Nell'assicurazione della responsabilità civile l'assicuratore è obbligato a tenere indenne l'assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto. Sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi.
Il direttore di aeroporto quando abbia notizia di un incidente aeronautico accaduto nella sua circoscrizione, ne dà immediata comunicazione all'autorità giudiziaria e procede ad inchiesta sommaria, d'accordo, se occorra, con l'autorità di pubblica sicurezza.
E' quello che è accaduto all'emanazione della disciplina fiscale delle c.d. spese di rappresentanza; il legislatore ha dimenticato di indicare la nozione, orientamento questo che, in campo civilistico, è seguito normalmente, come attestano le nozioni che, per i contratti tipici, precedono le rispettive regolamentazioni. Ne derivano contese a non finire fra fisco ed imprese. Il primo è portato ad immettere fra le spese di rappresentanza anche oneri indispensabili per la gestione, come le spese di vendita, mentre le imprese tentano di fare dei distinguo. Per stabilire se una data spesa è o meno di rappresentanza, ora vi è il diritto di interpello, ma la procedura da seguire al riguardo è molto macchinosa. I comportamenti aziendali sono i più diversi. Un'importante società del comparto dei mobili ha condotto coraggiosamente una lunga battaglia per fare trionfare la tesi dell'appartenenza alle spese di gestione interamente deducibili degli oneri che vengono sostenuti in occasione della periodica "Fiera del Mobile" per accogliere ed intrattenere i clienti. Ora la Cassazione, emettendo una sentenza modello, ha aperto la strada ad una corretta demarcazione fra spese di gestione (in particolare di vendita, di pubblicità e di propaganda) e spese di rappresentanza.
Ciò era accaduto per un evidente errore di calcolo. Invero, l'amministratore, in occasione dell'approvazione del bilancio al 31 dicembre 2003, aveva proposto la copertura della perdita mediante l'utilizzo di versamenti dei soci in conto capitale che ammontavano a una somma ben superiore della perdita medesima. A seguito della copertura di quest'ultima, l'assemblea dei soci proponeva ed approvava nel mese di giugno un rimborso ai soci di versamenti infruttiferi in conto capitale per una somma superiore a quella residuata dalla copertura delle perdite relative al bilancio del 31 dicembre 2003. Resisi conto di avere così intaccato l'integrità del capitale sociale, due dei soci provvedevano tempestivamente all'integrazione delle risorse, la qual cosa accadeva comunque prima dell'approvazione del bilancio al 31 dicembre 2004, avvenuta il 30 marzo 2005. La Guardia di Finanza accertava altresì che nel bilancio erano stati iscritti a titolo di "altre riserve" valori corrispondenti a versamenti in conto capitale, in relazione ai quali però dalle scritture contabili non risultava la rinuncia dei soci alla loro restituzione. Da qui la contestata falsità del bilancio, con la precisazione che essa superava solo la soglia dell'1 per cento del patrimonio netto, non anche quella del 5 per cento del risultato economico di esercizio al lordo delle imposte. Ci si chiede se i fatti narrati abbiano rilevanza penale e siano suscettibili di dover essere denunciati all'autorità giudiziaria.
Alterare l'ordine dei giudizi sfalsa il risultato finale e fa correre il rischio di imputare al gestore di un'oasi naturale (come è accaduto nel caso di specie) eventi occasionati dall'intervento di fattori da lui né prevedibili né evitabili (morte di un visitatore a seguito della reazione allergica scatenata dalla puntura di un calabrone) pur se occasionati da condotte (quale l'omessa rimozione del nido), negligenti ma non illecite.
Come era accaduto per la decretata manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate riguardo all'azione di risarcimento dei danni subiti dal terzo trasportato dettata dall'art. 141 del Codice delle assicurazioni private, i giudici della Consulta rigettano le censure avanzate verso la procedura di risarcimento "diretto" dell'art. 149 dello stesso codice perché non è stata ricercata, dai giudici rimettenti, un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma impugnata, atta a consentirne la sopravvivenza. La conservazione nel sistema della nuova procedura, se da un lato lascia invariate le numerose questioni applicative che il suo discordante raccordo, specie con il regolamento di attuazione hanno generato, solleva dall'altro lato nuovi problemi, specie in ordine alla verifica della possibilità da parte del danneggiato - legittimato a promuovere le ordinarie azioni di responsabilità civile - di esperire anche l'azione diretta contro l'assicuratore del responsabile.
