avuto il coraggio di apparire qui questa sera se la Confederazione non avesse avuto bisogno di voi? Gli argomenti di questo genere confondevano sempre Rossella. Questo poi la confondeva doppiamente perché ella aveva una vaga idea che contenesse un fondo di verità. Ma adesso era venuto il momento di prendere la rivincita. - È naturale che non sarei venuta. Sarebbe stato... oltre che irrispettoso... si sarebbe potuto credere che io non am... Gli occhi di lui attesero le sue parole con un'espressione cinicamente divertita; ed ella non riuscí a proseguire. Egli sapeva che Rossella non aveva amato Carlo, e non le consentiva di fingere i bei sentimenti che non provava. Che cosa terribile, terribile, aver a che fare con un individuo che non era un gentiluomo! Un gentiluomo aveva sempre l'aria di credere a una signora, anche quando sapeva che mentiva. Questa era la cavalleria del Sud. Il sesso forte obbediva alle regole e diceva soltanto le cose corrette, cercando di render facile la vita alle signore. Ma costui sembrava che non si curasse in alcun modo delle regole ed evidentemente si divertiva a parlar di cose di cui nessuno parlava mai. - Attendo con ansia. - Siete detestabile - disse ella smarrita, abbassando gli occhi. Egli si appoggiò sul banco chinandosi finché la sua bocca fu accanto al suo orecchio e bisbigliò, in un'ottima imitazione del tiranno che si vedeva a volte sulle scene: - Non temete, bella signora! Il vostro colpevole segreto è chiuso nel mio cuore. - Oh, - mormorò Rossella febbrilmente - come potete dire una cosa simile? - L'ho fatto per tranquillizzarvi. Che cosa volete che vi dica? «Siate mia, o bella, altrimenti rivelerò ogni cosa?» Ella incontrò involontariamente i suoi occhi e vide che erano canzonatori come quelli di un bambino. E allora rise. Dopo tutto la situazione era buffa. Anch'egli rise, e cosí forte che alcune delle signore che erano nell'angolo si voltarono a guardare. Vedendo che la vedova di Carlo Hamilton si divertiva, o sembrava divertirsi con 'un estraneo, avvicinarono le teste, disapprovando.

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Decise quindi di fare abbassare alquanto la cresta a quell'uomo. La sua conoscenza del di lei segreto gli dava un vantaggio esasperante; bisognava dunque trovar modo di metterlo al di sotto. Dominò l'impulso di dirgli schiettamente ciò che pensava di lui. Si prendono piú mosche con lo zucchero che con l'aceto, come diceva spesso Mammy, e lei si disponeva adesso ad acchiappare e sottomettere quel moscone in modo che egli non potesse piú averla in suo dominio. - Grazie - gli rispose dolcemente, - fraintendendo deliberatamente la sua ironia. - Un complimento come questo, da una celebrità come il capitano Butler è davvero prezioso. Egli gettò indietro il capo e rise francamente; abbaiò - pensò Rossella con asprezza, mentre il rosso le tornava sul volto. - Perché non dite quello che pensate veramente? - le chiese egli abbassando la voce in modo che, nel vocio generale, giunse soltanto alle sue orecchie. - Perché non dite che sono un fiero mascalzone e non sono un signore, e che debbo andarmene o mi farete cacciar via da uno di quei valorosi giovinotti in uniforme? La risposta aspra era già sulla punta della sua lingua; ma dominandosi eroicamente, Rossella replicò: - Macché, capitano Butler! Come correte! Come se tutti ignorassero che siete famoso, che siete coraggioso e che... che... - Sono deluso sul vostro conto. - Deluso? - Sí. In occasione del nostro primo fausto incontro avevo supposto di aver finalmente trovato una ragazza che fosse non soltanto bella, ma anche coraggiosa. Ora vedo che siete soltanto bella. - Vorreste dirmi che sono codarda? - Si agitava come una gallina. - Precisamente. Vi manca il coraggio di dire quello che sentite. Quando vi conobbi, pensai: questa è una ragazza come ce n'è una in un milione. Non è come quelle altre stupidine che credono a tutto ciò che le mamme e le bambinaie dicono, e agiscono in conseguenza, quali che siano i loro sentimenti. E nascondono sentimenti e desideri e piccoli dolori sotto una quantità di parole gentili. Pensai: Miss O'Hara è una ragazza di uno spirito raro. Sa che cosa vuole e non ha riguardo a dire quel che le passa per la mente... o a gettare dei portafiori. - Oh! - esclamò ella lasciandosi vincere dall'ira. - Allora vi dirò proprio quello che penso. Se aveste avuto un briciolo di superiorità non vi sareste avvicinato a parlare con me. Avreste compreso che desideravo non avervi mai piú sotto gli occhi! Ma non siete un gentiluomo! Siete un individuo villano e ripugnante. E siccome le vostre luride e piccole navi riescono a passare sotto il naso agli yankees, voi credete di avere il diritto di venire qui a beffarvi di uomini coraggiosi e di donne che sacrificano tutto per la Causa... - Basta, basta, - pregò egli con un sorriso. - Siete partita ottimamente, dicendo quel che pensavate; ma ora non cominciate a parlarmi della Causa. Sono stufo di sentirne parlare e scommetto che lo siete anche voi... - Ma come potete... - ricominciò Rossella perdendo il controllo; quindi si trattenne subito, irritatissima contro se stessa per essere caduta in quella trappola. - Ero sulla soglia della porta prima che voi mi vedeste e osservavo le altre giovani. Sembrava che il volto di tutte fosse fuso in uno stesso modello. Il vostro no. Voi avete un viso sul quale si legge facilmente. Eravate svagata e potrei garantire che non pensavate né alla Causa né all'ospedale. Sul vostro volto era scritto che desideravate ballare, divertirvi, e che non potevate. Ed eravate furibonda di questo. Ditemi la verità. Ho ragione? - Non ho altro da dirvi, capitano Butler - ella rispose il piú cerimoniosamente possibile, cercando di raccogliere attorno a sé i brandelli della propria dignità. - Pavoneggiatevi quanto vi pare perché siete il «grande sforzatore del blocco» ma astenetevi dall'insultare le donne. - Il «grande sforzatore del blocco»! È uno scherzo. Vi prego di darmi ancora un attimo del vostro tempo prezioso prima di sprofondarmi nelle tenebre. Non vorrei che una cosí graziosa patriota facesse un errato apprezzamento su quello che è il mio contributo alla Causa della Confederazione. - Non tengo affatto ad ascoltare le vostre vanterie. - Il blocco per me è un affare che mi fa guadagnare dei quattrini. Quando non mi renderà piú lo abbandonerò. Che ve ne pare? - Penso che siete un mascalzone mercenario... proprio come gli yankees. - Infatti - sogghignò il capitano. - E gli yankees mi aiutano a far quattrini. Figuratevi che il mese scorso ho ancorato la mia nave proprio nel porto di Nuova York per caricare della mercanzia. - Come? - esclamò Rossella eccitata e interessata suo malgrado. - E non vi hanno sparato addosso? - Povera innocente! Neppur per sogno. Vi sono nell'Unione molti bravi patrioti che non sono affatto alieni dal guadagnare del denaro vendendo merci alla Confederazione. Io ancoro la mia nave dinanzi a Nuova York, compro dalle ditte yankee (naturalmente per contanti) e me ne vado. E quando la cosa diventa un po' pericolosa, vado a Nassau, dove gli stessi bravi patrioti hanno portato per me munizioni e articoli di moda. È piú comodo che andare in Inghilterra. A volte non è tanto facile riuscire a penetrare a Charleston o a Wilmington.... Ma non potete immaginare come si arriva lontani con un po' di denaro... - Oh, sapevo che gli yankees erano abietti; ma ignoravo... - Perché sofisticare sugli yankees che guadagnano onestamente qualche quattrinello vendendo il loro Paese? Fra cento anni nessuno se ne ricorderà piú. E il risultato sarà lo stesso. Essi sanno che la Confederazione sarà battuta: perché non dovrebbero guadagnarci sopra? - Battuti... noi? - Senza dubbio. - Volete farmi il favore di lasciarmi... o dovrò chiamare la mia carrozza e andarmene a casa per liberarmi di voi? - Un'ardente piccola ribelle - fece egli con un altro sogghigno. Si inchinò e si allontanò lasciandola ansimante di indignazione e di collera impotente. In lei era un amaro dispetto che non riusciva ad analizzare; simile a quello di un bimbo che vede crollare una sua illusione. Come aveva osato, colui, oscurare la gloria di quelli che attraversavano il blocco e come osava dire che la Confederazione sarebbe battuta? Bisognava fucilarlo per questo; fucilarlo come un traditore. Si guardò attorno e vide i visi noti, cosí sicuri del successo, cosí coraggiosi, cosí devoti; un piccolo brivido freddo le passò attraverso il cuore. Battuti? Ah no; non costoro! Certamente no! Il solo pensarlo era impossibile e sleale. - Che cosa stavate mormorando? - chiese Melania volgendosi a lei appena i suoi clienti si furono allontanati. - Ho visto che Mrs. Merriwether non ti lasciava con gli occhi; e sai che ha la lingua lunga... - Ah, quell'uomo è insopportabile! Un vero villanzone! - rispose Rossella. - Quanto alla vecchia Merriwether, lascia pure che parli. Sono stufa di far la bambina per suo uso e consumo. - Ma via, Rossella! - esclamò Melania scandalizzata. - Ssst! - fece Rossella. - Il dottor Meade sta per fare un altro discorso. Il chiacchiericcio si interruppe nuovamente e la voce del dottore si alzò ancora una volta, prima di tutto per ringraziare le signore che avevano dato cosí volenterosamente i loro gioielli. - Ed ora, signore e signori, vi proporrò una sorpresa: un'innovazione che forse potrà urtare qualcuna di voi. Ma vi prego di considerare che tutto ciò si fa per l'ospedale e a beneficio dei nostri giovani feriti o ammalati. Tutti si tesero in avanti cercando di immaginare che cosa avrebbe potuto proporre il dottore, un uomo cosí serio. - Stanno per cominciare le danze; e il primo numero, senza dubbio sarà una danza scozzese, un reel seguito da un valzer. Le danze seguenti, polke, mazurke e scottish, saranno precedute da brevi reels Reel (pron. riil): è una danza scozzese abbastanza vivace, ballata da due o piú coppie; la sua musica è scritta generalmente in tempo ordinario (quattro quarti) ma qualche volta anche in tempo di giga di sei per otto, o due terzine di crome. (N. d. T.). Conosco la gentile rivalità per condurre bene i reels, e perciò... - Il dottore inarcò le sopraciglia e lanciò uno sguardo canzonatorio verso l'angolo dove sua moglie sedeva insieme alle signore anziane. - Se voi, signori, desiderate condurre un reel con la dama di vostra scelta, dovete concorrere in un'asta di cui io sarò il banditore. Le dame saranno aggiudicate ai migliori offerenti e il ricavato andrà all'ospedale. I ventagli si fermarono improvvisamente e la sala fu attraversata da un'ondata di mormorii eccitati. L'angolo delle signore era in pieno tumulto e la signora Meade, desiderosa di sostenere suo marito in un'azione che in cuor suo disapprovava, si trovava in assoluto svantaggio. Le signore Elsing, Merriwether e Whiting erano rosse d'indignazione. Ma improvvisamente la Guardia Nazionale lanciò un'evviva che fu seguito da tutti i presenti. Le ragazze batterono le mani e saltarono eccitate. - Non ti pare che sia... che sia... come una piccola asta di schiavi? - sussurrò Melania, guardando incerta il bellicoso dottore che fino ad ora le era sempre apparso perfetto. Rossella non disse nulla, ma i suoi occhi brillarono e il suo cuore fu contratto da una pena leggera. Se almeno non fosse stata una vedova! Se fosse ancora Rossella O'Hara, con un abito verde mela guarnito di velluto verde scuro, e delle tuberose nei capelli neri... sarebbe lei a condurre quella danza. Sí, senza dubbio. Vi sarebbero una dozzina di uomini a battersi per lei e a pagare al dottore delle belle cifre. Oh, dover sedere qui a far da tappezzeria contro la sua volontà e vedere Fanny o Maribella condurre la danza come la piú bella ragazza di Atlanta! Al di sopra del tumulto risuonò la voce del piccolo zuavo col suo accento creolo: - Se posso... venti dollari per Miss Maribella Merriwether. Maribella si nascose arrossendo dietro la spalla di Fanny e le due fanciulle celarono il volto ognuna nel collo dell'altra ridacchiando mentre altre voci cominciavano a gridare altri nomi ed altre cifre. Il dottor Meade aveva ricominciato a sorridere, ignorando completamente i bisbigli indignati che venivano dalle signore del Comitato ospedaliero. Da principio la signora Merriwether aveva dichiarato fermamente e ad alta voce che la sua Maribella non avrebbe mai partecipato ad una simile gara; ma poiché il nome di sua figlia veniva gridato sempre piú spesso e la cifra aveva già superato i settantacinque dollari, le proteste cominciarono a diminuire. Rossella teneva i gomiti appoggiati al banco e guardava quasi ferocemente la folla eccitata che rideva affollandosi attorno alla piattaforma con le mani piene di banconote della Confederazione. Ora tutte ballerebbero, tranne lei e le vecchie signore. Tutti si divertirebbero, meno lei. Vide Rhett Butler dietro il dottore, e prima che potesse mutare l'espressione del suo volto, egli la scorse e abbassò un angolo della bocca sollevando un sopracciglio. Ella sollevò il mento e si volse altrove. In quel momento udí il proprio nome... pronunciato da un'inconfondibile voce charlestoniana che superò il frastuono. - Mrs. Carlo Hamilton... centocinquanta dollari... in oro. Un improvviso zittio attraversò la folla all'udire la somma e il nome. Rossella fu cosí sbalordita che non riuscí neanche a muoversi. Rimase seduta col mento fra le mani e gli occhi spalancati di meraviglia. Tutti si volsero a guardarla. Ella vide il dottore curvarsi sulla piattaforma e mormorare qualche cosa a Butler. Probabilmente gli diceva che essa era in lutto e non poteva ballare. Ma Rhett crollò le spalle incurante. - Forse un'altra delle nostre bellezze? - suggerí il dottore. - No - rispose Rhett ostinato, guardando la folla. - Mrs. Hamilton. - Vi dico che è impossibile - insistette il dottore. - Mrs. Hamilton non vorrà... La voce di Rossella le uscí di bocca quasi senza sua volontà, irriconoscibile. - Sí, son pronta! Balzò in piedi col cuore che le martellava cosí violentemente che temette di non potersi reggere; l'eccitazione di esser nuovamente il centro dell'attenzione, di esser la piú desiderata e - soprattutto! - la prospettiva di ballare... - Non me ne importa! Non m'importa quello che diranno! - mormorò trascinata da una specie di follia. Drizzò la testa e uscí dal banco battendo i tacchi come nacchere e tenendo il suo ventaglio nero completamente spiegato. Per un attimo scorse il volto incredulo di Melania, l'espressione delle vecchie signore, le fanciulle petulanti, i soldati che approvavano con entusiasmo. Quindi si trovò in mezzo alla sala e vide Rhett Butler che avanzava verso di lei, fra due ali di folla, col suo beffardo e detestabile sorriso. Ma non gliene importava... Stava per ballare... Per condurre il reel. Gli rivolse un piccolo cenno e un sorriso abbagliante; egli si inchinò con una mano sul petto. Levi, benché inorridito, si rimise rapidamente e urlò: - Scegliete le vostre dame! E l'orchestra intonò il reel più bello di tutti: «Dixie».

