Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandonare

Numero di risultati: 137 in 3 pagine

  • Pagina 1 di 3

La fatica

169760
Mosso, Angelo 1 occorrenze
  • 1892
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Generalmente sono professori giovani che hanno poco talento oratorio, e nessuna pratica della scuola, quelli i quali devono aiutarsi con delle cifre, dei nomi e degli appunti che scrivono sulla tavola nera, e che spesso si volgono indietro a guardare, e vi si fissano sopra per dei minuti colla schiena rivolta al pubblico, tanto è grande la paura di abbandonare il filo che dovrà condurli fuori del labirinto. Ho sentito raccontare di professori celebri che sul principio della loro carriera avevano tale paura di dimenticare un numero, una formola, una data od un nome, che se lo scrivevano sulle unghie o sui polsini prima di entrare nella scuola. Poi non se ne servivano, ma ciò loro bastava per prendere coraggio. In generale i professori giovani sono tormentati dalla paura che nel far lezione manchi loro la materia su cui sono preparati, prima che sia finita l'ora. Solo il lungo esercizio dà il senso dell'ora, e la misura esatta di quanto può venir spiegato per compiere una lezione; i vecchi professori non hanno bisogno di guardare l' orologio per sapere quando è giunto il momento di finire il loro discorso.

Pagina 270

Fisiologia del piacere

170768
Mantegazza, Paolo 2 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Così il piacere di cacciarsi d'estate in un letto fresco di bucato cessa subito, perchè il calore che noi cediamo alle lenzuola le riscalda; mentre nell'inverno non sappiamo mai risolverci ad abbandonare le tiepide coltri, e spesso occorrono sforzi erculei ed atti di vero eroismo per esporci al rigore del mondo esterno. Non c'è bisogno di spiegare perchè i piaceri, che provengono dalle variazioni della temperatura, siano assai diversi secondo il clima del paese e le stagioni. Nella Guiana e a Madera, ad esempio, dove la temperatura è quasi uniforme in tutto l'anno, questi piaceri sono certamente meno numerosi e variati che nei paesi dove l'avvicendarsi delle stagioni ci fa vivere in quattro diversi climi in un anno solo. Le idiosincrasie individuali per questi piaceri sono infinite. Alcuni fremono di voluttà sotto la pioggia minuta di una doccia fredda, o gettandosi nelle acque di un fiume, e non si sentono pieni di vigore che nell'inverno; mentre altri intirizziscono alle prime brume, e non aspirano che all'alitare degli zefiri di luglio e agli ardori della canicola. Pochissimi altri, come me, si soffregano allegramente le mani nel veder cadere la neve in un rigido mattino di gennaio, mentre nell'estate sanno provare la voluttà di starsene distesi a terra in un bagno di sole. Anche lo stato elettrico dell'atmosfera influisce assai sul benessere generale, e, quindi, produce alcuni piaceri particolari o modifica quelli che provengono da altre sorgenti. A questo proposito, però, noi manchiamo di notizie positive, come pure manchiamo di infiniti elementi che modificano l'aria nei diversi paesi e nelle diverse ore del giorno. Gli endiometri più perfetti non sanno trovare che variazioni appena sensibili nell'aria di opposti emisferi, mentre i nostri polmoni riconoscono differenze notevoli nell'atmosfera a poche miglia di distanza.

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Per ridurre ad una formula generale le vicende del piacere nelle diverse età della vita, direi che il fanciullo gode della verginità di molte sensazioni, per cui prova molti piaceri piccoli e vivaci; il giovane gode le gioie più intense e più tempestose della vita, ma non sa apprezzarle degnamente; all'adulto sono concesse le compiacenze della calma e del riposo; e al vecchio sono lasciati gli ultimi piaceri che si provano nel gettare un estremo sguardo pieno di desiderio e di affetto alle cose care che si stanno per abbandonare. Il capitale dei nostri piaceri è nelle mani della natura finchè siamo fanciulli adolescenti, e noi godiamo degli interessi senza prenderci la più piccola briga dell'amministrazione. Arrivati alla giovinezza, la natura ci dichiara maggiorenni, ed entrando d'un tratto nel possesso di tutti i nostri beni, siamo presi da un vero delirio di possesso, diventiamo prodighi, scialacquatori, e poniamo quasi sempre in grande pericolo le nostre finanze. Bene spesso l'eccessiva nostra ricchezza ci impedisce una totale rovina, e arrivati all'età adulta raccogliamo i frammenti della nostra fortuna, e diventiamo economi, per poi divenire nella vecchiaia sempre avari od usurai.

Pagina 262

Il successo nella vita. Galateo moderno.

175001
Brelich dall'Asta, Mario 6 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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Se qualcuno fosse costretto di abbandonare prima dell'ora solita la società, lo fa senza attrar l'attenzione degli altri: si congeda piano dai padroni di casa e se ne va. Per lo più i vecchi sono quelli che cominciano a congedarsi presto. L'ospite accompagna ogni invitato sino alla porta; poi s'occupa di nuovo degli altri suoi ospiti, in modo che la sala da ricevimento si vuoti soltanto man mano. Ognuno che ha una casa, accettando un invito, dovrà occasionalmente ricambiarlo. Non occorre che questi inviti siano sempre dei grandi pranzi o colazioni ognuno inviterà e farà secondo i suoi mezzi; però si deve accettare soltanto degli inviti, che si può anche ricambiare.

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La probabilità d'una riforma nella moda per signori, veramente troppo pesante per l'estate, non ti autorizza di levar dappertutto la giacchetta, e sarebbe molto indecente di levartela, p. e. in un locale o ristorante di primo ordine, dove il proprietario potrebbe benissimo invitarti a indossarla di nuovo, o abbandonare il suo locale. Il meglio è: di acclimatizzarsi alle usanze del paese, con riguardo al tuo rango sociale. La stessa regola vale anche per la moda « senza cappello » che, oltre ai punti di vista della comodità, non è una cattiva idea, neanche dal punto di vista igienico. Eppure non si può lasciare a casa il cappello, se si voglia apparire elegante, con un vestito da strada ben fatto. Darebbe l'impressione d'un abbigliamento imperfetto, ed è specialmente fuori di luogo quando si sia indossato anche un soprabito. Si sollevi il bavero del cappotto soltanto in caso di cattivo tempo. E' molto indecente terminare la « toilette » soltanto per strada; quindi un vero signore non vestirà mai i guanti per strada, se già non li tiene in mano, come si usa. Se si è costretti a rimediare a qualche difetto di « toilette » per strada, non lo si faccia in mezzo al marciapiede, ma si vada in un portone, o si stia fermi almeno in un luogo poco frequentato. Chi, prima di abbandonare il suo appartamento, esaminerà i nastri, o i legacci delle sue scarpe, si risparmierà certamente qualche situazione penosa.

Pagina 26

Quando i giocatori osservano che una lepre rincorsa dal cane si stanca, essi possono « tagliare la pista » cioè passare fra la lepre ed il cane e questi allora è obbligato ad abbandonare la preda per rincorrere la lepre che gli ha tagliato la pista.

Pagina 303

Gli alfieri procedono sempre diagonalmente, ma non possono abbandonare mai il loro colore, bensì possono avanzare di una o di tutte le caselle che si trovano sulla linea del loro giuoco. La regina può procedere in linea retta, orizzontale o verticale o diagonalmente. Avanza di una o di più caselle, ed ha perciò il cammino della torre e quello degli alfieri. Il re non può muoversi che di una casella per volta ma in tutti i sensi. Però, quando si arrocca ne può fare due. Arroccare o roccare il re si dice quando gli spazi tra esso e la torre sono vuoti e nè il re nè la torre sono stati per anco giuocati. Allora si avvicina la torre al re, e questi salta per fare 2 invece di un passo solo. Collocate le pedine al posto assegnato a ciascuna di esse, il primo a giuocare fa avanzare un pedone e l'avversario a sua volta un altro. Così impegnata la partita, la vittoria resta a colui che per primo avrà fatto (o dato) scacco matto al re avversario. Dare o fare scacco matto vuol dire giuocare una pedina che minaccia di prendere il re. S'egli si salva è scacco; ma se non può giuocare senza essere preso, allora è scacco matto.

Pagina 368

Se un giuocatore indebolisce il proprio giuoco da una parte è opportuno aggredirlo con forza su quel punto, onde, con un cambio o con il sacrificio di una pedina, si possa andare sollecitamente a dama, senza però abbandonare o indebolire il lato contrario. Chi possiede una dama, si ricordi di non tenerla inattiva; ma cerchi con quella di infliggere il maggior numero di perdite all' avversario. Il buon giuocatore si rende sempre conto di tutte le mosse e delle conseguenze, anche lontane, che ne possono derivare. Scoprendo o indovinando il giuoco avversario, gli si crei subito una opposizione; e si abbandonino subito i progetti, che risultassero indovinati dalla parte avversa. La posizione, più che il numero delle pedine, contribuisce a far guadagnare la partita. Quando la partita sta per decidersi si raggruppino i propri pezzi e si lotti in massa, affinchè gli uni possano riescire di aiuto agli altri pericolanti. Quando la partita sembra perduta, si cerchi, sacrificando tutto, di giungere almeno a dama. Se l'avversario si è impadronito degli scacchi, è opportuno manovrare nel mezzo del damiere, procurando di chiudere i pezzi avversari.

