Generalmente allo sbadiglio va unita una contrazione del muscolo, alla quale uno, quando può, si abbandona, perchè reca sollievo; il reprimerlo in pubblico richiede una certa forza che non sempre si riesce ad avere. Il sollievo che segue allo stiramento delle braccia dipende da ciò che, contraendosi i muscoli, veniamo a mettere in moto una certa quantità di sangue che era come stastagnante nelle vene. Cio aumenta la pressione del sangue e rende più forti le pulsazioni del cuore, e ci toglie dalla depressione in cui ci trovavamo. A sbadigliare e stirarci non si impara da nessuno; i bambini quando si sfasciano, spessissimo li vedi sbadigliare e stirarsi anche nei primi giorni della vita.
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Altre volte anche l'uomo ride più del bisogno per mostrare che i suoi denti sono di una spiccata bianchezza, o abbandona in mostra con artificiosa indifferenza la sua mano, perchè affilata ed elegante. Anche l'uomo, che ha libato le gioie della gloria, non dimentica sempre le umili compiacenze della vanità, e, abbandonandosi ad un cinismo esagerato nel modo di vestire e di camminare, ride di cuore nel vedersi osservato e mostrato a dito. Più d'una volta anche i grandi uomini si pongono a studiare davanti allo specchio il disordine dei capelli e il ridicolo nodo della cravatta, e a bella posta sbagliano l'ordine dei bottoni nell'allacciare la giubba. La vanità morale è meno definibile della precedente, ma non è meno ricca di gioie e di colpe. Nei gradi minori l'uomo non fa che compiacersi in modo esagerato delle lodi che vengono tributate alle doti del suo cuore; mentre nei gradi massimi egli esagera il merito delle sue buone azioni, oppure le compie per il solo scopo della lode, arrivando ad una vera ipocrisia del sentimento. Ogni affetto buono o cattivo può avere le proprie vanità; e sebbene in questo campo le gradazioni per le quali si passa dal bene al male siano infinite, pure sappiamo benissimo determinare i confini che separano la fisiologia dalla patologia. L'uomo che al caffè getta con studiata indifferenza una carta moneta al povero che gli chiede l'elemosina, e si compiace della meraviglia che desta negli altri questa non comune liberalità, prova un piacere patologico. Così pure l'altro che tiene sul proprio tavolo le lettere che ha ricevute da forse un mese, per far credere che le ha tutte ricevute nella giornata, è colpevole dello stesso peccato del primo. Così l'uomo che fugge con orrore dall'innocente uccisione di un pollo, destinato forse a comparire sulla sua tavola, e l'altro che non vuol esser chiamato conte, e, quasi per dispregio, fa mostra del proprio blasone nel luogo più ignobile della sua casa.
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Per lo più si combinano fra loro in diversi modi in uno stesso individuo, il quale non si abbandona alla coltura di un ramo speciale, se non quando spera una raccolta maggiore di frutti. Allora egli arriva qualche volta a sagrificare germogli minori della stessa pianta, onde la gemma prediletta abbia a crescere più rigogliosa. La nostra coscienza e l'opinione pubblica ci fanno decidere nella difficile scelta. La pianta della vanità, essendo perenne e molto vivace, pullula sempre teneri rampolli anche nei tronchi recisi; per cui, quand'anche possa presentarsi un sol tronco ben alto e diritto, esso è circondato presso a terra da una famiglia di polloni che gli fanno corona. Così la donna che, dopo aver consultato se stessa, ha trovato che il suo cuore e la sue mente promettono assai poco, si dedica in modo speciale alla vanità fisica; tanto più che la bellezza è nel suo sesso più apprezzata, ed ella si è già persuasa che la turba che applaude o fischia sarà più pronta a ricompensarla di un voluttuoso piegar dei fianchi, o della studiata posa di una gamba accavallata sull'altra, che per i tesori più preziosi della mente o del cuore. La vanità in tutte le sue forme è sempre fatale alla vita del cuore, il quale intisichisce e muore. La donna che vuol piacere a tutti non può amare alcuno, e quando l'uomo le domanda il cuore, ella non sa trovarlo, perchè l'ha tagliuzzato, e ne ha dato un briciolo a tutti i suoi adoratori. Più di una volta essa si accorge del vuoto, e pone in luogo del prezioso viscere che ha sperperato, un cuore artificiale di cartapesta o di gomma elastica, che giunge talvolta ad ingannare gli uomini di corta vista. Questi cuori, se non altro, hanno il vantaggio di saper resistere alle intemperie e di non invecchiare mai. Che il cielo pietoso ce ne tenga lontani! Queste gioie sono di tutte le età, ma la vanità fisica naturalmente non può brillare che nella giovinezza, senza correre il rischio di farsi deridere anche dai fanciulli. La altre due varietà invece si sanno coltivare meglio nell'età adulta. La civiltà è molto favorevole a queste passioncelle, le quali, essendo bizzarre e capricciose, trovano nei magazzini della moda sempre nuovi abiti per mascherare un fantoccio che è continuamente lo stesso. Le gioie della vanità si nascondono con tale artificio, che la loro fisonomia è poco conosciuta. Qualche volta però brillano di tanta luce, che gli occhi si fanno scintillanti, e tutta la fisonomia ne è raggiante. Spesso l'espansione del piacere è irrefrenabile, e l'uomo vano, tornando nella propria camera, si soffrega le mani, ride col proprio specchio, e si abbandona alla più sfrenata allegria, sghignazzando, saltando, gesticolando, parlando o canticchiando.
