Sono le ore più deliziose nella carriera dell'insegnante queste dove uno può esporre dei concetti proprii, e abbandonarsi quasi in balìa dell' onda corrente di cose lungamente meditate. La sola incertezza che si prova è che non si sa come andrà, a finire la lezione. Ma l'uditorio capisce subito che avete abbandonato il terreno volgare dei manuali per lanciarvi nelle sfere superiori della scienza; e ve ne accorgete dal fatto che tutti gli occhi vi guardano più intenti e che la scolaresca è divenuta più immobile. Chi vi ascolta partecipa alla vostra emozione, perchè egli sente che attinge alla fonte donde scaturisce una nuova dottrina. Egli comprende che la trepidazione vostra non nasce dalla incertezza del pensiero, che anzi vi anima e vi trascina la foga delle idee, e che cercate solo la forma più esatta per rivestire i vostri concetti, per abbellire colla parola un pensiero lungamente accarezzato. Sono queste le ore che vi ringiovaniscono, in cui sentite il fuoco sacro della scuola; in cui avete la certezza che nessun trattato, nessun libro può supplirvi ed eguagliarvi nell'efficacia dell'educare. I concetti, le idee nuove espresse da voi in quel momento, dalla voce che sentite risuonare nell'aula, dischiuderanno nuovi orizzonti nelle menti dei giovani che vi ascoltano, e dureranno in alcuni di essi come un ricordo affettuoso per tutta la vita, e vi rallegra la speranza, che forse da una di quelle fronti giovanili irradierà la gloria, alla quale voi avete aspirato invano.
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Chi è esaltato chiude gli occhi per abbandonarsi alle sue fantasie: ma la meditazione profonda ha bisogno della luce del giorno. Il nervo ottico sotto l'azione della luce agisce come uno stimolo sugli organi della immaginazione e della fantasia".J. MÜLLER, Ueber die phantastischen Gesichtserscheinungen, pag. 17. È stata una delle più belle scoperte del Moleschott che la luce aumenta la produzione dell'acido carbonico, i processi chimici e i fenomeni della vita. Lavora di notte solo chi non ha la quiete e la libertà il giorno. I medici antichi avevano già detto molto giustamente nei loro aforismi, che la veglia genera la veglia.Il lavoro intenso del cervello produce una eccitazione che rassomiglia alla febbre e noi cadiamo in uno stato morboso che ci toglie il sonno. Alcuni molto robusti riescono a farne l'abitudine e invertiscono le occupazioni della notte con quelle del giorno, ma è certo più proficuo e più sano seguire la successione naturale del giorno e della notte, e ne dirò più tardi altre ragioni. La sola scusa che può far compatire quelli che lavorano a questo modo, è l'intensità più efficace del lavoro. La continuità, del pensare ad una stessa cosa, diceva Vittorio Alfieri nella sua autobiografia, e il non aver divagazioni, abbreviandoci l’ore ad un tempo ce le moltiplica. Però l'Alfieri si alzava per tempissimo. Göthe scrisse nella sua vita: "Le prime ore del mattino le consacravo alla poesia, il giorno alto apparteneva agli affari del mondo".GOETHE, Aus meinem Leben. Siebzehntes Buch, pag. 384. Il popolo dice che le ore del mattino hanno l'oro in bocca. I grandi scrittori rallentano poco per volta verso la sera la intensità del lavoro, e quasi spegnendo il fuoco col cadere del sole. Interrogai alcuni scrittori valentissimi sul loro modo di serivere ed essi mi dissero concordemente che la notte la riserbano al lavoro meno grave e non compongono mai, ma si lirnitano a raccogliere degli appunti, a leggere o rivedere gli scritti fatti: il maggior numero dei grandi lavoratori, dopo aver passato tutto il giorno a tavolino, la sera non fa più nulla. Stricker, nei nuovi studi sulla coscienzaS. STRICKER, Studien über das Bewusstsein. Wien, 1890, pag. 61., in un capitolo sulla teoria dell'umore dice: "In generale gli uomini al mattino (dopo aver dormito bene e a sufficienza) sono più allegri che la sera: e questo è molto evidente nei bambini. Degli uomini oppressi dalle preoccupazioni, dopo aver dormito bene la notte, al mattino vedono il loro destino più roseo che nel corso della giornata. I fastidi è alla sera che diventano pia pesanti, e ciò specialmente negli uomini che durante il giorno devono fare un lavoro intellettuale e che stancano il cervello, o, come si dice in linguaggio fisiologico, che diminuiscono la eccitabilità del cervello. La soluzione di un problema che ad un tal uomo sembrava facile il mattino, sembra insolubile alla sera".
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Le trepide paure del pudore, le leggi severe dell'opinione pubblica, le abitudini solitarie della famiglia le pongono ostacoli da ogni parte ad amare, ma la prepotenza del bisogno vince ogni cosa; e, dapprima peritosa, poi riservata, infine confidente, appassionata, si getta a precipizio giù per la china della passione, per abbandonarsi coll'impeto più veemente alle richieste del cuore. È uno spettacolo che commuove insieme e sorprende quello della donna che, debole e soggetta, si fa forte e sovrana quando è infiammata dal sacro fuoco dell'amore. Nell'esaltazione del sentimento, nelle sublimi imprudenze del coraggio, e nei temerari impulsi del cuore di una donna, si vede ad ogni istante una forza gigantesca che sempre risorge più impetuosa e più forte, per spiccare nuovi voli e ritentare prove più perigliose e più ardite. Chi ha conosciuto una donna innamorata e ha saputo intenderla, non può nè deve sprezzare un essere, che merita di stare a livello del sesso più forte per gli slanci del cuore. All'uomo lo scettro, alla donna la corona; ma sovrani entrambi, che reggono con eguali diritti d'impero due esistenze. Nessuno primo, nessuno secondo; l'uno è re dell'intelletto, l'altra regina del sentimento. Non si ama, come è stato già detto, che nell'età feconda. Le gioie che può dare il sentimento dell'amore prima dei quattordici anni e dopo i cinquanta, sono nei nostri paesi pallide ombre o giuochi di fantasia. I fiori più splendidi e più profumati dell'amore si colgono nella giovinezza, quando ci si abbandona alla prima passione col cuore vergine e coi tesori del sentimento ancora incorrotti. Si ama in tutti i paesi e in tutti i tempi; ma credo che la civiltà abbellisca queste gioie di molti delicati ornamenti, ed è innegabile l'influenza che esercitano su questi piaceri le diverse condizioni sociali. Tutti possono nella vita passare qualche istante di piacere con una persona di sesso diverso, ma non tutti possono amare. Per provare questa passione in tutta la sua perfezione fisiologica bisogna avere nel cuore un certo materiale di forza e di fuoco che non tutti posseggono. Per godere le maggiori gioie di questo sentimento bisogna prenderlo a grandi dosi alla volta. La donna e i più generosi amatori tracannano quasi sempre la tazza dell'amore in un sol fiato, sicchè non possono inebbriarsi che una sola volta nella vita; e se amano ancora, non è che spandendo sopra qualche creatura le ultime stille di affetto rimaste nel fondo del calice. Alcuni altri, invece, sono per natura tanto spilorci, che libano sempre a sorsi e a centellini. Questi usurai dell'amore dicono di essere stati innamorati centinaia di volte, e negli archivi polverosi delle loro memorie conservano pacchi di letterine profumate e spasimanti, ciocche di capelli e residui di fiori secchi. Essi però non hanno mai amato. La natura non concede che una sola tazza del nettare dell'amore, e per inebbriarsi bisogna vuotarla di un sorso. Chi mostra di bevervi continuamente, o finge o fa da barattiere, diluendo coll'acqua il santo liquore. Vi sono però alcuni genii o mostri del cuore, che sanno mare più volte e sempre più caldamente, ma sono vere eccezioni.
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Quando però i dispetti non oltrepassano una certa misura di decente moderazione, bisogna tollerarli, e perdonare ai loro autori, perchè essi provano un vero stimolo insopprimibile, un bisogno invincibile di abbandonarsi a questi innocenti piaceri. Per quanto innocente, il dispetto è un'azione immorale, ci procura un piacere che derive da un dispiacere altrui. Se la nostra vittima non s'accorge del nostro dispetto, o non dà segno di avvedersene e di soffrirne, noi godiamo poco o nulla; è la gioia invece tanto più viva, quanto più doloroso è lo stupore, e ridicola la posizione del nostro avversario; non si può quindi negare che questa gioia sia colpevole. Si comprende sotto il concetto di odio un'infinità di elementi diversi, dei quali alcuni spettano ai delitti, ed altri agli affetti che confinano coi sentimenti più nobili e generosi. Vi sono odii grandi e quasi perdonabili, come vi sono odii così piccoli che si compatiscono e ci fanno ridere. A questi spettano le compiacenze del far dispetti. Un'altra gioia meno innocente consiste nella smania della distruttività, che si svela sotto la forma più innocente nel bisogno di rompere, di tagliare, di demolire. L'uomo che ne è affetto, e che può essere il primo galantuomo del mondo, si arresta nel suo cammino per rompere un coccio di argilla, per mozzare alle pianticelle dei prati i fiori più belli, o sfrondare con rabbiosa compiacenza i rami d'un arbusto. Se la distruttività cresce di un grado, gli esseri inanimati non ci bastano, e allora schiacciamo con piacere i poveri insetti che il caso invia sotto i nostri passi, o godiamo nello strappare ad una ad una le ali di una farfalla. In qualche caso la manìa di distruggere o di uccidere si accresce con furore. Se ne ha un esempio in un giovane di delicato sentire e di miti costumi, obbligato dal caso a svenare una mezza dozzina di polli. Egli si accinse a questa operazione senza ripugnanza, ma con tutta calma e tutta indifferenza. Non abituato a tale macello, fece soffrire innocentemente una lunga agonia alla prima vittima, e gli aneliti del pollo incominciarono a turbarlo. Si accinse alla seconda esecuzione colla mano tremante; e involontariamente si soffermò a contemplare le vicende dell'agonia, e la mano intenta sentì le scosse della vita che sfuggiva e l'umidore del sangue. Ammazzò il terzo con crudeltà e con gioia; e fuori di sè, tutto tremante si gettò sulle ultime vittime da furibondo, tagliando e sbranando, sicchè una di esse fu fatta a pezzi. Lo sgozzatore, in mezzo ai cadaveri e ai moribondi, con le mani palpava avidamente le viscere ancora calde. Egli godè una crudele gioia, ed io che lo vidi ne ebbi paura. L'innocente sanguinario mi confessò che il sangue sparso lo aveva eccitato; e che egli avrebbe ucciso altre centinaia di vittime con voluttà. Aggiunse ancora che in mezzo a quel furore era stato assalito da un accesso di libidine. Questo fatto ha una grande importanza, perchè fa prevedere che l'istinto dell'assassinio e la facoltà di generare, devono aver nel cervello un rapporto anatomico o fisiologico. La storia, d'altronde, ci mostra come fra gli orrori del saccheggio, la crudeltà si associ sempre alla più sfrenata libidine, e come dal sangue delle vittime sorgano fumi che accecano la mente, cambiando l'uomo in un bruto che fa paura e ribrezzo.
