Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbigliamenti

Numero di risultati: 24 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Sull'Oceano

171559
De Amicis, Edmondo 1 occorrenze
  • 1890
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Un'ora prima gli s'era presentata con molta dignità la madre della pianista, e gli avea sfoderata una protesta in tutte le forme contro gli svolazzamenti lenti notturni della signora svizzera, la quale, a ore incredibili, passava in abbigliamenti leggerissimi davanti al suo camerino, attiguo a quello di lei, con molto scandalo della ragazza; quando pure lo scandalo non era peggio; il che accadeva tutte le volte ch'essa mandava il marito su, a studiare il cielo stellato, e nel camerino non restava sola. Ci doveva essere di balla qualche persona di servizio; oramai non si parlava d'altro a poppa; era una cosa che non poteva durare; il signor comandante avrebbe dovuto metter riparo. E il comandante, stuzzicato nel suo debole, aveva gettato fuoco e fiamme, e promesso in so zuamento Sul suo giuramento. di dir quattro parole delle sue a quel barbagianni di professore, e alla signora, se fosse occorso, e anche a quell'altro o a quegli altri, chè il bastimento non era quello che credevano, e che avrebbe fatto rispettare la decenza, perdio, da tutti quanti, a costo di mettere i marinai di sentinella nei corridoi. E aveva concluso solennemente: Porcaie a bordo no ne veuggio. C'era dunque da aspettarsi una scenata. Durante tutta la colazione, intanto, egli saettò occhiate da Torquemada sulla signora bionda, che molti altri guardavano, parlandosi nell'orecchio, senza che ella s'avvedesse di nulla. Stringata in una deliziosa veste color di tortora, più fresco e più vispa che mai, empiva l'orecchio a suo marito di cinguettíi e di trilli, sorridendo a tutti i suoi amici coi suoi dolci occhi senza pensiero, simili a due belle finestre d'una sala vuota, mostrando in mille modi i denti bianchi, le mani piccole, il braccio tornito, l'anima misericordiosa. E dopo colazione ricominciò il suo va e vieni sul cassero, interrotto da scomparse improvvise a cui seguivano riapparizioni aspettate, inconsapevole, poveretta, della spada di Damocle che le pendeva sui riccioli biondi; anzi sempre più gaia e più viva, quanto più le cresceva la noia d'intorno, e come animata da un ardore d'eroina che allattasse degli assediati sfiniti, dicendo con gli occhi che non era sua colpa se non poteva fare di più in sollievo dell'umanità sofferente, ma che faceva tutto quel che poteva. Fuor d'ogni dubbio, s'era rimessa sul serio con l'argentino; ma il tenore e il toscano non erano abbandonati, e il Perù pareva che stesse per entrare nella confederazione.

Pagina 316

Il successo nella vita. Galateo moderno.

174248
Brelich dall'Asta, Mario 1 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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Pavoneggiarsi in campagna con abbigliamenti lussuosi e gioielli, è ridicolo e senza gusto. Nelle grandi stazioni di cura e balneari è tuttavia necessario curare l'abbigliamento, poichè in questi luoghi viene sfoggiato un maggior lusso, al quale non ci si può sottrarre. Inoltre in questi luoghi si è più esposti a critiche. Come già menzionato l'incognito offre molta occasione ai mistificatori delle più svariate categorie di svolgere la loro attività. Perciò nelle stazioni climatiche e balneari bisogna essere doppiamente cauti per non cadere tra le mani di avventurieri oppure per non esporsi al ridicolo. Una signora sola farà bene di unirsi ad una famiglia o ad una maggior comitiva, tanto a tavola quanto durante le gite, naturalmente con tatto e misura, per non divenire importuna. Le conoscenze della villeggiatura generalmente hanno la loro fine assieme alle vacanze. Ciò non soltanto perchè i vari conoscenti partono nelle più diverse direzioni, ma anche perchè le persone rivedute in altro ambiente ed in altre circostanze appaiono cambiate ed estranee. Di conseguenza i rapporti si raffreddano. Inoltre le persone che si incontrano durante la villeggiatura sono generalmente dei più svariati ceti e mentre queste differenze di graduazioni sociali sono quasi eliminate in campagna, tornano a farsi sentire dopo il ritorno alla vita normale. Perciò le conoscenze

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Le belle maniere

179910
Francesca Fiorentina 1 occorrenze
  • 1918
  • Libreria editrice internazionale
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
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In séguito, anche alle ricche dame veneziane fu vietato con le"terminazioni"lo spreco ch'esse facevano in sfarzosissimi e ingemmati abbigliamenti. Ma invano. Continuarono a fioccare proibizioni per le trine esageratamente preziose, i guanti ricamati d'oro e di perle, la profusione di gemme sugli abiti, le follìe, le perversioni del lusso. Ma le donne perchè come certe monelle, che, sgridate dalla mamma perchè han mangiato le pere rinchiuse nella credenza, un'altra volta credono di essere in piena regola attaccandosi alle noci. Erano proibiti i topazi? C'erano gli zaffiri. Si condannava lo strascico come eccesso di lusso? E le dame se l'appuntavano con fermagli che costituivano essi stessi un tesoro. Ebbene, siete, secondo me, più condannabili delle ricche dame veneziane quelle di voi, giovinette, che, appartenendo a famiglie d'operai, obbligate i genitori a sacrificare i loro bisogni reali a' vostri bisogni fittizi, a non comprarsi un cappotto più soffice o un abito più decente per contentare il vostro desiderio d'un paio di scarpette o d'una camicetta di seta. Ma voi, abituate a non tener conto della lira regalatavi dalla nonna o dallo zio, e smaniose di spendere in qualunque modo, pur di spenderli, i tre soldi che tentennano nella vostra borsetta, non capite il valore degli oggetti che indossate e di quelli che vi circondano, e non sapete distinguere l'utile dal superfluo, ciò ch'è adatto alla vostra condizione da ciò che stona con le vostre abitudini e il vostro ambiente; e via via, salendo per la scala de' desideri, vi trovate alla cima, donde a molti, per non aver saputo riflettere prima di salire il primo scalino, è capitato di dover precipitare giù rotolando.

Pagina 81

Il tesoro

181848
Vanna Piccini 1 occorrenze
  • 1951
  • Cavallotti editori
  • Milano
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Le signore debbono sapersi vestire per farsi fotografare, scegliere abbigliamenti semplici, e se vogliono sfidare la moda che può giocare alla lunga qualche brutto tiro (vi sono dei particolari in certi abiti che a distanza di vent'anni si riconoscono e sotto infallibili per la misura del tempo trascorso), non si deve far altro che prevenirla abilmente, facendoci ritrattare a collo nudo, con un filo sottile di perle. Tanto nella fotografia perle vere e perle false fanno la stessa figura. Ovvero con un velo o con uno speciale indumento di foggia classica. Le fotografie di grandi personaggi, di grandi artisti, di donne belle per professione, affidate quasi sempre a bravi fotografi, reggono all'ingiuria degli anni e sfidano con successo il ridicolo. Perchè questi artisti hanno avuto cura di non posare con un vestito che segnasse nettamente la moda. Si cerchi d'imitarli, non dico nel voler essere grandi personaggi, ma più modestamente abolendo le cianfrusaglie. Spendete qualche cosa di più, ma fatevi fare diversi negativi, almeno uno riuscirà a cogliervi nell'espressione o nella luce da voi desiderata. Cercate di dare al vostro viso un'espressione serena e naturale, senza artifici di posa, senza irrigidire la figura e i lineamenti; se il fotografo sa il fatto suo, penserà lui ad ammorbidire, a regolare il vostro atteggiamento. La donna che ha fatto la permanente, non vada dal fotografo appena uscita dal parrucchiere, la sua testa somiglia allora a quella d'un manichino esposto in vetrina. Non fate perdere la pazienza al fotografo stando più del bisogno davanti allo specchio. Un po' di cipria, un po' di rosso alle labbra, un tocco leggero alla chioma; tanto basterà per ravvivare il volto e per dargli un giusto risalto.

Pagina 563

Galateo popolare

183731
Revel Cesare 1 occorrenze
  • 1879
  • Vinciguerra
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
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Per queste visite gli abbigliamenti ricercati sono indispensabili. Per le visite di giorno una graziosa toeletta è di buon gusto, ma bisogna evitare di vestire ciò che non si veste che alla sera. Così una donna pettinata coi capelli sciolti ed un uomo coi guanti burro fresco sarebbero ridicoli.

Pagina 117

Galateo ad uso dei giovietti

183834
Matteo Gatta 1 occorrenze
  • 1877
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Ma non vorrei che questo amore alla pulitezza, che io cerco instillarvi, uscisse dai giusti confini e vi abituasse ad occuparvi troppo della vostra capigliatura e dei vostri abbigliamenti. Questa non è l' occupazione seria che degli spiriti fatui e vani. Vestite secondo la vostra condizione, e schivate sopratutto di distinguervi fra gli altri per qualche moda bizzarra non ancora accettata. Le persone di buon senso in queste cose seguono sempre il costume dei più. Nel vostro vestire appaja la nettezza, il buon gusto, l'eleganza, ma non andate più in là: non vi sopracaricate di ornamenti superflui, di ciondoli, di gingilli, di spilloni, di cianfrusaglie d' ogni sorta in guisa da parere una bacheca ambulante. Correreste pericolo d'essere posti a fascio colla turba dei giovani frivoli e leggieri.

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Come devo comportarmi. Le buone usanze

184922
Lydia (Diana di Santafiora) 1 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
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Se è madre di famiglia, lascia alle giovani spose e alle signorine il gusto della moda più vistosa, e si contenta di quell'eleganza severa che più le conviene; sorveglia gli abbigliamenti dei suoi figliuoli, e, almeno finchè non hanno una certa età, esige per loro vesti e calzature ampie e comode; si comporta insomma da persona di giudizio, e non si lascia fuorviare da capricci improvvisi e da eccentricità momentanee. Di più, una signora intelligente sceglie con buon gusto la moda che più si adatta alla propria figura e alla propria età, e combina armonicamente il colore e il taglio d'un abito con le linee della propria persona: adotta stoffe e modelli diversi, secondo che è grande o piccola, magra o grassa; tien conto del colore della pelle e dei capelli, della grandezza della mano e del piede, di tanti altri piccoli particolari. Seguite dunque la moda, signore mie care; ma seguitela con giudizio. Nella scelta del taglio, del colore, degli ornamenti, mostrate buon gusto e correttezza. Si dice generalmente che gli uomini non s'intendono di mode, e, senza dubbio, si dice una verità; ma, in compenso, sono dotati di un senso estetico che non li inganna. Se una signora veste in modo troppo vistoso, un uomo di buon gusto se ne accorge subito, e il suo giudizio è presto fatto. Probabilmente egli non vi saprà dire con precisione in che cosa consista la stonatura che ha offeso il suo sguardo, ma sentirà che la stonatura c'è, e si volgerà con sollievo ad altra persona vestita con gusto migliore. Avviso, questo, a quelle signore e signorine che credono, esagerando la moda, di colpire di più l'immaginazione dei signori uomini; quasi sempre, facendo così, esse raggiungono uno scopo diametralmente opposto.

Pagina 62

Galateo per tutte le occasioni

187601
Sabrina Carollo 2 occorrenze
  • 2012
  • Giunti Editore
  • Firenze-Milano
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Non trattandosi di un momento di gioia, è meglio evitare gli abbigliamenti chiassosi e i colori sgargianti. Da quando il nero è stato sdoganato dalla moda siete facilitati nel compito. Comunque anche le altre tonalità più scure andranno bene. Se siete facili alle lacrime cercate di piangere il più sommessamente possibile; ma se siete soliti nascondere le vostre emozioni, non giudicate chi secondo tradizione usa il fazzoletto. Il momento delle condoglianze è quello più difficile: si tratta di trovare validi argomenti in poche frasi, capaci di esprimere quanto vorreste. La cosa migliore è riportare alla memoria un ricordo piacevole della persona scomparsa, per aiutarvi a trasmettere ai suoi cari la sua vicinanza attraverso ciò che ha fatto e detto. Più facile è redigere un biglietto di condoglianze per scritto. Farete piacere a chi lo leggerà se ricorderete con stima e affetto chi non c'è più e aiuterete a mantenere viva la sua persona nel cuore di chi è stato vicino al defunto. Cercate dunque di evitare le solite formule che sanno di abitudine e di poca sincerità, e sforzatevi di trovare in voi un sentimento autentico. Se i familiari vogliono pubblicare un necrologio, scelgano per tempo il quotidiano cittadino più diffuso e adoperino una formula asciutta, in cui annunciare il giorno del decesso e quello del funerale, con l'orario e il luogo. Gli amici e i conoscenti che vorranno pubblicare il proprio cordoglio, potranno scegliere la formula che preferiscono, sempre nell'ambito della sintesi. Lasciate la fantasia correre in altri ambiti. Una gaffe in simili occasioni è più difficile da tollerare. Sempre necessario, da parte dei familiari, ringraziare per scritto le persone che hanno partecipato al dolore della famiglia. Che disponiate di biglietti personalizzati o vi affidiate alla fornitura delle società che si occupano delle esequie, rispondete ai messaggi di cordoglio anche solo con un saluto, ma sempre necessariamente a penna.

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Le scarpe devono essere nere per gli abbigliamenti eleganti, di vernice per il frac, altrimenti anche marroni o color cuoio. I boxer sono preferibili alle mutande. Se per necessità le indossate, sceglietele di un tipo non troppo sgambato. No al tanga, nonostante le mode, assolutamente ridicolo anche se indossato su un fondoschiena perfetto. L'orologio è un dettaglio di stile, sceglietene uno che vi rispecchi ma che non sia eccessivamente pacchiano. Con il frac l'orologio non deve mai essere da polso, ma da taschino. I gioielli concessi a un uomo sono la fede e l'orologio. Catenine e braccialetti a rischio.

Pagina 15

Nuovo galateo

190373
Melchiorre Gioja 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Mootaigne parla di popoli i quali non compariscono alla presenza del loro re fuorché vestiti degli abiti più laceri, e ciò per non scemare il merito de' regii abbigliamenti. Presso alcune nazioni dell'Africa, qualunque sia la vostra condizione, quando volete dimandare giustizia o qualche grazia al re, dovete spogliarvi di tutti i vostri abiti nell'anticamera, e non v'é permesso di giungere a lui fuorché interamente nudi. Voi vi scoprite la testa per salutare, dicono costoro agli Europei; voi convenite dunque che la pulitezza o il rispetto esige che qualche parte del corpo sia nuda, mentre abbordate qualcuno; e noi crediamo di doverci spogliare interamente presentandoci ai nostri principi, per dimostrar loro il nostro rispetto in tutta la sua estensione. Forse la vera ragione di quest'uso si é il timore che il potente nasconda sotto la veste qualche arma o supposto malefizio. A Mozambico, isola lontana mezza lega dalla costa d'Africa, le prove di rispetto al capitano generale sono le seguenti: Non si può passare sotto le sue finestre senza levarsi il cappello. Quando egli esce dal suo palazzo suonano le campane di tutte le chiese; i particolari che lo incontrano, oltre di porsi in atto di venerazione, non si muovono finché non é passato il suo seguito. Furono inalzati altari ad Augusto mentre viveva, ed in cascuna famiglia ragguardevole qualche sacerdote offriva incensi alla di lui statua o immagine. Gli abitanti di Cizico vennero accusati d'indifferenza per questo nuovo Dio coniato a Roma, e fu loro tolta quella libertà che, cacciando dal loro paese Mitridate nemico de Romani, avevano ottenuta. Da Augusto in poi tutti gli imperatori ottennero l'apoteosi dopo morte, o sia furono ascritti fra le divinità. Noi ci contentiamo d'ardonare le nostre stanze colle immagini de' sovrani benefici o saggi: i soldati romani portavano sovente l'immagine dell'imperatore impressa sulla carne con ferro caldo, * ossia si bollavano per venerazione come noi bolliamo i malfattori per castigo. * I titoli vani e fastosi, le pretensioni d'onnipotenza e adorazione non tanto all'orgoglio dei re debbonsi attribuire, quanto all'interesse od ambizione de'cortigiani: costoro hanno sempre delle buone ragioni per ingannare anche i principi più virtuosi e più avveduti. Uno di essi, parlando un giorno a Canuto re di Danimarca, Norvegia e Inghilterra nell'XI secolo, lo accertò che nulla era impossibile al re, e che gli stessi elementi dovevano cedere al suo potere. Gli storici dicono che il re, fingendo di prestargli fede, si fece trasportare sulla sponda del mare; e nell'istante del riflusso, allorché le acque salivano, egli ordinò loro di ritirarsi e d'obbedire alla voce del padrone dell'Oceano. Egli aspettò quindi alcun poco questo segno della loro sommissione; ma le onde continuando ad avanzarsi verso di lui, e cominciando a bagnarlo, egli si rivolse ai cortigiani, e fece loro osservare che tutte le creature dell' universo erano deboli e dipendenti, che il potere supremo risedeva nel solo Ente supremo che stringe nelle sue mani tutti gli elementi, che può dire all'Oceano: Va fin là e non più lungi, e che con un semplice girar di ciglio rovescia nella polve i più fastosi monumenti dell'orgoglio e dell'ambizione degli uomini. Congratulazione. Alle Canarie, almeno per l'addietro, allorché un nuovo principe saliva sul trono, molti. Guanches dimandavano d'essere sacrificati in suo onore. Il re dava una festa; quindi si conducevano questi pazzi sulla sommità di una montagna, e tra le punte delle interposte balze venivano precipitati in profondo vallone. Il quale sacrificio equivaleva a dire: Il nostro principe si compiace delle nostre sventure. Anche i romani, quando veniva eletto un nuovo imperatore, sacrificavano molti schiavi, e provavano la loro congratulazione coll'altrui sangue. Condoglienza. Sulle sponde del Hallabar i negri immolano molti piccoli fanciulli per ottenere il ristabilimento della salute del re. Alla morte di Attila gli Unni si tagliarono la metà de' loro capelli e si trassero sangue dal volto, onde onorare la memoria d'un guerriero si famoso. Alla morte d' un re Soita si portava il suo cadavere in ciascuna provincia, e gli abitanti si tagliavano una parte dell'orecchio, si ferivano alla fronte, al naso, al braccio, e si traforavano la sinistra con una freccia. Alla morte d'un re d'Egitto rimanevano interrotti tutti i lavori per più di due mesi; due o trecento persone, la testa coperta di fango, andavano due volte al giorno a piangere sulla pubblica piazza; non si poteva in questo intervallo mangiar carne né pane di frumento, né bere vino, né bagnarsi, né profumarsi: l'uso stesso del matrimonio era interdetto. Coi quali e simili usi i popoli dicevano: Distruggiamo le nostre forze, perché é morto chi cercò di conservarle! Priviamoci di piaceri, per onorare chi desiderava ardentemente di promoverli!

