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PRIN 2012 - Accademia della Crusca
Regio decreto 16 marzo 1942-XX, n. 262.
Approvazione del testo del Codice civile
Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d'Italia e di Albania Imperatore d'Etiopia Visti i Regi decreti 12 dicembre 1938-XVII, n. 1852, 26 ottobre 1939-XVII, n. 1586, 30 gennaio 1941-XIX, n. 15, 30 gennaio 1941-XIX, n. 16, 30 gennaio 1941-XIX, n. 17 e 30 gennaio 1941-XIX, n. 18, che danno facoltà al Governo di provvedere alla riunione ed al coordinamento dei libri del Codice civile delle persone, delle successioni per causa di morte e delle donazioni, della proprietà, delle obbligazioni, del lavoro e della tutela dei diritti, approvati con gli stessi Regi decreti; Vista la legge 30 gennaio 1941-XIX, n. 14, sul valore giuridico della Carta del Lavoro; Udito il Consiglio dei Ministri; Sulla proposta del Nostro Guardasigilli, Ministro Segretario di Stato per la grazia e la giustizia; Abbiamo decretato e decretiamo:
Art. 1.
E' approvato il testo del Codice civile, il quale, preceduto dalle disposizioni sul valore giuridico della Carta del Lavoro, dal testo della Carta del Lavoro, approvato dal Gran Consiglio del Fascismo il 21 aprile 1927-V, e dalle Disposizioni sulla legge in generale, avrà esecuzione a cominciare dal 21 aprile 1942-XX, sostituendo da questa data i libri del Codice stesso, approvati con i Regi decreti 12 dicembre 1938-XVII, n. 1852, 26 ottobre 1939-XVII, n. 1586, 30 gennaio 1941-XIX, n. 15, 30 gennaio 1941-XIX, n. 16, 30 gennaio 1941-XIX, n. 17, e 30 gennaio 1941-XIX, n. 18.
Art. 2.
Un esemplare del testo del Codice civile, firmato da Noi e contrassegnato dal Nostro Ministro Segretario di Stato per la grazia e la giustizia, servirà di originale e sarà depositato e custodito nell'Archivio del Regno.
Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Roma, addì 16 marzo 1942-XX
Vittorio Emanuele
Mussolini - Grandi
Visto, il Guardasigilli : Grandi
Registrato alla Corte dei conti, addì 16 marzo 1942-XX
Atti del Governo, registro 443, foglio 53. - Mancini
Disposizioni sulla legge in generale
Capo I.
Delle fonti del diritto
Art. 1.
(Indicazioni delle fonti).
Sono fonti del diritto: 1) le leggi; 2) i regolamenti; 3) le norme corporative; 4) gli usi.
Art. 2.
(Leggi).
La formazione delle leggi e l'emanazione degli atti del Governo aventi forza di legge sono disciplinate da leggi di carattere costituzionale.
Art. 3.
(Regolamenti).
Il potere regolamentare del Governo è disciplinato da leggi di carattere costituzionale.
Il potere regolamentare di altre autorità è esercitato nei limiti delle rispettive competenze, in conformità delle leggi particolari.
Art. 4.
(Limiti della disciplina regolamentare).
I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi.
I regolamenti emanati a norma del secondo comma dell'art. 3 non possono nemmeno dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo.
Art. 5.
(Norme corporative).
Sono norme corporative le ordinanze corporative, gli accordi economici collettivi, i contratti collettivi di lavoro e le sentenze della magistratura del lavoro nelle controversie collettive.
Art. 6.
(Formazione ed efficacia delle norme corporative.
La formazione e l'efficacia delle norme corporative sono disciplinate nel codice civile e in leggi particolari.
Limiti della disciplina corporativa.
Le norme corporative non possono derogare alle disposizioni imperative delle leggi e dei regolamenti.
Art. 8.
(Usi).
Nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati.
Le norme corporative prevalgono sugli usi, anche se richiamati dalle leggi e dai regolamenti, salvo che in esse sia diversamente disposto.
Art. 9.
(Raccolte di usi).
Gli usi pubblicati nelle raccolte ufficiali degli enti e degli organi a ciò autorizzati si presumono esistenti fino a prova contraria.
Capo II.
Dell'applicazione della legge in generale
Art. 10.
(Inizio dell'obbligatorietà delle leggi e dei regolamenti).
Le leggi e i regolamenti divengono obbligatori nel decimoquinto giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto.
Le norme corporative divengono obbligatorie nel giorno successivo a quello della pubblicazione, salvo che in esse sia altrimenti disposto.
Art. 11.
(Efficacia della legge nel tempo).
La legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo.
I contratti collettivi di lavoro possono stabilire per la loro efficacia una data anteriore alla pubblicazione, purchè non preceda quella della stipulazione.
Art. 12.
(Interpretazione della legge).
Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.
Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principî generali dell'ordinamento giuridico dello Stato.
Art. 13.
(Esclusione dell'applicazione analogica delle norme corporative).
Le norme corporative non possono essere applicate a casi simili o a materie analoghe a quelli da esse contemplati.
Art. 14.
(Applicazione delle leggi penali ed eccezionali).
Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati.
Art. 15.
(Abrogazione delle leggi).
Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore; o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perchè la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore.
Art. 16.
(Trattamento dello straniero).
Lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali.
Questa disposizione vale anche per le persone giuridiche straniere.
Art. 17.
(Legge regolatrice dello stato e della capacità delle persone e dei rapporti di famiglia).
Lo stato e la capacità delle persone e i rapporti di famiglia sono regolati dalla legge dello Stato al quale esse appartengono.
Tuttavia uno straniero, se compie nel Regno un atto per il quale sia incapace secondo la sua legge nazionale, è considerato capace se per tale atto secondo la legge italiana sia capace il cittadino, salvo che si tratti di rapporti di famiglia, di successioni per causa di morte, di donazioni, ovvero di atti di disposizione di immobili situati all'estero.
Art. 18.
(Legge regolatrice dei rapporti personali tra coniugi).
I rapporti personali tra coniugi di diversa cittadinanza sono regolati dall'ultima legge nazionale che sia stata loro comune durante il matrimonio o, in mancanza di essa, dalla legge nazionale del marito al tempo della celebrazione del matrimonio.
Art. 19.
(Legge regolatrice dei rapporti patrimoniali tra coniugi).
I rapporti patrimoniali tra coniugi sono regolati dalla legge nazionale del marito al tempo della celebrazione del matrimonio.
Il cambiamento di cittadinanza dei coniugi non influisce sui rapporti patrimoniali, salve le convenzioni tra i coniugi in base alla nuova legge nazionale comune.
Art. 20.
(Legge regolatrice dei rapporti tra genitori e figli).
I rapporti tra genitori e figli sono regolati dalla legge nazionale del padre, ovvero da quella della madre se soltanto la maternità è accertata o se soltanto la madre ha legittimato il figlio.
I rapporti tra adottante e adottato sono regolati dalla legge nazionale dell'adottante al tempo dell'adozione.
Art. 21.
(Legge regolatrice della tutela).
La tutela e gli altri istituti di protezione degli incapaci sono regolati dalla legge nazionale dell'incapace.
Art. 22.
(Legge regolatrice del possesso, della proprietà e degli altri diritti sulle cose).
Il possesso, la proprietà e gli altri diritti sulle cose mobili e immobili sono regolati dalla legge del luogo nel quale le cose si trovano.
Art. 23.
(Legge regolatrice delle successioni per causa di morte).
Le successioni per causa di morte sono regolate, ovunque siano i beni, dalla legge dello Stato al quale apparteneva, al momento della morte, la persona della cui eredità si tratta.
Art. 24.
(Legge regolatrice delle donazioni).
Le donazioni sono regolate dalla legge nazionale del donante.
Art. 25.
(Legge regolatrice delle obbligazioni).
Le obbligazioni che nascono da contratto sono regolate dalla legge nazionale dei contraenti, se è comune; altrimenti da quella del luogo nel quale il contratto è stato conchiuso. E' salva in ogni caso la diversa volontà delle parti.
Le obbligazioni non contrattuali sono regolate dalla legge del luogo ove è avvenuto il fatto dal quale, esse derivano.
Art. 26.
(Legge regolatrice della forma degli atti).
La forma degli atti tra vivi e degli atti di ultima volontà è regolata dalla legge del luogo nel quale l'atto è compiuto o da quella che regola la sostanza dell'atto, ovvero dalla legge nazionale del disponente o da quella dei contraenti, se è comune.
Le forme di pubblicità degli atti di costituzione, di trasmissione e di estinzione dei diritti sulle cose sono regolate dalla legge del luogo in cui le cose stesse si trovano.
Art. 27.
(Legge regolatrice del processo).
La competenza e la forma del processo sono regolate dalla legge del luogo in cui il processo si svolge.
Art. 28.
(Efficacia delle leggi penali e di polizia).
Le leggi penali e quelle di polizia e sicurezza pubblica obbligano tutti coloro che si trovano nel territorio dello Stato.
Art. 29.
(Apolidi).
Se una persona non ha cittadinanza, si applica la legge del luogo dove risiede in tutti i casi nei quali, secondo le disposizioni che precedono, dovrebbe applicarsi la legge nazionale.
Art. 30.
(Rinvio ad altra legge).
Quando, ai termini degli articoli precedenti, si deve applicare una legge straniera, si applicano le disposizioni della legge stessa senza tener conto del rinvio da essa fatto ad altra legge.
Art. 31.
(Limiti derivanti dall'ordine pubblico e dal buon costume).
Nonostante le disposizioni degli articoli precedenti, in nessun caso le leggi e gli atti di uno Stato estero, gli ordinamenti e gli atti, di qualunque istituzione o ente, o le private disposizioni e convenzioni possono avere effetto nel territorio dello Stato, quando siano contrari all'ordine pubblico o al buon costume.
L'ordine corporativo fa parte integrante dell'ordine pubblico.
Codice civile.
Libro primo
Delle persone e della famiglia
Titolo I.
Delle persone fisiche
Art. 1.
(Capacità giuridica).
La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita.
I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all'evento della nascita.
Le limitazioni alla capacità giuridica derivanti dall'appartenenza a determinate razze sono stabilite da leggi speciali.
Art. 2.
(Maggiore età. Capacità di agire).
La maggiore età è fissata al compimento del ventunesimo anno.
Con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita un'età diversa.
Art. 3.
(Capacità in materia di lavoro).
Il minore che ha compiuto gli anni diciotto può prestare il proprio lavoro, stipulare i relativi contratti ed esercitare i diritti e le azioni che ne dipendono, salve le leggi speciali che stabiliscano un'età inferiore.
Art. 4.
(Commorienza).
Quando un effetto giuridico dipende dalla sopravvivenza di una persona a un'altra e non consta quale di esse sia morta prima, tutte si considerano morte nello stesso momento.
Art. 5.
(Atti di disposizione del proprio corpo).
Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume.
Art. 6.
(Diritto al nome).
Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito.
Nel nome si comprendono il prenome e il cognome.
Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati.
Art. 7.
(Tutela del diritto al nome).
La persona, alla quale si contesti il diritto all'uso del proprio nome o che possa risentire pregiudizio dall'uso che altri indebitamente ne faccia, può chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento dei danni.
L'autorità giudiziaria può ordinare che la sentenza sia pubblicata in uno o più giornali.
Art. 8.
(Tutela del nome per ragioni familiari).
Nel caso previsto dall'articolo precedente, l'azione può essere promossa anche da chi, pur non portando il nome contestato o indebitamente usato, abbia alla tutela del nome un interesse fondato su ragioni familiari degne d'essere protette.
Art. 9.
(Tutela dello pseudonimo).
Lo pseudonimo, usato da una persona in modo che abbia acquistato l'importanza del nome, può essere tutelato ai sensi dell'art. 7.
Art. 10.
(Abuso dell'immagine altrui).
Qualora l'immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l'esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l'autorità giudiziaria, su richiesta dell'interessato, può disporre che cessi l'abuso, salvo il risarcimento dei danni.
Titolo II.
Delle persone giuridiche
Capo I.
Disposizioni generali.
Art. 11.
(Persone giuridiche pubbliche).
Le provincie e i comuni, nonchè gli enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico.
Art. 12.
(Persone giuridiche private).
Le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento concesso con decreto reale.
Per determinate categorie di enti che esercitano la loro attività nell'ambito della provincia, il Governo può delegare ai prefetti la facoltà di riconoscerli con loro decreto.
Art. 13.
(Società).
Le società sono regolate dalle disposizioni contenute nel libro V.
Capo II.
Delle associazioni e delle fondazioni.
Art. 14.
(Atto costitutivo).
Le associazioni e le fondazioni devono essere costituite con atto pubblico.
La fondazione può essere disposta anche con testamento.
Art. 15.
(Revoca dell'atto costitutivo della fondazione).
L'atto di fondazione può essere revocato dal fondatore fino a quando non sia intervenuto il riconoscimento ovvero il fondatore non abbia fatto iniziare l'attività dell'opera da lui disposta.
La facoltà di revoca non si trasmette agli eredi.
Art. 16.
(Atto costitutivo e statuto. Modificazioni).
L'atto costitutivo e lo statuto devono contenere la denominazione dell'ente, l'indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, nonchè le norme sull'ordinamento e sull'amministrazione. Devono anche determinare, quando trattasi di associazioni, i diritti e gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione; e, quando trattasi di fondazioni, i criteri e le modalità di erogazione delle rendite.
L'atto costitutivo e lo statuto possono inoltre contenere le norme relative alla estinzione dell'ente e alla devoluzione del patrimonio, e, per le fondazioni, anche quelle relative alla loro trasformazione.
Le modificazioni dell'atto costitutivo e dello statuto devono essere approvate dall'autorità governativa nelle forme indicate nell'art. 12.
Art. 17.
(Acquisto di immobili e accettazione di donazioni, eredità e legati).
La persona giuridica non può acquistare beni immobili, nè accettare donazioni o eredità, nè conseguire legati senza l'autorizzazione governativa.
Senza questa autorizzazione l'acquisto e l'accettazione non hanno effetto.
Art. 18.
(Responsabilità degli amministratori).
Gli amministratori sono responsabili verso l'ente secondo le norme del mandato. E` però esente da responsabilità quello degli amministratori il quale non abbia partecipato all'atto che ha causato il danno, salvo il caso in cui, essendo a cognizione che l'atto si stava per compiere, egli non abbia fatto constare del proprio dissenso.
Art. 19.
(Limitazioni del potere di rappresentanza).
Le limitazioni del potere di rappresentanza, che non risultano dal registro indicato nell'art. 33, non possono essere opposte ai terzi, salvo che si provi che essi ne erano a conoscenza.
Art. 20.
(Convocazione dell'assemblea delle associazioni).
L'assemblea delle associazioni deve essere convocata dagli amministratori una volta l'anno per l'approvazione del bilancio.
L'assemblea deve essere inoltre convocata quando se ne ravvisa la necessità o quando ne è fatta richiesta motivata da almeno un decimo degli associati. In quest'ultimo caso, se gli amministratori non vi provvedono, la convocazione può essere ordinata dal presidente del tribunale.
Art. 21.
(Deliberazioni dell'assemblea).
Le deliberazioni dell'assemblea sono prese a maggioranza di voti e con la presenza di almeno la metà degli associati. In seconda convocazione la deliberazione è valida qualunque sia il numero degli intervenuti. Nelle deliberazioni di approvazione del bilancio e in quelle che riguardano la loro responsabilità gli amministratori non hanno voto.
Per modificare l'atto costitutivo e lo statuto, se in essi non è altrimenti disposto, occorrono la presenza di almeno tre quarti degli associati e il voto favorevole della maggioranza dei presenti.
Per deliberare lo scioglimento dell'associazione e la devoluzione del patrimonio occorre il voto favorevole di almeno tre quarti degli associati.
Art. 22.
(Azioni di responsabilità contro gli amministratori).
Le azioni di responsabilità contro gli amministratori delle associazioni per fatti da loro compiuti sono deliberate dall'assemblea e sono esercitate dai nuovi amministratori o dai liquidatori.
Art. 23.
(Annullamento e sospensione delle deliberazioni).
Le deliberazioni dell'assemblea contrarie alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto possono essere annullate su istanza degli organi dell'ente, di qualunque associato o del pubblico ministero.
L'annullamento della deliberazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima.
Il presidente del tribunale o il giudice istruttore, sentiti gli amministratori dell'associazione, può sospendere, su istanza di colui che ha proposto l'impugnazione, l'esecuzione della deliberazione impugnata, quando sussistono gravi motivi. Il decreto di sospensione deve essere motivato ed è notificato agli amministratori.
L'esecuzione delle deliberazioni contrarie all'ordine pubblico o al buon costume può essere sospesa anche dall'autorità governativa.
Art. 24.
(Recesso ed esclusione degli associati).
La qualità di associato non è trasmissibile, salvo che la trasmissione sia consentita dall'atto costitutivo o dallo statuto.
L'associato può sempre recedere dall'associazione se non ha assunto l'obbligo di farne parte per un tempo determinato. La dichiarazione di recesso deve essere comunicata per iscritto agli amministratori e ha effetto con lo scadere dell'anno in corso, purchè sia fatta almeno tre mesi prima.
L'esclusione d'un associato non può essere deliberata dall'assemblea che per gravi motivi: l'associato può ricorrere all'autorità giudiziaria entro sei mesi dal giorno in cui gli è stata notificata la deliberazione.
Gli associati, che abbiano receduto o siano stati esclusi o che comunque abbiano cessato di appartenere all'associazione, non possono ripetere i contributi versati, nè hanno alcun diritto sul patrimonio dell'associazione.
Art. 25.
(Controllo sull'amministrazione delle fondazioni).
L'autorità governativa esercita il controllo e la vigilanza sull'amministrazione delle fondazioni; provvede alla nomina e alla sostituzione degli amministratori o dei rappresentanti, quando le disposizioni contenute nell'atto di fondazione non possono attuarsi; annulla, sentiti gli amministratori, con provvedimento definitivo, le deliberazioni contrarie a norme imperative, all'atto di fondazione, all'ordine pubblico o al buon costume; può sciogliere l'amministrazione e nominare un commissario straordinario, qualora gli amministratori non agiscano in conformità dello statuto o dello scopo della fondazione o della legge.
L'annullamento della deliberazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima.
Le azioni contro gli amministratori per fatti riguardanti la loro responsabilità devono essere autorizzate dall'autorità governativa e sono esercitate dal commissario straordinario, dai liquidatori o dai nuovi amministratori.
Art. 26.
(Coordinamento di attività e unificazione di amministrazione).
L'autorità governativa può disporre il coordinamento dell'attività di più fondazioni ovvero l'unificazione della loro amministrazione, rispettando, per quanto è possibile, la volontà del fondatore.
Art. 27.
(Estinzione della persona giuridica).
Oltre che per le cause previste nell'atto costitutivo e nello statuto, la persona giuridica si estingue quando lo scopo è stato raggiunto o è divenuto impossibile.
Le associazioni si estinguono inoltre quando tutti gli associati sono venuti a mancare.
L'estinzione è dichiarata dall'autorità governativa, su istanza di qualunque interessato o anche d'ufficio.
Art. 28.
(Trasformazione delle fondazioni).
Quando lo scopo è esaurito o divenuto impossibile o di scarsa utilità, o il patrimonio è divenuto insufficiente, l'autorità governativa, anzichè dichiarare estinta la fondazione, può provvedere alla sua trasformazione, allontanandosi il meno possibile dalla volontà del fondatore.
La trasformazione non è ammessa quando i fatti che vi darebbero luogo sono considerati nell'atto di fondazione come causa di estinzione della persona giuridica e di devoluzione dei beni a terze persone.
Le disposizioni del primo comma di questo articolo e dell'art. 26 non si applicano alle fondazioni destinate a vantaggio soltanto di una o più famiglie determinate.
Art. 29.
(Divieto di nuove operazioni).
Gli amministratori non possono compiere nuove operazioni, appena è stato loro comunicato il provvedimento che dichiara l'estinzione della persona giuridica o il provvedimento con cui l'autorità, a norma di legge, ha ordinato lo scioglimento dell'associazione, o appena è stata adottata dall'assemblea la deliberazione di scioglimento dell'associazione medesima. Qualora trasgrediscano a questo divieto, assumono responsabilità personale e solidale.
Art. 30.
(Liquidazione).
Dichiarata l'estinzione della persona giuridica o disposto lo scioglimento dell'associazione, si procede alla liquidazione del patrimonio secondo le norme di attuazione del codice.
Art. 31.
(Devoluzione dei beni).
I beni della persona giuridica, che restano dopo esaurita la liquidazione, sono devoluti in conformità dell'atto costitutivo o dello statuto.
Qualora questi non dispongano, se trattasi di fondazione, provvede l'autorità governativa, attribuendo i beni ad altri enti che hanno fini analoghi; se trattasi di associazione, si osservano le deliberazioni dell'assemblea, che ha stabilito lo scioglimento e, quando anche queste mancano, provvede nello stesso modo l'autorità governativa.
I creditori che durante la liquidazione non hanno fatto valere il loro credito possono chiedere il pagamento a coloro ai quali i beni sono stati devoluti, entro l'anno dalla chiusura della liquidazione, in proporzione e nei limiti di ciò che hanno ricevuto.
Art. 32.
(Devoluzione dei beni con destinazione particolare).
Nel caso di trasformazione o di scioglimento di un ente, al quale sono stati donati o lasciati beni con destinazione a scopo diverso da quello proprio dell'ente, l'autorità governativa devolve tali beni, con lo stesso onere, ad altre persone giuridiche che hanno fini analoghi.
Art. 33.
(Registrazione delle persone giuridiche).
In ogni provincia è istituito un pubblico registro delle persone giuridiche.
Nel registro devono indicarsi la data dell'atto costitutivo e quella del decreto di riconoscimento, la denominazione, lo scopo, il patrimonio, la durata, qualora sia stata determinata, la sede della persona giuridica e il cognome e il nome degli amministratori con la menzione di quelli ai quali è attribuita la rappresentanza.
La registrazione può essere disposta anche d'ufficio.
Gli amministratori di un'associazione o di una fondazione non registrata, benchè riconosciuta, rispondono personalmente e solidalmente, insieme con la persona giuridica, delle obbligazioni assunte.
Art. 34.
(Registrazione di atti).
Nel registro devono iscriversi anche le modificazioni dell'atto costitutivo e dello statuto, dopo che sono state approvate dall'autorità governativa, il trasferimento della sede e l'istituzione di sedi secondarie, la sostituzione degli amministratori con indicazione di quelli ai quali spetta la rappresentanza, le deliberazioni di scioglimento, i provvedimenti che ordinano lo scioglimento o dichiarano l'estinzione, il cognome e il nome dei liquidatori.
Se l'iscrizione non ha avuto luogo, i fatti indicati non possono essere opposti ai terzi, a meno che si provi che questi ne erano a conoscenza.
Art. 35.
(Disposizione penale).
Gli amministratori e i liquidatori che non richiedono le iscrizioni prescritte dagli articoli 33 e 34, nel termine e secondo le modalità stabiliti dalle norme di attuazione del codice, sono puniti con l'ammenda da lire cento a lire cinquemila.
Capo III.
Delle associazioni non riconosciute e dei comitati.
Art. 36.
(Ordinamento e amministrazione delle associazioni non riconosciute).
L'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati.
Le dette associazioni possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo questi accordi, è conferita la presidenza o la direzione.
Art. 37.
(Fondo comune).
I contributi degli associati e i beni acquistati con questi contributi costituiscono il fondo comune dell'associazione. Finchè questa dura, i singoli associati non possono chiedere la divisione del fondo comune, nè pretenderne la quota in caso di recesso.
Art. 38.
(Obbligazioni).
Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione.
Art. 39.
(Comitati).
I comitati di soccorso o di beneficenza e i comitati promotori di opere pubbliche, monumenti, esposizioni, mostre, festeggiamenti e simili sono regolati dalle disposizioni seguenti, salvo quanto è stabilito nelle leggi speciali.
Art. 40.
(Responsabilità degli organizzatori).
Gli organizzatori e coloro che assumono la gestione dei fondi raccolti sono responsabili personalmente e solidalmente della conservazione dei fondi e della loro destinazione allo scopo annunziato.
Art. 41.
(Responsabilità dei componenti. Rappresentanza in giudizio).
Qualora il comitato non abbia ottenuto la personalità giuridica, i suoi componenti rispondono personalmente e solidalmente delle obbligazioni assunte. I sottoscrittori sono tenuti soltanto a effettuare le oblazioni promesse.
Il comitato può stare in giudizio nella persona del presidente.
Art. 42.
(Diversa destinazione dei fondi).
Qualora i fondi raccolti siano insufficienti allo scopo, o questo non sia più attuabile, o, raggiunto lo scopo, si abbia un residuo di fondi, l'autorità governativa stabilisce la devoluzione dei beni, se questa non è stata disciplinata al momento della costituzione.
Titolo III.
Del domicilio e della residenza
Art. 43.
(Domicilio e residenza).
Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari o interessi.
La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale.
Art. 44.
(Trasferimento della residenza e del domicilio).
Il trasferimento della residenza non può essere opposto ai terzi di buona fede, se non è stato denunciato nei modi prescritti dalla legge.
Quando una persona ha nel medesimo luogo il domicilio e la residenza e trasferisce questa altrove, di fronte ai terzi di buona fede si considera trasferito pure il domicilio, se non si è fatta una diversa dichiarazione nell'atto in cui è stato denunciato il trasferimento della residenza.
Art. 45.
(Domicilio della moglie, del minore e dell'interdetto).
La moglie che non è legalmente separata ha il domicilio del marito. La disposizione non si applica quando il marito è interdetto.
Se il marito ha trasferito il suo domicilio all'estero, la moglie può stabilire nel territorio dello Stato il proprio domicilio.
Il minore non emancipato ha il domicilio della persona che esercita su lui la patria potestà e la tutela.
L'interdetto ha il domicilio del tutore.
Art. 46.
(Sede delle persone giuridiche).
Quando la legge fa dipendere determinati effetti dalla residenza o dal domicilio, per le persone giuridiche si ha riguardo al luogo in cui è stabilita la loro sede.
Nei casi in cui la sede stabilita ai sensi dell'art. 16 o la sede risultante dal registro è diversa da quella effettiva, i terzi possono considerare come sede della persona giuridica anche quest'ultima.
Art. 47.
(Elezione di domicilio).
Si può eleggere domicilio speciale per determinati atti e affari.
Questa elezione deve farsi espressamente per iscritto.
Titolo IV.
Dell'assenza e della dichiarazione di morte presunta
Capo I.
Dell'assenza.
Art. 48.
(Curatore dello scomparso).
Quando una persona non è più comparsa nel luogo del suo ultimo domicilio o dell'ultima sua residenza e non se ne hanno più notizie, il tribunale dell'ultimo domicilio o dell'ultima residenza, su istanza degli interessati o dei presunti successori legittimi o del pubblico ministero, può nominare un curatore che rappresenti la persona in giudizio o nella formazione degli inventari e dei conti e nelle liquidazioni o divisioni in cui sia interessata, e può dare gli altri provvedimenti necessari alla conservazione del patrimonio dello scomparso.
Se vi è un legale rappresentante, non si fa luogo alla nomina del curatore. Se vi è un procuratore, il tribunale provvede soltanto per gli atti che il medesimo non può fare.
Art. 49.
(Dichiarazione di assenza).
Trascorsi due anni dal giorno a cui risale l'ultima notizia, i presunti successori legittimi e chiunque ragionevolmente creda di avere sui beni dello scomparso diritti dipendenti dalla morte di lui possono domandare al tribunale competente, secondo l'articolo precedente, che ne sia dichiarata l'assenza.
Art. 50.
(Immissione nel possesso temporaneo dei beni).
Divenuta eseguibile la sentenza che dichiara l'assenza, il tribunale, su istanza di chiunque vi abbia interesse o del pubblico ministero, ordina l'apertura degli atti di ultima volontà dell'assente, se vi sono.
Coloro che sarebbero eredi testamentari o legittimi, se l'assente fosse morto nel giorno a cui risale l'ultima notizia di lui, o i loro rispettivi eredi possono domandare l'immissione nel possesso temporaneo dei beni.
I legatari, i donatari e tutti quelli ai quali spetterebbero diritti dipendenti dalla morte dell'assente possono domandare di essere ammessi all'esercizio temporaneo di questi diritti.
Coloro che per effetto della morte dell'assente sarebbero liberati da obbligazioni possono essere temporaneamente esonerati dall'adempimento di esse, salvo che si tratti delle obbligazioni alimentari previste dall'art. 434.
Per ottenere l'immissione nel possesso, l'esercizio temporaneo dei diritti o la liberazione temporanea dalle obbligazioni si deve dare cauzione nella somma determinata dal tribunale; se taluno non sia in grado di darla, il tribunale può stabilire altre cautele, avuto riguardo alla qualità delle persone e alla loro parentela con l'assente.
Art. 51.
(Assegno alimentare a favore del coniuge dell'assente).
Il coniuge dell'assente, oltre ciò che gli spetta per le convenzioni matrimoniali e per titolo di successione, può ottenere dal tribunale, in caso di bisogno, un assegno alimentare da determinarsi secondo la condizione della famiglia e l'entità del patrimonio dell'assente.
Art. 52.
(Effetti della immissione nel possesso temporaneo).
L'immissione nel possesso temporaneo dei beni deve essere preceduta dalla formazione dell'inventario dei beni.
Essa attribuisce a coloro che l'ottengono e ai loro successori l'amministrazione dei beni dell'assente, la rappresentanza di lui in giudizio e il godimento delle rendite dei beni nei limiti stabiliti nell'articolo seguente.
Art. 53.
(Godimento dei beni).
Gli ascendenti, i discendenti e il coniuge immessi nel possesso temporaneo dei beni ritengono a loro profitto la totalità delle rendite. Gli altri devono riservare all'assente il terzo delle rendite.
Art. 54.
(Limiti alla disponibilità dei beni).
Coloro che hanno ottenuto l'immissione nel possesso temporaneo dei beni non possono alienarli, ipotecarli o sottoporli a pegno, se non per necessità o utilità evidente riconosciuta dal tribunale.
Il tribunale nell'autorizzare questi atti dispone circa l'uso e l'impiego delle somme ricavate.
Art. 55.
(Immissione di altri nel possesso temporaneo).
Se durante il possesso temporaneo taluno prova di avere avuto, al giorno a cui risale l'ultima notizia dell'assente, un diritto prevalente o uguale a quello del possessore, può escludere questo dal possesso o farvisi associare; ma non ha diritto ai frutti se non dal giorno della domanda giudiziale.
Art. 56.
(Ritorno dell'assente o prova della sua esistenza).
Se durante il possesso temporaneo l'assente ritorna o è provata l'esistenza di lui, cessano gli effetti della dichiarazione di assenza, salva, se occorre, l'adozione di provvedimenti per la conservazione del patrimonio a norma dell'art. 48.
I possessori temporanei dei beni devono restituirli; ma fino al giorno della loro costituzione in mora continuano a godere i vantaggi attribuiti dagli articoli 52 e 53, e gli atti compiuti ai sensi dell'art. 54 restano irrevocabili.
Se l'assenza è stata volontaria e non è giustificata, l'assente perde il diritto di farsi restituire le rendite riservategli dalla norma dell'art. 53.
Art. 57.
(Prova della morte dell'assente).
Se durante il possesso temporaneo è provata la morte dell'assente, la successione si apre a vantaggio di coloro che al momento della morte erano suoi eredi o legatari.
Si applica anche in questo caso la disposizione del secondo comma dell'articolo precedente.
Capo II.
Della dichiarazione di morte presunta.
Art. 58.
(Dichiarazione di morte presunta dell'assente).
Quando sono trascorsi dieci anni dal giorno a cui risale l'ultima notizia dell'assente, il tribunale competente secondo l'art. 48, su istanza del pubblico ministero o di taluna delle persone indicate nei capoversi dell'art. 50, può con sentenza dichiarare presunta la morte dell'assente nel giorno a cui risale l'ultima notizia.
In nessun caso la sentenza può essere pronunziata se non sono trascorsi nove anni dal raggiungimento della maggiore età dell'assente.
Può essere dichiarata la morte presunta anche se sia mancata la dichiarazione di assenza.
Art. 59.
(Termine per la rinnovazione dell'istanza).
L'istanza, quando è stata rigettata, non può essere riproposta prima che siano decorsi almeno due anni.
Art. 60.
(Altri casi di dichiarazione di morte presunta).
Oltre che nel caso indicato nell'art. 58, può essere dichiarata la morte presunta nei casi seguenti: 1) quando alcuno è scomparso in operazioni belliche alle quali ha preso parte, sia nei corpi armati, sia al seguito di essi, o alle quali si è comunque trovato presente, senza che si abbiano più notizie di lui, e sono trascorsi due anni dall'entrata in vigore del trattato di pace o, in mancanza di questo, tre anni dalla fine dell'anno in cui sono cessate le ostilità; 2) quando alcuno è stato fatto prigioniero dal nemico, o da questo internato o comunque trasportato in paese straniero, e sono trascorsi due anni dall'entrata in vigore del trattato di pace, o, in mancanza di questo, tre anni dalla fine dell'anno in cui sono cessate le ostilità, senza che si siano avute notizie di lui dopo l'entrata in vigore del trattato di pace ovvero dopo la cessazione delle ostilità; 3) quando alcuno è scomparso per un infortunio e non si hanno più notizie di lui, dopo due anni dal giorno dell'infortunio o, se il giorno non è conosciuto, dopo due anni dalla fine del mese o, se neppure il mese è conosciuto, dalla fine dell'anno in cui l'infortunio è avvenuto.
Art. 61.
(Data della morte presunta).
Nei casi previsti dai numeri 1 e 3 dell'articolo precedente, la sentenza determina il giorno e possibilmente l'ora a cui risale la scomparsa nell'operazione bellica o nell'infortunio, e nel caso indicato dal n. 2 il giorno a cui risale l'ultima notizia.
Qualora non possa determinarsi l'ora, la morte presunta si ha per avvenuta alla fine del giorno indicato.
Art. 62.
(Condizioni e forme della dichiarazione di morte presunta).
La dichiarazione di morte presunta nei casi indicati dall'art. 60 può essere domandata quando non si è potuto procedere agli accertamenti richiesti dalla legge per la compilazione dell'atto di morte.
Questa dichiarazione è pronunziata con sentenza del tribunale su istanza del pubblico ministero o di alcuna delle persone indicate nei capoversi dell'art. 50.
Il tribunale, qualora non ritenga di accogliere l'istanza di dichiarazione di morte presunta, può dichiarare l'assenza dello scomparso.
Art. 63.
(Effetti della dichiarazione di morte presunta dell'assente).
Divenuta eseguibile la sentenza indicata nell'art. 58, coloro che ottennero l'immissione nel possesso temporaneo dei beni dell'assente o i loro successori possono disporre liberamente dei beni.
Coloro ai quali fu concesso l'esercizio temporaneo dei diritti o la liberazione temporanea dalle obbligazioni di cui all'art. 50 conseguono l'esercizio definitivo dei diritti o la liberazione definitiva dalle obbligazioni.
Si estinguono inoltre le obbligazioni alimentari indicate nel quarto comma dell'art. 50.
In ogni caso cessano le cauzioni e le altre cautele che sono state imposte.
Art. 64.
(Immissione nel possesso e inventario).
Se non v'è stata immissione nel possesso temporaneo dei beni, gli aventi diritto indicati nei capoversi dell'art. 50 o i loro successori conseguono il pieno esercizio dei diritti loro spettanti, quando è diventata eseguibile la sentenza menzionata nell'art. 58.
Coloro che prendono possesso dei beni devono fare precedere l'inventario dei beni.
Parimenti devono far precedere l'inventario dei beni coloro che succedono per effetto della dichiarazione di morte presunta nei casi indicati dall'art. 60.
Art. 65.
(Nuovo matrimonio del coniuge).
Divenuta eseguibile la sentenza che dichiara la morte presunta, il coniuge può contrarre nuovo matrimonio.
Art. 66.
(Prova dell'esistenza della persona di cui è stata dichiarata la morte presunta).
La persona di cui è stata dichiarata la morte presunta, se ritorna o ne è provata l'esistenza, ricupera i beni nello stato in cui si trovano e ha diritto di conseguire il prezzo di quelli alienati, quando esso sia tuttora dovuto, o i beni nei quali sia stato investito.
Essa ha altresì diritto di pretendere l'adempimento delle obbligazioni considerate estinte ai sensi del secondo comma dell'art. 63.
Se è provata la data della sua morte, il diritto previsto nel primo comma di questo articolo compete a coloro che a quella data sarebbero stati suoi eredi o legatari. Questi possono inoltre pretendere l'adempimento delle obbligazioni considerate estinte ai sensi del secondo comma dell'art. 63 per il tempo anteriore alla data della morte.
Sono salvi in ogni caso gli effetti delle prescrizioni e delle usucapioni.
Art. 67.
(Dichiarazione di esistenza o accertamento della morte).
La dichiarazione di esistenza della persona di cui è stata dichiarata la morte presunta e l'accertamento della morte possono essere sempre fatti, su richiesta del pubblico ministero o di qualunque interessato, in contraddittorio di tutti coloro che furono parti nel giudizio in cui fu dichiarata la morte presunta.
Art. 68.
(Nullità del nuovo matrimonio).
Il matrimonio contratto a norma dell'art. 65 è nullo, qualora la persona della quale fu dichiarata la morte presunta ritorni o ne sia accertata l'esistenza.
Sono salvi gli effetti civili del matrimonio dichiarato nullo.
La nullità non può essere pronunziata nel caso in cui è accertata la morte, anche se avvenuta in una data posteriore a quella del matrimonio.
Capo III.
Delle ragioni eventuali che competono alla persona di cui si ignora l'esistenza o di cui è stata dichiarata la morte presunta.
Art. 69.
(Diritti spettanti alla persona di cui si ignora l'esistenza).
Nessuno è ammesso a reclamare un diritto in nome della persona di cui si ignora l'esistenza, se non prova che la persona esisteva quando il diritto è nato.
Art. 70.
(Successione alla quale sarebbe chiamata la persona di cui si ignora l'esistenza).
Quando s'apre una successione alla quale sarebbe chiamata in tutto o in parte una persona di cui s'ignora l'esistenza, la successione è devoluta a coloro ai quali sarebbe spettata in mancanza della detta persona, salvo il diritto di rappresentazione.
Coloro ai quali è devoluta la successione devono innanzi tutto procedere all'inventario dei beni, e devono dare cauzione.
Art. 71.
(Estinzione dei diritti spettanti alla persona di cui si ignora l'esistenza).
Le disposizioni degli articoli precedenti non pregiudicano petizione di eredità nè gli altri diritti spettanti alla persona di cui s'ignora l'esistenza o ai suoi eredi o aventi causa, salvi gli effetti della prescrizione o dell'usucapione.
La restituzione dei frutti non è dovuta se non dal giorno della costituzione in mora.
Art. 72.
(Successione a cui sarebbe chiamata la persona della quale è stata dichiarata la morte presunta).
Quando s'apre una successione alla quale sarebbe chiamata in tutto o in parte una persona di cui è stata dichiarata la morte presunta, coloro ai quali, in sua mancanza, è devoluta la successione devono innanzi tutto procedere all'inventario dei beni.
Art. 73.
(Estinzione dei diritti spettanti alla persona di cui è stata dichiarata la morte presunta).
Estinzione dei diritti spettanti alla persona di cui è stata Se la persona di cui è stata dichiarata la morte presunta ritorna o ne è provata l'esistenza al momento dell'apertura della successione, essa o i suoi eredi o aventi causa possono esercitare la petizione di eredità e far valere ogni altro diritto, ma non possono recuperare i beni se non nello stato in cui si trovano, e non possono ripetere che il prezzo di quelli alienati, quando è ancora dovuto, o i beni nei quali esso è stato investito, salvi gli effetti della prescrizione o dell'usucapione.
Si applica la disposizione del secondo comma dell'art. 71.
Titolo V.
Della parentela e dell'affinità
Art. 74.
(Parentela).
La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite.