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Alcuni provano un piacere così grande nel ricopiare alcuni frammenti dei libri che leggono, o nel farne un riassunto, che leggono quasi soltanto per poter abbandonarsi poi alla loro passione. Questo piacere è più naturale nei vecchi, e quando si trova nei giovani è quasi sempre indizio sicuro di precoce prudenza o di debolezza di memoria. Il lavoro intellettuale che procura le gioie più vive è la creazione, sia che a un tratto la nostra mente venga solcata da una verità luminosa che inaspettata l'attraversa, sia che lo sguardo paziente dell'intelligenza riesca a scoprire una scintilla in mezzo a una profonda oscurità. L'istante della scoperta è uno dei momenti più deliziosi della vita. I piaceri dell'osservazione e delle piccole scoperte costituiscono quasi tutta l'attrattiva delle scienze naturali, le quali sono feconde di tanta gioia, che bastano da sole a riempire un'intera esistenza. Sono piaceri calmi e sereni che si mantengono imperturbati sotto le intemperie dell'età e della politica. Il maneggiare la materia e il cambiarne la forma è uno dei più originali e primitivi piaceri che si provano nelle belle arti e nei lavori meccanici. Queste gioie possono costituire un gruppo naturale di piaceri, ch'io chiamerei plastici, i quali constano sempre dell'azione di una forza intellettuale associata all'esercizio del senso del tatto e spesso anche di quello della vista. I piaceri matematici possono formare un'altra classe molto naturale nel mondo delle gioie mentali. Essi sono freddi e calmi, ma possono salire a un grado straordinario di forza. Quasi sempre il profondo matematico prova la deliziosa coscienza di un ordine invariabile e di un meccanismo di rapporti, del quale egli conosce a fondo le leggi e regola i movimenti. Le scoperte impreviste, ch'egli fa nelle sue ricerche, scattano altrettante scintille, che ravvivano la fiamma calma del piacere ch'egli prova, e la certezza della verità suggella poi la gioia colla più sublime delle ricompense. Egli ha il diritto di chiamarsi il più sicuro fra tutti gli operai della grande officina intellettuale. I piaceri della lettura, della compilazione e della creazione si associano fra loro e costituiscono le gioie dei lavori letterari e filosofici, nei quali mancano quasi sempre gli altri elementi plastici e matematici. I piaceri dell'osservazione, associandosi a una piccola proporzione di gioie plastiche, formano l'attrattiva dei lavori di anatomia, di fisica, di chimica e di medicina. I piaceri plastici, combinati coi matematici, formano la delizia degli ingegneri, degli architetti e dei meccanici.
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L'esercizio di una data facoltà e dei relativi piaceri tende a perfezionarli sempre più in questi, per cui spesso diventano insensibili ad altri piaceri, che hanno trascurati per abbandonarsi alle gioie predilette. Qualche volta la monomania cresce a tal segno da far loro avere in odio alcuni piaceri, che pur sono innocentissimi, ma che hanno l'unico torto di non essere i loro prediletti. La maggior parte degli uomini però è dotata in proporzione mediocre di tutte le facoltà, e nessuna predomina in modo prevalente, per cui anche i piaceri si riducono a una media proporzionale che si può adattare a quasi tutta la massa delle generazioni di ogni tempo e di ogni paese. Molti individui non si dànno la briga di cercare una formula di piacere che si adatti ai propri bisogni. Alcuni arrivano perfino alla ridicola enormità di voler godere secondo un celebre autore. Queste però sono eccezioni mostruose, e, in generale, l'opinione pubblica, facendo da cerretano, vende a buon patto, a quasi tutti gli uomini volgari, alcune formule di piacere che si adattano ai tempi che corrono.
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Le isteriche che sgretolano sotto i denti con infinito piacere un pezzo di carbone, o che si nascondono per abbandonarsi con trasporto a un lauto pasto di cenere, di terra o di calce, provano piaceri morbosi. Il piacer patologico in ogni caso è prodotto da un vizio congenito o avventizio e passeggero dell'organismo. Un signore bergamasco era privo affatto del senso dell'olfatto e quasi interamente di quello del gusto; egli non sentiva che il sapore dolce, per cui teneva sempre sulla tavola un'abbondante quantità di zucchero, col quale condiva la minestra, il manzo, il salame ed ogni vivanda che non fosse dolce per se stessa.
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Chi ha osservato un fumatore di buon gusto nell'atto che fa i suoi preparativi per abbandonarsi al prediletto piacere, deve ammettere che quel momento è delizioso: e non può essere altrimenti, dacchè la speranza di godere e la compiacenza di farne i preparativi con le proprie mani e senza fatica, sono elementi che devono produrre una sensazione piacevole. Del resto, basta osservare il giovane fumatore nell'atto di prepararsi a fumare una sigaretta. II secondo elemento cha entra a far parte di questo piacere tanto complesso è la sensazione del gusto, la quale nella pipe si limita al sapore del fumo, e nel sigaro consta anche della sensazione della saliva che imbeve le parti solubili delle foglie del tabacco. Le infinite varietà dell'acre e dell'aromatico formano mille combinazioni di piaceri conosciute a fondo soltanto dai consumati fumatori. In generale però i nervi gustatori e tattili della bocca sono in uno stato di irritazione piacevole, di vero orgasmo, e l'uomo gusta senza nutrirsi. Il senso tattile delle labbra e dei muscoli della bocca concorre pure al piacere nei moti alterni e delicati che sono necessari ad aspirare il fumo, a ritenerlo nella bocca e a farlo uscire in volute. L'olfatto ha grandissima parte in questo piacere, ma certamente meno degli altri elementi. In ogni modo non è indispensabile, perchè si può essere privi interamente dell'olfatto e quasi del gusto, e provar piacere nel fumare. Il profumo del tabacco, d'ordinario, viene aspirato dalle narici col fumo che esce dalla bocca; ma può passare anche dal retrobocca nel naso per le fossa nasali. Quelli che sanno fare uscire in colonne il fumo dal naso, provano anche il piacere d'una leggera irritazione della pituitaria, al quale si unisce la compiacenza di un giuoco bizzarro. La vista paga il suo tributo ai fumatori, svagandoli cogli scherzi della lenta combustione e delle vicende presentate dal fumo che sale in volute per l'aria. Gli effetti fisiologici della nicotina e degli altri principii volatili odorosi che vengono assorbiti e che agiscono a preferenza sul sistema nervoso, hanno pure una grande influenza sui piaceri del fumare, e vi contribuiscono specialmente col facilitare la digestione e coll'indurre la sensibilità generale in uno stato particolare di torpore eretistico, che può arrivare fino alla voluttà. I novizi vengono intossicati e soffrono; gli adepti s'inebbriano e se sono molto sensibili, provano in tutta la superficie cutanea un senso di tepore particolare o di prurito leggero molto piacevole. Infine i veterani provano una sensazione indefinita di benessere che li esalta. Tutti questi piaceri però non esistono da soli, ma si combinano fra loro in un accordo che li unifica e armonizza, formando un'unica sensazione piacevole. Sono futili tutte le questioni che si agitano ogni giorno sulla vera essenza del piacere del fumare, e se esso spetti al gusto, all'olfatto o alla vista. Nessuno di questi sensi gode da solo, ma concorre nella sua parte a produrre il piacere. L'elemento però che collega tutti i piaceri in un solo, facendo, direi quasi, da cemento, è il piacere di far qualche cosa, di esser distratto di quando in quando dal lavoro, o di interrompere l'ozio. L'ozio completo è insopportabile anche ai più inerti; ma il lavoro stanca e piace a pochi. Ora il fumar tabacco è una vera transazione, un vero trattato di pace tra l'inerzia e l'attività, fra l'odio al lavoro e l'avversione all'ozio. I più volgari, e quindi anche i più numerosi fumatori, non hanno mai saputo trovare nel fumare altro piacere che questo. In ogni modo i piaceri del fumare non sono patologici per la più parte degli uomini. I piaceri dell'olfatto, per quanto siano labili, sono troppo trascurati nei progressi della civiltà, ed essi non hanno ancora dato luogo a invenzioni relative di qualche importanza. In Europa il limitato uso del tabacco, le essenze di cui profumiamo i nostri abiti, e il tributo che ci offre l'orticoltura colla coltivazione di piante odorose, sono gli unici sollievi concessi a questo senso. In Oriente il naso è meno dimenticato che da noi, e nelle camere dei ricchi ardono profumi deliziosi. Queste gioie però sono elementari, e non costituiscono ancora un complesso di mezzi atti a produrre veri piaceri olfattivi. La civiltà futura riempirà questa lacuna? L'armonia e la melodia degli odori devono esistere, come esiste l'accordo in tutte le altre sensazioni.
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Fino ai primi gradi dell'ebbrezza, noi possiamo assistere allo spettacolo di un eccitamento di tutte le nostre facoltà; ma, più tardi, l'esaltazione disordinata ed eccessiva di alcuni piaceri trascina con prepotenza la ragione in una sarabanda, in cui i fremiti confusi portano ad una frenesia di sensi, nella quale tutti gli elementi del bene e del male, rotte le dighe che li rinchiudevano, vengono a darsi la mano per abbandonarsi in comune alla più sfrenata licenza. Un altro carattere generale dei piaceri dell'ebbrezza, che ne costituisce la fisonomia caratteristica, è quella di dominare tutti i vasti campi della mente e del cuore in modo da scacciarne le cure importune, le segrete angosce del presente, o i rimorsi del passato.