Pagina 371

Abbandonare la chiesa durante la predica sarebbe una grave offesa a tutti e un disturbo sconveniente, perciò si deve sempre rimanere in chiesa sino alla fine. Dopo la predica il pastore va di nuovo innanzi all'altare, dice una preghiera e distribuisce la benedizione che viene accolta dalla comunità stando in piedi. Gli uffizi divini luterani terminano con un canto finale. Alle porte della chiesa ci sono dei « salvadanai » per raccogliere i doni di denaro dei credenti che escono. Lo scopo della beneficenza viene annunziato dal pulpito. Naturalmente la carità non è obbligatoria, ma ognuno dà secondo la sua capacità. In certe chiese di villaggio il servo della chiesa raccoglie gli oboli dopo la predica con un piccolo sacco, però senza campanello secondo l'uso cattolico.

Pagina 59

Per essere felici

179396
Maria Rina Pierazzi 2 occorrenze
  • 1922
  • Linicio Cappelli - Editore
  • Rocca San Casciano - Torino
  • paraletteratura-galateo
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Prima di abbandonare l'argomento dei piccoli trattenimenti, diciamo una parola sulle conferenze. Pur troppo l'argomento è di attualità, perchè siano in un periodo travolgente di eloquenza storico-politico-letteraria. Non so se abbia o no ragione colui che sentenziò: — La conferenza è quella cosa in cui uno parla e gli altri dormono — Ma ragione o no, siccome, tranne casi eccezionali, nessuno è obbligato ad assistere alle conferenze, così quando ci si va è desiderabile di contare sul silenzio e sull'attenzione del pubblico. Non è proibito, talora, di annoiarsi — ma i più elementari canoni della educazione proibiscono di dimostrare la propria noia e la propria stanchezza. Parlare quando il confereziere parla è scorretto e scortese; sottolineare con esclamazioni o brontolii le frasi che vanno a genio o quelle che non vanno affatto è peggio che mai. C'è sempre tempo a comunicarci l'un l'altro le nostre impressioni e a fare raffronti e confronti. Una conferenza, checchè se ne dica, è sempre frutto di studio e di lavoro — e il lavoro e lo studio meritano rispetto, specialmente da parte di coloro i quali passano l'esistenza divertendosi, non facendo nulla di serio nè di faticoso e trasvolando "di gioia in gioia„ come la Signora delle camelie.... Se poi la lettura o la dizione ha luogo in qualche salone particolare dove siete stati invitati, è consigliabile alle intervenute di non ripetere l'aneddoto narrato da una spiritosa francese, Madame de Boigne, nelle sue memorie, a proposito di Châteaubriand. Non voglio togliere la freschezza del racconto traducendolo e lo trascrivo così com'è. Ella scrive: "le me rappelle une lecture des Abèncerages faite chez Madame de Ségur. Il "lisait de la voix la plus touchante et la plus émue, avec cette foi qu' il a "pour tout ce qui èmane de lui. Il entrait dans le sentiment de ses personna "ges, au point que les larmes tombaient sur le papier. Nous avons partagé cette "vive impression et j'étais vèritablement sous le charme. La lecture finie on "apporta du thè. "— Monsieur de Châteaubriand, voulez vous du thè? "— Je vous en demanderai. "Aussitôt un echo se répandit dans le salon. "— Ma chére, il va prendre du thè! "— Donnez lui du thé! "— Il demande du thè! "Et des dames se mirent en mouvement pour servir l'idole.„ "C'était la première fois que j'assistais à un pareil spectacle et il me "sembla si ridicule que je me promis de n'y jamais jouer un rôle...

Pagina 100

L'irrequietezza che predomina l'intiera umanità non può far grazia alla classe che serve; basta il miraggio di un salario più pingue per far abbandonare senza scrupoli la famiglia ove un servo era ben trattato e non oberato di lavoro; ed ecco, perciò, annullata la possibilità d'esser certi d'avere in casa persone sicuramente affezionate.

Pagina 212

Le belle maniere

180030
Francesca Fiorentina 1 occorrenze
  • 1918
  • Libreria editrice internazionale
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
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Intanto la giovinezza del poveretto sfioriva inutilmente nella scuola, come una rosa che lascia cadere i pètali a uno a uno, e nessuno li raccoglie; e tremava la madre lontana, che, dopo averlo, fino a pochi anni prima, corazzato del suo amore contro ogni insidia, ogni male, ora l'aveva dovuto abbandonare all'ingratitudine di quelle fanciulle. Alcune al mio rude"zero! "avevano risposto con un torcere sdegnoso della bocca, altre con un alzare di sopracciglia, altre con un chinare della testa cocciuto, che più m'aveva irritata e quasi avvilita. Mi sentii un groppo alla gola; pensai all'adolescenza, ancor lontanamente futura, delle mie bimbe, con un senso di terrore. No, no! non dovranno esser così. Giorno per giorno parlerò loro delle pene di questi umili martiri che sono i maestri, i professori, dirò della lunga e faticosa preparazione agli studi, circondata spesso da stenti e privazioni domestiche, dalle disillusioni patite poi, appena raggiunto lo scopo. Tutte le belle idealità, che accompagnano i futuri docenti nei penosi anni di lavoro assiduo, svaniscono davanti alla piccola realtà racchiusa fra le quattro pareti della scuola e fremente sui banchi allineati come tante fosche categorie di regolamenti carcerari.

Pagina 147

Si fa non si fa. Le regole del galateo 2.0

180724
Barbara Ronchi della Rocca 1 occorrenze
  • 2013
  • Vallardi
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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La mano va stretta brevemente, senza stritolarla, ponendo a contatto i palmi (è sgarbato «concedere» due sole dita o abbandonare svogliatamente un arto molliccio e inerte) e guardandosi in viso. Quanto alle strette «a due mani», con I'aggiunta di pacche sulle spalle e prese al gomito, lasciamole ai politici in campagna elettorale. Se I'incontro avviene per strada, in ascensore, in un locale pubblico, su un mezzo di trasporto, niente stretta di mano: basta un «Buongiorno» con un bel sorriso. Mai salutare senza togliere gli occhiali da sole: sarebbe come parlare con qualcuno attraverso una porta chiusa. Passiamo ora alle presentazioni, una «grammatica» che vale la pena di imparare, onde evitare errori che possono offendere gli altri sminuendone il ruolo e l'importanza. Si presenta, indipendentemente dal sesso, la persona meno importante alla più importante, la più giovane alla più anziana, il singolo al gruppo, un collega a un estraneo, l'invitato abituale al nuovo arrivato, I'italiano allo straniero. Per quanto riguarda l'età, fermo restando il rispetto per le persone anziane, e a meno che non entrino in gioco prestigio e fama, si tende a considerare soprattutto l'anzianità professionale, cioè da quanto tempo si è in un certo posto di lavoro. È sempre la persona alla quale si presenta qualcuno a tendere la mano per prima: il neoassunto dimostrerà di «saper stare al mondo» evitando di porgere la mano al capufficio, in un contatto fisico magari non gradito. Siccome non siamo in salotto, anche le signore si devono alzare in piedi per presentare ed essere presentate. Ricordiamo che ormai usa chiamare «Signora» tutte le donne, senza indagare sul loro stato civile: «Signora o signorina?» è una domanda antiquata, da non fare mai. Chi presenta pronuncia chiaramente nomi, titoli di studio, mansioni, rapporti di lavoro: «Il nostro titolare, geometra Goffredo di Buglione», «La mia assistente, la dottoressa Bianchi», «II ragionier Rossi, direttore della nostra filiale di Cuneo». I presentati diranno semplicemente «Buongiorno» o «Buonasera», evitando l'abusato «Piacere» - spesso falso: quasi mai un incontro di lavoro risulta piacevole! In caso di autopresentazioni, se non siamo medici (nel qual caso il «dottore» è d'obbligo, per evitare confusioni di ruolo con altre figure dell'ambiente sanitario), è garbato tralasciare il titolo di studio, ma senza cadere nell'errore (e orrore) di definirsi «il signor Rossi» o «la signora Bianchi». Lasciamo che siano gli altri ad attribuirci la signorilità, che vale molto di più di un blasone o di un titolo di studio. L'importante è che ce la meritiamo. Durante un meeting o una riunione, ci si autopresenta a chi è seduto accanto a noi, rimandando il «giro del tavolo» di saluti individuali alla fine dei lavori, quando avverrà anche lo scambio dei biglietti da visita.