Pagina 265

Marina ovvero il galateo della fanciulla

193841
Costantino Rodella 2 occorrenze
  • 2012
  • G. B. Paravia e Comp.
  • Firenze-Milano
  • paraletteratura-galateo
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Altre non han che questo desiderio, e corrono a tutte le feste che possono, per far sfoggio di abbigliamenti, e per metter in mostra le loro figliuole, come occasione propizia a fare, como dicono, un buon colpo; qual negoziante, che va a tutte le fiere per spacciar le sue mercanzie; e non pensano che questo è il modo di svilirle. Altre per contra, cada il mondo, ma non si parli di ballo; invenzione dell'inferno, luogo di corruzione, dove guazza lo spirito del male; e in quella vece non si faranno scrupolo di lasciar tutta la sera le loro figliuole colle serve o peggio, le quali le metteranno ne' più segreti labirinti del vizio velato. La signora Bianca non stava nè con quelle, nè con queste, se la diceva col buon senso, che è nemico degli estremi, come de' pregiudizii. Essa non si faceva coscienza di condurre Marina al ballo; ma si era prefisso le seguenti regole, che erano per lei condizione sine qua non: 1° Accompagnare Marina sempre essa stessa; il padre, le zie, i parenti, nessuno poteva tener il suo luogo; in queste faccende di balli, di veglie, di ritrovi, la figliuola deve solo intervenirvi colla madre, o non intervenirvi; 2° Pochi balli, e in famiglie amiche della stessa condizione sociale. Non balli, così detti, ufficiali, o di società, come sono que' di corte, del prefetto, del sindaco, de'circoli o casini; perchè in tali luoghi, come a dire pubblici, v'ha d'ogni sorta persone, di tutte le classi, e le donne troppo vi sfoggiano di lusso, colle mode più stravaganti e talvolta immodeste; anzi ve n'ha di quelle, che meno son vestite e più si credono abbigliate: scuola pericolosa per le ragazze; in cui l'impressione dell' istante tiene il posto d'un lungo ragionamento; 3° Teletta semplice; badava soprattutto di star in bene col decoro, e soleva dire, che la più bella eleganza per le ragazze è la semplicità: l'attenzione non si deve attrarre colle vesti stellate d'oro, co'fronzoli e cogli smerli; mai sì colla modestia degli atti e colla schiettezza della persona; 4° Non oltrepassare la mezzanotte; rammentava una sentenza dell'Imitazione di Cristo: - La sera passata nella gioia è seguita da un tristo mattino. Chi sciupa tutta la notte al ballo la dimani è rotto, sfiaccolato, indolenzito per tutte le membra; cogli occhi lividi, col viso scialbo; disadatto a tutto; e la signora Bianca metteva innanzi a ogni cosa i doveri di famiglia e la salute del corpo. E che? Se il ballo è un esercizio e un divertimento, deve invigorire e non stancare il corpo; deve avvivare e non affievolire lo spirito. Date un'occhiata alle sale da ballo al volgersi del mattino, giovani allampanati, cadenti dal sonno, sfigurati nel volto, scomposti negli abiti, sdraiati sui canapè; ragazze scalmanate, azzoppate, faccie di cera, vesti che sbrindellano, spiegazzate, come uscite dal cenciaiuolo; non son più che ombre; eppure non sì tosto l'orchestra dà ne' suoni, e giù a ballare; come l'ubbriaco che s'anima al suono de' bicchieri. Ma, quando s'è stanchi non è più divertimento! Un bel giuoco dura poco, canta il proverbio, e ora voi non ballate più che per un vano amor proprio; per poter dire: Non n'ho lasciato una, ho retto fin all'ultimo;- bel vanto davvero! Senza che quello star lì molte ore in sale chiuse, con tanti lumi accesi, al caldo soffocante, con tanta gente raccolta, in mezzo al polverìo che di necessità suscita la danza, come si può ancora respirare aria buona? A Marina non veniva manco in capo di contrastare a queste regole, che anzi approvava come saggie e se ne giovava tanto bene. Non sapeva darsi pace di quelle ragazze che trascinano le loro madri vecchie e infermiccie in tutti i balli, e le costringono a star lì fino allo spegnersi dell'ultimo moccolo! Le poverette annoiate, sfibrate, mal reggendo il capo, che cade in tutti i versi, van tra un sonno e l'altro gridando alle figlie che l'ora è tarda, e le pregano a smettere; ma le sciagurataccie fuggono, si nascondono a' loro sguardi, e forse deridono la loro bonaria accondiscendenza. Disgraziate, mettete in canzone chi v'ha data la vita! Forse quell'ora, che adesso rubate al loro riposo, ne porterà un malore, e forse la morte, e voi ve la godete di ingannarle! Una festa da ballo presenta molte osservazioni all'occhio esercitato a leggere nell'animo; e la signora Bianca non perdeva il destro di far notare a Marina i diversi comportamenti delle danzatrici. Ve' Alfonsina come entra in sala rigida e severa, le ciglia corrugate, le labbra imbronciate; si direbbe che viene in mezzo a nemici; e con che piglio di sdegno accetta l'invito del ballerino; ve' come danza fiera e melensa, come storce la faccia; darebbe a credere che nè il ballo, nè il cavaliere le vadano a genio! Eppure, se l'interrogaste, la trovereste lieta dell'uno e dell'altro; ma se le predicò tanto addosso di severità e di contegno, che scambia la modestia e la grazia in mal umore e sgarbatezza. Alice ha più confidenza in sè, si pavoneggia, ride forte colle amiche, anche senza ragione, per farsi vedere, e sott'occhi guarda se è osservata. Anche qui s'è falsata l'educazione, vi s'eccitò troppo l'amor proprio. Eugenia parla sempre di parenti e di amici in alto, de' balli del prefetto, del sindaco, del marchese A..., del conte B..., delle eleganti telette con cui vi sfolgorò, dell'invidia destata e delle vittime fatte. Fu educata alla boria. Giuditta vuol darsi per sentimentale, e tale si mostra nella pallidezza del volto, nelle occhiate languide, nell'aria cascante: parla di romanzi, di scene tenere, di emicranie, di mal di nervi. Fu educata a fa niente. Teresina ha un abbigliamento ricchissimo, passa spesso innanzi allo specchio, ed ha sempre qualche cosa da aggiustarsi, un ricciolo, un nastro; non risponde che a monosillabi o a cenni a chi le parla; è troppo occupata di sè. Il lusso è la sua scuola. Edvige va sempre gironzando intorno ai drappelletti de' ballerini per farsi invitare al ballo; nel giro alla coda chiacchera di mille cose, alza la voce, dimanda qui, chiede là, broglia sempre per mettersi innanzi alle altre coppie, corre di qua, sguizza di là, froda il torno; beata se può aver più ballerini alla volta. La leggerezza e la vanità sono le sue occupazioni. Eleonora non bada a chi promette i balli e fa nascere discordie e risse, di che si compiace. È portata all'intrigo. È lodevole costume, diceva la signora Bianca, in balli affollati aver una cartolina, dove si scrive il nome del danzatore e della danza. Queste osservazioni poi si moltiplicavano nell'occasione de' rinfreschi e de' confetti; al qual proposito conchiudeva che nessuna cosa mette più in mala vista la giovinetta, che dev'essere l'ideale della poesia, che il vizio della gola, l'ideale della prosa e della mate rialità. Ne' balli è dove più occorrono le presentazioni. L'uso del presentare è portato ad un eccesso ridicolo presso gli Inglesi. Una dama vedrà un signore tutti i dì ne' passeggi, lo troverà in tutte le veglie da dieci anni, non ignorerà punto la sua condizione, il suo nome e cognome; però se le vien dimandato se lo conosce, risponde subito di no; perchè a lei non fu mai presentato. Si racconta questa ridicolezza. Un Inglese saliva sur unpiroscafo in quella che un viaggiatore cadeva in mare. " Signore, gli si grida, guardate un che s'annega! „ L'Inglese s'arma l'occhio della sua brava lente, e guarda; finalmente, risponde: " è impossibile, non m'è stato punto presentato „. Ne' balli ufficiali, dove tanti sono gli invitati e di tutte le qualità, è bene che la giovine sappia con chi danza; onde il ballerino è in dovere di farsele presentare da qualche conoscente. Ma ne' balli di famiglia sarebbe un mettersi al ridicolo 1' aspettare le presentazioni. Lì si sa che gli intervenuti sono amici di casa.

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loro corre il debito di andare a far pompa di ricchi abbigliamenti presso le numerose amiche! Ma nelle cose talora è solo biasimevole il troppo. È certo che le visite sono per le donne un gran sciupatempo, ma pure giovano a cementare la società, a dissipare certi screzi, a riappiccare e mantenere i legami di amicizia. La signora Bianca, donna sollecita e casalinga, se ve n'era una, pure non trascurava di fare e di ricevere visite. Bisogna però avvertire che essa non s'era mai legata con troppe famiglie, e soleva consigliare alle donne, e specie alle giovani spose: se vi cale di viver bene e tranquille fate poche relazioni, e queste poche sceglietele della vostra condizione. Vi sono tempi speciali, in cui le visite sono un dovere per chi ama il titolo di costumato e civile; quali sono per le feste natalizie e capo d'anno; per qualunque avvenimento o felice o triste nelle case di famiglie conoscenti, come a dire: un'onorificenza, una promozione a qualche carica, un matrimonio, dopo un invito a un pranzo, a una festa, a un ballo, anche quando non vi si sia intervenuto; prima di partire per un lungo viaggio o per la campagna; nell'occasione d'un decesso, o qualsiasi altra sventura; come pure dopo una visita ricevuta è obbligo di civiltà restituirla. La signora Bianca, come ebbe Marina tanto quanto grandetta, soleva condursela seco nelle visite; perché coll'uso s'avviasse alla società. Prima di uscire di casa ne accurava l'abbigliatura; pratica com'era delle convenienze, che mai non si debbono perdere di vista da persona accostumata, consigliava una teletta più vistosa e più scelta nelle visite di augurio pel capo d'anno, per nozze e simili avvenimenti felici; colori oscuri, senza sfoggio, in quelle di condoglianza; piume, pizzi, svolazzi di nastri e di blonde, strascichi, credeva ridicoli in visite di mattino alle amiche di confidenza; come pure vesti dimesse e trascurate in una visita di riguardo potrebbero offendere l'orgoglio della famiglia che si va a trovare. Usava molti riguardi quando doveva andare in qualche casa decaduta; perchè se si va con sfoggio di moda, permalose come sono sempre tali famiglie, possono dire: le orgogliose, ci vengono a confondere fino in casa! e se troppo dimesse: eccole, dicono, ci avviliscono! Quando non trovava la persona, che voleva visitare, consegnava al servo il biglietto di visita, che si usa anche ripiegare un po', e se era accompagnata da Marina, vi scriveva sotto col lapis: colla figlia; perchè riputava una frivolezza, che le ragazze avessero i loro biglietti personali. Marina non aveva troppo a confondersi nelle visite; non faceva che seguir la madre, che aveva molta convenienza ed eleganza di tratto. Venuta nella sala si portava subito dalla padrona; e prendendo la mano che le era porta, domandava con grazia del suo stare; indi se v'eran altre signore, loro faceva un dignitoso inchino, e si metteva a sedere, dove le accennava la padrona; il tutto senz'affettazione. Se vi si trovavan persone di conoscenza, Marina loro dimandava nuove. Non imitava quelle fanciulle che non fanno che alzarsi e sedersi; corrono a' tavoli, e vogliono vedere e toccar tutto. La signora Bianca aveva costume di far le sue visite corte corte, primo perchè non voleva perdere troppo tempo, e poi perchè aveva questa massima, se la nostra visita fa noia, questa si toglie presto; se poi dà piacere, si lascia maggior desiderio di noi. La madre di Marina seguendo l'uso, assai commendevole, della città, aveva un dì della settimana assegnato al ricevimento delle visite. Questi ricevimenti si facevano colla massima cortesia, resa piacevole da una grande semplicità. Il salotto era sempre pulito e ordinato con buon gusto; la sua teletta, come quella della figliuola, era piuttosto accurata e signorile, lontana dallo sfoggio, come dalla trascuranza. Colla sua cordialità e scioltezza rimetteva tosto le visitatrici a loro agio, e specie colle giovani e timide sapeva trovar la parola che dava confidenza e quasi direi ardimento; se v'eran persone nella sala, perchè le une non fossero in sospetto delle altre, aveva per abitudine di far la presentazione ad ogni nuova venuta; sapeva metter innanzi discorsi opportuni, e s'ingegnava di rendere il conversare generale, perchè gli a parte sono sempre spiacevoli, gli esclusi se ne risentono, come di congiura contro di loro; specialmente se timidi e poveri; peggio poi quando il riso accompagna i colloquii segreti. Quando la visitante s'alzava per partirsene, la signora Bianca s'alzava pur essa, sonava il campanello per avvertire la cameriera, che aprisse la porta, e porgendole la mano la ringraziava, e l'accompagnava fino all'uscio del salotto, e lì la confidava a Marina, che la scortasse alla porta di casa. Per lo più, s'usa dire, che la maldicenza, i sarcasmi, la scoperta degli altarini fanno le spese delle visite, e uno spiritosissimo scrittore francese reca in mezzo alcuni dialoghetti, come modelli di conversare nelle visite. " Cidalisa. Che bontà venirmi a vedere! È un secolo che non m'ha procurato un tanto favore... Oh che bel cappello! Araminta. Le garba? Cidalisa. È d'un gusto squisito! Già non v'ha che lei, che abbia di queste eleganze. Araminta. Staniamo ella è tutta bontà e bellezza; quest' abbigliamento le sta a maraviglia... Vengo ora da Arzinoe..., com'era mal messa... Cidalisa. Che vuol ella che stia bene a quella faccia? ... Oh che grazioso mantelletto! Chi gliel'ha fatto? Araminta. Madama...... E Filli... come la tratta? Cidalisa. E che se ne può fare? Non ha due idee in testa... e poi... ella ne sa la vita...! Araminta. Sì.... Cidalisa. Ho dovuto chiuderle la porta... Ma che? Ella parte già?... Araminta. Ho qualche commissione da sbrigare. Cidalisa. Non stia più tanto tempo senza venire, e non abbia tanta fretta. Un po' dopo la partenza di Araminta, che va a raccontare in un altro salotto, che Cidalisa è gialla come una mela cotogna, e che tiene in casa una te- letta che fa schifo, giungono Arzinoe e Filli. Cidalisa. Che bontà venirmi a vedere!...È un secolo che non m'hanno procurato un tanto favore!... Che bella veletta ha, Arzinoe.. E lei Filli, non ho mai veduto persona così ben calzata come lei; ma già non fa specie, con un piedino come il suo... Filli. Sì, parli di piedi lei, che ha piedini da ragazza! Arzinoe. Io non conosceva cotesto braccialetto, Cidalisa, è magnifico! Cidalisa. Araminta è uscita or ora di qui. Arzinoe. Che? Se m'aveva detto che non la voleva più visitare... Cidalisa. Proprio! Ebbene questo le potrà ben accadere una volta o l'altra... Se essa crede che il mondo chiuda gli occhi sopra certe passeggiate... s'inganna a partito! Filli. È un orrore! Cidalisa. Aveva il cappello più stravagante che si possa immaginare..... un mantelletto, così ridicolo! Era da far paura..... E poi non sa mai andarsene, credeva che volesse dormir qui... Ma che, esse partono già? Almen almeno non stiano più così lungo tempo senza venirmi a vedere, e non vengano con tanta fretta. Arzinoe e Filli vanno a raccontare altrove la pretesa e severità di Cidalisa, che non pertanto, ecc. Cidalisa aspetta un'altra visita per metter in canzone l'abbigliamento ridicolo di Arzinoe, e l'affettata modestia di Filli„ (1). Ma è bene notare, che tal fatta di conversare non può cadere, che in persone leggere, digiune d'istruzione; perchè il vuoto della mente e del cuore, fa sì che si avviino discorsi senza costrutto, e pettegolezzi indegni di gente costumata e civile. Non v'era pericolo che così intervenisse presso la signora Bianca; chè anzi passava per la casa dove il discorso fosse più ameno e corretto. Il suo contegno, l'altezza della mente ne imponevano, e se qualche imprudente si provava alla maldicenza, tosto dal freddo riserbo della padrona, e dalle subite difese che eran prese della calunniata, s'avvedeva d'aver messo il piede in fallo, e il discorso moriva lì. ALPHONSE kar, Les femmes. Insomma, la signora Bianca, nel contatto della società, mostrava tutte quelle virtù, che la religione radica ne' cuori ben fatti: l'umiltà che s'abbassa per alzare gli altri; la carità che dimentica i torti e vela i difetti, per vederne solo i pregi; il sentimento vivo dell'uguaglianza evangelica, che negli uomini non vede che fratelli, che membri d'una sola famiglia. A tale scuola cresceva Marina(1).