Art. 75.
(Linee della parentela).
Sono parenti in linea retta le persone di cui l'una discende dall'altra; in linea collaterale quelle che, pur avendo uno stipite comune, non discendono l'una dall'altra.
Art. 76.
(Computo dei gradi).
Nella linea retta si computano altrettanti gradi quante sono le generazioni, escluso lo stipite.
Nella linea collaterale i gradi si computano dalle generazioni, salendo da uno dei parenti fino allo stipite comune e da questo discendendo all'altro parente, sempre restando escluso lo stipite.
Art. 77.
(Limite della parentela).
La legge non riconosce il vincolo di parentela oltre il sesto grado, salvo che per alcuni effetti specialmente determinati.
Art. 78.
(Affinità).
L'affinità è il vincolo tra un coniuge e i parenti dell'altro coniuge.
Nella linea e nel grado in cui taluno è parente d'uno dei coniugi, egli è affine dell'altro coniuge.
L'affinità non cessa per la morte, anche senza prole, del coniuge da cui deriva, salvo che per alcuni effetti specialmente determinati. Cessa se il matrimonio è dichiarato nullo, salvi gli effetti di cui all'art. 87, n. 4.
Titolo VI.
Del matrimonio
Capo I.
Della promessa di matrimonio.
Art. 79.
(Effetti).
La promessa di matrimonio non obbliga a contrarlo nè ad eseguire ciò che si fosse convenuto per il caso di non adempimento.
Art. 80.
(Restituzione dei doni).
Il promittente può domandare la restituzione dei doni fatti a causa della promessa di matrimonio, se questo non è stato contratto.
La domanda non è proponibile dopo un anno dal giorno in cui s'è avuto il rifiuto di celebrare il matrimonio o dal giorno della morte di uno dei promittenti.
Art. 81.
(Risarcimento di danni).
La promessa di matrimonio, fatta vicendevolmente per atto pubblico o per scrittura privata da persona maggiore di età o dal minore autorizzato da chi deve dare l'assenso per la celebrazione del matrimonio, oppure risultante dalla richiesta della pubblicazione, obbliga il promittente che senza giusto motivo ricusi di eseguirla a risarcire il danno cagionato all'altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni contratte a causa di quella promessa. Il danno è risarcito entro il limite in cui le spese e le obbligazioni corrispondono alla condizione delle parti.
Lo stesso risarcimento è dovuto dal promittente che con la propria colpa ha dato giusto motivo al rifiuto dell'altro.
La domanda non è proponibile dopo un anno dal giorno del rifiuto di celebrare il matrimonio.
Capo II.
Del matrimonio celebrato davanti a ministri del culto cattolico e del matrimonio celebrato davanti a ministri dei culti ammessi nello Stato.
Art. 82.
(Matrimonio celebrato davanti a ministri del culto cattolico).
Il matrimonio celebrato davanti a un ministro del culto cattolico è regolato in conformità del Concordato con la Santa Sede e delle leggi speciali sulla materia.
Art. 83.
(Matrimonio celebrato davanti a ministri dei culti ammessi nello Stato).
Il matrimonio celebrato davanti a ministri dei culti ammessi nello Stato è regolato dalle disposizioni del capo seguente, salvo quanto è stabilito nella legge speciale concernente il matrimonio.
Capo III.
Del matrimonio celebrato davanti all'ufficiale dello stato civile.
Sezione I. -
Delle condizioni necessarie per contrarre matrimonio.
Art. 84.
(Età).
Non possono contrarre matrimonio l'uomo che non ha compiuto gli anni sedici, la donna che non ha compiuto gli anni quattordici.
Il Re o le autorità a ciò delegate possono per gravi motivi accordare dispensa, ammettendo al matrimonio l'uomo che ha compiuto gli anni quattordici e la donna che ha compiuto gli anni dodici.
Art. 85.
(Interdizione per infermità di mente).
Non può contrarre matrimonio l'interdetto per infermità di mente.
Se l'istanza di interdizione è soltanto promossa, il pubblico ministero può chiedere che si sospenda la celebrazione del matrimonio; in tal caso la celebrazione non può aver luogo finchè la sentenza che ha pronunziato sull'istanza non sia passata in giudicato.
Art. 86.
(Libertà di stato).
Non può contrarre matrimonio chi è vincolato da un matrimonio precedente.
Art. 87.
(Parentela, affinità, adozione e affiliazione).
Non possono contrarre matrimonio tra loro: 1) gli ascendenti e i discendenti in linea retta, legittimi o naturali; 2) i fratelli e le sorelle germani, consanguinei o uterini; 3) lo zio e la nipote, la zia e il nipote; 4) gli affini in linea retta: il divieto sussiste anche nel caso in cui è stato dichiarato nullo il matrimonio dal quale l'affinità derivava; 5) gli affini in linea collaterale in secondo grado; 6) l'adottante, l'adottato e i suoi discendenti; 7) i figli adottivi della stessa persona; 8) l'adottato e i figli dell'adottante; 9) l'adottato e il coniuge dell'adottante, l'adottante e il coniuge dell'adottato.
I divieti contenuti nei numeri 6, 7, 8 e 9 sono applicabili all'affiliazione.
I divieti contenuti nei numeri 2 e 3 si applicano anche se il rapporto dipende da filiazione naturale.
Il Re o le autorità a ciò delegate possono accordare dispensa nei casi indicati dai numeri 3, 5, 6, 7, 8 e 9 e nei casi indicati dal comma secondo. La dispensa può essere accordata anche nel caso indicato dal n. 4, quando l'affinità deriva da matrimonio dichiarato nullo.
Art. 88.
(Delitto).
Non possono contrarre matrimonio tra loro le persone delle quali l'una è stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell'altra.
Se ebbe luogo soltanto rinvio a giudizio ovvero fu ordinata la cattura, si sospende la celebrazione del matrimonio fino a quando non è pronunziata sentenza di proscioglimento.
Art. 89.
(Lutto vedovile).
Non può contrarre matrimonio la donna, se non dopo trecento giorni dallo scioglimento o dall'annullamento del matrimonio precedente, eccettuato il caso in cui il matrimonio è stato dichiarato nullo ai sensi dell'art. 123.
Il Re o le autorità a ciò delegate possono accordare dispensa da questo divieto.
Il divieto cessa dal giorno in cui la donna ha partorito.
Art. 90.
(Assenso per il minore).
Il minore non può contrarre matrimonio senza l'assenso della persona che esercita su lui la patria potestà o la tutela.
Per il matrimonio del minore emancipato è necessario l'assenso del curatore, quando questi è uno dei genitori.
L'assenso, quando non è dato personalmente davanti all'ufficiale dello stato civile cui si domanda la pubblicazione, deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, dove si indichi tanto lo sposo al quale si dà l'assenso, quanto l'altro.
Quando è negato l'assenso, il matrimonio può essere autorizzato per gravi motivi dal procuratore generale presso la corte d'appello.
Il procuratore generale può nominare un curatore che assista il minore nella stipulazione delle convenzioni matrimoniali.
Art. 91.
(Diversità di razza o di nazionalità).
I matrimoni tra persone appartenenti a razze diverse sono soggetti alle limitazioni poste dalle leggi speciali.
Le leggi speciali determinano anche le condizioni che devono osservarsi per i matrimoni dei cittadini italiani con persone di nazionalità straniera.
Art. 92.
(Matrimonio del Re Imperatore e dei Principi Reali).
Le disposizioni degli articoli 84, 87, numeri 3, 5, 6, 7, 8, 9 e dell'art. 90, quarto comma, non sono applicabili al Re Imperatore e alla Famiglia Reale.
Per la validità dei matrimoni dei Principi e delle Principesse Reali è richiesto l'assenso del Re Imperatore.
Sezione II. -
Delle formalità preliminari del matrimonio.
Art. 93.
(Pubblicazione).
La celebrazione del matrimonio dev'essere preceduta dalla pubblicazione fatta a cura dell'ufficiale dello stato civile.
La pubblicazione consiste nell'affissione alla porta della casa comunale di un atto dove si indica il nome, il cognome, la professione, il luogo di nascita e la residenza degli sposi, se essi siano maggiori o minori di età, nonchè il luogo dove intendono celebrare il matrimonio. L'atto deve anche indicare il nome del padre e il nome e il cognome della madre degli sposi, salvi i casi in cui la legge vieta questa menzione.
Art. 94.
(Luogo della pubblicazione).
La pubblicazione deve essere richiesta all'ufficiale dello stato civile del comune dove uno degli sposi ha la residenza ed è fatta nei comuni di residenza degli sposi.
Se la residenza non dura da un anno, la pubblicazione deve farsi anche nel comune della precedente residenza.
L'ufficiale dello stato civile cui si domanda la pubblicazione provvede a chiederla agli ufficiali degli altri comuni nei quali la pubblicazione deve farsi. Essi devono trasmettere all'ufficiale dello stato civile richiedente il certificato dell'eseguita pubblicazione.
Art. 95.
(Durata della pubblicazione).
L'atto di pubblicazione resta affisso alla porta della casa comunale almeno per otto giorni, comprendenti due domeniche successive.
Art. 96.
(Richiesta della pubblicazione).
La richiesta della pubblicazione deve farsi da ambedue gli sposi o da persona che ne ha da essi ricevuto speciale incarico.
Art. 97.
(Documenti per la pubblicazione).
Chi richiede la pubblicazione deve presentare all'ufficiale dello stato civile l'atto di nascita di entrambi gli sposi e la prova dell'assenso al matrimonio, se è prescritto, nonchè ogni altro documento necessario a provare la libertà degli sposi e la loro condizione di famiglia.
Qualora i richiedenti non presentino i documenti necessari, l'ufficiale dello stato civile provvede su loro domanda a richiederli.
Art. 98.
(Rifiuto della pubblicazione).
L'ufficiale dello stato civile che non crede di poter procedere alla pubblicazione rilascia un certificato coi motivi del rifiuto.
Contro il rifiuto è dato ricorso al tribunale, che provvede in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.
Art. 99.
(Termine per la celebrazione del matrimonio).
Il matrimonio non può essere celebrato prima del quarto giorno dopo compiuta la pubblicazione.
Se il matrimonio non è celebrato nei centottanta giorni successivi, la pubblicazione si considera come non avvenuta.
Art. 100.
(Riduzione del termine e dispensa dalla pubblicazione).
Il Re o le autorità a ciò delegate possono ridurre per gravi motivi il termine della pubblicazione. In questo caso la riduzione del termine è dichiarata nella pubblicazione.
Può anche essere concessa per cause gravissime la dispensa dalla pubblicazione, presentando un atto di notorietà con il quale quattro persone, ancorchè parenti degli sposi, dichiarano con giuramento, davanti al pretore del mandamento di uno degli sposi, di ben conoscerli, indicano esattamente il nome e cognome, la professione e la residenza dei medesimi e dei loro genitori, e assicurano sulla loro coscienza che nessuno degli impedimenti stabiliti dagli articoli 85, 86, 87, 88 e 89 si oppone al matrimonio.
Il pretore deve far precedere all'atto di notorietà la lettura dei detti articoli e ammonire i dichiaranti sull'importanza della loro attestazione e sulla gravità delle possibili conseguenze.
Quando è stata concessa la dispensa dalla pubblicazione, del matrimonio, devono presentare all'ufficiale dello stato civile, insieme col decreto di dispensa, gli atti previsti nell'art. 97.
Art. 101.
(Matrimonio in imminente pericolo di vita).
Nel caso di imminente pericolo di vita di uno degli sposi, l'ufficiale dello stato civile del luogo può procedere alla celebrazione del matrimonio senza pubblicazione e senza l'assenso al matrimonio, se questo è richiesto, purchè gli sposi prima giurino che non esistono tra loro impedimenti non suscettibili di dispensa.
L'ufficiale dello stato civile dichiara nell'atto di matrimonio il modo con cui ha accertato l'imminente pericolo di vita.
Sezione III. -
Delle opposizioni al matrimonio.
Art. 102.
(Persone che possono fare opposizione).
I genitori e, in mancanza loro, gli altri ascendenti e i collaterali entro il terzo grado possono fare opposizione al matrimonio dei loro parenti per qualunque causa che osti alla sua celebrazione.
Se uno degli sposi è soggetto a tutela o a cura, il diritto di fare opposizione compete anche al tutore o al curatore.
Il diritto di opposizione compete anche al coniuge della persona che vuole contrarre un altro matrimonio.
Quando si tratta di matrimonio in contravvenzione all'art. 89, il diritto di opposizione spetta anche, se il precedente matrimonio fu sciolto, ai parenti del precedente marito e, se il matrimonio fu dichiarato nullo, a colui col quale il matrimonio era stato contratto e ai parenti di lui.
Il pubblico ministero deve sempre fare opposizione al matrimonio, se sa che vi osta un impedimento o se gli consta l'infermità di mente di uno degli sposi, nei confronti del quale, a causa dell'età, non possa essere promossa l'interdizione.
Art. 103.
(Atto di opposizione).
L'atto di opposizione deve dichiarare la qualità che attribuisce all'opponente il diritto di farla, le cause dell'opposizione, e contenere l'elezione di domicilio nel comune dove siede il tribunale nel cui territorio si deve celebrare il matrimonio.
L'atto deve essere notificato nella forma della citazione agli sposi e all'ufficiale dello stato civile del comune nel quale il matrimonio deve essere celebrato.
Art. 104.
(Effetti dell'opposizione).
L'opposizione fatta da chi ne ha facoltà, per causa ammessa dalla legge, sospende la celebrazione del matrimonio sino a che con sentenza passata in giudicato sia rimossa l'opposizione.
Se l'opposizione è respinta, l'opponente, che non sia un ascendente o il pubblico ministero, può essere condannato al risarcimento dei danni.
Art. 105.
(Matrimonio del Re Imperatore e dei Principi Reali).
Le disposizioni di questa sezione e della precedente non si applicano al Re Imperatore e alla Famiglia Reale.
Sezione IV. -
Della celebrazione del matrimonio.
Art. 106.
(Luogo della celebrazione).
Il matrimonio deve essere celebrato pubblicamente nella casa comunale davanti all'ufficiale dello stato civile al quale fu fatta la richiesta di pubblicazione.
Art. 107.
(Forma della celebrazione).
Nel giorno indicato dalle parti l'ufficiale dello stato civile, alla presenza di due testimoni, anche se parenti, dà lettura agli sposi degli articoli 143, 144 e 145; riceve da ciascuna delle parti personalmente, l'una dopo l'altra, la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente in marito e in moglie, e di seguito dichiara che esse sono unite in matrimonio.
L'atto di matrimonio deve essere compilato immediatamente dopo la celebrazione.
Art. 108.
(Inapponibilità di termini e condizioni).
La dichiarazione degli sposi di prendersi rispettivamente in marito e in moglie non può essere sottoposta nè a termine nè a condizione.
Se le parti aggiungono un termine o una condizione, l'ufficiale dello stato civile non può procedere alla celebrazione del matrimonio. Se ciò nonostante il matrimonio è celebrato, il termine e la condizione si hanno per non apposti.
Art. 109.
(Celebrazione in un comune diverso).
Quando vi è necessità o convenienza di celebrare il matrimonio in un comune diverso da quello indicato nell'art. 106, l'ufficiale dello stato civile, trascorso il termine stabilito nel primo comma dell'art. 99, richiede per iscritto l'ufficiale del luogo dove il matrimonio si deve celebrare.
La richiesta è menzionata nell'atto di celebrazione e in esso inserita. Nel giorno successivo alla celebrazione del matrimonio, l'ufficiale davanti al quale esso fu celebrato invia, per la trascrizione, copia autentica dell'atto all'ufficiale da cui fu fatta la richiesta.
Art. 110.
(Celebrazione fuori della casa comunale).
Se uno degli sposi, per infermità o per altro impedimento giustificato all'ufficio dello stato civile, è nell'impossibilità di recarsi alla casa comunale, l'ufficiale si trasferisce col segretario nel luogo in cui si trova lo sposo impedito, e ivi, alla presenza di quattro testimoni, procede alla celebrazione del matrimonio secondo l'art. 107.
Art. 111.
(Celebrazione per procura).
I militari e le persone che per ragioni di servizio si trovano al seguito delle forze armate possono, in tempo di guerra, celebrare il matrimonio per procura.
La celebrazione del matrimonio per procura può anche farsi quando uno degli sposi risiede fuori del Regno e concorrono gravi motivi, da valutarsi dal procuratore generale presso la corte di appello nella cui circoscrizione l'altro sposo risiede.
La procura deve contenere l'indicazione della persona con la quale il matrimonio si deve contrarre.
La procura deve essere fatta per atto pubblico; i militari e le persone al seguito delle forze armate, in tempo di guerra, possono farla nelle forme speciali ad essi consentite.
Il matrimonio non può essere celebrato quando sono trascorsi centottanta giorni da quello in cui la procura fu rilasciata.
La coabitazione, anche temporanea, dopo la celebrazione del matrimonio, elimina gli effetti della revoca della procura, ignorata dall'altro coniuge al momento della celebrazione.
Art. 112.
(Rifiuto della celebrazione).
L'ufficiale dello stato civile non può rifiutare la celebrazione del matrimonio se non per una causa ammessa dalla legge.
Se la rifiuta, deve rilasciare un certificato con l'indicazione dei motivi.
Contro il rifiuto è dato ricorso al tribunale, che provvede in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.
Art. 113.
(Matrimonio celebrato davanti a un apparente ufficiale dello stato civile).
Si considera celebrato davanti all'ufficiale dello stato civile il matrimonio che sia stato celebrato dinanzi a persona la quale, senza avere la qualità di ufficiale dello stato civile, ne esercitava pubblicamente le funzioni, a meno che entrambi gli sposi, al momento della celebrazione, abbiano saputo che la detta persona non aveva tale qualità.
Art. 114.
(Matrimonio del Re Imperatore e dei Principi Reali).
Nei matrimoni del Re Imperatore e della Famiglia Reale l'ufficiale dello stato civile è il presidente del Senato.
Il Re Imperatore determina il luogo della celebrazione, la quale può anche farsi per procura. In questo caso non si applicano le norme dell'art. 111.
Sezione V. -
Del matrimonio dei cittadini in paese straniero e degli stranieri nel Regno.
Art. 115.
(Matrimonio del cittadino all'estero).
Il cittadino è soggetto alle disposizioni contenute nella sezione prima di questo capo, anche quando contrae matrimonio in paese straniero secondo le forme ivi stabilite.
La pubblicazione deve anche farsi nel Regno a norma degli articoli 93, 94 e 95. Se il cittadino non risiede nel Regno, la pubblicazione si fa nel comune dell'ultimo domicilio.
Art. 116.
(Matrimonio dello straniero nel Regno).
Lo straniero che vuole contrarre matrimonio nel Regno deve presentare all'ufficiale dello stato civile una dichiarazione dell'autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti che giusta le leggi a cui è sottoposto nulla osta al matrimonio.
Anche lo straniero è tuttavia soggetto alle disposizioni contenute negli articoli 85, 86, 87, numeri, 1, 2 e 4, 88 e 89.
Lo straniero che ha domicilio o residenza nel Regno deve inoltre far fare la pubblicazione secondo le disposizioni di questo codice.
Sezione VI. -
Della nullità del matrimonio.
Art. 117.
(Matrimonio contratto con violazione degli articoli 84, 87 e 88).
Il matrimonio contratto con violazione degli articoli 84, 86, 87 e 88 può essere impugnato dagli sposi dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano per impugnarlo un interesse legittimo e attuale.
Il matrimonio contratto dal coniuge dell'assente non può essere impugnato finchè dura l'assenza.
Nei casi in cui si sarebbe potuta accordare la dispensa ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 87, il matrimonio non può essere impugnato dopo sei mesi dalla celebrazione.
La disposizione del primo comma di questo articolo si applica anche nel caso di nullità del matrimonio previsto dall'art. 68.
Art. 118.
(Difetto di età).
Il matrimonio contratto da persone, delle quali anche una sola non è pervenuta all'età fissata nel primo comma dell'art. 84, non può essere impugnato quando è trascorso un mese dal raggiungimento di tale età.
Non può neppure essere impugnato per difetto di età della moglie, quando la moglie è rimasta incinta.
Art. 119.
(Interdizione).
Il matrimonio di chi è stato interdetto per infermità di mente può essere impugnato dal tutore o dal pubblico ministero, se, al tempo del matrimonio, vi era già sentenza di interdizione passata in giudicato, ovvero se l'interdizione fu pronunziata posteriormente, ma l'infermità esisteva al tempo del matrimonio. Può essere impugnato, dopo revocata l'interdizione, anche dalla persona che era interdetta.
L'azione non può essere proposta, se dopo revocata l'interdizione vi è stata coabitazione per un mese.
Art. 120.
(Infermità di mente).
Il matrimonio può essere impugnato da quello degli sposi che, quantunque non interdetto, provi di essere stato incapace d'intendere o di volere, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio.
L'azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un mese dopo che lo sposo ha ricuperato la pienezza delle facoltà mentali.
Art. 121.
(Mancanza di assenso).
Il matrimonio contratto senza l'assenso prescritto dall'art. 90 può essere impugnato dalla persona della quale era richiesto l'assenso e da quello degli sposi per il quale l'assenso era necessario.
L'azione non può essere proposta quando il matrimonio è stato espressamente o tacitamente approvato dalla persona della quale era richiesto l'assenso, o quando sono trascorsi tre mesi dalla notizia del contratto matrimonio.
Parimenti l'azione non può essere proposta dallo sposo a cui l'assenso era necessario, quando è trascorso un mese dal raggiungimento della sua maggiore età.
Art. 122.
(Violenza ed errore).
Il matrimonio può essere impugnato da quello degli sposi il cui consenso è stato estorto con violenza o è escluso per effetto di errore.
L'errore sulle qualità dell'altro coniuge non è causa di nullità del matrimonio se non quando si risolve in errore sull'identità della persona.
L'azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un mese dopo che lo sposo ha riacquistato la sua piena libertà o conosciuto l'errore.
Art. 123.
(Impotenza).
L'impotenza perpetua, così assoluta come relativa, quando è anteriore al matrimonio, può essere proposta come causa di nullità dall'uno e dall'altro coniuge.
L'impotenza di generare può essere proposta come causa di nullità del matrimonio solo se uno dei coniugi manca di organi necessari per la generazione. L'azione spetta all'altro coniuge, purchè non abbia avuto conoscenza di questo difetto prima del matrimonio, e non può essere proposta trascorsi tre mesi da quando egli ne abbia avuto conoscenza.
Art. 124.
(Vincolo di precedente matrimonio).
Il coniuge può in qualunque tempo impugnare il matrimonio dell'altro coniuge; se si oppone la nullità del primo matrimonio, tale questione deve essere preventivamente giudicata.
Art. 125.
(Azione del pubblico ministero).
L'azione di nullità non può essere promossa dal pubblico ministero dopo la morte di uno dei coniugi.
Art. 126.
(Separazione dei coniugi in pendenza del giudizio).
Quando è proposta domanda di nullità del matrimonio, il tribunale può, su istanza di uno dei coniugi, ordinare la loro separazione temporanea durante il giudizio; può ordinarla anche d'ufficio, se ambedue i coniugi o uno di essi sono minori o interdetti.
Art. 127.
(Intrasmissibilità dell'azione).
L'azione per impugnare il matrimonio non si trasmette agli eredi se non quando il giudizio è già pendente alla morte dell'attore.
Art. 128.
(Matrimonio putativo).
Il matrimonio dichiarato nullo, quando è stato contratto in buona fede, ha rispetto ai coniugi, fino alla sentenza che pronunzia la nullità, gli effetti del matrimonio valido.
Gli effetti del matrimonio valido si producono anche rispetto ai figli nati o concepiti durante il matrimonio dichiarato nullo, nonchè rispetto ai figli nati prima del matrimonio che sono stati riconosciuti anteriormente alla sentenza che dichiara la nullità.
Se uno solo dei coniugi è stato in buona fede, gli effetti, valgono soltanto in favore di lui e dei figli.
Se entrambi i genitori sono stati in mala fede, i figli nati o concepiti durante il matrimonio hanno lo stato di figli naturali riconosciuti, nei casi in cui il riconoscimento è consentito.
Art. 129.
(Effetti del matrimonio annullato per violenza).
Nel caso in cui il consenso del coniuge è stato estorto con violenza, gli effetti indicati nell'articolo precedente valgono rispetto al coniuge che ha subìto la violenza e ai figli; valgono anche rispetto all'altro coniuge, se concorrono le condizioni previste dall'articolo precedente.
Sezione VII. -
Delle prove della celebrazione del matrimonio.
Art. 130.
(Atto di celebrazione del matrimonio).
Nessuno può reclamare il titolo di coniuge e gli effetti del matrimonio, se non presenta l'atto di celebrazione estratto dai registri dello stato civile.
Il possesso di stato, quantunque allegato da ambedue i coniugi, non dispensa dal presentare l'atto di celebrazione.
Art. 131.
(Possesso di stato).
Il possesso di stato, conforme all'atto di celebrazione del matrimonio, sana ogni difetto di forma.
Art. 132.
(Mancanza dell'atto di celebrazione).
Nel caso di distruzione o di smarrimento dei registri dello stato civile l'esistenza del matrimonio può essere provata a norma dell'art. 452.
Quando vi sono indizi che per dolo o per colpa del pubblico ufficiale o per un caso di forza maggiore l'atto di matrimonio non è stato inserito nei registri a ciò destinati, la prova dell'esistenza del matrimonio è ammessa, sempre che risulti in modo non dubbio un conforme possesso di stato.
Art. 133.
(Prova della celebrazione risultante da sentenza penale).
Se la prova della celebrazione del matrimonio risulta da sentenza penale, l'iscrizione della sentenza nel registro dello stato civile assicura al matrimonio, dal giorno della sua celebrazione, tutti gli effetti riguardo tanto ai coniugi quanto ai figli.
Sezione VIII. -
Disposizioni penali.
Art. 134.
(Omissione di pubblicazione).
Sono puniti con l'ammenda da lire quattrocento a lire duemila gli sposi e l'ufficiale dello stato civile che hanno celebrato matrimonio senza che la celebrazione sia stata preceduta dalla prescritta pubblicazione.
Art. 135.
(Pubblicazione senza richiesta o senza documenti).
E` punito con l'ammenda da lire duecento a lire mille l'ufficiale dello stato civile che ha proceduto alla pubblicazione di un matrimonio senza la richiesta di cui all'art. 96 o quando manca alcuno dei documenti prescritti dal primo comma dell'art. 97.
Art. 136.
(Impedimenti conosciuti dall'ufficiale dello stato civile).
L'ufficiale dello stato civile che procede alla celebrazione del matrimonio, quando vi osta qualche impedimento o divieto di cui egli ha notizia, è punito con l'ammenda da lire cinquecento a lire tremila.
Art. 137.
(Incompetenza dell'ufficiale dello stato civile. Mancanza dei testimoni).
E` punito con l'ammenda da lire trecento a lire duemila l'ufficiale dello stato civile che ha celebrato un matrimonio per cui non era competente.
La stessa pena si applica all'ufficiale dello stato civile che ha proceduto alla celebrazione di un matrimonio senza la presenza dei testimoni.
Art. 138.
(Altre infrazioni).
E` punito con l'ammenda stabilita nell'art. 135 l'ufficiale dello stato civile che in qualunque modo contravviene alle disposizioni degli articoli 93, 95, 98, 99, 106, 107, 108, 109, 110 e 112 o commette qualsiasi altra infrazione per cui non sia stabilita una pena speciale in questa sezione.
Art. 139.
(Cause di nullità note a uno dei coniugi).
Il coniuge il quale, conoscendo prima della celebrazione una causa di nullità del matrimonio, l'abbia lasciata ignorare all'altro, è punito, se il matrimonio è annullato, con l'ammenda da lire mille a lire cinquemila. L'altro coniuge ha diritto a una congrua indennità, anche se non dà la prova specifica del danno sofferto.
Art. 140.
(Inosservanza del lutto vedovile).
La donna che contrae matrimonio contro il divieto dell'art. 89, l'ufficiale che lo celebra e l'altro coniuge sono puniti con l'ammenda da lire cinquecento a lire duemila.
Art. 141.
(Competenza).
I reati previsti nei precedenti articoli sono di competenza del tribunale.
Art. 142.
(Limiti d'applicazione delle precedenti disposizioni).
Le disposizioni della presente sezione si applicano quando i fatti ivi contemplati non costituiscono reato più grave.
Capo IV.
Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio.
Art. 143.
(Doveri reciproci dei coniugi).
Il matrimonio impone ai coniugi l'obbligo reciproco della coabitazione, della fedeltà e dell'assistenza.
Art. 144.
(Potestà maritale).
Il marito è il capo della famiglia; la moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome ed è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli crede opportuno di fissare la sua residenza.
Art. 145.
(Doveri del marito).
Il marito ha il dovere di proteggere la moglie, di tenerla presso di sè e di somministrarle tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita in proporzione delle sue sostanze.
La moglie deve contribuire al mantenimento del marito, se questi non ha mezzi sufficienti.
Art. 146.
(Abbandono del domicilio coniugale).
L'obbligazione del marito di provvedere al mantenimento della moglie è sospesa quando questa, allontanatasi senza giusta causa dal domicilio coniugale, rifiuta di ritornarvi.
Può inoltre l'autorità giudiziaria, secondo le circostanze, ordinare a profitto del marito e della prole il sequestro temporaneo di parte dei frutti dei beni parafernali.
Art. 147.
(Doveri verso i figli).
Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligazione di mantenere, educare e istruire la prole.
L'educazione e l'istruzione devono essere conformi ai principî della morale e al sentimento nazionale fascista.
Art. 148.
(Concorso negli oneri).
L'obbligazione di mantenere, educare e istruire la prole spetta al padre e alla madre, in proporzione delle loro sostanze, computati nel contributo della madre i frutti della dote.
Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, tale obbligazione spetta agli altri ascendenti in ordine di prossimità.
Capo V.
Dello scioglimento del matrimonio e della separazione dei coniugi.
Art. 149.
(Scioglimento del matrimonio).
Il matrimonio non si scioglie che con la morte di uno dei coniugi.
La moglie, durante lo stato vedovile, conserva il cognome del marito.
Art. 150.
(Separazione personale).
E` ammessa la separazione personale dei coniugi. Il diritto di chiederla spetta ai coniugi nei soli casi determinati dalla legge.
Art. 151.
(Cause di separazione personale).
La separazione può essere chiesta per causa di adulterio, di volontario abbandono, eccessi, sevizie, minacce o ingiurie gravi.
Non è ammessa l'azione di separazione per adulterio del marito, se non quando concorrono circostanze tali che il fatto costituisca un'ingiuria grave alla moglie.
Art. 152.
(Separazione per condanna penale).
La separazione può essere anche chiesta contro il coniuge che è stato condannato alla pena dell'ergastolo o della reclusione per un tempo superiore ai cinque anni, ovvero è stato sottoposto all'interdizione perpetua dai pubblici uffici, tranne il caso in cui la condanna o l'interdizione è anteriore al matrimonio e l'altro coniuge ne è consapevole.
Art. 153.
(Separazione per non fissata residenza).
La moglie può chiedere la separazione quando il marito, senza giusto motivo, non fissa una residenza, o, avendone i mezzi, ricusa di fissarla in modo conveniente alla sua condizione.
Art. 154.
(Riconciliazione).
La riconciliazione estingue il diritto di chiedere la separazione; essa importa anche l'abbandono della domanda che sia stata proposta.
Art. 155.
(Provvedimenti riguardo ai figli).
Il tribunale che pronunzia la separazione dichiara quale dei coniugi deve tenere presso di sè i figli e provvedere al loro mantenimento, alla loro educazione e istruzione.
Se uno dei coniugi è di razza non ariana, il tribunale dispone, salvo gravi motivi, che i figli considerati di razza ariana siano affidati al coniuge di razza ariana.
In ogni caso il tribunale può per gravi motivi ordinare che la prole sia collocata in un istituto di educazione o presso una terza persona.
Qualunque sia la persona a cui i figli sono affidati, il padre e la madre conservano il diritto di vigilare la loro educazione.
Art. 156.
(Effetti della separazione).
Il coniuge, che non ha colpa nella separazione personale, conserva i diritti inerenti alla sua qualità di coniuge che non sono incompatibili con lo stato di separazione.
Il coniuge, per colpa del quale è stata pronunziata la separazione, non ha diritto che agli alimenti. Egli incorre nella perdita di tutti gli utili che l'altro coniuge gli ha concessi col contratto di matrimonio, anche se sono stati stipulati con reciprocità.
Il tribunale può altresì privarlo, in tutto o in parte, dell'usufrutto legale che ad esso spetti sui beni dei figli minori.
Se la sentenza di separazione è pronunziata per colpa di ambedue i coniugi, ciascuno di essi incorre nella perdita indicata nel secondo comma, e il tribunale, secondo le circostanze, dà le disposizioni opportune per l'usufrutto legale.
Il tribunale, secondo le circostanze, può anche vietare alla moglie l'uso del cognome del marito.
Art. 157.
(Cessazione degli effetti della separazione).
I coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione con un'espressa dichiarazione o col fatto della coabitazione, senza che sia necessario l'intervento dell'autorità giudiziaria.
Art. 158.
(Separazione consensuale).
La separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l'omologazione del tribunale.
Capo VI. -
Del regime patrimoniale della famiglia.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 159.
(Rapporti patrimoniali tra coniugi).
I rapporti patrimoniali tra coniugi sono regolati dalle convenzioni delle parti e dalla legge.
Art. 160.
(Diritti inderogabili).
Gli sposi non possono derogare nè ai diritti che spettano al capo della famiglia, nè a quelli che la legge attribuisce all'uno o all'altro coniuge.
Art. 161.
(Riferimento generico a leggi o agli usi).
Gli sposi non possono pattuire in modo generico che i loro rapporti patrimoniali siano in tutto o in parte regolati da leggi alle quali non sono sottoposti o dagli usi, ma devono enunciare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali intendono regolare questi loro rapporti.
Art. 162.
(Forma delle convenzioni matrimoniali e loro immutabilità).
Le convenzioni matrimoniali devono essere stipulate per atto pubblico sotto pena di nullità.
Non possono essere mutate dopo la celebrazione del matrimonio.
Possono essere stipulate dopo la celebrazione del matrimonio nei casi previsti dalla legge, purchè non alterino le convenzioni matrimoniali già stabilite.
Art. 163.
(Mutazioni delle convenzioni matrimoniali prima del matrimonio).
Le mutazioni delle convenzioni matrimoniali prima del matrimonio non hanno effetto se non sono fatte per atto pubblico, alla presenza e col simultaneo consenso di tutte le persone che sono state parti nel contratto di matrimonio.
Ogni mutazione è senza effetto rispetto ai terzi, se in margine o in calce dell'originale del contratto di matrimonio non è stata fatta annotazione indicante l'atto che contiene la mutazione. L'annotazione deve inoltre essere fatta sulla copia del contratto di matrimonio rimessa al pubblico archivio a cura del notaio che lo ha ricevuto, e anche su quella presentata per la trascrizione, se il contratto di matrimonio è stato trascritto.
Art. 164.
(Controdichiarazioni).
Non è ammessa alcuna prova della simulazione delle convenzioni matrimoniali, anche se risulta da controdichiarazioni scritte.
Queste possono avere effetto limitatamente a coloro tra i quali sono intervenute, solo se fatte con la presenza e il simultaneo consenso di tutte le persone che sono state parti nel contratto di matrimonio.
Art. 165.
(Capacità del minore).
Il minore capace di contrarre matrimonio è pure capace di prestare il consenso per tutte le stipulazioni e le donazioni che possono farsi nel relativo contratto, le quali sono valide se egli è stato assistito dal genitore esercente la patria potestà, dal tutore, dal curatore, se si tratta di minore emancipato, o dal curatore speciale nominato a norma dell'ultimo comma dell'art. 90.
Il minore emancipato deve essere assistito dal curatore anche nel caso in cui non occorre l'assenso di questo per la validità del matrimonio.
Art. 166.
(Capacità dell'inabilitato).
Per la validità delle stipulazioni e delle donazioni, fatte nel contratto di matrimonio dall'inabilitato o da colui contro il quale è stato promosso giudizio di inabilitazione, è necessaria l'assistenza del curatore già nominato. Se questi non è stato ancora nominato, si provvede alla nomina di un curatore speciale.
Sezione II. -
Del patrimonio familiare.
Art. 167.
(Costituzione del patrimonio familiare).
Possono essere costituiti in patrimonio familiare determinati beni immobili o titoli di credito.
La costituzione del patrimonio familiare importa la inalienabilità dei beni e la destinazione dei frutti a vantaggio della famiglia.
La costituzione può essere fatta, anche durante il matrimonio, da uno o da entrambi i coniugi per atto pubblico, ovvero da un terzo per atto pubblico o per testamento.
Art. 168.
(Patrimonio familiare costituito da un terzo).
Se la costituzione è fatta da un terzo, che non si è riservata la proprietà dei beni immobili o dei titoli, questa proprietà spetta al coniuge al quale è stata attribuita e, in mancanza di attribuzione, ad entrambi i coniugi.
Coloro che costituiscono il patrimonio familiare sono tenuti a garantire i beni assegnati.
Salvo patto speciale, la garanzia non si estende ai vizi della cosa, a meno che il costituente li abbia in mala fede taciuti.
Art. 169.
(Efficacia del vincolo).
L'atto di costituzione del patrimonio familiare deve essere trascritto se riguarda beni immobili.
I titoli di credito devono essere vincolati rendendoli nominativi con annotazione del vincolo o in altro modo idoneo.
L'inalienabilità dei beni costituenti il patrimonio familiare non è opponibile ai creditori, il cui diritto è sorto anteriormente alla trascrizione dell'atto o alla costituzione del vincolo sui titoli di credito.
Se la costituzione è fatta da un terzo, l'inalienabilità è opponibile ai creditori del coniuge al quale è attribuita la proprietà dei beni.
Art. 170.
(Alienazione dei beni ed esecuzione sui frutti).
Il tribunale può autorizzare in caso di necessità l'alienazione dei beni costituenti il patrimonio familiare, la cui proprietà appartenga a uno dei coniugi o ad entrambi. Può altresì autorizzare l'alienazione in caso di utilità evidente, determinando le modalità per il reimpiego del prezzo.
L'esecuzione sui frutti dei beni costituenti il patrimonio familiare non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
Art. 171.
(Accettazione del patrimonio familiare costituito da un terzo).
La costituzione del patrimonio familiare per atto tra vivi, quando non è fatta da uno dei coniugi, è perfetta con l'accettazione del coniuge o dei coniugi contemplati nell'atto costitutivo.
L'accettazione può essere fatta con atto pubblico posteriore. In questo caso la costituzione non è perfetta se non nel momento in cui l'atto di accettazione è notificato al costituente.
Art. 172.
(Riduzione).
La costituzione dei beni in patrimonio familiare, fatta da un terzo, è soggetta a riduzione se al tempo della morte del costituente si riconosce che i beni eccedono la porzione di cui il costituente poteva disporre secondo le norme stabilite in materia di successioni.
Art. 173.
(Amministrazione).
L'amministrazione dei beni che costituiscono il patrimonio familiare spetta al coniuge che ne ha la proprietà.
Se la proprietà appartiene ad entrambi i coniugi ovvero a persona diversa da questi, l'amministrazione spetta al coniuge designato dal costituente o, in mancanza di designazione, al marito.
Il coniuge, che amministra i beni di cui la proprietà spetta ad altri, è tenuto alle obbligazioni che sono a carico dell'usufruttuario.
Art. 174.
(Sostituzione del coniuge amministratore).
Qualora il coniuge a cui spetta l'amministrazione non sia in grado di attendervi convenientemente ovvero trascuri di provvedere con i frutti dei beni all'interesse della famiglia, il tribunale può affidare l'amministrazione all'altro coniuge o anche ad altra persona idonea scelta preferibilmente tra i prossimi parenti.
Art. 175.
(Cessazione del vincolo).