Pagina 210

Galateo popolare

183650
Revel Cesare 1 occorrenze
  • 1879
  • Vinciguerra
  • Torino
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Se dopo essere stato il giovine ammesso come aspirante in una casa, delle ragioni gravi lo consiglino di abbandonare le trattative, si deve in tale rottura, usare ogni sorta di riguardo. Ordinariamente si prende a pretesto, una malattia o un viaggio, che obbligano a sospendere le visite: poi si scrive direttamente al padre o al tutore della giovine una lettera rispettosa, nella quale si esprime tutto il dispiacere di essere obbligato a ritirarsi per delle ragioni o affari di famiglia impossibili ad essere significati, ecc. A datare da questo giorno, si deve cessare di andare in ogni casa ove si crede possibile l'incontro sia della famiglia, sia della giovine che si è obbligato di rifiutare. Se alla prima visita che il giovine ha fatto alla famiglia della giovine, le condizioni di dote, di speranze future della giovine non hanno soddisfatto il giovine, egli deve l'indomani scrivere alla famiglia non una lettera di rifiuto, ma una lettera nella quale annuncia che un piccolo viaggio lo priva dal piacere di fare la visita alla quale era stato autorizzato ecc. Una volta ammesso nella casa come aspirante il giovine deve andarvi sovente ma sempre in cerimonia, e ogni giorno della sua visita deve farsi annunciare con un mazzo di fiori che invia alla sua fidanzata. Se è una signorina di un'età matura o una vedova che si desidera sposare, cioè una donna indipendente e padrona della propria mano non è a lei che bisogna indirizzarsi per conoscerne le intenzioni, ma al suo notaio o a una delle sue amiche intime: convien astenersi da ogni visita sino a che non si abbia avuta la risposta. Se la domanda è accettata s'invia subito un mazzo di fiori con un biglietto per domandare a qual ora si può essere ricevuto. In caso di rifiuto bisogna continuare ancora le visite, soltanto se ne fa una ogni tanto e non si presenta che nelle ore nelle quali si è sicuro di trovare altre persone. Infine se si ha intenzione di rompere affatto la relazione, si fa poco alla volta con bella maniera. È di cattivissima educazione il parlare ad una donna del suo rifiuto sia direttamente sia indirettamente. È sottinteso che non si deve mai discorrere d'interessi con la fidanzata: si incarica di ciò o il notaio o un amico comune. II matrimonio deve tenersi celato sino al momento del contratto, ed è soltanto pochi giorni prima di effettuarlo che si annuncia ufficialmente agli amici.

Pagina 72

Come devo comportarmi. Le buone usanze

184874
Lydia (Diana di Santafiora) 1 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
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In presenza di uomini che osino parlare sconvenientemente, una signora deve trovar sempre modo di mostrare il suo disgusto: basterà quasi sempre l'atteggiamento del viso e un significativo silenzio; ma se questo non bastasse, essa potrà anche ricorrere a un atto più grave: secondo i casi, potrà alzarsi e abbandonare la compagnia, e magari, se le circostanze lo permetteranno, intimare ai maleducati di togliersi dalla sua presenza. Nessun gastigo è troppo grande per chi osa così dimenticare il rispetto dovuto al sesso gentile. D'un altro difetto, che può, in un certo modo, considerarsi come diametralmente opposto al primo, devono guardarsi tutti coloro che amano aver fama di persone veramente civili e disinvolte: cioè da una certa ricercatezza di modi e di linguaggio. C'è molta gente la quale, trovandosi in presenza d'un personaggio illustre o d'una signora, si crede in obbligo di abbandonare il suo solito linguaggio e di parlare, come si suol dire, in punta di forchetta, scegliendo frasi e parole e dando al loro periodo una tornitura speciale. Credono così di far buona impressione in chi ascolta e di suscitare stima e ammirazione. Quanto s'ingannano costoro! Bisognerebbe che potessero ascoltare quel che si dice di loro non appena hanno varcato la porta del salotto! Bisognerebbe che vedessero i sorrisi di compatimento delle belle signore, che udissero qualcheduno rifar loro il verso, smascellandosi dalle risa. No, no: semplicità, e naturalezza, sempre e soprattutto. Il modo di parlare deve esser come connaturato in noi, deve far parte della nostra esistenza, deve esser sempre uguale in ogni occasione: e se avremo, come dobbiamo avere, l'abitudine di parlar correttamente, non c'è nessun bisogno di mutar sistema in occasioni speciali. Del resto - l'abbiamo detto più volte e lo ripeteremo spesso anche in seguito - ogni esagerazione, ogni caricatura, anche nelle cose migliori, è sempre tutta a nostro danno.

Pagina 31

Il saper vivere

186662
Donna Letizia 1 occorrenze
  • 1960
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
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Recandosi a prendere una signora, il signore, appena giunto davanti al portone, scende dall'automobile (a meno che per qualche motivo non possa abbandonare il suo posto di guida). Se è accompagnato dall'autista sarà questi ad aprire e chiudere gli sportelli; ma lui dovrà ugualmente aspettare sul marciapiede. Le signore, invece, si aspettano a vicenda in macchina. La più giovane lascia alla più anziana il posto migliore.

Pagina 167

Galateo per tutte le occasioni

187795
Sabrina Carollo 5 occorrenze
  • 2012
  • Giunti Editore
  • Firenze-Milano
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Gli ospiti devono ricordare che sono tenuti alle regole della buona educazione, che non devono sporcare in giro né abbandonare piatti e bicchieri ovunque, ma riportarli al tavolo principale.

Pagina 114

Pagina 141

Vietati quindi i patetici tranelli organizzati per verificare la correttezza della propria colf, tipo abbandonare distrattamente dei soldi in bella vista. Sono umilianti per chi li pensa prima ancora che per chi li subisce. ✓ Ricordate che esisterà sempre una differenza tra il vostro modo di intendere le pulizie e quello di altre persone. Spiegatevi con cura invece di lamentarvi e comunque siate comprensivi. Meglio ricevere istruzioni precise che lamentele dopo, così come è meglio ricevere un appunto che respirare dei sottintesi sgradevoli. ✓ Se la domestica è fissa, deve avere la possibilità di accedere al frigorifero tutte le volte che desidera. Se si tratta di una persona che presta servizio a ore, è carino da parte vostra offrirle un caffè se siete in casa, oppure farle trovare la caffettiera pronta e il necessario per servirsi. ✓ Si dice sempre grazie e per favore. ✓ Eventuali problemi o appunti si discutono in privato, mai davanti a terzi. ✓ Le persone di servizio sono tenute alla discrezione riguardo alle abitudini personali dei padroni di casa, ma sta anche a questi ultimi evitare di mostrarsi in situazioni imbarazzanti o abbandonare oggetti stravaganti e/o personali in giro per la casa. ✓ Se si vuole assumere domestici fissi, è indispensabile che abbiano una loro stanza personale, possibilmente con il televisore e il bagno, e la massima libertà possibile (ovviamente nel rispetto dei termini contrattuali). ✓ Se volete far indossare una divisa, meglio che la scegliate con la persona che dovrà usarla, in modo che non si senta costretta ma a proprio agio. ✓ Insegnate ai bambini il rispetto per chi vi aiuta in casa e seguite personalmente gli animali domestici, che non devono necessariamente piacere a tutti. ✓ Assolutamente doveroso pagare con puntualità e precisione quanto dovuto. ✓ A Natale, oltre alla tredicesima, è cosa carina far trovare un pensierino, che non sia ovviamente un grembiule nuovo o un piumino per spolverare.

Pagina 165

Dunque la buona educazione diventa indispensabile per non abbandonare cadaveri galleggianti al largo. Essere amici da molto tempo e godere di un certo affiatamento può aiutare, ma non è sufficiente, così come una compagnia eterogenea raccolta per l'occasione può rivelarsi la migliore possibile. L'unica condizione utile è quella di rispettare con estrema educazione gli altri, il capitano e lo spirito della navigazione. Innanzitutto va sempre ricordato che una vacanza in barca è - nell'ambito delle possibili variazioni di misura - pur sempre una vacanza sportiva. Dunque evitate di mettere in valigia un guardaroba eccessivamente elegante. Per la medesima ragione, se siete tipi troppo formali esimetevi dall'accettare inviti in barca a vela, dove la vita necessariamente tende a essere più spartana e la confidenza maggiore. Il piacere di uno soggiorno in barca è qualcosa di cui tutti, a parte chi soffre di mal di mare, possono godere facilmente, senza necessariamente intendersi di spinnaker, boma o bolina. Quindi se invitate qualcuno sulla vostra imbarcazione non obbligatelo a imparare tutti i movimenti e il curioso quanto complicato vocabolario dei velisti, né ammorbatelo con discorsi e dimostrazioni di destrezza non richiesti. Condividere la propria passione per il mare non significa costringere i propri ospiti a un corso accelerato di navigazione. Allo stesso modo, se siete ospiti o viaggiate con persone che non conoscete non cercate a tutti i costi di dimostrare la vostra partecipata conoscenza dell'argomento intromettendovi nell'affiatata orchestrazione delle manovre dell'equipaggio o consigliando il capitano sulla direzione dei venti solo per sfoderare una manciata di assurdità.

Pagina 187

Per gli spiriti impavidi, abbandonare ogni tanto la macchina per sgranchirsi le gambe in bicicletta o facendo una passeggiata è una possibilità da considerare. Infine gli automezzi pubblici: è vero, non sono così frequenti, non sempre ci si può sedere, il biglietto è tutto fuorché economico. Eppure sono le ultime biblioteche che ci sono rimaste: dove se no trovare il tempo di leggere qualche buon libro (azzardiamo addirittura qualche quotidiano?). Lo stress da traffico metropolitano se lo becca tutto il conducente, e con qualche accorgimento utile, tipo controllare in anticipo gli orari, è possibile fare un viaggio magari anche più piacevole che inscatolati in automobile. È vero, gli autobus stipati delle ore di punta non sono un bello spettacolo - e soprattutto una gradevole esperienza - ma se dovete spostarvi in altri momenti, almeno prendete in considerazione la possibilità. Infine evitate anche l'inquinamento acustico: se il vostro scooter - ormai noto tra i vostri amici come motorino a scoreggetta - o l'auto fanno troppo rumore, sistemateli in modo da risolvere il problema.