Pagina 93

Le buone usanze

195769
Gina Sobrero 1 occorrenze
  • 1912
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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In uno stabilimento climatico c'è quasi sempre l'aristocratico, uomo o donna, che si sente o affetta di sentirsi spostato; la signora civetta, che vuole conquistare tutto il sesso maschile; la vanerella, che desidera eclissare tutti con lo sfarzo e il numero dei suoi abbigliamenti; il fotografo che vuole a forza portar via l'immagine di tutti; il giovinotto che pretende di far la corte a tutte le signore, e tanti altri tipi più o meno interessanti e noiosi. Tutti costoro si mostrano egualmente mal educati. In campagna ed ai bagni si va per riposare, per dar tregua alle noie quotidiane della città; è dunque fuori posto portarvi l'eco di quelle meschine passioni che infelicitano già tanta parte della vita. Ho detto prima come debba stare in questi luoghi una signorina: ora aggiungo che in un albergo bisogna avere riguardi assai più di quelli che si avrebbero in casa propria, o fra persone di intima conoscenza. A proposito delle partite dette a pick- nick, che si organizzano più sovente nelle stazioni climatiche, bagni, montagna, laghi, e anche soventissimo in talune città d'Italia, mi parve utile ricordare che il miglior sistema è di affidare la direzione della festa a tale che abbia il talento tutto speciale dell'organizzazione e rimettersi a lui completamente, evitare le domande di cose stravaganti, ove talora bisogna contentarsi magari di pane e uva, non parlare di spesa durante la partita, ma non lasciar trascorrere ventiquattro ore prima d'aver saldato il proprio debito. Nella scelta del direttore di queste feste bisogna prediligere quelli cui non arreca danno la spesa di una somma talora ingente per quanto momentanea.

Pagina 171

Galateo morale

196435
Giacinto Gallenga 3 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
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Qui però è dove la decenza corre molto pericolo di rimaner offesa dall'indiscretezza di alcuni bagnanti, i quali non si fanno scrupolo di recar ingiuria coi loro modi e coi loro troppo scarsi abbigliamenti al buon costume, e di rendere per tal guisa inaccessibili alle civili ed oneste persone quei luoghi destinati a ristoro e nettezza del popolo. Questi attentati alla morale pubblica e alla vera libertà dei cittadini sono degni di severissimo biasimo, e non saranno mai soverchi i provvedimenti intesi a rimuovere quegli scandali.

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L'eccentricità di alcuni si riduce il più delle volte al disordine, alla sregolatezza nelle abitudini del vivere, a quel non me ne curo provocante con cui sembra vogliono sfidare le convenienze, a quei disarmonici abbigliamenti nelle foggie e nei colori, a quella trascuranza di proprietà nella persona e negli abiti che dinotano la miseria viziosa, figlia di una sistematica inerzia. Consiste la loro eccentricità nel mettere a contributo la bontà degli amici, nell'ingolfarsi inconsideratamente in debiti, godendo la vita come la vien viene; con quello stoicismo vantato, che non è che un orpello di quella scioperataggine, una coperta di quella imprevidenza propria di coloro che non hanno scrupolo di vivere alle altrui spese. La fama di tali che pur suonerebbe onorata e gloriosa viene in brutto modo oscurata dallo studio che debbono riporre a schivare in presenza dei creditori, a ricorrere a industrie indecorose per sorprendere l'altrui generosità e buona fede. Eppure dovrebbero riflettere costoro poi quasi l'arte, la letteratura avrebbero ad essere un salvocondotto dalle leggi dell'onestà e dell'educazione, come era un salvocondotto per le ingiurie agli abitanti di Chio la loro zotica e corrotta natura, che anche i genii hanno l'obbligo di essere costumati e galantuomini, di soddisfare ai loro impegni d'interesse e di convenienze sociali. Così almeno la pensava Walter Scott il quale, avendo avuto in disgrazia di perdere in una bancarotta del suo uomo d'affari tutte le ricchezze guadagnate in molti anni di assiduo lavoro, si accinse di miglior lena a faticare onde soddisfare fino a un scellino i suoi creditori; e dello stesso avviso fu il valente pittore Hogart «il quale, narra lo Smiles, comeché povero, studiavasi sempre di vivere decentemente e vantavasi con nobile orgoglio di essere pagatore puntuale». Che un artista debba essere regolato lo mostrò Chartres lo scultore, il cui diario di viaggio in Italia contiene frammiste alle note dell'arte i conti delle spese giornaliere. Che un artista non debba menar vita disordinata, né avvoltolarsi nel fango delle passioni, ce lo dice il Poussin «il quale, al dire del citato autore, diede prova di altrettanta purezza ed elevatezza nelle sue idee, come nella sua condotta; e si distinse egualmente pel vigore della sua intelligenza, per la rettitudine del suo carattere e la nobile semplicità de' suoi costumi».

Pagina 316

Chi scialacqua in tenera età, nei giocattoli, nelle bambole, nei sollazzi, scialacquerà più tardi nei teatri, nei pranzi, negli abbigliamenti, nei cavalli, nei giuochi e in altre cose più basse e dannose. E così dicasi dei cibi, pei quali, anche nei fanciulli di famiglie agiate, vuolsi moderazione nella scelta a nella quantità. Non sarebbe un incamminarli per le vie della civiltà a della moderazione l'avvezzarli fin dalla gioventù a soddisfare una delle più vili passioni dell'uomo, la gola.