Il vincolo sui beni costituenti il patrimonio familiare cessa con lo scioglimento del matrimonio, se non vi sono figli o se questi hanno tutti raggiunto la maggiore età.
In caso diverso il vincolo dura fino al compimento della maggiore età dell'ultimo figlio. Tuttavia, se alla morte del coniuge proprietario dei beni, questi fanno parte della quota di legittima, l'autorità giudiziaria, qualora ricorrano ragioni di necessità o di utilità evidente per i figli maggiorenni, può disporre che sia parzialmente sciolto il vincolo, così che i detti figli conseguano la parte loro spettante sulla quota di legittima.
Art. 176.
(Amministrazione dopo lo scioglimento del matrimonio).
Nel caso previsto dal secondo comma dell'articolo precedente, se mancano disposizioni del costituente, l'amministrazione spetta al coniuge superstite.
Se mancano entrambi i genitori e non è stata fatta alcuna designazione dal costituente o dal coniuge superstite, l'amministrazione spetta al maggiore dei figli, salvo che per le ragioni indicate nell'art. 174 il tribunale ritenga di affidarla a un altro dei figli.
Se nessuno dei figli ha raggiunto la maggiore età o è emancipato, l'amministratore è nominato dall'autorità giudiziaria.
Sezione III. -
Della dote.
Art. 177.
(Concetto della dote).
La dote consiste in quei beni che la moglie o altri per essa apporta espressamente a questo titolo al marito per sostenere i pesi del matrimonio.
§ 1. -
Della costituzione della dote.
Art. 178.
(Costituzione durante il matrimonio).
La dote può essere costituita o aumentata anche durante il matrimonio sia dagli estranei sia dalla moglie.
Art. 179.
(Beni futuri).
La costituzione di dote non può comprendere i beni futuri.
Art. 180.
(Garanzia della dote).
Coloro che costituiscono la dote sono tenuti a garantire i beni assegnati in dote.
Salvo patto speciale, la garanzia non si estende ai vizi della cosa, a meno che il costituente li abbia in mala fede taciuti.
Art. 181.
(Interessi e frutti della dote).
Coloro che hanno costituito la dote prima del matrimonio devono, salvo patto contrario, corrispondere gli interessi, se si tratta di dote in danaro, o altrimenti render conto dei frutti prodotti, dal giorno del matrimonio, quantunque sia stata pattuita una dilazione per il pagamento o per la consegna.
§ 2. -
Dei diritti del marito sulla dote e dell'alienazione dei beni dotali.
Art. 182.
(Dote in danaro, in beni mobili o immobili stimati).
Se la dote o parte di essa consiste in una somma di danaro o in cose mobili stimate nell'atto della costituzione, il marito ne acquista la proprietà e diviene debitore della somma o del prezzo attribuito alle cose mobili, salvo che la stima di queste sia fatta con la dichiarazione che non v'è trasferimento di proprietà.
Se la dote o parte di essa consiste in beni immobili, la stima non ne trasferisce la proprietà al marito senza un'espressa dichiarazione.
Art. 183.
(Acquisto d'immobile con danaro dotale).
L'immobile acquistato col danaro dotale non diviene dotale, che quando nell'atto di costituzione della dote è stata stipulata la condizione dell'impiego.
Lo stesso è dell'immobile dato in pagamento della dote costituita in danaro.
Art. 184.
(Amministrazione ed azioni relative alla dote).
Quando la moglie conserva la proprietà dei beni dotali, il marito da solo ne ha l'amministrazione durante il matrimonio e ha diritto di riscuoterne i frutti.
Tuttavia può convenirsi, nel contratto di matrimonio o nell'atto di costituzione di dote fatto durante il matrimonio, che la moglie riceva annualmente una parte delle rendite dotali per le sue minute spese e pei bisogni della sua persona.
Il marito ha facoltà di agire contro i debitori e i possessori della dote, di esigere la restituzione dei capitali e di far valere ogni altro diritto relativo ai beni dotali.
Quando però la controversia ha per oggetto il diritto spettante alla moglie sui beni stessi, il giudizio deve svolgersi anche in contraddittorio della moglie.
Gli atti esecutivi sui beni dotali devono farsi in confronto di entrambi i coniugi.
Art. 185.
(Amministrazione in caso di impedimento del marito).
In caso di lontananza o di altro impedimento del marito, la moglie può essere autorizzata dal tribunale ad amministrare i beni dotali e ad esercitare i diritti spettanti al marito per l'articolo precedente.
Art. 186.
(Cauzione).
Salvo quanto è disposto per l'ipoteca legale, il marito non è tenuto a dare cauzione per la dote che riceve, se non vi è stato obbligato nell'atto di costituzione dotale.
Se tuttavia durante il matrimonio è sopraggiunto nel patrimonio del marito un mutamento che ponga in pericolo la dote, il tribunale, su istanza della moglie o di colui che ha costituito la dote o ne è debitore, può ordinare le cautele opportune per la sicurezza della dote.
Art. 187.
(Alienazione della dote).
Se non è stato espressamente consentito nell'atto di costituzione della dote, non si possono durante il matrimonio alienare od obbligare i beni e le ragioni dotali, e neppure si possono ridurre o restringere le ragioni medesime, se non col consenso del marito e della moglie e con l'autorizzazione per decreto del tribunale, nei soli casi di necessità o utilità evidente.
Art. 188.
(Esecuzione sui frutti).
L'esecuzione sui frutti dei beni dotali non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti dal marito per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
Art. 189.
(Permuta e vendita. Impiego del prezzo).
Se è autorizzata la permuta di beni dotali, il bene ricevuto in permuta diviene dotale, ed è dotale anche l'eventuale supplemento in danaro, che si deve come tale impiegare.
Si deve parimenti impiegare come dotale il prezzo ricavato dalla vendita di beni dotali, autorizzata per motivi di evidente utilità.
In ambedue i casi il tribunale provvede a che il prezzo sia impiegato nel modo da esso stabilito.
Art. 190.
(Nullità dell'alienazione della dote).
Il marito può durante il matrimonio far dichiarare nulla l'alienazione o l'obbligazione della dote che non sia stata permessa nell'atto di costituzione o autorizzata dal tribunale. Uguale diritto spetta alla moglie anche dopo sciolto il matrimonio.
L'altro contraente non può pretendere di essere rimborsato di ciò che ha pagato in forza del contratto dichiarato nullo se non nei limiti in cui ciò che ha pagato si è rivolto a vantaggio della moglie o della famiglia. Il marito, però, è tenuto per i danni verso colui col quale ha contrattato, se nel contratto non ha dichiarato che il bene era dotale.
La dichiarazione di nullità dell'alienazione o dell'obbligazione non può essere chiesta dal terzo contraente.
Art. 191.
(Esecuzione sui beni dotali dopo lo scioglimento del matrimonio).
Sciolto il matrimonio, si può procedere sui beni che costituivano la dote anche per le obbligazioni contratte dalla moglie durante il matrimonio.
Art. 192.
(Obbligazioni del marito riguardo alla dote).
Riguardo ai beni dotali il marito è tenuto a tutte le obbligazioni che sono a carico dell'usufruttuario, ed è responsabile delle prescrizioni incorse e delle usucapioni compiute.
§ 3. -
Della restituzione della dote.
Art. 193.
(Beni di proprietà della moglie).
Se la dote consiste in beni di cui la moglie ha conservato la proprietà, il marito o i suoi eredi sono tenuti a restituirli senza dilazione, sciolto che sia il matrimonio.
Art. 194.
(Beni di proprietà del marito).
Se la dote consiste in beni di cui il marito è divenuto proprietario, la restituzione non può domandarsi che un anno dopo lo scioglimento del matrimonio.
Art. 195.
(Mobili consumati con l'uso).
Se i mobili, la cui proprietà è restata alla moglie, si sono consumati con l'uso e senza colpa del marito, egli non è tenuto a restituire che i rimanenti e nello stato in cui si trovano.
Art. 196.
(Mobili che la moglie può ritenere).
La moglie può ritenere, in ogni caso, la biancheria e ciò che serve all'ordinario suo abbigliamento, detratto però il valore di questi oggetti, quando sono stati originariamente dati con stima.
Art. 197.
(Responsabilità del marito per la mancata esazione della dote).
Se il matrimonio si scioglie dopo dieci anni dalla scadenza dei termini stabiliti per il pagamento della dote e la moglie non ne era la debitrice, essa o i suoi eredi possono ripeterla dal marito o dagli eredi di lui, a meno che si provi che la mancata esazione non è dipesa da colpa del marito.
Art. 198.
(Frutti della dote. Alimenti alla vedova).
I frutti della dote decorrono di diritto, a favore di coloro ai quali la dote deve essere restituita, dal giorno dello scioglimento del matrimonio.
La moglie, tuttavia, per l'anno successivo allo scioglimento del matrimonio, può esigere dall'eredità del marito, in luogo dei frutti della dote, il proprio mantenimento in congrua misura.
Se non vi è stata costituzione di dote, la moglie ha diritto alla somministrazione degli alimenti per l'anno successivo allo scioglimento del matrimonio.
In ogni caso l'eredità del marito deve fornire, durante un anno, l'abitazione alla moglie, che non sia separata per propria colpa.
Art. 199.
(Divisione dei frutti).
Quando il matrimonio è sciolto, i frutti della dote, naturali o civili, si dividono fra il coniuge superstite e gli eredi dell'altro in proporzione di quanto è durato il matrimonio nell'ultimo anno o nell'ultimo periodo di maturazione o di scadenza dei frutti, se questo periodo è superiore all'anno.
L'anno o il periodo si computa dal giorno corrispondente a quello del matrimonio.
Art. 200.
(Locazioni).
Se il bene dotale fu locato durante il matrimonio dal solo marito, si osserva quanto è stabilito per le locazioni fatte dall'usufruttuario.
Art. 201.
(Spese e miglioramenti).
Le norme dettate in materia di usufrutto sono applicabili per il rimborso delle spese e per i miglioramenti, fatti dal marito nei beni dotali.
§ 4. -
Della separazione della dote dai beni del marito.
Art. 202.
(Casi di separazione).
La separazione della dote è disposta giudizialmente su domanda della moglie, quando questa è in pericolo di perderla, ovvero quando il disordine degli affari del marito lascia temere che i beni di lui non siano sufficienti a soddisfare i diritti della moglie o che i frutti della dote siano distratti dalla loro destinazione. E` inoltre disposta nel caso di separazione personale pronunziata per colpa del marito.
Se la separazione è pronunziata per colpa di entrambi i coniugi, l'autorità giudiziaria ha facoltà di ordinare la separazione della dote.
La separazione stragiudiziale è nulla.
Art. 203.
(Inefficacia della separazione).
La separazione della dote ordinata dall'autorità giudiziaria rimane senza effetto, se la sentenza non è notificata entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione e non è eseguita, entro sessanta giorni dal suo passaggio in giudicato, mediante atto pubblico col reale soddisfacimento dei diritti spettanti alla moglie sino alla concorrenza dei beni del marito, o se, almeno in questo ultimo termine, la moglie non ha proposto e proseguito le relative istanze.
Art. 204.
(Retroattività della sentenza. Spese per la restituzione).
La sentenza che pronunzia la separazione è retroattiva sino al giorno della domanda.
Le spese per la restituzione della dote sono a carico del marito.
Art. 205.
(Divieto ai creditori della moglie di chiedere la separazione).
I creditori della moglie non possono senza il consenso di questa chiedere la separazione della dote.
Art. 206.
(Azioni concesse ai creditori del marito).
I creditori del marito possono impugnare con l'azione revocatoria, quando ne ricorrono gli estremi, la separazione della dote; e possono intervenire in giudizio per opporsi alla domanda di separazione.
Art. 207.
(Obblighi della moglie).
La moglie che ha ottenuto la separazione della dote rimane soggetta agli obblighi stabiliti dagli articoli 145, secondo comma, e 147.
Art. 208.
(Diritti della moglie).
La moglie che ha ottenuto la separazione della dote ne ha la libera amministrazione.
La dote rimane inalienabile, e le somme che la moglie riceve in soddisfazione di essa sono dotali e si devono impiegare con l'autorizzazione giudiziale.
Nel caso in cui occorre provvedere a norma dell'art. 187, il tribunale può autorizzare l'alienazione anche se il marito non consente.
Art. 209.
(Cessazione degli effetti della separazione).
Per volontà di entrambi i coniugi e dopo decreto di autorizzazione del tribunale la dote può essere riconsegnata al marito. La riconsegna deve essere fatta per atto pubblico, e dalla data di questo cessano gli effetti della separazione della dote.
I creditori della moglie possono impugnare con l'azione revocatoria, quando ne ricorrono gli estremi, la riconsegna della dote.
Sezione IV. -
Dei beni parafernali.
Art. 210.
(Concetto di beni parafernali).
Si considerano parafernali i beni della moglie che non sono stati costituiti in patrimonio familiare o in dote o in comunione.
Art. 211.
(Contributo della moglie ai pesi del matrimonio).
La moglie che ha beni parafernali contribuisce ai pesi del matrimonio nella misura stabilita dalle convenzioni matrimoniali o, in mancanza di esse, dall'art. 148.
Art. 212.
(Amministrazione e godimento dei beni parafernali).
La moglie ha il godimento e l'amministrazione dei beni parafernali.
Se al marito è stata conferita la procura ad amministrare tali beni, con l'obbligo di render conto dei frutti, egli è tenuto verso la moglie come qualunque altro procuratore.
Se il marito ha goduto i beni parafernali senza procura e la moglie non ha fatto opposizione con atto scritto, ovvero se il marito li ha goduti con procura ma senza l'obbligo di render conto dei frutti, egli e i suoi eredi, a richiesta della moglie o allo scioglimento del matrimonio, sono tenuti a consegnare i frutti esistenti e non rispondono per quelli già consumati.
Art. 213.
(Obbligazioni del marito).
Il marito che gode i beni parafernali è soggetto a tutte le obbligazioni dell'usufruttuario.
Art. 214.
(Obbligazioni della moglie per il godimento dei beni del marito).
Le disposizioni degli articoli 212 e 213 si applicano anche al caso in cui la moglie ha avuto l'amministrazione e il godimento dei beni del marito.
Sezione V. -
Della comunione dei beni tra coniugi.
Art. 215.
(Comunione degli utili e degli acquisti).
Non è permesso agli sposi di contrarre altra comunione universale di beni, fuorchè quella degli utili e degli acquisti. Tale comunione può essere stabilita anche se v'è costituzione di dote, ferma in ogni caso l'inalterabilità delle precedenti convenzioni.
Art. 216.
(Fonti del regolamento della comunione).
Gli sposi possono stabilire patti speciali per la comunione; in mancanza di questi patti, si applicano le disposizioni relative alla comunione in generale.
In ogni caso si osservano le disposizioni seguenti.
Art. 217.
(Oggetto della comunione).
Sono oggetto della comunione il godimento dei beni mobili e immobili, presenti e futuri, dei coniugi e, inoltre, gli acquisti fatti durante la comunione dall'uno o dall'altro coniuge a qualunque titolo, tranne quelli derivanti da donazione o da successione ovvero fatti col prezzo dell'alienazione della cosa già appartenente in proprio a uno dei coniugi, purchè in quest'ultimo caso ciò risulti espressamente dall'atto di acquisto.
Art. 218.
(Effetti della comunione).
La comunione si opera di diritto anche quando nell'atto di acquisto non ne è fatta menzione.
Ciascuno dei coniugi, trattandosi di immobili, ha facoltà di fare eseguire la relativa trascrizione nei registri immobiliari.
Art. 219.
(Partecipazione agli utili).
Il patto, col quale si stabilisce che i coniugi parteciperanno in parti disuguali agli utili ovvero che il superstite preleverà una porzione di essi, non è considerato come una liberalità soggetta alle regole delle donazioni.
Non può tuttavia stipularsi che uno dei coniugi deve contribuire nel passivo per una parte maggiore di quella che egli fosse per avere nell'attivo della comunione.
Art. 220.
(Amministrazione della comunione).
Solo il marito può amministrare i beni della comunione e stare in giudizio per le azioni riguardanti la medesima; ma non può, salvo che a titolo oneroso, alienare o ipotecare i beni la cui proprietà cade nella comunione.
Art. 221.
(Locazioni).
Alle locazioni fatte dal marito dei beni della moglie, il godimento dei quali cade nella comunione, sono applicabili le regole stabilite per le locazioni fatte dall'usufruttuario.
Art. 222.
(Amministrazione affidata alla moglie).
In caso di lontananza o di altro impedimento del marito, la moglie può essere autorizzata dal tribunale, quando è necessario nell'interesse della comunione dei beni, ad assumere temporaneamente l'amministrazione di questi beni e, nei casi di necessità o utilità evidente, può anche essere autorizzata a compiere atti di alienazione, con le cautele che il tribunale creda di stabilire.
Art. 223.
(Obblighi gravanti sui beni della comunione).
I beni della comunione rispondono di tutti i pesi e oneri gravanti su di essi al momento dell'acquisto, di tutti i carichi dell'amministrazione; anche rispetto ai beni il cui godimento cade in comunione, delle spese per il mantenimento della famiglia e degli obblighi di alimenti dovuti per legge dall'uno o dall'altro coniuge.
Art. 224.
(Obbligazioni contratte dal marito e dalla moglie).
I beni della comunione rispondono anche di tutte le obbligazioni del marito successive alla costituzione della comunione, e di quelle contratte dalla moglie nello stesso periodo ai sensi dell'articolo precedente.
Non rispondono, invece, delle obbligazioni, sia del marito sia della moglie, anteriori alla costituzione della comunione, restando ai creditori la facoltà di agire sui beni del loro debitore, anche se il godimento di essi è stato conferito nella comunione.
Art. 225.
(Scioglimento della comunione).
La comunione si scioglie per la morte o per la dichiarazione di assenza di uno dei coniugi, per la separazione personale e per la separazione giudiziale dei beni.
Art. 226.
(Separazione giudiziale dei beni).
La separazione giudiziale dei beni può essere pronunziata nel caso di inabilitazione del marito o di cattiva amministrazione della comunione. Può altresì essere pronunziata quando il disordine degli affari del marito mette in pericolo gli interessi della moglie o il marito non provvede a un congruo mantenimento della famiglia.
Sono applicabili le disposizioni degli articoli 204 e 205.
La separazione stragiudiziale è nulla.
Art. 227.
(Divisione dei beni della comunione).
Avvenuto lo scioglimento della comunione, l'attivo e il passivo si dividono tra i coniugi in parti eguali, salvo che le convenzioni matrimoniali stabiliscano una diversa proporzione.
Tuttavia, la moglie o i suoi eredi hanno sempre la facoltà di rinunziare alla comunione o di accettarla col beneficio dell'inventario, uniformandosi a quanto è stabilito in materia di successioni per la rinunzia alle eredità o per l'accettazione delle medesime col beneficio dell'inventario e sotto le sanzioni ivi previste.
Art. 228.
(Prelevamento di beni mobili).
Nella divisione della comunione i coniugi o i loro eredi, anche in caso di rinunzia o di accettazione col beneficio d'inventario, hanno diritto di prelevare i beni mobili, che loro appartenevano prima della comunione o che sono loro pervenuti durante la medesima per successione o donazione.
Con la convenzione che istituisce la comunione i coniugi devono fare una descrizione autentica dei loro beni mobili presenti, ed eguale descrizione devono pure fare di quei beni che venissero a loro durante la comunione per successione o per donazione.
In mancanza di tali descrizioni o di altro atto autentico, i beni mobili esistenti nella comunione al momento dello scioglimento si presumono della comunione medesima.
Art. 229.
(Ripetizione del valore in caso di mancanza delle cose da prelevare).
Se non si trovano i beni mobili che la moglie e i suoi eredi hanno diritto di prelevare a norma dell'articolo precedente, essi possono ripeterne il valore, provandone l'ammontare anche per notorietà, salvo che la mancanza di quei beni sia dovuta a consumazione per uso o perimento per altra causa non imputabile al marito.
Art. 230.
(Limiti al prelevamento nei riguardi dei terzi).
Il prelevamento autorizzato dagli articoli precedenti non può farsi, a pregiudizio dei terzi, in mancanza di descrizione o di altro titolo di proprietà avente data certa. E` tuttavia salvo alla moglie o ai suoi eredi il diritto di regresso sulla porzione che della comunione spetta al marito e anche sugli altri beni di lui.
Titolo VII.
Della filiazione
Capo I.
Della filiazione legittima.
Sezione I. -
Dello stato di figlio legittimo.
Art. 231.
(Paternità del marito).
Il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio.
Art. 232.
(Presunzione di concepimento durante il matrimonio).
Si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando sono trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio e non sono ancora trascorsi trecento giorni dallo scioglimento o annullamento di esso.
Art. 233.
(Nascita del figlio prima dei centottanta giorni).
Il figlio nato prima che siano trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio è reputato legittimo se il marito non ne disconosce la paternità.
Il disconoscimento non può aver luogo nei casi seguenti: 1) quando il marito era consapevole della gravidanza prima del matrimonio; 2) quando risulta dall'atto di nascita che la dichiarazione fu fatta dal marito o da un suo procuratore speciale.
Art. 234.
(Nascita del figlio dopo i trecento giorni).
La legittimità del figlio nato dopo trecento giorni dallo scioglimento o annullamento del matrimonio può essere sempre contestata.
Art. 235.
(Disconoscimento di paternità).
Il marito può disconoscere il figlio concepito durante il matrimonio soltanto nei casi seguenti: 1) se nel tempo decorso dal trecentesimo al centottantesimo giorno prima della nascita egli era nella fisica impossibilità di coabitare con la moglie per causa di allontanamento o per altro fatto; 2) se durante il tempo predetto egli era affetto da impotenza, anche se questa fosse soltanto impotenza di generare; 3) se durante lo stesso periodo egli viveva legalmente separato dalla moglie anche per effetto di provvedimento temporaneo del magistrato, salvo che siavi stata tra i coniugi riunione anche soltanto temporanea; 4) se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio e ha tenuto celato al marito la propria gravidanza e la nascita del figlio. In questo caso il marito è ammesso a provare ogni altro fatto tendente a escludere la paternità.
La sola dichiarazione della madre non esclude la paternità.
Sezione II. -
Delle prove della filiazione legittima.
Art. 236.
(Atto di nascita e possesso di stato).
La filiazione legittima si prova con l'atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile.
Basta, in mancanza di questo titolo, il possesso continuo dello stato di figlio legittimo.
Art. 237.
(Fatti costitutivi del possesso di stato).
Il possesso di stato risulta da una serie di fatti che nel loro complesso valgano a dimostrare le relazioni di filiazione e di parentela fra una persona e la famiglia a cui essa pretende di appartenere.
In ogni caso devono concorrere i seguenti fatti: che la persona abbia sempre portato il cognome del padre che essa pretende di avere; che il padre l'abbia trattata come figlio e abbia provveduto in questa qualità al mantenimento, alla educazione e al collocamento di essa; che sia stata costantemente considerata come tale nei rapporti sociali; che sia stata riconosciuta in detta qualità dalla famiglia.
Art. 238.
(Atto di nascita conforme al possesso di stato).
Salvo quanto è disposto nell'articolo seguente, nessuno può reclamare uno stato contrario a quello che gli attribuiscono l'atto di nascita di figlio legittimo e il possesso di stato conforme all'atto stesso.
Parimenti non si può contestare la legittimità di colui il quale ha un possesso di stato conforme all'atto di nascita.
Art. 239.
(Supposizione di parto o sostituzione di neonato).
Qualora si tratti di supposizione di parto o di sostituzione di neonato, ancorchè vi sia un atto di nascita conforme al possesso di stato, il figlio può reclamare uno stato diverso, dando la prova della filiazione anche a mezzo di testimoni nei limiti e secondo le regole dell'art. 241.
Parimenti si può contestare la legittimità del figlio dando anche a mezzo di testimoni, nei limiti e secondo le regole sopra indicati, la prova della supposizione o della sostituzione predette.
Art. 240.
(Mancanza dell'atto di matrimonio).
La legittimità del figlio di due persone, che hanno pubblicamente vissuto come marito e moglie e sono morte ambedue, non può essere contestata per il solo motivo che manchi la prova della celebrazione del matrimonio, qualora la stessa legittimità sia provata da un possesso di stato che non sia in opposizione con l'atto di nascita.
Art. 241.
(Prova con testimoni).
Quando mancano l'atto di nascita e il possesso di stato, o quando il figlio fu iscritto sotto falsi nomi o come nato da genitori ignoti, la prova della filiazione può darsi col mezzo di testimoni.
Questa prova non può essere ammessa che quando vi è un principio di prova per iscritto, ovvero quando le presunzioni e gli indizi sono abbastanza gravi da determinare l'ammissione della prova.
Art. 242.
(Principio di prova per iscritto).
Il principio di prova per iscritto risulta dai documenti di famiglia, dai registri e dalle carte private del padre o della madre, dagli atti pubblici e privati provenienti da una delle parti che sono impegnate nella controversia o da altra persona, che, se fosse in vita, avrebbe interesse nella controversia.
Art. 243.
(Prova contraria).
La prova contraria può darsi con tutti i mezzi atti a dimostrare che il reclamante non è figlio della donna che egli pretende di avere per madre, oppure che non è figlio del marito della madre, quando risulta provata la maternità.
Sezione III. -
Dell'azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo di legittimità.
Art. 244.
(Termine per l'azione di disconoscimento).
L'azione di disconoscimento, tanto nel caso dell'art. 233 quanto nel caso dell'art. 235, deve essere proposta dal marito nel termine di tre mesi che decorrono: dal giorno della nascita, quando egli si trovava al tempo di questa nel luogo in cui è nato il figlio; dal giorno del suo ritorno nel luogo in cui è nato il figlio o in cui è il domicilio coniugale, se egli era lontano.
In ogni caso, se egli prova di non aver avuto notizia della nascita in detti giorni, il termine decorre dal giorno in cui ha avuto questa notizia.
Art. 245.
(Sospensione del termine).
Se il marito si trova in istato di interdizione per infermità mentale, la decorrenza del termine indicato nell'articolo precedente è sospesa fino a che dura lo stato di interdizione.
Art. 246.
(Trasmissibilità dell'azione).
Se il marito muore senza aver promosso l'azione, ma prima che sia decorso il termine, i discendenti o gli ascendenti sono ammessi ad esercitarla, ma devono proporla entro tre mesi dalla morte del marito o dalla nascita del figlio, se si tratta di un figlio postumo.
Art. 247.
(Legittimazione passiva).
L'azione è proposta contro il figlio, se è maggiore d'età, e, se è minore o interdetto, in contraddittorio di un curatore nominato dal tribunale davanti al quale il giudizio è promosso. Nel caso di minore emancipato o di maggiore inabilitato l'azione è proposta contro il figlio assistito da un curatore parimenti nominato dal tribunale.
Nel giudizio deve in tutti i casi essere chiamata la madre.
Art. 248.
(Legittimazione all'azione di contestazione della legittimità. Imprescrittibilità).
L'azione per contestare la legittimità, sia essa fondata sulla nullità del matrimonio ovvero sulla supposizione di parto o sulla sostituzione di neonato ovvero sulla nascita del figlio dopo trecento giorni dallo scioglimento o annullamento del matrimonio, spetta a chi dall'atto di nascita del figlio risulti suo genitore e a chiunque vi abbia interesse.
L'azione è imprescrittibile.
Nel caso in cui l'azione sia proposta contro il figlio minore o altrimenti incapace, si osservano le disposizioni dell'articolo precedente.
Nel giudizio devono essere chiamati entrambi i genitori.
Art. 249.
(Reclamo della legittimità).
L'azione per reclamare lo stato legittimo spetta al figlio; ma, se egli non l'ha promossa ed è morto in età minore o nei cinque anni dopo aver raggiunto la maggiore età, può essere promossa dai discendenti di lui. Essa deve essere proposta contro entrambi i genitori e, in loro mancanza, contro i loro eredi.
L'azione è imprescrittibile riguardo al figlio.
Capo II.
Della filiazione illegittima e della legittimazione.
Sezione I. -
Della filiazione illegittima.
§ 1. -
Del riconoscimento dei figli naturali.
Art. 250.
(Riconoscimento).
Il figlio naturale può essere riconosciuto dal padre e dalla madre tanto congiuntamente quanto separatamente.
Il riconoscimento non può essere fatto dal padre che non ha raggiunto i diciotto anni e dalla madre che non ha raggiunto i quattordici anni, a meno che avvenga in occasione del loro matrimonio.
Art. 251.
(Riconoscimento di figli incestuosi).
I figli nati da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela anche soltanto naturale, in linea retta all'infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, non possono essere riconosciuti dai loro genitori, salvo che questi al tempo del concepimento ignorassero il vincolo esistente tra di loro. Quando uno solo dei genitori è stato in buona fede, il riconoscimento del figlio può essere fatto solo da lui.
Art. 252.
(Riconoscimento di figli adulterini).
I figli adulterini possono essere riconosciuti dal genitore che al tempo del concepimento non era unito in matrimonio.
Possono essere riconosciuti anche dal genitore che al tempo del concepimento era unito in matrimonio, qualora il matrimonio sia sciolto per effetto della morte dell'altro coniuge.
Se in conseguenza del matrimonio sciolto vi sono figli legittimi o legittimati o loro discendenti legittimi, il riconoscimento non ha effetto se non dal giorno in cui è ammesso con decreto reale, previo parere del consiglio di Stato. Il riconoscimento non può essere ammesso se i figli legittimi o legittimati non hanno raggiunto la maggiore età e se non sono stati sentiti.
Se il genitore muore dopo la presentazione dell'istanza e prima dell'emanazione del decreto, gli effetti di questo risalgono alla data della morte. Se il riconoscimento è contenuto in un testamento, l'istanza per la concessione del decreto può essere fatta dal figlio o dal suo rappresentante legale non oltre un anno dalla pubblicazione del testamento.
Art. 253.
(Inammissibilità di riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio legittimo).
In nessun caso è ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio legittimo in cui la persona si trova.
Art. 254.
(Forma del riconoscimento).
Il riconoscimento del figlio naturale è fatto nell'atto di nascita, oppure con un'apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, davanti a un ufficiale dello stato civile o davanti al giudice tutelare, o in un atto pubblico o in un testamento, qualunque sia la forma di questo.
La domanda di legittimazione di un figlio naturale presentata alla corte d'appello o la dichiarazione della volontà di legittimarlo espressa dal genitore in un atto pubblico o in un testamento importa riconoscimento, anche se la legittimazione non abbia luogo.
Art. 255.
(Riconoscimento di un figlio premorto).
Può anche aver luogo il riconoscimento del figlio premorto, in favore dei suoi discendenti legittimi e dei suoi figli naturali riconosciuti.
Art. 256.
(Irrevocabilità del riconoscimento).
Il riconoscimento è irrevocabile. Se è contenuto in un testamento, ha effetto dal tempo della morte del testatore, anche se il testamento è stato revocato.
Nell'ipotesi preveduta dal secondo comma dell'art. 252 il riconoscimento contenuto in un testamento ha effetto solo se lo scioglimento del matrimonio era già avvenuto nel tempo in cui il testamento fu fatto.
Art. 257.
(Clausole limitatrici).
E` nulla ogni clausola diretta a limitare gli effetti del riconoscimento.
Art. 258.
(Effetti del riconoscimento).
Il riconoscimento non ha effetto che riguardo a quello dei genitori da cui fu fatto.
L'atto di riconoscimento di uno solo dei genitori non può contenere indicazioni relative all'altro genitore. Queste indicazioni, qualora siano state fatte, sono senza effetto.
Il pubblico ufficiale che le riceve e l'ufficiale dello stato civile che le riproduce sui registri dello stato civile sono puniti con l'ammenda da lire cinquecento a lire duemila. Le indicazioni devono essere cancellate.
Art. 259.
(Introduzione del figlio naturale nella casa coniugale).
Il figlio naturale di uno dei coniugi, riconosciuto durante il matrimonio, non può essere introdotto nella casa coniugale se non col consenso dell'altro coniuge, salvo che questi abbia già dato il suo assenso al riconoscimento.
Art. 260.
(Poteri dei genitori).
Il genitore che ha riconosciuto il figlio naturale ha rispetto a lui i diritti derivanti dalla patria potestà, tranne l'usufrutto legale.
Se il riconoscimento è fatto dai due genitori, congiuntamente o separatamente, i diritti derivanti dalla patria potestà sono esercitati dal padre. In caso di morte del padre, di lontananza o di altro impedimento che renda a lui impossibile l'esercizio dei diritti derivanti dalla patria potestà, e nel caso di decadenza da tali diritti secondo le norme del titolo IX di questo libro, questi diritti sono esercitati dalla madre.
Se l'interesse del figlio lo esige, il tribunale può attribuire alla madre, invece che al padre, l'esercizio dei diritti derivanti dalla patria potestà; può altresì limitare l'esercizio di questi diritti, ovvero escludere dall'esercizio di essi, in casi gravi, tutti e due i genitori.
Art. 261.
(Obblighi dei genitori verso il figlio).
Il genitore naturale è tenuto a mantenere il figlio riconosciuto, a educarlo e ad istruirlo conformemente a quanto è prescritto dall'art. 147. Se il riconoscimento è fatto da entrambi i genitori, essi devono contribuire alle spese in proporzione delle loro rispettive sostanze.
Art. 262.
(Cognome del figlio).
Il figlio naturale assume il cognome del genitore che lo ha riconosciuto, o quello del padre, se congiuntamente o separatamente è stato riconosciuto da entrambi i genitori.
Art. 263.
(Impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità).
Il riconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità dall'autore del riconoscimento, da colui che è stato riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse.
L'impugnazione è ammessa anche dopo la legittimazione.
L'azione è imprescrittibile.
Art. 264.
(Impugnazione da parte del riconosciuto).
Colui che è stato riconosciuto non può, durante la minore età o lo stato di interdizione, impugnare il riconoscimento.
Tuttavia il tribunale con provvedimento in camera di consiglio, su istanza del pubblico ministero o del minore che abbia raggiunto i sedici anni di età, può dare l'autorizzazione per impugnare il riconoscimento, nominando un curatore speciale.
Art. 265.
(Impugnazione per violenza).
Il riconoscimento può essere impugnato per violenza dall'autore del riconoscimento entro un anno dal giorno in cui la violenza è cessata.
Se l'autore del riconoscimento è minore, l'azione può essere promossa entro un anno dal conseguimento dell'età maggiore.
Art. 266.
(Impugnazione del riconoscimento per effetto di interdizione giudiziale).
Il riconoscimento può essere impugnato per l'incapacità che deriva da interdizione giudiziale dal rappresentante dell'interdetto e, dopo la revoca dell'interdizione, dall'autore del riconoscimento, entro un anno dalla data della revoca.
Art. 267.
(Trasmissibilità dell'azione).
Nei casi indicati dagli articoli 265 e 266, se l'autore del riconoscimento è morto senza aver promosso l'azione, ma prima che sia scaduto il termine, l'azione può essere promossa dai discendenti, dagli ascendenti o dagli eredi.
Art. 268.
(Provvedimenti in pendenza del giudizio).
Quando è impugnato il riconoscimento, il giudice può dare, in pendenza del giudizio, i provvedimenti che ritenga opportuni nell'interesse del figlio.
§ 2. -
Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturale.
Art. 269.
(Dichiarazione giudiziale di paternità).
La paternità naturale non può essere giudizialmente dichiarata che nei casi seguenti: 1) quando la madre e il presunto padre hanno notoriamente convissuto come coniugi nel tempo a cui risale il concepimento; 2) quando la paternità risulta indirettamente da sentenza civile o penale ovvero da non equivoca dichiarazione scritta di colui al quale si attribuisce la paternità; 3) quando v'è stato ratto o violenza carnale nel tempo che corrisponde a quello del concepimento; 4) quando v'è possesso di stato di figlio naturale.
Art. 270.
(Fatti costitutivi del possesso di stato).
Il possesso di stato di figlio naturale risulta da più fatti i quali nel loro complesso costituiscono grave indizio della relazione di filiazione tra una persona e colui al quale la paternità è attribuita.
In ogni caso devono concorrere i seguenti fatti: che la persona sia stata trattata come figlio da colui che essa reclama per padre naturale e che questi abbia, come tale, provveduto al mantenimento, alla educazione e al collocamento di essa: che essa sia stata costantemente considerata come tale nei rapporti sociali.
Art. 271.
(Legittimazione attiva e termine).
L'azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la paternità naturale può essere promossa dal figlio entro i due anni dal raggiungimento della maggiore età o, nel caso indicato dal secondo comma dell'art. 252, dalla data dello scioglimento del matrimonio per effetto della morte del coniuge, se lo scioglimento avviene successivamente al raggiungimento della maggiore età. Se egli muore prima di tale termine, l'azione può essere promossa dai discendenti legittimi di lui.
Nei casi preveduti dal n. 2 dell'art. 269 l'azione può essere promossa anche dopo la scadenza del termine indicato nel comma precedente, entro i due anni dal giorno in cui è passata in giudicato la sentenza o è stato scoperto il documento contenente la dichiarazione di paternità.
L'azione già promossa dal figlio, se egli muore, non può essere proseguita che dai suoi discendenti legittimi.
Art. 272.
(Dichiarazione giudiziale di maternità).
La maternità può essere dichiarata giudizialmente anche fuori dei casi previsti dall'art. 269.
Essa è dimostrata provando l'identità di colui che si pretende essere il figlio e colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume esserne la madre.
L'azione può essere proposta dal figlio e, dopo la morte di lui, dai suoi discendenti legittimi, se egli è morto in età minore o prima di cinque anni dal raggiungimento della maggiore età.
L'azione è imprescrittibile riguardo al figlio.
Art. 273.
(Azione nell'interesse di minore o interdetto).
L'azione per ottenere che sia giudizialmente dichiarata la paternità o maternità naturale può essere promossa, nell'interesse del minore, dal genitore che esercita la patria potestà o dal tutore. Il tutore però deve chiedere l'autorizzazione del giudice tutelare, il quale può anche nominare un curatore speciale.
Occorre il consenso del figlio per promuovere o per proseguire l'azione se egli ha raggiunto l'età di anni sedici.
Per l'interdetto l'azione può essere promossa dal tutore, previa l'autorizzazione del giudice tutelare.
Art. 274.
(Ammissibilità dell'azione).
L'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale è ammessa solo quando concorrono indizi tali da farla apparire giustificata.
Sull'ammissibilità il tribunale decide in camera di consiglio con decreto, su ricorso di chi intende promuovere l'azione, sentiti il pubblico ministero e le parti personalmente, qualora compaiano, e assunte le informazioni del caso. Il decreto non è soggetto a reclamo.
L'inchiesta sommaria compiuta dal tribunale ha luogo senza alcuna pubblicità e deve essere mantenuta segreta.
Il tribunale, anche prima di ammettere l'azione, può, se trattasi di minore o d'altra persona incapace, nominare un curatore speciale che la rappresenti in giudizio.
Art. 275.
(Pena in caso di inammissibilità).
Il tribunale, se dichiara inammissibile l'azione può condannare l'istante al pagamento di una pena pecuniaria da lire trecento a lire cinquemila.
Art. 276.
(Legittimazione passiva).
La domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità naturale deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in mancanza di lui, nei confronti dei suoi eredi.
Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse.
Art. 277.
(Effetti della sentenza).
La sentenza che dichiara la filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento.
Il giudice può anche dare i provvedimenti che stima utili per l'allevamento, l'educazione e l'istruzione del figlio e per la tutela degli interessi patrimoniali di lui.
Art. 278.
(Divieto di indagini sulla paternità o maternità).
Non sono ammesse le indagini sulla paternità e sulla maternità nei casi in cui il riconoscimento è vietato.
Le indagini sono escluse anche nei casi in cui, per l'art. 251 e per il terzo comma dell'art. 252, è ammissibile il riconoscimento.
Art. 279.
(Alimenti).
Nei casi previsti dall'articolo precedente e in ogni altro caso in cui non possa più proporsi l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità, il figlio naturale può agire per ottenere gli alimenti: 1) se la paternità o la maternità risulta indirettamente da sentenza civile o penale; 2) se la paternità o la maternità dipende da un matrimonio dichiarato nullo; 3) se la paternità o la maternità risulta da una non equivoca dichiarazione scritta dei genitori.