Da ciò è derivata l'ulteriore presunzione dell'intervenuta corresponsione di interessi (ed, ancora, la presunzione che ciò fosse accaduto nello stesso anno di maturazione degli stessi) e la contestata violazione dell'obbligo di operare le ritenute d'acconto ex art. 26 del d.p.r. n. 600/1973.
La Corte costituzionale rigetta la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Biella e richiamando i propri precedenti in materia conclude sostenendo che nel vigente sistema di diritto processuale civile è da tempo acquisito il principio secondo cui, nei casi di interruzione automatica del processo, il termine per la riassunzione decorre non già dal giorno in cui l'evento interruttivo è accaduto, bensì dal giorno in cui esso è venuto a conoscenza della "parte interessata alla riassunzione medesima".
Ma è vero anche che ciò che è accaduto e accade, per precisa scelta politica, è il punire che si riduce a sorvegliare: non altro, solo sorveglianza, controllo o custodia o sicurezza o come diavolo vogliamo chiamarla. E' la definizione del carcere che non vogliamo e che non vuole la legge, ma che si è realizzato e sta strutturandosi sotto i nostri occhi.
Se invece il trust è stato istituito quando l'impresa era già insolvente (così come era accaduto nella fattispecie oggetto del giudizio), esso è ab origine nullo in quanto è finalizzato ad eludere la procedura concorsuale. In quest'ultimo caso, vi è un utilizzo abusivo e fraudolento del trust che, non perseguendo interessi meritevoli di tutela, produce effetti ripugnanti per il nostro ordinamento giuridico poiché mira ad aggirare le norme imperative (e pubblicistiche) che presiedono alla liquidazione fallimentare. Occorre però precisare che il giudice - la cui decisione è stata pienamente confermata dal collegio in sede di reclamo - non ha dichiarato la nullità del trust (per la quale si dovrà attendere - eventualmente - una prossima pronuncia di merito del Tribunale di Milano che è già stato investito della questione su istanza dalla curatela fallimentare), ma ha potuto esclusivamente rilevare la citata nullità al solo fine di rigettare una domanda cautelare che era stata avanzata dal trustee nominato dal guardiano del trust.
In Europa e nei Paesi più sviluppati l'orientamento, come dimostrano le recenti riforme, è tendenzialmente incanalato su un doppio binario: la giustizia riparativa, da un lato, e la maggior repressione dall'altro (si pensi a quanto è recentemente accaduto in Belgio, Francia e Svizzera). Nei Paesi emergenti, di cui si riportano in questo articolo i casi di Afghanistan e Mozambico, l'orientamento delle recenti riforme è invece rivolto all'introduzione/rafforzamento della "restorative justice" ossia della "giustizia riparativa".
L'attenta analisi critica dei pronunciati delle S.U. sul delicato tema del nesso di causalità evidenza l'adesione ad una concezione giuridica dell'evento, della condotta e del nesso causale, sintesi tra quel che è accaduto e quel che sarebbe dovuto accadere. Si constata l'adesione scientifica alla teoria dell'umana dominabilità della situazione effettuale e della concreta impedibilità dell'evento. La variante è processuale: all'accertamento penale rigoroso, al di là di ogni ragionevole dubbio, si oppone l'accertamento civile probabilistico, secondo il criterio del più probabile che non.
E' accaduto da ultimo con la presentazione della riforma costituzionale della giustizia voluta dal governo Berlusconi. Anche in questo caso si è invocata l'Europa con il seguito di "vincoli" da essa imposti al legislatore italiano. A torto, ancora una volta, perchè le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dicono tutt'altro, e che la disciplina italiana vigente è analoga a (o comunque sullo stesso tenore di) quella prevista negli ordinamenti della stragrande maggioranza dei Paesi.
Lo stesso non è accaduto nello scontro fra il medesimo portale e il gruppo italiano RTI, ma in entrambi i casi si tratta solo del primo grado di giudizio.
Molto è accaduto da allora, ma senza che i riferimenti fondamentali fra le due discipline abbiano subito profonde modificazioni concettuali. Ci si limiterà pertanto ad illustrare il tema con i necessari aggiornamenti.