Pagina 63

Galateo della borghesia

201225
Emilia Nevers 1 occorrenze
  • 1883
  • Torino
  • presso l'Ufficio del Giornale delle donne
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Non vuol rinunziare a nessuna festa, a nessuna gita, a nessun abbigliamento e gli abbigliamenti vuol uguali a quelli delle giovinette di sedici anni. È un cruccio per tutti, perchè si rende ridicola in società, o assumendo un far d'ingenua, o facendo il broncio perchè trascurata. Soffre e fa soffrire, non vedendo che i suoi mali e dimenticando che anche chi ha marito e figli trova più spine che rose nella vita. La giovinetta ideale. - Come è semplice, come è dolce quella parte! Amare e sorridere, ecco quanto le si chiede! Dev'esser ingenua, buona, allegra sopratutto; l'allegria nella gioventù è quasi un dovere. Dev' essere operosa, pronta anche ai lavori più umili, e come la madre, educata in gentile eccletismo di abitudini, in modo che sappia passare dalle occupazioni casalinghe alle occupazioni intellettuali; con la mamma, spolverare, stirare; col babbo, mettersi a fare qualche conto, a scriver qualche lettera d'affari. Insomma dev'esser esperta in molte cose, libera da ogni sussiego e memore che la donna piace a tutti nell'esercizio delle sue attribuzioni, che Goëthe nel Werther ci presenta la sua Lotte intenta a spalmar il burro sul pane dei fratellini, e Rousseau, nel dipingere la donna ideale che dà per moglie all'uomo ideale (nel famoso Emile), dice: « Sofia è esperta in tutti i lavori del » suo sesso, sapendo perfino fare i proprii vestiti; se n'intende » di cucina, sa il prezzo delle derrate e tien i conti; » dovendo un giorno esser madre di famiglia, si esercita » nella casa paterna. Pel momento suo primo dovere è » quello di figlia, suo unico scopo serivir la madre ed » aiutarla ». Servir la madre... Meditate questa parola, signorine. Ne ciò basta: occorre alla signorina un'altra dote, una dote che poche ragazze hanno: sapersi annoiare. Per inconscio egoismo le fanciulle aborrono ciò che chiamerò le minuzie del dovere. Far la partita col nonno, trastullarsi coi bimbi, rammendar il bucato, copiar le lettere del babbo, ecco delle cose da cui rifuggono, eppure nulla è così caro come l'aspetto di una giovinetta che si sagrifica un pochino per altrui! La cieca ubbidienza ed il rispetto di una volta non si esigono più - non occorre dar del lei ai genitori e baciar loro la mano, ma la deferenza è sempre necessaria; e se anche una signorina sa di poter fare quasi in tutte le occasioni a modo proprio, però nel contegno deve apparir sottomessa, rispettosa; non deve mai dar ordini, nemmeno alla servitiù, ma trasmetterli. La vanità non le è lecita, ma le è imposto di esser sempre linda e ben ravviata. In Inghilterra soltanto le signore ammalate si permettono la veste da camera fuor della loro stanza da letto; tutte le altre, donne e ragazze, fin dalle otto del mattino sono pettinate e vestite. Se le occupazioni casalinghe non permettono d'imitarle, eviti però sempre la signorina di girar per casa scapigliata, in pianelle, con gonna sudicia, senza busto. Quel disordine è disgustoso. Chiuda le treccie in una reticella, metta delle scarpe, un vestito a vita larga, di quelli detti matinée, semplice,povero, se vuole, ma non sfilacciato, non macchiato. La giovinetta reale. Oh! qui, se non avessi segnata la via, mi formerei tanto da scriver un volume. Gli è che la giovinetta ideale è una sola - e le giovinette reali offrono dieci, venti varietà di tipi, tutti egualmente riprovevoli. Ne sceglierò due: la giovinetta chic e la giovinetta bizzarra. L'una troppo donna; tutta vanità, pretesa, capriccio: in casa, aliena dal lavoro utile, smaniosa di quelle cose che, secondo lei,dinotano ricchezza - cavalcare, cantare, suonare, ricamare, dipingere; ma senza studio, a sbalzi, per affettazione; arrogante con chi le sembra povero o non addetto alla haute; insensibile agli affetti e decisa a cercar nel matrimonio, non l'amore... - oh! che cosa antiquata! - ma il milione. L'altra invece, non abbastanza donna, sdegna l'ago; lascia che la mamma fatichi e cucisca e stiri da sè, restando immersa nei libri, e seppur le si fa osservare che nelle nostre umili dimore i tordi non piovon arrostiti in bocca, e se si vuol che si occupi della casa, si stringe nelle spalle o se la cava dicendo che non prenderà marito, che non vuol diventar schiava, ed altri discorsi di questo genere: quella ragazza confonde l'ingegno colla stravaganza: pretende di distinguersi in tutto; rifugge dal passeggiare, dal ballare, dal vestirsi con buon gusto. A diciotto anni vuol ragionare e non vivere... Ed intanto i poveri genitori non hanno nè aiuto, nè conforto. Si è riso moltissimo delle signorine romantiche del 20 o giù di lì, nudrite di latte, frutta e poesia; delle figurette da strenna con la vita da ape, il bocchino stretto, i capelli pioventi sulle spalle in lunghi riccioli, il cuore caldo di entusiasmi pegli eroi di Walter Scott o di Dumas, ed assorte nella ricerca dell'ideale (un giovane pallido, tisico, povero, senza nome... oh! specialmente senza nome!). Eppure in quelle ragazze derise c'era - sotto la posa - molto vero sentimento. Nelle bambole, nelle emancipate d'oggi che cosa c'è? Egoismo e capriccio. E con tutte le loro pretese non sono persone per bene. Il giovinotto ideale è sottomesso ai genitori, buono per le sorelle e pei bimbi, garbato verso i visitatori. Non fa l'orso. Sia che incontri un'amica delle ragazze, un visino fresco come rosa, od un'amica della nonna, una vecchierella tutta grinze, saluta con cortesia. Accompagna la mamma; fa, a volte, le sue commissioni; aiuta i piccini nel còmpito, studia senza farsi pregare. Il giovinotto ideale continua - sebbene quasi uomo - ad esser docile ed amoroso coi suoi. È ordinato, tranquillo, ilare - non.... Ma ciò che non fa lo vedremo nel giovane, come è realmente. È cosa singolare che il progresso abbia prodotto un tal ribasso di galanteria, e sarebbe bello lo studiarne le cagioni. Comunque sia, le donne, che nel rozzo medio-evo eran quasi adorate, che vedevano i cavalieri erranti affrontare ogni pericolo, ed i baroni arrischiar la morte nei tornei per un loro sorriso - le donne che nel secolo scorso erano fatte segno del rispetto il più assoluto da parte dei marchesi incipriati e portate alle stelle dai poeti - come la Beatrice del Dante, la Laura del Petrarca, la divina Emilia del Voltaire, la marchesa d'Houdetot, le donne cui non si parlava che col cappello in mano e velando di perifrasi la semplicità delle parole - ora, confessiamolo, sono trattate con gran disinvoltura dai signori uomini ed in casa e fuori. Liberarsi da ogni soggezione, mancar ad ogni riguardo, sembra privilegio maschile. Perfino la mamma ammette che l'uomo non abbia obbligo d'esser garbato, e quando fa la rassegna dei cassetti del signorino, dove i mozziconi di sigaro alloggiano coi guanti bianchi, i canocchiali con gli stivaloni ed i compassi coi solini, mormora rassegnata: già, gli uomini son tutti così! lo ripete quando il signorino mette i piedi sulle seggiole, non si alza per dar posto alle sorelle, non raccoglie da terra il libro od il lavoro della mamma, bestemmia contro la servitù, fuma in salotto, scappa come il diavolo dall'acqua santa se capita qualche amica di casa un po' matura; gli uomini son tutti così. Tutti così? E perchè? Ed è veramente necessario? Capisco che un po' di astrazione può esser legittimata col pretesto degli studi o degli affari, ma non vedo per quale ragione, negli uomini, il disordine diventi un diritto; non vedo perchè debbano potersi esimere dall'ordine, che è risparmio di tempo, di denaro e dalla creanza, che è il modo di farsi voler bene e di provare la propria superiorità di educazione, e forse di cuore. L'ordine diventa abitudine se s'impara da bimbi, e nessuno mi vorrà negare che sia giovevolissimo. Smarrir il proprio fazzoletto, collocar regolarmente il bastone in luogo dove non si può ritrovarlo, lasciar l'ombrello al caffè, son cose da nulla: ma non è aggradevole lasciarvi il portafogli, è spiacevole senz'altro perder delle carte di importanza, e spesso poi riesce pericoloso il seminar di qua e di là la propria corrispondenza. Considerando inoltre che il tempo è denaro, quanto non si spreca coll'eterno smarrire e cercare?.... Ma, diranno i signori uomini, perciò appunto sono create le donne; a loro tocca di cercar la nostra roba, di mettercela sotto mano... Benone: e queste donne ve le conducete dietro all'Università, in viaggio, allo studio? No, eh? Ed allora come farete? Sarete saccheggiati, o sciuperete in poco tempo tutta la vostra roba. Le cose materiali hanno poi un nesso con le morali, in guisa che l'uomo il quale del disordine si crea una seconda natura, difficilmente eviterà la confusione anche nelle idee, nelle abitudini, e diventerà astratto e sregolato a segno da rendersi importuno oltre ogni dire in casa e fuori. È nota a tutti la storia di quel tale che, respinto da un banchiere, cui lo si proponeva per impiegato, veniva dal medesimo richiamato in gran premura mentre attraversava il cortile. - Signore, vi accetto, diceva il banchiere al giovane trasecolato. E sapete perchè? perchè v'ho veduto a raccattare uno spillo. Ciò m'ha rivelato che avete ordine ed accuratezza, le due prime qualità del negoziante. E quel giovine, da impiegato, diventava socio e genero del principale, e, come lui, milionario. Non pretendo certo che tutti i giovani facciano concorrenza ai cenciaiuoli, ma mantengo che anche negli uomini l'ordine e la nitidezza sono due doti preziose. Così lo sgarbo per sistema è cosa bruttissima - il rifiutarsi ad accompagnar le sorelle, il motteggiarle quando sono un pochino eleganti, il derider con scetticismo precoce i modesti divertimenti di famiglia, l'introdurre soggetti disdicevoli, e davanti alle ragazzine di dodici o di quattordici anni, nominar signore di dubbia fama, raccontar aneddoti poco edificanti, son tutte cose contrarie a quel galateo di affezione, di scambievoli riguardi che crea la dolcezza dei rapporti intimi. Il bimbo ideale non ha che un'occupazione: giuocare; un dovere: obbedire. Ma veramente il suo galateo riguarda affatto la mamma, dal primo giorno al quinto o sesto anno della sua vita. Il galateo del lattante ideale è semplice. Dev'esser sempre pulito, sempre in belle vesticciuole o cuscini bianchi, con una cuffietta,oppure con la testolina nuda ben spazzolata (nessuno più crede che quella crosta che la polvere forma sul cranio sia igienica). Possibilmente lo si tenga in una stanza un po' appartata ed i pannolini non sieno mai semplicemente messi ad asciugare, ma sempre risciacquati, al quale scopo convien buttarli man mano in un gran bacile pieno d'acqua. Però, se si preferisce o se si deve tenere il piccino allato, lo si tenga in una culletta e si ripongano in un canestrino i suoi pannolini e le sue fascie, evitando di disseminarli per la stanza, il che sarebbe brutto ed incomodo perchè diffonderebbe dappertutto odor di latte o... d'altro. Al lattante non si dia in mano qualunque cosa pur di tenerlo tranquillo, perchè il continuo picchiare gli nuoce e certi oggetti ponno tornargli pericolosi. Il meglio è una radice d'ireos attaccata ad apposita catenella. Sopratutto si eviti di poggiar il bimbo qua e là sui canapè, sulle seggiole, il che lo mette a rischio di esser schiacciato da qualche visitatore miope, o dimenticato. So di una signora astrattissima, la quale un giorno, nel rigovernar delle biancherie, poggiò il suo lattante sopra una delle tavole dell'armadio; poi riposto il bucato, chiuse, se ne andò... Per poco il piccino rimaneva asfissiato. La signora o la bambiania tengano un lenzuolino di gomma da porre sulla cuna od in terra nel luogo dove poggiano la creaturina quando è più grandicella - abbiano pure sempre un gran grembiale di gomma. Appena è possibile, insegnino al piccino gli elementi del galateo - lo abituino a salutare, a rispettar la gente e la roba. Non ridano se volta le spalle ai visitatori, se ad un bacio risponde con un buffetto, o dice graziosamente all'uno: sei vecchio, all'altro: sei brutto... Quelle cose che fatte da bimbi di due anni paiono tratti di spirito, da quelli di quattro tornano già uggiose e da quelli di sei, sembrano bell'e buone scortesie. È smania generale ora metter i bimbi a tavola a sei mesi e per prevenire certi... inconvenienti, collocarli in apposita seggiola, per cui, sul più bello, c'è un gran tramestio, la seggiola vien aperta per di dietro, l'oggetto... che offende, vien tolto con maggior danno che se rimanesse dov'è, e seppur babbo e mamma non respirano che essenza di rose, spesso e fratelli e nonni e zii... hanno il naso più perspicace. Preferisco l'uso inglese che vuol che il bimbo mangi più spesso degli adulti, faccia pasti più brevi ad ore più adatte, e ritengo che il metterlo a tavola troppo presto renda piuttosto più difficile che più agevole il dargli delle buone abitudini. Comincia a mangiare con le mani, a imbrodolarsi, e si compatisce: è tanto piccino! Poi seguita, e non si vorrebbe più compatirlo, ma lui, che non sa di logica, s'impunta a continuar nel suo sistema e ci vuol molta fatica a correggerlo. Quando poi il bimbo cammina, trovo bene tenerlo in una stanza con pochi mobili e coi suoi balocchi, e non permetter che metta sossopra tutta la casa, seminandola di carta, di puppatole, rompendo i mobili. Non è amor materno quello: è disordine, e non c'è più cattiva abitudine che quella di far d'un bimbo un piccolo iconoclasta. La signora di Genlis narra a questo proposito che andando a far le sue visite da sposa, vestita in gran gala, s'intende, capitò in casa d'una signora di cui il bimbo, viziato oltre ogni dire, appena la scorse, allungò le mani verso il suo cappellino, un cappellino nuovo, fiammante, gridando: lo voglio! lo voglio! - Che vuoi, carino? chiese la mamma, cui premeva contentarlo. - Il cappello! subito! lo voglio! voglio giuocare! - Ebbenebimbo mio, disse la madre con gran sorpresa e terrore della sposina, chiedilo con buona maniera e la signora te lo darà. Per fortuna, conclude la Genlis, egli non volle mai valersi della buona maniera ed il cappello fu salvo. Più grandicelli, i ragazzi non devono mai dar ordini ad alcuno, mai interrompere il babbo e la mamma, nè immischiarsi dei loro discorsi, e dire, non richiesti, il loro parere e disturbare chi è occupatocon ciancie, chiasso o domande importune. A tavola devono aspettar d'esser serviti e non allungar le mani verso il piatto e non far ossernazioni sulla qualità dei cibi. Il parlar poi senza discernimento, ed il riferire ciò che hanno veduto ed udito è cosa biasimevolissima in loro. Il bimbo, che spesso non intende bene e ripete peggio, può far nascere dei gravi disgusti. Convien imprimergli ben in mente la differenza che c'è fra il dir tutto a tutti in tutti i momenti ed il mentire. Alla mamma od a chi per essa, affidi ogni cosa, nulla agli altri. Del resto, se sarà abituato a cansar la curiosità e le ciarle, non baderà nemmeno ai discorsi che non lo riguardano. Gli si faccia poi notare che il motteggio è la cosa più inurbana e stolta che vi sia; che il bimbo inesperto, ignorante, non può intender bene ciò che fanno e dicono gli adulti e quindi non deve permettersi di censurarli nè di deriderli; che la canzonatura, villana coi pari, diventa irrispettosa verso i maggiori, crudele e codarda verso i deboli e gli infelici. Si procuri anche di non far conoscere al bimbo la differenza delle fortune e di avvezzarlo garbato, sicchè rifugga da chi non ha educazione, ma non borioso, sicchè rifugga da chi è povero. Sia talmente avvezzo al rispetto verso i superiori ed i vecchi da non accorgersi dei loro difetti, nonchè da criticarli - non veda che il suo professore è brutto, che il suo nonno, poveretto, non si tien pulito e copre di tabacco tutto ciò che gli capita vicino. Ami... e sia cieco come l'amore. Sarà più contento e più caro. Conoscevo un ragazzetto il quale, tornando alla casa paterna dopo aver vissuto per alcuni anni con una zia che lo viziava, un giorno in cui l'avolo, veterano di Napoleone, raccontava al solito una delle sue campagne, si fe' lecito di interromperlo sclamando: -Eh! nonno! ormai quella storia la sappiamo a mente è la decima volta che ce la racconti! Il nonno si scosse arrossì e con un sospiro: -Sarà vero, disse... divento vecchio! divento vecchio! Ma il babbo balzò in piedi, e con sdegno - Tuo nonno è stato uno dei gloriosi che hanno tenuto alto l'onore deI soldato italiano, disse. Prega Dio, di poter anche tu, da vecchio, ripeter sempre la stessa storia di coraggio e di virtù! Il ragazzo capì il suo torto, tanto più che da quel tempo il povero nonno non volle più dirle, le sue storie, rispondendo avvilito a chi gliele chiedeva: No, no; è sempre la stessa cosa: annoia. È necessario che il bimbo impari la delicatezza e sappia come affligger le persone attempate sia grave torto. Il rispetto pei vecchi stava nel galateo degli antichi: qualunque ragazzo, a Sparta, doveva alzarsi davanti ad essi; sta nel galateo dei selvaggi: sarebbe strano che fosse meno osservato nei tempi moderni dalla gente più civile. Ma per ottener nei fanciulli quella creanza e quella delicatezza che a volte essi non hanno per istinto, è mestieri non lasciarli mai con le persone di servizio. Mi spiego. Quando la nutrice o la bambinaia, che si devono scegliere con grande cura, sono partite perchè non s'ha più d'uopo dei loro uffizi, convien industriarsi in modo che il bambino non stia in intrinsichezza con cuoche, servitori o cocchieri, gente che molte volte ha contratto gran numero di vizi e per abitudine poi tiene un linguaggio rozzo ed inverecondo. Ma, direte voi, i bimbi devono dunque star sempre coi genitori? Non lo credo; credo anzi che sia pessimo costume tenerli in salotto quando si riceve, condurli in visita od a teatro. E dunque, mi chiederete, come si combina la cosa? In quattro modi, secondo me e sono: Il collegio. - Non l'approvo, ma lo accenno per chi avendo negozio e non potendo mai accudire ai propri figli vuol torli da pessimo contatto. La scuola. - Nelle ore di scuola i genitori sono liberi possono dedicar quindi tutte le altre ai figli. Un'istitutrice o almeno una bambinaia fidata, di nota moralità. Vi sono molte donne di buona famiglia le quali, incapaci per salute di far la cameriera, e non tanto colte da far le maestre, possono assumere la guida di ragazzi già grandicelli. Finalmente, oltre alla scuola, chi non volesse fermarsi in casa alla sera, potrebbe prender qualche maestra fidata che lo supplisse. Ma..... e se non s'hanno i mezzi di tenere questi maestri? Suppongo che allora non s'avrà nemmeno i mezzi di girar teatri e feste.Comunque, reputo dovere trovar un modo di evitare ai ragazzi la vicinanza delle fanteshe, da cui in generale non impareranno nulla di buono. Si può trovare una perla che cucini e stiri perfettamente, eppur tenga discorsacci da trivio ai bimbi. D'altronde, con le serve il piccino si abitua a continui battibecchi, perchè, essendo il padrone, non vuol obbedire; prende anche spesso il vizio di dir bugie.Avevo una cameriera, la quale ritenevo fidatissima, sicchè, non potendo uscire per indisposizione, le davo il bimbo da condurre a passeggio. Due o tre volte, al ritorno, gli trovai in mano dei balocchi, e mi disse che glieli aveva comperati la cameriera. Io la rimproverai, avendo per norma di non permettere che i bimbi accettino doni dalla povera gente. Essa si scusò dicendo che voleva tanto bene a quel piccino! Ebbene, sapete perchè gli faceva quei regali? Perchè, impaziente e manesca, s'era lasciata trasportare a percuoterlo,e voleva così comperar il suo silenzio. Notandogli dei lividi sui bracci, sospettai la cosa, e seguendo la donna la verificai e la licenziai. Altre volte la fantesca stringe col piccino un patto di colpevole compiacenza: gli dà delle leccornie perchè egli non dica di averla veduta a bere il vino ed il caffè. Queste cose turpi, alla servitù, per lungo costume, sembrano naturali: ma pei ragazzi, che lezioni! E non si supponga che io esageri: le gazzette recano storie di ragazzi tormentati o pervertiti che dimostrano qual sia il danno dell'affidarli a gente inetta o peggio. Ma se l'intimità è dannosa, non ne vien di conseguenza che sia lecito l'essere inurbani e si deve inculcare al ragazzo il rispetto per chi serve, fargli intendere che in qualunque ceto l'onesto ha diritto alla stima. E meno saranno i rapporti che il ragazzo avrà con la servitù, più vi potrà essere da tutte e due le parti creanza e decoro; poiché la persona di servizio ricorderà che il bimbo va trattato con riguardo come membro della famiglia da cui dipende, ed il bimbo, rispettato, potrà più facilmente rispettare. Passiamo ora alla suocera ideale. Questa vuol bene alla nuora come ad una figlia. In ciò sta la sola norma de' suoi rapporti con lei - e di rimando la nuora ideale è una figlia. La suocera e la nuora reale invece hanno dato origine al proverbio: « Suocera e nuora, tempesta e gragnuola ». Galateo della Borghesia. - 3. È un fatto che fra esse i rapporti sono difficilissimi, e che stentano ad evitare i piccoli disaccordi. La suocera esige troppo: dimentica spesso che lei, madre, sta bene abbia pel figlio un'indulgenza senza limite, ma che non può pretendere lo stesso dalla moglie. Ha troppa facilità di disapprovare, di rimproverare in quel modo che offende di più, cioè con insinuazioni ironiche e con una persistenza che fa pensar che la censura sia un partito preso e toglie valore persino alle osservazioni più giuste. Se ha delle figlie, stabilisce fra esse e la nuora una tale differenza che questa si sente estranea. lnquanto alla nuora facilmente teme che la madre cerchi di controbilanciare la sua influenza presso il marito e quindi, nelle occasioni in cui questi le rifiuti alcunchè, crede sia origine del rifiuto la suocera e se n'adonta. Non osa censurarla, ma ben lungi dallo studiarsi di far quello che le piace, cerca anzi con certa malizia di far il contrario - da ciò quelle guerricciuole di dispetti, di mezze parole pungenti, di sguardi sarcastici, che mettono in bando la pace delle famiglie. Le suocere dovrebbero ricordarsi d'essere state giovani..... e nuore, e compatire; mentre le nuore dovrebbero riconoscere i diritti dell'esperienza e dell'età, e così le cose andrebbero meglio. Gli è in ispecie davanti agli estranei ed ai bimbi che quelle lotte vanno evitate; l'estraneo sarà impacciato e se ne vendicherà col motteggio - il bimbo sarà scosso nel suo rispetto, nella sua fede. Come fargli intendere sino a qual punto sono complesse le cose umane, sicchè una pessima suocera può esser una santa madre ed una buona donna? Come fargli intendere che quei battibecchi sono una trascuranza del galateo famigliare - non l'espressione d'una vera antipatia - d'un vero biasimo? E nelle divergenze d'idee a chi ubbidirà? Nulla è più triste che quelle discordie e quel vedere una tenera sposina od una povera vecchia diventate vittime d'una specie di persecuzione, tutta superficiale forse, non ispirata da malevolenza, ma pur dolorosa, poiché i colpi di spillo alla lunga uccidono come i colpi di pugnale. Ci sarebbero delle centinaia di studi psicologici da fare su questa strana circostanza, che certi rapporti, certe gelosie alterano l'indole delle persone, ne cambiano i modi. Non è qui il luogo di scender a queste disamine; basti ripetere che il galateo va osservato anche fra suocera e nuora, e che se la tenerezza non ispira certi riguardi, bisogna invece impararli dalla creanza e non stabilire uno stato di cose intollerabile, in cui l'assenza d'affetto non ispira indulgenza e l'intimità sembra legittimi la mancanza di riguardi. Fra zia e nipote, fra cugini, è inutile accennare norme; i rapporti siano cordiali e sinceri, ecco tutto. È contrario al galateo morale ed a quello della società il parlar male dei propri congiunti, l'accoglierli male specialmente in presenza d'estranei. Un punto delicato è quello che riguarda il modo di condursi coi parents pauvres, i congiunti poveri. Secondo me, quando, per caso, sorge fra congiunti una eccessiva disparità di fortuna, la assoluta intrinsichezza, l'uguaglianza nelle abitudini, diventano incompatibili. Il povero non potrà star col ricco se non a patto di dipendere da lui, ossia di accettar inviti a desinare, in teatro, in campagna, ecc.: il che farà nascere una specie d'inferiorità che lo renderà facilmente suscettibile, che gli farà temere di esser posposto dal parente ad altri congiunti od amici più ricchi: da ciò invidia segreta, segreti rancori. Il galateo d'altra parte esige che il parente povero non assuma una certa boria ridicola come se in lui fosse merito essere consanguineo d'un ricco, come pure che non pigli un contegno umile, quasi da inferiore. Nel ricco poi, ci vuol ancora più studio per non offendere, per non millantarsi, per non fare che i suoi doni sembrino elemosine; per non escludere, male a proposito, dai suoi ricevimenti il congiunto, di cui teme che il vestir modesto possa farlo scapitare, lui, l'ospite, in faccia ai suoi invitati. Insomma, è ben arduo pel ricco non somigliar a quel tal risalito del brioso Paul de Kock, il quale, ad ogni piè sospinto, diceva agli amici meno fortunati: - Oh! per me posso far questa spesa: mes moyens me le permettent. Bouilly, il vecchio autore di cui è sì pietosa la storia (si diè a scrivere perchè l'unica sua figlia, riluttante allo studio, imparasse l'ortografia e fatto di lei, coi suoi scritti le sue lezioni, un modello di fanciulla, a sedici anni se la vide morire), Bouilly, di cui gli ingenui e carissimi racconti hanno fatto le delizie delle nostre mamme, racconta d'un villico, il quale, fatto milionario, un bel dì, in mezzo ad una festa, si vide piovere dal villaggio - a tradir le sue umili origini - la propria sorella rubiconda fattora. Il milionario cerca di indurla a non entrar nel salotto od almeno a celarsi in un angolo; l'onesta donna si meraviglia, rifiuta senza intendere; ma la chiave del mistero gliela dà il fratello, dicendo ad uno dei nobili ospiti che gli chiede come mai quella donna gli sia sorella: - Sorella di latte, nulla più! La contadina fugge colpita al cuore da quella parola crudele e ripetendo fra i singhiozzi: - Rinnega il suo sangue! Eppur quanti, senza arrivar a questo punto, s'industriano però ad allontanar i parenti per festeggiar estranei, credendo così d'innalzarsi al disopra... di se stessi! Vanità umane! Ma chi tratta così, creda pure che, sprezzando la vera cortesia, la cortesia del cuore, non si nobilita, e tutt'al più fa ridere alle sue spese. Con ciò non impongo intimità fra il contadino e lo scienziato, per esempio, o fra il povero ed il milionario - ammetto che le vicende della vita dividono molte famiglie: ma domando sempre l'urbanità e la cordialità. Il galateo intimo può chiudersi qui per non allungarlo di soverchio, poichè in molti punti s'unisce al galateo della società.