Sezione II. -
Della legittimazione dei figli naturali.
Art. 280.
(Legittimazione).
La legittimazione attribuisce a colui che è nato fuori di matrimonio la qualità di figlio legittimo.
Essa avviene per susseguente matrimonio contratto dai genitori del figlio naturale o per decreto reale.
Art. 281.
(Divieto della legittimazione).
Nè per susseguente matrimonio nè per decreto reale possono essere legittimati i figli che non possono essere riconosciuti.
Art. 282.
(Legittimazione di figli premorti).
La legittimazione dei figli premorti può anche aver luogo in favore dei loro discendenti legittimi e dei loro figli naturali riconosciuti.
Art. 283.
(Effetti e decorrenza della legittimazione per susseguente matrimonio).
I figli legittimati per susseguente matrimonio acquistano i diritti dei figli legittimi dal giorno del matrimonio, se sono stati riconosciuti da ambedue i genitori nell'atto stesso del matrimonio o anteriormente, oppure dal giorno del riconoscimento, se questo è avvenuto dopo il matrimonio, ferma la disposizione dell'art. 252 circa la decorrenza degli effetti del riconoscimento, se questo è stato ammesso con decreto reale.
Art. 284.
(Condizioni per la legittimazione per decreto reale).
La legittimazione può essere concessa con decreto reale quando concorrono le seguenti condizioni: 1) che sia domandata dai genitori stessi o da uno di essi e che il genitore richiedente abbia raggiunto l'età indicata nel secondo comma dell'art. 250; 2) che il genitore il quale la domanda non abbia figli legittimi o legittimati per susseguente matrimonio nè discendenti da essi; 3) che per il genitore vi sia l'impossibilità o almeno un gravissimo ostacolo a legittimare il figlio per susseguente matrimonio; 4) che vi sia l'assenso dell'altro coniuge, se il richiedente è unito in matrimonio.
Art. 285.
(Condizioni per la legittimazione dopo la morte del genitore).
Se uno dei genitori ha espresso in un testamento o in un atto pubblico la volontà di legittimare i figli naturali, questi possono, dopo la morte di lui, domandare la legittimazione, sempre che al tempo della morte concorrano le condizioni stabilite dai numeri 2 e 3 dell'articolo precedente.
In questo caso la domanda deve essere comunicata a due tra i prossimi parenti del genitore entro il quarto grado.
Art. 286.
(Legittimazione domandata dall'ascendente).
La domanda di legittimazione di un figlio naturale riconosciuto può in caso di morte del genitore essere fatta da uno degli ascendenti legittimi di lui, se il genitore non ha comunque espressa una volontà in contrasto con quella di legittimare.
Art. 287.
(Legittimazione in base alla procura per il matrimonio).
Nei casi in cui è consentito di celebrare il matrimonio per procura, se concorrono le condizioni per la legittimazione per susseguente matrimonio, la legittimazione dei figli naturali per decreto reale può essere domandata in base alla procura a contrarre il matrimonio, se questo non potè essere celebrato per la sopravvenuta morte del mandante.
Qualora i figli non siano stati riconosciuti, per domandarne la legittimazione è necessario che dalla procura risulti la volontà di riconoscerli o la volontà di legittimarli.
Art. 288.
(Procedura).
La domanda di legittimazione, accompagnata dai documenti giustificativi, deve essere presentata alla corte di appello nel cui distretto il richiedente ha residenza.
La corte, sentito il pubblico ministero, dichiara in camera di consiglio se concorrono, secondo i casi, le condizioni stabilite dagli articoli 284, 285, 286 e 287, e conseguentemente se si può o non si può concedere la legittimazione .
Quando la corte di appello dichiara che non si può concedere la legittimazione, il richiedente può proporre reclamo alla corte di cassazione. Questa, richiamati gli atti dalla corte di appello, delibera in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e, se accoglie il ricorso, dichiara che si può concedere la legittimazione .
Quando è stato deliberato che si può concedere la legittimazione, il pubblico ministero presso la corte di appello o presso la corte di cassazione trasmette la deliberazione, con i relativi documenti e con le informazioni assunte di ufficio, al Ministro di grazia e giustizia, il quale, udito il parere del consiglio di Stato sulla convenienza della legittimazione, ne fa relazione al Re.
Se il Re concede la legittimazione, il decreto reale è trasmesso alla corte di appello, trascritto in apposito registro e annotato in calce all'atto di nascita del figlio.
Art. 289.
(Impugnazioni).
Contro il decreto reale che concede la legittimazione è ammesso ricorso di legittimità al consiglio di Stato in sede giurisdizionale, ma il giudizio di legittimità non può riguardare le condizioni stabilite dagli articoli 284, 285, 286 e 287. La deliberazione della corte di appello o della corte di cassazione, che ha dichiarato l'esistenza di tali condizioni, non impedisce in giudizio ordinario davanti all'autorità giudiziaria la contestazione sullo stato di figlio legittimato per mancanza delle condizioni indicate nei numeri 1 e 2 dell'art. 284 o di quelle particolari indicate negli articoli 285, 286 e 287, ferma restando la disposizione dell'art. 263.
Se manca la condizione indicata nel n. 4 dell'articolo 284, la contestazione può essere promossa soltanto dal coniuge del quale era richiesto l'assenso.
Art. 290.
(Effetti e decorrenza della legittimazione per decreto reale).
La legittimazione per decreto reale produce gli stessi effetti della legittimazione per susseguente matrimonio, ma soltanto dalla data del decreto e nei confronti del genitore, riguardo al quale la legittimazione è stata concessa.
Se il decreto interviene dopo la morte del genitore, gli effetti della legittimazione risalgono alla data della morte, purchè la domanda di legittimazione non sia stata proposta dopo un anno da quella data.
Titolo VIII.
Dell'adozione
Capo I.
Dell'adozione e dei suoi effetti.
Art. 291.
(Condizioni).
L'adozione è permessa alle persone che non hanno discendenti legittimi o legittimati, che hanno compiuto i cinquanta anni e che superano almeno di diciotto anni l'età di coloro che essi intendono adottare.
Quando eccezionali circostanze lo consigliano, la corte di appello può autorizzare l'adozione se l'adottante ha raggiunto almeno l'età di anni quaranta e se la differenza di età tra l'adottante e l'adottando è di almeno sedici anni.
Art. 292.
(Divieto di adozione per diversità di razza).
L'adozione non è permessa tra cittadini di razza ariana e persone di razza diversa.
Il Re o le autorità a ciò delegate possono accordare dispensa dall'osservanza di questa disposizione.
Art. 293.
(Divieto di adozione dei figli nati fuori dal matrimonio).
I figli nati fuori del matrimonio non possono essere adottati dai loro genitori.
Non può tuttavia essere dichiarata la nullità dell'adozione se, al momento in cui questa avvenne, la qualità di figlio naturale dell'adottato non risultava da riconoscimento o da dichiarazione giudiziale.
Il riconoscimento posteriore all'adozione non ha effetto se non ai fini della legittimazione.
Se l'adottato è un figlio naturale non riconoscibile, del quale la filiazione risulta in uno dei modi indicati nell'art. 279, può essere sempre dichiarata la nullità dell'adozione.
Art. 294.
(Pluralità di adottati o di adottanti).
Nessuno può avere più figli adottivi se non sono adottati col medesimo atto.
Nessuno può essere adottato da più d'una persona, salvo che i due adottanti siano marito e moglie.
Art. 295.
(Adozione da parte del tutore).
Il tutore non può adottare la persona della quale ha avuto la tutela, se non dopo che sia stato approvato il conto della sua amministrazione, sia stata fatta la consegna dei beni e siano state estinte le obbligazioni risultanti a suo carico o data idonea garanzia per il loro adempimento.
Art. 296.
(Consenso per l'adozione).
Per l'adozione si richiede il consenso dell'adottante e dell'adottando.
Se l'adottando non ha compiuto gli anni diciotto, il consenso è dato dal suo legale rappresentante; se ha compiuto gli anni diciotto, ma non ancora gli anni ventuno, il rappresentante legale deve dare il suo assenso. Se l'adottando ha compiuto gli anni dodici, deve essere personalmente sentito.
Art. 297.
(Assenso del coniuge e dei genitori).
Se l'adottando o l'adottante sono coniugati, è sempre necessario l'assenso del coniuge.
E` necessario altresì l'assenso dei genitori dell'adottando.
Art. 298.
(Decorrenza degli effetti dell'adozione).
L'adozione produce i suoi effetti dalla data del decreto che la pronunzia.
Finchè il decreto non è emanato, tanto l'adottante quanto l'adottando possono revocare il loro consenso.
Se l'adottante muore dopo la prestazione del consenso e prima dell'emanazione del decreto, si può procedere al compimento degli atti necessari per l'adozione.
Gli eredi dell'adottante possono presentare alla corte memorie e osservazioni per opporsi all'adozione.
Se l'adozione è ammessa, essa produce i suoi effetti dal momento della morte dell'adottante.
Art. 299.
(Cognome dell'adottato).
L'adottato assume il cognome dell'adottante e lo aggiunge al proprio.
L'adottato che sia figlio naturale non riconosciuto dai propri genitori assume solo il cognome dell'adottante. Il riconoscimento successivo all'adozione non fa assumere all'adottato il cognome del genitore che lo ha riconosciuto, salvo che l'adozione sia successivamente revocata.
Se l'adozione è compiuta da entrambi i coniugi, l'adottato assume il cognome del marito.
Se l'adozione è compiuta da una donna maritata, l'adottato, che non sia figlio del marito, assume il cognome della famiglia di lei.
Art. 300.
(Diritti e doveri dell'adottato).
L'adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine, salve le eccezioni stabilite dalla legge.
L'adozione non induce alcun rapporto civile tra l'adottante e la famiglia dell'adottato nè tra l'adottato e i parenti dell'adottante, salve le eccezioni stabilite dalla legge.
Art. 301.
(Patria potestà e amministrazione dei beni).
La patria potestà sull'adottato spetta all'adottante.
Questi ha l'obbligo di mantenere l'adottato, di educarlo e di istruirlo conformemente a quanto è prescritto dall'art. 147.
Se la moglie adotta il figlio del proprio marito, l'esercizio della patria potestà spetta al marito.
Se l'adottato ha beni propri, l'amministrazione di essi, durante la minore età dell'adottato, spetta all'adottante, il quale non ne ha l'usufrutto legale, ma può impiegarne le rendite per le spese di mantenimento, educazione e istruzione del minore, con l'obbligo di investire l'eccedenza in modo fruttifero. Si applicano le disposizioni dell'art. 382.
Art. 302.
(Inventario).
L'adottante deve fare l'inventario dei beni dell'adottato minorenne e trasmetterlo al giudice tutelare entro un mese dalla data del decreto di adozione. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nella sezione III del capo I del titolo X di questo libro.
L'adottante che omette di fare l'inventario nel termine stabilito o fa un inventario infedele può essere privato dell'amministrazione dei beni dal giudice tutelare, salvo l'obbligo del risarcimento dei danni.
Art. 303.
(Cessazione della patria potestà dell'adottante).
Se cessa la patria potestà dell'adottante, il giudice tutelare, su istanza dell'adottato, dei suoi parenti o affini o del pubblico ministero, o anche d'ufficio, può dare i provvedimenti opportuni circa la cura della persona dell'adottato, la sua rappresentanza e l'amministrazione dei suoi beni, anche se ritiene conveniente che l'esercizio della patria potestà sia ripreso dai genitori.
Quando l'adozione è fatta da entrambi i coniugi, l'esercizio della patria potestà passa alla moglie, se cessa la patria potestà del marito.
Art. 304.
(Diritti di successione).
L'adozione non attribuisce all'adottante alcun diritto di successione.
I diritti dell'adottato nella successione dell'adottante sono regolati dalle norme contenute nel libro II.
Art. 305.
(Revoca dell'adozione).
L'adozione si può revocare soltanto nei casi preveduti dagli articoli seguenti.
Art. 306.
(Revoca per indegnità dell'adottato).
La revoca dell'adozione può essere pronunziata dal tribunale su domanda dell'adottante, quando l'adottato abbia attentato alla vita di lui o del suo coniuge, dei suoi discendenti o ascendenti, ovvero si sia reso colpevole verso loro di delitto punibile con pena restrittiva della libertà personale non inferiore nel minimo a tre anni.
Se l'adottante muore in conseguenza dell'attentato, la revoca dell'adozione può essere chiesta da coloro ai quali si devolverebbe l'eredità in mancanza dell'adottato e dei suoi discendenti.
Art. 307.
(Revoca per indegnità dell'adottante).
Quando i fatti previsti nell'articolo precedente sono stati compiuti dall'adottante contro l'adottato, oppure contro il coniuge o i discendenti o gli ascendenti di lui, la revoca può essere pronunziata su domanda dell'adottato, o, se questi è minore, su istanza del pubblico-ministero. In questo caso il tribunale, sentito il giudice tutelare, può dare i provvedimenti opportuni circa la cura della persona del minore, la sua rappresentanza e l'amministrazione dei beni, anche se ritiene conveniente che l'esercizio della patria potestà sia ripreso dai genitori.
Art. 308.
(Revoca promossa dal pubblico ministero).
La revoca dell'adozione può essere promossa dal pubblico ministero per ragioni di buon costume.
Art. 309.
(Decorrenza degli effetti della revoca).
Gli effetti dell'adozione cessano quando passa in giudicato la sentenza di revoca.
Se tuttavia la revoca è pronunziata dopo la morte dell'adottante per fatto imputabile all'adottato, l'adottato e i suoi discendenti sono esclusi dalla successione dell'adottante.
Art. 310.
(Cessazione degli effetti dell'adozione).
Gli effetti dell'adozione cessano: 1) per matrimonio tra le persone legate dal vincolo di adozione; 2) per legittimazione del figlio adottivo da parte dell'adottante.
Art. 311.
(Manifestazione del consenso).
Il consenso dell'adottante e dell'adottando o del legale rappresentante di questo deve essere manifestato personalmente al presidente della corte di appello nel cui distretto l'adottante ha residenza.
In caso di grave impedimento il detto presidente può delegare il presidente del tribunale a ricevere il consenso delle persone indicate nel comma precedente o a sentire l'adottando nel caso previsto nell'ultimo comma dell'art. 296.
L'assenso delle persone indicate negli articoli 296 e 297 può essere dato da persona munita di procura speciale rilasciata per atto pubblico o per scrittura privata autenticata.
Art. 312.
(Accertamenti della corte di appello).
La corte, assunte le opportune informazioni e sentiti i genitori dell'adottante, verifica: 1) se tutte le condizioni della legge sono state adempiute; 2) se colui che vuole adottare ha buona fama; 3) se l'adozione conviene all'adottando.
Art. 313.
(Provvedimento della corte di appello).
La corte, in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero e omessa ogni altra formalità di procedura, senza esprimere i motivi, pronunzia in questi termini: si fa luogo o non si fa luogo all'adozione.
Art. 314.
(Pubblicità).
Il decreto che pronunzia l'adozione deve essere iscritto in apposito registro, a cura del cancelliere, il quale nei dieci giorni successivi deve comunicarne copia all'ufficiale dello stato civile per l'annotazione in margine all'atto di nascita dell'adottato e a quello dell'adottante.
Parimenti deve essere iscritta e annotata la sentenza di revoca dell'adozione entro trenta giorni dal giorno in cui è passata in giudicato. A questo effetto la parte interessata deve presentare copia autentica della sentenza al cancelliere della corte di appello che ha pronunziato l'adozione e agli ufficiali dello stato civile competenti.
L'autorità giudiziaria può inoltre ordinare la pubblicazione del decreto che pronunzia l'adozione o della sentenza di revoca nei modi che ritiene opportuni.
Titolo IX.
Della patria potestà
Art. 315.
(Doveri del figlio verso i genitori).
Il figlio, di qualunque età sia, deve onorare e rispettare i genitori.
Art. 316.
(Esercizio della patria potestà).
Il figlio è soggetto alla potestà dei genitori sino all'età maggiore o all'emancipazione. Questa potestà è esercitata dal padre. Dopo la morte del padre e negli altri casi stabiliti dalla legge essa è esercitata dalla madre.
Art. 317.
(Impedimento del padre).
Nel caso di lontananza o d'altro impedimento che renda impossibile al padre l'esercizio della patria potestà, questa è esercitata dalla madre.
Art. 318.
(Abbandono della casa paterna).
Il figlio non può abbandonare la casa paterna o quella che il padre gli ha destinata. Qualora se ne allontani senza permesso, il padre può richiamarlo, ricorrendo, se è necessario, al giudice tutelare.
Art. 319.
(Cattiva condotta del figlio).
Il padre che non riesce a frenare la cattiva condotta del figlio, può, salva l'applicazione delle norme contenute nelle leggi speciali, collocarlo in un istituto di correzione, con l'autorizzazione del presidente del tribunale.
L'autorizzazione può essere chiesta anche verbalmente. Il presidente del tribunale, assunte informazioni, provvede con decreto senza formalità di atti e senza dichiarare i motivi.
Contro il decreto del presidente del tribunale è ammesso ricorso al presidente della corte di appello, il quale provvede sentito il pubblico ministero.
Art. 320.
(Rappresentanza e amministrazione).
Il padre rappresenta i figli nati e nascituri in tutti gli atti civili e ne amministra i beni.
Egli tuttavia non può alienare, ipotecare, dare in pegno i beni del figlio, rinunziare a eredità, accettare donazioni o legati soggetti a pesi e condizioni, chiedere divisioni, contrarre in nome di lui mutui, locazioni oltre il novennio o compiere altri atti eccedenti i limiti dell'ordinaria amministrazione, nè transigere o promuovere giudizi relativi a tali atti, se non per necessità o utilità evidente del figlio stesso e dopo autorizzazione del giudice tutelare.
I capitali non possono essere riscossi senza autorizzazione del giudice tutelare, il quale ne determina l'impiego.
L'esercizio di un'impresa commerciale non può essere continuato se non con l'autorizzazione del tribunale, su parere del giudice tutelare. Questi può consentire l'esercizio provvisorio dell'impresa, fino a quando il tribunale abbia deliberato sull'istanza.
Se sorge conflitto d'interessi tra figli soggetti alla stessa patria potestà o tra essi e il padre, il giudice tutelare nomina ai figli un curatore speciale.
Art. 321.
(Accettazione di eredità e donazione).
Se il padre non può o non vuole accettare le eredità devolute ai figli nati o nascituri e le donazioni ad essi fatte, le eredità e le donazioni possono essere accettate, previa autorizzazione del giudice tutelare, dalla madre o da qualunque ascendente.
Quando manca l'accettazione della madre o dell'ascendente, il tribunale, su richiesta del figlio stesso o di alcuno dei parenti o anche su istanza del pubblico ministero, può autorizzare l'accettazione, premessa la nomina di un curatore speciale e sentito il padre.
Art. 322.
(Inosservanza delle disposizioni precedenti).
Gli atti compiuti senza osservare le norme dei precedenti articoli possono essere annullati su istanza del padre o del figlio o dei suoi eredi o aventi causa.
Art. 323.
(Atti vietati al genitore).
Il genitore esercente la patria potestà non può, neppure all'asta pubblica, rendersi acquirente direttamente o per interposta persona dei beni e dei diritti del minore.
Gli atti compiuti in violazione di questo divieto possono essere annullati su istanza del figlio o dei suoi eredi o aventi causa.
Il genitore esercente la patria potestà non può neppure diventare cessionario di alcuna ragione o credito verso il minore.
Art. 324.
(Usufrutto legale).
Il padre ha l'usufrutto dei beni del figlio finchè esercita la patria potestà, salvo quanto è disposto nell'art. 328.
Non sono soggetti ad usufrutto legale: 1) i beni acquistati dal figlio in occasione o per esercizio di milizia, ufficio, impiego, professione o arte o in altro modo separatamente col proprio lavoro o con la propria industria; 2) i beni lasciati o donati al figlio per intraprendere una carriera, un'arte o una professione; 3) i beni lasciati o donati con la condizione che il padre non ne abbia l'usufrutto: la condizione però non ha effetto pei beni spettanti al figlio a titolo di legittima; 4) i beni pervenuti al figlio per eredità, legato o donazione e accettati nell'interesse del figlio contro la volontà del padre.
Art. 325.
(Obblighi inerenti all'usufrutto legale).
Gravano sull'usufrutto legale, oltre gli obblighi propri dell'usufruttuario, le spese di mantenimento, istruzione ed educazione del figlio.
Art. 326.
(Inalienabilità dell'usufrutto legale. Esecuzione sui frutti).
L'usufrutto legale non può essere oggetto di alienazione, di pegno o d'ipoteca, nè di esecuzione da parte dei creditori.
L'esecuzione sui frutti dei beni del figlio da parte dei creditori del padre non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
Art. 327.
(Usufrutto legale della madre).
I precedenti articoli sono applicabili alla madre che esercita la patria potestà.
L'usufrutto legale passa alla madre anche quando la patria potestà è esercitata dal padre, se questi è escluso dall'usufrutto per cause a lui personali.
Art. 328.
(Nuove nozze).
L'usufrutto legale cessa col passaggio del genitore a nuove nozze.
Art. 329.
(Godimento dei beni dopo la cessazione dell'usufrutto legale).
Cessato l'usufrutto legale, se il genitore ha continuato a godere i beni del figlio convivente con esso senza procura ma senza opposizione, o anche con procura ma senza l'obbligo di rendere conto dei frutti, egli o i suoi eredi non sono tenuti che a consegnare i frutti esistenti al tempo della domanda.
Art. 330.
(Decadenza dalla patria potestà).
Il tribunale può pronunziare la decadenza dalla patria potestà quando il genitore viola o trascura con grave pregiudizio del figlio i doveri ad essa inerenti.
Art. 331.
(Passaggio della patria potestà alla madre).
Quando, pronunziata la decadenza, l'esercizio della patria potestà passa alla madre, il tribunale può in speciali circostanze impartire disposizioni alle quali la madre deve attenersi. Il tribunale può anche ordinare che il figlio venga allontanato dalla casa paterna.
Art. 332.
(Reintegrazione nella patria potestà).
Il tribunale può reintegrare nella patria potestà il genitore che ne è decaduto, quando, cessate le ragioni per le quali la decadenza fu pronunziata, è escluso ogni pericolo di pregiudizio per il figlio.
Art. 333.
(Condotta del genitore pregiudizievole al figlio).
Quando la condotta del genitore non è tale da dar luogo alla pronunzia di decadenza prevista dall'art. 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il tribunale può, secondo le circostanze, adottare i provvedimenti convenienti all'interesse del figlio e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla casa paterna.
Art. 334.
(Rimozione dall'amministrazione).
Se il patrimonio del minore è male amministrato, il tribunale può stabilire le condizioni a cui il genitore deve attenersi nell'amministrazione o può rimuoverlo dall'amministrazione stessa e privarlo anche, in tutto o in parte, dell'usufrutto legale.
Disposta la rimozione, l'amministrazione è affidata all'altro genitore e, se questi manca o non può esercitarla, a un curatore.
Art. 335.
(Riammissione nell'esercizio dell'amministrazione).
Il genitore rimosso dall'amministrazione ed eventualmente privato dell'usufrutto legale può essere riammesso dal tribunale nell'esercizio dell'una e nel godimento dell'altro, quando sono cessati i motivi che hanno provocato il provvedimento.
Art. 336.
(Procedimento).
I provvedimenti indicati negli articoli precedenti sono adottati su ricorso della madre, dei parenti o del pubblico ministero e, quando si tratta di revocare deliberazioni anteriori, anche del genitore interessato.
Il tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il pubblico ministero. Nei casi in cui il provvedimento è richiesto contro il genitore, questi deve essere sentito.
In caso di urgente necessità il giudice tutelare può adottare, anche d'ufficio, provvedimenti temporanei nell'interesse del figlio, riferendone al pubblico ministero.
Art. 337.
(Vigilanza del giudice tutelare).
Il giudice tutelare deve vigilare sull'osservanza delle condizioni che il tribunale abbia stabilite per l'esercizio della patria potestà e per l'amministrazione dei beni.
Art. 338.
(Condizioni imposte alla madre superstite).
Il padre può per testamento, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata stabilire condizioni alla madre superstite per l'educazione dei figli e per l'amministrazione dei beni.
La madre, che non voglia accettare le condizioni, può domandare di essere dispensata dall'osservanza di esse; e il tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il pubblico ministero e, se possibile, i parenti sino al terzo grado.
Art. 339.
(Curatore del nascituro).
Se alla morte del marito la moglie si trova incinta, il tribunale, su istanza di chiunque vi abbia interesse o del pubblico ministero, può nominare un curatore per la protezione del nascituro e, occorrendo, per l'amministrazione dei beni di lui.
Art. 340.
(Nuove nozze della madre).
La madre, che vuole passare a nuove nozze, deve darne notizia al tribunale prima che sia celebrato il matrimonio. Il tribunale, assunte le informazioni del caso e sentito il pubblico ministero, delibera se l'amministrazione dei beni possa esserle conservata, oppure stabilisce condizioni riguardo all'amministrazione stessa e all'educazione dei figli.
In caso d'inosservanza della precedente disposizione la madre perde di diritto l'amministrazione e il marito è responsabile in solido dell'amministrazione esercitata in passato e di quella in seguito indebitamente conservata.
Il tribunale, su istanza del pubblico ministero o dei parenti o anche d'ufficio, qualora non creda di riammettere la madre nell'amministrazione dei beni, delibera sulle condizioni da osservare per l'educazione dei figli e sulla nomina di un curatore ai loro beni.
L'ufficiale dello stato civile, che celebra o trascrive il matrimonio della vedova, deve informarne il procuratore del Re entro dieci giorni dalla celebrazione o dalla trascrizione.
Art. 341.
(Responsabilità del nuovo marito).
Quando la madre è mantenuta nell'amministrazione dei beni o vi è riammessa, il marito s'intende sempre ad essa associato in quell'amministrazione e ne diviene responsabile in solido.
Art. 342.
(Nuove nozze del genitore non ariano).
Il genitore di razza non ariana, che abbia figli considerati di razza ariana, se passa a nuove nozze con persona di razza pure non ariana, perde la patria potestà sui figli stessi, e la tutela dei medesimi è affidata di preferenza ad uno degli avi di razza ariana.
Titolo X.
Della tutela e dell'emancipazione
Capo I.
Della tutela dei minori.
Art. 343.
(Apertura della tutela).
Se entrambi i genitori sono morti o per altre cause non possono esercitare la patria potestà, si apre la tutela presso la pretura del mandamento dove è la sede principale degli affari e interessi del minore.
Se il tutore è domiciliato o trasferisce il domicilio in altro mandamento, la tutela può essere ivi trasferita con decreto del tribunale.
Sezione I. -
Del giudice tutelare.
Art. 344.
(Funzioni del giudice tutelare).
Presso ogni pretura il giudice tutelare soprintende alle tutele e alle curatele ed esercita le altre funzioni affidategli dalla legge.
Il giudice tutelare può chiedere l'assistenza degli organi della pubblica amministrazione e di tutti gli enti i cui scopi corrispondono alle sue funzioni.
Sezione II. -
Del tutore e del protutore.
Art. 345.
(Denunzie al giudice tutelare).
L'ufficiale dello stato civile, che riceve la dichiarazione di morte di una persona la quale ha lasciato figli in età minore ovvero la dichiarazione di nascita di un figlio di genitori ignoti, e il notaio, che procede alla pubblicazione di un testamento contenente la designazione di un tutore o di un protutore, devono darne notizia al giudice tutelare entro dieci giorni.
Il cancelliere, entro quindici giorni dalla pubblicazione o dal deposito in cancelleria, deve dare notizia al giudice tutelare delle decisioni dalle quali derivi l'apertura di una tutela.
I parenti entro il terzo grado devono denunziare al giudice tutelare il fatto da cui deriva l'apertura della tutela entro dieci giorni da quello in cui ne hanno avuto notizia. La denunzia deve essere fatta anche dalla persona designata quale tutore o protutore entro dieci giorni da quello in cui ha avuto notizia della designazione.
Art. 346.
(Nomina del tutore e del protutore).
Il giudice tutelare, appena avuta notizia del fatto da cui deriva l'apertura della tutela, procede alla nomina del tutore e del protutore.
Art. 347.
(Tutela di più fratelli).
E` nominato un solo tutore a più fratelli e sorelle, salvo che particolari circostanze consiglino la nomina di più tutori. Se v'è conflitto d'interessi tra minori soggetti alla stessa tutela, si provvede nel modo indicato nell'ultimo comma dell'art. 320.
Art. 348.
(Scelta del tutore).
Il giudice tutelare nomina tutore la persona designata dal genitore che ha esercitato per ultimo la patria potestà. La designazione può essere fatta per testamento, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata.
Se manca la designazione ovvero se gravi motivi si oppongono alla nomina della persona designata, la scelta del tutore avviene preferibilmente tra gli ascendenti o tra gli altri prossimi parenti o affini del minore, i quali, in quanto sia opportuno, devono essere sentiti.
Il giudice, prima di procedere alla nomina del tutore, deve anche sentire il minore che abbia raggiunto l'età di anni sedici.
In ogni caso la scelta deve cadere su persona idonea all'ufficio, di ineccepibile condotta, la quale dia affidamento di educare e istruire il minore conformemente a quanto è prescritto nell'art. 147.
La tutela di cittadini di razza ariana non può essere affidata a persone appartenenti a razza diversa.
Art. 349.
(Giuramento del tutore).
Il tutore, prima di assumere l'ufficio, presta davanti al giudice tutelare giuramento di esercitarlo con fedeltà e diligenza.
Art. 350.
(Incapacità all'ufficio tutelare).
Non possono essere nominati tutori e, se sono stati nominati, devono cessare dall'ufficio: 1) coloro che non hanno la libera amministrazione del proprio patrimonio; 2) coloro che sono stati esclusi dalla tutela per disposizione scritta del genitore il quale per ultimo ha esercitato la patria potestà; 3) coloro che hanno o sono per avere o dei quali gli ascendenti, i discendenti o il coniuge hanno o sono per avere col minore una lite, per effetto della quale può essere pregiudicato lo stato del minore o una parte notevole del patrimonio di lui; 4) coloro che sono incorsi nella perdita della patria potestà o nella decadenza da essa, o sono stati rimossi da altra tutela; 5) il fallito che non è stato cancellato dal registro dei falliti.
Art. 351.
(Dispensa dall'ufficio tutelare).
Sono dispensati dall'ufficio di tutore: 1) i Principi della Famiglia Reale, salve le disposizioni che regolano la tutela dei Principi della stessa Famiglia; 2) il Primo Ministro, Capo del Governo; 3) i membri del Sacro Collegio; 4) i Presidenti delle Assemblee legislative; 5) i Ministri Segretari di Stato.
Le persone indicate nei numeri 2, 3, 4 e 5 possono far noto al giudice tutelare che non intendono valersi della dispensa.
Art. 352.
(Dispensa su domanda).
Hanno diritto di essere dispensati su loro domanda dall'assumere o dal continuare l'esercizio della tutela: 1) i grandi ufficiali dello Stato non compresi nell'articolo precedente; 2) gli arcivescovi, i vescovi e i ministri del culto aventi cura d'anime; 3) le donne; 4) i militari in attività di servizio; 5) chi ha compiuto gli anni sessantacinque; 6) chi ha più di tre figli minori; 7) chi esercita altra tutela; 8) chi è impedito di esercitare la tutela da infermità permanente; 9) chi ha missione dal Governo fuori del Regno e risiede per ragioni di pubblico servizio fuori della circoscrizione del tribunale dove è costituita la tutela.
Art. 353.
(Domanda di dispensa).
La domanda di dispensa per le cause indicate nell'articolo precedente deve essere presentata al giudice tutelare prima della prestazione del giuramento, salvo che la causa di dispensa sia sopravvenuta.
Il tutore è tenuto ad assumere e a mantenere l'ufficio fino a quando la tutela non sia stata conferita ad altra persona.
Art. 354.
(Tutela affidata a enti di assistenza).
La tutela dei minori, che non hanno nel luogo del loro domicilio parenti conosciuti o capaci di esercitare l'ufficio di tutore, può essere deferita dal giudice tutelare a un ente di assistenza nel comune dove ha domicilio il minore o all'ospizio in cui questi è ricoverato. L'amministrazione dell'ente o dell'ospizio delega uno dei propri membri a esercitare le funzioni di tutela.
E` tuttavia in facoltà del giudice tutelare di nominare un tutore al minore quando la natura o l'entità dei beni o altre circostanze lo richiedono.
Art. 355.
(Protutore).
Sono applicabili al protutore le disposizioni stabilite per il tutore in questa sezione.
Non si nomina il protutore nei casi contemplati nel primo comma dell'art. 354.
Art. 356.
(Donazione o disposizione testamentaria a favore del minore).
Chi fa una donazione o dispone con testamento a favore di un minore, anche se questi è soggetto alla patria potestà, può nominargli un curatore speciale per l'amministrazione dei beni donati o lasciati.
Se il donante o il testatore non ha disposto altrimenti, il curatore speciale deve osservare le forme stabilite dagli articoli 374 e 375 per il compimento di atti eccedenti l'ordinaria amministrazione.
Si applica in ogni caso al curatore speciale l'art. 384.
Sezione III. -
Dell'esercizio della tutela.
Art. 357.
(Funzioni del tutore).
Il tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni.
Art. 358.
(Doveri del minore).
Il minore deve rispetto e obbedienza al tutore. Egli non può abbandonare la casa o l'istituto al quale è stato destinato, senza il permesso del tutore.
Qualora se ne allontani senza permesso, il tutore ha diritto di richiamarvelo, ricorrendo, se è necessario, al giudice tutelare.
Art. 359.
(Cattiva condotta del minore).
Il tutore che non riesce a frenare la cattiva condotta del minore, salva l'applicazione delle norme contenute nelle leggi speciali, ne riferisce al presidente del tribunale. Questi, sentito il minore e, potendo, il protutore e qualche prossimo parente o affine e assunte informazioni, può ordinare il collocamento del minore in un istituto di correzione.
Contro il decreto del presidente del tribunale è ammesso ricorso al presidente della corte di appello, che provvede sentito il pubblico ministero.
Art. 360.
(Funzioni del protutore).
Il protutore rappresenta il minore nei casi in cui l'interesse di questo è in opposizione con l'interesse del tutore.
Se anche il protutore si trova in opposizione d'interessi col minore, il giudice tutelare nomina un curatore speciale.
Il protutore è tenuto a promuovere la nomina di un nuovo tutore nel caso in cui il tutore è venuto a mancare o ha abbandonato l'ufficio. Frattanto egli ha cura della persona del minore, lo rappresenta e può fare tutti gli atti conservativi e gli atti urgenti di amministrazione.
Art. 361.
(Provvedimenti urgenti).
Prima che il tutore o il protutore abbia assunto le proprie funzioni, spetta al giudice tutelare di dare, sia d'ufficio sia su richiesta del pubblico ministero, di un parente o di un affine del minore, i provvedimenti urgenti che possono occorrere per la cura del minore o per conservare e amministrare il patrimonio. Il giudice può procedere, occorrendo, all'apposizione dei sigilli, nonostante qualsiasi dispensa.
Art. 362.
(Inventario).
Il tutore, nei dieci giorni successivi a quello cui ha avuto legalmente notizia della sua nomina, deve procedere all'inventario dei beni del minore, nonostante qualsiasi dispensa.
L'inventario deve essere compiuto nel termine di trenta giorni, salva al giudice tutelare la facoltà di prorogare il termine se le circostanze lo esigono.
Art. 363.
(Formazione dell'inventario).
L'inventario si fa col ministero del cancelliere della pretura o di un notaio a ciò delegato dal giudice tutelare, con l'intervento del protutore e, se è possibile, anche del minore che abbia compiuto gli anni sedici, e con l'assistenza di due testimoni scelti preferibilmente fra i parenti o gli amici della famiglia.
Il giudice può consentire che l'inventario sia fatto senza ministero di cancelliere o di notaio, se il valore presumibile del patrimonio non eccede quindicimila lire.
L'inventario è depositato presso la pretura.
Nel verbale di deposito il tutore e il protutore ne dichiarano con giuramento la sincerità.
Art. 364.
(Contenuto dell'inventario).
Nell'inventario si indicano gli immobili, i mobili, i crediti e i debiti e si descrivono le carte, note e scritture relative allo stato attivo e passivo del patrimonio, osservando le formalità stabilite nel codice di procedura civile.
Art. 365.
(Inventario di aziende).
Se nel patrimonio del minore esistono aziende commerciali o agricole, si procede con le forme usate nel commercio o nell'economia agraria alla formazione dell'inventario dell'azienda, con l'assistenza e l'intervento delle persone indicate nell'art. 363. Questi particolari inventari sono pure depositati presso la pretura e il loro riepilogo è riportato nell'inventario generale.
Art. 366.
(Beni amministrati da curatore speciale).
Il tutore deve comprendere nell'inventario generale del patrimonio del minore anche i beni, la cui amministrazione è stata deferita a un curatore speciale. Se questi ha formato un inventario particolare di tali beni, deve rimetterne copia al tutore, il quale lo unirà all'inventario generale.
Il curatore deve anche comunicare al tutore copia dei conti periodici della sua amministrazione, salvo che il disponente lo abbia esonerato.
Art. 367.
(Dichiarazione di debiti o crediti del tutore).
Il tutore, che ha debiti, crediti o altre ragioni verso il minore, deve esattamente dichiararli prima della chiusura dell'inventario. Il cancelliere o il notaio hanno l'obbligo di interpellarlo al riguardo.
Nel caso d'inventario senza opera di cancelliere o di notaio, il tutore è interpellato dal giudice tutelare all'atto del deposito.
In ogni caso si fa menzione dell'interpellazione e della dichiarazione del tutore nell'inventario o nel verbale di deposito.
Art. 368.
(Omissione della dichiarazione).
Se il tutore, conoscendo il suo credito o le sue ragioni, espressamente interpellato non li ha dichiarati, decade da ogni suo diritto.
Qualora, sapendo di essere debitore, non abbia dichiarato fedelmente il proprio debito, può essere rimosso dalla tutela.
Art. 369.
(Deposito di titoli e valori).
Il tutore deve depositare il denaro, i titoli di credito al portatore e gli oggetti preziosi esistenti nel patrimonio del minore presso un istituto di credito designato dal giudice tutelare, salvo che questi disponga diversamente per la loro custodia.
Non è tenuto a depositare le somme occorrenti per le spese urgenti di mantenimento e di educazione del minore e per le spese di amministrazione.
Art. 370.
(Amministrazione prima dell'inventario).
Prima che sia compiuto l'inventario, l'amministrazione del tutore deve limitarsi agli affari che non ammettono dilazione.
Art. 371.
(Provvedimenti circa l'educazione e l'amministrazione).
Compiuto l'inventario, il giudice tutelare, su proposta del tutore e sentito il protutore, delibera: 1) sul luogo dove il minore deve essere allevato e sul suo avviamento agli studi o all'esercizio di un'arte, mestiere o professione, sentito lo stesso minore se ha compiuto gli anni dieci, e richiesto, quando è opportuno, l'avviso dei parenti prossimi e del comitato di patronato dei minorenni; 2) sulla spesa annua occorrente per il mantenimento e l'istruzione del minore e per l'amministrazione del patrimonio, fissando i modi d'impiego del reddito eccedente; 3) sulla convenienza di continuare ovvero alienare o liquidare le aziende commerciali, che si trovano nel patrimonio del minore, e sulle relative modalità e cautele.
Nel caso in cui il giudice stimi evidentemente utile per il minore la continuazione dell'esercizio dell'impresa, il tutore deve domandare l'autorizzazione del tribunale. In pendenza della deliberazione del tribunale il giudice tutelare può consentire l'esercizio provvisorio dell'impresa.
Art. 372.
(Investimento di capitali).