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A quell'ora, quando sul cielo ancora un po' chiaro a occidente il mare intagliava una linea nera purissima, ed essendo tutto nero, come un mare di pece, non attirava gli occhi in alcun punto determinato, era piacevole abbandonarsi a quel va e vieni di pensieri slegati e laceri, che somiglia al movimento delle immagini nel sogno; a cui battevano la misura i colpi cadenzati dell'elice. Ma i pensieri, a quell'ora, pigliano il color del mare. Davanti a quella faccia sconfinata delle acque che non mostra alcuna traccia nè dell'uomo nè del tempo, lo scopo del nostro viaggio, i nostri interessi, il nostro paese, tutto ci appar così lontano, confuso, piccolo, misero! E pensare che tre giorni prima di partire siamo stati feriti nell'anima dal saluto freddo d'un conoscente incontrato in via Barbaroux.... Che pietà! Ora quelli paion ricordi d'un'altra esistenza, che risorgono un momento appena, e precipitano, s'affogano in quell'abisso smisurato che ci si apre sotto ed intorno. E ci abbandoniamo al mare sopra una nave immaginaria che vada e vada senza posa, di là dalle ultime terre, per quell'immenso oceano australe, da cui tutti i continenti apparirebbero a un Micromega come raggruppati, rattratti nell'altro emisfero per la paura della sua solitudine. Ma in quella solitudine si perde e si sgomenta la fantasia, e rivola con desiderio impetuoso fra la razza umana, in mezzo alle creature più amate, in quella stanza, dove sono raccolti quei visi, al chiarore d'un lume, che brilla ora alla nostra mente come un sole. Ma quei visi non sorridono, e su tutti è dipinta un'inquietudine pensierosa, e l'idea che ogni giro dell'elice accresce Ia distanza enorme che ci separa da loro, ci rattrista. Distanza enorme? Per scemarla nel nostro concetto, ci proviamo a rimpicciolire il pianeta col paragone dell'universo: una goccia d'acqua sopra una molecola di mota: quale distanza possono interporre gl'infusori fra loro? Ma il pensiero è forzatamente ricondotto alla comparazione del mondo con noi medesimi, e il sentimento consueto della maraviglia rinasce. Sì, un'enorme distanza ci divide. Scacciamo dunque l'immagine di quei visi. Ripensiamo al mare, addormentiamo la mente sopra queste acque infinite. Che bel mare! E che pace! Eppure anche questa solitudine solenne quanti orrori ha veduti! Ha veduto passare gli avventurieri ingordi d'oro, che affilavano le armi per i macelli infami del nuovo mondo, rivolte di schiavi schiacciate nel sangue dentro alle stive dei negrieri, lunghi martirii di equipaggi famelici, naufragi orrendi nelle tenebre, agonie forsennate di famiglie avviticchiate alle sommità degli alberi, e urlanti col viso al cielo il nome di Dio, soffocato dall'onda. E questo potrebbe seguire a noi, per lo scoppio d'una caldaia, questa notte, fra un'ora, fra un minuto. Rabbrividendo, ci raffiguriamo allora la discesa lenta del nostro cadavere, giù di zona in zona, a traverso ad altrettanti mondi diversi di piante, di pesci, di crostacei, di molluschi, lungo una verticale di otto mila metri, fino all'oscurità fredda di quella distesa sterminata di fango vivente e di scheletri microscopici che forma il fondo del mare....
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Cosi questo bravo direttore, che ha, prima di tutto, imparato a regolare sè stesso, suggerisce alla signorina, il tempo opportuno e il modo conveniente di muoversi, di parlare, tacere, far mostra di non aver capito, capire a volo : di essere contegnosa con gli uni e abbandonarsi con altri a gentile confidenza. Le sussurra i suoi avvisi, i suoi consigli. Oh se le signorine ascoltassero sempre gli avvisi e i consigli del buon senso!... quante delusioni, quante amarezze e mortificazioni e rimproveri eviterebbero! Non vedrebbero nei complimenti diretti alla loro bellezza, al loro spirito, che una cortesia raffinata, quasi gentile menzogna; non crederebbero con cieca fidanza alla sincerità di certe occhiate, di certe strette di mano, di certe paroline armoniose come una musica soave; non intascherebbero come moneta sonante gli applausi fatti alla loro abilità come pianiste, mandoliniste, cantanti, declamatrici, ecc.; non commetterebbero certe mancanze, in urto con la civiltà pia elementare e qualche volta anche con il rispetto e la pietà.
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Non abbandonarsi alga foga di desideri che essa sveglia nell'anima, è rettitudine. La giovinetta deve amare la eletta c gentile società, ma non fuggire un poco di solitudine. Si abitui a star soli; che l'unica maniera di imparare a conoscere sè stessi, di trovarsi al tu per tu con la verità, di capire la pace. Un poco di solitudine una scuola di rifìessione e di serietà.
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E da qui gli improvvisi scatti di sdegno e di collera, gli entusiasmi spiensierati, il subito abbandonarsi alla disperazione od alla pazza gioia, gli inconsiderati slanci d'affetto, le commozioni rapide, i bruschi trasporti, che le facevano pestare i piedi per terra, spezzare oggetti, battere perfino le persone, quando poteva. La fanciullina, passava da un giorno all' altro, anzi da un ora all'altra, anzi da un minuto all'altro con incredibile rapidità, dalla gioia alla tristezza, dal riso al pianto; in certi momenti ciarlava e blaterava da intontire; in certi altri si chiudeva in un mutismo uggioso; un momento era amabile, gaia, gentile; il momento dopo, di un umore pessimo, irascibile, prendeva tutto a traverso, brontolava, si annoiava e annoiava. Spesso prendeva in uggia le persone cui il dì prima aveva dimostrata una simpatia chiassosa e adorava altre che prima sfuggiva. La sua sensibilità si esaltava per i più futili motivi, non si scuoteva alle dolci emozioni; era qualche volta impassibile al racconto di disgrazie lagrimevoli, e piangeva e si disperava per un nonnulla. A un rimprovero severo stava indifferente, e si rabbruscava per una semplice parola male interpretata e mutava in offesa il più semplice scherzo. Il compito della povera istitutrice non era punto facile e se in esso perseverava, è che per davvero era buona e forte. E per vero, prese a voler bene alla povera fanciullina stenta e gracilina, si interessò di lei e trovò che il suo cuore non era punto punto cattivo. Pensò che con una intelligente cura igienica, rafforzando in essa il fisico, sarebbe riuscita a rinvigorirle le facoltà morali, a renderla capace di volere, a educare la sua volontà. E, prima di pensare a renderla buona, lei, che aveva buon senso, si accinse a curarla pazientemente per rinvigorirla; aveva la convinzione, che una volta sana e robusta, sarebbe diventata una fanciulla a modo. Per prima cosa cercò di guadagnarsi l'affetto della piccina insieme con la sua confidenza, senza i quali non avrebbe in nessun modo potuto esercitare la sua influenza morale, nè guidar l'allieva a sua guisa, con l' autorità, che la gentilezza e affettuosità celano, ma non diminuiscono. Forte ne' suoi propositi, ella pensava, che è da tutti, educare una bambina sana e buona; ma che è solo delle nature energiche e generose, il rafforzare e correggere una povera creatura malaticcia, debole e viziata.
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Specialmente le marce lunghe e faticose inducono il turista ad abbandonarsi e a dimenticare i precetti dell'educazione. Ciò si deve assolutamente evitare tenendo sempre il corpo e l'abbigliamento in modo presentabile. Anche sotto l'aspetto marziale del turista si deve rimanere persone
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Verso i superiori bisogna essere molto cortesi, senza però abbandonarsi al servilismo. Parlando col principale di affari, conviene serbare la calma ed essere breve e conciso. Al capo-ufficio spetta da parte di tutti i dipendenti il trattamento dovuto ad un superiore e in questo riguardo non fanno eccezione nemmeno le donne. In ufficio l'impiegata saluta per la prima il principale, mentre per strada, o comunque fuori dell'ufficio, un principale distinto saluterà per primo le proprie dipendenti. Anche se un dipendente fosse privatamente in rapporti amichevoli o di parentela con il principale, deve evitare di sfruttare queste aderenze personali nella vita professionale. Nello stesso modo deve conservare il debito rispetto anche l'impiegato che si trova da molti anni alle dipendenze della casa. Naturalmente il dipendente, conversando col principale nel suo studio, non deve mai sedersi senza essere invitato. Entrando in un locale o salendo in una carrozza, spetta al superiore di grado la precedenza ed in caso di uguaglianza di gradi al più anziano. Se però il superiore invita il dipendente a precederlo, questi lo faccia senza esitazione, perchè il dipendente deve ubbidire in ogni circostanza e l'inopportuna ossequiosità può divenire antipatica. Per tutto il rimanente non si deve dimenticare che anche il principale va soggetto ad influenze e di conseguenza le cure famigliari e le preoccupazioni d'affari, nonchè lo stato di salute potranno avere una certa influenza sulla sua condotta. Se un dipendente s'accorgesse d'un errore commesso dal principale - specialmente trattandosi d'un errore che potrebbe arrecare danno all'azienda, non solo ha il diritto, ma anche il dovere di richiamare con tatto la sua attenzione sull'errore. Naturalmente non parliamo di piccoli errori insignificanti che non devono venir sfruttati per darsi maggiore importanza, poichè sarebbe mancanza di tatto il rendere inutilmente pubblica una distrazione del principale. Ritenendoci per qualsiasi circostanza trattati ingiustamente, si regoli la propria posizione a mezzo di un colloquio diretto col principale, sempre nel tono della massima cortesia e riguardo. Ciò può fruttare un accordo duraturo. Comunque, le scorrettezze degli altri non possono essere eliminate affrontandole con altre scorrettezze. In ufficio è necessario comparire con lo abbigliamento e con la persona accurata, particolarmente quando si è incaricati di trattare con la clientela. Nelle banche e nei negozi più distinti il personale indossa il migliore abito. Anche nella vita privata il dipendente deve aver riguardo verso la propria ditta e soprattutto se la posizione è rappresentativa, è necessario un tenore di vita privata, in base al quale nessuno possa fare delle deduzioni sfavorevoli per l'azienda.