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Le buone maniere

202636
Caterina Pigorini-Beri 2 occorrenze
  • 1908
  • Torino
  • F. Casanova e C.ia, Editori Librai di S. M. il re d'Italia
  • paraletteratura-galateo
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Ad essa non sono permessi balli pubblici, abbigliamenti capricciosi, passeggiate e partite di piacere che possano dar luogo a osservazioni e commenti; e non le sarà permesso di intrattenersi con persone di diverso sesso, o di ostentare libertà soverchia di maniere o di discorsi. Dovendo conoscere il bene ed il male, essa saprà correr via sopra un argomento sdrucciolo, inculcare l'ordine e darne l'esempio con una compostezza misurata e severa. Essa sarà al corrente del movimento intellettuale, sociale e politico del suo paese, perchè non le abbiano a riuscire incomprensibili le leggi che deve rendere carne e sangue della crescente generazione. Ma questa conoscenza delle cose, questa coltura, questo amore dello studio, non deve degenerare in pedanteria, la quale spesso involontariamente tradisce l'abito peculiare dell'insegnamento. Le letterate non sono molto amate dal pubblico, perchè teme sempre di trovare in esse il tono cattedratico. Il sapere deve zampillare come sapienza spontanea, e le cognizioni essere assimilate così, che ne venga un ornamento del discorso e non un peso per l'interlocutore. Anche la dottrina delle donne deve avere il calore dell'affetto. Se per tutte le altre donne la moderazione e la dolcezza sono un ornamento dell'amabilità, in lei debbono esse il principale fattore del carattere. La mondezza dell'abito e la sua semplicità austera saranno il suo primo figurino di moda; e la conoscenza delle cose della vita non deve far altro che insegnarle a schivarne i pericoli e a porsi come un faro luminoso davanti alle piccole coscienze, che vanno svegliandosi negli alunni ad essa affidati. E poichè, come dice il Pascal, la virtù d'un uomo non deve misurarsi da' suoi sforzi, ma da ciò che fa ordinariamente, è naturale che l'esempio della virtù non può venire che da colui il quale l'esercita nelle piccole evenienze della vita. L'uomo si corica la sera, si alza la mattina, si veste, fa affari, mangia e digerisce quando non ha lo stomaco guasto: questa è l'intelligenza animale, come ha detto un filosofo, la materia in moto. Nessuno potrebbe immaginare neppure approssimativamente il numero di idee o di pensieri di quella folla nera, compatta, che esce ogni mattina dalle nostre case, inonda le piazze, ciarla, stride, piange, si rallegra e si dilegua silenziosamente nelle prime ore della notte buia, per ricominciare il domani colla stessa disordinata consuetudine il lavoro faticoso della vita materiale. Quel milione di teste che interrogate in un momento non appassionato sanno esprimere così bene i sentimenti più nobili, il gusto più fine, lo slancio più eroico, tal da poter sembrare la voce di Dio prese separatamente; per un contrasto bizzarro, specie di animali inconscienti con volto umano, pare non sappiano ragionare dirittamente, nè sentire profondamente le cose che esprimono, quando sono tutte insieme. Egli è che l'uomo singolo vive incatenato nelle consuetudini: e spetta a coloro che insegnano l'indirizzare l'intelletto umano ad averne di buone, di nobili, di oneste. Questa educazione delle consuetudini appartiene di diritto alle maestre, che essendo donne, sole sanno sorridere all'infanzia, sole possono cogliere per simpatia i primi moti di un'anima che si sveglia alle loro prime carezze. Egli è perciò che noi abbiamo intitolato e dedicato questo capitolo alla maestra e non al maestro; l'uomo non ne capirà mai nulla, salvo che per eccezione e poichè abbiamo fuse le scuole maschili colle femminili, non si vede più la ragione perchè una donna non possa condurre i fanciulli di ambo i sessi fino alle classi superiori, restando così esclusi gli uomini, i quali maneggiando colle loro grosse mani quei teneri cuori minacciano d'infrangerli. Se altro non fosse, ciò educherebbe gli uomini al rispetto e alla reverenza verso coloro che sono dolci, che sono soavi, che sono deboli. Più tardi li daremo in mano ai retori, agli scienziati e ai filosofi; essi non arriveranno mai troppo tardi: l'abito degli affetti sarà già formato. È stato detto che per ben intendere la scienza dell'anima bisogna studiarne l'alfabeto accanto ad una culla. Ma quell'inno alle culle gli uomini non sapranno mai cantarlo; e tutta l'educazione d'un popolo è in mano di chi insegna all' infanzia, perchè solo chi ha veduto il principio delle cose grandi, può giudicarne l'andamento. Gli insegnamenti della scienza e della filosofia sono dottrine e non moti dell'animo; esse possono calmare le ebbrezze dell'intelligenza, non saziare la sete dei nostri cuori e indovinarne la fine. E questa sete d'affetto è la rivelazione di quell'ideale che solo l'educazione può raggiungere. Questo grande compito dell'educatrice dovrebbe crearle un'atmosfera più atta a far maturare la messe della virtù e della sapienza popolare e metter lei sopra un trono. Invece non è così, si direbbe anzi che sia tutto il contrario; e ciò si spiega colle premesse; ma tocca in gran parte ad esse di distruggere la continuità di quel giudizio ingiusto; e non sarà loro difficile se sapranno, prima di entrare nel gran meccanismo dell'educazione nazionale, di che fardello si gravino le spalle e quanto sia faticoso ufficio e di che lagrime grondi e di che sangue. Se l'educatrice ha una posizione difficile in società e nella scuola, ne ha una non meno grave nei collegi e nei convitti, in genere nella vita di reclusione. La vita delle recluse, specie di quelle che sono già adulte e quindi restìe al vivere in comune, è degna di uno studio di importanza capitale. I rapporti tra le maestre e le scolare e tra esse e il mondo sono tanto complessi, da non poter essere accennati che sommariamente. La prima necessità è di rendere i collegi e i convitti così lieti e sereni da impedire la noia, da evitare il pettegolezzo, da rendere tranquillo e calmo l'ambiente. Se l'istitutrice deve evitare con ogni fatica le predilezioni anche involontarie, deve altresì invigilare a che le allieve con contraggano intimità troppo sentimentali, e quelle disposizioni alla sensibilità eccessiva che deprimono il carattere e tolgono il concetto del vero nei cuori della gioventù. Anche il così detto parlatorio deve essere accomodato di guisa che le anime giovanili possano espandersi lietamente, impedendo le esagerazioni, ma coltivando la naturale confidenza dei figliuoli verso i genitori. Infine i collegi debbono essere case di educazione, con regole fisse, ma con spontanea naturalezza nei modi e negli affetti. E i convitti, come lo dice il nome, luoghi in cui si convive transitoriamente, vale a dire grosse famiglie in cui l'urbanità, la tolleranza reciproca, i servigi scambievoli hanno una impronta regolamentare indispensabile pel migliore andamento dell'azienda e per un raccoglimento necessario alla conquista d'un titolo accademico; ma che ospitano appunto delle persone già sul limitare della vita; non possono avere quelle discipline fisse e rigorose e strette, che si addicono ai collegi propriamente detti. Le convittrici e i convittori degli istituti normali e superiori debbono essere le custodi di loro stesse: nel loro tratto cortese e educato saranno escluse le parole vivaci, i nomignoli impertinenti, le consorterie o le ostilità aperte o i maneggi sotterranei. Lo studio in comune, il pasto in comune, le passeggiate in comune possono essere altrettante discipline morali e sociali; e l'aiuto, l'emulazione, perfino la lotta urbana nelle difficoltà scolastiche, altrettanti ammaestramenti civili per l'esercizio pratico della vita. L'istruzione in sè e per sè, non vale nulla; la trasformazione sociale si è effettuata, le idee si sono moltiplicate; le nazioni sono divenute intelligenti; ma si sono staccate man mano dai loro sentimenti e gli entusiasmi salutari le hanno abbandonate. E così questa grande rivoluzione intellettuale ha stipato i cervelli senza fecondarli e minaccia di abbandonare i popoli alla follia della loro intelligenza. Ora è all'educatrice che è riservato il Sursum corda! E questo otterrà per sè e per gli altri non colle pedanterie scolastiche, coll'orpello d'una laurea, colla vanità d'una patente, colle pretese di un titolo rimbombante, colle arti o colle scienze o col sapere la storia greca, romana, la teoria darwiniana o fare dei versi; ma coll'essersi assimilati gli studi che nel campo morale e intellettuale le vietino le mode bizzarre negli abiti e le maniere virili o scomposte, o sconvenienti. Questa salutare assimilazione le indicherà quella perfetta educazione civile, la quale irradiandosi da lei porterà ne' suoi discepoli l'urbanità, e spronerà allo studio, al rispetto delle consuetudini paesane e delle altrui opinioni e condurrà le giovani menti a venerare in essa non soltanto il sapere ma la virtù; onde poi accoglieranno nei cuori quel possente anelito, per cui la civiltà si diffonde, si stabilisce e rende meno aspro e meno difficile il vivere in comune. PIGORINI-BERI C., Le buone maniere. 11