A differenza di quanto accaduto con la semplificazione dell'autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, oggetto di un regolamento di delegificazione, la riforma del procedimento autorizzatorio ordinario, predisposta da una commissione del Ministero, non ha trovato la vis della iniziativa legislativa. Con il d.l. 70/2011 (convertito con l. 106/2011) sono state perciò introdotte limitate modifiche all'art. 146 del Codice, che disciplina le autorizzazioni ordinarie, che vanno: dalla trasformazione in silenzio assenso della mancata espressione, entro 90 giorni, del parere del Soprintendente (ma solo se si tratta di parere obbligatorio); all'inserimento degli enti parco tra quelli cui la Regione può delegare la funzione autorizzatoria; alla esatta definizione, come proposta, dell'atto conclusivo del procedimento in sede locale, sulla quale il Soprintendente si deve esprimere; all'affidamento al Soprintendente del procedimento ex art. 10 bis l. 241/1990, nel caso di preannuncio di parere negativo; alla eliminazione dello stand still di 30 giorni per l'efficacia delle autorizzazioni; alla sottoposizione degli interventi concernenti cave e miniere al procedimento autorizzatorio ordinario.
Come è accaduto, in particolare, per il Consiglio di Stato: anzitutto, in Francia, ove del Conseil istituito da Napoleone, hanno fatto parte scrittori e letterati di grande rilievo, da Stendhal a Benjamin Constant, da Léon Blum a Régis Debray, sino a Jacques Attali. Il fenomeno, d'altronde, è esteso a diversi Paesi in cui il modello è stato in vario modo ripreso, a partire dall'Italia. Per altro verso, l'organo e la figura del consigliere di Stato hanno costituito fonte di ispirazione per romanzi e racconti: ora quale occasione per letture ironiche o caricaturali di una posizione di particolare prestigio, come evidenzia particolarmente la letteratura russa, da Gogol a Dostoevskij (ma si pensi, in tutt'altro contesto, al goffo consigliere di Stato della Bohème); ora, come in Flaubert o in Pirandello, per rappresentare le frustrazioni di chi aspira ad obiettivi più grandi di lui, come può essere appunto quello di superare 1'arduo concorso per entrare al Consiglio di Stato. In definitiva, sotto vari profili, la storia di quest'organo ne dimostra un ruolo significativo in un ambito culturale che non può essere circoscritto alle sole scienze giuridiche. L'apporto del Consiglio - e dei consiglieri - di Stato si proietta, così, anche su un versante letterario: dove l'attitudine all'analisi, la capacità di comporre dinamiche contraddittorie, la competenza ad interpretare il senso delle parole trovano sviluppi particolarmente fecondi.
Il fenomeno dell'effetto estensivo dell'impugnazione (e della conseguente decisione), a cui la dottrina e la giurisprudenza del passato hanno dedicato particolare attenzione, sembra essere stato trascurato dal legislatore del 1988, al pari di quanto accaduto - peraltro - rispetto all'intero sistema delle impugnazioni. Il rilievo della materia - certamente non centrale, ma non per questo meno importante - è, invece, sottolineato da alcuni problemi interpretativi ed applicativi che si sono prospettati e ai quali, peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha risposto fornendo delle soluzioni che non sempre appaiono coerenti con i dati normativi che regolano l'istituto ed in linea con il ruolo che al meccanismo andrebbe riconosciuto, tanto all'interno della più ampia disciplina dei controlli della sentenza, quanto rispetto ai diritti spettanti ai beneficiari.
Talvolta però le norme legali e contrattuali di carattere procedimentale possono condurre a trasformare la forma in deteriore formalismo, com'è accaduto soprattutto per i vincoli procedimentali nei licenziamenti individuali e collettivi, in cui per formalismo s'arriva ad omettere l'esame del merito pur in presenza di vere e reali giustificazioni. L'A. riconduce il discorso ai rapporti tra forma e sostanza, che nel processo non sempre coincidono o, più realisticamente, raramente sono coincidenti. Quantomeno sarebbe necessario che le questioni formali fossero decise in limine dal Giudice.