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Ma non è facile incontrarsi in poeti e in dicitori simili a Châteaubriand; comunque, una donna deve sempre serbare la sua grazia contegnosa, saper vincere i propri impulsi, non abbandonarsi all'entusiasmo per quanto giustificabile sia, non esprimere il proprio malcontento e la propria noia anche se ha tutte le ragioni di provarli. Un'ora di benevola attenzione, di silenzio, di immobilità non è poi un martirio; e colui che parla sarà grato al suo uditorio se l'avrà ascoltato cortesemente, come gli sarà grato delle approvazioni e degli applausi, i quali, purtroppo, spesse volte esprimono soltanto la gioia che la conferenza sia finita.
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La felicità ha un volto troppo luminoso per non contemplarla e sorriderle e abbandonarsi alla sua luce e al suo tepore. Nè è necessario che una giovinetta si comporti con freddezza verso il suo fidanzato per darsi un contegno... a cui nessuno crederebbe. Fatta la scelta, approvata questa da coloro che l'hanno amorosamente guidata fin sulla soglia della nuova vita, ella può darsi tutta al suo sogno e non impedire alla gioia di splenderle negli occhi e nel sorriso. Fatta ed accettata la domanda, allorchè il giovane si presenta toccherà a lei stringergli la mano. È nel diritto di una donna che accoglie la prima volta il compagno di tutta la sua vita futura. Al giovane fidanzato la famiglia della signorina farà subito festose ed affettuose accoglienze considerandolo oramai come un figliuolo — colui che dovrà amare, guidare e proteggere la loro cara nelle non facili contingenze della vita. Devono dimostrargli il loro affetto e la loro fiducia, perchè agendo diversamente mostrerebbero di aver poco a cuore la gioia della loro creatura. Se la famiglia della fidanzata si trova in campagna allora il giovane sarà trattenuto a pranzo, tanto più se egli è venuto appositamente dalla città o da un luogo lontano per rendere omaggio alla sua promessa sposa. Se invece le due famiglie abitano nella stessa città il fidanzato potrà recarsi ogni giorno a salutare la sua prescelta ed inviarle omaggi di dolci e di fiori. Anche tra le famiglie dei fidanzati è doveroso un rapporto cordiale di visite onde stabilire fra esse una simpatica ed affettuosa intimità. Tanto il giovane che la signorina potranno già chiamare "mamma„ la futura suocera, ma questo nell'intimità; trovandosi in società sarà bene che seguitano a designarle: "signora„ oppure: "La madre del mio fidanzato„— la madre della mia fidanzata„. E così s'intenda dei padri.
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Una signora può fare eccezione per la propria cameriera allorquando costei la pettina e la veste; ma anche tali conversazioni non devono prendere un'intonazione di eccessività intimità, nè la padrona deve abbandonarsi a confidenze inopportune e imprudenti. Non si sbaglia mai parlando poco specialmente coi dipendenti salariati, i quali non danno mai la sicurezza d'un'affezione disinteressata in modo assoluto.
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E parlo di sigarette; in quanto ai sigari nessun uomo educato si permetterebbe di accenderne uno in presenza delle signore, nemmeno trattandosi dei più fini — se mai potrà ritirarsi con qualche amico sul balcone o in giardino, se proprio non può fare a meno di abbandonarsi alle dolcezze della nicotina. V'è anche qualche signora che non si perita di fumare sigari fini... e non fini; ma sono fortunatamente delle eccezzioni; una donna con un "trabucos„ o un "virginia„ fra le labbra è paragonabile a un barrocciaio, e si arguisce subito qual'è il grado della sua finezza e della sua educazione.
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Non pettegolezzi, non maldicenza; l'arte, il lavoro, la letteratura, le vicende familiari, la beneficenza, lo sport; sono tutti argomenti che offrono un vasto campo di conversazione simpatica, brillante e varia, a cui le signore possono liberamente abbandonarsi senza timore d'incorrere nel chiacchiericcio e nei luoghi comuni. Ma, per carità! Niente serve, niente discussioni politiche le quali lasciano il tempo che trovano — niente maldicenza nè canzonature. Una padrona di casa deve possedere l'arte rara e sottile di bandire dal proprio salotto tutto ciò che sa di mediocre, di falso e di cattivo. Purtroppo quest'arte non s'insegna; è una forma di amabile cortesia che nasce dal cuore, che è materiata di educazione e di bontà, e non è trovatile in nessun galateo del mondo; ma forse basta formarsela da sè a furia di osservazione, di gentilezza, d'indulgenza pei difetti altrui, di severità per i difetti propri. Così, non altrimenti, è possibile formarsi una grazia speciale, capace di cattivarsi la simpatia delle persone più rudi e meno accessibili alla cortesia.
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Aver paura è lecito e normale: ma non è lecito, e neanche normale, abbandonarsi a scene di isterismo e di panico. Mantenete la lucidità, ascoltate i consigli di chi vi assiste, subite con umiltà le eventuali sgridate. Se possibile, non fate troppo baccano. Certe donne si credono non solo in diritto, ma in dovere di urlare forsennatamente per tutta la durata del parto: pensano che gli urli da belva squartata siano parte integrante del loro ruolo. Non è così. A parte lo spreco di preziose energie, l'urlo belluino continuato irrita chi vi assiste, spaventa le altre partorienti, tortura i vostri familiari in attesa, ed è di ben scarso sollievo per voi. Cercate di moderarvi: gli urli da parto, considerati sacri per secoli, oggi sono decisamente out.
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Bisogna astenersi dall'emettere giudizi affrettati, specie ad alta voce; non farsi eco di critiche poco serene o abbandonarsi ai facili entusiasmi. L'arte è una cosa seria, per amarla bisogna comprenderla e averne il massimo rispetto. Altra forma di omaggio all'arte consiste nel far proprie le opere che ci colpiscono per ornarne la nostra casa. Grande privilegio concesso a chi può, e costituisce una ricchezza e un orgoglio per le persone di buon gusto. Le vendite all'asta veggono solitamente una folla elegante che aspira ad accaparrarsi mobili, quadri, ninnoli, oggetti di valore. Anche in questo non bisogna lasciarsi trascinare dalla passione, bensì contenerci nei limiti delle proprie possibilità. A esser sobri negli acquisti non si sbaglia mai e si evitano talvolta delle delusioni, allorchè lontani dalle tentazioni si può esaminare a freddo l'oggetto che si è fatto nostro. È pericoloso spingersi nelle gare con l'idea di « spuntarla » a ogni costo. Giunti ad un certo punto si sappia dir basta a se stessi. Spesso in queste gare a oltranza si è trascinati dalla smania inconfessata di esibirsi: vi è un movimento di curiosità verso chi si cimenta, tutti gii occhi sono fissi su costui; ma passato quel momento, non resta che l'amarezza di vedere alleggerito il portafoglio. Si tenga a mente che le nobili gare sono sempre belle, ma dove c'entra l'ambizione e il denaro non lo sono più.
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Talvolta gli manca anche il tempo per abbandonarsi alla confidenza; la moglie sollecita saprà indovinare, non soltanto le cose essenziale della vita spirituale, ma anche quelle più semplici, riguardanti l'esistenza materiale. La vita di due coniugi è fatta d'intimità, tutto è condiviso nella cerchia ristretta dell'ambiente domestico, il sonno e i pasti in comune, le sieste riposanti, le ore liete e quelle tristi. E non è trascurabile, ad esempio il bisogno di quiete che può provare un uomo, rincasando, dopo una giornata attiva. V'immaginate il disagio che egli risentirà se invece del silenzio, dell'ordine, della calma a cui aspira, la moglie vivace e irrequieta ha intorno gente estranea che non si decide ad andarsene, ovvero giungono dalla cucina i rimbrotti e le querimonie che la signora stizzosa muove alle sue persone di servizio, quando non sono i bambini che strillano e si accapigliano fra loro. E vi sarà l'uomo che si accontenta di tutto quando siede a tavola, un po' per amor di pace, un po' per distrazione, un po' per il regolare funzionamento del suo stomaco; ma nella maggior parte dei casi questo suo stomaco ha delle esigenze, preferisce cibi semplici, o alquanto complicati nelle manipolazioni, gradisce la varietà, certe primizie di stagione, è goloso in una parola. La moglie che non si preoccupa di cogliere a volo queste, chiamiamole pure debolezze del marito, apre il varco ai calamitosi contrasti che hanno per sede l'epigastro del coniuge. E se per contro si studia di allestirgli gustosi cibi, quante dolci sorprese riserba a colui che non a torto giudica esservi della poesia anche nelle delicatezze culinarie,
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Non è necessario dire che a lei, ancor meno che a un uomo, si conviene alzar la voce, far chiasso, darsi a un'allegria smodata: essa cercherà soprattutto di non dar nell'occhio, di non abbandonarsi ad eccentricità, di non mettere in imbarazzo la persona che l'accompagna. Tutti questi suoi doveri diventano ancora più rigorosi e più stretti se è sola o in compagnia d'altre signore. La donna emancipata, dalle pose maschili e dai modi troppo disinvolti, non ha fatto ancora fortuna in Italia, se Dio vuole: e le persone dabbene non hanno per lei che parole di biasimo. Terminato di mangiare e pagato il conto, non si resterà troppo a lungo nel ristorante, specialmente se questo è affollato e si ha motivo di supporre che altri voglia prendere il nostro posto. Ad ogni modo, chi vorrà rimanere ancora a fumare o a leggere il giornale, saprà farlo educatamente, senza prender pose sguaiate, non concesse neppure nell'intimità della propria famiglia. Giunto il momento d'andarsene, si chiederà scusa alle persone che si fosse costretti a incomodare, e si uscirà salutando, come nell'entrare.