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Ella sapeva sorridere con garbo, camminare facendo ondeggiare i cerchi della sua gonna in modo attraente, sapeva guardare un uomo in faccia e poi abbassare gli occhi e battere le palpebre rapidamente in modo che sembrasse il tremito di una dolce emozione; e, soprattutto, aveva imparato a nascondere agli uomini un'intelligenza acuta sotto un viso dolce e semplice come quello di un bambino. Elena con la sua voce ammonitrice e Mammy con le sue costanti censure cercavano d'inculcare in lei le qualità che l'avrebbero resa veramente desiderabile come moglie. - Devi essere piú dolce, cara, piú remissiva - diceva Elena. - Non devi interrompere gli uomini che ti parlano, anche se credi di saperne piú di loro sull'argomento. Gli uomini non amano le ragazze troppo perspicaci. - Ragazze superbe che darsi arie e dire «voglio questo, voglio quello» di solito non trovare marito - profetizzava cupamente Mammy. - Le ragazze dovere abbassare occhi e dire «bene signore» e poi «Sí signore» e «avete ragione signore.» Le insegnarono dunque tutto ciò che una gentildonna doveva sapere, ma ella imparò soltanto la vernice della gentilezza. Non apprese mai la grazia interiore da cui questa gentilezza doveva sgorgare, e non vedeva neppure la ragione di apprenderla. Le apparenze bastavano, perché le apparenze della signorilità le acquistavano dei corteggiatori; ed ella non desiderava di piú. Geraldo proclamava che sua figlia era la piú bella di cinque Contee, e con un certo fondo di verità; infatti ella ebbe proposte di matrimonio da quasi tutti i giovani del vicinato ed anche da luoghi lontani, come Atlanta e Savannah. A sedici anni, grazie a Mammy e ad Elena, appariva gentile, simpatica e briosa, mentre in realtà era volontaria, vana e caparbia. Aveva ereditato la facile eccitabilità del padre irlandese e nulla della natura altruista e indulgente di sua madre, se non d'apparenza. Elena non si rese mai completamente conto che era soltanto una vernice, perché Rossella le mostrava soltanto il suo volto migliore, nascondendo le sue scappate, piegando il suo temperamento e apparendo in presenza di Elena piú dolce che poteva, perché sua madre, con un solo sguardo di rimprovero, riusciva a mortificarla fino alle lagrime. Ma Mammy non aveva illusioni sul suo conto ed era continuamente sul «chi vive» per le screpolature della vernice. Gli occhi di Mammy erano piú acuti di quelli di Elena, e Rossella non ricordava di essere mai riuscita ad ingannarla per molto tempo. Non che questi due mentori affettuosi deplorassero la vivacità, il fascino e la disinvoltura della giovinetta. Di tali qualità le donne meridionali andavano fiere. Erano invece preoccupate dalla natura impetuosa e dalla cocciutaggine di Geraldo che risorgevano in lei; e talvolta temevano che questi difetti non si sarebbero potuti nascondere prima che ella facesse un buon matrimonio. Ma Rossella intendeva sposarsi - e sposare Ashley - e perciò voleva apparire modesta, docile, e leggera, se queste erano le qualità che attraevano gli uomini. Non sapeva perché gli uomini fossero cosí; sapeva soltanto che questi metodi funzionavano. La cosa non l'interessò mai tanto da farle cercare la ragione di questo, poiché ella ignorava il lavorio interiore di ogni essere umano, e perfino il suo. Sapeva soltanto che se ella diceva o faceva «cosí - e cosà» gli uomini invariabilmente rispondevano col complimento «cosí - e cosà». Era come una formula matematica e non piú difficile di questa, perché la matematica era l'unica materia che era sembrata facile a Rossella quando andava a scuola. Se conosceva poco il raziocinio maschile, conosceva ancor meno quello femminile, perché le donne l'interessavano poco. Non aveva mai avuto un'amica e non ne aveva mai sentito la mancanza. Per lei tutte le donne, comprese le sue due sorelle, erano nemiche naturali che inseguivano la stessa preda: l'uomo. Tutte le donne, eccetto sua madre. Elena O'Hara era diversa, e Rossella la considerava come qualche cosa di sacro, fuori da tutto il resto del genere umano. Da bambina confondeva sua madre con la Vergine Maria, ed ora che era grande non vedeva ragione di mutare la sua opinione. Per lei Elena rappresentava la completa sicurezza che solo il cielo o una madre possono dare. Ella sapeva che sua madre era la personificazione della giustizia, della verità, della tenerezza affettuosa e della profonda saggezza: una gran dama. Rossella desiderava molto di essere come sua madre. La sola difficoltà era che essendo giuste e sincere, tenere e altruiste, si lasciavano sfuggire la maggior parte delle gioie della vita e senza dubbio si allontanavano molti corteggiatori. La vita era troppo breve per rinunciare a tante cose piacevoli. Un giorno, quando avesse sposato Ashley e fosse vecchia, un giorno, quando ne avrebbe il tempo, cercherebbe di essere come Elena. Ma fino allora...