Al contempo, gli AA. affrontano nuove problematiche in materia emerse dall'analisi della prassi operativa, cercando di offrire ipotesi di soluzione che dovrebbero essere in ogni caso guidate dalla "ratio" stessa sottesa alle operazioni di risanamento, ossia di "benevolenza" verso i soggetti, debitori e creditori, coinvolti nelle operazioni in parola, analogamente, peraltro, a quanto accaduto in materia di fiscalità "diretta".
Qui, però, a differenza di quanto accaduto negli anni novanta, non vi è solo l'esigenza di fare cassa, ma anche, e soprattutto, quella di rafforzare gli strumenti di politica industriale. La soluzione prescelta, infatti, pone al centro dell'operazione la Cassa depositi e prestiti. che, pur essendo un soggetto privato posto al di fuori del perimetro delle pubbliche amministrazioni, rimane un'istituzione al servizio dello sviluppo del Paese.
.), afferma che in sede assembleare il notaio non è ''dominus negotii'', ma attestatore di quanto accaduto in sua presenza. A tale soggetto sul piano della responsabilità penale potrà essere addebitato il delitto di falsità ideologica in atto pubblico solo qualora non abbia fedelmente riportato quanto a lui dichiarato dal presidente sulla convocazione e costituzione dell'assemblea, ovvero qualora abbia reale conoscenza di irregolarità, che si verifichino in sua presenza e rilevabili ''ictu oculi'', o della falsità delle attestazioni del presidente, avendo il dovere di rifiutare il suo ministero in caso di risultati palesemente contrari alla veridicità.
Ciò è accaduto mentre il legislatore delegato, in attuazione delle deleghe contenute nelle legge di finanza pubblica ed in quella sul federalismo fiscale, ha costruito limpianto dellarmonizzazione basandolo, dal punto di vista dei contenuti, sui principi contabili e, dal punto di vista del metodo, sulla sperimentazione. In questo lavoro si fa emergere la fisionomia giuridica che ha assunto larmonizzazione, la sua autonoma valenza rispetto al "coordinamento della finanza pubblica", i punti di inevitabile impatto con lancora vigente ordinamento contabile delle Regioni e degli enti locali utilizzando, come filo conduttore, proprio il tema dei principi contabili e dei diversi percorsi attraverso i quali - a livello internazionale, europeo e nazionale - il loro essere norme tecniche, elaborate da organismi tecnici, si trasforma in regola giuridica.
I cambiamenti intervenuti nella giurisprudenza recente, soprattutto attraverso le sentenze 22/2012 e 32/2014, la Corte ha ancora una volta alterato la sua strategia di non intervento nel rapporto tra poteri, come accaduto in passato durante gli anni novanta, cioè nel momento in cui ha aumentato la sindacabilità pratica del decreto-legge. Le ragioni di questo cambiamento sono molte. L'incertezza politica, la mancanza di riforme e fattori ambientali che ancora una volta come quasi venti anni fa hanno costretto i giudici delle leggi ad esercitare i propri poteri di sindacato. Quest'indirizzo giurisprudenziale introdurrà certamente novità decisive dal momento che aumenterà i poteri della Corte. Ovviamente rimangono alcuni nodi irrisolti che, forse, all'occhio attento dello studioso appariranno più come un indizio della necessità di una riforma complessiva del procedimento legislativo.
Come accaduto nel nostro ordinamento per gli Enti fieristici, nei confronti dei quali è ormai nota l'impossibilità di stabilirne a priori la riconducibilità nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici, anche nei confronti degli ordini professionali, il giudice europeo sottolinea la necessità di un'interpretazione funzionale che prescinde da mere qualificazioni astratte. Così, mentre nel nostro ordinamento, alla cassa forense e a quella dei dottori commercialisti è stata riconosciuta la natura di organismo di diritto pubblico, l'ordine professionale dei medici tedesco non rientra nella nozione perché, sebbene il finanziamento sia previsto dalla legge attraverso contributi versati dai membri di tale ordine, l'importo dei contributi è fissato dall'assemblea dello stesso ordine e soprattutto l'ordine rimane completamente autonomo in merito alla determinazione della portata e delle modalità di esercizio delle sue funzioni istituzionali. Tali circostanze fattuali escludono che possa verificarsi quell'influenza pubblica sulle decisioni dell'ordine che imporrebbe l'applicazione delle procedure di gara disciplinate dalle direttive sugli appalti pubblici.