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Isabella Gonzaga e Vittoria Colonna, eccelse donne, Alessandra Mazzinghi degli Strozzi e Isabella Guicciardini non sprezzavano gli abbigliamenti, benchè non ne facessero oggetto di troppo grandi cure. È noto che Isabella Gonzaga mandava ambasciatori per avere ragguagli sul corredo di Lucrezia Borgia, e che la dogaressa veneziana rendeva famosi nel mondo i merletti di Burano. Il corredo d'una gentildonna italiana, che portava i velluti e i broccati veneziani, le stoffe orientali, gli Agnus Dei miniati da frate Angelico, le perle dei mari lontani, i coralli delle nostre pesche tirrene, le filigrane genovesi, i ricami dei monasteri nei fazzoletti di una battista che si chiamava pelle d'ovo, e le oreficerie di Benvenuto o di Ascanio, rendevano testimonianza della ricchezza dei nostri commerci e del predominio delle arti belle che resero così splendido il rinascimento. E le industria fiorentine coll'arte della seta e della lana, le veneziane coi broccati e broccatelli, quelle di Camerino coi taffetani e i veli più belli del mondo, quelle di Milano colle stoffe meravigliose; e i profumi dell'estrema Calabria, bergamotto, fior d'arancio e rosmarino, facevano delle nostre gentildonne un modello di perfezione gentile, che passando nell'uomo lo ornavano pei torneamenti, in cui si addestravano nelle armi Fieramosca e Marco Visconti, Ottorino, Castruccio Castracani e Niccolò Piccinino, Lorenzo il Magnifico e Prospero Colonna, Giulio Cesare Varano ed Emanuel Filiberto. Le donne più famose da Vittoria Colonna a Costanza Varano, da Caterina Cibo a Margherita de' Medici, furono altresì le più eleganti. L'abbassarsi dell'istinto dell'eleganza innata nelle donne fu altresì la rivelazione del decadimento del pensiero umano, e della brutalità de' costumi. Il vestire alla guillottina fu l'ultimo eccesso della decadenza rivoluzionaria e suscitò, nel più grande poeta civile del secolo, l'ode a Silvia, grande ammaestramento di civiltà. Ma questa orgia sfrenata di sangue, questa rivolta all'eleganza e alla gentilezza della forma esteriore, fu come la rispondenza dell'altro eccesso in cui ancora il poeta del Giorno colpiva l'esagerazione del lusso e della mollezza, solennemente sferzando la falsa eleganza, i nèi, il belletto di un'epoca di decadimento e di vergogne. E questa lenta trasformazione dell'eleganza in lusso sfrenato e insultante, che ebbe un primo famoso documento in Lucrezia Borgia e un'ultima tragedia in Maria Antonietta, due donne così diversamente famose e terribili e degne di pietà, rivela l'abuso di una facoltà che ha cessato di essere un accessorio indispensabile per diventare uno scopo diretto e positivo. Questo piccolo volo a traverso la storia dell'eleganza nel vestire e nell'adornarsi, non è che un documento umano per preservare dalle vanità le persone di buon senso, e per non far loro tenere in dispregio quelle forme di squisitezza che rendono le donne amabili e utili nel vivere quotidiano. Anche in questo ci vuole quella misura per cui non si esca dalla sapiente e indispensabile teoria dei limiti, che Gino Capponi accenna ne' suoi Pensieri sull'educazione e che gli fece mettere a capo dell'educandato della Santissima Annunziata un'amabile donna straniera, la quale scriveva come madama di Sévigné, vestiva come Madama di Grignan, conversava come Madama di Genlis e sapeva presentarsi come Madama Recamier. Il modo di contenersi in società d'una giovinetta non sarà petulante nè, per servirmi d'una parola messa in voga dagl'Inglesi, scontroso, o d'una taciturnità che rasenti la zotichezza. Per la fusione delle classi, per la facilità di trovarsi al contatto di ogni ordine delle sue coetanee, la giovinetta non mostrerà a quelle di condizione meno elevata della sua quello sprezzo superbo, che fa giungere le lagrime agli occhi dei timidi e degl'impressionabili: non si abbandonerà a troppo grande confidenza colle uguali, non sarà ardita colle maggiori per posizione o per ricchezze, nè adulatrice o lusinghiera. Non farà esclamazioni esagerate, non parlerà in prima persona - casa mia, i miei cavalli, la mia cameriera - e simili; non si crederà autorizzata a prometter nulla, non farà doni e non ne riceverà se non col permesso dei superiori, molto più se il donatore è di sesso diverso e non ha un'età che giustifica il dono, il quale non può essere che un libro, dei fiori o dei dolci. Un dono di valore non è permesso che al padrino, od un parente, ad un vecchio amico della famiglia. Il giudizio sugli uomini e sulle cose deve essere subordinato a molte riflessioni rispettose e remissive, che rivelano quel che si chiama il tatto, il quale non è che la principale espressione del carattere. La giovinetta non dà ad alcun uomo il suo ritratto, non lo incornicia nel salotto, non lo mostra a chi potrebbe avere la mancanza di tatto di chiederglielo, non lo profonde neppure fra le amiche. Il concedere il proprio ritratto a molti può dimostrare due cose: o la vanità di credersi bella, o il trattare troppe persone con intimità, il che distrugge il valore di una amicizia troppo facilmente accordata a molti. Anche colle sue amiche più care non esagera l'espressione del suo affetto, non le bacia e abbraccia troppo spesso, specialmente in società, dove ciò sveglia una idea di sdolcinatura poco conveniente e di attestati iperbolici d'un affetto, che è tanto più sicuro e fedele quanto è meno rumoroso e esteriore: invece la sua amicizia non prodigata alla prima venuta e colla dignità d'un carattere che lampeggia nella prima gioventù per illuminare nell'età matura l'intelletto e il cuore, sarà costante, ferma, serena: essa apporta, come si esprime felicemente la Baronessa di Staaffe, nel commercio della vita usuale colle sue amiche un capitale di onestà sincera e franca, che nell'impedirle l'adulazione le darà modo di non scorgere neppure i difetti e qualche volta gli errori delle altre, senza gelosia per loro meriti, per la loro bellezza e per la loro ricchezza, compiacendosi anzi di poterli far ammirare insieme con lei dagli altri. In una conversazione se le tocca per vicino un interlocutore un po' noioso non sbadiglia, cosa che si può sempre evitare pur di comprimere il primo impulso; è caso qui, come in tutte le cose della vita, di un buon principiis obsta, come diceva il Conte Zio al Padre Provinciale nell'affare del Padre Cristoforo. Sentendosi a ripetere, da un vecchio specialmente, un aneddoto, un fatterello, una spiritosità, un racconto, avrà la pazienza di ascoltarlo colla stessa serietà e la stessa attenzione come se non lo avesse mai sentito dire. Evita con ogni studio di raccontare fatti e di accennare ad avvenimenti che potrebbero offendere o affliggere inavvertentemente le persone intervenute, e non perde mai la buona occasione di tacere, come dice una dama amabile; cosa di cui nessuno ebbe mai a pentirsi. Se sa sonare o cantare non si fa soverchiamente pregare prima di corrispondere all'invito, e sopratutto non mostra di essersi preparata all'invito stesso, cavando fuori il quaderno della musica, il che è ridicolo. Se ognuno fa l'esame di coscienza trova in sè di aver riso di siffatte evidenti vanità. Se uno non è sicuro di sè stesso e di quello che sa, può sempre evitare una inutile agitazione, non esponendosi volontariamente ad un cimento che può produrre una freddezza invincibile nell'ambiente. Il ridicolo doloroso che copre un oratore, un artista, un dilettante ad un insuccesso, dovrebbe allontanare ogni persona ragionevole dal presentarsi in pubblico: una giovinetta specialmente potrebbe danneggiare per sempre la sua riputazione, benchè sia una mancanza tutta convenzionale e non di sostanza. Bisogna ricordarsi che come i senatori considerati isolatamente erano, secondo il motto latino, buonissimi uomini ma il Senato tutto insieme mala bestia (Senatores boni viri Senatus mala bestia), così ciascuno da sè e in sè è disposto all'indulgenza, messi tutti insieme sono giudici crudeli e qualche volta inesorabili. Nessuna belva è più fiera d'una folla anche riunita a scopo di beneficenza o di pietà. L'anima collettiva non è più semplice nè libera, e diventa severa, dispotica, egoistica; e perchè è una belva a molte teste, e il collettivismo non è che una folla limitata ed è necessariamente, pel suo stesso carattere, contraria alle belle maniere e alla delicatezza dei sentimenti, la giovinetta non perderà neppure questa bella occasione di starsene in disparte, pensando a quel motto profondo di una signora di grande esperienza e valore e che dominò un uomo potente e famoso: - La donna che fa parlare di sè è perduta - L'uomo che non fa parlare di se è perduto. Naturalmente questo motto profondo deve essere interpretato con misura e con riserva: ogni cosa sotto il sole ha il suo tempo. E il tempo nostro è molto diverso nei costumi di quello che era nel secolo XVIII, come ognuno sa. È certo che le fanciulle debbono nelle conversazioni numerose avere un riserbo accurato, specialmente con persone appartenenti all'altro sesso. Non è interdetto ad esse di cercare di piacere a coloro che le circondano: anzi è soltanto per questo che l'educatore cerca di ornarne il carattere di quelle qualità esteriori, le quali sono la moneta spicciola di quel gran tesoro nascosto che è la virtù sincera, forte e operosa: a questo esse riusciranno con tanta maggiore facilità quanto più cercheranno di rendersi amabili mostrando di apprezzare il valore altrui, di non insuperbirsi del proprio, di esser grate a coloro che si adoprano al loro vantaggio e sapranno fare qualche sagrifizio personale con buona grazia, come se per esse fosse un piacere non un disagio, e rispettare le opinioni, i pareri, i giudizii e sia pure, i pregiudizii degli altri. Evitando le arie languenti e le pose dette romantiche, silenziosa di un silenzio comunicativo e intelligente, non distratto e isolatore, una fanciulla bene educata sfuggirà ugualmente le mosse vivaci e virili che sono stonature nelle armonie sociali, e ornando la sua mente di geniali studi senza ostentazione di dottrina o di emancipazione grottesca e antisociale, uniformerà la sua condotta a quella della moglie d'un illustre inglese, che fu tanto fortunato da poterne scrivere così: «È avvenente; ma di una bellezza che non risulta nè dai lineamenti nè dalla carnagione nè dalle forme; sono ben altre le qualità con cui incatena gli animi e li volge a suo favore: la dolcissima sua indole, la benignità, l'innocenza, la sensibilità che trasparisce dalla sua fisionomia sono i pregi che ne compongono la bellezza. Il suo volto non ferma punto l'attenzione al primo istante, ma in ultimo uno rimane sorpreso di essersi accorto così tardi che è bella. «I suoi occhi sono dolcissimi: però sanno anche imporre riverenza quando vogliono: essa si fa obbedire come un uomo buono fuori del suo ufficio, non per l'autorità ma per la virtù. «Questa donna non è fatta per essere oggetto di ammirazione a tutti, ma per formare la felicità di uno solo. «Essa ha tutta la fermezza che può accordarsi colla delicatezza, e quanta soavità si può avere senza che ecceda in debolezza. «La sua voce è una dolce musica sommessa, non fatta per dominare nelle pubbliche assemblee, ma per deliziare coloro che sanno distinguere una società da una folla: ed ha un bel vantaggio, che bisogna esserle vicini per udirla. «Descrivendo il suo fisico se ne descrive anche il morale: uno è la copia dell'altro; la sua intelligenza non si rivela in una copiosa varietà di oggetti, ma nella buona scelta che essa sa farne. E non ne dà saggio col dire o fare cose singolari, ma piuttosto coll'evitare cio che non deve nè fare, nè dire. «Nessuno alla sua giovane età può conoscere il mondo meglio di lei, e nessuno mai fu meno corrotto da questa conoscenza. «La sua urbanità deriva piuttosto da naturale disposizione di rendersi accetta, che da alcuna regola, e perciò tanto piace a coloro che sanno apprezzare le belle maniere, come a quelli che non sanno. «Ha mente solida e ferma che non parrebbe derivare dalla sensibilità del carattere femminile, come la compattezza del marmo non deriva dalla pulitura e dal lustro che gli è dato. «Ha quei pregi che si richiedono a farci stimare le virtù veramente cospicue del suo sesso; e tutte le seducenti grazie che ci fanno amare finanche i difetti che scopriamo negli esseri deboli e leggiadri come lei».

Pagina 96

Eva Regina

203506
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 4 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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E procura di farsi bella più che può per piacergli sempre maggiormente : studia le acconciature più capricciose, gli abbigliamenti più provocanti, sorda, ostile alle osservazioni del marito : spendendo assai più di quanto i suoi mezzi le permetterebbero, frequentando con febbrile instancabilità tutti i ritrovi, per incontrarsi con lui, trascinando qua e là i bambini, per meglio deludere la bonarietà del marito, e spesso facendoli assistere ai suoi colloqui, con l'amante, in qualche giardino pubblico, in qualche deserta via...

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Come pure è inutile che la signora affligga il marito chiedendogli di consigliarla nella scelta d'una foggia o d'un colore per i suoi abbigliamenti. Ogni donna ha il dovere di saper già quello che le si addice e quello che le conviene: il marito giudicherà dell'insieme di un vestiario, ma non dovrà subire la penitenza di assistere alla sua composizione ed esaminare i dettagli. Certo che nel scegliere, la signora deve pensare anche al gusto del suo compagno, ricordarsi quale modello preferisce e quale colore per lei. Può anche, in via di discorso, o trovandosi egli presente, interpellarlo, ma brevemente e senza insistere, senza annoiarlo. Gli uomini amano di vederci ben vestite, apprezzano anche i dettagli dell' eleganza, ma non amano sapere particolarmente di che cosa questo fàscino dell'abbigliamento muliebre si compone. Evitiamo quindi di farli assistere ai nostri convegni con le sarte, con le modiste; di farci accompagnare da essi nei negozî di mode, di fermarci, quando sono con noi, davanti alle vetrine. Quando una signora capisce che una spesa personale, un divertimento, un oggetto, costerebbe sacrifizio a suo marito e minaccerebbe di alterare l' equilibrio del bilancio, non ne faccia nemmeno vedere il desiderio o la necessità : compia tra sè e sè la rinunzia senza render palese la sua privazione. Pensi che più d'una volta si è veduto che le piccole e persistenti economie, sono il segreto del benessere sicuro delle famiglie: sono un rimedio pronto, una difesa efficace. E senza lesinare su quel tanto che il marito le passa per le spese di casa, guardi di farvi entrare anche le spese imprevedute, così se qualche guasto accade, può ripararvi senza frastornare il suo sposo. I denari per le spese eventuali, sono sempre quelli che gli uomini dànno meno volontieri. Molte signore hanno una somma fissa mensile per le loro spese personali: ed io ne conosco che si fanno un dovere di spendere fino all' ultimo centesimo per l' abbellimento della propria persona. Ne hanno il diritto, ma dimostrano però molto egoismo. Una donna di sentimento delicato e di coscienza severa dovrà fare in modo di risparmiare sempre nelle sue spese particolari per offrire al marito qualche regaluccio, per aiutarlo in un momento di bisogno, per ornare la casa ch'essi abitano in comune, o concorrere in parte al necessario per l'educazione dei bambini e il loro vestire. Così facendo ella diviene proprio quale un nobile scrittore — il de Gubernatis — la designa: « La donna deve essere nella sua casa il più diretto rappresentante di Dio, con le sue aspirazioni, come con le sue ispirazioni; coi suoi consigli, col suo esempio, con l'opera sua intera.

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Certo, fra tante, vi sono anche queste che si rendono ridicole per i colori e le foggie dei loro abbigliamenti, per le loro abitudini zingaresche, il loro linguaggio pieno d'affettazioni ; ma per amor del vero bisogna riconoscere che le artiste dei nostri tempi sono, in generale, signore e signorine che non differiscono nell'aspetto e nelle maniere dalle altre, con una nota di gusto più personale, un po' originale forse anche, ma che deriva dalla loro famigliarità con le cose belle ed armoniose ed è artisticamente giustificata.

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Eppure questo più femminile dei nostri abbigliamenti è divenuto così pericoloso sovvertitore da impensierire perfino le autorità. Il bando dai teatri è stato decretato ai cappellini, pena di levarselo e mostrare una testa spettinata!