Pagina 72

Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

188818
Pitigrilli (Dino Segre) 1 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
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Il grammatico francese Beauzée, avendo notato che sua moglie manifestava delle debolezze per il suo segretario, ebbe uno scambio di parole con costui, il quale gli propose lealmente di abbandonare l'impiego. Poichè però le cose fino a quel momento si erano fermate agli aperitivi, il grammatico lo trattenne, invitandolo a un maggior rispetto per il pudore della casta sposa e per la santità del focolare. Ma la carne è fragile, e qualche tempo dopo Beauzée sorprese i due infedeli in un atteggiamento che non lasciava dubbi di interpretazione, e il giovanotto, ravviandosi i capelli, gli disse: - Vous voyez Bien qu'il fallait que je m'en aille. - Que je m'en aillasse - corresse il grammatico, ferito più per l'oltraggio al congiuntivo che per l'oltraggio al suo onore. Non so se fu un grande cornuto, ma aveva dello stile. Almeno in questa seconda parte cercate di imitarlo.

Pagina 142

Nuovo galateo

189765
Melchiorre Gioja 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Possono dunque innocentemente le donne abbandonare agli altrui sguardi

Pagina 126

IL nuovo bon ton a tavola e l'arte di conoscere gli altri

190631
Schira Roberta 1 occorrenze
  • 2013
  • Salani
  • Milano
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. - Scegliete ricette che si possono preparare prima per non abbandonare gli ospiti. - Evitate piatti complicati; non sopravvalutate le vostre doti culinarie. - Comprate acqua e bevande nel caso qualcuno sia astemio e qualche bottiglia di vino in più (una potrebbe sapere di tappo). - Evitate assolutamente di cucinare un piatto che non avete mai preparato prima, magari ispirandovi a un bel ricettario di cucina che vi hanno appena regalato. Ricordate cosa dice Artusi nell'introduzione della Scienza in cucina: «Diffidate dei libri di cucina», e ve lo dice una che ha pubblicato un migliaio di ricette. Il che significa che anche i piatti che vi sembrano spiegati meglio vanno provati almeno un paio di volte per essere messi a punto; lo fanno anche i grandi chef. - Prima di iniziare a cucinare mettete tutti gli ingredienti sul tavolo: eviterete di correre al supermercato all'ultimo momento per comprare la bottarga. - Mai saltare il dolce. Se optate per una cena leggera, per non appesantire i vostri ospiti pensate a un menu di tre portate: entrata, piatto forte, dolce. - Informatevi su eventuali allergie e intolleranze degli ospiti. Non dimenticate le diete e le prescrizioni religiose. - Non inserite più di una volta lo stesso ingrediente in un pranzo. L'ultimo punto è importante. Una volta fui invitata a casa di una conoscente e mia lettrice che voleva farmi buona impressione. Aveva un'insana fissazione per lo zenzero, a suo parere molto esotico. Quindi preparò sfogliatine allo zenzero, maccheroni con verdure e zenzero, cous cous allo zenzero e infine budino allo zenzero. Capite che una cena così diventa davvero indimenticabile: un incubo. Ricordate: varietà negli ingredienti. Le uniche eccezioni sono ammesse per tartufi e funghi, che si possono inserire in più di una portata in un prestigioso menu a tema. Altro dettaglio importante: quando decidete le portate di un menu non preoccupatevi solo della bontà del piatto in sé o del fatto che «vi viene bene», ma considerate quel piatto in relazione a cosa viene prima e a cosa viene dopo. Un bravo gourmet infatti si preoccupa soprattutto della sequenza dei piatti, più che della loro singola presenza all'interno di un pasto. Un libro utile a riguardo è L'arte del menu di Fabiano Guatteri. Già che ci siamo, vi spiego la differenza tra menu e carta: la conoscono in pochi. Quando andate al ristorante, fate bella figura e chiedete «la carta», non il menu. La carta include tutte le proposte della cucina, mentre un menu è l'insieme di più portate pensate in sequenza logica. Quindi una carta può contenere uno o più menu.

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La giovinetta educata alla morale ed istruita nei lavori femminili, nella economia domestica e nelle cose più convenienti al suo stato

191991
Tonar, Gozzi, Taterna, Carrer, Lambruschini, ecc. ecc. 1 occorrenze
  • 1888
  • Libreria G. B. Petrini
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Ma per questi pochi giorni di vita che mi restano, non volermi abbandonare. » Il buon fanciullo smesse tosto i suoi disegni, e finché visse sua madre, le stette sempre vicino.

Pagina 31

Saper vivere. Norme di buona creanza

193351
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 2012
  • Mursis
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Non basta, se siamo in estate e non in inverno, smettere le pellicce odorose, le vesti di panno e le mantelline di velluto, per darsi alle batiste, ai crespi e alle garze: non basta, se siamo in estate e non più in primavera, abbandonare le vesti di leggero drappo, e le giacchette meno pesanti, e le gonne di seta, per chieder al tussor, al foulard, allo chiffon, le loro aeree mollezze: vi è tutta un'altra categoria di cose, nella toilette femminile, che segna la profonda differenza fra l'estate e l'inverno, fra l'estate e la primavera. Prendiamo, per esempio, l'acconciatura dei capelli. Credete voi che, d'estate, ci si possa acconciare come d'inverno? Quei leggeri edifizii o quei pesanti edifizi ricciuti, e adesso già abbastanza complicati, non reggono in estate: qualunque leggiadra pettinatura, opera di mani pazienti, dopo due ore, è un ammasso informe. Il calore disfà i ricci, e le ondulazioni non naturali, ed esercita la sua azione demolitrice, anche su i ricci naturali. Vorreste voi, in estate, portare i capelli molto bassi sulla fronte? E non vi darebbero un fastidio enorme? Ed ecco, che l'estate consiglia la pettinatura bassa, a radici diritte, libera la fronte, libere le tempie, libera la nuca, e rialzati, questi capelli, sul sommo della testa. Prendete, per esempio, i guanti: vorreste voi, in estate, portare l'elegantissimo guanto glacé dell'inverno, che modella la perfetta mano, e non preferite voi il guanto largo, la pelle di Svezia, che si leva e si mette ogni minuto, di cui si può gittarne un paio anche ogni due giorni? Prendete, per esempio, le calze: vorreste voi portare, in estate, la indispensabile ineluttabile calza nera dell'inverno, quella calza nera, che è la civetteria egualmente delle gambe troppo sottili e delle gambe troppo grosse? Quella calza nera, che è la più profonda delle illusioni umane? Voi sapete bene che l'estate discaccia la calza nera, e permette ai piedini femminili di adornarsi dei colori più delicati e più estetici, che si intravvedono dalla scarpa di bulgaro, alla scarpa bianca, che bene si vedono dalla scarpetta nera. E voi sapete, sopra tutto, che l'estate rende immortale la fine, morbida, sottile calzetta di filo, la calza da viaggio o da escursioni, la calza da spiaggia e da montagna. Vorreste voi, come nell'inverno adornarvi di molti, di moltissimi gioielli? Essi vanno d'accordo con le stoffe pesanti, coi drappi serici, con le pellicce esotiche, e sono troppo grevi, troppo ricchi, troppo di lusso, per le trasparenti vesti dell'estate. Qua e là, un fermaglio, una barrette, un sottile filo d'oro, da cui pendono gli oggettini delle escursioni estive, ecco quello che l'estate vi consiglia: cioè, un completamento di toilette più semplice, più disinvolto, che quasi sempre ringiovanisce e rende più gaie le fisonomie.

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Galateo morale

197874
Giacinto Gallenga 5 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Per ogni reo esso deve ammettere una presunzione d'innocenza, come deve abbandonare tantosto l'accusa, allorché dal corso del processo questa innocenza viene sufficientemente stabilita. Esso non deve voler vincere ad ogni costo, avesse a restarne contaminata la stessa giustizia nel cui nome esso dice di combattere. Esso non deve far ispreco di facondia, di astuzia, di sofismi per intorbidare le intelligenze dei giurati ed ottenere ad ogni modo, dalle loro non sempre illuminate coscienze, una sentenza di condanna, come non deve sfogarsi di dare ad una semplice colpa le apparenze di un delitto; come non gli è lecito scherzare, per far pompa di spirito, sulla libertà, sull'onore, sulla vita di un suo concittadino.