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Dapprima incerta e piccina, la smania di possedere diventa grande, grandissima, gigantesca; palpiamo amorosamente la moneta per un istante, ma essa si allontana, e ci abbandona per correre in altre tasche, che l'attendono impazienti, ma dalle quali spiccherà presto un altro volo. Non è che l'avaro il quale arresta il corso dell'elemento il più volubile e il più mobile, e chiudendolo nei suoi robusti scrigni, lo castiga dei lunghi viaggi. Nè l'immagine è iperbolica o falsa, perchè l'avaro, nella sua gioia di possedere, sente una vera compiacenza nell'arrestare il movimento delle monete. Per lui il denaro è vivo, e tiene con esso lunghi e misteriosi colloqui, perchè egli lo ama con trasporto e con delicatezza, come un amico, come un amante, e lo adora come dio della forza e della potenza. L'avaro è generalmente sempre vecchio; e s'egli ha i capelli neri e la pelle ancor fresca, è un mostro rarissimo, nato senza affetti. Egli ha già veduto tramontare l'uno dopo l'altro i soli della giovinezza, e le pallide gioie che risplendono ancora d'una luce fioca nel suo oscuro orizzonte non gli bastano. È allora che diventa avaro, e, raccogliendo i frammenti sparsi delle sue rovine morali, li appoggia sopra un sostegno ancor caldo, che comunica loro vita e calore. È il sentimento della proprietà, portato al delirio e sostenuto dall'onda del sagrifizio e dalla veemenza dell'affetto. La rabbiosa tenacità della vecchiaia, che non lascia mai cadere dai suoi artigli di ferro ciò che una volta ha afferrato, si accompagna coll'impeto della passione e coll'ardore del desiderio giovanile. Questo astro è l'ultimo sole che illumina i giorni estremi della vita, e tramonta con essa, brillando sempre d'una luce tanto più viva quanto più è vicina a spegnersi. L'uomo che aveva veduto fino allora nel suo cielo tanti astri, non vede altro che un unico sole; e se prima, nel culto de' suoi piaceri, era stato politeista, diventa ora deista puro e semplice. Le gioie dell'avarizia sono, in generale, più coltivate dall'uomo che dalla donna. Non saprei dire se gli antichi avessero un numero maggiore o minore di avari. L'abitudine al commercio predispose a godere di questi piaceri morbosi, e si può dire con sicurezza che gli Ebrei, i quali da lunghi secoli dovettero attenersi all'unica professione del traffico, devono a questa circostanza l'accusa tradizionale e verissima, salvo onorevoli eccezioni, di una continuata ed esosa avarizia. L'influenza di questi piaceri è pessima, e i sentimenti più nobili muoiono nel clima polare nel quale cresce prosperosa l'avarizia, che è la pianta più nordica che si conosca, eccettuando forse l'egoismo, del quale è degna sorella. La sua fisonomia è calma, e si esprime con sorrisi glaciali o con uno sghignazzare stridente. La mimica dell'avaro si concentra, del resto, quasi tutta nell'occhio che si bea de' raggi dorati, e nella mano che palpa intenta i dischi metallici.
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Quanto più l'anima si affina e tanto più addentro sente le naturali bellezze, alla cui dolcezza si abbandona.
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Il viaggiatore, che abbandona precariamente il suo posto nella carrozza, ha diritto di occuparlo di nuovo purchè vi abbia lasciato un oggetto qualunque. Le armi da fuoco non si possono introdurre nelle carrozze se prima non venga riconosciuto che siano scaricate. I cani piccoli si possono portare con se, col patto però che stiano sulle ginocchia del padrone e che i viaggiatori consentano.
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Il gentiluomo non abbandona al disordine dello studiolo o della scrivania, le lettere che riceve; ma le chiude gelosarnente o pure le distrugge. Come si parla imprudentemente, cosi qualche volta si scrive imprudentemente. Ci sono delle creature deboli, dagli scatti invincibili del sentimento, che cedono all'emozione del momento e trovano un conforto nel disfogarsi dicendo l'animo loro in una lettera a persona che amano e della quale hanno piena fiducia. Quelle lettere il più delle volte innocenti, se smarrite o lette da curiosi, possono essere causa di guai e do: lori a non finirne. Il gentiluomo ne ha cura come di cosa sacra; o pure le brucia, appunto come si bruciano le cose che non devono cadere in mano degli indifferenti o dei profani. Il gentiluomo non apre che le lettere dirette a' suoi figli quando ancora sono di minore età; dopo, no. Le lettere dirette alla moglie non le apre mai nè le legge se le trova aperte, senza il di lei invito o consenso.
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Chi abbandona la partita, prima che sia finita, la perde. Ma vince la partita il giuocatore che ha mangiato tutte le pedine e le dame nemiche, o che ha chiuso l'avversario.
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Qualunque giuocatore che abbandona la partita è dichiarato perdente. 12. Il giuocatore, se è di mano o no, che muove il biliardo, soffia, come spesso accade, su una palla, la tocca, o, in poche parole, disturba il corso naturale e la mano del giuoco, perde un punto, eccezione fatta di quanto è detto all'art. 8. 13. La carambola guadagnata in seguito ad infrazione, o a disturbo del giuoco, non viene contata. 14. I presenti facenti parte del giuoco, hanno il diritto d'intervenire, qualora vengano malamente o a torto computati i punti.
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La persona garbata del Terzo Millennnio non è (tanto) chi sa usare la forchetta per ostriche, ma chi non ha paura dei cambiamenti, non si abbandona alla pigrizia del: «Ho sempre fatto così», e nei rapporti umani e sociali si propone di non ferire la sensibilità altrui, non ostentare nulla, non essere intrusiva. Perché l'attenzione verso il nostro prossimo non è solo formalità, ma sostanza: cerchiamo di averne un po' di più, e la nostra quotidianità sarà senz'altro migliore. Conoscere le buone maniere e saperle usare nei momenti opportuni fa anche bene all'autostima, perché aiuta a sentirsi sicuri di sé, affrancati dall'angoscia del: «Che cosa posso dire?», «Come devo comportarmi?», «Sarò vestito/a in modo adatto?» Senza contare che solo conoscendo le regole, e applicandole abitualmente, possiamo comprendere il raffinato piacere di infrangerle ogni tanto, di goderci qualche trasgressione, magari con la complicità degli amici o del partner... Ecco allora regole, consigli, modi e atteggiamenti per stare bene con gli altri (e fare bella figura, il che non guasta) da seguire tutti i giorni, feriali e festivi - non esiste una buona ragione (e un momento giusto) per essere maleducati! - tutto il contrario del cosiddetto «bon ton», stile di facciata, fatto di maniere apparentemente perfette e di sostanza pessima. L'eleganza non è una moda, ma è un modo di essere (e di agire) non alla leggera, ma con leggerezza, per non cadere nel ridicolo dell'affettazione e della leziosità. È vera buona educazione, che viene dal cuore, e rifiuta la retorica della naturalezza a tutti i costi, o della volgarità come espressione di libertà; perché non è vero che ogni forma di self- control sia una censura. Tanto più che gli esempi sono sotto gli occhi di tutti, dal momento che in questi anni di predominio quasi incontrastato, i maleducati non hanno dato buona prova di sé: li vediamo ripetitivi, prevedibili, a lungo andare noiosi. E non certo più felici. Perché le buone maniere sono una forma superiore di intelligenza. E infatti «le persone intelligenti sono sempre gentili»: lo diceva Jean-Paul Sartre.