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La fissò a lungo costringendola finalmente ad abbassare lo sguardo che era rivolto a lui con atto di sfida; allora sedette di faccia a lei e si versò un altro bicchiere di liquore. Rossella cercò di riflettere rapidamente per trovare una linea di difesa. Ma ciò non le era possibile finché egli non parlava, poiché non sapeva che specie di accusa le sarebbe fatta. Rhett beveva lentamente, guardandola da sopra al bicchiere; ella cercava di dominare i suoi nervi per non tremare. Per un po' di tempo il volto di lui non mutò espressione; finalmente scoppiò in una risata, continuando a fissarla; e quella sghignazzata la fece nuovamente tremare. - Una commedia divertente quella di stasera, vero? Ella non rispose, ma contorse le dita dei piedi nelle pantofole, nello sforzo di dominare il suo tremito. - Una commedia piacevole, con tutti i suoi personaggi. Il villaggio riunito per lapidare la donna colpevole; il marito ingannato che assume la difesa di sua moglie come deve fare un gentiluomo; la donna tradita che sopporta tutto con spirito cristiano e copre i colpevoli col manto della sua immacolata reputazione. L'amante... - Ti prego! - Niente affatto. È troppo divertente. L'amante con l'aria di un maledetto imbecille che si augurava la morte. Che impressione si prova, cara, nell'avere accanto la donna che detesti e che cerca di nascondere i tuoi peccati? Stai seduta! Ella sedette. - Non credo che dopo questo il tuo affetto per lei aumenterà. Senza dubbio ti domandi se ella sa tutto di te e di Ashley... ti domandi perché ha agito cosí, sapendo... e se lo ha fatto per salvare la propria faccia. E pensi che è stata una sciocca, anche se il suo gesto ti ha salvato la pelle; ma... - Non ti voglio ascoltare. - Sí, mi ascolterai. E ti dico questo per alleviare la tua preoccupazione. Melania è una sciocca, ma non nella maniera che credi tu. È ovvio che qualcuno le ha raccontato; ma lei non ha creduto. Non avrebbe creduto neanche se avesse visto coi suoi occhi. È troppo onesta per poter concepire la disonestà nelle persone che ama. Non so che stupidaggine le ha raccontato Ashley; ma lei avrebbe creduto qualunque cosa perché vuol bene a lui e a te. Non so perché ti voglia bene, ma ti ama. E questa sarà una delle tue croci. - Se tu non fossi cosí ubriaco e insolente, ti spiegherei tutto - ribatté Rossella ricuperando un po' di dignità. - Ma ora... - Le tue spiegazioni non mi interessano. Conosco la verità meglio di te. E se ti alzi ancora una volta, giuro a Dio... Ciò che è ancor piú divertente della commedia di stasera, è il fatto che mentre mi negavi cosí virtuosamente le gioie del tuo letto a causa dei miei molti peccati, nel fondo del tuo cuore bramavi ardentemente Ashley. «Nel fondo del tuo cuore bramavi ardentemente...» Bella frase, no? Vi sono molte belle frasi in quel Libro, vero? «Quale libro?» si chiese affannosamente, follemente Rossella, mentre i suoi occhi erravano frenetici per la stanza, osservando il cupo scintillare delle massicce argenterie nella debole luce, la tenebra spaventosa degli angoli. - E io sono stato messo fuori perché i miei rozzi ardori erano troppo violenti per la tua raffinatezza... perché non volevi avere piú bambini. Ed ho trovato fuori di qui il modo di consolarmi piacevolmente dei tuoi rigori. Intanto tu passavi il tempo a seguire la pesta del sofferente signor Wilkes. Ma perché soffre, che Dio lo fulmini? Perché non può esser fedele a sua moglie col cuore e infedele col corpo. Perché non si decide? Tu non avresti obiezione, vero?, ad avere dei bambini da lui... facendoli passare per miei? Ella balzò in piedi con un grido; e Rhett rise di quel riso sardonico che le faceva gelare il sangue. La respinse nella sua sedia con la sua grande mano bruna e si curvò sopra di lei. - Osserva le mie mani, cara - disse aprendole e chiudendole dinanzi ai suoi occhi. - Ti potrei fare a brani senza fatica; e lo farei se questo giovasse a toglierti dalla mente Ashley per sempre. Ma sarebbe inutile. Quindi farò in altro modo. Metterò le mie mani cosí, ai lati della tua testa, e scrollerò il tuo cranio come una noce: cosí riuscirò a farne uscire quel pensiero. Le aveva afferrato il capo ficcando le mani tra i capelli sciolti; erano mani dure e carezzevoli e il volto verso il quale egli rivolse la faccia di lei era quello di un estraneo con una voce strascicata da ubriaco. Il coraggio materiale non aveva mai fatto difetto a Rossella; di fronte al pericolo esso le ritornò facendole irrigidire la spina dorsale e socchiudere gli occhi. - Lasciami, pazzo ubriaco. Con sua sorpresa, egli la lasciò e sedendo sull'orlo della tavola si versò un altro bicchierino. - Ho sempre ammirato la tua presenza di spirito, mia cara. E mai piú di adesso che sei con le spalle al muro. Ella si strinse maggiormente nello scialle. Se potesse tornare in camera sua, girare la chiave nella serratura e sentirsi sola! Bisognava farsi credere non impaurita da quel Rhett che non aveva mai conosciuto. Si alzò senza fretta, benché le tremassero le ginocchia, si strinse lo scialle attorno ai fianchi, rigettò i capelli dal viso. - Non sono con le spalle al muro - profferí con voce tagliente. - Non mi metterai mai con le spalle al muro, Rhett, né mi farai paura. Non sei altro che un ubriacone il quale è stato per tanto tempo con delle donnacce, che non comprende altro se non infamia e disonestà. Non puoi capire Ashley né me. Hai vissuto troppo a lungo nel sudiciume. E sei geloso di ciò che non puoi capire. Buona notte. Si volse con indifferenza e si avviò verso la porta; ma uno scoppio di risa la fece fermare. Si voltò e lo vide attraversare la stanza avvicinandosi a lei. Se almeno cessasse quella tremenda risata, in nome di Dio! Che c'era da ridere in tutto questo? Le si accostò; e Rossella volle indietreggiare verso l'uscio, ma si trovò contro al muro. Egli le posò le mani pesantemente sulle spalle e la inchiodò alla parete. - Smetti di ridere. - Rido perché mi fai pena. - Pena? Pensa a te stesso, piuttosto! - Ma sí; mi fai pena, mia graziosa scioccherella. Ti offende, non è vero? Perché tu non sopporti né la beffa né la pietà; non è cosí? Smise di ridere premendole sulle spalle cosí forte da farle male. L'espressione del suo volto mutò; ed egli si chinò su lei cosí da vicino che il forte odore di whisky del suo alito la costrinse a volgere il capo. - Geloso, io? E perché no? Sí, sono geloso di Ashley Wilkes. Perché no? Oh, puoi fare a meno delle spiegazioni. So che fisicamente mi sei stata fedele. Era questo che volevi dirmi? L'ho sempre saputo. Conosco troppo bene Ashley Wilkes e la sua razza. So che è un uomo onesto e un gentiluomo. Mentre tu ed io non siamo né onesti né gentiluomini; non è vero? Per questo prosperiamo! - Lasciami andare. Non voglio stare qui a farmi insultare. - Non ti insulto affatto. Sto lodando le tue virtú fisiche. Ma non credere con questo di avermela data a bere. Tu credi che gli uomini siano degli imbecilli, Rossella; e non apprezzi mai l'intelligenza e la forza dei tuoi avversari. Io non sono punto sciocco. Credi che non sappia che quando eri fra le mie braccia ti figuravi che io fossi Ashley Wilkes? Ella spalancò la bocca: sul suo volto apparvero terrore e meraviglia. - Una cosa piacevolissima. Piuttosto fantastica. Come se si fosse stati in tre in un letto dove si sarebbe dovuto essere in due. - Le scrollò le spalle, ebbe un singulto, e sorrise beffardo. - Sicuro; mi sei stata fedele perché Ashley non ti ha voluta. Ma non gli avrei davvero rifiutato il tuo corpo, che diamine! So che cosa vale un corpicino, specialmente di donna. Ma gli invidio il tuo cuore e il tuo caro spirito caparbio e senza scrupoli. Quell'imbecille non desidera il tuo spirito, ed io non desidero il tuo corpo. Posso comprare delle donne a minor prezzo. Ma desidero il tuo cervello e il tuo cuore e non li avrò mai; come tu non avrai mai il cervello di Ashley. E perciò mi fai pena. Anche attraverso il suo terrore, la beffa di lui la punse. - Ti faccio pena? - Sí; perché sei una bambina. Una bimba che piange perché vuole la luna. Che ne farebbe, se l'avesse? E tu che faresti di Ashley se lo avessi? Mi fa pena vederti gettar via la felicità e cercare di avere qualche cosa che non ti renderebbe mai felice. Perché sei una sciocca e non sai che si può esser felici solo coi propri simili. Se io e la signora Melly fossimo morti e tu potessi avere il tuo caro innamorato, credi che saresti felice con lui? No, perdio! Perché non lo conoscerai mai, non saprai mai ciò che pensa, non lo comprenderai mai come non comprendi musica, poesia, libri e tutto ciò che non è dollari e centesimi. Mentre noi due, cara moglie del cuor mio, avremmo potuto esser perfettamente felici, se tu avessi voluto, perché ci somigliamo. Siamo due furfanti, Rossella; e nessun ostacolo ci arresta quando desideriamo una cosa. Avremmo potuto esser felici, perché io ti amavo e perché ti conosco, Rossella, cosí perfettamente come Ashley non potrebbe mai... E se ti conoscesse, ti disprezzerebbe... Ma no; tu devi continuare per tutta la vita a cercar di avere un uomo che non puoi comprendere. E io, mia cara, continuerò a cercare delle prostitute. E credo che saremo una coppia migliore di molte altre. La lasciò bruscamente e si avviò barcollando verso la bottiglia. Per un attimo Rossella rimase inchiodata al suolo, col cervello attraversato da tanti pensieri che non riuscí a soffermarsi su nessuno per esaminarlo. Rhett aveva detto che l'amava. Era vero? O lo aveva detto perché era ubriaco? O era uno dei suoi cattivi scherzi? E Ashley... la luna. Attraversò di corsa il vestibolo buio, come se fosse inseguita da mille demoni. Poter arrivare alla sua stanza! Si torse una caviglia e perse una pantofola. Mentre si fermava a raccoglierla, sentí di avere accanto nell'oscurità Rhett, che correva leggermente come un indiano. Sentí sul viso il suo alito ardente e le mani di lui la afferrarono violentemente sotto lo scialle, sulla pelle nuda. - Mi hai mandato in giro per la città mentre cercavi di avere lui. Perdio, questa è la notte in cui nel mio letto saremo soltanto in due! La sollevò e cominciò a salire le scale. La testa di lei posava sul suo petto e Rossella udiva il martellare del suo cuore. Si sentiva soffocare; provò a gridare, sgomenta. Egli continuò a salire nelle tenebre. Era un estraneo, un pazzo; e quell'oscurità che l'atterriva era piú buia della notte. Lui stesso era come la morte; e la trasportava su braccia nodose che le facevano male. Egli si fermò sul pianerottolo e voltandole improvvisamente il capo la baciò con una violenza che distrusse in lei ogni altra sensazione, eccetto il buio in cui si sentiva sprofondare e quelle labbra sulle sue. L'uomo tremava, come se fosse scosso da un vento di tempesta; e le sue labbra scendendo dalla bocca di lei, trovarono la carne morbida che lo scialle, cadendo, aveva lasciato scoperta. Mormorava parole che ella non udiva; le sue labbra suscitavano in lei sensazioni mai provate. Ella era immedesimata nella tenebra, ed egli pure era tenebra; nulla era mai esistito prima di quel momento se non l'oscurità e quelle labbra di fuoco. Cercò di parlare, ma egli le chiuse ancora la bocca con la sua. E ad un tratto ella provò un brivido che non aveva mai conosciuto: gioia, terrore, follia, eccitazione, abbandono a braccia che erano troppo forti, labbra troppo cocenti, fato troppo rapido. Per la prima volta in vita sua aveva trovato qualcuno piú forte di lei, qualcuno che non poteva tiranneggiare né spezzare, qualcuno che la tiranneggiava e la spezzava. E le morbide braccia di lei si strinsero intorno al collo maschile e le sue labbra tremarono sotto quelle di lui mentre essi salivano ancora nell'oscurità, un'oscurità dolce e vorticosa che li avvolgeva completamente.