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A malgrado degli sforzi di coloro che hanno interesse a farlo prevalere, a malgrado delle strane disposizioni di quei civili che vorrebbero vedere accanto ad ogni cittadino un soldato o un carabiniere, è lecito al buon borghese, al buon commerciante, al buon contadino il non andare in visibilio sulle delizie della coscrizione, delle guarnigioni, dei campi militari, delle guerre; è lecito a chi non si vergogna di nutrire sentimenti umani il non andare in solluchero allo spettacolo di quei coscritti, di quei contingenti che furono costretti ad abbandonare le loro famiglie, ad interrompere i lavori delle officine, dei campi, degli uffici e che vanno scorrazzando, ebbri di lagrime, di vino e di disperazione le città ed i villaggi onde cercar di annegare nel vino e nelle canzoni il dolor della separazione delle madri, dalle spose, dai figliuoli; il pensiero della miseria che andrà a battere all'uscio delle loro case allorché essi si troveranno ad annoiarsi negli ozi della caserma, o a far le esercitazioni nelle piazze d'armi, o a rischiar la vita negli assedi e nelle battaglie. E son d'avviso; checché ne pensino o ne scrivano certi militari, certi impresari, certi pubblicisti i quali hanno il coraggio di riferire nei loro giornali, parlando di questi spettacoli, che l'entusiasmo era grandissimo,indescrivibile, ecc...; son d'avviso che si possa essere buon patriota e deplorare contemporaneamente quelle fatali ambizioni così dannose alla pace, alle fortune di tante disgraziate famiglie. Son d'avviso che un Governo, che una nazione, i quali affidati — talora incautamente — al numero e al coraggio dei loro soldati, alla potenza delle loro armi, dichiarano sotto futili pretesti e per non giusti motivi la guerra e si mettono al bando della civiltà e dell'umanità; che nessuna sconfitta, nessuna umiliazione che ne rintuzzi l'orgoglio sarà sufficiente castigo a così turpe attentato contro le leggi della natura. D'altronde è mestieri il convincersi, non essere le battagliere tendenze di un popolo quelle che valgono a procacciargli sicurezza e potenza; ma bensì un sano spirito pubblico, l'amore al paese e alle istituzioni che lo regge che spingono i cittadini a mettere in atto, quando fa di bisogno, quello spirito militare che non è dote speciae di nessuna nazione, ma è comune a tutti i popoli della terra. In sostanza il coraggio nazionale è conseguenza di un buon Governo, di un buon sistema di leggi; il resto è bollore che sfuma dopo un breve esperimento; e proprio di chi è impotente, malgrado i suoi vanti, a reggere al disinganno d'una prima sconfitta.

Pagina 375

Un colonnello di mia conoscenza, militare valoroso quant'altri mai, e ne fan fede le medaglie da lui guadagnate al fuoco degli Austriaci, dovette or sono alcuni anni abbandonare il servizio in causa delle ferite che non cessavano di travagliarlo. Quando fu per lasciare il reggimento, i bassi ufficiali, i soldati piangevano come ragazzi. E non saprei se egli abbia avuto maggior conforto e se maggiore possa dirsi la gloria delle decorazioni guadagnate in battaglia, o la medaglia fattagli coniare da' suoi subordinati in riconoscenza dell'affezione e delle cure del loro amato colonnello. Su questa medaglia, il più prezioso ricordo della sua carriera militare, leggonsi le seguenti parole: AL LORO COLONNELLO - ANZI AL LORO PADRE A. P. I SOTT'UFFICIALI DEL REGGIMENTO. Il colonnello P. vive tuttora. Dire cosa che nessun militare potrà smentire. La disciplina è più osservata in quei corpi dove i colonnelli, i maggiori, i capitani, i tenenti hanno maggior cura di farsi amare che di farsi temere. E quante mancanze, quanti delitti non verrebbero evitati negli eserciti, quando alle insubordinazioni, alle diserzioni, alle rivolte, ai suicidi, alle vendette non venissero trascinati, il più delle volte, i militari dalle basse e feroci persecuzioni di qualche imprudente e disumano superiore! Dice con ragione Sallustio nella vita di Mario che il governar con soverchia rigidezza i soldati non è da capitano ma da padrone; ed o una povera ambizione quella che han certuni di voler comandare non a soggetti, ma a schiavi; come sarebbe una solenne ingiustizia quella di farsi bello dei pericoli da loro incontrati e di cogliere il premio dello loro fatiche; ovvero di intimar loro delle inutili privazioni non dandone loro pel primo l'esempio, vivendosi in morbidezze che contrasterebbero soverchiamente colle durezze a cui eglino son condannati. I soldati che hanno ricevuta una miglior educazione e sono dotati di maggior ingegno devono giovarsene per intromettersi nelle discussioni che possono insorgere fra i loro compagni procurando di calmarle, di sedarle prima che ne avvengano scandali e duelli. E questo è còmpito precipuo dei vecchi, i quali deggiono adoperarsi or tener lontani i giovani soldati dall'ubbriachezza, dai giuochi e da altre abitudini degradanti e dannose. Guardino anzitutto i soldati di non prendersi beffe dei loro compagni che peccassero per avventura dal lato dell'intelligenza; sarebbe azione vile e pericolosa. Quanto alle rivalità di arma e di reggimento pare impossibile che le possano tuttavia sussistere sotto il presente regime, in cui i privilegi sono ridotti a minime proporzioni e l'uniforme tende realmente ad uniformarsi, venendo poco per volta a scomparire quelle lussureggianti divise, mercé cui i militari potevano rivaleggiare, per la stranezza delle monture, per la moltiplicità dei coloni, con quei guerrieri che ci vengono rappresentati sulla scena dalle comparse dei melodrammi e delle commedie. I soldati devono oggimai andar superbi di una cosa sola; di esser figli tutti quanti di una sola patria, di militare sotto una sola bandiera, quella d'Italia. Lo spirito di corpo, che suppone una nobile emulazione in coloro che la sentono, non deve degenerare in astii ed invidie, nè far parere da meno colui che veste una divisa differente. Nei soldati finalmente deve prevalere la nettezza che è inseparabile dal rispetto che essi debbono aver cura d'ispirare, come è inseparabile dalle discipline che hanno l'obbligo di mantenere.

Pagina 384

Non siate voi il primo (se non contate per la persona di maggior importanza, o quella in cui onore ha avuto luogo il pranzo) né l'ultimo (se non siete amico e confidente della famiglia) ad abbandonare la riunione, non ecclissatevi al modo di quei parassiti che credono terminato il loro compito allorché hanno il ventre pieno. Nell'uscire salutate con garbo gli ospiti vostri, quelle altre persone colle quali vi trovate in più stretta relazione; ma non prolungate indefinitamente i saluti ed i complimenti, per non attirare soverchiamente su di voi l'attenzione o turbare i discorsi di coloro che rimangono.

Pagina 492

Ancora poche parole prima di abbandonare questo triste soggetto. È cosi poca cosa, al ricevere di un annunzio di morte di persona che vi sia appartenuta per vincoli di sangue o di affezione, il mandare una persona a rappresentarvi, almeno nel suo funebre corteggio; taluni, anche prossimi del trapassato, risparmiano questo leggero disturbo e mancano in tal guisa, per indolenza o per grettezza, a un dovere di civiltà che supplisce, benché debolmente, alla vecchia usanza di recarsi personalmente alla casa del defunto per accompagnarlo al Campo Santo. Non è mestieri di esser divoto per iscoprirsi il capo al passaggio di un feretro; basta per ciò essere soltanto civile. È poi malissimo scelta l'occasione degli accompagnamenti funebri per iscoccare delle celie triviali alle fanciulle dei pii istituti chiamati a quelle meste cerimonie; quanto allo sghignazzare, allo irridere, all'urtar coloro che fanno parte del corteo io le credo così scempie e così villane cose come l'insultare agli stessi morti; e penso sia dovere in tali casi di ogni buon cittadino il far intendere a questi scimuniti che i loro modi saranno per avventura d'uomini libertini, ma non d'uomini liberi e civili; che non è precisamente quella la via di farsi credere spiriti superiori; e che essi si mettono con queste lore sozze impertinenze, molto al disotto degli Indiani e dei Turchi.

Pagina 504

Eva Regina

204414
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 6 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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Forse può dispiacerle di abbandonare un tappeto a quei piedi voraci, di sacrificare un'accordatura al pianoforte, di vedersi prolungare la veglia sino alle ore piccine, ma questi rammarichi dovrà tenerli per sé e cedere di buon grado al desiderio comune. Anzi se nessuno altro si offre, spetta a lei di darsi vittima volontaria e sedere al piano a discrezione dei suoi ospiti: se poi qualcuno la previene non manchi di sostituirlo dopo un po' di tempo. Poi si occuperà delle signore che non ballano, e declinerà per sè ogni invito, anche se è gio vine e se adora la danza. Se si accorge che qualche signorina è trascurata, preghi con garbo qualche signore, col quale abbia una certa confidenza, d' invitarla: se qualcuna vuol ritirarsi prima delle altre, faccia in modo che la società non se ne avveda considerandosi obbligata a sciogliersi. Provveda che ognuno dopo il ballo trovi da rinfrescarsi o da rifocillarsi : faccia star pronta la cameriera nel gabinetto di toilette o in qualche stanza attigua, nel caso che alle danzatrici abbisognasse il suo aiuto: non si mostri stanca nemmeno se è esausta, e trattenga per dieci minuti gli invitati a sera finita perchè abbiano modo di rimettersi se accaldati, prima d'uscire nella via. Vegli che ogni signora abbia quanto le occorre e l' accompagni sino all' anticamera.