Avere in essa una fiducia che rasenta il feticismo, e nessuna nelle proprie forze di reazione al male, per cui ci si abbandona solo alla virtù dei farmachi, nemmeno i medici lo ammettono, anzi sono essi che fanno conto sulle energie e la buona volontà dei pazienti di vincere, lottando animosamente finchè possono. Dal medico si vada dunque sereni e fiduciosi, senza attendere che il male assuma forme inquietanti; non si esageri nell'esporre il proprio caso, e ci si dimostri sinceri con lui, chiari e precisi, mettendo da parte quell'indeterminatezza che è caratteristica di chi non sta perfettamente bene. Tutta la verità si deve dire, anche se penosa. Da parte della donna i falsi pudori sono quanto mai condannabili; del resto se una signorina si farà accompagnare dalla madre, una signora andrà dal medico accompagnata dal marito e la visita avverrà alla presenza, rispettivamente, o dell'una o dell'altro. Se il marito è assente, o impossibilitato per qualunque ragione, la signora sceglierà a compagna una donna. Quando la cura si prolunga, bisogna essere discreti e non attaccarsi al telefono per i più trascurabili disturbi, esigendo magari che il medico corra come se si fosse in fin di vita, mentre invece non c'è alcun bisogno della sua presenza. Si seguano le prescrizioni di buona grazia, con intelligenza e quando si ha bisogno dell'uomo della scienza per i nostri figlioli o per i familiari si sia scrupolosi nell'osservanza di ogni indicazione, e ci si mantenga calmi, creando intorno al malato un'atmosfera di tranquillità e di fiducia. Il medico che mette al servizio del proprio cliente il suo sapere e la sua esperienza va trattato con ogni deferenza, e se un consulto si rende necessario, d'accordo con lui si definiscono le modalità per il consulto stesso, come d'uso. La donna che sente l'animo aprirsi alla speranza di una maternità, non esita ai primi sintomi di consultarsi con una brava ostetrica, e per la scelta si farà guidare da qualche amica che abbia la propria specialista di fiducia. Raccolto il responso positivo, e non avvertendo alcun fenomeno inquietante, si lascerà guidare dai consigli dell' ostetrica stessa, quando non voglia per maggior prudenza, d'accordo col marito, consultare un professore specializzato. Così dicasi per ogni cura di spettanza della scienza ostetrica.
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E quasi sempre, abbandona
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Non sempre la magnanima rassegnazione accompagna i molti patimenti del povero, e talora ei si abbandona alla disperazione e maledice la giustizia e i capricci della sorte; ciò nondimeno voi non dovete mai respingerlo col vostro disdegno, istigarlo coi vostri rimproveri, accusarlo se non sa vincere la debolezza di guardare con occhio invido i beni di cui la fortuna vi ha dato larga copia. Sventuratamente l'ingratitudine è un vizio molto comune all'umanità, e si annida nell'animo, generatavi da vano orgoglio o da un sentimento anche più abbietto; ed allora lo inaridisce, lo deprava, e gl'impedisce di sentire alcuna rinoscenza dei benefizi di cui una mano amica si dà premura di ricolmarlo. Per l'esercizio della beneficenza vi avverrà certamente d'incontrare spesso degl'ingrati; ma non vi pentite mai di ciò che fatto avrete per essi; chè anzi farete ciò che a voi s'appartiene alleviando i patimenti dei vostri simili, e la memoria delle vostre buone azioni lascerà sempre al cuor vostro una bastevole e soave ricompensa. Osservate il precetto del Vangelo: soccorrere il povero senza che l'una mano sappia quello che l'altra avrà dato; e dovete massimamente usare molta delicatezza verso i poveri vergognosi, le donne timide e i novizi nel crudele tirocinio Nel crudele tirocinio, nel crudele esperimento. della povertà. Questi sventurati, rattenuti da un sentimento superiore a quello della fame, morirebbero sul loro meschino giaciglio piuttostochè andare a stendere la timida mano per implorare una carità incerta; ma voi sappiate prontamente far verso di loro quei passi ai quali non sareste obbligate se non fossero in così deplorabile stato, e studiatevi di confortari, con riguardi e premure sollecite: e recando sollievo al loro infortunio, badate che per cagion vostra il rossore non abbia a coprire la loro fronte. Vi sono peraltro molte miserie, a cui non è possibile recar soccorso segretamente; ed allora unitevi con spontaneo e modesto zelo a quelle pie associazioni, che hanno per oggetto di soccorrere il prossimo; siate prodighe dei vostri consigli e degli averi che a tale oggetto potete destinare, e non vi lasciate mai scoraggiare dalle difficoltà dell'impresa o dai sarcasmi dell'avarizia. Dobbiamo: Mostrarci benevoli verso gli sventurati; soccorrere la miseria senza umiliarla; tenere occulti i benefizi, e farli con accorta delicatezza quando si tratta di poveri vergognosi; far parte volentieri ed efficacemente delle associazioni caritalive. Non dobbiamo: Contentarci di fare sterili elemosine; offendere la sventura con insolente e stolta arroganza; nè rinunziare all'esercizio della beneficenza ancorchè talora avvenga che sia corrisposta da ingratitudine.