Nel processo tributario, l'estinzione del processo estingue l'azione ed è per questo che, rendendo inefficaci gli atti processuali, determina il definitivo consolidarsi degli effetti propri dell'atto impugnato; una volta che ciò sia accaduto, non è più proponibile alcuna azione per rimuovere tali effetti e per tal motivo anche il cd. principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione finisce col risultare concretamente inutile dopo l'estinzione del processo susseguente alla cassazione con rinvio. Se l'estinzione del processo tributario avviene in secondo grado, peraltro, tutto ciò non accade, in quanto, stante l'autonomia del giudizio d'impugnazione, la propagazione dell'inefficacia degli atti processuali conseguente all'estinzione s'arresta all'atto iniziale del giudizio d'impugnazione (nel caso: appello) e l'effetto che ne consegue è, e resta, soltanto il definitivo stabilizzarsi di una sentenza di primo grado che ha annullato o non annullato il provvedimento impugnato.
La violazione del suddetto obbligo comporta, intanto, conseguenze giuridiche differenti nei vari ordinamenti nazionali (trattandosi di un aspetto che il legislatore europeo non ha inteso armonizzare), ma soprattutto può determinare, (come è accaduto nel caso in esame), anche in attuazione del principio dell'"interpretazione conforme", la disapplicazione delle sanzioni statali che si rivelano "inefficaci, sproporzionate e scarsamente dissuasive" rispetto alle finalità della direttiva 2008/48/CE sul credito ai consumatori.
La Cassazione si pronuncia sull'esatta portata della fattispecie di "denuncia di un sinistro non accaduto" di cui all'art. 642 c.p.
Nella prima parte della nota, l'A. analizza la fattispecie di "denuncia di un sinistro non accaduto" di cui all'art. 642, comma 2, c.p., introdotta nel 2002 nell'ambito della riforma delle assicurazioni R.C. [Responsabilità Civile] auto, per, poi, affrontare la questione su cui si è pronunciata la Corte di cassazione, relativa al significato da attribuire al concetto di "sinistro". Infine, l'A. offre le proprie riflessioni sui rapporti intercorrenti tra la fattispecie esaminata e le altre ipotesi delittuose previste dall'art. 642 c.p. e sulla compatibilità di tali reati con il principio di offensività.
Il saggio giustifica la negazione dell'irretroattività dell'annullamento pronunciato dalla Consulta per la "RH Tax" a carico dei "petrolieri": essa può essere oggi sostituita da un "contributo ambientale", com'è accaduto per gli insediamenti produttivi all'interno del pip. Illustra, inoltre, le norme per la copertura delle minori entrate e considera la circolare MEF n. 18/E del 2015 come un parziale compenso fiscale per i petrolieri delusi.
Come era già accaduto in altra occasione, non ha avuto esito positivo il nuovo tentativo del Governo di qualificare, in via normativa, come "d'impresa" il reddito conseguito dalle società tra professionisti [s.t.p.] costituite ai sensi della legge n. 183/2011. Infatti, le problematiche emerse durante il confronto con le commissioni di Camera e Senato hanno indotto il legislatore delegato ad eliminare la relativa disposizione dal decreto legislativo sulle semplificazioni fiscali. Il regime fiscale cui assoggettare il suddetto reddito, dunque, deve essere individuato in via interpretativa. In proposito, pur non potendosi negare le problematiche che discendono da tale inquadramento, il reddito prodotto dalle società tra professionisti costituite in forma di società commerciali pare configurarsi quale reddito d'impresa, in forza della presunzione contenuta negli artt. 6 e 81 del T.U.I.R. [Testo Unico delle Imposte sui Redditi]
Qualora l'Agenzia delle entrate intenda sostenere, come è accaduto nel caso affrontato dalla sentenza della Corte di cassazione n. 25758 del 2014, che il contribuente avrebbe eluso, attraverso il "lease back", la disciplina degli ammortamenti tecnici, essa è tenuta a interrogarsi sulla "ratio" delle disposizioni che consentono la deduzione delle quote di ammortamento. È tenuta, inoltre, a verificare se, rispetto a quest'ultima "ratio", il comportamento del contribuente realizzi una situazione di conflitto.