I capitali del minore devono, previa autorizzazione del giudice tutelare, essere dal tutore investiti: 1) in titoli dello Stato o garantiti dallo Stato; 2) nell'acquisto di beni immobili posti nel Regno; 3) in mutui garantiti da idonea ipoteca sopra beni posti nel Regno, o in obbligazioni emesse da pubblici istituti autorizzati a esercitare il credito fondiario; 4) in depositi fruttiferi presso le casse postali o presso altre casse di risparmio o monti di credito su pegno. Il giudice, sentito il tutore e il protutore, può autorizzare il deposito presso altri istituti di credito, ovvero, per motivi particolari, un investimento diverso da quelli sopra indicati.
Art. 373.
(Titoli al portatore).
Se nel patrimonio del minore si trovano titoli al portatore, il tutore deve farli convertire in nominativi, salvo che il giudice tutelare disponga che siano depositati in cauta custodia.
Art. 374.
(Autorizzazione del giudice tutelare).
Il tutore non può senza l'autorizzazione del giudice tutelare: 1) acquistare beni, eccettuati i mobili necessari per l'uso del minore, per l'economia domestica e per l'amministrazione del patrimonio; 2) riscuotere capitali, consentire alla cancellazione di ipoteche o allo svincolo di pegni, assumere obbligazioni, salvo che queste riguardino le spese necessarie per il mantenimento del minore e per l'ordinaria amministrazione del suo patrimonio; 3) accettare eredità o rinunciarvi, accettare donazioni o legati soggetti a pesi o a condizioni; 4) fare contratti di locazione d'immobili oltre il novennio o che in ogni caso si prolunghino oltre un anno dopo il raggiungimento della maggiore età; 5) promuovere giudizi, salvo che si tratti di denunzie di nuova opera o di danno temuto, di azioni possessorie o di sfratto e di azioni per riscuotere frutti o per ottenere provvedimenti conservativi.
Art. 375.
(Autorizzazione del tribunale).
Il tutore non può senza l'autorizzazione del tribunale: 1) alienare beni, eccettuati i frutti e i mobili soggetti a facile deterioramento; 2) costituire pegni o ipoteche; 3) procedere a divisioni o promuovere i relativi giudizi; 4) fare compromessi e transazioni o accettare concordati.
L'autorizzazione è data su parere del giudice tutelare.
Art. 376.
(Vendita di beni).
Nell'autorizzare la vendita di beni, il tribunale determina se debba farsi all'incanto o a trattative private, fissandone in ogni caso il prezzo minimo.
Quando nel dare l'autorizzazione il tribunale non ha stabilito il modo di erogazione o di reimpiego del prezzo, lo stabilisce il giudice tutelare.
Art. 377.
(Atti compiuti senza l'osservanza delle norme dei precedenti articoli).
Gli atti compiuti senza osservare le norme dei precedenti articoli possono essere annullati su istanza del tutore o del minore o dei suoi eredi o aventi causa.
Art. 378.
(Atti vietati al tutore e al protutore).
Il tutore e il protutore non possono, neppure all'asta pubblica, rendersi acquirenti direttamente o per interposta persona dei beni e dei diritti del minore.
Non possono prendere in locazione i beni del minore senza l'autorizzazione e le cautele fissate dal giudice tutelare.
Gli atti compiuti in violazione di questi divieti possono essere annullati su istanza delle persone indicate nell'articolo precedente, ad eccezione del tutore e del protutore che li hanno compiuti.
Il tutore e il protutore non possono neppure diventare cessionari di alcuna ragione o credito verso il minore.
Art. 379.
(Gratuità della tutela).
L'ufficio tutelare è gratuito.
Il giudice tutelare tuttavia, considerando l'entità del patrimonio e le difficoltà dell'amministrazione, può assegnare al tutore un'equa indennità. Può altresì, se particolari circostanze lo richiedono, sentito il protutore, autorizzare il tutore a farsi coadiuvare nell'amministrazione, sotto la sua personale responsabilità, da una o più persone stipendiate.
Art. 380.
(Contabilità dell'amministrazione).
Il tutore deve tenere regolare contabilità della sua amministrazione e renderne conto ogni anno al giudice tutelare.
Il giudice può sottoporre il conto annuale all'esame del protutore e di qualche prossimo parente o affine del minore.
Art. 381.
(Cauzione).
Il giudice tutelare, tenuto conto della particolare natura ed entità del patrimonio, può imporre al tutore di prestare una cauzione, determinandone l'ammontare e le modalità.
Egli può anche liberare il tutore in tutto o in parte dalla cauzione che avesse prestata.
Art. 382.
(Responsabilità del tutore e del protutore).
Il tutore deve amministrare il patrimonio del minore con la diligenza del buon padre di famiglia. Egli risponde verso il minore di ogni danno a lui cagionato violando i propri doveri.
Nella stessa responsabilità incorre il protutore per ciò che riguarda i doveri del proprio ufficio.
Sezione IV. -
Della cessazione del tutore dall'ufficio.
Art. 383.
(Esonero dall'ufficio).
Il giudice tutelare può sempre esonerare il tutore dall'ufficio, qualora l'esercizio di esso sia al tutore soverchiamente gravoso e vi sia altra persona atta a sostituirlo.
Art. 384.
(Rimozione e sospensione del tutore).
Il giudice tutelare può rimuovere dall'ufficio il tutore che si sia reso colpevole di negligenza o abbia abusato dei suoi poteri, o si sia dimostrato inetto nell'adempimento di essi, o sia divenuto immeritevole dell'ufficio per atti anche estranei alla tutela, ovvero sia divenuto insolvente.
Il giudice non può rimuovere il tutore se non dopo averlo sentito o citato; può tuttavia sospenderlo dall'esercizio della tutela nei casi che non ammettono dilazione.
Sezione V. -
Del rendimento del conto finale.
Art. 385.
(Conto finale).
Il tutore che cessa dalle funzioni deve fare subito la consegna dei beni e deve presentare nel termine di due mesi il conto finale dell'amministrazione al giudice tutelare. Questi può concedere una proroga.
Art. 386.
(Approvazione del conto).
Il giudice tutelare invita il protutore, il minore divenuto maggiore o emancipato, ovvero, secondo le circostanze, il nuovo rappresentante legale a esaminare il conto e a presentare le loro osservazioni.
Se non vi sono osservazioni, il giudice che non trova nel conto irregolarità o lacune lo approva; in caso contrario nega l'approvazione.
Qualora il conto non sia stato presentato o sia impugnata la decisione del giudice tutelare, provvede l'autorità giudiziaria nel contraddittorio degli interessati.
Art. 387.
(Prescrizione delle azioni relative alla tutela).
Le azioni del minore contro il tutore e quelle del tutore contro il minore relative alla tutela si prescrivono in cinque anni dal compimento della maggiore età o dalla morte del minore. Se il tutore ha cessato dall'ufficio e ha presentato il conto prima della maggiore età o della morte del minore, il termine decorre dalla data del provvedimento col quale il giudice tutelare pronunzia sul conto stesso.
Le disposizioni di quest'articolo non si applicano all'azione per il pagamento del residuo che risulta dal conto definitivo.
Art. 388.
(Divieto di convenzioni prima dell'approvazione del conto).
Nessuna convenzione tra il tutore e il minore divenuto maggiore può aver luogo prima dell'approvazione del conto della tutela.
La convenzione può essere annullata su istanza del minore o dei suoi eredi o aventi causa.
Art. 389.
(Registro delle tutele).
Nel registro delle tutele, istituito presso ogni giudice tutelare, sono iscritti a cura del cancelliere l'apertura e la chiusura della tutela, la nomina, l'esonero e la rimozione del tutore e del protutore, le risultanze degli inventari e dei rendiconti e tutti i provvedimenti che portano modificazione nello stato personale o patrimoniale del minore.
Dell'apertura e della chiusura della tutela il cancelliere dà comunicazione entro dieci giorni all'ufficiale dello stato civile per l'annotazione in margine all'atto di nascita del minore.
Capo II.
Dell'emancipazione.
Art. 390.
(Emancipazione di diritto).
Il minore è di diritto emancipato col matrimonio.
Art. 391.
(Emancipazione con provvedimento del giudice tutelare).
Il minore che ha compiuto gli anni diciotto può essere emancipato dal giudice tutelare su istanza del genitore esercente la patria potestà o del tutore.
L'emancipazione può essere accordata dal giudice tutelare su istanza dello stesso minore, sentiti i genitori o il tutore. Il giudice tutelare non può accordare l'emancipazione senza il consenso del genitore esercente la patria potestà, salvo che concorrano gravissime ragioni.
Art. 392.
(Curatore dell'emancipato).
Il giudice tutelare nomina un curatore al minore emancipato.
Se il minore ha genitori, è curatore il genitore al quale spetterebbe l'esercizio della patria potestà se il minore non fosse emancipato.
Se minore è la donna maritata, essa ha per curatore il marito ovvero il curatore o il tutore del marito.
Se è vedova ovvero legalmente separata, ha per curatore il padre o la madre; in loro mancanza, il giudice tutelare le nomina un curatore. La stessa disposizione si applica nel caso di separazione di beni.
Art. 393.
(Incapacità o rimozione del curatore).
Sono applicabili al curatore le disposizioni degli articoli 348, ultimo comma, 350 e 384.
Art. 394.
(Capacità dell'emancipato).
L'emancipazione conferisce al minore la capacità di compiere gli atti che non eccedono l'ordinaria amministrazione.
Il minore emancipato può con l'assistenza del curatore riscuotere i capitali sotto la condizione di un idoneo impiego e può stare in giudizio sia come attore sia come convenuto.
Per gli altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, oltre il consenso del curatore, è necessaria l'autorizzazione del giudice tutelare. Per gli atti indicati nell'art. 375 l'autorizzazione, se curatore non è il genitore, deve essere data dal tribunale su parere del giudice tutelare.
Qualora nasca conflitto di interessi fra il minore e il curatore, è nominato un curatore speciale a norma dell'ultimo comma dell'art. 320.
Art. 395.
(Rifiuto del consenso da parte del curatore).
Nel caso in cui il curatore rifiuta il suo consenso, il minore può ricorrere al giudice tutelare, il quale, se stima ingiustificato il rifiuto, nomina un curatore speciale per assistere il minore nel compimento dell'atto, salva, se occorre, l'autorizzazione del tribunale.
Art. 396.
(Inosservanza delle precedenti norme).
Gli atti compiuti senza osservare le norme stabilite nell'art. 394 possono essere annullati su istanza del minore o dei suoi eredi o aventi causa.
Sono applicabili al curatore le disposizioni dell'art. 378.
Art. 397.
(Emancipato autorizzato all'esercizio di un'impresa commerciale).
Il minore emancipato può esercitare un'impresa commerciale senza l'assistenza del curatore, se è autorizzato dal tribunale, previo parere del giudice tutelare e sentito il curatore.
L'autorizzazione può essere revocata dal tribunale su istanza del curatore o d'ufficio, previo, in entrambi i casi, il parere del giudice tutelare e sentito il minore emancipato.
Il minore emancipato, che è autorizzato all'esercizio di un'impresa commerciale, può compiere da solo gli atti che eccedono l'ordinaria amministrazione, anche se estranei all'esercizio dell'impresa.
Art. 398.
(Revoca dell'emancipazione).
Quando gli atti del minore ne dimostrano l'incapacità ad amministrare, l'emancipazione accordata per l'art. 391 può essere revocata dal giudice tutelare su istanza di chi richiese l'emancipazione o anche d'ufficio, sentito il minore.
Revocata l'emancipazione, il minore rientra sotto la patria potestà o la tutela e vi rimane sino all'età maggiore.
Art. 399.
(Pubblicità).
I provvedimenti con i quali è concessa o revocata l'emancipazione devono essere iscritti, a cura del cancelliere, in apposito registro e comunicati entro dieci giorni all'ufficiale dello stato civile perchè li annoti in margine all'atto di nascita dell'emancipato.
La pubblicità dei provvedimenti relativi all'autorizzazione dell'esercizio dell'impresa commerciale o alla revoca dell'autorizzazione è regolata dal libro V.
Titolo XI.
Dei minori affidati alla pubblica o alla privata assistenza e dell'affiliazione
Art. 400.
(Norme regolatrici dell'assistenza dei minori).
L'assistenza dei minori è regolata, oltre che dalle leggi speciali, dalle norme del presente titolo.
Art. 401.
(Limiti di applicazione delle norme).
Le disposizioni del presente titolo si applicano ai minori che non hanno compiuto gli anni diciotto e che sono figli dei quali non si conoscono i genitori, ovvero figli naturali riconosciuti dalla sola madre che si trova nell'impossibilità di provvedere al loro allevamento.
Le stesse disposizioni si applicano ai minori ricoverati in un istituto di pubblica assistenza o assistiti da questo per il mantenimento, l'educazione o la rieducazione, ovvero in istato di abbandono materiale o morale.
Art. 402.
(Poteri tutelari spettanti agli istituti di assistenza).
L'istituto di pubblica assistenza esercita i poteri tutelari sul minore ricoverato o assistito, secondo le norme del titolo X, capo I di questo libro, fino a quando non si provveda alla nomina di un tutore, e in tutti i casi nei quali l'esercizio della patria potestà o della tutela sia impedito. Resta salva la facoltà del giudice tutelare di deferire la tutela all'ente di assistenza o all'ospizio, ovvero di nominare un tutore a norma dell'art. 354.
Nel caso in cui il genitore riprenda l'esercizio della patria potestà, l'istituto deve chiedere al giudice tutelare di fissare eventualmente limiti o condizioni a tale esercizio.
Art. 403.
(Intervento della pubblica autorità a favore dei minori).
Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere alla educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione.
Art. 404.
(Affidamento dei minori. Istanza di affiliazione. Divieto per diversità di razza).
L'istituto di pubblica assistenza, a norma delle leggi speciali, può affidare il minore ricoverato a persona di fiducia. Questa, decorsi tre anni dall'affidamento, può chiedere al giudice tutelare del luogo di sua residenza di affiliarsi il minore.
Eguale facoltà spetta alla persona che ha provveduto all'allevamento del minore senza che le sia stato affidato dall'istituto, sempre che siano decorsi tre anni dall'inizio dell'allevamento.
L'affiliazione non può essere domandata da persona di razza non ariana, salvo che il minore appartenga pure a razza non ariana.
Art. 405.
(Assenso del coniuge per l'affiliazione).
Se il richiedente è coniugato, è necessario l'assenso del coniuge.
Se il coniuge è nell'impossibilità di manifestare la sua volontà, ovvero se, essendovi separazione legale, rifiuta l'assenso, il giudice tutelare può per gravi motivi autorizzare l'affiliazione anche in mancanza dell'assenso.
Art. 406.
(Procedimento per la dichiarazione di affiliazione).
Il giudice tutelare, prima di provvedere sulla domanda di affiliazione, raccoglie accurate informazioni sulle condizioni economiche, morali e familiari del richiedente, sul trattamento da esso fatto al minore, sulle condizioni fisiche, morali e intellettuali di questo. Deve inoltre sentire l'istituto presso il quale il minore fu ricoverato o dal quale fu assistito, i prossimi parenti del medesimo e il minore stesso, se è in grado di esprimere il suo avviso.
Il giudice tutelare può prescrivere norme per l'allevamento e l'educazione del minore.
Il provvedimento che accoglie la domanda di affiliazione deve essere omologato dal tribunale, sentito il pubblico ministero, e deve essere annotato in margine all'atto di nascita del minore. Nell'ipotesi prevista dal secondo comma dell'art. 405 il tribunale, prima di provvedere, deve sentire il coniuge; se ciò non è possibile, può sentire i parenti prossimi.
Art. 407.
(Divieto di affiliazione).
Non può essere accolta l'istanza di affiliazione di chi si trova nelle condizioni di incapacità tutelare previste dall'art. 350.
Art. 408.
(Attribuzione di cognome all'affiliato).
Il provvedimento che accoglie la domanda attribuisce al minore il cognome dell'affiliante, qualora questi ne abbia fatta richiesta.
Se si tratta di un figlio legittimo o di un figlio naturale riconosciuto, il cognome dell'affiliante può soltanto essere aggiunto a quello del minore.
Art. 409.
(Effetti dell'affiliazione).
L'affiliazione attribuisce all'affiliante i poteri inerenti alla patria potestà.
L'affiliante deve mantenere l'affiliato; deve educarlo e istruirlo conformemente a quanto è prescritto nell'art. 147. Sono applicabili le disposizioni degli articoli 301, quarto comma, e 302.
Il coniuge dell'affiliante può ottenere, nelle forme già indicate, che la qualità di affiliante sia attribuita anche a lui.
Se il minore è stato affiliato da due coniugi, l'esercizio dei poteri inerenti alla patria potestà spetta al marito.
Art. 410.
(Revoca dell'affiliazione).
L'affiliazione può essere revocata dal giudice tutelare: 1) su richiesta dell'affiliante per traviamento del minore; 2) su richiesta dell'affiliante per sopravvenuta impossibilità di continuare a provvedere all'allevamento del minore; 3) su richiesta dell'istituto di pubblica assistenza che ha ricoverato o assistito il minore, o, nel caso previsto dal secondo comma dell'art. 404, su richiesta del pubblico ministero, quando ricorrono gravi motivi; 4) su richiesta dell'affiliato divenuto maggiore, quando ricorrono gravi motivi.
Art. 411.
(Estinzione dell'affiliazione).
Il giudice tutelare, su richiesta degli interessati o anche d'ufficio, dichiara estinta l'affiliazione quando il genitore dell'affiliato, decaduto dalla patria potestà o impedito di esercitarla, è reintegrato nell'esercizio della potestà medesima.
Nel caso di legittimazione o di riconoscimento del minore, il giudice tutelare delibera se sia nell'interesse del minore continuare l'affiliazione, ovvero se sia da conferire al genitore l'esercizio della patria potestà. In quest'ultimo caso dichiara estinta l'affiliazione. Se l'affiliazione continua, l'affiliato, a cui è stato attribuito il cognome dell'affiliante, non assume il cognome del genitore.
Il giudice tutelare può prescrivere in ogni caso regole o condizioni per l'ulteriore educazione del minore.
Art. 412.
(Procedimento per la revoca e l'estinzione).
Il giudice tutelare, prima di emettere il provvedimento di revoca o di estinzione, deve sentire le persone tra cui il vincolo di affiliazione è stato costituito e il rappresentante dell'istituto che ha prestato ricovero o assistenza al minore.
Il provvedimento di revoca o di estinzione è soggetto all'omologazione e all'annotazione previste nel terzo comma dell'art. 406.
Art. 413.
(Estinzione dell'affiliazione per matrimonio).
Il matrimonio tra persone legate da vincolo di affiliazione estingue di diritto l'affiliazione.
Titolo XII.
Dell'infermità di mente, dell'interdizione e dell'inabilitazione
Art. 414.
(Persone che devono essere interdette).
Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, devono essere interdetti.
Art. 415.
(Persone che possono essere inabilitate).
Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da far luogo all'interdizione, può essere inabilitato.
Possono anche essere inabilitati coloro che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcooliche o di stupefacenti, espongono sè o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici.
Possono infine essere inabilitati il sordomuto e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto un'educazione sufficiente, salva l'applicazione dell'art. 414 quando risulta che essi sono del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi.
Art. 416.
(Interdizione e inabilitazione nell'ultimo anno di minore età).
Il minore non emancipato può essere interdetto o inabilitato nell'ultimo anno della sua minore età. L'interdizione o l'inabilitazione ha effetto dal giorno in cui il minore raggiunge l'età maggiore.
Art. 417.
(Istanza d'interdizione o d'inabilitazione).
L'interdizione e l'inabilitazione possono essere promosse dal coniuge, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dal tutore o curatore ovvero dal pubblico ministero.
Se l'interdicendo o l'inabilitando si trova sotto la patria potestà o ha per curatore uno dei genitori, l'interdizione o l'inabilitazione non può essere promossa che su istanza del genitore medesimo o del pubblico ministero.
Art. 418.
(Poteri dell'autorità giudiziaria).
Promosso il giudizio d'interdizione, può essere dichiarata anche d'ufficio l'inabilitazione per infermità di mente.
Se nel corso del giudizio d'inabilitazione si rivela l'esistenza delle condizioni richieste per l'interdizione, il pubblico ministero fa istanza al tribunale di pronunziare l'interdizione, e il tribunale provvede nello stesso giudizio, premessa l'istruttoria necessaria.
Art. 419.
(Mezzi istruttori e provvedimenti provvisori).
Non si può pronunziare l'interdizione o l'inabilitazione senza che si sia proceduto all'esame dell'interdicendo o dell'inabilitando.
Il giudice può in questo esame farsi assistere da un consulente tecnico. Può anche d'ufficio disporre i mezzi istruttori utili ai fini del giudizio, interrogare i parenti prossimi dell'interdicendo o inabilitando e assumere le necessarie informazioni.
Dopo l'esame, qualora sia ritenuto opportuno, può essere nominato un tutore provvisorio all'interdicendo o un curatore provvisorio all'inabilitando.
Art. 420.
(Internamento definitivo in manicomio).
La nomina del tutore provvisorio può essere altresì disposta dal tribunale con lo stesso provvedimento col quale autorizza in via definitiva la custodia di una persona inferma di mente in un manicomio o in un altro istituto di cura o in una casa privata. In tal caso, se l'istanza d'interdizione non è stata proposta dalle altre persone indicate nell'art. 417, è proposta dal pubblico ministero.
Art. 421.
(Decorrenza degli effetti dell'interdizione e dell'inabilitazione).
L'interdizione e l'inabilitazione producono i loro effetti dal giorno della pubblicazione della sentenza, salvo il caso previsto dall'art. 416.
Art. 422.
(Cessazione del tutore e del curatore provvisorio).
Nella sentenza che rigetta l'istanza d'interdizione o d'inabilitazione, può disporsi che il tutore o il curatore provvisorio rimanga in ufficio fino a che la sentenza non sia passata in giudicato.
Art. 423.
(Pubblicità).
Il decreto di nomina del tutore o del curatore provvisorio e la sentenza d'interdizione o d'inabilitazione devono essere immediatamente annotati a cura del cancelliere nell'apposito registro e comunicati entro dieci giorni all'ufficiale dello stato civile per le annotazioni in margine all'atto di nascita.
Art. 424.
(Tutela dell'interdetto e curatela dell'inabilitato).
Le disposizioni sulla tutela dei minori e quelle sulla curatela dei minori emancipati si applicano rispettivamente alla tutela degli interdetti e alla curatela degli inabilitati.
Le stesse disposizioni si applicano rispettivamente anche nei casi di nomina del tutore provvisorio dell'interdicendo e del curatore provvisorio dell'inabilitando a norma dell'art. 419. Per l'interdicendo non si nomina il protutore provvisorio.
Nella scelta del tutore dell'interdetto e del curatore dell'inabilitato il giudice tutelare deve preferire il coniuge maggiore di età che non sia separato legalmente, il padre, la madre, un figlio maggiore di età o la persona eventualmente designata dal genitore superstite con testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata.
Art. 425.
(Esercizio dell'impresa commerciale da parte dell'inabilitato).
L'inabilitato può continuare l'esercizio dell'impresa commerciale soltanto se autorizzato dal tribunale su parere del giudice tutelare. L'autorizzazione può essere subordinata alla nomina di un institore.
Art. 426.
(Durata dell'ufficio).
Nessuno è tenuto a continuare nella tutela dell'interdetto o nella curatela dell'inabilitato oltre dieci anni, ad eccezione del coniuge, degli ascendenti o dei discendenti.
Art. 427.
(Atti compiuti dall'interdetto e dall'inabilitato).
Gli atti compiuti dall'interdetto dopo la sentenza di interdizione possono essere annullati su istanza del tutore, dell'interdetto o dei suoi eredi o aventi causa. Sono del pari annullabili gli atti compiuti dall'interdetto dopo la nomina del tutore provvisorio, qualora alla nomina segua la sentenza d'interdizione.
Possono essere annullati su istanza dell'inabilitato o dei suoi eredi o aventi causa gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione fatti dall'inabilitato, senza l'osservanza delle prescritte formalità, dopo la sentenza di inabilitazione o dopo la nomina del curatore provvisorio, qualora alla nomina sia seguita l'inabilitazione.
Per gli atti compiuti dall'interdetto prima della sentenza d'interdizione o prima della nomina del tutore provvisorio si applicano le disposizioni dell'articolo seguente.
Art. 428.
(Atti compiuti da persona incapace d'intendere o di volere).
Gli atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace d'intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all'autore.
L'annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d'intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede dell'altro contraente.
L'azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui l'atto o il contratto è stato compiuto.
Resta salva ogni diversa disposizione di legge.
Art. 429.
(Revoca dell'interdizione e dell'inabilitazione).
Quando cessa la causa dell'interdizione o dell'inabilitazione, queste possono essere revocate su istanza del coniuge, dei parenti entro il quarto grado o degli affini entro il secondo grado, del tutore dell'interdetto, del curatore dell'inabilitato o su istanza del pubblico ministero.
Il giudice tutelare deve vigilare per riconoscere se la causa dell'interdizione o dell'inabilitazione continui. Se ritiene che sia venuta meno, deve informarne il pubblico ministero.
Art. 430.
(Pubblicità).
Alla sentenza di revoca dell'interdizione o dell'inabilitazione si applica l'art. 423.
Art. 431.
(Decorrenza degli effetti della sentenza di revoca).
La sentenza che revoca l'interdizione o l'inabilitazione produce i suoi effetti appena passata in giudicato.
Tuttavia gli atti compiuti dopo la pubblicazione della sentenza di revoca non possono essere impugnati se non quando la revoca è esclusa con sentenza passata in giudicato.
Art. 432.
(Inabilitazione nel giudizio di revoca dell'interdizione).
L'autorità giudiziaria che, pur riconoscendo fondata l'istanza di revoca dell'interdizione, non crede che l'infermo abbia riacquistato la piena capacità, può revocare l'interdizione e dichiarare inabilitato l'infermo medesimo.
Si applica anche in questo caso il primo comma dell'articolo precedente.
Gli atti non eccedenti l'ordinaria amministrazione, compiuti dall'inabilitato dopo la pubblicazione della sentenza che revoca l'interdizione, possono essere impugnati solo quando la revoca è esclusa con sentenza passata in giudicato.
Titolo XIII.
Degli alimenti
Art. 433.
(Persone obbligate).
All'obbligo di prestare gli alimenti sono tenuti, nell'ordine seguente: 1) il coniuge; 2) i figli legittimi o legittimati e, in loro mancanza, i discendenti prossimi; 3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi; 4) i generi e le nuore; 5) il suocero e la suocera; 6) i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.
Art. 434.
(Cessazione dell'obbligo tra affini).
L'obbligazione alimentare del suocero e della suocera e quella del genero e della nuora cessano: 1) quando la persona che ha diritto agli alimenti è passata a nuove nozze; 2) quando il coniuge, da cui deriva l'affinità, e i figli nati dalla sua unione con l'altro coniuge e i loro discendenti sono morti.
Art. 435.
(Obbligo dei genitori e dei figli naturali).
Il figlio naturale deve gli alimenti al genitore. Il suo obbligo ha grado dopo quello dei genitori e degli ascendenti legittimi dell'alimentando.
Il genitore deve gli alimenti al figlio naturale e ai discendenti legittimi di questo. Il suo obbligo ha grado dopo quello dei figli naturali dell'alimentando.
Il genitore deve altresì gli alimenti strettamente necessari ai figli naturali del proprio figlio legittimo o naturale. Il suo obbligo ha grado dopo quello del suocero e della suocera dell'alimentando.
Art. 436.
(Obbligo tra adottante e adottato).
L'adottante deve gli alimenti al figlio adottivo con precedenza sui genitori legittimi o naturali di lui.
Il figlio adottivo deve gli alimenti all'adottante in concorso con i figli legittimi.
Art. 437.
(Obbligo del donatario).
Il donatario è tenuto, con precedenza su ogni altro obbligato, a prestare gli alimenti al donante, a meno che si tratti di donazione fatta in riguardo di un matrimonio o di una donazione rimuneratoria.
Art. 438.
(Misura degli alimenti).
Gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in istato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento.
Essi devono essere assegnati in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli. Non devono tuttavia superare quanto sia necessario per la vita dell'alimentando, avuto però riguardo alla sua posizione sociale.
Il donatario non è tenuto oltre il valore della donazione tuttora esistente nel suo patrimonio.
Art. 439.
(Misura degli alimenti tra fratelli e sorelle).
Tra fratelli e sorelle gli alimenti sono dovuti nella misura dello stretto necessario.
Possono comprendere anche le spese per l'educazione e l'istruzione, se si tratta di persona minore dei diciotto anni.
Art. 440.
(Cessazione, riduzione e aumento).
Se dopo l'assegnazione degli alimenti mutano le condizioni economiche di chi li somministra o di chi li riceve, l'autorità giudiziaria provvede per la cessazione, la riduzione o l'aumento, secondo le circostanze. Gli alimenti possono pure essere ridotti per la condotta disordinata o riprovevole dell'alimentato.
Se, dopo assegnati gli alimenti, consta che uno degli obbligati di grado anteriore è in condizione di poterli somministrare, l'autorità giudiziaria non può liberare l'obbligato di grado posteriore se non quando abbia imposto all'obbligato di grado anteriore di somministrare gli alimenti.
Art. 441.
(Concorso di obbligati).
Se più persone sono obbligate nello stesso grado alla prestazione degli alimenti, tutte devono concorrere alla prestazione stessa, ciascuna in proporzione delle proprie condizioni economiche.
Se le persone chiamate in grado anteriore alla prestazione non sono in condizioni di sopportare l'onere in tutto o in parte, l'obbligazione stessa è posta in tutto o in parte a carico delle persone chiamate in grado posteriore.
Se gli obbligati non sono concordi sulla misura, sulla distribuzione e sul modo di somministrazione degli alimenti, provvede l'autorità giudiziaria secondo le circostanze.
Art. 442.
(Concorso di aventi diritto).
Quando più persone hanno diritto agli alimenti nei confronti di un medesimo obbligato, e questi non è in grado di provvedere ai bisogni di ciascuna di esse, l'autorità giudiziaria dà i provvedimenti opportuni, tenendo conto della prossimità della parentela e dei rispettivi bisogni, e anche della possibilità che taluno degli aventi diritto abbia di conseguire gli alimenti da obbligati di grado ulteriore.
Art. 443.
(Modo di somministrazione degli alimenti).
Chi deve somministrare gli alimenti ha la scelta di adempiere questa obbligazione o mediante un assegno alimentare corrisposto in periodi anticipati, o accogliendo e mantenendo nella propria casa colui che vi ha diritto.
L'autorità giudiziaria può però, secondo le circostanze, determinare il modo di somministrazione.
In caso di urgente necessità l'autorità giudiziaria può altresì porre temporaneamente l'obbligazione degli alimenti a carico di uno solo tra quelli che vi sono obbligati, salvo il regresso verso gli altri.
Art. 444.
(Adempimento della prestazione alimentare).
L'assegno alimentare prestato secondo le modalità stabilite non può essere nuovamente richiesto, qualunque uso l'alimentando ne abbia fatto.
Art. 445.
(Decorrenza degli alimenti).
Gli alimenti sono dovuti dal giorno della domanda giudiziale o dal giorno della costituzione in mora dell'obbligato, quando questa costituzione sia entro sei mesi seguita dalla domanda giudiziale.
Art. 446.
(Assegno provvisorio).
Finchè non sono determinati definitivamente il modo e la misura degli alimenti, il pretore o il presidente del tribunale può, sentita l'altra parte, ordinare un assegno in via provvisoria ponendolo, nel caso di concorso di più obbligati, a carico anche di uno solo di essi, salvo il regresso verso gli altri.
Art. 447.
(Inammissibilità di cessione e di compensazione).
Il credito alimentare non può essere ceduto.
L'obbligato agli alimenti non può opporre all'altra parte la compensazione, neppure quando si tratta di prestazioni arretrate.
Art. 448.
(Cessazione per morte dell'obbligato).
L'obbligo degli alimenti cessa con la morte dell'obbligato, anche se questi li ha somministrati in esecuzione di sentenza.
Titolo XIV.
Degli atti dello stato civile
Art. 449.
(Registri dello stato civile).
I registri dello stato civile sono tenuti in ogni comune in conformità delle norme contenute nella legge sull'ordinamento dello stato civile.
Art. 450.
(Pubblicità dei registri dello stato civile).
I registri dello stato civile sono pubblici.
Gli ufficiali dello stato civile devono rilasciare gli estratti e i certificati che vengono loro domandati con le indicazioni dalla legge prescritte.
Essi devono altresì compiere negli atti affidati alla loro custodia le indagini domandate dai privati.
Art. 451.
(Forza probatoria degli atti).
Gli atti dello stato civile fanno prova, fino a querela di falso, di ciò che l'ufficiale pubblico attesta essere avvenuto alla sua presenza o da lui compiuto.
Le dichiarazioni dei comparenti fanno fede fino a prova contraria.
Le indicazioni estranee all'atto non hanno alcun valore.
Art. 452.
(Mancanza distruzione o smarrimento di registri).
Se non si sono tenuti i registri o sono andati distrutti o smarriti o se, per qualunque altra causa, manca in tutto o in parte la registrazione dell'atto, la prova della nascita o della morte può essere data con ogni mezzo.
In caso di mancanza, di distruzione totale o parziale, di alterazione o di occultamento accaduti per dolo del richiedente, questi non è ammesso alla prova consentita nel comma precedente.
Art. 453.
(Annotazioni).
Nessuna annotazione può essere fatta sopra un atto già iscritto nei registri se non è disposta per legge ovvero non è ordinata dall'autorità giudiziaria.
Art. 454.
(Rettificazioni).
La rettificazione degli atti dello stato civile si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato, con la quale si ordina all'ufficiale dello stato civile di rettificare un atto esistente nei registri o di ricevere un atto omesso o di rinnovare un atto smarrito o distrutto.
Le sentenze devono essere trascritte nei registri.
Art. 455.
(Efficacia della sentenza di rettificazione).
La sentenza di rettificazione non può essere opposta a quelli che non concorsero a domandare la rettificazione, ovvero non furono parti in giudizio o non vi furono regolarmente chiamati.
Libro secondo
Delle successioni
Titolo I.
Disposizioni generali sulle successioni
Capo I.
Dell'apertura della successione, della delazione e dell'acquisto dell'eredità.
Art. 456.
(Apertura della successione).
La successione si apre al momento della morte, nel luogo dell'ultimo domicilio del defunto.
Art. 457.
(Delazione dell'eredità).
L'eredità si devolve per legge o per testamento.
Non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria.
Le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari.
Art. 458.
(Divieto di patti successori).
E` nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. E` del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi.
Art. 459.
(Acquisto dell'eredità).
L'eredità si acquista con l'accettazione. L'effetto dell'accettazione risale al momento nel quale si è aperta la successione.
Art. 460.
(Poteri del chiamato prima dell'accettazione).
Il chiamato all'eredità può esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, senza bisogno di materiale apprensione.
Egli inoltre può compiere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea, e può farsi autorizzare dall'autorità giudiziaria a vendere i beni che non si possono conservare o la cui conservazione importa grave dispendio.
Non può il chiamato compiere gli atti indicati nei commi precedenti, quando si è provveduto alla nomina di un curatore dell'eredità a norma dell'art. 528.
Art. 461.
(Rimborso delle spese sostenute dal chiamato).
Se il chiamato rinunzia all'eredità, le spese sostenute per gli atti indicati dall'articolo precedente sono a carico dell'eredità.
Capo II.
Della capacità di succedere.
Art. 462.
(Capacità delle persone fisiche).
Sono capaci di succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell'apertura della successione.
Salvo prova contraria, si presume concepito al tempo dell'apertura della successione chi è nato entro i trecento giorni dalla morte della persona della cui successione si tratta.
Possono inoltre ricevere per testamento i figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benchè non ancora concepiti.
Capo III.
Dell'indegnità.
Art. 463.
(Casi d'indegnità).
E` escluso dalla successione come indegno: 1) chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta, o il coniuge, o un discendente, o un ascendente della medesima, purchè non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a norma della legge penale; 2) chi ha commesso, in danno di una di tali persone, un fatto al quale la legge penale dichiara applicabili le disposizioni sull'omicidio; 3) chi ha denunziato una di tali persone per reato punibile con la morte, con l'ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, se la denunzia è stata dichiarata calunniosa in giudizio penale; ovvero ha testimoniato contro le persone medesime imputate dei predetti reati, se la testimonianza è stata dichiarata, nei confronti di lui, falsa in giudizio penale; 4) chi ha indotto con dolo o violenza la persona, della cui successione si tratta, a fare, revocare o mutare il testamento, o ne l'ha impedita; 5) chi ha soppresso, celato o alterato il testamento dal quale la successione sarebbe stata regolata; 6) chi ha formato un testamento falso o ne ha fatto scientemente uso.
Art. 464.
(Restituzione dei frutti).
L'indegno è obbligato a restituire i frutti che gli sono pervenuti dopo l'apertura della successione.
Art. 465.
(Indegnità del genitore).
Colui che è escluso per indegnità dalla successione non ha sui beni della medesima, che siano devoluti ai suoi figli, i diritti di usufrutto o di amministrazione che la legge accorda ai genitori.
Art. 466.
(Riabilitazione dell'indegno).
Chi è incorso nell'indegnità è ammesso a succedere quando la persona, della cui successione si tratta, ve lo ha espressamente abilitato con atto pubblico o con testamento.
Tuttavia l'indegno non espressamente abilitato, se è stato contemplato nel testamento quando il testatore conosceva la causa dell'indegnità, è ammesso a succedere nei limiti della disposizione testamentaria.
Capo IV.
Della rappresentazione.
Art. 467.
(Nozione).
La rappresentazione fa subentrare i discendenti legittimi nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non può o non vuole accettare l'eredità o il legato.
Si ha rappresentazione nella successione testamentaria quando il testatore non ha provveduto per il caso in cui l'istituto non possa o non voglia accettare la eredità o il legato, e sempre che non si tratti di legato di usufrutto o di altro diritto di natura personale.
Art. 468.
(Soggetti).
La rappresentazione ha luogo, nella linea retta, a favore dei discendenti dei figli legittimi, legittimati e adottivi, nonchè dei discendenti dei figli naturali del defunto, e, nella linea collaterale, a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto.
I discendenti possono succedere per rappresentazione anche se hanno rinunziato all'eredità della persona in luogo della quale subentrano, o sono incapaci o indegni di succedere rispetto a questa.
Art. 469.
(Estensione del diritto di rappresentazione. Divisione).
La rappresentazione ha luogo in infinito, siano uguali o disuguali il grado dei discendenti e il loro numero in ciascuna stirpe.
La rappresentazione ha luogo anche nel caso di unicità di stirpe.
Quando vi è rappresentazione, la divisione si fa per stirpi.
Se uno stipite ha prodotto più rami, la suddivisione avviene per stirpi anche in ciascun ramo, e per capi tra i membri del medesimo ramo.
Capo V.
Dell'accettazione dell'eredità.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 470.
(Accettazione pura e semplice e accettazione col beneficio d'inventario).
L'eredità può essere accettata puramente e semplicemente o col beneficio d'inventario.
L'accettazione col beneficio d'inventario può farsi nonostante qualunque divieto del testatore.
Art. 471.
(Eredità devolute a minori o interdetti).
Non si possono accettare le eredità devolute ai minori e agli interdetti, se non col beneficio d'inventario, osservate le disposizioni degli articoli 321 e 374.
Art. 472.
(Eredità devolute a minori emancipati o a inabilitati).
I minori emancipati e gli inabilitati non possono accettare le eredità, se non col beneficio d'inventario, osservate le disposizioni dell'art. 394.
Art. 473.
(Eredità devolute a persone giuridiche).
L'accettazione delle eredità devolute alle persone giuridiche non può farsi che col beneficio d'inventario, osservate le disposizioni della legge circa l'autorizzazione governativa.
Questo articolo non si applica alle società.
Art. 474.
(Modi di accettazione).
L'accettazione può essere espressa o tacita.
Art. 475.
(Accettazione espressa).