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.° Tra le attitudini ridicole « singolarmente significante » é una testa, che, mal potendo reggersi » sul collo, si abbandona affatto penzoloni sul » petto; le labbra mezzo aperte lasciano a grado » suo pendolo anche il mento, gli occhi sono incavati, » mezzo velati dalle palpebre, le ginocchia » un po' piegate, il ventre sporgente, i piedi » volti in dentro, le braccia spensolate, sciolte o » imbisacciate nelle tasche dell'abito. Chi non indovina » a prima vista in questi lineamenti un' anima » senz'attivita, senz'energia di sorta, o per » dir meglio un corpo senz'anima, dove non è più » alcun vigore a contrarre i muscoli e reggere e mover » le membra come conviensi? Appena la più » stupida umana creatura può atteggiarsi in cotal » guisa priva d'animo e d'ogni attiva significazione ». Idem Faccio uso dell'elegantissima traduzione del signor dottor Rasori. 2.° V'ha chi nel sedere
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È una piccola regola conosciuta solo dai veri gentiluomini, ma è molto chic: alzarsi in piedi quando una signora abbandona la tavola, come in una scena di Pretty Woman al ristorante.
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Per fondamento di vera fede dobbiamo tenere e credere che Dio, come benigno e pietoso padre, ha cura di noi, come ottimo governatore del mondo è sollecito di tutte le creature, e non abbandona mai chi ha vera fede in Lui. E quantunque l'uomo sia peccatore, nondimeno sempre Dio gli mostra la via della salute e prestagli tempo di tornare a penitenza: onde niuno, o giusto o peccatore che sia, si deve mai turbare di cosa che avvenga, se non quando per la colpa abbia macchiata l'anima ed offeso Dio col peccato.
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Una fanciulla gentile non istà seduta tenendo le gambe distese ed incrocicchiate l'una sull'altra, e tanto meno ne mette una sul ginocchio per aver che fare nella scarpa o col piede ; non cava le scarpe per riscaldare le estremità dei piedi al camino, o per qualunque altro motivo alla presenza di chicchessia ; li lava sovente, massime d'estate, e rinnova spesso ai medesimi le calze e gli scarpini, onde non ammorbare col loro puzzo il luogo ove dimora, ed essere altrui di nausea; non si abbandona sulla sedia prendendo un atteggiamento ozioso, facendo pendere il corpo all'indietro. Non s'accoscia per terra, massime se ha le vesti corte, e tanto meno si siede come fanno alcune spensierate fanciulle senza aversi alcun riguardo, perché tutte queste cose non solamente sono incivili, ma ancora indecentissime. Nel camminare per la via od altrove non va troppo celere nè troppo lenta, quasi per farsi ammirare, imperciocchè è questo contrario alla modestia ; non dimena la persona in andando, perché la è cosa che non va bene; sì guarda dallo scalcagnare chicchessia, principalmente dove evvi folla eli gente; non vi dirò del trar calci, che è cosa da mulo, nè dello scorazzare per via od altrove in modo da assomigliarsi a zanzeri, non del dare il gambetto, ché una garbata e buona fanciulla non fa neanche per ridere, imperciocchè questo tratto, oltre d'essere molto inurbano, è anche pericoloso. La buona ragazza non zoppeggia per canzonare altro; che abbia questo difetto, perchè è ingiurioso e contrario all'amore del prossimo.
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Le signorine, invece, hanno una lietezza a tutta prova, non s'incaricano di nulla, ballano con tutti, scherzando, trovando amabili tutti i loro cavalieri, per uno che le abbandona, sanno che ne troveranno dieci in cambio, trovano sempre grazioso il cotillon, non vanno al buffet se non per mangiucchiare dei dolci e intingere appena le labbra nello champagne, e dappertutto portano questo brio e questo entusiasmo, che sono il fascino di un ballo. Le giovani signore non possono fare questo simpatico chiasso, né sorvolare come farfalle, né abbandonarsi a tante danze, se no, sembrerebbero tante pazze o delle dame ridicole: esse debbono, al ballo, rappresentare la suprema beltà, la suprema squisitezza, ma debbono passare a traverso le feste come Dee, non saltellare, come le fanciulle. Un ballo, senza signorine, tutto può essere, salvo che allegro: e se è allegro, non è allegro bene.
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L'amor proprio, che non abbandona gli uomini se non quando essi abbandonano la vita, fa loro temere sopra ogni altro male la derisione, e scuote loro didosso l'indolenza, e delle più care follie gli spoglia per non rimanere esposto ai frizzi del ridicolo, il che spesso non ottiene la più lampante verità ed agguerrita ragione. Se Aristofane avesse dato agli Ateniesi in una concione quegli ammaestramenti che diede loro nelle commedie, l'avrebbero tagliato a pezzi; laddove in teatro ridevano smascellatamente e dicevano ch'egli aveva ragione. Benché i Gentili avessero veduto Cicerone assalire l'edificio dell'idolatria con armi prestategli dalla filosofia, pure non sapevano indursi ad abbandonarne i tempii. Comparve in mezzo d'essi Luciano, il quale fece la guerra al gentilesimo col motteggio, e se non ne distrusse gli altari, ne disperse in gran parte gli adoratori. ll buon senso aveva già proscritto le pazzie cavalleresche in Ispagna, pria che nascesse Cervantes; ma quella nazione non riuscii a spogliarsene se non dopo che egli ebbe presentato al pubblico il suo ridicolissimo Don Chisciotte. Tanto é vero ciò che dice Orazio:
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Se il consumatore turbato nelle sue consuetudini o stizzito delle vostre pretese si pone in isciopero anch'egli ed abbandona i vostri prodotti? Se il pubblico che vi faceva vivere, invia d'or innanzi le sue commissioni ai fabbricanti stranieri? Non v'ha più alcuna legge che costringa i consumatori a provvedersi in paese. Non è molto, lo sciopero dei cappellai a Parigi diede origine ad una enorme importazione di cappelli inglesi e lo sciopero dei carrozzai fruttò commissioni rilevanti a quelli di Brusselle». (ABOUT, L'abbicì di chi lavora).
