E NESSUNO POTRÀ MAI ABBATTERE IL NOSTRO REGNO!... IL REGNO DEL GRANDE SERPENTE! HA! HA! HA!
Ma le porte erano troppo piccole per una così gran macchina e si dovette abbattere un tratto delle mura. Con enorme fatica il cavallo fu finalmente portato in Troia e issato sulla rocca. L’astuto disegno di Ulisse stava ormai per compiersi.
CI VUOLE ALTRO PER ABBATTERE IL MANIERO DEI DACULA!
DIMOSTRIAMO DI ESSERE CREATURE ANIMOSE CHE NON SI LASCIANO ABBATTERE DALLE AVVERSITÀ.
Si usa meno l'automobile, dunque, e si sale meno sui mezzi di trasporto pubblici, ma in compenso aumenta il numero degli scooteristi, di chi sceglie le agili due ruote per fare breccia nel traffico e abbattere i tempi di trasferimento casa-ufficio e viceversa. Un fenomeno, questo dei motociclisti in città, che diventa d'attualità soprattutto con l'arrivo della bella stagione.
L'obiettivo è quello di abbattere «gradualmente», nel giro di 2-3 anni, i parametri, salvaguardando così le società più deboli che con l'azzeramento immediato rischierebbero il fallimento. L'Aic aspetta di conoscere l'esito di quell'incontro prima di muoversi. Intanto ha ribadito la sua linea di fermezza riguardo ai giocatori extracomunitari. «Un problema che non esiste — ha affermato Campana — perché non ha nulla a che vedere con la sentenza Bosman».
IN un mondo in cui c'è chi vuole abbattere le frontiere nazionali e chi vuole erigerne di nuove, i musicisti continuano ad inseguire progetti in cui le barriere, in questo caso culturali, vengono superate, ignorate, travolte da un ricercato processo di globalizzazione e integrazione. Nella necessità di dover definire questa tendenza, per esigenze di comprensione, si usa il termine musica di frontiera, che data la situazione risulta in fondo improprio se non involontariamente ironico. Sono diversi i dischi italiani che tentano queste strade curiose e interessanti, in cui sono presenti le diverse tradizioni nazionali, ben più che in altri filoni. Il primo esempio da segnalare è l'originale, insolito incontro tra nonne e nipoti, sul terreno delle sette note al servizio di nenie e ninne nanne. Un genere poco frequentato fuori dall'ambito folk. In «Matrilineare» (I dischi del Mulo, i Cd) incontriamo voci diverse, e tutte femminili, passando dal Coro delle Mondine di Correggio (cinque simpaticissime nonne, utlime eredi di un antico fascino dei canti di lavoro in Padania) alle nipotine che frequentano più abitualmente i territori del rock. Fra queste ultime figurano, in ordine di valori; delle proposte, la cantautrice Cristina Dona, Odette Di Maio dei Soon, Mara Redeghieri degli Ustmamo, Valeria Cevolani e i Disciplinatha, Valeria Nativo dei Divine. Un disco ricco di poesia e serenità, che unisce passato e presente, ma che ha l'ambizione di guardare a tracciare una strada nel futuro. Un progetto, ben coltivato e realizzato, del Consorzio Produttori Indipendenti, che riesce anche ad inserire per la loro prima esperienza pubblica i rampolli Mira Spinosa, estAsia, Otero. Nella tradizione padana pesca a piene mani anche un disco tipicamente e originalmente natalizio: «La santa notte dell'Oriente» (Robi Droli, 1 Cd) dei Baraban, gruppo milanese da oltre un decennio ricercatore di suoni e assonanze multiculturali. E così vecchi racconti musicali della buona novella natalizia vengono recuperati dalla tradizione lombarda e del Nordest con classici organetti e ocarine, ma vivacizzati e arricchiti da uillean pipes irlandesi, bouzuoki greci, percussioni mediorientali. Altro progetto «senza frontiere» è quello di Egea, «un'intenzione, un'emozione verso cui convergono artisti con esperienze diverse e la comune esigenza di dare alla loro ricerca musicale espressioni che non si riducano a formule». Un progetto che guarda all'area mediterranea. Del progetto Egea fa parte «Come una volta» (L'Abaco, Perugia, 1 Cd) realizzato dai bravissimi musicisti Gianni Coscia (fisarmonica), Gabriele Mirabassi (clarinetto), Battista Lena (chitarra), Enzo Pietropaoli (contrabbasso). Con quattordici brani che il sottotitolo definisce «sogni, ricordi, riflessioni italiane», il quartetto ricama e ricostruisce con mano jazzistica, infinita dolcezza e sapienza, uno stile di racconto musicale in cui riconosciamo le nostre radici e le nostre atmosfere. Un disco acustico di grande ricchezza. Un disco diverso è anche «Outback. Entroterra» (Window Communication, Venezia, 1 Cd), terzo album di un sacerdote, don Paolo Spoladore, impegnato a tradurre in musica la vita vista con l'energia della fede. Dodici i brani in cui elementi rock si legano a quelli melodici creando una musica senza grandi caratteristiche di novità ma che fluisce con semplicità e gradevolezza. D'altronde l'obiettivo di don Spoladore non è propriamente musicale. Bensì la musica pop e il suo linguaggio sono la forma più efficace per sottolineare ad un pubblico giovanile la rilettura della vita secondo il messaggio cristiano.
A che prò abbattere, contro il voto di tutti i consensi artistici, questo tempio che è bello, raro e non si può rifare, mentre ciò non giova a nulla e a nessuno, perché l’entrata principale delle cliniche s’apre altrove! È noto che in luogo di esso non v’è da costruire se non una piazza napoletana, cioè il vuoto constellato di detriti organici. A che prò distruggere qualche cosa che ha una forma, un’anima, uno splendore, un passato: qualche cosa che vive, come vivono le belle chiese, della triplice vita della storia, dell’arte e della fede, per aprire un’altra arena alla agonistica dei monelli, un nuovo foro al commercio dei mozziconi, uno stimolo di più all’attrattiva viscerale del primo occupante, cioè del supremo arbitro e padrone di ogni palmo scoperto di suolo partenopeo? A che? Perché? Cui prodest? Così chieggono le anime semplici e convinte. Gli artisti e gli studiosi evidentemente non hanno una nozione esatta dei pubblici poteri.
Secondo l'articolo 1 della legge 15 ottobre 1925 numero 2.578, per esempio, il sindaco professor Pietro Bucalossi, cancerologo insigne, e i suoi sessantanove collaboratori di Palazzo Marino, possono macinare il grano e cuocere il pane, essicare il granoturco e quindi produrre il pop-corn, spargere le sementi, potare le viti, falciare il fieno, «lottare contro le cavallette e la formica argentina», vendere i ghiaccioli col manico, «costruire le fognature e utilizzare le materie fertilizzanti», abbattere i boschi, e (articolo 86 del regio decreto 3 marzo 1934) pascolare gli armenti. In compenso quelle stesse leggi negano all'organo esecutivo del Comune, e cioè alla giunta, il diritto di spendere come vuole due milioni e mezzo e cioè, di installare, in pratica, quattro paline di semafori.
I vicini di casa, non vedendolo uscire come di consueto, e prevedendo qualche disgrazia, fecero abbattere la porta di casa. Ma era troppo tardi, giacché trovarono il Varese steso sul proprio letto cadavere.
Senza parola, egli si precipita e la stringe con la violenza di chi vuol' soffocare e abbattere. Le quattro braccia si annodano intorno ai corpi con una fermezza che sembra infrangibile.