Pagina 304

Inoltre la promiscuità con gli studenti negli anni di pratica e la frequentazione degli Ospizi di Maternità dove molte madri sono donne infime e corrotte, contribuiscono ad allontanarle, a far abbandonare l'ostetricia in mano a quelle che non hanno più scrupoli perchè non hanno più nulla da perdere. Questo fatto è deplorevole perchè al letto d'una partoriente, nel momento più difficile e più sacro della vita femminile, in presenza al miracolo augusto della maternità, sarebbero più che mai necessarie donne di vita austera, di coscienza delicata, di specchiati costumi. È vero che le studentesse di ostetricia sono destinate ad essere sparse nelle varie campagne e nei piccoli paesi, dove la clientela non è poi così schizzinosa e sentimentale. Ma la loro responsabilità è maggiore e più assoluta ivi che negli ospizi di città: e una levatrice di coscienza elastica può lasciarsi corrompere e prestar mano a molte brutture... oltre che servire di malo esempio se la sua condotta è riprovevole. La loro vita, nell'esercizio della professione penosa da esse scelta, dovrebbe essere di completa abnegazione, di disagio, di carità e di prudenza. Come i medici e i preti esse non dovrebbero appartenersi più per dedicarsi interamente all'umanità che soffre. A qualunque ora, con qualunque tempo, in qualunque località : attraverso monti, attraverso deserte pianure, attraverso boscaglie e dirupi, le raccoglitrici delle generazioni venture mai devono rifiutarsi o differire di compiere il loro dovere. E spesso devono assistere a scene strazianti, di miseria, di morte... Io credo che se ognuna di queste belle giovani liete che intervengono in sciame vivace alle lezioni si rendesse conto con coscienza di ciò che significa quella professione ch' essa ha scelto come avrebbe scelto quella della commessa o della kellerina, la metà, almeno, tornerebbe indietro.

Pagina 382

Il collo è la parte che prima reca le tracce dell'età : bisogna quindi abbandonare prestissimo le fogge che lasciano di giorno il collo scoperto, o almeno sostituire il colletto con qualche sciarpa di velo, qualche nastro di velluto o di seta. Per la sera sono veramente provvidenziali quei cosidetti collier de chien in piccole perle sostenuti da barrette di pietre dure, che lasciano alla scollatura la sua grazia e nello stesso tempo adornano un collo un po' magro o non più fresco.

Pagina 588

E come negli Stati, anche nelle famiglie accadono talora fatti così dolorosi e tremendi che la sua regina, colei che ne reggeva lo scettro d' impero, si trova nella necessità d' abbandonare il suo posto, di prendere la via dell' esilio. Le cause possono avere origine diversa : o una passione illecita e colpevole che parla al cuore della donna più forte degli altri suoi affetti e dei suoi doveri e la strappa dalla casa coniugale che è oramai divenuta un carcere per lei e la costringe, come attirata da un fluido ipnotico, fatale, a compiere l'irreparabile : — o una insofferenza giunta oramai all' estremo limite di convivere ancora con lo sposo il cui carattere, le cui abitudini, si trovano in perfetto contrasto con quelli di lei e dànno origine continuamente a violenze scandalose. Oppure qualche offesa ricevuta che non si vuol perdonare, che si vuol punire con la separazione assoluta, con l' abbandono. Ad ogni modo il motivo deve essere d' una potenza straordinaria per costringere una donna alla risoluzione suprema d' abdicare al suo regno, di spezzare la catena dei suoi affetti, delle sue dolci consuetudini, di sacrificare forse i figliuoli, di rinunziare alla sua casa, alla sua città, alle sue amicizie, e fuggirsene sola verso l'ignoto, forse verso la catastrofe. E per quanto maturato questo partito che le pare il solo a cui le sia possibile oramai di appigliarsi, pure nel momento di mettere in atto la determinazione il cuore le si schianta, la testa le turbina, il senso della vita le vien meno come ad una moritura. È lei che lo vuole, sì ; essa non obbedisce che alla propria volontà, che al proprio istinto, forse : si sente arbitra sola del proprio destino ; ma questo appunto le dà un brivido di sgomento, uno spasimo d'angoscia. Eppure non voile ascoltare nessun consiglio, e non lo ascolterebbe neppure in quell' ora — ma la sua solitudine, la sua indipendenza stessa, le dànno le vertigini. Ed affretta, affretta i preparativi per togliersi al più presto di là, per mettere al più presto l' irreparabile fra l' avvenire e il passato : per togliersi ogni possibilità di pentimento, di riflessione, di transazione. « Ciò che deve avvenire avvenga ! » è il grido disperato dei suicidi ; ed essa lo ha sulle labbra in quell' istante in cui rinunzia per sempre al suo posto di battaglia che doveva occupare sino alla morte : al suo regno che mai doveva essere privo della propria regina.... Anna Robertson Brown giustamente scrisse: « Consideriamo bene la vita da tutti i lati, prima di gettarci a capofitto in un nuovo cammino dal quale non sarà poi sempre facile ritrarci. » Infatti quante volte queste donne impulsive, sconsiderate, insofferenti, credendo di raggiungere il meglio, precipitarono nella rovina !

Pagina 667

Nè traviamento di passione, nè rimorsi, nè discordia, nè insofferenza, nè sdegno obbligano la sovrana ad abbandonare il suo regno, ad esulare da esso. Non è felice, giacchè mille indizî la fanno oramai consapevole che il suo sposo non l' ama più, che l'amore di cui era altera e lieta si è andato raffreddando grado grado sino a giungere a una indifferenza distratta che la stringe al cuore, che le dà acute pugnalate di gelosia, poichè nemmeno ignora che il suo sposo, il padre dei suoi figli, ha l'anima e i sensi rivolti altrove. Conosce anche il nome di questa donna, le circostanze che determinarono la attrazione fatale, che ne favorirono lo sviluppo ; spesso la incontra per la via, a qualche ritrovo, a teatro. È bella e giovine, più bella e più giovine di lei che la tristezza consuma : è elegante e raffinata, provocante, perchè nessun scrupolo la trattiene dal fare spese pazze, dall'adottare le mode più impudiche : e sulle sue labbra, e nel suo sguardo la moglie infelice legge quell'espressione d' ebbrezza e di vittoria che fu già sua, che le è stata tolta. Eppure tutto tollera e comprime nel suo segreto, perchè è virtuosa, perchè ama ancora e nel suo intimo spera. Spera che si tratti soltanto di un traviamento passeggero, che la sua dolcezza, la sua indulgenza le rendano prima o poi lo sposo tenero e pentito. Ma gli uomini non solo non vogliono essere contrariati nelle loro tendenze e nei loro desideri, ma nemmeno tollerano intorno la tristezza, le lagrime, la rassegnazione dolorosa, tutto ciò che li costringe a pensare al loro errore, a sentire più o meno pungente l' aculeo del rimorso. Essi vogliono essere liberi d'amare, di disamare, di prendere, di lasciare, secondo dice loro l' istinto, e non soffrono il più lieve impedimento e si sentono tratti a sbarazzarsi la via ad ogni costo, anche a quello di commettere un delitto.... Dopo aver cercato invano di stancare la pazienza, la bontà della moglie con l'abbandono e le cattive maniere per obbligarla a cedere il campo, visto che il sentimento che ancora sopravvive in lei è più forte della sua crudeltà, quel sentimento ch'egli si nega di riconoscere e chiama caparbia, ostinazione, sfida : istigato senza posa, esasperato dalle perfide suggestioni dell'amante e dai consigli di lei, l' uomo, un giorno compie il supremo atto di viltà. Schiaffeggia quella guancia smorta, afferra quella fragilità che non si ribella e la scaccia dal suo trono e dal suo regno dove vagheggia condurre un'altra regina, la bella che lo inebbria e lo soggioga. E la povera offesa, la povera reietta ancora obbedisce, sopporta e tace. Se ne va stringendo al seno i figliuoletti, traditi come lei, se ne va piangendo mentre le si spezza il cuore nell'abbandonare il suo nido d'amore, il suo regno di cui prevede la profanazione. E l' accolga pietosamente la casa che la vide nascere, o cerchi rifugio fra estranee pareti dove ricomincierà la vita dedicandosi tutta ai suoi bimbi innocenti e sventurati, ella si sente pròfuga, errante, sperduta, senza tetto. Giacchè la vera dimora a cui la donna aderisce con le più delicate e tenaci fibre dell'anima non è quella dove nasce o dove morirà, ma quella dove l'amore le rivelò il mistero della vita, e le diede le indimenticabili emozioni della maternità. Fuori di essa non vi è che l'esilio.

Pagina 669

Una madre di famiglia sgomenta e addolorata di dover abbandonare una casa dove abitava da molti anni e nella quale erano nati tutti i suoi bambini, non osò più lamentarsi dopo le tragiche vicende di Reggio Calabria e di Messina : e infine una signora di mia conoscenza costretta da rovesci di fortuna a guadagnarsi il pane in casa altrui, dopo aver conosciuto una disgraziata che non ha nemmeno la salute e non riesce a provvedere a sè e al suo figliuolo, disse: « Ho potuto constatare che al mondo vi è sempre chi sta peggio di noi. » « Possiamo salvarci da molti guai semplicemente col guardarci attorno — scrive la Pezzé Pascolato — con l' osservare quel che accade agli altri e col dire : Così potrebbe accadere anche a noi. » Prendere le sventure che toccano agli altri come proficui avvertimenti ; riguardare quasi come un privilegio l' immunità da danni maggiori ; quando si è all'ombra non osservare invidiando quelli che stanno al sole, ma meditare su quelli che sono al buio : ecco il vero rimedio nelle traversie della vita.