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Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222595
Misteri del chiostro napoletano 1 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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"Sciocco," gli dissi, "non intendi che sei divenuto lo zimbello d'una brigata di monache, non meno pazze che insidiose, le quali, nell'atto di prendersi beffe della tue ingenuità, vorrebbero inoltre cogliere un più grande vantaggio, quello di dare argomento di molestia a me, ed ancora, se fosse possibile di abbassare qui dentro la mia riputazione a livello della loro? Rientra in te stesso, raffrena gli stolti desiderii, e bada d'ora innanzi a comportarti più saggiamente nel disimpegno de' tuoi doveri, se non vuoi perdere il pane e l'onore." Rispose, riconoscere ormai l'eccesso della propria follia: non esser però egli stesso l'autore di quella malaugurata passione, ma sì le tali e tali monache che a poco a poco glie l'avevano insinuata nel cuore: alla fin fine, l'amor suo aver toccato tale grado di intensità, da non rimanergli più veruna speranza di poterlo signoreggiare. "In tal caso," ripresi io, "non ti resta che un solo scampo: duro sì, ma inevitabile." "Parlate! Legge suprema sarà per me il vostro consiglio." "Le celie di quelle donne sono zampate di tigre; oggi ridono della tua semplicità, domani ti scaveranno la fossa. Ascolta il mio consiglio: cercati la sussistenza in altra chiesa, e portami al più presto la tua rinunzia." Il tuono secco e reciso di questi miei detti contrastava coll'interno senso di compassione che mi destava un avvenimento diretto a togliere il pane a quel povero tribolato. Quest'abboccamento, che durò appena 10 minuti, e finì pel chierico in uno scoppio di pianto, venne interrotto dall'arrivo del sagrestano. Convinta però che le monache covavano un reo progetto, e dolente per altra parte di rovinare quel giovine il quale altra colpa non aveva che quella d'esser un po' stolto, deliberai di troncarla con un mezzo più consentaneo alla pietà. Recatami dalla badessa, la pregai a nominare in vece mia un'altra sagrestana, dopo l'infermità non sentendomi io in forze da sostenere i pesi di quell'uffizio. - Costei rispose non giudicar la mia salute tanto rovinata quanto piaceva a me di rappresentarla; non esservi, d'altronde, esempio che una monaca si fosse dimessa dalla carica senza finire l'anno d'uso. Il mio confessore, al quale l'affare dispiaceva, unì le sue alle mie preghiere per indurla a cedere; ma, inflessibile alle reiterate domande, ella perseverò nel rifiuto. Stizzita però dalle mie moleste insistenze, mi disse un giorno: "Ma, insomma, perchè vuoi lasciare il posto? Perchè qualche pazzarella ti accusa di amoroso commercio col chierico? Quanta sei minchiona! Forse lei stessa, forse le altre ancora non hanno fatto, non fanno e non faranno sempre lo stesso? A tali cianciafruscole, se hai granello di buon senso, non devi badare!" Le cose camminarono così, finchè l'episodio non fu giunto a spontaneo scioglimento. Un giorno, mentre io cantava in coro, il chierico innamorato svenne in chiesa per la commozione. La chiesa era affollata: nacque un bisbiglio da non dirsi. I preti nella sagrestia si turbarono,i chierici se la godevano, le monache, calata la maschera, scaricarono sulla loro vittima le farétre, sclamando ad una voce: "Quanto è ridicolo! quanto è stupido!" Poi soggiungevano: "La santa Messa è mutata in commedia.... queste scene fanno vergogna al convento." Di lì a non molto trovai il chierico che si struggeva in pianto. "Siamo congedati tutti quattro noi chierici," mi disse con voce interrotta dal singhiozzo. "È mai possibile?" "Pur troppo. Dio mio, che sarà di me!" "Tutti quattro congedati! Hai dunque trascinato anche i colleghi nella tua rovina?" "No: la rovina sarà soltanto mia. Gli altri tre se ne vanno per pura apparenza: fra poco ritorneranno, io solo non ci ritornerò più." "Fanno bene a congedarti con tal garbatezza," conchiusi io. "Me ne duole cordialmente, ma la tua situazione in questo luogo era divenuta insopportabile." Gli abitanti delle contrade vulcaniche sono pieni di fuoco al pari de' loro vini; ed io son Napoletana. Accesa di sdegno, mi portai subito dalla badessa; le espressi la mia compiacenza, pel congedo de' chierici, ma non lasciai di redarguirla dell'ostinata renitenza nell'occasione precedende della mia rinunzia. "Se aveste accettata la mia dimissione, quando con tanta insistenza ve la chiedeva," le dissi con vivacità, "non vi sareste trovata oggidì nella crudele necessità di mettere ad effetto un provvedimento, che tornerà a scapito non meno del vostro monastero, che di quei poveri giovani. Ma ciò che è fatto, non si disfà. Un solo schiarimento mi resta a chiedervi, e questo si riferisce particolarmente al mio personale decoro. È reale, è positivo, oppur è solamente simulato il complessivo congedo di tutti quattro i chierici? In altre parole, vi riserbereste forse in petto il disegno di richiamare fra poco tre di loro, per infliggere l'esclusione ad un solo?" "No," rispose essa. "Il cielo non voglia! Comune e definitiva è, e sarà per tutti, l'esclusione!" "Avrete bastante fermezza da resistere ai maneggi delle monache che li proteggono?" Ci trovavamo presso una cappella, dedicata alla Vergine. La badessa si volse verso l'immagine, e levando le mani al cielo: "Giuro," disse, "per Maria santissima, che nessuno di loro ritornerà." "Ed io giuro," soggiunsi, "che se uno di loro entrasse per una porta, io uscirei subito da quell'altra!" Ci separammo in pace. Ma la povera donna era più di parole che di fatti. Ella contava i voti che le si rendevano indispensabili alla riconferma nel badessato. Di lì a otto giorni i tre chierici ritornarono. Nè a questo si ristrinse l'intrigo; tentò inoltre la consorteria di spandere sul mio portamento un'ombra di denigrazione. A che non giunge la perfidia fratesca! Quegli dei quattro chierici, che di fatto era espulso dalla chiesa, fu da' confessori e dai monaci della chiesa stessa denunziato al cardinale; il quale, con altrettanto smoderato desiderio di arrendersi alla voglie delle sue creature, l'obbligò a deporre l'abito clericale. L'abbadessa aveva mancato al suo giuramento: io volli mantenere il mio. Quel giorno fermai incrollabile nell'animo la risoluzione di lasciare ad ogni costo un luogo, dove ribollivano le macchinazioni e traboccava il fiele dell'invidia.