L'accettazione è espressa quando, in un atto pubblico o in una scrittura privata, il chiamato all'eredità ha dichiarato di accettarla oppure ha assunto il titolo di erede.
E` nulla la dichiarazione di accettare sotto condizione o a termine.
Parimenti è nulla la dichiarazione di accettazione parziale di eredità.
Art. 476.
(Accettazione tacita).
L'accettazione è tacita quando il chiamato all'eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede.
Art. 477.
(Donazione, vendita e cessione dei diritti di successione).
La donazione, la vendita o la cessione, che il chiamato all'eredità faccia dei suoi diritti di successione a un estraneo o a tutti gli altri chiamati o ad alcuno di questi, importa accettazione dell'eredità.
Art. 478.
(Rinunzia che importa accettazione).
La rinunzia ai diritti di successione, qualora sia fatta verso corrispettivo o a favore di alcuni soltanto dei chiamati, importa accettazione.
Art. 479.
(Trasmissione del diritto di accettazione).
Se il chiamato all'eredità muore senza averla accettata, il diritto di accettarla si trasmette agli eredi.
Se questi non sono d'accordo per accettare o rinunziare, colui che accetta l'eredità acquista tutti i diritti e soggiace a tutti i pesi ereditari, mentre vi rimane estraneo chi ha rinunziato.
La rinunzia all'eredità propria del trasmittente include rinunzia all'eredità che al medesimo è devoluta.
Art. 480.
(Prescrizione).
Il diritto di accettare l'eredità si prescrive in dieci anni.
Il termine decorre dal giorno dell'apertura della successione e, in caso d'istituzione condizionale, dal giorno in cui si verifica la condizione.
Il termine non corre per i chiamati ulteriori, se vi è stata accettazione da parte di precedenti chiamati e successivamente il loro acquisto ereditario è venuto meno.
Art. 481.
(Fissazione di un termine per l'accettazione).
Chiunque vi ha interesse può chiedere che l'autorità giudiziaria fissi un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all'eredità. Trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare.
Art. 482.
(Impugnazione per violenza o dolo).
L'accettazione dell'eredità si può impugnare quando è effetto di violenza o di dolo.
L'azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo.
Art. 483.
(Impugnazione per errore).
L'accettazione dell'eredità non si può impugnare se è viziata da errore.
Tuttavia, se si scopre un testamento del quale non si aveva notizia al tempo dell'accettazione, l'erede non è tenuto a soddisfare i legati scritti in esso oltre il valore dell'eredità, o con pregiudizio della porzione legittima che gli è dovuta. Se i beni ereditari non bastano a soddisfare tali legati, si riducono proporzionalmente anche i legati scritti in altri testamenti. Se alcuni legatari sono stati già soddisfatti per intero, contro di loro è data azione di regresso.
L'onere di provare il valore dell'eredità incombe all'erede.
Sezione II. -
Del beneficio d'inventario.
Art. 484.
(Accettazione col beneficio d'inventario).
L'accettazione col beneficio d'inventario si fa mediante dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere della pretura del mandamento in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro delle successioni conservato nella stessa pretura.
Entro un mese dall'inserzione, la dichiarazione deve essere trascritta, a cura del cancelliere, presso l'ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si è aperta la successione.
La dichiarazione deve essere preceduta o seguita dall'inventario, nelle forme prescritte dal codice di procedura civile.
Se l'inventario è fatto prima della dichiarazione, nel registro deve pure menzionarsi la data in cui esso è stato compiuto.
Se l'inventario è fatto dopo la dichiarazione, l'ufficiale pubblico che lo ha redatto deve, nel termine di un mese, far inserire nel registro l'annotazione della data in cui esso è stato compiuto.
Art. 485.
(Chiamato all'eredità che è nel possesso di beni).
Il chiamato all'eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della notizia della devoluta eredità. Se entro questo termine lo ha cominciato ma non è stato in grado di completarlo, può ottenere dal pretore del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non deve eccedere i tre mesi.
Trascorso tale termine senza che l'inventario sia stato compiuto, il chiamato all'eredità è considerato erede puro e semplice.
Compiuto l'inventario, il chiamato che non abbia ancora fatto la dichiarazione a norma dell'art. 484 ha un termine di quaranta giorni da quello del compimento dell'inventario medesimo, per deliberare se accetta o rinunzia all'eredità. Trascorso questo termine senza che abbia deliberato, è considerato erede puro e semplice.
Art. 486.
(Poteri).
Durante i termini stabiliti dall'articolo precedente per fare l'inventario e per deliberare, il chiamato, oltre che esercitare i poteri indicati nell'art. 460, può stare in giudizio come convenuto per rappresentare l'eredità.
Se non compare, l'autorità giudiziaria nomina un curatore all'eredità affinchè la rappresenti in giudizio.
Art. 487.
(Chiamato all'eredità che non è nel possesso di beni).
Il chiamato all'eredità, che non è nel possesso di beni ereditari, può fare la dichiarazione di accettare col beneficio d'inventario fino a che il diritto di accettare non è prescritto.
Quando ha fatto la dichiarazione, deve compiere l'inventario nel termine di tre mesi dalla dichiarazione, salva la proroga accordata dall'autorità giudiziaria a norma dell'art. 485; in mancanza, è considerato erede puro e semplice.
Quando ha fatto l'inventario non preceduto da dichiarazione d'accettazione, questa deve essere fatta nei quaranta giorni successivi al compimento dell'inventario; in mancanza, il chiamato perde il diritto di accettare l'eredità.
Art. 488.
(Dichiarazione in caso di termine fissato dall'autorità giudiziaria).
Il chiamato all'eredità, che non è nel possesso di beni ereditari, qualora gli sia stato assegnato un termine a norma dell'art. 481, deve, entro detto termine, compiere anche l'inventario; se fa la dichiarazione e non l'inventario, è considerato erede puro e semplice.
L'autorità giudiziaria può accordare una dilazione.
Art. 489.
(Incapaci).
I minori, gli interdetti e gli inabilitati non s'intendono decaduti dal beneficio d'inventario, se non al compimento di un anno dalla maggiore età o dal cessare dello stato d'interdizione o d'inabilitazione, qualora entro tale termine non si siano conformati alle norme della presente sezione.
Art. 490.
(Effetti del beneficio d'inventario).
L'effetto del beneficio d'inventario consiste nel tener distinto il patrimonio del defunto da quello dell'erede.
Conseguentemente: 1) l'erede conserva verso l'eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il defunto, tranne quelli che si sono estinti per effetto della morte; 2) l'erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti; 3) i creditori dell'eredità e i legatari hanno preferenza sul patrimonio ereditario di fronte ai creditori dell'erede. Essi però non sono dispensati dal domandare la separazione dei beni, secondo le disposizioni del capo seguente, se vogliono conservare questa preferenza anche nel caso che l'erede decada dal beneficio d'inventario o vi rinunzi.
Art. 491.
(Responsabilità dell'erede nell'amministrazione).
L'erede con beneficio d'inventario non risponde dell'amministrazione dei beni ereditari se non per colpa grave.
Art. 492.
(Garanzia).
Se i creditori o altri aventi interesse lo richiedono, l'erede deve dare idonea garanzia per il valore dei beni mobili compresi nell'inventario, per i frutti degli immobili e per il prezzo dei medesimi che sopravanzi al pagamento dei creditori ipotecari.
Art. 493.
(Alienazione dei beni ereditari senza autorizzazione).
L'erede decade dal beneficio d'inventario, se aliena o sottopone a pegno o ipoteca beni ereditari, o transige relativamente a questi beni senza l'autorizzazione giudiziaria e senza osservare le forme prescritte dal codice di procedura civile.
Per i beni mobili l'autorizzazione non è necessaria trascorsi cinque anni dalla dichiarazione di accettare con beneficio d'inventario.
Art. 494.
(Omissioni o infedeltà nell'inventario).
Dal beneficio d'inventario decade l'erede che ha omesso in mala fede di denunziare nell'inventario beni appartenenti all'eredità, o che ha denunziato in mala fede, nell'inventario stesso, passività non esistenti.
Art. 495.
(Pagamento dei creditori e legatari).
Trascorso un mese dalla trascrizione prevista nell'art. 484 o dall'annotazione disposta nello stesso articolo per il caso che l'inventario sia posteriore alla dichiarazione, l'erede, quando creditori o legatari non si oppongono ed egli non intende promuovere la liquidazione a norma dell'art. 503, paga i creditori e i legatari a misura che si presentano, salvi i loro diritti di poziorità.
Esaurito l'asse ereditario, i creditori rimasti insoddisfatti hanno soltanto diritto di regresso contro i legatari, ancorchè di cosa determinata appartenente al testatore, nei limiti del valore del legato.
Tale diritto si prescrive in tre anni dal giorno dell'ultimo pagamento, salvo che il credito sia anteriormente prescritto.
Art. 496.
(Rendimento del conto).
L'erede ha l'obbligo di rendere conto della sua amministrazione ai creditori e ai legatari, i quali possono fare assegnare un termine all'erede.
Art. 497.
(Mora nel rendimento del conto).
L'erede non può essere costretto al pagamento con i propri beni, se non quando è stato costituito in mora a presentare il conto e non ha ancora soddisfatto a quest'obbligo.
Dopo la liquidazione del conto, non può essere costretto al pagamento con i propri beni se non fino alla concorrenza delle somme di cui è debitore.
Art. 498.
(Liquidazione dell'eredità in caso di opposizione).
Qualora entro il termine indicato nell'art. 495 gli sia stata notificata opposizione da parte di creditori o di legatari, l'erede non può eseguire pagamenti, ma deve provvedere alla liquidazione dell'eredità nell'interesse di tutti i creditori e legatari.
A tal fine egli, non oltre, un mese dalla notificazione dell'opposizione, deve, a mezzo di un notaio del luogo dell'aperta successione, invitare i creditori e i legatari a presentare, entro un termine stabilito dal notaio stesso e non inferiore a giorni trenta, le dichiarazioni di credito.
L'invito è spedito per raccomandata ai creditori e ai legatari dei quali è noto il domicilio o la residenza ed è pubblicato nel foglio degli annunzi legali della provincia.
Art. 499.
(Procedura di liquidazione).
Scaduto il termine entro il quale devono presentarsi le dichiarazioni di credito, l'erede provvede, con l'assistenza del notaio, a liquidare le attività ereditarie facendosi autorizzare alle alienazioni necessarie. Se l'alienazione ha per oggetto beni sottoposti a privilegio o a ipoteca, i privilegi non si estinguono, e le ipoteche non possono essere cancellate sino a che l'acquirente non depositi il prezzo nel modo stabilito dal giudice o non provveda al pagamento dei creditori collocati nello stato di graduazione previsto dal comma seguente.
L'erede forma, sempre con l'assistenza del notaio, lo stato di graduazione. I creditori sono collocati secondo i rispettivi diritti di prelazione. Essi sono preferiti ai legatari. Tra i creditori non aventi diritto a prelazione l'attivo ereditario è ripartito in proporzione dei rispettivi crediti.
Qualora, per soddisfare i creditori, sia necessario comprendere nella liquidazione anche l'oggetto di un legato di specie, sulla somma che residua dopo il pagamento dei creditori il legatario di specie è preferito agli altri legatari.
Art. 500.
(Termine per la liquidazione).
L'autorità giudiziaria, su istanza di alcuno dei creditori o legatari, può assegnare un termine all'erede per liquidare le attività ereditarie e per formare lo stato di graduazione.
Art. 501.
(Reclami).
Compiuto lo stato di graduazione, il notaio ne dà avviso con raccomandata ai creditori e legatari di cui è noto il domicilio o la residenza, e provvede alla pubblicazione di un estratto dello stato nel foglio degli annunzi legali della provincia. Trascorsi senza reclami trenta giorni dalla data di questa pubblicazione, lo stato di graduazione diviene definitivo.
Art. 502.
(Pagamento dei creditori e dei legatari).
Divenuto definitivo lo stato di graduazione o passata in giudicato la sentenza che pronunzia sui reclami, l'erede deve soddisfare i creditori e i legatari in conformità dello stato medesimo. Questo costituisce titolo esecutivo contro l'erede.
La collocazione dei crediti condizionali non impedisce il pagamento dei creditori posteriori, sempre che questi diano cauzione.
I creditori e i legatari che non si sono presentati hanno azione contro l'erede solo nei limiti della somma che residua dopo il pagamento dei creditori e dei legatari collocati nello stato di graduazione. Questa azione si prescrive in tre anni dal giorno in cui lo stato è divenuto definitivo o è passata in giudicato la sentenza che ha pronunziato sui reclami, salvo che il credito sia anteriormente prescritto.
Art. 503.
(Liquidazione promossa dall'erede).
Anche quando non vi è opposizione di creditori o di legatari, l'erede può valersi della procedura di liquidazione prevista dagli articoli precedenti.
Il pagamento fatto a creditori privilegiati o ipotecari non impedisce all'erede di valersi di questa procedura.
Art. 504.
(Liquidazione nel caso di più eredi).
Se vi sono più eredi con beneficio d'inventario, ciascuno può promuovere la liquidazione; ma deve convocare i propri coeredi davanti al notaio nel termine che questi ha stabilito per la dichiarazione dei crediti. I coeredi che non si presentano sono rappresentati nella liquidazione dal notaio.
Art. 505.
(Decadenza dal beneficio).
L'erede che, in caso di opposizione, non osserva le norme stabilite dall'art. 498 o non compie la liquidazione o lo stato di graduazione nel termine stabilito dall'art. 500, decade dal beneficio d'inventario.
Parimenti decade dal beneficio d'inventario l'erede che, nel caso previsto dall'art. 503, dopo l'invito ai creditori di presentare le dichiarazioni di credito, esegue pagamenti prima che sia definita la procedura di liquidazione o non osserva il termine che gli è stato prefisso a norma dell'art. 500.
La decadenza non si verifica quando si tratta di pagamenti a favore di creditori privilegiati o ipotecari.
In ogni caso la decadenza dal beneficio d'inventario può essere fatta valere solo dai creditori del defunto e dai legatari.
Art. 506.
(Procedure individuali).
Eseguita la pubblicazione prescritta dal terzo comma dell'art. 498, non possono essere promosse procedure esecutive a istanza dei creditori. Possono tuttavia essere continuate quelle in corso, ma la parte di prezzo che residua dopo il pagamento dei creditori privilegiati e ipotecari deve essere distribuita in base allo stato di graduazione previsto dall'art. 499.
I crediti a termine diventano esigibili. Resta tuttavia il beneficio del termine, quando il credito è munito di garanzia reale su beni la cui alienazione non si renda necessaria ai fini della liquidazione, e la garanzia stessa è idonea ad assicurare il soddisfacimento integrale del credito.
Dalla data di pubblicazione dell'invito ai creditori previsto dal terzo comma dell'art. 498 è sospeso il decorso degl'interessi dei crediti chirografari. I creditori tuttavia hanno diritto, compiuta la liquidazione, al collocamento degli interessi sugli eventuali residui.
Art. 507.
(Rilascio dei beni ai creditori e ai legatari).
L'erede, non oltre un mese dalla scadenza del termine stabilito per presentare le dichiarazione di credito, se non ha provveduto ad alcun atto di liquidazione, può rilasciare tutti i beni ereditari a favore dei creditori e dei legatari.
A tal fine l'erede deve, nelle forme indicate dall'articolo 498, dare avviso ai creditori e ai legatari dei quali è noto il domicilio o la residenza; deve iscrivere la dichiarazione di rilascio nel registro delle successioni, annotarla in margine alla trascrizione prescritta dal secondo comma dell'art. 484, e trascriverla presso gli uffici dei registri immobiliari dei luoghi in cui si trovano gli immobili ereditari e presso gli uffici dove sono registrati i beni mobili.
Dal momento in cui è trascritta la dichiarazione di rilascio, gli atti di disposizione dei beni ereditari compiuti dall'erede sono senza effetto rispetto ai creditori e ai legatari.
L'erede deve consegnare i beni al curatore nominato secondo le norme dell'articolo seguente. Eseguita la consegna, egli resta liberato da ogni responsabilità per i debiti ereditari.
Art. 508.
(Nomina del curatore).
Trascritta la dichiarazione di rilascio, il pretore del luogo dell'aperta successione, su istanza dell'erede o di uno dei creditori o legatari, o anche d'ufficio, nomina un curatore, perchè provveda alla liquidazione secondo le norme degli articoli 498 e seguenti.
Il decreto di nomina del curatore è iscritto nel registro delle successioni.
Le attività che residuano, pagate le spese della curatela e soddisfatti i creditori e i legatari collocati nello stato di graduazione, spettano all'erede, salva l'azione dei creditori e legatari, che non si sono presentati, nei limiti determinati dal terzo comma dell'art. 502.
Art. 509.
(Liquidazione proseguita su istanza dei creditori o legatari).
Se, dopo la scadenza del termine stabilito per presentare le dichiarazioni di credito, l'erede incorre nella decadenza dal beneficio d'inventario, ma nessuno dei creditori o legatari la fa valere, il pretore del luogo dell'aperta successione, su istanza di uno dei creditori o legatari, sentiti l'erede e coloro che hanno presentato le dichiarazioni di credito, può nominare un curatore con l'incarico di provvedere alla liquidazione dell'eredità secondo le norme degli articoli 499 e seguenti. Dopo la nomina del curatore, la decadenza dal beneficio non può più essere fatta valere.
Il decreto di nomina del curatore è iscritto nel registro delle successioni, annotato a margine della trascrizione prescritta dal secondo comma dell'art. 484, e trascritto negli uffici dei registri immobiliari dei luoghi dove si trovano gli immobili ereditari e negli uffici dove sono registrati i beni mobili.
L'erede perde l'amministrazione dei beni ed è tenuto a consegnarli al curatore. Gli atti di disposizione che l'erede compie dopo trascritto il decreto di nomina del curatore sono senza effetto rispetto ai creditori e ai legatari.
Art. 510.
(Accettazione o inventario fatti da uno dei chiamati).
L'accettazione con beneficio d'inventario fatta da uno dei chiamati giova a tutti gli altri, anche se l'inventario è compiuto da un chiamato diverso da quello che ha fatto la dichiarazione.
Art. 511.
(Spese).
Le spese dell'apposizione dei sigilli, dell'inventario e di ogni altro atto dipendente dall'accettazione con beneficio d'inventario sono a carico dell'eredità.
Capo VI.
Della separazione dei beni del defunto da quelli dell'erede.
Art. 512.
(Oggetto della separazione).
La separazione dei beni del defunto da quelli dell'erede assicura il soddisfacimento, con i beni del defunto, dei creditori di lui e dei legatari che l'hanno esercitata, a preferenza dei creditori dell'erede.
Il diritto alla separazione spetta anche ai creditori o legatari che hanno altre garanzie sui beni del defunto.
La separazione non impedisce ai creditori e ai legatari che l'hanno esercitata, di soddisfarsi anche sui beni propri dell'erede.
Art. 513.
(Separazione contro i legatari di specie).
I creditori del defunto possono esercitare la separazione anche rispetto ai beni che formano oggetto di legato di specie.
Art. 514.
(Rapporti tra creditori separatisti e non separatisti).
I creditori e i legatari che hanno esercitato la separazione hanno diritto di soddisfarsi sui beni separati a preferenza dei creditori e dei legatari che non l'hanno esercitata, quando il valore della parte di patrimonio non separata sarebbe stato sufficiente a soddisfare i creditori e i legatari non separatisti.
Fuori di questo caso, i creditori e i legatari non separatisti possono concorrere con coloro che hanno esercitato la separazione; ma, se parte del patrimonio non è stata separata, il valore di questa si aggiunge al prezzo dei beni separati per determinare quanto spetterebbe a ciascuno dei concorrenti, e quindi si considera come attribuito integralmente ai creditori e ai legatari non separatisti.
Quando la separazione è esercitata da creditori e legatari, i creditori sono preferiti ai legatari. La preferenza è anche accordata, nel caso previsto dal comma precedente, ai creditori non separatisti di fronte ai legatari separatisti.
Restano salve in ogni caso le cause di prelazione.
Art. 515.
(Cessazione della separazione).
L'erede può impedire o far cessare la separazione pagando i creditori e i legatari, e dando cauzione per il pagamento di quelli il cui diritto è sospeso da condizione o sottoposto a termine, oppure è contestato.
Art. 516.
(Termine per l'esercizio del diritto alla separazione).
Il diritto alla separazione deve essere esercitato entro il termine di tre mesi dall'apertura della successione.
Art. 517.
(Separazione riguardo ai mobili).
Il diritto alla separazione riguardo ai mobili si esercita mediante domanda giudiziale.
La domanda si propone con ricorso al pretore del luogo dell'aperta successione, il quale ordina l'inventario, se non è ancora fatto, e dà le disposizioni necessarie per la conservazione dei beni stessi.
Riguardo ai mobili già alienati dall'erede, il diritto alla separazione comprende soltanto il prezzo non ancora pagato.
Art. 518.
(Separazione riguardo agli immobili).
Riguardo agli immobili e agli altri beni capaci d'ipoteca, il diritto alla separazione si esercita mediante l'iscrizione del credito o del legato sopra ciascuno dei beni stessi. L'iscrizione si esegue nei modi stabiliti per iscrivere le ipoteche, indicando il nome del defunto e quello dell'erede, se è conosciuto, e dichiarando che l'iscrizione stessa viene presa a titolo di separazione dei beni. Per tale iscrizione non è necessario esibire il titolo.
Le iscrizioni a titolo di separazione, anche se eseguite in tempi diversi, prendono tutte il grado della prima e prevalgono sulle trascrizioni ed iscrizioni contro l'erede o il legatario, anche se anteriori.
Alle iscrizioni a titolo di separazione sono applicabili le norme sulle ipoteche.
Capo VII.
Della rinunzia all'eredità.
Art. 519.
(Dichiarazione di rinunzia).
La rinunzia all'eredità deve farsi con dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere della pretura del mandamento in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro delle successioni.
La rinunzia fatta gratuitamente a favore di tutti coloro ai quali si sarebbe devoluta la quota del rinunziante non ha effetto finchè, a cura di alcuna delle parti, non siano osservate le forme indicate nel comma precedente.
Art. 520.
(Rinunzia condizionata, a termine o parziale).
E` nulla la rinunzia fatta sotto condizione o a termine o solo per parte.
Art. 521.
(Retroattività della rinunzia).
Chi rinunzia all'eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato.
Il rinunziante può tuttavia ritenere la donazione o domandare il legato a lui fatto sino alla concorrenza della porzione disponibile, salve le disposizioni degli articoli 551 e 552.
Art. 522.
(Devoluzione nelle successioni legittime).
Nelle successioni legittime la parte di colui che rinunzia si accresce a coloro che avrebbero concorso col rinunziante, salvo il diritto di rappresentazione e salvo il disposto dell'ultimo comma dell'art. 571. Se il rinunziante è solo, l'eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso che egli mancasse.
Art. 523.
(Devoluzione nelle successioni testamentarie).
Nelle successioni testamentarie, se il testatore non ha disposto una sostituzione e se non ha luogo il diritto di rappresentazione, la parte del rinunziante si accresce ai coeredi a norma dell'art. 674, ovvero si devolve agli eredi legittimi a norma dell'art. 677.
Art. 524.
(Impugnazione della rinunzia da parte dei creditori).
Se taluno rinunzia, benchè senza frode, a un'eredità con danno dei suoi creditori, questi possono farsi autorizzare ad accettare l'eredità in nome e luogo del rinunziante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti.
Il diritto dei creditori si prescrive in cinque anni dalla rinunzia.
Art. 525.
(Revoca della rinunzia).
Fino a che il diritto di accettare l'eredità non è prescritto contro i chiamati che vi hanno rinunziato, questi possono sempre accettarla, se non è già stata acquistata da altro dei chiamati, senza pregiudizio delle ragioni acquistate da terzi sopra i beni dell'eredità.
Art. 526.
(Impugnazione per violenza o dolo).
La rinunzia all'eredità si può impugnare solo se è l'effetto di violenza o di dolo.
L'azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo.
Art. 527.
(Sottrazione di beni ereditari).
I chiamati all'eredità, che hanno sottratto o nascosto beni spettanti all'eredità stessa, decadono dalla facoltà di rinunziarvi e si considerano eredi puri e semplici, nonostante la loro rinunzia.
Capo VIII.
Dell'eredità giacente.
Art. 528.
(Nomina del curatore).
Quando il chiamato non ha accettato l'eredità e non è nel possesso di beni ereditari, il pretore del mandamento in cui si è aperta la successione, su istanza delle persone interessate o anche d'ufficio, nomina un curatore dell'eredità.
Il decreto di nomina del curatore, a cura del cancelliere, è pubblicato per estratto nel foglio degli annunzi legali della provincia e iscritto nel registro delle successioni.
Art. 529.
(Obblighi del curatore).
Il curatore è tenuto a procedere all'inventario dell'eredità, a esercitarne e promuoverne le ragioni, a rispondere alle istanze proposte contro la medesima, ad amministrarla, a depositare presso le casse postali o presso un istituto di credito designato dal pretore il danaro che si trova nell'eredità o si ritrae dalla vendita dei mobili o degli immobili, e, da ultimo, a rendere conto della propria amministrazione.
Art. 530.
(Pagamento dei debiti ereditari).
Il curatore può provvedere al pagamento dei debiti ereditari e dei legati, previa autorizzazione del pretore.
Se però alcuno dei creditori o dei legatari fa opposizione, il curatore non può procedere ad alcun pagamento, ma deve provvedere alla liquidazione dell'eredità secondo le norme degli articoli 498 e seguenti.
Art. 531.
(Inventario, amministrazione e rendimento dei conti).
Le disposizioni della sezione II del capo V di questo titolo, che riguardano l'inventario, l'amministrazione e il rendimento di conti da parte dell'erede con beneficio d'inventario, sono comuni al curatore dell'eredità giacente, esclusa la limitazione della responsabilità per colpa.
Art. 532.
(Cessazione della curatela per accettazione dell'eredità).
Il curatore cessa dalle sue funzioni quando l'eredità è stata accettata.
Capo IX.
Della petizione di eredità.
Art. 533.
(Nozione).
L'erede può chiedere il riconoscimento della sua qualità ereditaria contro chiunque possiede tutti o parte dei beni ereditari a titolo di erede o senza titolo alcuno, allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi.
L'azione è imprescrittibile, salvi gli effetti dell'usucapione rispetto ai singoli beni.
Art. 534.
(Diritti dei terzi).
L'erede può agire anche contro gli aventi causa di chi possiede a titolo di erede o senza titolo.
Sono salvi i diritti acquistati, per effetto di convenzioni a titolo oneroso con l'erede apparente, dai terzi i quali provino di avere contrattato in buona fede.
La disposizione del comma precedente non si applica ai beni immobili e ai beni mobili iscritti nei pubblici registri, se l'acquisto a titolo di erede e l'acquisto dall'erede apparente non sono stati trascritti anteriormente alla trascrizione dell'acquisto da parte dell'erede o del legatario vero, o alla trascrizione della domanda giudiziale contro l'erede apparente.
Art. 535.
(Possessore di beni ereditari).
Le disposizioni in materia di possesso si applicano anche al possessore di beni ereditari, per quanto riguarda la restituzione dei frutti, le spese, i miglioramenti e le addizioni.
Il possessore in buona fede, che ha alienato pure in buona fede una cosa dell'eredità, è solo obbligato a restituire all'erede il prezzo o il corrispettivo ricevuto. Se il prezzo o il corrispettivo è ancora dovuto, l'erede subentra nel diritto di conseguirlo.
E` possessore in buona fede colui che ha acquistato il possesso dei beni ereditari, ritenendo per errore di essere erede. La buona fede non giova se l'errore dipende da colpa grave.
Capo X.
Dei Legittimari.
Sezione I. -
Dei diritti riservati ai legittimari.
Art. 536.
(Legittimari).
Le persone, a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione, sono i figli legittimi, gli ascendenti legittimi, i figli naturali e il coniuge.
Ai figli legittimi sono equiparati i legittimati e gli adottivi.
A favore dei discendenti dei figli legittimi o naturali, i quali vengono alla successione in luogo di questi, la legge riserva gli stessi diritti che sono riservati ai figli legittimi o naturali.
Art. 537.
(Riserva a favore dei figli legittimi).
A favore dei figli legittimi è riservata la metà del patrimonio del genitore se questi lascia un figlio solo, e sono riservati i due terzi se i figli sono più, salvo quanto è disposto dagli articoli 541 e 542 per i casi di concorso.
Art. 538.
(Riserva a favore degli ascendenti legittimi).
Se chi muore non lascia figli legittimi ma ascendenti legittimi, a favore di questi è riservato un terzo del patrimonio, salvo quanto è disposto dagli articoli 544, 545 e 546 per i casi di concorso.
Si applicano le disposizioni dell'art. 569.
Art. 539.
(Riserva a favore dei figli naturali).
A favore dei figli naturali, quando la filiazione è riconosciuta o dichiarata, è riservato un terzo del patrimonio del genitore se questi lascia un solo figlio naturale, o la metà se i figli naturali sono più, salvo quanto è disposto dagli articoli 541, 542, 543, 545 e 546 per i casi di concorso.
Art. 540.
(Riserva a favore del coniuge).
A favore del coniuge è riservato l'usufrutto di due terzi del patrimonio dell'altro coniuge, salvo quanto è disposto dagli articoli 542, 543, 544 e 546 per i casi di concorso.
Art. 541.
(Concorso di figli legittimi e naturali).
Quando, oltre ai figli legittimi, il defunto lascia figli naturali, la quota di patrimonio complessivamente riservata è di due terzi. Su tale quota ogni figlio naturale consegue metà della porzione che consegue ciascuno dei figli legittimi, purchè complessivamente la quota di questi ultimi non sia inferiore al terzo del patrimonio.
I figli legittimi hanno facoltà di pagare in danaro o in beni immobili ereditari, a giusta stima, la porzione spettante ai figli naturali.
Art. 542.
(Concorso di figli legittimi, coniuge e figli naturali).
Se chi muore lascia, oltre al coniuge, un solo figlio legittimo, la quota di patrimonio a questo riservata è di un terzo in piena proprietà. Un altro terzo spetta in usufrutto al coniuge. La nuda proprietà dei beni assegnati in usufrutto al coniuge spetta per una metà al figlio e per l'altra metà fa parte della disponibile.
Quando i figli sono più, la quota di patrimonio riservata ad essi e al coniuge è complessivamente di due terzi. Su questa quota al coniuge spetta l'usufrutto di una porzione pari al quarto del patrimonio del defunto. La residua parte della quota di riserva e la nuda proprietà dei beni assegnati in usufrutto al coniuge sono ripartite tra i figli.
Se insieme col coniuge vi sono figli legittimi e figli naturali, l'ammontare complessivo della quota di riserva è di due terzi. Su questa quota al coniuge spetta l'usufrutto di una porzione pari al quarto del patrimonio del defunto. La residua parte della quota di riserva è ripartita tra i figli legittimi e i figli naturali secondo le proporzioni fissate dall'art. 541. Nelle stesse proporzioni è ripartita la nuda proprietà dei beni assegnati in usufrutto al coniuge, ma su questa i figli legittimi hanno diritto di conseguire una parte maggiore, se ciò è necessario per integrare il minimo che loro spetta secondo la disposizione dell'art. 541.
Art. 543.
(Concorso di coniuge e figli naturali).
Quando insieme col coniuge vi è soltanto un figlio naturale, al coniuge è riservato l'usufrutto di cinque dodicesimi del patrimonio del defunto.
Al figlio naturale sono riservate la piena proprietà di un quarto del patrimonio e la nuda proprietà di un quinto dei beni assegnati in usufrutto al coniuge. La nuda proprietà degli altri quattro quinti dei beni assegnati in usufrutto al coniuge fa parte della disponibile.
Quando i figli naturali sono più, al coniuge è riservato l'usufrutto di un terzo del patrimonio, e ai figli naturali la piena proprietà di un altro terzo. La nuda proprietà dei beni assegnati in usufrutto al coniuge spetta per metà ai figli, mentre per l'altra metà fa parte della disponibile.
Art. 544.
(Concorso di ascendenti legittimi e coniuge).
Quando chi muore non lascia nè figli legittimi nè figli naturali, ma ascendenti legittimi e il coniuge, a quest'ultimo è riservato l'usufrutto di cinque dodicesimi del patrimonio, e agli ascendenti la piena proprietà di un quarto del patrimonio. La nuda proprietà dei beni assegnati in usufrutto al coniuge fa parte della disponibile.
Art. 545.
(Concorso di ascendenti legittimi e figli naturali).
Quando vi sono ascendenti legittimi e figli naturali, la quota complessivamente riservata è della metà del patrimonio del defunto, se questi lascia un solo figlio naturale; di due terzi, se i figli sono più.
La quota è ripartita in modo che agli ascendenti o al solo ascendente superstite sia attribuita una porzione eguale a quella di ciascuno dei figli naturali, ma non inferiore a un sesto del patrimonio del defunto.
Art. 546.
(Concorso di ascendenti legittimi, figli naturali e coniuge).
Se insieme con ascendenti legittimi e con figli naturali vi è anche il coniuge, la quota complessivamente riservata è di due terzi del patrimonio del defunto. Su questa quota al coniuge spetta l'usufrutto di una porzione pari a un terzo del patrimonio; agli ascendenti, una porzione pari al quinto del patrimonio se il figlio naturale è un solo, e al sesto se i figli naturali sono più; la residua parte spetta ai figli naturali. La nuda proprietà dei beni assegnati in usufrutto al coniuge spetta ai figli naturali se sono più; se il figlio naturale è uno solo, a lui ne spettano tre quinti e il resto fa parte della disponibile.
Art. 547.
(Soddisfacimento delle ragioni del coniuge).
E` in facoltà degli eredi di soddisfare le ragioni del coniuge mediante l'assicurazione di una rendita vitalizia o mediante l'assegno di frutti di beni immobili o capitali ereditari, da determinarsi di comune accordo o, in mancanza, dall'autorità giudiziaria, avuto riguardo alle circostanze del caso.
Fino a che non sia soddisfatto delle sue ragioni, il coniuge conserva i propri diritti di usufrutto su tutti i beni ereditari.
Art. 548.
(Esclusione della riserva del coniuge).
Il coniuge non ha diritto alla riserva nei casi indicati dall'art. 585.
Art. 549.
(Divieto di pesi o condizioni sulla quota dei legittimari).
Il testatore non può imporre pesi o condizioni sulla quota spettante ai legittimari, salva l'applicazione delle norme contenute nel titolo IV di questo libro.
Art. 550.
(Lascito eccedente la porzione disponibile).
Quando il testatore dispone di un usufrutto o di una rendita vitalizia il cui reddito eccede quello della porzione disponibile, i legittimari, ai quali è stata assegnata la nuda proprietà della disponibile o di parte di essa, hanno la scelta o di eseguire tale disposizione o di abbandonare la nuda proprietà della porzione disponibile. Nel secondo caso il legatario, conseguendo la disponibile abbandonata, non acquista la qualità di erede.
La stessa scelta spetta ai legittimari quando il testatore ha disposto della nuda proprietà di una parte eccedente la disponibile.
Se i legittimari sono più, occorre l'accordo di tutti perchè la disposizione testamentaria abbia esecuzione.
Le stesse norme si applicano anche se dell'usufrutto, della rendita o della nuda proprietà è stato disposto con donazione.
Art. 551.
(Legato in sostituzione di legittima).
Se a un legittimario è lasciato un legato in sostituzione della legittima, egli può rinunziare al legato e chiedere la legittima.
Se preferisce di conseguire il legato, perde il diritto di chiedere un supplemento, nel caso che il valore del legato sia inferiore a quello della legittima, e non acquista la qualità di erede. Questa disposizione non si applica quando il testatore ha espressamente attribuito al legittimario la facoltà di chiedere il supplemento.
Il legato in sostituzione della legittima grava sulla porzione indisponibile. Se però il valore del legato eccede quello della legittima spettante al legittimario, per l'eccedenza il legato grava sulla disponibile.
Art. 552.
(Donazioni e legati in conto di legittima).
Il legittimario che rinunzia all'eredità, quando non si ha rappresentazione, può sulla disponibile ritenere le donazioni o conseguire i legati a lui fatti; ma quando non vi è stata espressa dispensa dall'imputazione, se per integrare la legittima spettante agli eredi è necessario ridurre le disposizioni testamentarie o le donazioni, restano salve le assegnazioni, fatte dal testatore sulla disponibile, che non sarebbero soggette a riduzione se il legittimario accettasse l'eredità, e si riducono le donazioni e i legati fatti a quest'ultimo.
Sezione II. -
Della reintegrazione della quota riservata ai legittimari.
Art. 553.
(Riduzione delle porzioni degli eredi legittimi in concorso con legittimari).
Quando sui beni lasciati dal defunto si apre in tutto o in parte la successione legittima, nel concorso di legittimari con altri successibili, le porzioni che spetterebbero a questi ultimi si riducono proporzionalmente nei limiti in cui è necessario per integrare la quota riservata ai legittimari, i quali però devono imputare a questa, ai sensi dell'art. 564, quanto hanno ricevuto dal defunto in virtù di donazioni o di legati.
Art. 554.
(Riduzione delle disposizioni testamentarie).
Le disposizioni testamentarie eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre sono soggette a riduzione nei limiti della quota medesima.
Art. 555.
(Riduzione delle donazioni).
Le donazioni, il cui valore eccede la quota della quale il defunto poteva disporre, sono soggette a riduzione fino alla quota medesima.
Le donazioni non si riducono se non dopo esaurito il valore dei beni di cui è stato disposto per testamento.
Art. 556.
(Determinazione della porzione disponibile).
Per determinare l'ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre si forma una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, detraendone i debiti. Si riuniscono quindi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, secondo il loro valore determinato in base alle regole dettate negli articoli 747 a 750, e sull'asse così formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre.
Art. 557.
(Soggetti che possono chiedere la riduzione).
La riduzione delle donazioni e delle disposizioni lesive della porzione di legittima non può essere domandata che dai legittimari e dai loro eredi o aventi causa.
Essi non possono rinunziare a questo diritto, finchè vive il donante, nè con dichiarazione espressa, nè prestando il loro assenso alla donazione.
I donatari e i legatari non possono chiedere la riduzione, nè approfittarne. Non possono chiederla nè approfittarne nemmeno i creditori del defunto, se il legittimario avente diritto alla riduzione ha accettato con il beneficio d'inventario.
Art. 558.
(Modo di ridurre le disposizioni testamentarie).
La riduzione delle disposizioni testamentarie avviene proporzionalmente, senza distinguere tra eredi e legatari.
Se il testatore ha dichiarato che una sua disposizione deve avere effetto a preferenza delle altre, questa disposizione non si riduce, se non in quanto il valore delle altre non sia sufficiente a integrare la quota riservata ai legittimari.
Art. 559.
(Modo di ridurre le donazioni).
Le donazioni si riducono cominciando dall'ultima e risalendo via via alle anteriori.
Art. 560.
(Riduzione del legato o della donazione d'immobili).
Quando oggetto del legato o della donazione da ridurre è un immobile, la riduzione si fa separando dall'immobile medesimo la parte occorrente per integrare la quota riservata, se ciò può avvenire comodamente.
Se la separazione non può farsi comodamente e il legatario o il donatario ha nell'immobile un'eccedenza maggiore del quarto della porzione disponibile, l'immobile si deve lasciare per intero nell'eredità, salvo il diritto di conseguire il valore della porzione disponibile. Se l'eccedenza non supera il quarto, il legatario o il donatario può ritenere tutto l'immobile, compensando in danaro i legittimari.
Il legatario o il donatario che è legittimario può ritenere tutto l'immobile, purchè il valore di esso non superi l'importo della porzione disponibile e della quota che gli spetta come legittimario.
Art. 561.
(Restituzione degli immobili).
Gli immobili restituiti in conseguenza della riduzione sono liberi da ogni peso o ipoteca di cui il legatario o il donatario può averli gravati, salvo il disposto del n. 8 dell'art. 2652. La stessa disposizione si applica per i mobili iscritti in pubblici registri.
I frutti sono dovuti a decorrere dal giorno della domanda giudiziale.
Art. 562.