Quando in ambito medico si verifica un evento avverso, la logica d'indagine cui si ricorrere per comprendere le cause di quanto accaduto è di tipo accusatorio. L'approccio accusatorio, nella ricostruzione del decorso causale che ha condotto all'esito infausto, si focalizza solo sulle mancanze dell'operatore per ultimo intervenuto nella cura del paziente. L'attuale sistema penale di tipo accusatorio, tuttavia, appare in contraddizione con le moderne acquisizioni della psicologia cognitiva sull'origine sistemica dell'errore umano. Si evidenzia, inoltre, come il tradizionale modello accusatorio fondato sulla previsione di illeciti colposi d'evento, in chiave preventiva, sia tutt'altro che efficace poiché si limita a sanzionare, "ex post" quando il fatto lesivo si è ormai realizzato, il sanitario ritenuto colpevole e tralascia qualsiasi intervento di rimozione delle falle del sistema che, a monte, hanno indotto il medico a sbagliare. Sulla base di tali riflessioni, si prospetta, dunque, la necessità di ricorrere a categorie dogmatiche nuove, come la colpa d'organizzazione, che sembrano meglio adattarsi alla logica sistemica.
Come accaduto altre volte in passato, la convergenza tecnologica ed economica può trainare quella regolatoria e, talvolta, quella istituzionale. In queste note ci proponiamo di evidenziare i limiti dell'apparato regolatorio ed istituzionale esistente che, specie a livello nazionale, vede solo timidi tentativi di coordinamento tra le due agende, energetica e digitale. Acquisito che solo dalla migliore integrazione delle due strategie potrebbe derivare un più agile raggiungimento dei due obiettivi, ambientale e di sviluppo tecnologico dei mercati, la tesi che si vuole sostenere è che agli interventi orientati a sostenere l'offerta (specie mediante il supporto alle infrastrutture fisiche e digitali) si debbano accompagnare quelli atti a stimolare la domanda di servizi e applicazioni "smart" e non, come sta avvenendo, a snaturare il consumatore "reale". Il consumatore avuto di mira dalle due agende è un soggetto "iper-connesso", che (ri)organizza la propria vita attorno alle applicazioni e agli apparecchi resi disponibili dagli operatori del mercato digitale. La "iper-connessione" consiste nell'uso della tecnologia come "protesi" dell'azione umana per raggiungere decisioni efficienti. Per cui, il consumatore oltre che iper-connesso è anche iper-efficiente, nei suoi consumi energetici come in quelli digitali, nel senso che adotta decisioni efficienti anche se queste non sarebbero "naturalmente" le sue. A meno di un lunghissimo processo di adattamento, il consumatore "reale" è ancora destinato a prevalere su quello iper-connesso giacché, come ci insegnano le scienze cognitive, molti sbagli, euristiche, emozioni, "bias", norme sociali sono insuperabili e perché così è ancora strutturata la sua mente.
In particolare, le minacce al diritto alla protezione dei dati personali che ne derivano provocano costantemente problematiche nel momento in cui ci si trova di fronte alla necessità di bilanciare diritto alla riservatezza ed esigenze di sicurezza, come spesso accaduto nei rapporti tra UE ed USA. La differente collocazione del diritto alla "privacy" nella scala dei valori statunitense rispetto a quella europea ha frequentemente imposto l'obbligo di trovare punti di incontro tra il sistema europeo e quello americano. I vari accordi internazionali stipulati in materia di regolazione dei flussi internazionali di dati personali confermano la presenza di questa necessità. In proposito, è possibile rilevare che ricorrono costantemente pressoché gli stessi aspetti critici verificati durante i vari negoziati tra UE e Stati Uniti, comprese le recenti operazioni volte ad introdurre uno strumento sostitutivo dei superati "Principi di approdo sicuro", dichiarati non conformi al diritto dell'Unione con la recente sentenza della Corte di giustizia del 6 ottobre 2015.
Un indirizzo interpretativo di segno diverso, che ponga l'accento - come accaduto talora in altre pronunce - più che altro sull'intento elusivo e sulla fraudolenza degli atti posti in essere, infatti, comporterebbe una restrizione intollerabile della libera circolazione dei beni, oltre che un "aggiramento" del necessario accertamento del "pericolo in concreto" come elemento costitutivo della fattispecie.