Pagina 182

Documenti umani

244705
Federico De Roberto 1 occorrenze
  • 1889
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • verismo
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"Se l'ora dell'angoscia scocca per voi, se l'unghia del dolore vi lacera le carni; ecco ogni ardire si fiacca, la viltà vostra vi fa abbassare la fronte e piegare i ginocchi; allora, allora soltanto voi tendete le mani congiunte ad un cielo prima schivato.... Cessi il dolore, scomparisca il pericolo, lo scettico o l'indifferente sorriso errerà nei vostri sguardi. "O ciechi affidamenti! o folli aberrazioni! Dal primo istante di vita, voi portate il vostro proprio lutto; fin dalla culla i vostri piedi stanno sulle soglie della morte. Il tempo v'inghiotte istante per istante; come le goccie d'acqua della clepsidra i vostri giorni se ne vanno l'un dopo l'altro; invano tentereste di arrestarne uno solo, voi potete soltanto contarli - e quando essi saranno tutti trascorsi, saranno fatti eguali all'attimo alato. Voi chiederete appena: Qual'ora è? - e la voce dell'Ignoto risponderà: L'Eternità.... "O uomini, o miei fratelli, mettete la vostra mano nella mia. Essa è scarna e tremante; nondimeno non chiede un appoggio. Io voglio guidarvi, io voglio farvi mirare uno spettacolo nuovo. "Nella solitudine nuda, quando nessuna cosa attrae l'occhio sulla terra, gli sguardi amano errare per le plaghe del cielo. Le nuvole vagabonde v'intrecciano i loro corsi: ed ecco in quelle forme ed in quelle colorazioni sono tutte le imagini del mondo. Tal fiocco leggiero naviga tranquillamente nell'azzurro, come nave cui sieno propizie le onde; tali plumbei ammassi spumosi sono un mare flagellato dalla tempesta. All'alba, piccole forme dorate, come alati messaggieri, dispiegansi alla luce saliente; al tramonto, fosche vampe si slanciano dall'occidente, si perdono in una caligine densa, come se l'orbe s'incendiasse. E sono ancora candori abbaglianti, come di campi nevosi, come di giogaie iperboree; e sono ancora immense fuliggini, come tediose tele di ragni colossali; e sono ancora monti di porpora e d'oro, miserabili cenci sdruciti, scaglie opaline di madreperla, ghirlande di rose, mucchi di sassi. Sorgono dall'ampia cerchia dell'orizzonte mutevoli forme; linee ondulate di lenitane colline, picchi superbi, rocche munite; aerei ponti si slanciano arditi, lunghi fiumi serpeggiano, isole e continenti si formano. Non reclinereste voi la stanca testa su quel morbido, voluttuoso guanciale? Qual pastore guida quell'armento sterminato? Di che sangue è tinta quell'immensa spada gocciolante?... Cozzano formidabili Titani, gonfi d'odio e di livore; s'intrecciano ali leggere che l'amore sospinge.... E tutto questo è un po' di vapore, un soffio: i monti s'adeguano, le rocche crollano, le rose si sfrondano, le spade si spezzano; tutto svanisce e tutto ricomincia.... Simigliante è lo spettacolo della vita; nel mare dell'essere tutto è soffio, è parvenza.... "Anch'io, anch'io misi un gran prezzo a tutto ciò che vi preme di più, anch'io amai e odiai, anch'io sognai la potenza e la gloria. Un po' del mio cuore è rimasto da per tutto lungo la strada, e la mia memoria è popolata e rumorosa come un alveare.... Dov'è la casa che mi vide nascere, il tetto che riparò la mia culla, il focolare intorno al quale il mio spirito cominciava a destarsi, sognando di fantasmi e di eroi? Distrutta, lontano! Dove sono i fiori che l'amore falciava nella stagione felice? Appassiti, dispersi.... O lacrime invano versate! O più vani sorrisi! Che cosa avanza di tante energie? Delle rughe sulla mia fronte, che in breve spariranno con me.... "Come nel profondo silenzio i suoni più flebili acquistano una straordinaria intensità: l'aliare di un insetto, il cader d'una fronda; così all'occhio di chi vede la morte vicina le cose più trascurate hanno sole un alto valore. Non più gl'interessi che si chiamano grandi, non più le passioni che si dicono forti hanno seduzioni per me. Savio era Lemminkainen, l'eroe che, partito ad espugnar la Pojola, vinto a mezza via dalla noia, dalla paura e dal dolore, si fabbricò un nero cavallo fatto di fastidii, con una briglia composta di giorni tristi ed una sella d'angosce, e se ne tornò presso la madre. La madre è la natura, e sono le sue semplici vicende, il nascere e il morire del giorno, il germogliare e l'appassire del verde, le cangianti voci del vento e del mare, le sinfonie delle colorazioni, l'accendersi e lo sfolgorare degli sguardi astrali che lo spirito mio ansioso segue. "Interrogate, o voi cui morde l'enimma, questa infinita natura, sempre varia ed identica sempre: forse intorno a voi purissime essenze aleggiano irrequiete, dolenti della vostra trascuranza; forse in ogni atomo vibra una vita che vuol esser compresa. "Interrogate, interrogate la storia, chiedete ad ogni religione la sua filosofia, aspirate ad un olimpo, ad un nirvâna, ad un paradiso. Mille risposte si son date all'enimma, e chi sarà tanto ardito da dire: Io solo sono nel vero? "Qualcuno esiste. "Qualunque sia il nome dato alla sovrana potenza, essa permane, eternamente immutabile. Microscopici insetti annaspanti sopra un grano di miglio, noi siamo nella sua piena balia. Un soffio ci disperde, un turbine travolge col nostro miriadi di mondi, di su, di giù, per gli spazii infiniti.... La notte è formidabile; nell'oscurità formicolante di astri uno sguardo pertinace, inflessibile, sembra pesar su di noi. "Ma, ignoranti, noi abbiamo una grande scienza; deboli, disponiamo d'una forza grandissima. Essa è la Preghiera. Che importa la natura e la forma del Dio, se possiamo intrattenerci con lui, se possiamo fargli l'olocausto dell'anima? "La Preghiera è divina: la Parola che s'innalza al trono di Dio partecipa della sua divinità. Nel cielo di Brahma essa si confonde con lui. - Io son la regina, canta negli inni del Rik; io porto Mitra, Indra, Agni, gli dei Asvini e gli altri tutti. Per mezzo degli Dei io sono presente in tutte le cose e penetro tutte le cose. "Che cosa sarebbe rinunziare al mondo, mortificarsi, vestire di cenci cuciti insieme raccattati nei cimiteri o fra le immondizie, vivere di elemosine non chieste, soffocare ogni istinto, per amore dell'eterna salute?... Ebbene basterà che preghiate. In ginocchio, pregate! Pregate per voi e pei vostri fratelli, pei morti e pei nascituri!. La preghiera sarà la colonna di vapore e di fuoco che vi guiderà giorno e notte; sarà il Sinai sul quale la Legge vi verrà rivelata.... Siate umili, fatevi più piccoli ancora di quel che non siete; accettate ciò che è, benedite le gioie ed i dolori; soffrite la vita, adorate la mano che vi accarezza e che vi flagella. E le vostre inquietudini svaniranno, voi sarete affrancati dai vostri terrori. Venga ora la morte, essa non avrà virtù di turbarvi; sereni voi vi chinerete sulla faccia dell'abisso.... "Bestemmiate ancora, ribellatevi se vi credete zimbello d'uno stolto potere, se stimate che vi fu data una vista illusoria poichè la verità è stata inescrutabilmente nascosta! La bestemmia è una preghiera al rovescio, ribellarsi è un modo di credere, l'angelo caduto ha anch'esso la sua grandezza, e tutto, tutto è preferibile alla limacciosa indifferenza dove s'impantanano le anime vostre.... "Guai a voi che nessuna cura del futuro non morde! Guai, guai al secolo che non scruta il problema dei destini! Quando l'ora fatale sarà scoccata, quando voi sarete per naufragare nel mare dell'immensità, non sarà il vostro orgoglio, non sarà la vostra potenza terrena, non saranno i vostri vani piaceri che vi daranno soccorso! Nel commercio della vita, nel cozzo delle passioni, non saranno essi che vi additeranno la diritta via! "Ascoltatemi ancora; io voglio dirvi ciò che orecchio umano non ha ancora saputo; voglio confessarmi a voi, tutto. Come potrei aspirare ad essere seguito, se fossi sospettato di non esser sincero?... Ascoltate: io peccai. Sollecitato da brame violente, assicuratomi della umana impunità, col tradimento più nero, io armai la mia mano. Odo ancora gemiti del caduto, fuggo ancora nella notte tremenda.... Ed era come se le mura, gli alberi, i monti, tutta la terra si rovesciasse dietro di me, perseguitandomi. La fuga era inutile; nessuno m'inseguiva, nessuno mi aveva scorto. Io portavo fra gli uomini la mia fronte alta e serena, la mia mano era ancora stretta dalle mani leali. Solo io leggevo un'accusa in ogni sguardo, in ogni parola, in tutte le cose; un'accusa sorda, implacabile.... Non era un'allucinazione della mente turbata? Tutto procedeva come di consueto, e nessuno mi rimproverava nulla. "Internamente, il rimorso mi assiderava; io mi chiedevo tremante: qual gastigo mi è riserbato? e stavo sempre nell'attesa di mali terribili, delle più spaventose miserie del corpo e dello spirito.... Il gastigo non veniva, la vita scorreva egualmente, con le stesse vicende. "Io mi chiedevo ancora, con più profondo terrore: Sarà forse la morte che mi colpirà, presto, prima che io abbia compita la mia carriera?... Ed io l'aspettavo da un momento all'altro; un triste sorriso m'increspava le labbra quando mi si parlava del domani. E la morte veniva; ma invece di colpir me, si abbatteva intorno a me, mi isolava in un cimitero sempre più vasto. Vecchi, giovani e piccoli, tutti se ne andavano: io solo persistevo, che avrei dovuto pagare pel primo; persistevo a misurare l'orrore dell'inutile colpa, la malvagità della speme bugiarda, il precipizio della nostra miseria; persistevo a misurare la terribilità del gastigo e la giustizia sovrana che l'infliggeva; invocando come una liberazione la morte temuta, ansioso di entrare finalmente nel Vero.... "Come me, voi tutti siete colpevoli; il giusto pecca sette volte il giorno; nessuno di voi è senza peccato! Nel profondo della vostra coscienza, inconfessata a voi stessi, è la storia delle vostre colpe; e che importa che esse non sieno state materialmente compiute, se esse sono state pensate? Il pensiero è infame.... Come me, voi tutti avete bisogno di redenzione!... "Io so la vostra risposta, io so la derisione di cui mi fate oggetto, per lo smarrimento in cui credete che il rimorso e l'età abbiano gettato la mia mente.... Siete voi, ciechi, stolti, miserabili, che mi fate pietà; è per voi, per riscattarvi, che io vorrei dare il poco sangue che ancora mi resta, che io vorrei salire un calvario e spirar sulla croce, se dall'alto d'una croce la mia parola fosse ascoltata. "Nessuno mi ascolta. La solitudine ed il silenzio mi circondano, il vento dell'oblìo disperde le mie parole, come il turbine del tempo disperde via l'un dopo l'altro i giorni irrevocabili...."