(Insolvenza del donatario soggetto a riduzione).
Se la cosa donata è perita per causa imputabile al donatario o ai suoi aventi causa o se la restituzione della cosa donata non può essere richiesta contro l'acquirente, e il donatario è in tutto o in parte insolvente, il valore della donazione che non si può recuperare dal donatario si detrae dalla massa ereditaria, ma restano impregiudicate le ragioni di credito del legittimario e dei donatari antecedenti contro il donatario insolvente.
Art. 563.
(Azione contro gli aventi causa dai donatari soggetti a riduzione).
Se i donatari contro i quali è stata pronunziata la riduzione hanno alienato a terzi gli immobili, donati, il legittimario, premessa l'escussione dei beni del donatario, può chiedere ai successivi acquirenti, nel modo e nell'ordine in cui si potrebbe chiederla ai donatari medesimi, la restituzione degli immobili.
L'azione per ottenere la restituzione deve proporsi secondo l'ordine di data delle alienazioni, cominciando dall'ultima. Contro i terzi acquirenti può anche essere richiesta la restituzione dei beni mobili, oggetto della donazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede.
Il terzo acquirente può liberarsi dall'obbligo di restituire in natura le cose donate pagando l'equivalente in danaro.
Art. 564.
(Condizioni per l'esercizio dell'azione di riduzione).
Il legittimario che non ha accettato l'eredità col beneficio d'inventario non può chiedere la riduzione delle donazioni e dei legati, salvo che le donazioni e i legati siano stati fatti a persone chiamate come coeredi, ancorchè abbiano rinunziato all'eredità. Questa disposizione non si applica all'erede che ha accettato col beneficio d'inventario e che ne è decaduto.
In ogni caso il legittimario, che domanda la riduzione di donazioni o di disposizioni testamentarie, deve imputare alla sua porzione legittima le donazioni e i legati a lui fatti, salvo che ne sia stato espressamente dispensato.
Il legittimario che succede per rappresentazione deve anche imputare le donazioni e i legati fatti, senza espressa dispensa, al suo ascendente.
La dispensa non ha effetto a danno dei donatari anteriori.
Ogni cosa, che, secondo le regole contenute nel capo II del titolo IV di questo libro, è esente da collazione, è pure esente da imputazione.
Titolo II.
Delle successioni legittime
Art. 565.
(Categorie dei successibili).
Nella successione legittima l'eredità si devolve ai discendenti legittimi, agli ascendenti legittimi, ai collaterali, ai parenti naturali, al coniuge e allo Stato, nell'ordine e secondo le regole stabilite in questo titolo.
Capo I.
Della successione dei parenti legittimi.
Art. 566.
(Successione dei figli legittimi).
Al padre e alla madre succedono i figli legittimi in parti uguali.
Art. 567.
(Successione dei figli legittimi e adottivi).
Ai figli legittimi sono equiparati i legittimati e gli adottivi.
I figli adottivi sono estranei alla successione dei parenti dell'adottante.
Art. 568.
(Successione dei genitori).
A colui che muore senza lasciare prole, nè fratelli o sorelle o loro discendenti, succedono il padre e la madre in eguali porzioni, o il genitore che sopravvive.
Art. 569.
(Successione degli ascendenti).
A colui che muore senza lasciare prole, nè genitori, nè fratelli o sorelle o loro discendenti, succedono per una metà gli ascendenti della linea paterna e per l'altra metà gli ascendenti della linea materna.
Se però gli ascendenti non sono di eguale grado, l'eredità è devoluta al più vicino senza distinzione di linea.
Art. 570.
(Successione dei fratelli e delle sorelle).
A colui che muore senza lasciare prole, nè genitori, nè altri ascendenti, succedono i fratelli e le sorelle in parti uguali.
I fratelli e le sorelle unilaterali conseguono però la metà della quota che conseguono i germani.
Art. 571.
(Concorso di genitori o ascendenti con fratelli e sorelle).
Se coi genitori o con uno soltanto di essi concorrono fratelli e sorelle germani del defunto, tutti sono ammessi alla successione del medesimo per capi, purchè in nessun caso la quota, in cui succedono i genitori o uno di essi, sia minore del terzo.
Se vi sono fratelli e sorelle unilaterali, ciascuno di essi consegue la metà della quota che consegue ciascuno dei germani o dei genitori, salva in ogni caso la quota del terzo in favore di questi ultimi.
Se entrambi i genitori non possono o non vogliono venire alla successione e vi sono ulteriori ascendenti, a questi ultimi si devolve, nel modo determinato dall'art. 569, la quota che sarebbe spettata a uno dei genitori in mancanza dell'altro.
Art. 572.
(Successione di altri parenti).
Se alcuno muore senza lasciare prole, nè genitori, nè altri ascendenti, nè fratelli o sorelle o loro discendenti, la successione si apre a favore del parente o dei parenti prossimi, senza distinzione di linea.
La successione non ha luogo tra i parenti oltre il sesto grado.
Capo II.
Della successione dei figli naturali e dei loro parenti.
Art. 573.
(Successione dei figli naturali).
Le disposizioni relative alla successione dei figli naturali si applicano quando la filiazione è stata riconosciuta o giudizialmente dichiarata, salvo quanto è disposto dall'art. 580.
Art. 574.
(Concorso dei figli naturali e legittimi).
I figli naturali, se concorrono con i figli legittimi, conseguono metà della quota che conseguono i legittimi, purchè complessivamente la quota dei figli legittimi non sia inferiore al terzo dell'eredità.
I figli legittimi o i loro discendenti hanno facoltà di pagare in danaro o in beni immobili ereditari, a giusta stima, la porzione spettante ai figli naturali.
Art. 575.
(Concorso di figli naturali con ascendenti e coniuge del genitore).
Se concorrono con gli ascendenti o con il coniuge del genitore, i figli naturali conseguono due terzi dell'eredità; se concorrono ad un tempo con gli ascendenti e con il coniuge, conseguono l'eredità diminuita del quarto che spetta agli ascendenti e del terzo che spetta al coniuge.
Art. 576.
(Successione dei soli figli naturali).
In mancanza di discendenti legittimi, di ascendenti e del coniuge del genitore, i figli naturali succedono in tutta l'eredità.
Art. 577.
(Successione del figlio naturale all'ascendente legittimo immediato del suo genitore).
Il figlio naturale succede all'ascendente legittimo immediato del suo genitore che non può o non vuole accettare l'eredità, se l'ascendente non lascia nè coniuge, nè discendenti o ascendenti, nè fratelli o sorelle o loro discendenti, nè altri parenti legittimi entro il terzo grado.
Art. 578.
(Successione dei genitori al figlio naturale).
Se il figlio naturale muore senza lasciar prole nè coniuge, la sua eredità è devoluta a quello dei genitori che lo ha riconosciuto o del quale è stato dichiarato figlio.
Se è stato riconosciuto o dichiarato figlio di entrambi i genitori, l'eredità spetta per metà a ciascuno di essi.
Se uno solo dei genitori ha legittimato il figlio, l'altro è escluso dalla successione.
Art. 579.
(Concorso del coniuge e dei genitori).
Se al figlio naturale morto senza lasciar prole, nè genitori, sopravvive il coniuge, l'eredità si devolve per intero al medesimo.
Se vi sono genitori, l'eredità è devoluta per due terzi al coniuge e per l'altro terzo ai genitori.
Art. 580.
(Diritti dei figli naturali non riconosciuti o non riconoscibili).
Quando la filiazione risulta nei modi indicati dall'art. 279, i figli naturali hanno diritto ad un assegno vitalizio, il cui ammontare è determinato in proporzione delle sostanze ereditarie, e del numero e della qualità degli eredi. L'assegno non può in ogni caso superare l'ammontare della rendita della quota a cui i figli naturali avrebbero diritto, se la filiazione fosse stata dichiarata o riconosciuta.
Capo III.
Della successione del coniuge.
Art. 581.
(Concorso del coniuge con figli legittimi e naturali).
Quando col coniuge concorrono figli legittimi, soli o con figli naturali, il coniuge ha diritto all'usufrutto di una quota di eredità.
L'usufrutto è della metà dell'eredità, se alla successione concorre un solo figlio, e di un terzo negli altri casi.
I diritti del coniuge possono essere soddisfatti nel modo indicato dall'art. 547.
Art. 582.
(Concorso del coniuge con figli naturali, ascendenti legittimi, fratelli e sorelle).
Se il coniuge concorre con figli naturali, gli è devoluto in proprietà il terzo dell'eredità.
Al coniuge è devoluta metà dell'eredità, se egli concorre con ascendenti legittimi o con fratelli o sorelle, anche se unilaterali, ovvero con gli uni e con gli altri. In quest'ultimo caso l'altra metà è devoluta agli ascendenti, ai fratelli e alle sorelle, secondo le disposizioni dell'art. 571, salvo in ogni caso agli ascendenti il diritto ad un quarto dell'eredità.
Art. 583.
(Concorso del coniuge con altri parenti).
Se vi sono altri parenti successibili entro il quarto grado, l'eredità si devolve al coniuge per tre quarti.
Al coniuge si devolve tutta l'eredità, se mancano parenti successibili entro il quarto grado.
Art. 584.
(Successione del coniuge putativo).
Quando il matrimonio è stato dichiarato nullo dopo la morte di uno dei coniugi, al coniuge superstite di buona fede spetta la quota attribuita al coniuge dalle disposizioni che precedono.
Egli è però escluso dalla successione, quando la persona della cui eredità si tratta è legata da valido matrimonio al momento della morte.
Art. 585.
(Esclusione del coniuge dalla successione).
E` escluso dalla successione il coniuge contro cui è stata pronunziata sentenza di separazione personale passata in giudicato.
Questa esclusione ha luogo anche nel caso che la separazione sia stata pronunziata per colpa di entrambi coniugi.
Capo IV.
Della successione dello Stato.
Art. 586.
(Acquisto dei beni da parte dello Stato).
In mancanza di altri successibili, l'eredità è devoluta allo Stato. L'acquisto si opera di diritto senza bisogno di accettazione e non può farsi luogo a rinunzia.
Lo Stato non risponde dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni acquistati.
Titolo III.
Delle successioni testamentarie
Capo I.
Disposizioni generali.
Art. 587.
(Testamento).
Il testamento è un atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse.
Le disposizioni di carattere non patrimoniale, che la legge consente siano contenute in un testamento, hanno efficacia, se contenute in un atto che ha la forma del testamento, anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale.
Art. 588.
(Disposizioni a titolo universale e a titolo particolare).
Le disposizioni testamentarie, qualunque sia l'espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede, se comprendono l'universalità o una quota dei beni del testatore. Le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario.
L'indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio.
Art. 589.
(Testamento congiuntivo o reciproco).
Non si può fare testamento da due o più persone nel medesimo atto, nè a vantaggio di un terzo, nè con disposizione reciproca.
Art. 590.
(Conferma ed esecuzione volontaria di disposizioni testamentarie nulle).
La nullità della disposizione testamentaria, da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della nullità, ha, dopo la morte del testatore, confermato la disposizione o dato ad essa volontaria esecuzione.
Capo II.
Della capacità di disporre per testamento.
Art. 591.
(Casi d'incapacità).
Possono disporre per testamento tutti coloro che non sono dichiarati incapaci dalla legge.
Sono incapaci di testare: 1) coloro che non hanno compiuto l'età di diciotto anni; 2) gli interdetti per infermità di mente; 3) quelli che, sebbene non interdetti, si provi essere stati, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci d'intendere o di volere nel momento in cui fecero testamento.
Nei casi d'incapacità preveduti dal presente articolo il testamento può essere impugnato da chiunque vi ha interesse. L'azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.
Capo III.
Della capacità di ricevere per testamento.
Art. 592.
(Figli naturali riconosciuti o riconoscibili).
Se vi sono discendenti legittimi, i figli naturali, quando la filiazione è stata riconosciuta o dichiarata, non possono ricevere per testamento più di quanto avrebbero ricevuto se la successione si fosse devoluta in base alla legge.
I figli naturali riconoscibili, quando la filiazione risulta nei modi indicati dall'art. 279, non possono ricevere più di quanto, secondo la disposizione del comma precedente, potrebbero conseguire se la filiazione fosse stata riconosciuta o dichiarata.
Art. 593.
(Figli naturali non riconoscibili).
Quando il testatore lascia figli legittimi o loro discendenti, i figli naturali non riconoscibili, la cui filiazione risulta nei modi stabiliti dall'art. 279, non possono singolarmente ricevere per testamento più della metà di quanto consegue nella successione il meno favorito dei figli legittimi. L'eccedenza è ripartita nelle stesse proporzioni tra i figli legittimi e i figli non riconoscibili. Questi non possono, in nessun caso, complessivamente ricevere più del terzo dell'eredità.
Se al testatore sopravvive il coniuge, i figli non riconoscibili non possono ricevere più del terzo della eredità. L'eccedenza è attribuita al coniuge.
I discendenti legittimi hanno facoltà di pagare in danaro o in beni immobili ereditari, a giusta stima, la porzione spettante ai figli non riconoscibili.
Le disposizioni precedenti si applicano anche ai figli non riconosciuti, dei quali sarebbe ammissibile il riconoscimento a norma degli articoli 251 e 252, terzo comma.
Art. 594.
(Assegno ai figli naturali non riconoscibili o non riconosciuti).
I figli naturali non riconoscibili e quelli non riconosciuti, quando ricorrono le ipotesi prevedute dall'articolo 279, e il testatore non ha disposto in loro favore, hanno diritto a conseguire, nei confronti degli eredi o dei legatari a cui è attribuita per testamento la porzione disponibile, un assegno vitalizio nei limiti stabiliti dall'art. 580. Se il testatore ha disposto in loro favore, essi possono rinunziare alla disposizione e chiedere l'assegno.
Art. 595.
(Coniuge del binubo).
Il coniuge del binubo non può ricevere da questo per testamento, sulla disponibile, più di quanto consegue, sulla disponibile stessa, il meno favorito dei figli di precedenti matrimoni. Per determinare la porzione del coniuge devono calcolarsi le donazioni da lui ricevute.
L'eccedenza di cui è stato disposto a favore del coniuge, anche per donazione, deve essere divisa in parti eguali tra il coniuge medesimo e tutti i figli del testatore.
Art. 596.
(Incapacità del tutore e del protutore).
Sono nulle le disposizioni testamentarie della persona sottoposta a tutela in favore del tutore, se fatte dopo la nomina di questo e prima che sia approvato il conto o sia estinta l'azione per il rendimento del conto medesimo, quantunque il testatore sia morto dopo l'approvazione. Questa norma si applica anche al protutore, se il testamento è fatto nel tempo in cui egli sostituiva il tutore.
Sono però valide le disposizioni fatte in favore del tutore o del protutore che è ascendente, discendente, fratello, sorella o coniuge del testatore.
Art. 597.
(Incapacità del notaio, dei testimoni e dell'interprete).
Sono nulle le disposizioni a favore del notaio o di altro ufficiale che ha ricevuto il testamento pubblico, ovvero a favore di alcuno dei testimoni o dell'interprete intervenuti al testamento medesimo.
Art. 598.
(Incapacità di chi ha scritto o ricevuto il testamento segreto).
Sono nulle le disposizioni a favore della persona che ha scritto il testamento segreto, salvo che siano approvate di mano dello stesso testatore o nell'atto della consegna. Sono pure nulle le disposizioni a favore del notaio a cui il testamento segreto è stato consegnato in plico non sigillato.
Art. 599.
(Persone interposte).
Le disposizioni testamentarie a vantaggio delle persone incapaci indicate dagli articoli 592, 593, 595, 596, 597 e 598 sono nulle anche se fatte sotto nome d'interposta persona.
Sono reputate persone interposte il padre, la madre, i discendenti e il coniuge della persona incapace, anche se chiamati congiuntamente con l'incapace.
Art. 600.
(Enti non riconosciuti).
Le disposizioni a favore di un ente non riconosciuto, non hanno efficacia, se entro un anno dal giorno in cui il testamento è eseguibile non è fatta l'istanza per ottenere il riconoscimento.
Fino a quando l'ente non è costituito possono essere promossi gli opportuni provvedimenti conservativi.
Capo IV.
Della forma dei testamenti.
Sezione I. -
Dei testamenti ordinari.
Art. 601.
(Forme).
Le forme ordinarie di testamento sono il testamento olografo e il testamento per atto di notaio.
Il testamento per atto di notaio è pubblico o segreto.
Art. 602.
(Testamento olografo).
Il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore.
La sottoscrizione deve essere posta alla fine delle disposizioni. Se anche non è fatta indicando nome e cognome, è tuttavia valida quando designa con certezza la persona del testatore.
La data deve contenere l'indicazione del giorno, mese e anno. La prova della non verità della data è ammessa soltanto quando si tratta di giudicare della capacità del testatore, della priorità di data tra più testamenti o di altra questione da decidersi in base al tempo del testamento.
Art. 603.
(Testamento pubblico).
Il testamento pubblico è ricevuto dal notaio in presenza di due testimoni.
Il testatore, in presenza dei testimoni, dichiara al notaio la sua volontà, la quale è ridotta in iscritto a cura del notaio stesso. Questi dà lettura del testamento al testatore in presenza dei testimoni. Di ciascuna di tali formalità è fatta menzione nel testamento.
Il testamento deve indicare il luogo, la data del ricevimento e l'ora della sottoscrizione, ed essere sottoscritto dal testatore, dai testimoni e dal notaio. Se il testatore non può sottoscrivere, o può farlo solo con grave difficoltà, deve dichiararne la causa, e il notaio deve menzionare questa dichiarazione prima della lettura dell'atto.
Per il testamento del muto, sordo o sordomuto si osservano le norme stabilite dalla legge notarile per gli atti pubblici di queste persone. Qualora il testatore sia incapace anche di leggere, devono intervenire quattro testimoni.
Art. 604.
(Testamento segreto).
Il testamento segreto può essere scritto dal testatore o da un terzo. Se è scritto dal testatore, deve essere sottoscritto da lui alla fine delle disposizioni; se è scritto in tutto o in parte da altri, o se è scritto con mezzi meccanici, deve portare la sottoscrizione del testatore anche in ciascun mezzo foglio, unito o separato.
Il testatore che sa leggere ma non sa scrivere, o che non ha potuto apporre la sottoscrizione quando faceva scrivere le proprie disposizioni, deve altresì dichiarare al notaio, che riceve il testamento, di averlo letto ed aggiungere la causa che gli ha impedito di sottoscriverlo: di ciò si fa menzione nell'atto di ricevimento.
Chi non sa o non può leggere non può fare testamento segreto.
Art. 605.
(Formalità del testamento segreto).
La carta su cui sono stese le disposizioni o quella che serve da involto deve essere sigillata con un'impronta, in guisa che il testamento non si possa aprire nè estrarre senza rottura o alterazione.
Il testatore, in presenza di due testimoni, consegna personalmente al notaio la carta così sigillata, o la fa sigillare nel modo sopra indicato in presenza del notaio e dei testimoni, e dichiara che in questa carta è contenuto il suo testamento. Il testatore, se è muto o sordomuto, deve scrivere tale dichiarazione in presenza dei testimoni e deve pure dichiarare per iscritto di aver letto il testamento, se questo è stato scritto da altri.
Sulla carta in cui dal testatore è scritto o involto il testamento, o su un ulteriore involto predisposto dal notaio e da lui debitamente sigillato, si scrive l'atto di ricevimento nel quale si indicano il fatto della consegna e la dichiarazione del testatore, il numero e l'impronta dei sigilli, e l'assistenza dei testimoni a tutte le formalità.
L'atto deve essere sottoscritto dal testatore, dai testimoni e dal notaio.
Se il testatore non può, per qualunque impedimento, sottoscrivere l'atto della consegna, si osserva quel che è stabilito circa il testamento per atto pubblico. Tutto ciò deve essere fatto di seguito e senza passare ad altri atti.
Art. 606.
(Nullità del testamento per difetto di forma).
Il testamento è nullo quando manca l'autografia o la sottoscrizione nel caso di testamento olografo, ovvero manca la redazione per iscritto, da parte del notaio, delle dichiarazioni del testatore o la sottoscrizione dell'uno o dell'altro, nel caso di testamento per atto di notaio.
Per ogni altro difetto di forma il testamento può essere annullato su istanza di chiunque vi ha interesse. L'azione di annullamento si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.
Art. 607.
(Validità del testamento segreto come olografo).
Il testamento segreto, che manca di qualche requisito suo proprio, ha effetto come testamento olografo, qualora di questo abbia i requisiti.
Art. 608.
(Ritiro di testamento segreto od olografo).
Il testamento segreto e il testamento olografo che è stato depositato possono dal testatore essere ritirati in ogni tempo dalle mani del notaio presso il quale si trovano.
A cura del notaio si redige verbale della restituzione; il verbale è sottoscritto dal testatore, da due testimoni e dal notaio; se il testatore non può sottoscrivere, se ne fa menzione.
Quando il testamento è depositato in un pubblico archivio, il verbale è redatto dall'archivista e sottoscritto dal testatore, dai testimoni e dall'archivista medesimo.
Della restituzione del testamento si prende nota in margine o in calce all'atto di consegna o di deposito.
Sezione II. -
Dei testamenti speciali.
Art. 609.
(Malattie contagiose, calamità pubbliche o infortuni).
Quando il testatore non può valersi delle forme ordinarie, perchè si trova in luogo dove domina una malattia reputata contagiosa, o per causa di pubblica calamità o d'infortunio, il testamento è valido se ricevuto da un notaio, dal pretore o dal conciliatore del luogo, dal podestà o da chi ne fa le veci, o da un ministro di culto, in presenza di due testimoni di età non inferiore a sedici anni.
Il testamento è redatto e sottoscritto da chi lo riceve; è sottoscritto anche dal testatore e dai testimoni. Se il testatore o i testimoni non possono sottoscrivere, se ne indica la causa.
Art. 610.
(Termine di efficacia).
Il testamento ricevuto nel modo indicato dall'articolo precedente perde la sua efficacia tre mesi dopo la cessazione della causa che ha impedito al testatore di valersi delle forme ordinarie.
Se il testatore muore nell'intervallo, il testamento deve essere depositato, appena è possibile, nell'archivio notarile del luogo in cui è stato ricevuto.
Art. 611.
(Testamento a bordo di nave).
Durante il viaggio per mare il testamento può essere ricevuto a bordo della nave dal comandante di essa.
Il testamento del comandante può essere ricevuto da colui che lo segue immediatamente in ordine di servizio.
Art. 612.
(Forme).
Il testamento indicato dall'articolo precedente è redatto in doppio originale alla presenza di due testimoni e deve essere sottoscritto dal testatore, dalla persona che lo ha ricevuto e dai testimoni; se il testatore o i testimoni non possono sottoscrivere, si deve indicare il motivo che ha impedito la sottoscrizione.
Il testamento è conservato tra i documenti di bordo ed è annotato sul giornale di bordo ovvero sul giornale nautico e sul ruolo d'equipaggio.
Art. 613.
(Consegna).
Se la nave approda a un porto estero in cui vi sia un'autorità consolare, il comandante è tenuto a consegnare all'autorità medesima uno degli originali del testamento e una copia dell'annotazione fatta sul giornale di bordo ovvero sul giornale nautico e sul ruolo d'equipaggio.
Al ritorno della nave nel Regno, i due originali del testamento, o quello non depositato durante il viaggio, devono essere consegnati all'autorità marittima locale insieme con la copia della predetta annotazione.
Della consegna si rilascia dichiarazione, di cui si fa cenno in margine all'annotazione sopraindicata.
Art. 614.
(Verbale di consegna).
L'autorità marittima o consolare locale deve redigere verbale della consegna del testamento e trasmettere il verbale e gli atti ricevuti al Ministero della marina o al Ministero delle comunicazioni, secondo che il testamento sia stato ricevuto a bordo di una nave della marina militare o di una nave della marina mercantile. Il Ministero ordina il deposito di uno degli originali nel suo archivio, e trasmette l'altro all'archivio notarile del luogo del domicilio o dell'ultima residenza del testatore.
Art. 615.
(Termine di efficacia).
Il testamento fatto durante il viaggio per mare, nella forma stabilita dagli articoli 611 e seguenti, perde la sua efficacia tre mesi dopo lo sbarco del testatore in un luogo dove è possibile fare testamento nelle forme ordinarie.
Art. 616.
(Testamento a bordo di aeromobile).
Al testamento fatto a bordo di un aeromobile durante il viaggio si applicano le disposizioni degli articoli 611 a 615.
Il testamento è ricevuto dal comandante, in presenza di uno o, quando è possibile, di due testimoni.
Le attribuzioni delle autorità marittime a norma degli articoli 613 e 614 spettano alle autorità aeronautiche.
Il testamento è annotato sul giornale di rotta.
Art. 617.
(Testamento dei militari e assimilati).
Il testamento dei militari e delle persone al seguito delle forze armate dello Stato può essere ricevuto da un ufficiale o da un cappellano militare o da un ufficiale della Croce Rossa, in presenza di due testimoni; esso deve essere sottoscritto dal testatore, dalla persona che lo ha ricevuto e dai testimoni. Se il testatore o i testimoni non possono sottoscrivere, si deve indicare il motivo che ha impedito la sottoscrizione.
Il testamento deve essere al più presto trasmesso al quartiere generale e da questo al Ministero competente, che ne ordina il deposito nell'archivio notarile del luogo del domicilio o dell'ultima residenza del testatore.
Art. 618.
(Casi e termini d'efficacia).
Nella forma speciale stabilita dall'articolo precedente possono testare soltanto coloro i quali, appartenendo a corpi o servizi mobilitati o comunque impegnati in guerra, si trovano in zona di operazioni belliche o sono prigionieri presso il nemico, e coloro che sono acquartierati o di presidio fuori del Regno o in luoghi dove siano interrotte le comunicazioni.
Il testamento perde la sua efficacia tre mesi dopo il ritorno del testatore in un luogo dove è possibile far testamento nelle forme ordinarie.
Art. 619.
(Nullità).
I testamenti previsti in questa sezione sono nulli quando manca la redazione in iscritto della dichiarazione del testatore ovvero la sottoscrizione della persona autorizzata a riceverla o del testatore.
Per gli altri difetti di forma si osserva il disposto del secondo comma dell'art. 606.
Sezione III. -
Della pubblicazione dei testamenti olografi e dei testamenti segreti.
Art. 620.
(Pubblicazione del testamento olografo).
Chiunque è in possesso di un testamento olografo deve presentarlo a un notaio per la pubblicazione, appena ha notizia della morte del testatore.
Chiunque crede di avervi interesse può chiedere, con ricorso al pretore del mandamento in cui si è aperta la successione, che sia fissato un termine per la presentazione.
Il notaio procede alla pubblicazione del testamento in presenza di due testimoni, redigendo nella forma degli atti pubblici un verbale nel quale descrive lo stato del testamento, ne riproduce il contenuto e fa menzione della sua apertura, se è stato presentato chiuso con sigillo. Il verbale è sottoscritto dalla persona che presenta il testamento, dai testimoni e dal notaio. Ad esso sono uniti la carta in cui è scritto il testamento, vidimata in ciascun mezzo foglio dal notaio e dai testimoni, e l'estratto dell'atto di morte del testatore o copia del provvedimento che ordina l'apertura degli atti di ultima volontà dell'assente o della sentenza che dichiara la morte presunta.
Nel caso in cui il testamento è stato depositato dal testatore presso un notaio, la pubblicazione è eseguita dal notaio depositario.
Avvenuta la pubblicazione, il testamento olografo ha esecuzione.
Per giustificati motivi, su istanza di chiunque vi ha interesse, il pretore può disporre che periodi o frasi di carattere non patrimoniale siano cancellati dal testamento e omessi nelle copie che fossero richieste, salvo che l'autorità giudiziaria ordini il rilascio di copia integrale.
Art. 621.
(Pubblicazione del testamento segreto).
Il testamento segreto deve essere aperto e pubblicato dal notaio appena gli perviene la notizia della morte del testatore. Chiunque crede di avervi interesse può chiedere, con ricorso al pretore del mandamento in cui si è aperta la successione, che sia fissato un termine per l'apertura e la pubblicazione.
Si applicano le disposizioni del terzo comma dell'articolo 620.
Art. 622.
(Comunicazione dei testamenti alla pretura).
Il notaio deve trasmettere alla cancelleria della pretura, nella cui giurisdizione si è aperta la successione, copia in carta libera dei verbali previsti dagli articoli 620 e 621 e del testamento pubblico.
Art. 623.
(Comunicazioni agli eredi e legatari).
Il notaio che ha ricevuto un testamento pubblico, appena gli è nota la morte del testatore, o, nel caso di testamento olografo o segreto, dopo la pubblicazione, comunica l'esistenza del testamento agli eredi e legatari di cui conosce il domicilio o la residenza.
Capo V.
Dell'istituzione di erede e dei legati.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 624.
(Violenza, dolo, errore).
La disposizione testamentaria può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse quando è l'effetto di errore, di violenza o di dolo.
L'errore sul motivo, sia esso di fatto o di diritto, è causa di annullamento della disposizione testamentaria, quando il motivo risulta dal testamento ed è il solo che ha determinato il testatore a disporre.
L'azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui si è avuta notizia della violenza, del dolo o dell'errore.
Art. 625.
(Erronea indicazione dell'erede o del legatario o della cosa che forma oggetto della disposizione).
Se la persona dell'erede o del legatario è stata erroneamente indicata, la disposizione ha effetto, quando dal contesto del testamento o altrimenti risulta in modo non equivoco quale persona il testatore voleva nominare.
La disposizione ha effetto anche quando la cosa che forma oggetto della disposizione è stata erroneamente indicata o descritta, ma è certo a quale cosa il testatore intendeva riferirsi.
Art. 626.
(Motivo illecito).
Il motivo illecito rende nulla la disposizione testamentaria, quando risulta dal testamento ed è il solo che ha determinato il testatore a disporre.
Art. 627.
(Disposizione fiduciaria).
Non è ammessa azione in giudizio per accertare che le disposizioni fatte a favore di persona dichiarata nel testamento sono soltanto apparenti e che in realtà riguardano altra persona, anche se espressioni del testamento possono indicare o far presumere che si tratta di persona interposta.
Tuttavia la persona dichiarata nel testamento, se ha spontaneamente eseguito la disposizione fiduciaria trasferendo i beni alla persona voluta dal testatore, non può agire per la ripetizione, salvo che sia un incapace.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano al caso in cui l'istituzione o il legato sono impugnati come fatti per interposta persona a favore d'incapaci a ricevere.
Art. 628.
(Disposizione a favore di persona incerta).
E` nulla ogni disposizione fatta a favore di persona che sia indicata in modo da non poter essere determinata.
Art. 629.
(Disposizioni a favore dell'anima).
Le disposizioni a favore dell'anima sono valide qualora siano determinati i beni o possa essere determinata la somma da impiegarsi a tale fine.
Esse si considerano come un onere a carico dell'erede o del legatario, e si applica l'art. 648.
Il testatore può designare una persona che curi la esecuzione della disposizione, anche nel caso in cui manchi un interessato a richiedere l'adempimento.
Art. 630.
(Disposizioni a favore dei poveri).
Le disposizioni a favore dei poveri e altre simili, espresse genericamente, senza che si determini l'uso o il pubblico istituto a cui beneficio sono fatte, s'intendono fatte in favore dei poveri del luogo in cui il testatore aveva il domicilio al tempo della sua morte, e i beni sono devoluti all'ente comunale di assistenza.
La precedente disposizione si applica anche quando la persona incaricata dal testatore di determinare l'uso o il pubblico istituto non può o non vuole accettare l'incarico.
Art. 631.
(Disposizioni rimesse all'arbitrio del terzo).
E` nulla ogni disposizione testamentaria con la quale si fa dipendere dall'arbitrio di un terzo l'indicazione dell'erede o del legatario, ovvero la determinazione della quota di eredità.
Tuttavia è valida la disposizione a titolo particolare in favore di persona da scegliersi dall'onerato o da un terzo tra più persone determinate dal testatore o appartenenti a famiglie o categorie di persone da lui determinate, ed è pure valida la disposizione a titolo particolare a favore di uno tra più enti determinati del pari dal testatore. Se sono indicate più persone in modo alternativo e non è stabilito chi deve fare la scelta, questa si considera lasciata all'onerato.
Se l'onerato o il terzo non può o non vuole fare la scelta, questa è fatta con decreto dal presidente del tribunale del luogo in cui si è aperta la successione, dopo avere assunto le opportune informazioni.
Art. 632.
(Determinazione di legato per arbitrio altrui).
E` nulla la disposizione che lascia al mero arbitrio dell'onerato o di un terzo di determinare l'oggetto o la quantità del legato.
Sono validi i legati fatti a titolo di rimunerazione per i servizi prestati al testatore, anche se non ne sia indicato l'oggetto o la quantità.
Sezione II. -
Delle disposizioni condizionali, a termine e modali.
Art. 633.
(Condizione sospensiva o risolutiva).
Le disposizioni a titolo universale o particolare possono farsi sotto condizione sospensiva o risolutiva.
Art. 634.
(Condizioni impossibili o illecite).
Nelle disposizioni testamentarie si considerano non apposte le condizioni impossibili e quelle contrarie a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume, salvo quanto è stabilito dall'art. 626.
Art. 635.
(Condizione di reciprocità).
E` nulla la disposizione a titolo universale o particolare fatta dal testatore a condizione di essere a sua volta avvantaggiato nel testamento dell'erede o del legatario.
Art. 636.
(Divieto di nozze).
E` illecita la condizione che impedisce le prime nozze o le ulteriori.
Tuttavia il legatario di usufrutto o di uso, di abitazione o di pensione, o di altra prestazione periodica per il caso o per il tempo del celibato o della vedovanza, non può goderne che durante il celibato o la vedovanza.
Art. 637.
(Termine).
Si considera non apposto a una disposizione a titolo universale il termine dal quale l'effetto di essa deve cominciare o cessare.
Art. 638.
(Condizione di non fare o di non dare).
Se il testatore ha disposto sotto la condizione che l'erede o il legatario non faccia o non dia qualche cosa per un tempo indeterminato, la disposizione si considera fatta sotto condizione risolutiva, salvo che dal testamento risulti una contraria volontà del testatore.
Art. 639.
(Garanzia in caso di condizione risolutiva).
Se la disposizione testamentaria è sottoposta a condizione risolutiva, l'autorità giudiziaria, qualora ne ravvisi l'opportunità, può imporre all'erede o al legatario di prestare idonea garanzia a favore di coloro ai quali l'eredità o il legato dovrebbe devolversi nel caso che la condizione si avverasse.
Art. 640.
(Garanzia in caso di legato sottoposto a condizione sospensiva o a termine).
Se a taluno è lasciato un legato sotto condizione sospensiva o dopo un certo tempo, l'onerato può essere costretto a dare idonea garanzia al legatario, salvo che il testatore abbia diversamente disposto.
La garanzia può essere imposta anche al legatario quando il legato è a termine finale.
Art. 641.
(Amministrazione in caso di condizione sospensiva o di mancata prestazione di garanzia).
Qualora l'erede sia istituito sotto condizione sospensiva, finchè questa condizione non si verifica o non è certo che non si può più verificare, è dato all'eredità un amministratore.
Vale la stessa norma anche nel caso in cui l'erede o il legatario non adempie l'obbligo di prestare la garanzia prevista dai due articoli precedenti.
Art. 642.
(Persone a cui spetta l'amministrazione).
L'amministrazione spetta alla persona a cui favore è stata disposta la sostituzione, ovvero al coerede o ai coeredi, quando tra essi e l'erede condizionale vi è il diritto di accrescimento.
Se non è prevista la sostituzione o non vi sono coeredi a favore dei quali abbia luogo il diritto di accrescimento, l'amministrazione spetta al presunto erede legittimo.
In ogni caso l'autorità giudiziaria, quando concorrono giusti motivi, può provvedere altrimenti.
Art. 643.
(Amministrazione in caso di eredi nascituri).
Le disposizioni dei due precedenti articoli si applicano anche nel caso in cui sia chiamato a succedere un non concepito, figlio di una determinata persona vivente. A questa spetta la rappresentanza del nascituro, per la tutela dei suoi diritti successori, anche quando l'amministratore dell'eredità è una persona diversa.
Se è chiamato un concepito, l'amministrazione spetta al padre e, in mancanza di questo, alla madre.
Art. 644.
(Obblighi e facoltà degli amministratori).
Agli amministratori indicati dai precedenti articoli sono comuni le regole che si riferiscono ai curatori dell'eredità giacente.
Art. 645.
(Condizione sospensiva potestativa senza termine).
Se la condizione apposta all'istituzione di erede o al legato è sospensiva potestativa e non è indicato il termine per l'adempimento, gli interessati possono adire l'autorità giudiziaria perchè fissi questo termine.
Art. 646.
(Retroattività della condizione).
L'adempimento della condizione ha effetto retroattivo; ma l'erede o il legatario, nel caso di condizione risolutiva, non è tenuto a restituire i frutti se non dal giorno in cui la condizione si è verificata. L'azione per la restituzione dei frutti si prescrive in cinque anni.
Art. 647.
(Onere).
Tanto all'istituzione di erede quanto al legato può essere apposto un onere.
Se il testatore non ha diversamente disposto, l'autorità giudiziaria, qualora ne ravvisi l'opportunità, può imporre all'erede o al legatario gravato dall'onere una cauzione.
L'onere impossibile o illecito si considera non apposto; rende tuttavia nulla la disposizione, se ne ha costituito il solo motivo determinante.
Art. 648.
(Adempimento dell'onere).
Per l'adempimento dell'onere può agire qualsiasi interessato.
Nel caso d'inadempimento dell'onere, l'autorità giudiziaria può pronunziare la risoluzione della disposizione testamentaria, se la risoluzione è stata prevista dal testatore, o se l'adempimento dell'onere ha costituito il solo motivo determinante della disposizione.
Sezione III. -
Dei legati.
Art. 649.
(Acquisto del legato).
Il legato si acquista senza bisogno di accettazione, salva la facoltà di rinunziare.
Quando oggetto del legato è la proprietà di una cosa determinata o altro diritto appartenente al testatore, la proprietà o il diritto si trasmette dal testatore al legatario al momento della morte del testatore.
Il legatario però deve domandare all'onerato il possesso della cosa legata, anche quando ne è stato espressamente dispensato dal testatore.
Art. 650.
(Fissazione di un termine per la rinunzia).
Chiunque ha interesse può chiedere che l'autorità giudiziaria fissi un termine entro il quale il legatario dichiari se intende esercitare la facoltà di rinunziare. Trascorso questo termine senza che abbia fatto alcuna dichiarazione, il legatario perde il diritto di rinunziare.
Art. 651.
(Legato di cosa dell'onerato o di un terzo).
Il legato di cosa dell'onerato o di un terzo è nullo, salvo che dal testamento o da altra dichiarazione scritta dal testatore risulti che questi sapeva che la cosa legata apparteneva all'onerato o al terzo. In quest'ultimo caso l'onerato è obbligato ad acquistare la proprietà della cosa dal terzo e a trasferirla al legatario, ma è in sua facoltà di pagarne al legatario il giusto prezzo.
Se però la cosa legata, pur appartenendo ad altri al tempo del testamento, si trova in proprietà del testatore al momento della sua morte, il legato è valido.
Art. 652.
(Legato di cosa solo in parte del testatore).
Se al testatore appartiene una parte della cosa legata o un diritto sulla medesima, il legato è valido solo relativamente a questa parte o a questo diritto, salvo che risulti la volontà del testatore di legare la cosa per intero, in conformità dell'articolo precedente.
Art. 653.
(Legato di cosa genericamente determinata).
E` valido il legato di cosa determinata solo nel genere, anche se nessuna del genere ve n'era nel patrimonio del testatore al tempo del testamento e nessuna se ne trova al tempo della morte.
Art. 654.
(Legato di cosa non esistente nell'asse).
Quando il testatore ha lasciato una sua cosa particolare, o una cosa determinata soltanto nel genere da prendersi dal suo patrimonio, il legato non ha effetto se la cosa non si trova nel patrimonio del testatore al tempo della sua morte.