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Ella passa da un mondo all'altro, da una vita all' altra, e sarebbe bene per lei se nel suo ultimo sonno verginale potesse dimenticare tutto ciò che abbandona per non lasciare dietro di sè rimpianti quando si metterà in cammino. » Infatti il suo risveglio dopo la prima notte di nozze, somiglia al giungere dell'esploratore alla terra che aveva vagamente intraveduta, fervidamente imaginata di lontano, adornata, col desiderio, di tutti i tesori e di tutte le felicità. La riva della terra promessa è toccata: gli occhi l' hanno veduta nella sua realtà, i piedi l'hanno percorsa, la mente ha misurato, valutato il dominio. Più nulla di misterioso, più nulla di ignoto, più nulla di pauroso... La luce della vita avvolge la vergine fatta donna dall'amore, ed ella si guarda intorno ancora tremante un poco per la rivelazione sacra, ancora un po' confusa di avervi partecipato, ancora incerta sulle sue sorti future. O abbagliata da quella luce, se insieme al corpo ha dato con trasporto tutta l'anima; o sgomenta se si è solamente concessa, nel gran letto nuziale ell'è un po' come una naufraga che le azzurre e lucenti onde d'un mare immenso trasportano in loro balia. Azzurro e luce, sì, ma l'accecano, la paralizzano, ma le fanno turbinare agli orecchi ritmi nuovi, parole nuove. Ieri le pare già molto lontano, e la sua vita antecedente, piccola, oscura e ristretta. Nel suo dolce stordimento, la giovine sposa intravede obblighi, occupazioni, assai più gravi e più importanti di quelli del passato, il suo gaio e innocente passato che saluta senza rimpianto, come al meriggio si saluta il trascorso mattino. « La vita laboriosa e severa — scrive ancora il De Gubernatis — per la donna incomincia soltanto l' indomani delle sue nozze; la compagna dell'uomo allora ha una prima nozione del dovere, una prima conoscenza del dolore, e col dolore una prima iniziazione al culto dell' ideale. »
Quando una donna è madre, la si abbandona alla sua creatura o la si fa disertare. È una dolorosa ma indiscutibile verità che strazia e colma d'angoscia innumerevoli cuori di donna sensibili e amanti, divisi così tra il figliuolo e lo sposo. Da un lato un piccolo essere che esige il sacrificio di tutte le ore, che vuole una dedizione assoluta; dall'altro l'uomo che si adora, che non vuol rassegnarsi al secondo posto, che non vorrebbe nulla mutato nella dolce vita d' amore, e prega, e tenta, e trascina: oppure che si rassegna troppo presto, ritorna alle sue abitudini di scapolo, ancora recenti, infliggendo alla moglie un supplizio ancor più crudele. Che fare nel bivio? Molte donne sacrificano la maternità all' amore, affidando il bimbo ad una nutrice e riprendono tutte le abitudini della vita in due, quasi il piccolo nuovo venuto non significasse che un accessorio. E così fanno col secondo, col terzo, col quarto, con tutti quelli che il loro amore evocherà. Altre più coscienziose e più tenere verso il sangue del proprio sangue, si lasciano tutte assorbire dalle cure e dal nuovo sentimento d'amore che le piega verso la culla nei cui limiti circoscrivono oramai tutto il loro mondo e dimenticano tutto il resto a segno che la maternità giunge spesso a far loro sopportare senza troppe ribellioni la trascuranza e perfino l' infedeltà coniugale. È facile capire che questi due eccessi sono, come ogni eccesso, dannosi e biasimevoli. Un dovere non deve soverchiare l'altro, ma devono concatenarsi in modo, nella vita, da completarsi a vicenda, da comporne un bel tessuto armonioso. E tanto più trattandosi di doveri nati dall' amore, da due diverse manifestazioni d' amore ma entrambe care al nostro cuore. Nè il marito può tener vece d' un figlio ; nè un figliuolo potrà tener vece del marito: significa quindi che nell' anima e nella vita il posto c' è per tutti e due. Ed anche qui basterà mettere in opera un po' di solerzia, un po' di accortezza e molto cuore perchè nè l' uno nè l' altro soffra del nostro abbandono. Una giovine mamma può rinunziare alla società, ma non alla compagnia dello sposo se ricerca la sua, nè può negarsi a dedicargli tutto quel tempo in cui il suo bimbo non ha strettamente bisogno di lei. Così procurerà di mostrarsi sempre accurata ed elegante come una volta, anche nei suoi abiti più pratici, quali sono richiesti dalla sua maternità. Anzi una donna veramente innamorata e veramente intelligente, di questa maternità si comporrà un' aureola che le dia nuovo risalto e nuova seduzione agli occhi dell' uomo che la predilesse. Così la sua esistenza femminile sarà completa : così non si preparerà dei rimorsi per l' avvenire.
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Avviene poi che se questa genialità si avvizzisce in germe, il fanciullo divenuto adolescente si trova ad un tratto disorientato, estraneo alla vita comune, isolato: e, o si abbandona ad una vita disutile di piaceri, o s' ammanta nella sua passata notorietà come un piccolo re spodestato continuando ad essere altezzoso e borioso. Una vanità gonfia di nulla che più tardi muoverà a riso e a compassione. Vi sono però i veri ingegni precoci : fanciulli che fanno stupire per la loro intuizione meravigliosa nell' interpretare qualche arte, nel dedicarsi a qualche esplicazione di essa. E la madre di questi piccoli privilegiati dovrà raddoppiare di cure, di protezione intorno a loro : dovrà vigilare che nulla si guasti del delicato congegno del loro organismo e della loro intelligenza ; che non vi avvenga squilibrio alcuno : perché il frutto maturato innanzi tempo possa giungere sano e moltiplicarsi quando verrà la sua vera stagione. Io avvicinai a Milano la madre del piccolo Miecio Horzowsky il minuscolo pianista così grazioso nei suoi abitini di velluto, coi lunghi capelli che gli scendevano sulle guancie rosee e ben nutrite ; così stupefacente nell' interpretare musica difficilissima con una correttezza da maestro provetto, nel dare a Chopin la serenità della sua anima di fanciullo. La mamma di Miecio piccolina, magra, abbrunata, tanto somigliante al figliuolo nel volto un po' largo, negli occhi intelligenti e velati da una lievissima malinconia che pareva solamente timidezza quando accanto al suo fanciullo miracoloso sorrideva dei nostri entusiasmi, delle nostre calde parole di congratulazione e di elogio. E fu forse per quella gentile figurina di madre che la sorte del piccolo Horzowsky mi sembrò più avventurata di quella di qualche altro ragazzo artista : e che non ne riportai l' impressione d' una anormalità come molte volte in simili casi mi era accaduto.