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Abbandonarsi a rumori sgradevoli. Scusarsene in caso di incidente. Accomodarsi mettendo le mani dietro la testa e i gomiti in alto, svelando le ascelle. Allentarsi la cintura a tavola. Appoggiare i piedi sul tavolo. Fa tanto petroliere texano. Appoggiare sul tavolo dove si mangia ciò che si ha in tasca. Arrivare in largo anticipo. Per trovare i padroni di casa in accappatoio e con l'arrosto bruciato ancora da grattare. Attaccare il chewing gum alle poltrone dei locali pubblici o gettarlo in terra, per la gioia delle suole altrui.
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Se udite alcuno inferiore a voi abbandonarsi a siffatti motteggi, e se la buona creanza ve lo permette, mostrategli con semplicità e con franchezza quanto questo contegno sia sconveniente. Fuori di tal caso astenetevi dall'imprendere discussioni che al vostro sesso non appartengono; basterà il vostro sguardo onesto e severo per far conoscere la vostra disapprovazione. Possiamo apertamente addimostrare il nostro rispetto verso Dio e verso le cose sacre, osservare del pari i doveri della nostra religione, e non aver timore di far palese la nostra divozione; ma conviene sfuggire ogni benchè minima ostentazione; l'affettazione vi espone al ridicolo, e le vostre intenzioni, per quanto pure esser possano, saranno male interpretate. Il vero sentimento religioso è soave, umile, fervido nel segreto dell'anima, scevro di pregiudizi e d'intolleranza; questo solo può dare utile esempio agli altri, e ispirare l'amore della virtù. Qualora nei vostri eserecizi o nei vostri proponimenti di divozione vi avvenga per caso di essere distratte o contrariate, non conviene darsi in preda ad atti di malumore, il che sarebbe opposto alla benignità dell'animo. Ma biasimando l'ostentazione e l'intolleranza, non intendiamo consigliare un'abietta cedevolezza ai rispetti umani. Chi professa una religione non deve temere di farlo conoscere, poichè il vero discepolo non arrossisce del maestro; e giova ripeterlo, qui si tratta soltanto di condannare l'affezione. Dobbiamo dunque: Sfuggire la compagnia degli irriverenti; abbreviare la visita in una casa ove sia chi si permetta parlare con poca riverenza di ciò che alla religione appartiene; dare convenientemente a conoscere la nostra disapprovazione su tal proposito; osservare senza ostentazione i propri doveri religiosi. Non dobbiamo: Legare amicizia con le persone irriverenti; porgere orecchio nè sorridere alle loro beffe; mostrare affettazione o intolleranza in fatto di religione.
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Questo abuso della «cheville» costituisce il fondo della conversazione: bisogna essere degli stilisti nel parlare e in tutte le altre forme di esprimersi, per difendersi dall'inclinazione ad abbandonarsi alla voluttuosa comodità. Il Vangelo insegna a dire «sì», quando dovete dire sì, e «no» quando dovete dire no. Ma non tutto ciò che il Vangelo insegna, gli uomini lo hanno messo in pratica. La conversazione è lo sport di interrompersi a vicenda e di non permettere all'altro di terminare la frase. Piccolo inconveniente, quando la conversazione è una ginnastica polmonare, ma fatale quando si ha interesse a sapere qualche cosa. Se volete sapere qualche cosa da qualcuno, evitate che una donna assista al vostro colloquio. Esempio: voi volete informazioni sopra il signor X. Il conversatore vi dirà: - Il signor X si è fatta una posizione con mezzi non del tutto encomiabili. La persona che interrompe interromperà: - L'ho conosciuto a Viareggio. Il signore che aveva voglia di parlare del signor X, aggiungerà: - A Viareggio? Noi ci andiamo ogni anno. Quest'anno però ho preferito la Costa Azzurra. A Montecarlo ho giocato alla roulette... E voi non sapete più nulla sul signor X, perchè la conversazione è stata deviata sulla roulette o sulla Costa Azzurra. Colui che sa ascoltare si comporta nel modo opposto. - Il signor X si è fatta una posizione con mezzi non del tutto encomiabili. Quello che non interrompe stupidamente: - Poco encomiabili? - Si potrebbe dire riprovevoli - continua colui che ha veramente qualche cosa da dire. - E' passato da un fallimento all'altro. - Fallimento? - Bancarotta fraudolenta, il che gli fece avere delle seccature giudiziarie. - Giudiziarie? - Ha passato qualche mese in carcere. Immaginate invece che con voi ci sia una donna di quelle che non sanno ascoltare e impediscono agli uni di parlare, agli altri di udire: - Ah, che orrore! Piuttosto che il carcere preferirei mille volte morire. E il primo si metterà a parlare della morte, ma non parlerà più come desideravate voi, e forse ci eravate andato apposta, del signor X. Invece colui che sa ascoltare si attaccherà all'ultima parola: - Carcere? L'altro, incoraggiato, continuerà: Poi venne un'amnistia, trovò nuovi capitali, sposando una vedova ricca, una tedesca. Colui che non sa ascoltare: - Non sposerei mai un tedesco. I tedeschi... E la conversazione gira sopra i tedeschi. Colui che sa ascoltare dice: - Una vedova ricca? - Sì, e la moglie ha pagato, fino al giorno in cui disse «e ora basta», ed è scappata con un direttore d'orchestra. Colui che non sa ascoltare: - Ho conosciuto il direttore d'orchestra Dimitri Mitropoulos: per me è superiore a Toscanini....
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Sconsigliabile è quindi abbandonarsi a manovre leziose, che sarebbero in urto con i princìpi democratici. Non si deve però cadere nell'eccesso opposto, come il precipitarsi sull'unico sedile libero, pensando che qui siamo tutti uguali. Meglio di tutto è occupare un posto, e subito dopo levarsi per cederlo a una signora. Il formidabile argomento «ha pagato il biglietto» che invocano certe madri per consacrare il diritto del ragazzino a stare seduto mentre un vecchio e una donna incinta sono in piedi, è la quintessenza della volgarità. La madre deve essere la prima a invitare il figlio a levarsi. Con questo ordine, quella mamma non farà un semplice piacere al vecchio in piedi, ma collocherà nel cuore di suo figlio il seme della gentilezza d'animo, della quale avrà forse da pentirsi più volte nella vita, ma l'abitudine formerà nel ragazzo una sveltezza altruista e un'agilità morale di cui dovrà compiacersi con se stesso. Al fattorino che dà il biglietto si risponde grazie. E gli si dice grazie, quando porge il resto. Se gli domandi dove dovrai scendere, digli «per favore». Non pensare che tu gli dài del denaro ed egli ti dà della locomozione, e che perciò la vostra bilancia commerciale è pareggiata. Non presentare con aria assente il biglietto al controllore, come se egli avesse compiuto verso di te un atto di sfiducia, e come se tu, nel dimostrargli che hai pagato, mortificassi la sua diffidenza. Un «grazie» nel ritirare il biglietto bucato non diminuisce la tua dignità, e se il controllore è un villano, gli avrai dato una lezione di cortesia. Nulla si perde, nel mondo dello spirito, e tutti si pareggia. «I trappisti, i carmelitani, le clarisse che digiunano tutto l'anno, dormono tre ore per notte in cellette gelate e si estenuano in orazioni interminabili - osserva Paul Sédir - servono a equilibrare il male dei perversi, dei ricchi, per cui la religione non è che uno strumento di rapina, e dei potenti che la usano come leva politica». Tutta la gentilezza d'animo e di modi che noi spargiamo intorno a noi va a neutralizzare la scortesia degli altri. I re in viaggio ufficiale, arrivando nel paese straniero, stringono la mano al macchinista del treno. Mi pare un gesto intelligente. Noi, che non siamo i Grandi della Terra, possiamo, in più modesta scala, testimoniare con un sorriso, una parola, un cenno della mano, la nostra simpatia al conduttore, il cui mestiere è tutt'altro che una sinecura. Accade spesso che mentre un signore legge il giornale comperato allora, quello che gli è seduto accanto vi posi lo sguardo. Non ho ancora capito perchè, ma la statistica potete farla anche voi, nove volte su dieci il proprietario del giornale, come se difendesse i suoi diritti offesi, se lo rimette in tasca con uno scatto seccato, o lo piega altrimenti, o addirittura volge sul vicino un'occhiata indispettita. Il vicino probabilmente aveva posato lo sguardo su un titolo o su una notizia o una fotografia per puro automatismo, per il richiamo ottico che esercita la carta stampata. E giacchè siamo in fase di esperimento, la prima volta che un vicino legga obliquamente il vostro giornale, offriteglielo con un sorriso, e vi ricambierà con un'espressione di riconoscenza. Basterà questo gesto a classificarvi nel suo concetto come un uomo differente dagli altri. Nei lunghi percorsi si può essere tentati di abbassare un vetro; ma è cortesia domandare che ne pensano i signori che sono seduti dietro. Far entrare l'aria perchè noi abbiamo caldo è egoismo; chiuderlo è un diritto. Però anche in questo caso è bene consultare i compagni. Alle donne piccole di statura suggerisco di rimanere in piedi, perchè il ciondolìo delle gambe che non arrivano a terra è ridicolo. Anche agli uomini, comunque essi siano; consiglio di stare in piedi. E' molto più chic. Ho conosciuto a Losanna un re in esilio, che alloggiava in un hotel in un paese vicino. Un disturbo che gli impediva di stare seduto, e del quale soffersero anche Luigi XI e il Re Sole, gli fecero lanciare la moda dello stare in piedi in autobus. Tutti gli uomini di Losanna si misero a viaggiare in piedi. La moda sorge spesse volte così. Nei primi anni di questo secolo si vide, alla corte d'Inghilterra, i lords e le ladies praticare lo shake-hands, cioè la stretta di mano, sollevando il gomito fino all'altezza della spalla. Si seguiva l'esempio dato dalla Regina Alexandra. Ciò che non si sapeva, è che Sua Maestà soffriva di foruncoli tenaci sotto il braccio destro. Quando l'ascella della graziosissima Maestà guarì, il suo saluto tornò alla normalità. Il Re in esilio in Svizzera non guarì, e il giorno che tornerà a sedersi sul trono dei suoi avi rimpiangerà i tempi in cui a Losanna lanciò la moda di stare in piedi in autobus.