Il drago. Novelle, raccontini ed altri scritti per fanciulli

246540
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1895
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
  • Verismo
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Non poteva vederselo davanti, ritto in piedi, con quella tuba in testa che toccava la volta della camera, e il collo incastrato nell'alto colletto che non gli permetteva di abbassare il capo. — Sedete, dottore ! Temeva che la sua voce di malato non riuscisse ad arrivare fino a lassù, sotto la tuba, e penetrargli dentro gli orecchi sempre turati con la bambagia. — Voialtre, andate di là, — soggiunse per allontanare le bambine. E appena esse furono uscite di camera, si mise a singhiozzare. — Dottore, ditemi la verità! Per quelle creature, che non voglio lasciare in mezzo a una via, ditemi la verità ! — Certe cose, caro don Paolo, — rispose il dottore, tirandosi le punte del colletto, — non bisogna mai rimandarle proprio agli estremi momenti, quando la testa non ci regge più! Così anche per le cose della santa Chiesa. — Dunque sono spacciato ? — Non esageriamo caro don Paolo !... Ecco qui un calmante per la tosse; una cucchiaiata all'ora; poi penseremo alla febbre... Niente di grave. — La mia sentenza di morte! — pensava don Paolo, seguendo con gli occhi la mano che scriveva la ricetta sul ginocchio della gamba accavalcata all'altra. E prima che il dottore andasse via, egli lo pregò di mandargli il notaio Miani, pel testamento; erano a uscio e bottega, non sarebbe stato troppo incomodo per lui. Il dottor Cipolla, che s'interessava molto anche della salute dell'anima dei suoi clienti, dopo il notaio, s'affrettò a mandargli pure suo compare, il canonico. Ma don Paolo, che aveva dovuto fare un bello sforzo per vincere l'idea di malaugurio del testamento, quando vide entrare il canonico, non potè frenarsi : — Venite a portarmi la jettatura anche voi ? Lasciatemi in pace! — Sono venuto per una visita, si scusava il canonico. Don Paolo però seguitava a strillare: — No, compare; se mi confesso muoio ! — Siete cristiano, si o no ? — Cristianissimo; ma se mi confesso e prendo il viatico, muoio! — Le cose sante sono la miglior medicina, compare. — Ma se non debbo morire... E non voleva morire, almeno questa volta. E ragionava, a modo suo, parlando a stento, fra un colpo di tosse e l'altro, per convincere il canonico, che si frenava a stento per non ridere. Come? Sono andato alla messa di Natale per devozione, ci ho condotto anche le bambine, e il Signore, in ricompensa, mi farebbe morire? Non è possibile. Dio è giusto. Non può mandarmi all'inferno; non ho rubato, non ha ammazzato, non ho calunniato; ho fatto anzi un' opera di carità da meritarmi il paradiso... — Questo non dovreste dirlo voi, — lo interruppe il canonico. — Se il Signore si avvede che mi son confessato e comunicato, dice: — Quel povero don Paolo portiamolo in paradiso, è meglio, giacchè ora si trova in grazia nostra !... — No, Signore benedetto ! lasciatemi star qui... Non vedete che queste orfanelle hanno soltanto me, e che se muoio io, le spogliano, le riducono alla miseria con tutto il bel testamento che ho fatto? Lasciatemi quaggiù un altro pochino! — Il signore sa bene quel che deve fare, non ha bisogno dei vostri consigli !... — Non lo consiglio, lo prego! E dovreste pregarlo anche voi nella santa messa ! Io dico : Il Signore, non vuol farmi dannare. Ebbene, se muoio non confessato, mi danno... Dunque mi dia la salute del corpo, non per me, per le orfanelle... E per ciò non mi confesso, no, no, no ! Potete andarvene, compare canonico ! Il canonico, dalle risa, era passato alla commozione per tanta ingenuità, che infine significava profondissima fede in Dio ; e non insistette, anche per non turbare il malato, che non gli sembrava così grave come il dottor Cipolla gli aveva detto. — Riposatevi; avete chiacchierato troppo ! Infatti, calmatasi l'eccitazione, Don Paolo era ricaduto, ansimante, con la testa sui guanciali, la bocca aperta e gli occhi chiusi. Le orfanelle lo guardavano atterrite, senza osare di accostarsi al letto, interrogandosi con cenni: — Che dobbiamo fare? Non dovettero far altro che preparare qualche scottatura di tiglio, di cammomilla, e poi ottimi brodi di pollo durante la convalescenza. La quale, contro ogni previsione del dottore, fu così rapida, che una mattina in cui egli credeva di trovare il malato ancora a letto in attesa del permesso di alzarsi per qualche ora, lo trovò invece in cucina davanti a un fornello, mentre Giovanna grattava il cado, e Lisa sbatteva in un piatto le uova per una magnifica frittata, e lui minuzzava un po' di prezzemolo e di cipolla da servire pel condimento. Il dottore, che appunto tornava dalla casa di un cliente morto pochi minuti prima senza permesso di lui, ed era rimasto male davanti ai parenti in lagrime e che quasi l'accusavano di aver ammazzato il malato, visto don Paolo in atto di fare il cuoco, s'era messo a ridere e s'era sentito venire l'acquolina in bocca all'odore. — Ah, voi fate venir in casa il medico per invitarlo a colazione ! — Se volete favorire, — aveva risposto don Paolo, sorridendo. Ma per levarselo di torno subito, gli aveva messo in mano una carta da dieci lire, pagamento delle visite. Non voleva conti in sospeso con nessuno, col medico soprattutti : certa gente è meglio tenerla lontana quanto più si può. — Staremo un bel pezzo prima di rivederci, caro dottore ! — gli disse su l'uscio, allegro, quasi avesse in tasca il contratto con Domineddio, di dover campare un secolo o poco meno. E fu proprio così. ***