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La moglie che non ama più, crede intravedere nella manifestazione di simpatia, in un' affinità intellettuale e morale, un rifugio, un compenso allo squallore del suo isolamento intimo e vi si abbandona convinta di non mancare a nessuno dei suoi doveri. Poi quelle manifestazioni sono così timide! è così poco quello che le si chiede! e questo nuovo sentimento che già le intiepidisce l' anima come un alito di primavera è così puro, si manterrà sempre così alto, così superiore, che solo un dubbio le pare profanazione. E nuovamente illusa porge gli orecchi ai canti delle eterne Sirene, mentre dovrebbe come il saggio Ulisse tapparseli con la cera e proseguire il suo cammino. Dice Fénélon: « Il faut laisser la tentation gronder autour de nous, comme un voyageur surpris par un grand vent dans une campagne s' enveloppe dans son manteau et va toujours malgré le mauvais temps. »
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E la creatura vinta si abbandona. Si abbandona con una specie di sfida al suo destino, con un'ebbrezza folle, senza più ritegno, senza più controllo, senza quasi più coscienza della sua responsabilità e delle sue azioni. Ogni altro affetto impallidisce in lei, ogni altro motivo di vita si atrofizza : tutto viene assorbito, sacrificato a quell' unico fiore del male che s' apre mostruoso, a sommo del suo cuore. Il marito, i figli, la casa, spariscono nel suo egoismo amoroso : ella non pensa che ad ingannarli, a liberarsi da vincoli che la inceppano, per tuffarsi interamente nel cratere che l' arde e che solo le dà il senso della vita. Cieca, non vede gli agguati e spesso vi incespica : non vede i pericoli e vi si getta dentro con temerità stolta. Perde la nozione del tempo, della legge ineluttabile delle cose e crede che tutto l' avvenire possa contenersi nel giro ripetuto all' infinito di quelle ore affannose ch' ella chiama di felicità : crede che tutti siano ciechi e pazzi e illusi come lei, e che certi strappi di coscienza, certi errori volontari, certi sacrifizi d' innocenti, si possano compiere sempre impunemente, e non portino seco l'espiazione, lunga, triste, dolorosa: o un tremendo, folgoreggiante castigo....
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Ora nessuna donna di servizio resiste all'esca di un salario maggiore, e per cinque lire di più al mese abbandona con indifferenza una casa dove viveva da anni e dove era ben trattata. Ora bisogna studiare la frase per fare un'osservazione, per dare un ordine, altrimenti si corre il rischio di sentirsi rispondere in malo modo : e la crisi delle serve non accenna a risolversi, anzi si fa ogni giorno più grave per la insufficienza di quelle che si trovano e le esigenze di quelle che fanno le preziose. — Una signora mi raccontava perfino questo, che ad una sua amica accadde di prendere a servizio una giovane dall' aspetto un po' grossolano e sgarbato, la quale non era altri che.... un uomo in abiti femminili, introdottosi in casa sua chissà per quale scopo! E questo fatto mi pare possa stabilire un bel récord e non abbia bisogno d'altri commenti.
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Tutto par troppo forte, quasi insostenibile; il sole, la luce, i profumi, i suoni, i sapori ; ma si abbandona con una specie di ebbrezza la propria fragilità a queste energie che riconducono alla vita. È una rinascita piena di fascino sottile ; l' esistenza appare sotto colori rosei, gentili, come nella giovinezza ; e l'anima, come il corpo, si sente purificata, leggera, calma, inondata di fede, attratta verso le più poetiche idealità. Gabriele d'Annunzio in un suo romanzo ha analizzato con l'acutezza che gli è propria questo stato speciale dallo spirito durante una convalescenza facile e ne fa risultare una delle voluttà più squisite. Tutto sorride intorno alla convalescente, tutto le ritesse l' illusione d'un propizio destino, come se si trovasse di nuovo per la prima volta alle soglie della vita. Allungata nella più comoda poltrona della sua camera a poca distanza dalla finestra semiaperta da cui scorge il verde giardino sotto il cielo azzurro di maggio, mentre salgono a lei come il saluto della primavera, il profumo delle corolle fiorite, la signora in una posa di languida grazia parla poco, con una voce ancora debole, ma ascolta e contempla assai. Le sue amiche sono venute ad una ad una a congratularsi con lei, a recarle fiori, dolci, piccoli doni: ed essa per riceverle ha indossato un abito elegante, tutto sciolto perchè non può ancora mettersi la fascetta, ma guarnito con buon gusto, di color delicato e ridente. Ha ripreso i suoi gioielli, meno gli orecchini: gli anelli le sono diventati larghi nella mano diafana e così bianca che pare il pètalo di un giglio. È pettinata semplicemente, ma con cura, e gli occhi sembrano più grandi nel suo volto smagrito: il suo sorriso ha acquistato una dolcezza e i suoi gesti sono pieni d'una remissività che prima non aveva. Il medico non le ordina più che ricostituenti, e le fa delle visite da amico, raccomandandole di coricarsi presto, cosa che essa fa volontieri, giacchè uno dei sollievi della convalescenza è quello di adagiarsi un po' stanchi in un letto fresco che vi offre col buon sonno il riposo riparatore. Le sue amiche, i suoi parenti la rimettono un po' per volta al corrente di tutto ciò che è avvenuto nel tempo dal suo esilio dal mondo, ma la convalescente guarda ora l'esistenza, le persone, gli avvenimenti, con altri occhi, giudica in diverso modo. La morte ch'essa ha veduto da vicino le ha insegnato il vero valore della vita, le ha dato la lucida percezione della verità su tante cose. Il suo pensiero si è fatto più maturo, più severo, i suoi gusti si sono un poco modificati: la sua sensibilità è così viva che piange per un nonnulla, ma sono lagrime di emozione dolce, giacchè nessuno certo vorrebbe procurarle un dispiacere. E se nel suo passato vi fu qualche leggerezza, se ha a rimproverarsi qualche mancanza al suo dovere, qualche po' d' incontentabilità per la sua sorte, in quest'ora di purificazione soave se ne pente, e forma un voto fervido e sincero nel segreto del suo cuore rinnovato.