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b) Si vuole attribuire ad un solo le sventure o i cattivi successi cui concorsero molti; e per abbandonarsi al vile piacere di rodere la fama di persona determinata e nota, v'é chi la trasforma nel capro emissario de'Giudei, al quale tutti si attribuivano i peccati del popolo, e quindi cacciavasi a sassate. c) Non è cosa rara che moviamo lagnanze contro chi ci suggerì un consiglio il quale per circostanze imprevisibili non sorti felice effetto; consiglio che chiedemmo noi stessi, ed ottimo lo giudicammo pria d'esporci al cimento.
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Molti hanno contratta la dolce abitudine di abbandonarsi ad un pisolino riconfortante durante il chilo; e subito dopo un pranzo, in compagnia, cominciano ad inghiottire sbadigli con ogni sorta di boccacce come se ruminassero, se pure non cedono al bisogno prepotente di lasciarli partire come razzi, comunicandoli a tutta la società, che finisce per sbadigliare in coro fino a smontarsi le mandibole. Questi signori abitudinari, che hanno il loro lato buono, perchè facendo tutto per abitudine, anche l'amore, sono dei modelli di costanza, debbono essere gli inventori di quel motto che è la quintessenza dell'egoismo: «Il primo prossimo è se stesso.» Ma sarebbero assai più amabili se si ricordassero un pochino delle giuste suscettività dell'altro prossimo, il secondo. Se un signore sa di dover essere presentato ad un pittore, ad uno scultore, ad un musicista, ad un autore, ad un uomo politico, ad un'illustrazione del teatro, deve se non li conosce già, informarsi dei quadri, delle statue, delle opere, dei libri, delle opinioni e gesta dei trionfi del nuovo personaggio, per poterne parlare con cognizione, e non con quegli accenni vaghi, quegli elogi generici e banali che fanno parer stupido lui, ed offendono l'altro. Si rammenti a questo proposito la bella storiella di quelle vicine del signor De-Amicis, che gli fecero dire che desideravano di conoscerlo, perchè ammiravano tanto i suoi lavori e poi quando lo videro gli dissero: «Lei si diverte a scrivere, nevvero? Ma bravo! bravo! e nel congedarsi gli ripetevano: Scriva sa, scriva!» Ed era chiaro che de'suoi lavori non conoscevano che il titolo, o tutt' al più la copertina, soltanto di vista.
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Infine, eccoci al quel simpatico periodo dell'anno, che i francesi chiamano, con frase molto efficace, la trève des conftseurs; essi vogliono indicare, con queste parole zuccherine, quei giorni che passano, fra il quindici dicembre ed il sei di gennaio, tempi in cui si fa tregua ad ogni noia, ad ogni disgusto, ad ogni preoccupazione, per abbandonarsi alle tenerezze natalizie e di Capo d'Anno, tenerezze che sono rappresentate dai doni, principalmente, e i doni sono principalmente rappresentati da'dolci; dunque trève des confiseurs, tregua dei confetturieri, cioè riassunto delle affettuosità annuali, troppo dimenticate e troppo trascurate, in una somma breve e intensa di affettuosità. I francesi hanno usi leggermente diversi dai nostri, perché essi, imitando i tedeschi, fanno l'albero di Natale e non fanno il presepe, mentre da noi, nelle provincie meridionali, il presepio gode assai più grande popolarità. I bimbi francesi mettono la scarpettina sotto il camino, la vigilia di Natale, e i nostri bimbi mettono una calzetta, la notte dell'Epifania. Il colmo dei doni francesi si riunisce nel giorno di Capo d'Anno, giorno più o meno fatale, secondo la capacità delle borse, mentre da noi, i doni alle persone grandi si usano, sì, ma non generalmente e non hanno un giorno ben determinato. Ed è quest'ultimo costume, che dovrebbe acclimarsi pia largamente tra noi: vale a dire, che ognuno, nella misura del suo affetto e dei suoi denari, doni qualche cosa alle persone che ama. Non solo i bimbi sono felici di aver de'doni, ma tutti, più o meno, abbiamo un delicato piacere nel ricevere, un delicatissimo piacere nel dare. È vero, che i bimbi hanno studiato, si son condotti bene tutto l'anno, hanno sopportato, con pazienza, le loro piccole indisposizioni, hanno prese le medicine, hanno rinunziato, senza morrnorare, a ficcarsi le dita nel naso; ed è anche vero che il bambino Gesù viene per essi, e che il Capo d'Anno è, soprattutto per essi, una data gioconda, perché i loro anni sono pochi; ma, Dio mio, anche i grandi, durante l'anno, si sono seccati, ed hanno sofferto, hanno ingoiato pillole amare, hanno usato un'interminabile pazienza, nei disgusti dell'esistenza, e un certo premio anche lo meritano. Il bimbo Gesù viene pure pei grandi, ed è apportatore di consolazione, di amore e di benessere; e se il Capo d'Anno è una data un po' triste, pei grandi, perché non rallegrarla, con qualche dono gentile? Il valore; poco importa, ma l'uso delle strenne da Natale a Capo d'Anno, dovrebbe diventare più popolare, più largo fra noi: procurare una gioia, anche fugace, alle persone, che noi amiamo, non è, infine, fare un dono anche a noi stessi? Sorridere di un sorriso, quale cosa ineffabile!
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Le giovani signore non possono fare questo simpatico chiasso, né sorvolare come farfalle, né abbandonarsi a tante danze, se no, sembrerebbero tante pazze o delle dame ridicole: esse debbono, al ballo, rappresentare la suprema beltà, la suprema squisitezza, ma debbono passare a traverso le feste come Dee, non saltellare, come le fanciulle. Un ballo, senza signorine, tutto può essere, salvo che allegro: e se è allegro, non è allegro bene.
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Ripetiamolo ancora una volta, ed in questo diamo ragione ai poveri mariti, che sono costretti a fare da cariatidi sotto le porte, mentre le mogli danzano, passando di cavaliere in cavaliere; le signore vanno al ballo, per apparirvi, per passarvi, quali sorridenti dee, per lasciare un sussurro di ammirazione dovunque trascorre la loro bella persona, ma non già per abbandonarsi completamente alla gioia troppo puerile della danza. Lo scopo della danza è, anzitutto, un esercizio fisico di grazia e di gaiezza, di cui le signore non hanno nessun bisogno, ed è secondariamente, il permesso di filare, di flirtare, di amoreggiare, ingenuamente, di cui, io suppongo, io credo fermamente, le signore non debbono aver più bisogno. Escludendo le ragazze, le signore rinunziano ad una cornice, che vieppiù farebbe risaltare la loro bellezza, e ingenerano una monotonia di espressione al ballo, che è nemica di ogni successo: escludendole, dimostrano anche varie cose tutte poco graziose, per esse signore maritate. Prima di tutto, le maritate hanno l'aria di non sentirsi più giovani, e di temere, fortemente, la concorrenza delle zitelle. Secondariamente, esse offendono le loro sorelle, le loro amiche, le loro parenti, ancora fanciulle, non ammettendole ad un divertimento, che, quasi quasi, si può dire riserbato solo alle giovinette. Terzo, hanno l'aria di voler accaparrare i corteggiamenti, naturalmente innocenti, de' giovanotti, tutti per esse. Quarto, e questo mi sembra impossibile in una società per bene, hanno l'aria di voler essere troppo allegre, di voler fare discorsi che le signorine non possono ascoltare, e via via dicendo, non oso continuare. Se le signore maritate fossero veramente furbe, e sapessero fare i loro interessi mondani, dovrebbero, viceversa desiderare ampiamente la presenza delle fanciulle, per potersi affermare più belle, più attraenti, più irresistibili, ed anche più libere nella folla, nella confusione del ballo, di esercitare, con tutta innocenza, io credo, le loro seduzioni.
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Da tale passione pei combattimenti di spirito o duelli di motteggi e di celie erano invasi i Normanni, che anche nell'ardore d'un assedio i nemici sospendevano talvolta le ostilità per abbandonarsi ad una guerra meno dannosa, guerra di motti, di redarguzioni, di buffonerie. Allorché qualcuno dei due partiti era preso da questa vaghezza, si mostrava all'altro in abito bianco, il che era riconosciuto ed accettato come una sfida di celie. La quale cosa certamente non era, riprensibile in tempo di guerra, giacché
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Informatevi dell'origine di questi miserabili e vedrete che il maggior numero di costoro disertarono il paese e la famiglia per correre in mezzo a gente sconosciuta affinché non venisse scoperta la loro frode; essi non sarebbero tollerati in patria, e si dannano a un esilio volontario onde schivare la fatica che detestano e abbandonarsi senza alcun ritegno alla scioperatezza ed al vizio.
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Del resto ciascuno la pensi come vuole; in quanto a me son di men difficile contentatura; quando io vedo le vispe contadine, le gentili giovanette lanciarsi nei vortici della danza cogli occhi scintillanti di gioia, coll'impazienza che traspira da ogni loro membro, io non posso a men di prender parte al piacere di quelle giovani anime nello abbandonarsi a quello sfogo così naturale, a quell'agitazione propria dell'età in cui la vita è così riboccante di forze, il cuore così avido di sensazioni; e..... e mi pare di tornar addietro di molti lustri e quasi arrossisco a dirlo! il desiderio mi assale di frammischiarmi a quelle volubili ridde, di intrecciare il mio braccio a quello di qualche allegra fanciulla. E la musica non la contate per nulla? E non contate per nulla quel fremito che v'innalza all'udire quelle soavi cadenze? Io, per esempio, non ho potuto giammai ascoltare un waltzer dello Strauss o del nostro bravo Capitani, senza sentirmi profondamente commosso. Essi mi fanno, per così dire, rêver quasi al pari delle meste armonie del Trovatore, della Favorita. Non fa d'uopo, per capire il senso d'una musica, accompagnarla col libretto; essa te lo spiega da sé; o si sposi al canto o regoli le movenze, essa ti parla un suo linguaggio che non può esprimersi a parole; il cuore lo sente, l'anima lo intende,le fibbre sussultano al fremere delle corde, all'urto dei tasti; tutte quelle armonie ti sembrano discendere da misteriose regioni a portarti il saluto o il gemito di creature lontane a cui ti lega la memoria e l'affetto.....