Pagina 40

La ballerina (in due volumi) Volume Secondo

247405
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 1899
  • Cav. Niccolò Giannotta, Editore
  • Catania
  • Verismo
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L'avvicinarsi alla sua casa, a tutti coloro che la conoscevano, le dava un tormento interiore che le faceva abbassare il capo sul petto. Aveva così poca fierezza ella! In piazza della Pignasecca, sulla soglia della ricca ed elegante farmacia del Caprio, il cavaliere Gabriele Scognamiglio era sulla porta, mentre un suo commesso inaffiava la via innanzi a lui. Il cavaliere stava sempre, dalle cinque alle otto, in farmacia, geloso dei suoi interessi, in fondo, sapendo bene dividere le ore dello svago da quelle del lavoro. - Oh donna Carmelina bella! - egli esclamò giocondamente - donde venite? - Dalla pruova, cavaliere - disse lei, fermandosi per cortesia. - Va presto, il Rolla, alle Varietà, cara carina? - Va sabato prossimo; fra tre giorni. - Verrò ad applaudirvi. Anzi, vi manderò dei fiori. Siete di prima fila alle Varietà? - Sì, sono guida di prima fila - mormorò ella, a occhi bassi. - Caspita, che avanzamento! - Sono teatro di estate, le Varietà: le buone ballerine mancano e allora... - No, non dite questo. Io verrò ad applaudirvi e vi manderò dei fiori. Non dirà nulla, Gargiulo? - ...No - rispose ella, dopo un momento di esitazione. Egli la guardò meglio: la squadrò, coi suoi occhietti vivi e maliziosi di uomo che capisce tutto, da una pausa, dalla velatura di una voce. - Che avete, donna Carmelina? siete malata? - No, grazie, sto benissimo, cavaliere. - Roberto Gargiulo vi ha lasciata - disse lui, crudamente. - Come lo sapete? - balbettò la poveretta, guardandolo con occhi persi. - Come se me lo avesse detto lui, Carmelina. Non poteva essere diversamente. - ...Già - sussurrò lei, a voce fioca. - Non vi disperate troppo, mia bella ragazza. - Le lagrime guastano la faccia e rovinano lo stomaco. - Io non ho pianto, cavaliere. Egli la scrutò bene: e le chiese, subito: - Dunque, non gli volevate bene? - ...No, cavaliere - rispose ella, voltandosi in - Neppure, lui, allora, ve ne voleva? - Lui, niente - ella replicò. - E allora... perchè? - Perchè?... e chi lo sa?... non si sa, il perchè. Buongiorno, cavaliere. - Ve ne andate? Restate. Ricordate che vi dissi, alla Regina d'Italia! Il vostro don Gabriele è qui, per voi. Siete una cara ragazza, io vi voglio molto bene, mi piacete assai; sono contento, in fondo, che vi siate liberata da quell'egoistaccio di Roberto. - Buongiorno, buongiorno, cavaliere - diss'ella, volendosene andare, non sopportando di udire quelle parole, ascoltandole per gentilezza e soffrendone molto. - Vi vengo a prendere questa sera. Andiamo a cena insieme? Non volete? Perchè non volete? Sono un galantuomo, sono un signore; vedrete subito la differenza con quel commesso! Non volete, siete ancora triste, eh? Andate a chiudervi in casa, un poco? Bene, bene, aspetterò, don Gabriele è un uomo paziente. Cara ragazza, non perdete tutta questa fortuna, non capita ogni giorno! E se ne rientrò in farmacia, indispettito in fondo, ma sereno nell'aspetto. La sera della prima rappresentazione del Rolla, il bel teatro estivo delle Varietà era gremito di una folla quasi simile, nella composizione, a quella che frequenta, nell'inverno, il teatro San Carlo, poichè la gente elegante napoletana lascia Napoli solo alla metà di luglio: nelle prime file di poltrone erano i soliti frequentatori del Massimo, fra cui don Gabriele Scognamiglio, e la corte che egli faceva a Carmela Minino era così evidente, i suoi bravo, Carmela! così udibili da tutta la fila, i fiori, che le aveva mandato nelle quinte, così olezzanti, che la ballerina ancora tutta triste dell'abbandono di Roberto si sentiva imbarazzata, confusa. Le compagne che l'avevano derisa per tre giorni, ora, la invidiavano, poichè, per quasi tutte loro, don Gabriele Scognamiglio rappresentava il tipo perfetto dell'amante di una ballerina, vecchio, ricco, donnaiuolo, generoso, occupato in molte ore della giornata, facile a ingannare: le sorelle Musto, scritturate anche esse, in prima fila, la tiravano in tutti gli angoli del palcoscenico, per dirle di non fare la imbecille, di non perdere questa magnifica occasione, di fare quattro giorni di buona vita, di accumulare un po' di denaro, almeno, per i tempi cattivi. E don Gabriele non era, anche, un simpaticissimo uomo, ben vestito, profumato? Carmela, stordita, confusa, crollava il capo, dicendo no, fiocamente, decisa a rifiutare, ma non sapendo farlo sgarbatamente. Così, solo per disimpegno, dichiarandoglielo, anzi, accettò di cenare, quella sera, con lui, al restaurantStarita, in Santa Lucia nova. Il restaurant Starita è collocato sulla penisoletta fra terra e mare, che è attaccata al forte Ovo: penisoletta circondata dal mare, in un piccolo porto artificiale, dove si ancorano piccoli yacht, piccoli cutters e le yoles dei due Circoli di canottieri, che sorgono dirimpetto. Colà sono delle case che furono fatte, in inizio, per albergare i marinai della vecchia strada di Santa Lucia, che è tutta in rifazione, da dieci anni; anzi, quelle poche case, a un piano, prendono il nome di Borgo Marinai. Però, veramente, marinai non ce ne sono ancora, poichè essi abitano sempre Santa Lucia vecchia, immobile sotto la lentezza della sua trasformazione: e la modicità delle pigioni di quel borgo vi ha indotto delle piccole famiglie di infima borghesia, vi ha indotto dei pittori poveri, e quasi tutti coloro che sono impiegati, in estate, al grande stabilimento di bagni Eldorado, con relativo cafè-chantant. La banchina di terrapieno, colà, fa un gomito lungo e sui due lati di questo gomito sono sorte tre o quattro trattorie, in piena aria, con le loro tavole imbandite sotto le tende, dietro alcune leggiere balaustre di legno dipinto, coi lumi che si riflettono nel mare, che è a un paio di metri di distanza. Ivi, di estate, con la vicinanza dell'Eldorado, delle Varietà, vi sono sempre persone che pranzano, che cenano, prima dello spettacolo e dopo lo spettacolo: alle famiglie borghesi si mescolano delle coppie d'innamorati; delle chanteuses, delle ballerine, delle equilibriste, delle mime, vi appaiono, in lieta compagnia. Due o tre di quelle trattorie sono più modeste, più volgari e vi va gente minuta: il restaurant Starita ne rappresenta l'aristocrazia. Si sta sul mare, al fresco, di sera: sotto le chiglie dei yacht, dei cutters ammassati si vede scintillare l'acqua bruna del piccolo porto, chiuso dalla scogliera; sulla via del Chiatamone brillano i lumi dei grandi alberghi Royal e Vésuve, passano equipaggi continuamente: alle spalle, il forte Ovo dirizza la sua singolar linea di castello tragico. Si mangiano delle zuppe di pesce, delle fritture di pesce, come al lontano Posillipo che tutti trascurano, oramai, poichè ci vogliono tre quarti d'ora per arrivarvi, e Santa Lucia nova è nel centro della città; si paga molto caro, ma è così bello, sul mare, nelle sere di estate, a un passo dal centro, sotto gli occhi di tutti gli uomini chic, scapoli specialmente, o mariti le cui mogli sono già partite per la villeggiatura, guardando tutte le bellezze vere o artifiziose che si agitano nel mondo del piacere, in estate, a Napoli! In verità, quella sera, don Gabriele Scognamiglio ebbe un tatto squisito per non impaurire Carmela Minino. Gli bastava, infine, a lui, per cominciare, che la ragazza avesse accettato di venire a cena con lui, al restaurant Starita, in un posto dove tutti quanti li avrebbero visti; non voleva altro, per allora. Egli non era innamorato di Carmela, giacchè, alla sua età, egli lo dichiarava, non si sentiva tanto stupido da innamorarsi di una donna qualsiasi, più giovane o meno giovane: forse, in tutta la sua vita, non era stato innamorato mai, sentendo, nel suo egoismo, che un tale sentimento, in tutta la sua esplicazione e in tutta la sua forza, avrebbe turbato la sua linea di condotta, dedita solo alla gioia. La ragazza gli piaceva, da più tempo, malgrado che non fosse nè bella, nè aggraziata, nè elegante: era giovine, era nuova, diceva lui, non aveva tutte le perfidie e le perversità di chi ha già troppo precocemente vissuto, e ciò gli bastava, a don Gabriele Scognamiglio. Non era una gran conquista, tanto più che vi era stato un altro prima di lui: ma, a circa sessant'anni, il gaudente farmacista sapeva contentarsi, e, quasi, quasi era contento di poter succedere a Roberto Gargiulo, senza preoccupazioni, senza rimorsi. Carmela Minino glielo aveva preferito: era troppo filosofo per seccarsi, quando le donne gli preferivano un giovane. E ora raccoglieva quella povera anima afflitta e abbandonata, la trattava con gentilezza, non le parlava d'amore, sapendo bene il modo come vanno prese le donne, esseri capricciosi, malati e incomprensibili: non incomprensibili a chi, da quarant'anni, non si occupava che di loro. Le camminava accanto, per la via del Chiatamone, senza darle il braccio, cercando di farla ridere con le sue barzellette, raccontandole qualche aneddoto spiritoso, narrandole qualche avventura di viaggio. Don Gabriele Scognamiglio presiedeva ai suoi affari, in farmacia, per dieci mesi dell'anno: ma due mesi, in primavera o in autunno, li consacrava ai viaggi all'estero, dove vi era grande vita e belle donne, o donne, senz'altro, ma donne diverse, donne varie. Più spesso andava a Parigi, anzi, malgrado la sua professione, malgrado i contatti delle sue giornate di lavoro e delle sue notti napoletane, era un parlatore di francese perfetto. Nel discorso, quando furono nella viottola che porta al forte Ovo, egli disse: - Carmelina, vi voglio portare a Parigi. Ella abbozzò un assai smorto sorriso. Sapeva che don Gabriele le diceva quello per solo atto di galanteria: ed ella, per buona educazione, non lo interrompeva. Malgrado fosse tardi, il restaurant Starita era pieno: i suoi lumi piovevano luce su tavole dove cenavano i Napoletani, a gruppi di tre, di quattro, di cinque, con un affaccendarsi di camerieri, che non bastavano alle richieste. - Vi piace, qui, Carmelina? - Sì, è bello - ella disse, guardando la città, il mare e il Vesuvio, macchinalmente. Trovarono un tavolino piccolo, per due, accanto a una tavola imbandita per otto persone, coperta di piattini di antipasto, da trionfi di frutta e da due mazzi di fiori, ma vuota. Era fissata la grande tavola, per una cena, dalla mattina. I commensali sarebbero arrivati fra un quarto d'ora: e il cameriere, che don Gabriele interrogava, sempre curioso, ne nominò qualcuno. - Il conte di Sanframondi, don Ferdinando Terzi, il conte Althan... - Tutti amici, tutte conoscenze... - approvava il farmacista gaudente, felice - di esser vicino a quella cena. Carmela Minino lo guardò con certi occhi supplici e smarriti; ora provava un imperioso bisogno di andarsene: ma non aveva il coraggio di dirlo al suo compagno. Fuggire, dove? Che avrebbe pensato, don Gabriele Scognamiglio? Che ella era una malcreata, una pazza. Come dirgli? Che cosa dirgli? E perchè fuggire? Là, o in altro posto, non era la medesima cosa? Trangugiando delle rade lacrime ardenti, che le erano salite agli occhi, ella restò al suo posto, sulle spine, rispondendo come meglio poteva a don Gabriele Scognamiglio, che le chiedeva che volesse da cena, tutta rigida nel suo vestitino di seta bianco e nero, il solo buono che possedesse, un po' terrea sotto un cappellino di velo celeste che la modista le aveva voluto fare assolutamente e che le stava abbastanza male. Così vicina, quell'altra tavola! E, infatti, dopo poco tempo, con un gran rumore di voci, di risate femminili giunsero le quattro coppie, Emilia Tromba, Concetta Giura, la chanteuse spagnuola Mariquita che cantava e ballava all'Eldorado, la mima Alina Bell che agiva nel ballo Rolla alle Varietà. Si sedettero, con gran fracasso di sedie, accanto ai quattro gentiluomini che le accompagnavano in silenzio. Carmela Minino non vedeva Concetta Giura ed Emilia Tromba dalla primavera, dalla fine della stagione di San Carlo: le due ballerine si davano il lusso di non ballare in estate. E malgrado si dicesse che Sanframondi non ne poteva più di Concetta, che Ferdinando Terzi tenesse Emilia Tromba solo per rimedio, oramai, ai sospetti di un marito geloso, i due continuavano a portare in giro le loro amanti, a pagar loro da cena. Ferdinando Terzi, nel sedersi, capitò dirimpetto a Carmela Minino. Nulla era mutato in lui: con una bottoniera di garofani bianchi allo smoking, egli era sempre il bel gentiluomo dai fini mustacchi biondi, rialzati mollemente sopra una bocca rossa e sensuale, che non sorrideva mai, dal profilo nobilissimo ma così rigorosamente aquilino che pareva tagliato col coltello, dagli occhi azzurro pallidi, freddissimi, altieri, glaciali. Per un istante li fissò sovra Carmela. Poi si curvò ad Emilia, facendole in due parole, una domanda. Carmela comprese subito che s'informava di lei, di quel posto e di quella compagnia in cui ella si trovava: e comprese anche, che, ridendo, in poche parole, Emilia Tromba gli narrava la sua caduta. Guardava Carmela intensamente e dal modo sprezzante delle labbra di Ferdinando Terzi, ella intese, sentì magicamente le due parole: - Che sciocca! Carmela guardò, nell'ombra, la città, il mare, la montagna ardente, senza vederli: e pensò che tutto, tutto era inutile.