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La speranza è una delle facoltà che emerge prima nella vita e che ultima ci abbandona. Spera già il bimbo che ha appena la possibilità di formare il desiderio : spera il morente, quando più nessuno spera intorno a lui. Grande forza motrice è la speranza, grande contingente di vita e d'energia. Mai ci sentiamo più validi, più forti, più buoni, che sotto l' impero d' una luminosa speranza. Bene è dunque coltivarla in noi, provocarla quando tace, riaccenderla quando accenna a languire, trattenerla quando vuole abbandonarci o sostituirla subito da un'altra se vien meno. La speranza è indispensabile al nostro mondo morale come la luce, come l' ossigeno. Sperate contra spem ha raccomandato uno dei Padri della Chiesa : sperate oltre ogni speranza. La circostanza più comune, un'ora, un attimo, bastano per mutare in un destino favorevole un triste destino : per aprire un nuovo orizzonte, per salvare. Tutto è mistero in noi e intorno a noi e tutto è possibile, anche il prodigio.... FINE.
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- E nel suo umile cuore di topa non sapeva trovar parole per ringraziare la Provvidenza che non abbandona nè anche gli esseri più piccini e più disgraziati. Non passarono due settimane che la Caciotta diede alla luce cinque creaturine, tutte rosee e spelate, grosse come mosconi, che strillavano in coro senza chetarsi. Figurarsi la gioia di Rita e di Nello, quando, tornati dalla scuola, si videro venir incontro la Letizia, che, tenendo una mano chiusa su l' altra, diceva: - Indovinino che c'è qui dentro! - Le furon tutt' e due addosso, le aprirono le mani per forza, ed esclamarono subito: - Oh carini! oh come sono piccini! oh poverini! - Ci volle del bello e del buono prima che la contessa potesse persuaderli a lasciare in pace quelle bestioline che, in quel momento, non avevan bisogno d' altro che della loro mamma. In fatti, la Caciotta, che gli andava cercando tutta smaniosa, s' arrampicò su la Letizia, se ne prese delicatamente uno in bocca, e ridiscendendo andò a portarlo a quel modo nella canestra. Tornò poco dopo, e ne prese un altro; e così a mano a mano, reggendoli sempre co' denti, finchè non gli ebbe ripresi tutti. Allora si distese su loro, e cominciò ad allattarli. I bambini della Caciotta eran tre maschietti e due femminucce, e crescevano belli e sani, ch' era un amore a vederli. A poco a poco si eran coperti d'un pelo morbido e lucido come il raso, e avevano aperto gli occhi. Due eran tutti bianchi, come la mamma; tre altri avevano il cappuccino nero, come il babbo. Il padrino e la madrina erano stati Nello e Rita, e avevan chiamati Dodò, Moschino e Bellino i maschi, Lilia e Ninì le femmine.
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Gli alberi cadono schiantati, i remi vanno in frantumi, le macchine si guastano, il pilota abbandona il timone, il capitano non sa più che ordini dare, i marinai si vedono perduti, tutti piangono, gridano, implorano: la imbarcazione è perduta, galleggia in balia delle onde, corre alla deriva, sbatte contro gli scogli, va in frantumi, ed è la morte per tutti! La violenza dell'acqua è tremenda. Al paro della carta, ad essa cedono il legno ed il ferro. E come affonda il piccolo componimentino di scuola, affondano a decine e decine i corpi e le vite degli uomini, e le sostanze e i tesori.
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È proprio vero che Dio non abbandona mai chi soffre. Quando la Marietta s'era scordata di lei per il puledro, ecco che ad amarla con tutto il cuore e tutta l'anima era venuta Camilla, creatura piena di gentilezza e di tenerezza. Finito con la morte l'amore di Camilla, quando la Rachele l'aveva tenuta male, dandola per denaro qua e là a bimbe sconosciute, e Attilio l'avea sfregiata, ecco Orlando a tenerle compagnia e consolarla, mentre ella meno se l'aspettava. Non era che un misero burattino fuori d'uso, Orlando; i suoi trionfi teatrali restavano soltanto un ricordo lontano e confuso; ma, per la Giulia, il sentire ch'ella non si trovava completamente sola al mondo, era pure una gran dolce cosa; e il cuore, povero cuore nascosto nella segatura, le si rasserenò a poco a poco come per incanto. Che le importava adesso lo squallore del luogo dove l'avevano imprigionata, e la poca luce che lo schiarava di sbieco, e il ribrezzo che le mettevano tutte le cose in torno per la muffa, la polvere, il vecchiume, la sudiceria? L'affetto del suo compagno di pena valeva certo più di molti bei mobili. Meglio quel lurido asilo fuori del consorzio umano insieme al buon Orlando, anzichè la splendida, allegra casa de' Rivani, col disamore della Marietta e il suo triste tradimento! Meglio finir cosi all'oscuro, sepolta sotto la polvere ma compresa e amata da un amico, anzichè passar nella vita, al gran sole d'oro, coperta di stoffe di seta a ricami, ma in mezzo all'indifferenza, tra la folla ma senza un essere pietoso e devoto.
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(Si abbandona leggermente verso di lui e gli pone la mano sulla mano)
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Ho capito: mi abbandona!... Mi lascia solo!
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(E si abbandona a sedere, mentre il viscontino, illuminato da una improvvisa speranza, gli si avvicina)
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Ma alle prime parole di DES GRIEUX abbandona la lampada a terra, accorrendo verso MANON).