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Lo stare in famiglia non significa abbandonarsi alla maleducazione. Se siete di quei mariti che criticano le mogli in vestaglia e bigodini, avete un motivo in più per dare il buon esempio ed essere inappuntabile. Senza contare che una barba non fatta vi invecchia e vi dà l'aria malata: se siete appena un po'vanitosi non dovete assolutamente trascurarvi in questo modo col pretesto di "mettervi in libertà". Farsi la barba una volta al giorno non sempre basta, specialmente per chi ce l'ha molto dura e scura. La sera, soprattutto se avete qualche impegno, dovreste farvela una seconda volta: col rasoio elettrico non vi costerà molto tempo né molta fatica. E un goccio di lozione dopobarba (o after-shave), a operazione compiuta, vi darà una sensazione di gradevole freschezza. Chi ha la barba un po' ruvida, non se l'accarezzi in continuazione. Quella carezza in realtà è un po'rumorosa e potrebbe infastidire chi sta vicino. Se avete la barba lunga o avete intenzione di farvela crescere, ricordatevi che l'onor del mento ha bisogno di cure come un giardino. Una barba ispida e mal curata dà una sgradevole sensazione di sporcizia.
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Dunque segregarsi no, ma neppure abbandonarsi intere alla corrente che vi esilia dal dolce nido, dalla quieta solitudine, dagli affetti fedeli. Abbia, la signora, il suo giorno di ricevimento, che le assicura libertà in casa propria per gli altri sei giorni della settimana; non manchi alle visite d'obbligo, d'augurio, di ringraziamento d'ossequio, se il marito ha qualche superiore ammogliato: ma riduca allo strettamente necessario il suo intervento quando ha la scelta tra andare e rimanere, e preferisca i salotti dove la società è più seria e più scelta. Se va ai balli, non vi rimanga sino alla fine, e se il marito le permette di ballare, non abusi della concessione. Ai teatri non faccia delle toilettes audaci in modo da farsi confondere con certe signore con le quali non deve avere nulla di comune. Non sia un'assidua delle passeggiate eleganti che sono in realtà gare di seduzione, di lusso e di civetteria : nei ritrovi sia amabile con tutti, ma si guardi dal dimostrare una preferenza, anche se determinata da sentimenti innocentissimi, verso questo o quel cavaliere. Non si apparti mai con uno di essi: mostri di ricercare più che altro la compagnia delle signore e sia affettuosa e gentile verso il proprio marito, non imitando certe donne, le quali, pur essendo buone e tenere mogli, affettano in società un contegno sdegnoso e leggermente beffardo di fronte al loro compagno, e per timore d'un ridicolo che non esiste se non nella loro mente fatua, cadono nella sconvenienza. Del resto, anche per ciò che riguarda la vita mondana, dovrà la giovine signora mettersi perfettamente d'accordo con lo sposo, secondare i suoi gusti e le sue abitudini. Nessun sacrificio le sembri di soverchio grave, pensando che l' amor vero è tale tesoro nell'esistenza che non si acquisterà mai a troppo caro prezzo.
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Le insegni a detestare la menzogna, ad amare la verità anche se aspra : a riflettere ma non a calcolare: ad abbandonarsi agli impulsi generosi ma a dominare energicamente l'istinto cieco ed egoistico. Le insegni ad essere buona per essere felice; ad essere piacente e graziosa, non per vanità ma per far più prezioso il dono di sè, per elevare con maggior facilità verso l'ideale le anime che l'avvicinano, che subiscono il fascino della sua. La innamori della semplicità, dell' attività, della vita sana e frugale. Secondi le sue inclinazioni per quanto può, e sopratutto non permetta che sull' unica base malsicura dell'amore edifichi tutto il suo sogno d'avvenire. Se l'amore lo sposo verranno, tanto meglio, ma pure additando questo ideale alla fanciulla come il migliore ed il più naturale, dovremmo procurare ch'essa possa sceglierne qualche altro se questo le vien meno. Una signorina è molto più libera, molto più padrona di se, oggi che nel passato. Ha più numerosi mezzi a sua disposizione per estendere la propria coltura, per rivolgere la propria attività a questioni, a opere, che un tempo non esistevano o non la interessavano affatto. L'educazione, l' arte, la beneficenza, gli impieghi, la scienza possono pure darle attività nobili, proficue a sè e agli altri, consolazioni non inutili alla solitudine della sua vita futura. Avvezziamo dunque le fanciulle a contare sopratutto su loro stesse; ripetiamo loro che moralmente e materialmente l'unica cosa essenziale nella vita è quella di operare il bene, in qualunque sfera ci aggiriamo, in qualunque modo Dio permetta ai nostri sentimenti e alle nostre attitudini di esplicarsi.
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E vi possono essere mariti così impulsivi, così poco delicati, da abbandonarsi a commiserazioni e a rammarichi nell' ora stessa in cui possono valersi dei loro nuovi diritti. Ma una donna che ama perdonerà, raddoppierà di tenerezza e di fervore; saprà sempre trovare nei tesori della sua anima e del suo pensiero la parola magica che quieta e risana. « No — ella dirà al suo sposo — tu non devi dolerti di non avermi incontrato prima, di non essere stato il mio primo amore. Perchè è assai più difficile riaccendere una lampada priva ormai di alimento che accenderne una pronta per la festa: è più difficile cancellare, ricostruire, riattaccare pazientemente e solidamente ogni filo per una nuova tessitura, che dipingere su una tela fresca, edificare e tessere con elementi intatti. Vedi, io nasco oggi, la mia vita incomincia da questo momento e sei tu che me l'hai data... »
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Si ha una sola giovinezza, un solo destino, una sola possibilità di abbandonarsi interamente e onestamente all' amore ! La donna, nella nostra società, è come un giocatore che dovesse arrischiare tutto il suo patrimonio su una carta e non avesse che un' unica probabilità di averla buona. Se un uomo si avvede d'avere scelto una professione disadatta al suo temperamento, di aver seguito un corso di studi o un metodo di vita non conformi ai suoi ideali o alla sua salute, li può cambiare o modificare anche in piena maturità. Un uomo ha facoltà di scelta, non solo, ma ha, si può dire, in mano sua parecchi destini. È come se avesse molte vite. Può pentirsi e ricominciare ; può assaggiare molti amori prima d'eleggere l' amore sovrano. E non ci perde nulla : e se ha energia e attività può rinnovarsi fino all' estrema vecchiaia. Mentre noi non possiamo scegliere il nostro destino, e l' esperienza ci viene soltanto quando la nostra sorte è fissata per sempre. La nostra esistenza è una via monotona e dolce, ma unica, a meno di non lacerarci fra i dirupi dei sentieri obliqui.... Se il colpo fallisce, la nostra vita intera è mancata ! » Vi è del giusto, ma non in tutto. Intanto la vita della signorina moderna, la sua libertà d'istruirsi, di dedicarsi a quello che si accorda meglio coi suoi gusti e col suo temperamento le dànno maggior modo di osservare, di riflettere, di farsi un' esperienza sufficente il più delle volte per non errare nelle sue preferenze e nella sua scelta. Credete pure, che quando una signorina oggi si trova ingannata e tradita nelle sue aspirazioni, non è per colpa degli altri ma di sè medesima, che non volle o non seppe riflettere abbastanza, tener conto degli indizî sfavorevoli, secondare il suo senno, seguire gli altrui e i propri avvertimenti. La seduzione d'essere amata, d'una posizione indipendente, della ricchezza, di cambiar vita e abitudini, la decidono, quasi sempre, a fissare il proprio destino, più che l'amore vero. E in quel momento supremo, quando è arbitra di sè, non pensa, allora, che si vive una volta sola — come lo penserà disperatamente più tardi, quando non potrà più rifare la via già percorsa. E appunto perché per lei la decisione della sua sorte è più grave, bisogna che in quel momento unico dell'esistenza raccolga tutto il suo coraggio, tutta la sua ponderatezza per disporre di sè. Certo, un'idealità sfumata, una vocazione perduta, un destino mancato, uno scopo fallito sono più dolorosi per la donna che per l'uomo, poichè la donna non ha dato solo una parte della propria personalità e della propria anima, ma la personalità e l' anima tutta : ed il ricominciare da capo, l' iniziare una vita nuova, anche nei casi in cui le è possibile, le riesce più arduo e penoso. Poichè si vive una volta sola procuriamo dunque che la nostra vita sia proficua, anche se limitata in un dato numero d'anni; ed ascoltiamo Montaigne che scrisse : « L'utilità del vivere non è nello spazio, ma nell' uso : può aver vissuto a lungo tale che pure ha vissuto poco. L'aver vissuto abbastanza sta nella volontà nostra, non nel numero degli anni. »