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Donnina forte

208662
Bisi Albini, Sofia 1 occorrenze
  • 1920
  • R. Bemporad & figlio
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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Oh, ti prego, non buttarti anche tu in quella vita leggiera che ha per iscopo gli abbigliamenti e le feste. È un pericolo, sai! Una donna è raro che si conservi buona in società. Si vede ammirata, corteggiata e finisce per concentrar tutto in sè, per non occuparsi che di sè, e la sua mente si rimpiccolisce e il suo cuore si raffredda. - Oh, a me pare che saprò essere sempre buona, Filippo! - dissi. - Eh, eh! sicura come sarai di piacere, non penserai ad amare. La tua bellezza e i tuoi successi ti terranno luogo di tutte le gioie più sante e più care! - Io sollevai la testa: tutto il sangue m' era salito al viso. - Filippo! - dissi con una voce che tremava di sdegno e di dolore. - La mia vita tranquilla fra il babbo e lei, in mezzo ai miei libri, è stata troppo bella perchè io vi voglia rinunciare. Voi mi avete detto e ripetuto troppo che sono buona, che sono colta, che sono una donnina forte, perchè io lo possa dimenticare, per il piacere di sentirmi dire che sono bella! Lei poi, Filippo, ha fatto di tutto per instillar qui dentro delle idee sode e serie, e un briciolo di quel buon senso che in tanti casi della vita, dicono, val più dell' ingegno.... Filippo, Filippo! se c' è una persona che non deve dubitare di me, è lei! - mi copersi il viso colle mani dando in uno scoppio di pianto. Vi fu un po' di silenzio: la mano larga di Filippo passò e ripassò sulla mia testa, e finalmente mi disse colla voce tremante: - Guarda, figliuola! non puoi credere che piacere è per me questo tuo scoppio di sdegno. Mi fidavo di te: sapevo che nessuno al mondo avrebbe potuto mutare quel tuo cuore così lealmente buono: ma avevo bisogno che tu me lo dicessi: e se t' ho offesa è stato per provocare questo sfogo più che per altro, Conny. Per te io metterei la mano sul fuoco: ma non vorrei che tu, per esser brava, dovessi soffrire e far sacrifici. Vorrei vederti amata come lo meriti, da un uomo serio, buono, che conoscesse tutta la tua anima come la conosciamo tuo padre ed io.... Tu, cara Conny col tuo spirito d'osservazione e la tua superiorità, riesci sempre a scoprire tutte le debolezze delle persone che ti circondano: ma sei ancora troppo giovane, e il tuo cuore è troppo buono e la tua mente è troppo serena, perchè tu non possa nemmeno sospettare certe colpe e certe ipocrisie. Povera la mia donnina! tu mi guardi spaventata.... Oh, ma verrà pur troppo il giorno in cui conoscerai che cos' è la società, e diventerai scettica anche tu. - Si alzò. Io singhiozzai. - Le mie parole ti hanno fatto male figliuola, - mi disse accarezzandomi i capelli - ma ti faranno pensare, ed è quello ch' io voglio. Non t' ho detto tutto, ma tu capirai anche quello che ho taciuto.... Oh, credi! è bene che una parola seria venga a scotere in mezzo agli svaghi e alle emozioni dei giorni felici.... - Quando alzai la testa ero sola nel mio salotto. Provai come uno spavento.... - Oh, si: è bene: ma è però doloroso! - esclamai con un singhiozzo. *** C' era stato l'ultimo ballo di carnevale, m'ero alzata tardi, stavo pensando che cosa avrei dovuto fare in quella giornata, quando entrò mia cugina. - Buon giorno Conny, come stai ? Sei Stanca ? Dio mio, che freddo! - Tirò una poltrona vicino alla bocca del calorifero e vi si rannicchiò mettendosi il manicotto sul viso. - Sono venuta a piedi, lo sai? Che gelo! - e picchiava i piedi sul pavimento. - Pensa! il mio cocchiere stanotte s' è pigliato un raffreddore! Dica quel che vuole mio marito, ma un cocchiere che ha il petto delicato più di una signora io non lo tengo! - Gli hai detto di venire a prenderci alle tre, e invece siam rimaste fino alle sei. Ne avrà certo pigliato del freddo! - dissi io. - Non si va a fare il cocchiere quando non si può sopportarlo. Ma vuoi ridere, Conny?... Figurati che Filippo avrebbe voluto che si mettesse la pelliccia come il servitore! Il cocchiere che è stato là sotto la pioggia tutte quelle ore. Dio sa come l'avrebbe conciata! " O tutt' e due o nessuno; - mi diceva. Lui non pensa che Gaetano deve venir nell' anticamera ad accompagnarci e a prenderci. Che bella figura avrebbe fatto senza pelliccia, in mezzo alle stupende pellegrine di martora di casa Turati e di casa Ponti! - Ah! ma vedi, Elisa! Filippo ha delle ingenuità strane: lui credeva che le pellicce fossero fatte per tener caldo, e che il cocchiere, che doveva star fuori allo scoperto tre ore ad una temperatura di otto gradi sotto lo zero, ne avesse bisogno più del domestico. - L' Elisa mi guardava con un'aria desolata. - Oh, Conny! ti prego.... - supplicò colla sua voce dolce di bambina. - Non ridiventare quella brutta e antipatica Conny di una volta ! - balzò in piedi, e mi buttò un braccio al collo. lo risi e la baciai sulla punta del suo nasino che pareva si fosse voltata in su allora allora, per guardarmi anch' essa e dirmi: -Son carina, non è vero? - Elisa, tu mi hai affascinata: finirai col farmi diventare una donna indolente.... e poco seria come te! - Poco seria! - esclamò scandalizzata. - Conny! come sei cattiva! Vedi, mi vuoi far credere che sono io che t' ho affascinata! ma sei invece tu, più alta, più istruita, e, via.... più seria di me, che colle tue dita lunghe mi avvoltoli e mi fai girare e mi strapazzi come ti piace. Oh, non ti guardo più, va'! - E tornò a sedere nella sua poltrona coi piedi contro la bocca della stufa. - Io presi una seggiola e mi sedetti dietro di lei, voltandole le spalle. - Eppure - dissi calma calma - scommetterei qualunque cosa che ora tu mi fai attaccar i cavalli per forza, e mi conduci dove tu vuoi. - Una risatina allegra e un colpetto della sua testa contro la mia, accolse le mie parole: poi ella arrovesciò le braccia e mi prese per gli orecchi. - Ah, sei la più furba, la più intelligente creatura del mondo! Sei un tesoro, ecco! - Grazie, grazie! ma mi fai male! - Ella rideva ch' era un piacere a sentirla, poi si volse, s' inginocchiò sulla sua poltrona e mi arrovesciò la testa. - Li fai attaccare, non è vero! - mi chiese con una voce supplichevole. - Che cosa ? - I cavalli. Sì, sì! falli attaccare, andiamo insieme a far tre o quattro visite che so già di non trovare; poi andiamo sui bastioni. Mettiti il tuo vestitino corto: dopo scendiamo e facciamo un giro a piedi. Va bene, Conny? dimmi di sì dunque! - E s' io volessi dir di no? Non sei buona. - Eppure.... - Oh Conny, Conny! non essere scortese! - e mi stampò un gran bacio sulla fronte. Chi avrebbe resistito? Ordinai che attaccassero. Mentre mi vestivo, l' Elisa, seduta alla mia toeletta si accomadava il cappellino. - Sai ? - diceva - la mamma stamattina è venuta a trovarmi. Era ansiosa di sapere com' era andata la festa: aveva però incontrato l'Antonietta e sapeva già di quel cotillon così poco spiritoso. Le ho detto dell' orribile abito dell' Emma! N' è rimasta sorpresa anche lei.... Ti pare che mi stia bene questo cappellino, Conny?.... Senti: le ho detto del tuo successone: ne è stata felicissima: se non isbaglio s' è riconciliata con te. Non te ne sei accorta? - lo stavo per rispondere, ma ella continuò: - Ah, sai? Gian Carlo mi ha tormentata per sapere dove si andava; non volevo dirglielo: finii col dargli ad intendere che si andrà sui bastioni nell'ora che non c' è nessuno, poi si sarebbe finite al Cova a mangiare una tartina. Ma scommetto che riesce a trovarci ugualmente quel matto: vedrai! - Conny! - mi dimandò a un tratto mentre si strappava un pelo che le spuntava ostinato da un piccolo nèo, e arricciava il naso per il dolore. - Ahi! che peccato! mi s' è rotto senza strapparsi: Senti dunque.... Che cosa ti dicevo? - Nulla. - Ma sì: ti ho domandato se ti piace mio fratello. - Mi provai a ridere, ma non ci riuscii. - Che domanda originale! - dissi. - Oh Dio mio! che cosa c' è? Ti fa la corte, tutti se ne sono accorti: e niente di più naturale che egli ti sia simpatico. Che occhi, non è vero? e poi quei denti! È tutto bello!... Ma che creatura fredda, Dio mio! mi fai stizza, Conny! Di' dunque ti piace? - Non so. - Non lo sai ?! - e picchiò il piede sul pavimento con stizza. - Non lo meriti davvero. Se non credessi di dargli un dispiacere, glielo direi, guarda! - Ah! ah! dispiacere? - e misi in furia la veletta sul viso perchè ella non potesse vedere come avevo arrossito. - Ma sì; non ho mai visto mio fratello così entusiasta di una signorina. Una volta non si degnava nemmeno di guardarle.... Oh ecco un altro pelo! qua! ma t'assicuro, Conny, che mi vien la barba! - Diedi in una risata più rumorosa e prolungata di quel che fosse necessario, sperando di concentrare tutta la sua attenzione nella barba. - Dirò a Filippo di far un baraccone a Porta Genova e di farti vedere al pubblico. Avanti, avanti signori! qui si vede una donna non mai veduta! che ha la barba vera come un uomo! A chi non ci vuol credere è permesso di tirarla! - Eravamo già in carrozza e si rideva ancora come due bambine. *** Si andò a far tre visite : cioè a lasciare i nostri biglietti, perchè non c' era nessuno in casa; ma donna Beppina c' era e ne fui contenta perchè la stimo tanto. Entrammo quasi insieme con una bella signora elegantissima, grassotta, che aveva un viso aperto e due grandi occhi chiari pieni di sincerità e di allegria. - Chi è? - domandai all' Elisa. - Non lo so - mi rispose; e visto che non è più di moda far le presentazioni, dovetti tenermi la mia curiosità. V' erano altre signore, ed esaurito il discorso del teatro, del ballo di casa S*** e del concerto del Quartetto; quella signora disse: - Hai sentito Beppina, della povera Clara? - La sua fisonomia era così serena, anzi così gioconda, che quella povera Clara non impietosì nessuno. Ma vidi donna Beppina farsi subitamente seria, e mi colpì il tono un po' asciutto della sua risposta, come se quel discorso non le andasse a genio. - Sì, disse - è venuta a salutarmi ieri. Povera Clara, oggi ha trovato un conforto. - E si alzò dicendo: Fa un po' caldo, qui dentro. Non è vero? - e andò a chiudere la bocca della stufa; poi chiamò l' Elisa per mostrarle dei ritratti che c'erano sul tavolino. Intanto il discorso della povera Clara continuava intorno a me. - Che colpo è stato per me! - diceva una signora piccolina, tutta esclamazioni tragiche. È venuta la settimana passata a farmi visita con sua madre; aveva un abito che le stava a pennello.... chi avrebbe detto che tre giorni dopo si sarebbe fatta monaca! Che bella monaca col sóggolo bianco! - disse tranquillamente una terza signora. - In che convento è entrata? È partita per Troyes per fare il noviziato fra le Soeurs du Bon Secours. - Oh Dio mio! per curar malati poveri: e i feriti nelle guerre! ma possono mandarla nel Tonchino! - esclamò la signora piccolina, spalancando gli occhioni con terrore e stringendosi con un brivido le mani nel manicotto. Povera creatura! - disse con un sospiro la signora grassotta. - Oramai la sua vita era un tale tormento, che qualunque fatica materiale le riuscirà indifferente. Povera, povera Clara! - Ma perchè? - dimandò una terza signora - non si tratta di vocazione? - Oh signora! è tutto un triste dramma facile a indovinarsi. Non c' era proprio altra liberazione per lei, che d' andare a farsi monaca. Ma che rimorso oggi per sua sorella! - Come! Lucia Marenzi?! - Ma certo! non sapeva...? - lo ebbi un sussulto. Parlavano forse della signorina De Lami? In quel momento la padrona di casa tornò a noi con Elisa e si sedette di nuovo chiedendo con vivacità se sapevamo del fidanzamento di Paola Varenna. - Che! la Varenna? Ah era tempo! ormai come signorina era un po' matura, ma che bella marchesa sarà! eclisserà sua cugina. - Tutte s'interessarono di sapere come la cosa era accaduta, e la povera Clara era già dimenticata. Ma io non riuscivo a strappare il mio pensiero da lei. L'avevo vista una volta sola la sera di Santo Stefano alla Scala, ed era strano come fin d'allora mi aveva interessata quella pallida, altera figura che mi era parso, a ragione, che nascondesse un dolore. Provavo un' emozione che mi toglieva il respiro, pensando che mai più nella vita l'avrei incontrata, ch' ella era partita per il vasto mondo dove non avrebbe udito che lamenti e gemiti, dove non avrebbe visto che lagrime e piaghe, lei vissuta fino allora in mezzo alle agiatezze e alle eleganze. Mi pungeva una curiosità non mai pro-vata, di saperne di più, di conoscere tutta la storia di lei, e un momento che l' Elisa e le altre signore parlavano fra loro, con gran vivacità, del matrimonio di Paola, io dimandai alla signora grassotta che mi era vicina: - Scusi, signora, mi vuol dire se parlavano della signorina De Lami? - Precisamente. Non la conosce? - La conoscevo di vista, e mi era tanto simpatica. - Oh lo credo! se l'avesse poi conosciuta da vicino! un carattere, sa! colta, seria e nello stesso tempo così semplice nel suo modo di fare, e così piena d'entusiasmi e di fede! troppa fede! fu la sua disgrazia. Certe brutture le parevano impossibili fra persone educate. C' è chi dice ch' è stata una bimba e una sciocca a illudersi, ma noi amici abbiamo visto come ha saputo lui insinuarsi nel suo cuore. Io badavo ad aprir gli occhi a sua madre: " Voi non conoscete il marchese, - le dicevo " diffidate. - Ma erano appena venuti a Milano non avevano un' idea di questi sfaccendati eleganti, che non credono a nulla, non rispettano nulla e si stimano padroni del mondo. Il fatto è ch' ella fu presa per lui da una di quelle affezioni che sono la vita di una donna. E quando più supponeva d'essere amata e sua madre s'aspettava da un momento all'altro che egli le chiedessse di potersi dire fidanzato che è, che non è, la luce si fa, per lei prima che per gli altri; la sorella, quella maritata Marenzi.... Una brutta storia insomma! - Orribile.... - mormorai rabbrividendo. - Antonietta! - chiamò in quel momento la padrona di casa - permetti che faccia le presentazioni che ho dimenticate la contessa Elisa di*** che, sai, è figliuola della marchesa*** e sua cugina, donna Conny***. - Poi disse a noi. - La signora Gemmi, moglie del Senatore, una delle mie più buone amiche, una patronessa preziosa dei nostri Asili. - E sorrise respirando liberamente, ma non capì che non era arrivata a tempo. La signora Gemmi mi fissò co' suoi grandi occhi grigi, con un turbamento così visibile da accrescere il senso di malessere che quella triste storia mi aveva dato; poi a un tratto, non so come, fui colpita come un fulmine dalla percezione viva della verità, come se la cosa io l'avessi sempre sospettata, come se tutto fosse stato detto, come se un nome fosse stato pronunziato. Impallidii? non lo so: so che Elisa mi guardava con inquietudine. Dopo un minuto la Signora Gemmi si alzò e nel salutarmi mi strinse forte la mano guardandomi negli occhi; poi mi disse con una voce piena di bontà e quasi commossa: - Cara signorina, permetta che la baci. - E mi abbracciò stretta. Non ricordo come io sia uscita di là; so che mi trovai in carrozza cogli occhi sbarrati che non vedevano nulla. I polsi mi battevano, le orecchie mi sibillavano, un sudore freddo mi inumidiva il viso, e mi pareva che qualcosa si fosse spezzato in me. Una risatina di Elisa mi fece trasalire con uno spasimo. - Ah ah, se si dovesse credere a tutte le ciarle che si fanno in società! Tu non hai sentito Conny, quanti commenti e quante supposizioni buttate là con la sicurezza di fatti veri, a proposito del matrimonio di Paola Varenna! E tu, Conny, di che discorrevi con quella signora.... Oh Dio, ma come sei pallida, che cos'hai?... Era molto stupida quella signora.... come si chiama? non mi ricordo più. Dev' essere la moglie di un bottegaio arricchito, lo scommetterei! Un dolore intenso, improvviso ai cuore mi tolse il respiro e mi fece chiudere gli occhi. L'Elisa mi afferrò una mano spaventata. - Ma Conny, non capisco! si direbbe che ti sei turbata per la storia di quella Clara, come se.... Ah brava, mi avevi spaventata!... Senti dunque, cara: tu che ti dài le arie di donna forte, ti commovi di tutto. Mi fa ridere: scommetto che quella signora Gemma o Diamante, che sia, ti avrà raccontato che la Clara si fa monaca per una disillusione d'amore. Com' è poetico!... ma non è più di moda! Par il titolo di un romanzo di quarant'anni fa. L'ingenua tradita!... ah ah! Ma già, ha ragione mio fratello.... - Che cosa dice? - domandai colla voce dura. - Dice.... cioè diceva che le signorine come voi sono tante grullerelle, perché pigliate sul serio la cortesia più comune, e come una dichiarazione di amore una parola gentile. Vedete subito grande il doppio ogni cosa.... - Ah!... - In quel momento la carrozza si fermò: eravamo sui bastioni. - Che c' è?... - dimandò l' Elisa. - Il signor marchese - rispose il domestico. E allo sportello