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Ho sentito dire che allorquando una moglie abbandona, come io fo questa notte, il domicilio coniugale, le leggi sciolgono il marito da ogni impegno verso di essa. In ogni caso, dal canto mio, io ti dichiaro già bell'e sciolto. Non è giusto che tu ti creda legato mentre io mi stimo libera. Libertà intera da una parte e dall'altra. Prendi, ecco il tuo anello; rendimi il mio.
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Son cose che accadono tutti i giorni: una donna senza cuore abbandona un uomo, se le si presenta un partito più vantaggioso.
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(e si abbandona sul divano, languida)
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(e si abbandona a sedere)
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Come farò adesso che Turiddu mi abbandona?...
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È proprio vero che Dio non abbandona mai chi soffre. Quando la Marietta s'era scordata di lei per il puledro, ecco che ad amarla con tutto il cuore e tutta l'anima era venuta Camilla, creatura piena di gentilezza e di tenerezza. Finito con la morte l'amore di Camilla, quando la Rachele l'aveva tenuta male, dandola per denaro qua e là a bimbe sconosciute, e Attilio l'avea sfregiata, ecco Orlando a tenerle compagnia e consolarla, mentre ella meno se l'aspettava. Non era che un misero burattino fuori d'uso, Orlando; i suoi trionfi teatrali restavano soltanto un ricordo lontano e confuso; ma, per la Giulia, il sentire ch'ella non si trovava completamente sola al mondo, era pure una gran dolce cosa; e il cuore, povero cuore nascosto nella segatura, le si rasserenò a poco a poco come per incanto. Che le importava adesso lo squallore del luogo dove l'avevano imprigionata, e la poca luce che lo schiarava di sbieco, e il ribrezzo che le mettevano tutte le cose in torno per la muffa, la polvere, il vecchiume, la sudiceria? L'affetto del suo compagno di pena valeva certo più di molti bei mobili. Meglio quel lurido asilo fuori del consorzio umano insieme al buon Orlando, anzichè la splendida, allegra casa de' Rivani, col disamore della Marietta e il suo triste tradimento! Meglio finir cosi all'oscuro, sepolta sotto la polvere ma compresa e amata da un amico, anzichè passar nella vita, al gran sole d'oro, coperta di stoffe di seta a ricami, ma in mezzo all'indifferenza, tra la folla ma senza un essere pietoso e devoto.
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In una delle porte a destra ha stabilito la sua rivendituccia di giornali e di fiammiferi un poveretto, che nei momenti della colazione e del desinare abbandona il negozio all'onestà dei passanti e della fida clientela che si serve da lui. Quel giorno, alla rivendita dei pochi giornali e dei fiammiferi, egli aveva aggiunta una primizia; improvvisandosi fruttaiuolo, teso un filo raccomandato a due chiodi, vi aveva messo a cavalcioni un gruzzoletto di ciliege immature, gialliccie, minutine. La via era quasi deserta. Sul marciapiede, davanti a me camminava una povera donna, che guidava il figliuolo cechino, di dodici o quattordici anni, e miseramente vestito. Arrivati a quella porta, la donna si fermò esclamando : — Oh!... Le ciliege! — Di già, mamma? Di già? Chi sa come sono belle! — Guarda. E preso il braccio del ragazzo, gli avvicinò la mano alle ciliege pendenti dal filo. Il ciechino cominciò a palparle, delicatamente, a una a una; e gli occhi senza pupille gli si dilatavano dal piacere, e la faccia gli sorrideva tutta in estasi, quasi per la via del tatto gli arrivasse al palato il sapore di quelle meschine frutte, che egli non poteva distinguere se buone o cattive. E ricominciò da capo, delicatamente, come se palpasse qualcosa di sacro, sorridendo sempre agitando le labbra e la lingua per meglio gustare il sapore ideale. Mi ero fermato dietro a loro, curioso di vedere la fine di quella scenetta; la povera donna sorrideva anche lei al sorriso del figliuolo, e non s'era accorta di me. A un tratto, tirò indietro il braccio del ciechino, e a bassa voce gli disse: — Se avessi un soldo, te le comprerei. Il ciechino, lieto e contento di aver almeno potuto toccarle, si strinse nelle spalle, rassegnato. Passarono oltre. Corsi con la mano al taschino del panciotto... Avevo dimenticato a casa il portamonete! Ma questa volta non risi; e tutta la giornata fui invasato dalla tristezza di non aver potuto fare, così a buon mercato, una buona azione. Povero ciechino, come sarebbe stato felice con due soldi di ciliege ! Ed io ero più mortificato, perchè — bisogna che lo confessi — all'atto della donna, avevo subito sospettato che, approfittando dell'assenza del rivenditore, volesse rubare quelle ciliege, con la scusa di farle palpare al figliuolo. Oneste creature, non vi dimenticherò mai! Quanto vi ho ammirate in questi giorni, ripensando a voi! Mi avete richiamato alla mente il precetto di non essere troppo corrivi nel giudicare le azioni altrui; e forse sarà merito vostro se, da ora in poi, non dimenticherò più il portamonete.
Le signorine, invece, hanno una lietezza a tutta prova, non s'incaricano di nulla, ballano con tutti, scherzando, trovando amabili tutti i loro cavalieri, per uno che le abbandona, sanno che ne troveranno dieci in cambio, trovano sempre grazioso il cotillon , non vanno al buffet se non per mangiucchiare dei dolci e intingere appena le labbra nello champagne, e dappertutto portano questo brio e questo entusiasmo, che sono il fascino di un ballo. Le giovani signore non possono fare questo simpatico chiasso, nè sorvolare come farfalle, nè abbandonarsi a tante danze, se no, sembrerebbero tante pazze o delle dame ridicole: esse debbono, al ballo, rappresentare la suprema beltà, la suprema squisitezza, ma debbono passare a traverso le feste come Dee, non saltellare, come le fanciulle. Un ballo, senza signorine, tutto può essere, salvo che allegro: e se è allegro, non allegro bene.
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