Pagina 691

Lo stralisco

208389
Piumini, Roberto 1 occorrenze
  • 1995
  • Einaudi
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
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Una volta, poi, agitato nella notte da quel vuoto, ho preso la decisione di rinunciare, e di abbandonare all'alba seguente la tua casa. È accaduto prima dell'inizio di questa luna. — Sí, — fece Ganuan annuendo, — io so ora che la tua mente, e quella di mio figlio sono piene di immagini e figure stupende. So che se riuscirai a dipingere anche solo la decima parte di quello che insieme state immaginando, il tuo sarà un lavoro ammirevole. Disse le parole con una specie di soprassalto gioioso. Poi tacque sorridendo, e aggiunse: — Spesso, in silenzio, io entro nelle stanze di Madurer, e da una certa distanza vi guardo e sento parlare mentre, vicini alle pareti bianche, muovete le braccia indicando le figure che vi nasceranno... Non mi avvicino mai troppo, ma credo che in quei momenti, anche se arrivassi ad un passo da voi, non vi accorgereste di me. Forse mio figlio, immerso con te nel lavoro gioioso del pensiero, non baderebbe a suo padre. Non credere che questo mi rattristi: mi dà anzi una grande contentezza, giacché non ho mai visto Madurer vivace e lieto come in questi vostri progetti. È sempre stato un bambino fervido e ricco: ma ora sembra godere di una eco splendida, e la gioia che da lui esce, in un modo che non so, gli torna addosso, e lo fa felice... Ecco dunque come, non veduto sebbene non mi nasconda, seguo e imparo il vostro gioco, ammiro la tua prudenza e la tua sapiente curiosità. Ganuan tacque, versando tè fresco all'ospite. Bevvero guardandosi negli occhi, come usano gli uomini di quel paese per dimostrarsi, senza parlare, riverenza e stima. — Ma ora, amico mio, — prosegui il burban seriamente, posando la tazza preziosa, — io vedo assai bene che il tuo gioco è un gioco grande, e che si può allungare nel tempo e nella fatica piú di quanto tu ed io potevamo prevedere. Io desidero che continui, ma penso con preoccupazione: «Forse Sakumat ha altri lavori che lo aspettano nella sua città, o delle promesse da mantenere laggiú. Forse ha persone che lo amano e attendono il suo ritorno, e che il suo cuore desidera rivedere». Cosí io penso, ed è come un'angoscia. Tu sai, mio caro, quanto io apprezzo quello che stai facendo: tanto più perché va molto oltre il dono che volevo fare... Ma se una delle cose che penso, o tutte insieme, sono cosí importanti da farti affrettare l'opera, o interromperla prima che sia compiuta, ti prego con tristezza di non cominciarla nemmeno, e di abbandonare subito la mia casa. Questo mi permetterebbe, con una scusa adatta e nel momento opportuno, di deludere il mio figliolo ad un punto in cui, come accade nei giovani, la sua delusione non durerà che qualche giorno. Anche in questo caso, naturalmente, il tuo compenso sarà quello che avresti avuto lavorando un anno nella mia casa... Ma se, in qualche modo, è possibile che tu continui l'opera che hai cominciato, e le dia tutto il tempo che essa richiede, io ti prego con umiltà e amore di restare. Se hai famiglia, o persone a te care, le manderò a prendere e le accoglierò nella mia casa come la famiglia di mio fratello, e per tutto il tempo che sarà necessario. Oppure, se tu preferisci, vi assegnerò una palazzina fresca e di grande conforto che sorge presso il bosco. Metterò cinque uomini al vostro servizio, e tre donne per il cibo e il lavoro della casa. Avrete tutti i cavalli che serviranno al vostro diletto, e rimarranno vostri per sempre. Alla fine, quando sarà, il mio compenso ti farà un uomo ricco. Sakumat non rispose subito. Ormai la sua barba copriva guance e mento, e il gesto ruvido dei primi giorni era diventato una calma e abituale carezza che accompagnava, o precedeva, le sue parole. — Vedo anch'io, burban, che il gioco si fa grande, - disse il pittore, — e so che per compierlo dovrò essere come un gigante muto, piú servizievole di quello che usci dalla lampada del buon Aladino. Tuttavia, mio signore, il gioco ha preso anche me: io sto ai suoi bordi come un assetato a quelli di una fonte fresca e zampillante. Non ho sposa né famiglia a Malatya, e i miei amici sanno ricordarmi nella mia assenza, e sanno che io li ricordo. Quanto alla ricchezza che prometti, io ti dico che un pittore ha una sola bocca per i sapori del cibo, e un solo ventre da consolare. Chi guarda a lungo la terra e gli alberi e il mutare luminoso del cielo, non sente bisogno di altre abbondanze. Piuttosto, signore, vorrei chiederti qualcosa. — Ti ascolto, — disse il burban, inchinandosi lievemente. — Ho constatato che a niente mi giova alloggiare nella — stupenda stanza che mi hai assegnato. In realtà ci sto pochissimo, perché i colloqui e la compagnia del tuo figliolo mi riempiono il giorno. La visione che godo da quella stanza, poi, per quanto meravigliosa, in qualche modo distrae e impoverisce la mia mente, occupata a costruire con Madurer il paesaggio del mondo. Ti chiedo dunque, se non c'è una ragione contraria, di far mettere per me un tappeto nelle stanze del tuo figliolo, in modo che io possa passare con lui ogni istante del tempo, come si addice alla forte amicizia. Cosí non perderò le occasioni della parola mattutina, il ricordo dei sogni che cosí presto svanisce, o le parole serali, in cui la pace e la saggezza si radunano. Il burban sorrise e abbassò il capo tre volte, in segno di assenso profondo. Questo fu il patto tra Ganuan, signore di Nactumal, e Sakumat il pittore: mentre il piccolo Madurer, nelle sue stanze ancora immacolate, guardava le pareti sdraiato fra i cuscini. Guardava con desiderio e con affanno gioioso, simile ad un innamorato che guarda gli occhi della sua amica.

Pagina 18

Il libro della terza classe elementare

210807
Deledda, Grazia 5 occorrenze
  • 1930
  • La Libreria dello Stato
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Ma il malcontento di Roma per questo fatto era stato tale, che il Papa aveva dovuto abbandonare la città e rifugiarsi presso il Re delle Due Sicilie. I Romani avevano proclamato la repubblica, ed in aiuto di Pio IX si erano mossi soldati Austriaci, Spagnoli,

Pagina 239

Gli Austriaci già battevano rabbiosamente i dintorni; e col cuore lacerato Giuseppe Garibaldi dovette abbandonare la salma della sposa adorata. Attraverso avventurose peripezie, egli potè infine scampare agli inseguitori, e così fu conservata all'Italia la sua vita preziosa.

Pagina 241

Giuseppe Garibaldi, dopo un'accanita resistenza, dovette ritirarsi ed abbandonare l'impresa.

Pagina 275

Il nostro esercito dovette abbandonare l'Isonzo, e

Pagina 297

Senza abbandonare un attimo i remi, arrivò a toccare la sabbia; di là, un po' sgambettando, un po' nuotando, uscirono tutti fradici e stanchi, dalle onde in tempesta. E Marino, assumendosi ogni responsabilità, andò ad avvertire le guardie. Sulle prime, non creduto, si prese anche qualche scapaccione; ma, dopo alcuni giorni, con soddisfazione seppe che lo straniero era stato arrestato perchè era una pericolosissima spia.

Pagina 83

La freccia d'argento

212141
Reding, Josef 1 occorrenze
  • 1956
  • Fabbri Editori
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Esasperato, Alo cerca di costringere l'altro, con una doppia presa alla nuca, ad abbandonare la lotta; ma quello riesce sempre a sottrarsi alla stretta e tenta con le mani di abbrancare il collo di Alo per soffocarlo. La lotta ha vicende alterne: una volta è Alo che ha il sopravvento e un'altra volta è il suo avversario. Ecco lo spilungone che punta un ginocchio sul petto di Alo... Infine Alo, con uno sforzo disperato, riesce a sollevarsi e a liberarsi dell'avversario: ora ha la testa del perticone sotto l'ascella e stringe forte, sempre più forte! Quello mugola per il dolore; ma non mugola soltanto: Alo non può accorgersi che il suo nemico, con la mano libera, si fruga alla cintura. E in quella mano ora luccica qualcosa: un pugnale! Il pugnale che manca sotto il vessillo della banda del Nord. Chinato com'è, lo spilungone distende perfidamente il braccio per prendere lo slancio e piantare la lama nella schiena di Alo... Ma proprio all'ultimo istante il pugnale gli viene strappato di mano. Quello non può girarsi e quindi non sa chi sia improvvisamente intervenuto... Alo non si è accorto del pericolo corso: con energia sempre maggiore stringe col braccio la testa dell'altro. Allora questi trova una scappatoia alla sua disperata situazione: affonda i denti nel braccio di Alo, attraverso la stoffa della tuta. Per il dolore lancinante Alo allenta un attimo la stretta, e tanto basta perché l'avversario gli sfugga. A balzi felini quello vorrebbe uscire dal capannone, scavalcando il groviglio di coloro che ancora si battono, ma il Segantino, che è finalmente riuscito a farsi largo e a scrollarsi di dosso gli assalitori, quando vede che il mascherato sta per raggiungere la porta, gli scaraventa con un tiro ben aggiustato il suo bastone nodoso fra le gambe, facendolo cadere bocconi. Quello si rialza però subito e scompare nella notte. I suoi complici, quando si accorgono che il capo se l'è data a gambe, si danno anch'essi a fuga precipitosa, mugolando e zoppicando. Solo ora i crociati, esausti, possono finalmente occuparsi di Mikro e Makro, che, strettamente legati e imbavagliati, si rotolano per terra davanti al capannone. Tagliati i lacci, strappati i bavagli, i due possono raccontare con frasi mozze come vennero sopraffatti. Essi tenevano d'occhio soprattutto il sentiero, mentre gli aggressori non eran

Pagina 42

Quartiere Corridoni

216614
Ballario Pina 2 occorrenze
  • 1941
  • La libreria dello Stato
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Una intensa commozione gli gonfiò il petto; egli non poteva abbandonare il suo comandante nemmeno nella morte. Si buttò in acqua, lo raggiunse e si inabissò con lui.