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Finalmente il pubblico italiano potrà abbandonarsi ad un entusiasmo espansivo senza che vi si mescolino nè il patriottismo malinteso, nè il meschino bollore delle parti politiche! Finalmente potrà assaporare la soavità di cotesto entusiasmo e di cotesta ammirazione come si fa di quelle gioie di famiglia e di quelle consolazioni ineffabili che si vorrebbero nascondere agli sguardi di tutti per paura di vederle diminuire col godimento degli altri! Finalmente senza dimenticare che l'Arte non ha patria e che sotto qualunque cielo apre il calice misterioso questo fiore divino e sacro all'ammirazione e all'adorazione degli uomini, il pubblico potrà sentirsi battere il cuore di quel palpito di egoismo spontaneo che ci fa tremare di commozione quando sappiamo una bell'opera artistica esser propria nostra e poter mostrarcene altieri! Cotesto palpito è un sentimento naturale che la ragione non soffoca. Passa tra quell'opera e il nostro spirito una corrente d'affetto impossibile a suscitarsi quando si tratta di cose straniere. Giacchè in tutto quel vario e splendido manifestarsi d'una idea vi è qualcosa che forma parte e sostanza di noi medesimi e la mente ed il cuore vi trovano riflessi così limpidi ed echi così perfetti di loro medesimi, che si veggono costretti lor malgrado a pensare intensamente, a ricordare e ad amare. Fra le squisite e magistrali bellezze della nuova commedia è appunto la netta e precisa espressione della nostra società quella che ne forma il prestigio e l'incanto maggiore. Invece di sentirci spostati; invece di rimanere semplicemente pubblico, come d'ordinario succede, entriamo con essi attori in qualche modo anche noi delle azioni che si svolgono sul palcoscenico; e cotal vivo ed efficace sentimento della realtà moltiplica cento volte il piacere dell'illusione e dell'effetto drammatico. Abbiamo detto azioni appositamente. I Mariti non camminano sulla falsariga delle altre commedie con un'azione principale intorno a cui si aggruppino le poche secondarie; invece ne menano quattro tutte di fronte con ammirabile arditezza, e non slegate, e non disordinate, ma strette insieme da una catenella d'oro che fa le veci dell'antica unità. II giovane autore aveva cominciato ad abituarci a certe uscite particolari di lui che facevano già presentire con sicurezza la maschia potenza del suo ingegno; ma nulla di quanto egli ha scritto presagiva il magnifico tessuto della tela comica dei Mariti. Dalla Missione della Donna in poi, che ha due o tre personaggi disegnati e dipinti con straordinaria sicurezza di mano (ma che pure ha durezze ed angolosità nella condotta dell'azione e stride alquanto nel colorito) Achille Torelli è andato sempre innanzi, non lo neghiamo, acquistando il valore ora nella forza del disegno, ora nella vigoria della espressione, ora nel modo di distribuire i suoi gruppi, ora nel modo di lumeggiarli con più verità e con maggior effetto. Però allorchè negli Onesti tentò un'azione più vasta e più complicata di quelle di prima, egli parve subito esitante, incerto, quasi impacciato della moltiplicità delle fila volute mettere in opera per tessere la sua tela. E malgrado quella larghezza di fare che si notò nell'insieme, malgrado certi tocchi nuovi e delicati che diedero nell'occhio in alcune scene, nè il concetto d'essi sembrò felicemente trovato, nè l'esecuzione efficacemente raggiunta, come dicono i pittori, Si temette anzi un possibile traviamento per troppo studio di originalità; una tal quale ammanieratezza ed eccessiva eccezionalità cercata ne' personaggi; e tra i pregi soliti di lui che li mancarono quelli che per la prima volta vi facevan capolino, la bilancia non stette in bilico, ma traboccò in favore dei primi; cosa che a molti dispiacque. Oggi che possiamo volgere sugli Onesti uno sguardo in distanza, noi vi scorgiamo facilmente quell'inquieto ricercare della fantasia dell'artista, quell'incerto intravvedere d'una forma o affatto nuova, o più precisa ed adatta alla rivelazione del concetto, che soglion precedere sempre l'apparizione d'un'opera fuor del comune. Ma nemmeno queste postume riflessioni valgono a darci la chiave della nuova commedia del giovane napolitano. I Mariti mostrano la maturità di pensiero e la tranquillità d'esecuzione propri soltanto d'un ingegno provetto e già molto addentro nei più riposti misteri dell'arte. Quelle figure hanno un'espressione cosi profonda di verità; quegli avvenimenti scorrono e s'intrecciano con tanta naturalezza e con semplicità sì stupenda, che tu sperimenti subito il più grande effetto dell'arte, quello di dimenticare perfettamente l'artista. Noi non ci proveremo a dare nemmeno un disegno a profilo di questo lavoro grandioso come un poema e gentile come un idillio. Ci contenteremo d'accennare i tratti più eccellenti, di fermarci con lieta compiacenza dinanzi ad uno o due dei gruppi principali che si staccano con più vivace rilievo dal resto delle figure; ed augureremo a' lettori che non hanno visto la commedia il piacere di trovar meschine queste nostre parole d'elogio.
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Paolina, che potrebbe abbandonarsi nelle braccia di Massimo è trattenuta dal culto per la sua bimba morta sulla tomba della quale ella si reca con Massimo a piangere e pregare. «L'autore dell'Abbandono e delle Macchiette, possiede oltrechè una intuizione felicissima nel tratteggiare i caratteri, una stupenda tavolozza per dar risalto alle figure e all'ambiente nel quale le fa muovere e agire. E però reputo che la lettura di questo nuovo suo libro piacerà senza dubbio a tutti, perchè non soltanto è dilettevole, ma pure naturale.» Dall'Alabarda Triestina (Luglio 1888).
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Avete mai notato che gli uccellini hanno ore determinate per abbandonarsi ai loro più sfogati gorgheggi ? Avete mai notato che sentendo parlare nella stanza dove si trovano, essi alzano la voce quasi volessero dire alle persone: Voi non sapete cantare come noi? So parecchie storielle di uccellini; ve ne racconterò qualcuna; comincio con la storia delle mie capinere. ***
Le giovani signore non possono fare questo simpatico chiasso, nè sorvolare come farfalle, nè abbandonarsi a tante danze, se no, sembrerebbero tante pazze o delle dame ridicole: esse debbono, al ballo, rappresentare la suprema beltà, la suprema squisitezza, ma debbono passare a traverso le feste come Dee, non saltellare, come le fanciulle. Un ballo, senza signorine, tutto può essere, salvo che allegro: e se è allegro, non allegro bene.
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Ripetiamolo ancora una volta, ed in questo diamo ragione ai poveri mariti, che sono costretti a fare da cariatidi sotto le porte, mentre le mogli danzano, passando di cavaliere in cavaliere; le signore vanno al ballo, per apparirvi, per passarvi, quali sorridenti dee, per lasciare un susurro di ammirazione dovunque trascorre la loro bella persona, ma non già per abbandonarsi completamente alla gioia troppo puerile della danza. Lo scopo della danza è, anzitutto, un esercizio fisico di grazia e di gaiezza, di cui le signore non hanno nessun bisogno, ed è secondariamente, il permesso di filare, di flirtare. di amoreggiare, ingenuamente, di cui io suppongo, io credo fermamente, le signore non debbono aver più bisogno. Escludendo le ragazze, le signore rinunziano ad una cornice, che vieppiù farebbe risaltare la loro bellezza, e ingenerano una monotonia di espressione al ballo, che è nemica di ogni successo: escludendole, dimostrano anche varie cose tutte poco graziose, per esse signore maritate. Prima di tutto, le maritate hanno l'aria di non sentirsi più giovani, e di temere, fortemente, la concorrenza delle zitelle. Secondariamente, esse offendono le loro sorelle, le loro amiche, le loro parenti, ancora fanciulle, non ammettendole ad un divertimento, che, quasi quasi, si può dire riserbato solo alle giovanette. Terzo, hanno l'aria di voler accaparrare i corteggiamenti, naturalmente innocenti, de' giovanotti, tutti per esse. Quarto, e questo mi sembra impossibile in una società per bene, hanno l'aria di voler essere troppo allegre, di voler fare discorsi che le signorine non possono ascoltare, e via via dicendo, non oso di continuare. Se le signore maritate fossero veramente furbe, e sapessero fare i loro interessi mondani, dovrebbero, viceversa desiderare ampiamente la presenza delle fanciulle, per potersi affermare più belle, più attraenti, più irresistibili, ed anche più libere nella folla, nella confusione del ballo, di esercitare, con tutta innocenza, io credo, le loro seduzioni.
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Infine, eccoci a quel simpatico periodo dell'anno, che i francesi chiamano, con frase molto efficace, la trève des confiseurs; essi vogliono indicare, con queste parole zuccherine, quei giorni che passano, fra il quindici dicembre ed il sei di gennaio, tempi in cui si fa tregua ad ogni noia, ad ogni disgusto, ad ogni preoccupazione, per abbandonarsi alle tenerezze natalizie e di Capo d'Anno, tenerezze che sono rappresentate dai doni, principalmente, e i doni sono principalmente rappresentati da' dolci; dunque trève des confiseurs, tregua dei confetturieri, cioè riassunto delle affettuosità annuali, troppo dimenticate e troppo trascurate, in una somma breve e intensa di affettuosità. I francesi hanno usi leggermente diversi dai nostri, perchè essi, imitando i tedeschi, fanno l'albero di Natale e non fanno il presepe, mentre da noi, nelle provincie meridionali, il presepio gode assai più grande popolarità. l bimbi francesi mettono la scarpettina, sotto il camino, la vigilia di Natale, e i nostri bimbi mettono una calzetta, la notte dell' Epifania. Il colmo dei doni francesi si riunisce nel giorno di Capo d'Anno, giorno più o meno fatale, secondo la capacità delle borse, mentre, da noi, i doni alle persone grandi si usano, sì, ma non generalmente e non hanno un giorno ben determinato. Ed è quest'ultimo costume, che dovrebbe acclimarsi più largamente tra noi: vale a dire, che ognuno, nella misura del suo affetto e dei suoi denari, doni qualche cosa alle persone che ama. Non solo i bimbi sono felici di aver de' doni, ma tutti, più o meno, abbiamo un delicato piacere nel ricevere, un delicatissimo piacere nel dare. È vero, che i bimbi hanno studiato, si son condotti bene tutto l'anno, hanno sopportato, con pazienza, le loro piccole indisposizioni, hanno prese le medicine, hanno rinunziato, senza mormorare, a ficcarsi le dita nel naso; ed è anche vero che il bambino Gesù viene per essi, e che il Capo d'Anno è, sopratutto per essi, una data gioconda, perchè i loro anni sono pochi; ma, Dio mio, anche i grandi, durante l'anno, si sono seccati, ed hanno sofferto, hanno ingoiato pillole amare, hanno usato un'interminabile pazienza nei disgusti dell'esistenza, e un certo premio anche lo meritano. Il bimbo Gesù viene pure pei grandi, ed è apportatore di consolazione, di amore e di benessere; e se il Capo d'Anno è una data un po' triste, pei grandi, perchè non rallegrarla, con qualche dono gentile? Il valore, poco importa, ma l'uso delle strenne da Natale a Capo d'Anno, dovrebbe diventare più popolare, più largo fra noi: procurare una gioia, anche fugace, alle persone, che noi amiamo, non è, infine, fare un dono anche a noi stessi? Sorridere di un sorriso, quale cosa ineffabile!
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con voce rotta, quasi per abbandonarsi.
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