della carrozza apparve la figura elegante e bella di mio cugino. Il suo volto era raggiante di allegrezza. - Ah, ah! vi ci ho preso! Ma che cos'hai Conny? ti senti male!... Che cosa è accaduto? - disse spaventato, e tutta la sua fisonomia si rannuvolò. Mi pareva d'essere impietrita: immobile nel fondo della carrozza, con gli occhi fissi in quelli di lui, avrei voluto penetrare con lo sguardo fino in fondo alla sua anima. Egli passò dalla parte mia e mi prese le mani; io le ritirai con ispavento: - No! - dissi con voce rauca. - Ma che cos' hai? Conny! parla, oh parla! Mi vuoi far morire?! - il suo viso si era coperto di pallore. - Scendiamo, scendiamo! - disse con impazienza l' Elisa saltando a terra. - Egli ha qui il phaeton, non è vero? - dissi. - Potresti tornare a casa con lui. Conny.... scendi.... ti prego! - Perchè quella voce esercitava su me un fa- scino così irresistibile ? Perchè mi lasciai prendere le mani e scesi di carrozza e lasciai che mi guardasse negli occhi, e mi dicesse con quella sua voce sommessa e dolce che mi fa tremare: - Grazie! - Era una giornata fredda e nebbiosa dei primi di febbraio: sui bastioni non c' era anima viva. L' Elisa volle passare sul viale che guarda giù nella strada di circonvallazione per vedere il tranvai. lo camminavo come trasognata: Carletto mi prese la mano.... un brivido mi corse dalla testa ai piedi.... se la posò sul suo braccio. Egli rispondeva a tutte le domande curiose della sorella; e il suo braccio si stringeva sempre più al suo petto, come quella sera di Santo Stefano. Si arrivò sul ponte della barriera Principe Umberto: nessuno parlava; poco lontano scalpitavano i nostri cavalli: i tranvai e le vetture passavano rumorosamente sotto di noi, e nella stazione fischiavano e sbuffavano le locomotive. Tutto questo mi rimbombava nella testa dolorosamente. Carletto si appoggiò alla sbarra del ponte e mise una mano sulla mia perchè non la ritirassi; poi rivolse il viso verso di me, ch' ero rimasta ritta e immobile accanto a lui. Oh, no, no! non volevo guardarlo, non volevo essere guardata a quel modo! Mi parve di veder rizzarsi accanto a noi, cogli occhi neri e cupi la povera Clara e mi sfuggì un grido d'angoscia. - Non guardarmi così! ti odio! Conny! mia Conny! abbi pietà di me!... - E le sue labbra di fuoco si posarono sul polso gelato della mia mano. Non so che cosa sia accaduto. Mi ricordo solo, come in un sogno, che ero in carrozza e che mia cugina parlava, parlava, e io ascoltavo senza capire; due cavalli ci rasentarono come un fulmine ed io pensai: perché i miei cavalli non corrono? e mi prese un'ansietà, un' inquietudine affannosa, avrei voluto precipitarmi giù, per correre a casa a piedi, sola! Finalmente la carrozza entrò in casa; scesi e dissi al domestico: - Riconducete la signora Contessa a casa sua, - ed io salii lentamente la scala, entrai in casa, apersi l' uscio del mio salotto e trasalii. Egli era là, ritto davanti a me, pallido e serio. S' inchinò e mi stese tutt' e due le mani. lo m'appoggiai colle spalle al muro: non avevo più un filo di forza né di fiato. - Conny.... sono qui: dimmi perché mi odii. lo ti dirò poi, perché ti adoro. - Mi copersi il viso con le mani e singhiozzai senza piangere. - Oh, non posso, Carletto!... non posso! è una cosa così orribile!... Morirei se la dicessi! Va', va,! per amor di Dio!... Abbi pietà di te stesso se non vuoi averla di me.... Va'! ti risparmio una vergogna. - E rialzai la testa con disprezzo. L' uscio si aperse e entrò miss Jane che si fermò cogli occhi spalancati di spavento. lo le corsi incontro. Ella mi disse: - Don Emanuele è arrivato, lo sapete? m' ha fatto chiamare nello studio perché venissi a dirvi che desidera di par- larvi. - Mi volsi e dissi freddamente: - Addio Gian Carlo. - Egli s' inchinò ed uscì. *** Era uscito; era partito per sempre, lui! l' unico uomo che m'aveva parlato d'amore; quegli che mi adorava! Avevo io il diritto di condannare lui e me al dolore, senza una spiegazione, senza lasciargli modo di giustificarsi?... Dio! Dio! che cosa avevo fatto? In società si raccontano tante cose che non son vere: da cosa mi veniva la certezza che si trattasse di lui? Nessuno aveva pronunziato il suo nome. Oh no, non era possibile, non poteva esser vero! Mi lasciai cadere sul sofà, piangendo di disperazione. Chi mi salvava ora? Nessuno; nessuno avrebbe potuto restituirmi il suo amore, perchè io lo avevo insultato! e un uomo come lui non perdona un insulto! Lady Conny, che avete? - mi domandò miss Jane piangendo. - Nulla, sono una pazza, ecco cosa sono! - e mi alzai, mi asciugai gli occhi e mi guardai nello specchio. - Avete detto che è arrivato il babbo? - Sì, e vi cercava. - Ella corse a pigliare il fiocchetto della cipria: me lo passò sugli occhi e fece scomparire la traccia delle lacrime. - Ecco, milady: potete andare. - Entrai nello studio del babbo, ma mi fermai sulla soglia dell' uscio. Egli non era solo: ritto accanto a lui, davanti al camino, c' era il conte Rinaldi. Il babbo mi venne incontro: io gli buttai le braccia al collo e lo baciai con una commozione e una tenerezza tutta nuova: anch'egli m'accarezzò e mi baciò commosso, come se leggesse nella mia anima desolata. Ma poi il suo viso si illuminò di gioia. Mi prese per mano e mi disse con un sorriso: - È vero, Conny, che hai piacere che Rinaldi rimanga a pranzo da noi? Immagina ch'egli temeva di non essere nelle tue simpatie; gli riferii una certa conversazione del giorno di Natale. Conny disprezza i giovani ammodo, ma apprezza molto i giovani seri come Rinaldi. Non è forse vero? - Io lo ascoltavo trasognata, non trovando parole per rispondere. - Conny, il conte Rinaldi è venuto a prendermi a Roma: siamo ritornati un'ora fa insieme. - Credo che ne' miei occhi sia apparso come uno spavento, perché il babbo si chetò, guardandomi inquieto. Lui, il conte, ritto dietro una seggiola colle mani aggrappate alla spalliera, mi guardava col viso contratto d' emozione. Non sapevo bene perché, ma io fui presa da un tremito: non ancora rimessa dal profondo turbamento di pochi minuti prima, tentavo inutilmente di sorridere, di trovar la voce per parlare, di lottare contro un penoso presentimento che le parole del babbo e il contegno di Rinaldi mi avevano fatto sorgere nell' animo. - Conny, non ti senti bene? che cos'hai? - Ho preso freddo.... sui bastioni. Infatti non sto affatto bene, - e mi passai una mano sulla fronte, perché mi pareva che tutto girasse intorno a me. Rinaldi mi spinse una poltrona dietro. - Su, riscaldati un poco vicino al fuoco - Disse il babbo - vuoi che chiami miss Jane? - No, ti prego, sto bene qui. - Alzai il viso verso il Rinaldi ritto accanto a me, e ci guardammo. Lesse egli ne' miei occhi spauriti e supplichevoli? io lessi ne' suoi, pieni di un desolato dolore.... Restò a desinare con noi. Il babbo credette tutta la sera che io mi sentissi male, ma era assorto in una gran beatitudine, povero babbo, per le attenzioni affettuose di Rinaldi, che, senza mai guardarmi negli occhi, mai.... non si occupò di me, accorgendosi che non mangiavo, che ero presa da brividi: mi fece portare uno scialle, mi versò un bicchierino di bordeau insistendo perché lo bevessi, e poco dopo aver preso il caffè si alzò per andarsene, dicendo che io avevo bisogno di riposo. Si chinò sul sofà sul quale mi aveva fatto distendere: io gli ubbidivo colla docilità di una bambina: una bambina colpe-vole che ha molto da farsi perdonare. - Buona sera donna Conny, - mi disse forte; io gli stesi tutt' e due le mani, egli le prese, esitò, poi le baciò. - Mi perdoni, - mormorò pian piano con voce soffocata - il mio sogno era stato forse troppo ardito.... Non tèma: non ci tornerò più. - Io gli sfiorai colla punta delle dita i capelli, dicendo con filo di voce: - Che Dio la benedica! - Ed egli partì. *** Erano passati alcuni giorni: la zia e l' Elisa avevano chiesto di vedermi, ma io mi chiusi in camera, e miss Jane ebbe l'ordine di dire sempre a tutti che avevo un forte mal di capo e dormivo. Filippo non era mai venuto. Sapevo che la zia aveva avuto dei lunghi e vivaci colloqui col babbo, ma egli non mi diceva nulla, ed io, che il primo giorno gli avevo promesso di parlargli, ora non ne trovavo più il coraggio. Era una domenica, e uscii con lui per andare alla Messa. Sulla bottega della fruttaiola c' era il bambino: mi fermai a baciarlo. Era un pezzo che non lo salutavo più.... ora volevo tornare a tutte le abitudini di una volta. - Dove andiamo, babbo? non a San Francesco veh! c' è uno sfoggio di cappellini eleganti, e di libri da messa colle cifre.... non ci si prega bene. - Dove vuoi andare? - In cerca di qualche chiesina fuor di mano: dove non ci sia che qualche povera donnetta, e dove il prete abbia una pianeta scolorita da cui escano i fili d' oro! - Il babbo passò il mio braccio sotto il suo, e disse, incamminandosi a passo lesto verso il corso di Porta Venezia: - Brava la mia Conny, torna allegra come una volta: e intanto che siamo soli.... vuoi tu dirmi quel che mi avevi promesso? Vuoi tu spiegarmi.... - Si rannuvolò, e la sua voce divenne seria quando aggiunse: - È stato per me un gran dolore, non te lo posso nascondere, lo scoprire che il tuo cuore non aveva scelto Rinaldi, che mi pareva fatto per te; ma forse a ragione mia sorella: è un giovine troppo vecchio. Tu sei espansiva, allegra, ardente, e hai bisogno di un uomo che, non solo ti voglia bene, ma te lo dica.... Conny, non vuoi proprio confidarmi nulla? - Io respiravo a fatica: avevo un nodo alla gola, che m' impediva di parlare. Si camminò un poco in silenzio: il Corso era quasi deserto. Sperai che si entrasse nella chiesa di San Babila, ma invece si andò innanzi. - Conny, ieri sera sono andata da mia sorella: lo sai? - No, non me lo avevi detto. - Ho dovuto andar io.... perché c' era qualcuno che non voleva venir da me. - Mi sentii un colpo nel cuore. Perché il babbo me ne parlava? Non capiva che soffrivo? Egli continuò: - Qualcuno che non vuol rimettere il piede in casa nostra senza il permesso della signorina Conny: ma che ti prega, ti supplica, in nome di quello che hai di più caro, di dargli questo permesso: egli vuole una spiegazione.... di che? né io né sua madre siamo riusciti a saperlo. Dice che è un vostro segreto. Io mi fido di te, Conny... e di Carletto: per questo non ho insistito perchè tu parlassi. - Io mi ero accostato il manicotto sulla bocca per soffocare i singhiozzi. - Dio mio! perchè mi diceva tutte quelle cose, nella strada, in mezzo alla gente? Non sentiva che mi trascinavo a fatica, e che il respiro mi si faceva sempre più breve? - Conny: di' la verità: vi amate: di questo non ne dubito: vi siete bisticciati per qualche sciocchezza.... e a quest' ora tu sei pentita, povera la mia bambina!... Dunque appena ritornati a casa, gli scrivo che la signorina Conny permette al marchese Gian Carlo di venire a vederla. Che! piangi? - Sì, piangevo: piangevo perché avevo bisogno di sfogare tutto il dolore che mi aveva empito il cuore in quei giorni.... Che era accaduto? dunque una parola sola, la speranza del suo ritorno bastavano a fugare tutto il disprezzo ch' io avevo provato per lui? Come lo amavo! come lo amavo se mi avvilivo al punto da non credere a ciò che avevo sentito, e da esultare perch' egli mi amava. Sollevai la testa e sorrisi perché nel mio cuore non era rimasta che una gioia immensa che mi pareva un sogno. Eravamo arrivati quasi a Porta Venezia. - Ma dove si va, babbo? Qui non ci son più chiese! Se fossimo ai tempi dei Promessi Sposi direi che si va alla chiesa de' Cappuccini! Ma si svoltò in una via deserta, chiusa in fondo dal bastione, in via Borghetto. - Vedi quella porticina a destra?... - mi disse il babbo. Quella è una chiesina proprio come la vuoi tu: nuda e stretta. Vedrai che pulpito! par troppo piccolo per un uomo. - In quella, una voce allegra, ma che parlava un dialetto sguaiato, mi fece alzar la testa. Una ragazza elegante scendeva a salti dalla stradetta a zig-zag del bastione, e dietro a lei.... Sentii una imprecazione soffocata del babbo, e il suo braccio strinse il mio come per sostenermi. Tutti i miei nervi avevano sussultato con spasimo: ma fu un lampo: la testa mi si rizzò, e mi sembrò di essere diventata più alta e che tutta la mia anima si fosse ad un tratto mutata.... Dietro a lei scendeva, ridendo e chiacchierando, un bel giovane biondo, con un lungo cappotto chiaro. Ci vide, e il suo viso si coperse di pallore, poi diventò rosso come di fuoco: il mio sguardo tagliente come una lama gli deve essere penetrato fino in fondo al cuore. Il babbo spinse la porticina della chiesa: io lo seguii, ma prima di richiuderla mi voltai. La ragazza s' era appoggiata al braccio di lui, e mi passarono davanti: mio cugino si guardava la punta degli stivali. Ciao, Conny! - gridò ad un tratto la fanciulla. Mi sentii un tuffo nel sangue e la guardai cogli occhi scintillanti di sdegno e di ribrezzo. Era la Lisetta; quella mia compagna di scuola di cui mi aveva parlato la fruttaiuola. Mi parve che mio cugino trasalisse stupito, e certo respinse il braccio di lei. Ma ella vi s'aggrappò di nuovo dicendo forte: - Che stupida quella Conny! Siamo state compagne di scuola e finge di non conoscermi. - La porta si richiuse dietro di me e mi trovai in chiesa. M' inginocchiai: i miei occhi erano fissi a una candela che ardeva sull'altare, e quella fiammella agitandosi mi pareva che s'allargasse e formasse delle grandi stelle che m'abbagliavano: ma non pensai di guardar altrove. Una povera donna, inginocchiata vicino a me, diceva al suo bambino: - Di': Buon Dio, beneditemi, fatemi diventare un bravo giovane, sincero e onesto. - E nelle orecchie mi si ripeteva: " un bravo giovine sincero e onesto.... - E nella mente, fisso, questo pensiero: L'ho amato! l'ho amato! e mi chiusi il viso nelle mani con un senso doloroso di vergogna. *** Quando fui sulla soglia del mio salotto mi passai una mano sulla fronte. Non mi pareva vero d'esserci arrivata; mi pareva un gran pezzo ch'ero assente da casa mia, che non vivevo la mia vita tranquilla e felice. Filippo era seduto nella mia paltroncina rossa colla Revue fra le mani; si alzò spalancò serio e compassato, ma poi mi guardò, gli occhi e aperse le braccia. lo mi vi buttai singhiozzando. - Finalmente! - disse. - Ringrazia Iddio che ti sei svegliata in tempo.... domani sarebbe troppo tardi.... Povera figliuola! hai avuto il tuo momento di vertigine anche tu, forte e ragionevole. Era forse necessario: hai fatto la tua esperienza. - Io m'aggrappai stretta e convulsa al suo collo. - Non è stato a tempo Filippo; - disse il babbo con una voce soffocata dall'emozione - l' altro giorno ha rifiutato Rinaldi. Rinaldi! - esclamò Filippo con sorpresa, e le sue braccia mi strinsero, quasi con tremito. - Era il mio sogno - mormorò. - L' unico uomo che ti meritava. Emanuele, - disse poi con una voce ferma e forte, - ti giuro che io ho fatto di tutto per evitare alla tua figliuola questo dolore: ma non ho potuto! Nessuna donna sa resistere al fascino del suo sguardo; è lui stesso che lo ha detto una sera: l' ho sentito io, e so che ha fatto l'esperienza su parecchie signore della nostra società. Questa volta, è vero, aveva tutta l' intenzione di finire al municipio: il mese scorso ha perduto al gioco non so quanto, e aveva bisogno di rifarsi.... - Abbi pietà di questa povera creatura! - gridò risentito il babbo. - Oh! non conosci la tua figliuola; ella ha bisogno di veder chiaro in tutto, di non essere ingannata: non è vero Conny? Vedi, io mi ero detto: Conny è buona e seria. Conny conosce il mondo - e sorrise con amarezza. - Conny, che ha letto i filosofi e i metafisici, analizza, capisce tutto, e sa che cosa bisogna fare per resi- stere alle vanità e alle seduzioni di quella brutta bestiaccia che si chiama società. Conny ha vissuto finora in mezzo a libri sani e a vecchi onesti, ma sa istintivamente quante leggerezze, quante slealtà e quante colpe si trovano nella giovane società: e saprà capire, studiare e rimaner sempre in alto, sopra a tutti, la donnina forte! Questo mi ero detto, cara figliuola; e questo voleva dire: non c' è bisogno di metterla in guardia: non sa ancora che cosa sia l'amore, ma ella saprà distinguere il falso dal vero, il complimento dalla dichiarazione, la parola dal sentimento, la leggerezza dalla serietà. - Tacque. lo tenevo il viso nascosto contro il suo petto e piangevo in silenzio. A un tratto alzai la testa, mi guardai, attorno, e dissi: - Filippo, non ne parliamo più, la prego! - e gli stesi la mano: egli me la baciò ed uscì. - Babbo, staremo sempre insieme! mi condurrai a Roma con te, non è vero? - Sì, cara figliuola; mi asciugò gli occhi, poi mi baciò con tenerezza. - L' indomani mi svegliai pallida ma calma. C' era nel mio sguardo una luce nuova profonda, cupa, e un lampo pieno d'alterezza e qualche volta di sarcasmo, che credo mi durerà tutta la vita. FINE