Pagina 77

Nino vede il cane ruzzolargli contro, sta per abbandonare il fucile di legno e la posizione, ma qualcosa gli grida dentro - Vergognati! un soldato che ha paura! E rimane sul posto. Chi indossa la camicia nera indossa una divisa militare. MUSSOLINI

Pagina 80

Un eroe del mondo galante

227263
Alberti, Luigi 1 occorrenze
  • 1876
  • Successori Le Monnier
  • Firenze
  • teatro - commedia
  • UNICT
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Un uomo come voi perseguitato, si può dire, da tutto le donne, invidiato, sospirato da tutta la schiera del bel sesso, non deve mai abbandonare il campo di battaglia. D'altra parte, chi potrebbe resistere alle grazie del mio caro, del mio ottimo, del mio bellissimo Baroncino?

Pagina 54

Parassiti. Commedia in tre atti

231566
Antona-Traversi, Camillo 1 occorrenze
  • 1900
  • Remo Sandron editore
  • Milano, Napoli, Palermo
  • teatro - commedia
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«Dovendo, perciò, abbandonare Roma domani «stesso, ha l'onore di presentare le proprie dimissioni, «in un con quelle del cavalier Naldini, «da membro del Comitato, ecc...ecc. »

Pagina 266

Passa l'amore. Novelle

241514
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
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Passava la giornata o parte della serata seduto sur un gran sasso davanti al portone, con una specie di coma che gli faceva socchiudere gli occhi e abbandonare la testa sul petto. Il vecchio contadino, che era stato antico fittaiolo di casa Zingàli, una sera finalmente era andato dalla baronessa, non ostante il divieto del barone. - Dovrà morire colà, come un cane? - Che possiamo farci?... Ha parlato di noi? - Mai, mai! Dice che aspetta una lettera dell'avvocato. Mandino almeno un dottore.... e un letto. Dorme vestito su la paglia, in un canto del trappìtu.... Fa pietà! Una mattina stava seduto su quel sasso fin dall'alba, ostinato a restare in quell'edificio dalle mura spaccate, dal tetto sconquassato, su quel po' di paglia, che gli serviva di giacigllo, fino al giorno in cui avrebbe avuto in mano la copia legale della sentenza. Aveva sbattuto i denti pel ribrezzo della febbre durante la nottata; ora si sentiva scoppiar la testa dal calore, quasi il sangue gli si fosse mutato in liquido ardente dentro le vene, quantunque l'aria mattutina fosse fresca. Sentendo uno scalpitìo di vetture, volse la testa. - Ah, signor barone!... Ah, signor barone!... Il canonico Rametta gli stendeva da lontano le braccia, il dottor La Barba Io salutava cavandosi il cappello. Egli fece uno sforzo per rizzarsi ed evitar di riceverli, ma ricadde sul sasso, appoggiandosi con le spalle al muro, mentre essi scendevano da cavallo. - Non ho bisogno di medico; non sono in punto di morte da dovermi confessare, signor canonico. Siete venuti come i corvi all'odor del cadavere? No, no.... Sono più vivo di tutti coloro che vi mandano.... Andate a dirglielo. - Siamo venuti per conto nostro, signor barone; pel bene che vi vogliamo, pel rispetto che vi dobbiamo.... - Ho qui un plico per lei, da Catania. L'ha portato ieri sera mio cognato.... - Grazie! Date qua.... Grazie! Gli occhi torbidi e stanchi gli si rianimarono un poco. Le mani palpavano con un tremito di carezza il plico, ma non tentavano di aprirlo. La commozione gli aveva tolto ogni forza,... Sorrideva, agitava le labbra, ma non poteva parlare. Accennò al dottore che lo aprisse lui e leggesse.... - Che cosa è, dottore? - lo interruppe. - Qui!... Qui!... Accennava al cuore. Soffriva una smania dolorosa, una puntura acutissima. - Non voglio morire!... Non devo morire! - balbettava. Il dottore e il canonico si guardarono in viso. Mentre il dottore lo sosteneva per le spalle, il canonico, chinatosi premurosamente su lui, gli susurrò con voce compunta: - Faccia la volontà di Dio, signor barone! Dio padrone della vita e della morte!... Il barone spalancò gli occhi. - Non voglio morire! Non voglio morire!... Soffoco!... Dottore!... Implorava disperatamente aiuto. - Si rassegni, faccia la volontà di Dio! - ripeteva il canonico inginocchiato davanti a lui. Il povero moribondo scosse la testa, raccolse le forze: - Ah!... Questa, no, Cristo non doveva farmela! E portando le mani al cuore e tentando di strapparsi il vestito, con le sopracciglia corrugate e l'espressione dura e orgogliosa dei Zingàli nello sguardo, soggiunse, balbettando quasi con minaccia: - Ma.... ce la vedremo lassù!... Non.... doveva.... far.... E il rantolo dell'agonia gli troncò la parola su le labbra convulse.

Pagina 129

Saper vivere. Norme di buona creanza

248718
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 1923
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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Non basta, se siamo in estate e non in inverno, smettere le pellicce odorose, le vesti di panno e le mantelline di velluto, per darsi alle batiste, ai crespi e alle garze: non basta, se siamo in estate e non più in primavera, abbandonare le vesti di leggero drappo, e le giacchette meno pesanti, e le gonne di seta, per chiedere al tussor, al foulard, allo chiffon, le loro aeree mollezze: vi è tutta un'altra categoria di cose, nella toilette femminile, che segna la profonda differenza fra l'estate e l'inverno, fra l'estate e la primavera. Prendiamo, per esempio, l'acconciatura dei capelli. Credete voi che, d'estate, ci si possa acconciare come d'inverno? Quei leggeri edifizii o quei pesanti edifizi ricciuti, e adesso già abbastanza complicati, non reggono in estate: qualunque leggiadra pettinatura, opera di mani pazienti, dopo due ore, è un ammasso informe. Il calore disfà i ricci, e le ondulazioni non naturali, ed esercita la sua azione demolitrice, anche su i ricci naturali. Vorreste voi, in estate, portare i capelli molto bassi sulle orecchie, molto bassi sulla nuca, e molto bassi sulla fronte? E non vi darebbero un fastidio enorme? Ed ecco, che l'estate consiglia la pettinatura bassa a radici diritte, libera la fronte, libere le tempie, libera la nuca, e rialzati, questi capelli, sul sommo della testa. Prendete, per esempio, i guanti: vorreste voi, in estate, portare l'elegantissimo guanto glacé dell'inverno, che modella la perfetta mano, e non preferite voi il guanto largo, la pelle di Svezia, che si leva e si mette ogni minuto, di cui si può gittarne un paio anche ogni due giorni? Prendete, per esempio, le calze: vorreste voi portare, in estate, la indispensabile, ineluttabile calza nera dell'inverno, quella calza nera, che è la civetteria egualmente delle gambe troppo sottili e delle gambe troppo grosse! Quella calza nera, che è la più profonda delle illusioni umane? Voi sapete bene che l'estate discaccia la calza nera, e permette ai piedini femminili di adornarsi dei colori più delicati e più estetici, che si intravvedono dalla scarpa di bulgaro, alla scarpa bianca, che bene si vedono dalla scarpetta nera. E voi sapete, sopra tutto, che l'estate rende immortale la fine, morbida, sottile calzetta di filo, la calza da viaggio o da escursioni, la calza da spiaggia e da montagna. Vorreste voi, come nell'inverno, adornarvi di molti, di moltissimi gioielli? Essi vanno d'accordo con le stoffe pesanti, coi drappi serici, con le pellicce esotiche, e sono troppo grevi, troppo ricchi, troppo di lusso, per le trasparenti vesti dell'estate. Qua e là, un fermaglio, una barrette. un sottile filo d'oro, da cui pendono gli oggettini delle escursioni estive, ecco quello che l'estate vi consiglia: cioè, un completamento di toilette più semplice, più disinvolto, che quasi sempre ringiovanisce e rende più gaie le fisonomie.

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