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Saper vivere. Norme di buona creanza

248706
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 1923
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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L'uomo perfettamente bene educato deve prestare il suo giornale, il suo orario, il romanzo che legge, alla prima richiesta di un compagno o di una compagna di viaggio: deve sempre sapere il nome della stazione, in cui si arriva: deve sempre aprire o chiudere lo sportello, sollevare o abbassare le tendine, chiamare il conduttore, il facchino, parlamentare col capostazione. L'uomo perfettamente bene educato, in barca, in omnibus, in carrozza, in ascensore, in automobile, in cima a una torre, in fondo a una cripta, deve sempre eclissarsi innanzi alle signore, lasciando loro il miglior posto, o guidandole, scortandole, proteggendole. Egli, in albergo, non fa chiasso, non canta, non ride, non urta nei mobili, non batte alle porte, non suona a distesa: in ascensore, sta sempre col cappello in mano, se vi è qualche signora; a table d'hôte viene in frack o in smoking, sempre a tempo; si serve modestamente, non mangia molto, non si ciba, ma gusta il pranzo; non si mette a fumare, prima di arrivare al fumoir; non sequestra i giornali nel salon de lecture; non legge quello che scrive la sua vicina nella salle d'écriture. L'uomo perfettamente bene educato, nei teatri, nei café - chantant, nei musei, nelle gallerie, non toglie la visuale a nessuno e se la lascia togliere, senza mormorare. L'uomo perfettamente bene educato, in viaggio, è una vittima: ma ha qualche consolazione. Talvolta, egli incontra una compagna di viaggio che, stupita di trovarsi con un uomo bene educato, dopo aver incontrato tutti uomini male educati, s'innamora perdutamente di lui.

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Dramm intimi

249966
Giovanni Verga 1 occorrenze
  • 1884
  • Casa Editrice A. Sommaruga e C.
  • Roma
  • Verismo
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Perché la fatalità facesse abbassare quello teste alte e fiere, bisognava che le avesse messo per la prima volta di fronte a un fatto che rovesciava bruscamente tutta la loro logica o no mostrava la falsità. La rivelazione della contessa aveva sbalordito Danei; ora ripensandoci ne era spaventato; e in quel contrasto d'affetti e di doveri combattentisi sotto il riserbo imposto ad entrambi dalla rispettiva posizione che li rendeva più difficili, si trovava imbarazzato. Parlò di loro due, del passato, dell'avvenire che gli faceva paura, cercando le frasi e le parole per scivolare fra tanti argomenti scabrosi, per non urtare o ferire alcuno di quei sentimenti così delicati e complessi. — Pensateci bene, Anna! a! Questo matrimonio è impossibile! Ella non sapeva che dire. Balbettava solo: — Mia figlia! mia figlia! — Ebbene... Volete che parta?... che mi allontani per sempre?... Sapete qual sacrifizio io farei!... Ebbene, lo volete? — Ella ne morrebbe. Roberto esitò, prima d'affrontare l'ultimo argomento. Poi mormorò, abbassando la voce: —Allora..... allora non resta che confessarle ogni cosa.... La madre s'irrigidì in una contrazione nervosa, con le dita increspate sul bracciuolo della poltrona. E rispose con voce sorda, chinando il capo: — Lo sa!... Lo sospetta!... — E nondimeno?.... — ripreso Danei dopo un breve silenzio. — Ne sarebbe morta.... Lo ho fatto credere che s'ingannava. — E lo ha creduto? — Oh! — esclamò la contessa con un triste sorriso.— L'amore è credulo... Lo ha creduto! — E voi? — chiese Roberto con un tremito che non potè dissimulare nella voce. — Io ho già tutto sacrificato a mia figlia. Poi gli stese la mano, e soggiunse: — Sentite com'è calma? — Siete corta che sarà sempre così calma? Ella rispose: — Sempre! E sentì freddo sulla nuca, alla radice dei capelli. Si alzò vacillante, e si strinse il capo di lui sul petto. — Ascoltate, Roberto, ora è vostra madre che vi abbraccia! Anna é morta. Pensate a mia figlia! Amatela per me o per lei. Ella è pura e bella come un angelo. La felicità, la farà rifiorire. Voi l'amerete come non avete mai amato... Dimenticherete ogni cosa... siate tranquillo!... Roberto era pallido.*

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