Se la cosa si trova nel patrimonio del testatore al tempo della sua morte, ma non nella quantità determinata, il legato ha effetto per la quantità che vi si trova.
Art. 655.
(Legato di cosa da prendersi da certo luogo).
Il legato di cose da prendersi da certo luogo ha effetto soltanto se le cose vi si trovano, e per la parte che vi si trova; ha tuttavia effetto per l'intero quando, alla morte del testatore, le cose non vi si trovano, in tutto o in parte, perchè erano state rimosse temporaneamente dal luogo in cui di solito erano custodite.
Art. 656.
(Legato di cosa del legatario).
Il legato di cosa che al tempo in cui fu fatto il testamento era già di proprietà del legatario è nullo, se la cosa si trova in proprietà di lui anche al tempo dell'apertura della successione.
Se al tempo dell'apertura della successione la cosa si trova in proprietà del testatore, il legato è valido, ed è altresì valido se in questo tempo la cosa si trova in proprietà dell'onerato o di un terzo, e dal testamento risulta che essa fu legata in previsione di tale avvenimento.
Art. 657.
(Legato di cosa acquistata dal legatario).
Se il legatario, dopo la confezione del testamento, ha acquistato dal testatore, a titolo oneroso o a titolo gratuito, la cosa a lui legata, il legato è senza effetto in conformità dell'art. 686.
Se dopo la confezione del testamento la cosa legata è stata dal legatario acquistata, a titolo gratuito, dall'onerato o da un terzo, il legato è senza effetto; se l'acquisto ha avuto luogo a titolo oneroso, il legatario ha diritto al rimborso del prezzo, qualora ricorrano le circostanze indicate dall'art. 651.
Art. 658.
(Legato di credito o di liberazione da debito).
Il legato di un credito o di liberazione da un debito ha effetto per la sola parte del credito o del debito che sussiste al tempo della morte del testatore.
L'erede è soltanto tenuto a consegnare al legatario i titoli del credito legato che si trovavano presso il testatore.
Art. 659.
(Legato a favore del creditore).
Se il testatore, senza fare menzione del debito, fa un legato al suo creditore, il legato non si presume fatto per soddisfare il legatario del suo credito.
Art. 660.
(Legato di alimenti).
Il legato di alimenti, a favore di chiunque sia fatto, comprende le somministrazioni indicate dall'art. 438, salvo che il testatore abbia altrimenti disposto.
Art. 661.
(Prelegato).
Il legato a favore di uno dei coeredi e a carico di tutta l'eredità si considera come legato per l'intero ammontare.
Art. 662.
(Onere della prestazione del legato).
Il testatore può porre la prestazione del legato a carico degli eredi ovvero a carico di uno o più legatari. Quando il testatore non ha disposto, alla prestazione sono tenuti gli eredi.
Su ciascuno dei diversi onerati il legato grava in proporzione della rispettiva quota ereditaria o del legato, se il testatore non ha diversamente disposto.
Art. 663.
(Legato imposto a un solo erede).
Se l'obbligo di adempiere il legato è stato particolarmente imposto a uno degli eredi, questi solo è tenuto a soddisfarlo.
Se è stata legata una cosa propria di un coerede, i coeredi sono tenuti a compensarlo del valore di essa con danaro o con beni ereditari, in proporzione della loro quota ereditaria, quando non consta una contraria volontà del testatore.
Art. 664.
(Adempimento del legato in genere).
Nel legato di cosa determinata soltanto nel genere, la scelta, quando dal testatore non è affidata al legatario o a un terzo, spetta all'onerato. Questi è obbligato a dare cose di qualità non inferiore alla media: ma se nel patrimonio ereditario vi è una sola delle cose appartenenti al genere indicato, l'onerato non ha facoltà nè può essere obbligato a prestarne un'altra, salvo espressa disposizione contraria del testatore.
Se la scelta è lasciata dal testatore al legatario o a un terzo, questi devono scegliere una cosa di media qualità; ma se cose del genere indicato si trovano nell'eredità, il legatario può scegliere la migliore.
Se il terzo non può o non vuole fare la scelta, questa è fatta a norma del terzo comma dell'art. 631.
Art. 665.
(Scelta nel legato alternativo).
Nel legato alternativo la scelta spetta all'onerato, a meno che il testatore l'abbia lasciata al legatario o a un terzo.
Art. 666.
(Trasmissione all'erede della facoltà di scelta).
Tanto nel legato di genere quanto in quello alternativo, se l'onerato o il legatario a cui compete la scelta non ha potuto farla, la facoltà di scegliere si trasmette al suo erede.
La scelta fatta è irretrattabile.
Art. 667.
(Accessioni della cosa legata).
La cosa legata, con tutte le sue pertinenze, deve essere prestata al legatario nello stato in cui si trova al tempo della morte del testatore.
Se è stato legato un fondo, sono comprese nel legato anche le costruzioni fatte nel fondo, sia che esistessero già al tempo della confezione del testamento, sia che non esistessero, salva in ogni caso l'applicabilità del secondo comma dell'art. 686.
Se il fondo legato è stato accresciuto con acquisti posteriori, questi sono dovuti al legatario, purchè siano contigui al fondo e costituiscano con esso una unità economica.
Art. 668.
(Adempimento del legato).
Se la cosa legata è gravata da una servitù, da un canone o da altro onere inerente al fondo, ovvero da una rendita fondiaria, il peso ne è sopportato dal legatario.
Se la cosa legata è vincolata per una rendita semplice, un censo o altro debito dell'eredità, o anche di un terzo, l'erede è tenuto al pagamento delle annualità o degli interessi e della somma principale, secondo la natura del debito, qualora il testatore non abbia diversamente disposto.
Art. 669.
(Frutti della cosa legata).
Se oggetto del legato è una cosa fruttifera, appartenente al testatore al momento della sua morte, i frutti o gli interessi sono dovuti al legatario da questo momento.
Se la cosa appartiene all'onerato o a un terzo, ovvero se si tratta di cosa determinata per genere o quantità, i frutti o gli interessi sono dovuti dal giorno della domanda giudiziale o dal giorno in cui la prestazione del legato è stata promessa, salvo che il testatore abbia diversamente disposto.
Art. 670.
(Legato di prestazioni periodiche).
Se è stata legata una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, da prestarsi a termini periodici, il primo termine decorre dalla morte del testatore, e il legatario acquista il diritto a tutta la prestazione dovuta per il termine in corso, ancorchè fosse in vita soltanto al principio di esso. Il legato però non può esigersi se non dopo scaduto il termine.
Si può tuttavia esigere all'inizio del termine il legato a titolo di alimenti.
Art. 671.
(Legati e oneri a carico del legatario).
Il legatario è tenuto all'adempimento del legato e di ogni altro onere a lui imposto entro i limiti del valore della cosa legata.
Art. 672.
(Spese per la prestazione del legato).
Le spese per la prestazione del legato sono a carico dell'onerato.
Art. 673.
(Perimento della cosa legata. Impossibilità della prestazione).
Il legato non ha effetto se la cosa legata è interamente perita durante la vita del testatore.
L'obbligazione dell'onerato si estingue se, dopo la morte del testatore, la prestazione è divenuta impossibile per causa a lui non imputabile.
Sezione IV. -
Del diritto di accrescimento.
Art. 674.
(Accrescimento tra coeredi).
Quando più eredi sono stati istituiti con uno stesso testamento nell'universalità dei beni, senza determinazione di parti o in parti uguali, anche se determinate, qualora uno di essi non possa o non voglia accettare, la sua parte si accresce agli altri.
Se più eredi sono stati istituiti in una stessa quota, l'accrescimento ha luogo a favore degli altri istituti nella quota medesima.
L'accrescimento non ha luogo quando dal testamento risulta una diversa volontà del testatore.
E` salvo in ogni caso il diritto di rappresentazione.
Art. 675.
(Accrescimento tra collegatari).
L'accrescimento ha luogo anche tra più legatari ai quali è stato legato uno stesso oggetto, salvo che dal testamento risulti una diversa volontà e salvo sempre il diritto di rappresentazione.
Art. 676.
(Effetti dell'accrescimento).
L'acquisto per accrescimento ha luogo di diritto.
I coeredi o i legatari, a favore dei quali si verifica l'accrescimento, subentrano negli obblighi a cui era sottoposto l'erede o il legatario mancante, salvo che si tratti di obblighi di carattere personale.
Art. 677.
(Mancanza di accrescimento).
Se non ha luogo l'accrescimento, la porzione dell'erede mancante si devolve agli eredi legittimi, e la porzione del legatario mancante va a profitto dell'onerato.
Gli eredi legittimi e l'onerato subentrano negli obblighi che gravavano sull'erede o sul legatario mancante, salvo che si tratti di obblighi di carattere personale.
Le disposizioni precedenti si applicano anche nel caso di risoluzione di disposizioni testamentarie per inadempimento dell'onere.
Art. 678.
(Accrescimento nel legato di usufrutto).
Quando a più persone è legato un usufrutto in modo che tra di loro vi sia il diritto di accrescimento, l'accrescimento ha luogo anche quando una di esse viene a mancare dopo conseguito il possesso della cosa su cui cade l'usufrutto.
Se non vi è diritto di accrescimento, la porzione del legatario mancante si consolida con la proprietà.
Sezione V. -
Della revocazione delle disposizioni testamentarie.
Art. 679.
(Revocabilità del testamento).
Non si può in alcun modo rinunziare alla facoltà di revocare o mutare le disposizioni testamentarie: ogni clausola o condizione contraria non ha effetto.
Art. 680.
(Revocazione espressa).
La revocazione espressa può farsi soltanto con un nuovo testamento, o con un atto ricevuto da notaio in presenza di due testimoni, in cui il testatore personalmente dichiara di revocare, in tutto o in parte, la disposizione anteriore.
Art. 681.
(Revocazione della revocazione).
La revocazione totale o parziale di un testamento può essere a sua volta revocata sempre con le forme stabilite dall'articolo precedente. In tal caso rivivono le disposizioni revocate.
Art. 682.
(Testamento posteriore).
Il testamento posteriore, che non revoca in modo espresso i precedenti, annulla in questi soltanto le disposizioni che sono con esso incompatibili.
Art. 683.
(Testamento posteriore inefficace).
La revocazione fatta con un testamento posteriore conserva la sua efficacia anche quando questo rimane senza effetto perchè l'erede istituito o il legatario è premorto al testatore, o è incapace o indegno, ovvero ha rinunziato all'eredità o al legato.
Art. 684.
(Distruzione del testamento olografo).
Il testamento olografo distrutto, lacerato o cancellato, in tutto o in parte, si considera in tutto o in parte revocato, a meno che si provi che fu distrutto, lacerato o cancellato da persona diversa dal testatore, ovvero si provi che il testatore non ebbe l'intenzione di revocarlo.
Art. 685.
(Effetti del ritiro del testamento segreto).
Il ritiro del testamento segreto, a opera del testatore, dalle mani del notaio o dell'archivista presso cui si trova depositato, non importa revocazione del testamento quando la scheda testamentaria può valere come testamento olografo.
Art. 686.
(Alienazione e trasformazione della cosa legata).
L'alienazione che il testatore faccia della cosa legata o di parte di essa, anche mediante vendita con patto di riscatto, revoca il legato riguardo a ciò che è stato alienato, anche quando l'alienazione è annullabile per cause diverse dai vizi del consenso, ovvero la cosa ritorna in proprietà del testatore.
Lo stesso avviene se il testatore ha trasformato la cosa legata in un'altra, in guisa che quella abbia perduto la precedente forma e la primitiva denominazione.
E` ammessa la prova di una diversa volontà del testatore.
Art. 687.
(Revocazione per sopravvenienza di figli).
Le disposizioni a titolo universale o particolare, fatte da chi al tempo del testamento non aveva o ignorava di aver figli o discendenti, sono revocate di diritto per l'esistenza o la sopravvenienza di un figlio o discendente legittimo del testatore, benchè postumo, o legittimato o adottivo, ovvero per il riconoscimento di un figlio naturale.
La revocazione ha luogo anche se il figlio è stato concepito al tempo del testamento, e, trattandosi di figlio naturale legittimato, anche se è già stato riconosciuto dal testatore prima del testamento e soltanto in seguito legittimato.
La revocazione non ha invece luogo qualora il testatore abbia provveduto al caso che esistessero o sopravvenissero figli o discendenti da essi.
Se i figli o discendenti non vengono alla successione e non si fa luogo a rappresentazione, la disposizione ha il suo effetto.
Capo VI. -
Delle sostituzioni.
Sezione I. -
Della sostituzione ordinaria.
Art. 688.
(Casi di sostituzione ordinaria).
Il testatore può sostituire all'erede istituito altra persona per il caso che il primo non possa o non voglia accettare l'eredità.
Se il testatore ha disposto per uno solo di questi casi, si presume che egli si sia voluto riferire anche a quello non espresso, salvo che consti una sua diversa volontà.
Art. 689.
(Sostituzione plurima. Sostituzione reciproca).
Possono sostituirsi più persone a una sola e una sola a più.
La sostituzione può anche essere reciproca tra i coeredi istituiti. Se essi sono stati istituiti in parti disuguali, la proporzione fra le quote fissate nella prima istituzione si presume ripetuta anche nella sostituzione. Se nella sostituzione insieme con gli istituti è chiamata un'altra persona, la quota vacante viene divisa in parti uguali tra tutti i sostituiti.
Art. 690.
(Obblighi dei sostituti).
I sostituiti devono adempiere gli obblighi imposti agli istituiti, a meno che una diversa volontà sia stata espressa dal testatore o si tratti di obblighi di carattere personale.
Art. 691.
(Sostituzione ordinaria nei legati).
Le norme stabilite in questa sezione si applicano anche ai legati.
Sezione II. -
Della sostituzione fedecommissaria.
Art. 692.
(Limiti).
E` valida la disposizione con la quale il testatore impone al proprio figlio l'obbligo di conservare e restituire alla sua morte in tutto o in parte i beni costituenti la disponibile a favore di tutti i figli nati e nascituri dall'istituito o a favore di un ente pubblico.
E` valida ugualmente la disposizione che importa a carico di un fratello o di una sorella del testatore l'obbligo di conservare e restituire i beni ad essi lasciati a favore di tutti i figli nati e nascituri da essi o a favore di un ente pubblico.
In ogni altro caso la sostituzione è nulla.
E` parimenti nulla ogni disposizione con la quale il testatore proibisce all'erede di disporre per atto tra vivi o per atto di ultima volontà dei beni ereditari.
Art. 693.
(Diritti e obblighi dell'istituito).
L'istituito ha il godimento e la libera amministrazione dei beni che formano oggetto della sostituzione, e può stare in giudizio per tutte le azioni relative ai beni medesimi. Egli può altresì compiere tutte le innovazioni dirette ad una migliore utilizzazione dei beni.
All'istituito sono comuni, in quanto applicabili, le norme concernenti l'usufruttuario.
Se l'istituito trascura di osservare i propri obblighi, l'autorità giudiziaria può nominare, anche d'ufficio, un amministratore.
Art. 694.
(Alienazione dei beni).
L'autorità giudiziaria può consentire l'alienazione dei beni che formano oggetto della sostituzione in caso di utilità evidente, disponendo il reimpiego delle somme ricavate. Può anche essere consentita, con le necessarie cautele, la costituzione d'ipoteche sui beni medesimi a garanzia di crediti destinati a miglioramenti e trasformazioni fondiarie.
Art. 695.
(Diritti dei creditori personali dell'istituito).
I creditori personali dell'istituito possono agire soltanto sui frutti dei beni che formano oggetto della sostituzione.
Art. 696.
(Devoluzione al sostituito).
L'eredità si devolve al sostituito al momento della morte dell'istituito.
Se la sostituzione è a favore dei figli dell'istituito e questi muore senza lasciare prole, i beni si trasmettono ai suoi successori legittimi o testamentari.
Se la sostituzione è a favore di un ente pubblico e questo si estingue prima della morte dell'istituito, questi acquista definitivamente la proprietà dei beni.
Se l'istituito premuore al testatore o è incapace o indegno o rinunzia, l'eredità si devolve al sostituito, con effetto dal momento della morte del testatore.
Art. 697.
(Sostituzione fedecommissaria nei legati).
Le norme stabilite in questa sezione sono applicabili anche ai legati.
Art. 698.
(Usufrutto successivo).
La disposizione, con la quale è lasciato a più persone successivamente l'usufrutto, una rendita o un'annualità, ha valore soltanto a favore di quelli che alla morte del testatore si trovano primi chiamati a goderne.
Art. 699.
(Premi di nuzialità, opere di assistenza e simili).
E` valida la disposizione testamentaria avente per oggetto l'erogazione periodica, in perpetuo o a tempo, di somme determinate per premi di nuzialità o di natalità, sussidi per l'avviamento a una professione o a un'arte, opere di assistenza, o per altri fini di pubblica utilità, a favore di persone da scegliersi entro una determinata categoria o tra i discendenti di determinate famiglie. Tali annualità possono riscattarsi secondo le norme dettate in materia di rendita.
Capo VII.
Degli esecutori testamentari.
Art. 700.
(Facoltà di nomina e di sostituzione).
Il testatore può nominare uno o più esecutori testamentari e, per il caso che alcuni o tutti non vogliano o non possano accettare, altro o altri in loro sostituzione.
Se sono nominati più esecutori testamentari, essi devono agire congiuntamente, salvo che il testatore abbia diviso tra loro le attribuzioni, o si tratti di provvedimento urgente per la conservazione di un bene o di un diritto ereditario.
Il testatore può autorizzare l'esecutore testamentario a sostituire altri a se stesso, qualora egli non possa continuare nell'ufficio.
Art. 701.
(Persone capaci di essere nominate).
Non possono essere nominati esecutori testamentari coloro che non hanno la piena capacità di obbligarsi.
Anche un erede o un legatario può essere nominato esecutore testamentario.
Art. 702.
(Accettazione e rinunzia alla nomina).
L'accettazione della nomina di esecutore testamentario o la rinunzia alla stessa deve risultare da dichiarazione fatta nella cancelleria della pretura nella cui giurisdizione si è aperta la successione, e deve essere annotata nel registro delle successioni.
L'accettazione non può essere sottoposta a condizione o a termine.
L'autorità giudiziaria, su istanza di qualsiasi interessato, può assegnare all'esecutore un termine per l'accettazione, decorso il quale l'esecutore si considera rinunziante.
Art. 703.
(Funzioni dell'esecutore testamentario).
L'esecutore testamentario deve curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto.
A tal fine, salvo contraria volontà del testatore, egli deve amministrare la massa ereditaria, prendendo possesso dei beni che ne fanno parte.
Il possesso non può durare più di un anno dalla dichiarazione di accettazione, salvo che l'autorità giudiziaria, per motivi di evidente necessità, sentiti gli eredi, ne prolunghi la durata, che non potrà mai superare un altro anno.
L'esecutore deve amministrare come un buon padre di famiglia e può compiere tutti gli atti di gestione occorrenti. Quando è necessario alienare beni dell'eredità, ne chiede l'autorizzazione all'autorità giudiziaria, la quale provvede sentiti gli eredi.
Qualsiasi atto dell'esecutore testamentario non pregiudica il diritto del chiamato a rinunziare all'eredità o ad accettarla col beneficio d'inventario.
Art. 704.
(Rappresentanza processuale).
Durante la gestione dell'esecutore testamentario, le azioni relative all'eredità devono essere proposte anche nei confronti dell'esecutore. Questi ha facoltà d'intervenire nei giudizi promossi dall'erede e può esercitare le azioni relative all'esercizio del suo ufficio.
Art. 705.
(Apposizione di sigilli e inventario).
L'esecutore testamentario fa apporre i sigilli quando tra i chiamati all'eredità vi sono minori, assenti, interdetti o persone giuridiche.
Egli in tal caso fa redigere l'inventario dei beni dell'eredità in presenza dei chiamati all'eredità o dei loro rappresentanti, o dopo averli invitati.
Art. 706.
(Divisione da compiersi dall'esecutore testamentario).
Il testatore può disporre che l'esecutore testamentario, quando non è un erede o un legatario, proceda alla divisione tra gli eredi dei beni dell'eredità. In questo caso si osserva il disposto dell'art. 733.
Prima di procedere alla divisione l'esecutore testamentario deve sentire gli eredi.
Art. 707.
(Consegna dei beni all'erede).
L'esecutore testamentario deve consegnare all'erede, che ne fa richiesta, i beni dell'eredità che non sono necessari all'esercizio del suo ufficio.
Egli non può rifiutare tale consegna a causa di obbligazioni che debba adempiere conformemente alla volontà del testatore, o di legati condizionali o a termine, se l'erede dimostra di averli già soddisfatti, od offre idonea garanzia per l'adempimento delle obbligazioni, dei legati o degli oneri.
Art. 708.
(Disaccordo tra più esecutori testamentari).
Se gli esecutori che devono agire congiuntamente non sono d'accordo circa un atto del loro ufficio, provvede l'autorità giudiziaria, sentiti, se occorre, gli eredi.
Art. 709.
(Conto della gestione).
L'esecutore testamentario deve rendere il conto della sua gestione al termine della stessa, e anche spirato l'anno della morte del testatore, se la gestione si prolunga oltre l'anno.
Egli è tenuto, in caso di colpa, al risarcimento dei danni verso gli eredi e verso i legatari.
Gli esecutori testamentari, quando sono più, rispondono solidalmente per la gestione comune.
Il testatore non può esonerare l'esecutore testamentario dall'obbligo di rendere il conto o dalla responsabilità della gestione.
Art. 710.
(Esonero dell'esecutore testamentario).
Su istanza di ogni interessato, l'autorità giudiziaria può esonerare l'esecutore testamentario dal suo ufficio per gravi irregolarità nell'adempimento dei suoi obblighi, per inidoneità all'ufficio o per aver commesso azione che ne menomi la fiducia.
L'autorità giudiziaria, prima di provvedere, deve sentire l'esecutore e può disporre opportuni accertamenti.
Art. 711.
(Retribuzione).
L'ufficio dell'esecutore testamentario è gratuito. Tuttavia il testatore può stabilire una retribuzione a carico dell'eredità.
Art. 712.
(Spese).
Le spese fatte dall'esecutore testamentario per l'esercizio del suo ufficio sono a carico dell'eredità.
Titolo IV.
Della divisione
Capo I.
Disposizioni generali.
Art. 713.
(Facoltà di domandare la divisione).
I coeredi possono sempre domandare la divisione.
Quando però tutti gli eredi istituiti o alcuni di essi sono minori di età, il testatore può disporre che la divisione non abbia luogo prima che sia trascorso un anno dalla maggiore età dell'ultimo nato.
Egli può anche disporre che la divisione dell'eredità o di alcuni beni di essa non abbia luogo prima che sia trascorso dalla sua morte un termine non eccedente il quinquennio.
Tuttavia in ambedue i casi l'autorità giudiziaria, qualora gravi circostanze lo richiedano, può, su istanza di uno o più coeredi, consentire che la divisione si effettui senza indugio o dopo un termine minore di quello stabilito dal testatore.
Art. 714.
(Godimento separato di parte dei beni).
Può domandarsi la divisione anche quando uno o più coeredi hanno goduto separatamente parte dei beni ereditari, salvo che si sia verificata l'usucapione per effetto di possesso esclusivo.
Art. 715.
(Casi d'impedimento alla divisione).
Se tra i chiamati alla successione vi è un concepito, la divisione non può aver luogo prima della nascita del medesimo. Parimenti la divisione non può aver luogo durante la pendenza di un giudizio sulla legittimità o sulla filiazione naturale di colui che, in caso di esito favorevole del giudizio, sarebbe chiamato a succedere, nè può aver luogo durante lo svolgimento della procedura amministrativa per l'ammissione del riconoscimento previsto dal quarto comma dell'art. 252 o per il riconoscimento dell'ente istituito erede.
L'autorità giudiziaria può tuttavia autorizzare la divisione, fissando le opportune cautele.
La disposizione del comma precedente si applica anche se tra i chiamati alla successione vi sono nascituri non concepiti.
Se i nascituri non concepiti sono istituiti senza determinazione di quote, l'autorità giudiziaria può attribuire agli altri coeredi tutti i beni ereditari o parte di essi, secondo le circostanze, disponendo le opportune cautele nell'interesse dei nascituri.
Art. 716.
(Divisione di beni costituiti in patrimonio familiare).
Nella divisione dei beni ereditari non si possono comprendere i beni costituenti il patrimonio familiare prima che tutti i figli abbiano raggiunta la maggiore età, salvo il caso previsto dal secondo comma dell'articolo 175.
Art. 717.
(Sospensione della divisione per ordine del giudice).
L'autorità giudiziaria, su istanza di uno dei coeredi, può sospendere, per un periodo di tempo non eccedente i cinque anni, la divisione dell'eredità o di alcuni beni, qualora l'immediata sua esecuzione possa recare notevole pregiudizio al patrimonio ereditario.
Art. 718.
(Diritto ai beni in natura).
Ciascun coerede può chiedere la sua parte in natura dei beni mobili e immobili dell'eredità, salve le disposizioni degli articoli seguenti.
Art. 719.
(Vendita dei beni per il pagamento dei debiti ereditari).
Se i coeredi aventi diritto a più della metà dell'asse concordano nella necessità della vendita per il pagamento dei debiti e pesi ereditari, si procede alla vendita all'incanto dei beni mobili e, se occorre, di quei beni immobili la cui alienazione rechi minor pregiudizio agli interessi dei condividenti.
Quando concorre il consenso di tutte le parti, la vendita può seguire tra i soli condividenti e senza pubblicità, salvo che vi sia opposizione dei legatari o dei creditori.
Art. 720.
(Immobili non divisibili).
Se nell'eredità vi sono immobili non comodamente divisibili, o il cui frazionamento recherebbe pregiudizio alle ragioni della pubblica economia o dell'igiene, e la divisione dell'intera sostanza non può effettuarsi senza il loro frazionamento, essi devono preferibilmente essere compresi per intero, con addebito dell'eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o anche nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l'attribuzione. Se nessuno dei coeredi è a ciò disposto, si fa luogo alla vendita all'incanto.
Art. 721.
(Vendita degli immobili).
I patti e le condizioni della vendita degli immobili, qualora non siano concordati dai condividenti, sono stabiliti dall'autorità giudiziaria.
Art. 722.
(Beni indivisibili nell'interesse della produzione nazionale).
In quanto non sia diversamente disposto dalle leggi speciali, le disposizioni dei due articoli precedenti si applicano anche nel caso in cui nell'eredità vi sono beni che la legge dichiara indivisibili nell'interesse della produzione nazionale.
Art. 723.
(Resa dei conti).
Dopo la vendita, se ha avuto luogo, dei mobili e degli immobili si procede ai conti che i condividenti si devono rendere, alla formazione dello stato attivo e passivo dell'eredità e alla determinazione delle porzioni ereditarie e dei conguagli o rimborsi che si devono tra loro i condividenti.
Art. 724.
(Collazione e imputazione).
I coeredi tenuti a collazione, a norma del capo II di questo titolo, conferiscono tutto ciò che è stato loro donato.
Ciascun erede deve imputare alla sua quota le somme di cui era debitore verso il defunto e quelle di cui è debitore verso i coeredi in dipendenza dei rapporti di comunione.
Art. 725.
(Prelevamenti).
Se i beni donati non sono conferiti in natura, o se vi sono debiti da imputare alla quota di un erede a norma del secondo comma dell'articolo precedente, gli altri eredi prelevano dalla massa ereditaria beni in proporzione delle loro rispettive quote.
I prelevamenti, per quanto è possibile, si formano con oggetti della stessa natura e qualità di quelli che non sono stati conferiti in natura.
Art. 726.
(Stima e formazione delle parti).
Fatti i prelevamenti, si provvede alla stima di ciò che rimane nella massa, secondo il valore venale dei singoli oggetti.
Eseguita la stima, si procede alla formazione di tante porzioni quanti sono gli eredi o le stirpi condividenti in proporzione delle quote.
Art. 727.
(Norme per la formazione delle porzioni).
Salvo quanto è disposto dagli articoli 720 e 722, le porzioni devono essere formate, previa stima dei beni, comprendendo una quantità di mobili, immobili e crediti di eguale natura e qualità, in proporzione dell'entità di ciascuna quota.
Si deve tuttavia evitare, per quanto è possibile, il frazionamento delle biblioteche, gallerie e collezioni che hanno un'importanza storica, scientifica o artistica.
Art. 728.
(Conguagli in danaro).
L'ineguaglianza in natura nelle quote ereditarie si compensa con un equivalente in danaro.
Art. 729.
(Assegnazioni o attribuzione delle porzioni).
L'assegnazione delle porzioni eguali è fatta mediante estrazione a sorte. Per le porzioni diseguali si procede mediante attribuzione. Tuttavia, rispetto a beni costituenti frazioni eguali di quote diseguali, si può procedere per estrazione a sorte.
Art. 730.
(Deferimento delle operazioni a un notaio).
Le operazioni indicate negli articoli precedenti possono essere, col consenso di tutti i coeredi, deferite a un notaio. La nomina di questo, in mancanza di accordo, è fatta con decreto dal pretore del luogo dell'aperta successione.
Qualora sorgano contestazioni nel corso delle operazioni, esse sono riservate e rimesse tutte insieme alla cognizione dell'autorità giudiziaria competente, che provvede con unica sentenza.
Art. 731.
(Suddivisioni tra stirpi).
Le norme sulla divisione dell'intero asse si osservano anche nelle suddivisioni tra i componenti di ciascuna stirpe.
Art. 732.
(Diritto di prelazione).
Il coerede, che vuole alienare a un estraneo la sua quota o parte di essa, deve notificare la proposta di alienazione, indicandone il prezzo, agli altri coeredi, i quali hanno diritto di prelazione. Questo diritto deve essere esercitato nel termine di due mesi dall'ultima delle notificazioni. In mancanza della notificazione, i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dall'acquirente e da ogni successivo avente causa, finchè dura lo stato di comunione ereditaria.
Se i coeredi che intendono esercitare il diritto di riscatto sono più, la quota è assegnata a tutti in parti uguali.
Art. 733.
(Norme date dal testatore per la divisione).
Quando il testatore ha stabilito particolari norme per formare le porzioni, queste norme sono vincolanti per gli eredi, salvo che l'effettivo valore dei beni non corrisponda alle quote stabilite dal testatore.
Il testatore può disporre che la divisione si effettui secondo la stima di persona da lui designata che non sia erede o legatario: la divisione proposta da questa persona non vincola gli eredi, se l'autorità giudiziaria, su istanza di taluno di essi, la riconosce contraria alla volontà del testatore o manifestamente iniqua.
Art. 734.
(Divisione fatta dal testatore).
Il testatore può dividere i suoi beni tra gli eredi comprendendo nella divisione anche la parte non disponibile.
Se nella divisione fatta dal testatore non sono compresi tutti i beni lasciati al tempo della morte, i beni in essa non compresi sono attribuiti conformemente alla legge, se non risulta una diversa volontà del testatore.
Art. 735.
(Preterizione di eredi e lesione di legittima).
La divisione nella quale il testatore non abbia compreso qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti è nulla.
Il coerede che è stato leso nella quota di riserva può esercitare l'azione di riduzione contro gli altri coeredi.
Art. 736.
(Consegna dei documenti).
Compiuta la divisione, si devono rimettere a ciascuno dei condividenti i documenti relativi ai beni e diritti particolarmente loro assegnati.
I documenti di una proprietà che è stata divisa rimangono a quello che ne ha la parte maggiore, con l'obbligo di comunicarli agli altri condividenti che vi hanno interesse, ogni qualvolta se ne faccia richiesta. Gli stessi documenti, se la proprietà è divisa in parti eguali, e quelli comuni all'intera eredità si consegnano alla persona scelta a tal fine da tutti gli interessati, la quale ha obbligo di comunicarli a ciascuno di essi, a ogni loro domanda. Se vi è contrasto nella scelta, la persona è determinata con decreto dal pretore del luogo dell'aperta successione, su ricorso di alcuno degli interessati, sentiti gli altri.
Capo II.
Della collazione.
Art. 737.
(Collazione tra figli legittimi).
Il figlio o altro discendente, che concorre alla successione, sia pure con beneficio d'inventario, insieme con i fratelli o con le sorelle o con i loro discendenti, deve conferire ai coeredi tutto ciò che ha ricevuto dal defunto per donazione, direttamente o indirettamente, eccettuato il caso che il donante o il testatore abbia altrimenti disposto.
Il figlio o altro discendente, anche se espressamente dispensato dall'obbligo di conferire, non può ritenere la donazione se non fino a concorrenza della quota disponibile.
Art. 738.
(Collazione tra figli legittimi e naturali).
I figli legittimi sono tenuti alla collazione anche nei confronti dei figli naturali.
Questi sono tenuti alla collazione nei confronti dei figli legittimi.
I figli naturali, nonostante qualunque dispensa, non possono conseguire nella successione più di quanto è indicato dall'art. 592, tenuto conto di ciò che hanno ricevuto per donazione, nè possono ritenere la donazione oltre i limiti indicati dall'art. 592 anche quando per rinunzia o altra causa non vengono alla successione. Si applica la disposizione dell'art. 599.
Art. 739.
(Donazioni ai discendenti o al coniuge dell'erede. Donazioni a coniugi).
L'erede non è tenuto a conferire le donazioni fatte ai suoi discendenti o al coniuge, ancorchè succedendo a costoro ne abbia conseguito il vantaggio.
Se le donazioni sono state fatte congiuntamente a coniugi di cui uno è discendente del donante, la sola porzione a questo donata è soggetta a collazione.
Art. 740.
(Donazioni fatte all'ascendente dell'erede).
Il discendente che succede per rappresentazione deve conferire ciò che è stato donato all'ascendente, anche nel caso in cui abbia rinunziato all'eredità di questo.
Ai discendenti del figlio naturale che succedono per rappresentazione si applica il terzo comma dell'art. 738 anche per le donazioni fatte al loro ascendente.
Art. 741.
(Collazione di dote e di altre assegnazioni).
E` soggetto a collazione ciò che il defunto ha speso per costituire la dote o fare altra assegnazione ai suoi discendenti per causa di matrimonio, per procurare loro un ufficio o un collocamento, per soddisfare premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita a loro favore o per pagare i loro debiti.
Se il dotante ha pagato la dote al marito senza le sufficienti cautele, la figlia dotata è solo tenuta a conferire l'azione verso il patrimonio del marito.
Art. 742.
(Spese non soggette a collazione).
Non sono soggette a collazione le spese di mantenimento e di educazione e quelle sostenute per malattia, nè quelle ordinarie fatte per abbigliamento o per nozze.
Le spese per il corredo nuziale e quelle per l'istruzione artistica o professionale sono soggette a collazione solo per quanto eccedono notevolmente la misura ordinaria, tenuto conto delle condizioni economiche del defunto.
Non sono soggette a collazione le liberalità previste dal secondo comma dell'art. 770.
Art. 743.
(Società contratta con l'erede).
Non è dovuta collazione di ciò che si è conseguito per effetto di società contratta senza frode tra il defunto e alcuno dei suoi eredi, se le condizioni sono state regolate con atto di data certa.
Art. 744.
(Perimento della cosa donata).
Non è soggetta a collazione la cosa perita per causa non imputabile al donatario.
Art. 745.
(Frutti e interessi).
I frutti delle cose e gli interessi sulle somme soggette a collazione non sono dovuti che dal giorno in cui si è aperta la successione.
Art. 746.
(Collazione d'immobili).
La collazione di un bene immobile si fa o col rendere il bene in natura o con l'imputarne il valore alla propria porzione, a scelta di chi conferisce.
Se l'immobile è stato alienato o ipotecato, la collazione si fa soltanto con l'imputazione.
Art. 747.
(Collazione per imputazione).
La collazione per imputazione si fa avuto riguardo al valore dell'immobile al tempo dell'aperta successione.
Art. 748.
(Miglioramenti, spese e deterioramenti).
In tutti i casi, si deve dedurre a favore del donatario il valore delle migliorie apportate al fondo nei limiti del loro valore al tempo dell'aperta successione.
Devono anche computarsi a favore del donatario le spese straordinarie da lui sostenute per la conservazione della cosa, non cagionate da sua colpa.
Il donatario dal suo canto è obbligato per i deterioramenti che, per sua colpa, hanno diminuito il valore dell'immobile.
Il coerede che conferisce un immobile in natura può ritenerne il possesso sino all'effettivo rimborso delle somme che gli sono dovute per spese e miglioramenti.
Art. 749.
(Miglioramenti e deterioramenti dell'immobile alienato).
Nel caso in cui l'immobile è stato alienato dal donatario, i miglioramenti e i deterioramenti fatti dall'acquirente devono essere computati a norma dell'articolo precedente.
Art. 750.
(Collazione di mobili).
La collazione dei mobili si fa soltanto per imputazione, sulla base del valore che essi avevano al tempo dell'aperta successione.
Se si tratta di cose delle quali non si può far uso senza consumarle, e il donatario le ha già consumate, si determina il valore che avrebbero avuto secondo il prezzo corrente al tempo dell'aperta successione.
Se si tratta di cose che con l'uso si deteriorano, il loro valore al tempo dell'aperta successione è stabilito con riguardo allo stato in cui si trovano.
La determinazione del valore dei titoli dello Stato, degli altri titoli di credito quotati in borsa e delle derrate e delle merci il cui prezzo corrente è stabilito dalle mercuriali, si fa in base ai listini di borsa e alle mercuriali del tempo dell'aperta successione.
Art. 751.
(Collazione del danaro).
La collazione del danaro donato si fa prendendo una minore quantità del danaro che si trova nell'eredità, secondo il valore legale della specie donata o di quella ad essa legalmente sostituita all'epoca dell'aperta successione.
Quando tale danaro non basta e il donatario non vuole conferire altro danaro o titoli dello Stato, sono prelevati mobili o immobili ereditari, in proporzione delle rispettive quote.
Capo III.
Del pagamento dei debiti.
Art. 752.
(Ripartizione dei debiti ereditari tra gli eredi).
I coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in proporzione delle loro quote ereditarie, salvo che il testatore abbia altrimenti disposto.
Art. 753.
(Immobili gravati da rendita redimibile).
Ogni coerede, quando i beni immobili dell'eredità sono gravati con ipoteca da una prestazione di rendita redimibile, può chiedere che gli immobili ne siano affrancati e resi liberi prima che si proceda alla formazione delle quote ereditarie. Se uno dei coeredi si oppone, decide l'autorità giudiziaria. Se i coeredi dividono l'eredità nello stato in cui si trova, l'immobile gravato deve stimarsi con gli stessi criteri con cui si stimano gli altri beni immobili, detratto dal valore di esso il capitale corrispondente alla prestazione, secondo le norme relative al riscatto della rendita, salvo che esista un patto speciale intorno al capitale da corrispondersi per l'affrancazione.
Alla prestazione della rendita è tenuto solo l'erede, nella cui quota cade detto immobile, con l'obbligo di garantire i coeredi.
Art. 754.
(Pagamento dei debiti e rivalsa).
Gli eredi sono tenuti verso i creditori al pagamento dei debiti e pesi ereditari personalmente in proporzione della loro quota ereditaria e ipotecariamente per l'intero. Il coerede che ha pagato oltre la parte a lui incombente può ripetere dagli altri coeredi soltanto la parte per cui essi devono contribuire a norma dell'articolo 752, quantunque si sia fatto surrogare nei diritti dei creditori.
Il coerede conserva la facoltà di chiedere il pagamento del credito a lui personale e garantito da ipoteca, non diversamente da ogni altro creditore, detratta la parte che deve sopportare come coerede.
Art. 755.
(Quota di debito ipotecario non pagata da un coerede).
In caso d'insolvenza di un coerede, la sua quota di debito ipotecario è ripartita in proporzione tra tutti gli altri coeredi.
Art. 756.
(Esenzione del legatario dal pagamento dei debiti).
Il legatario non è tenuto a pagare i debiti ereditari, salvo ai creditori l'azione ipotecaria sul fondo legato e l'esercizio del diritto di separazione; ma il legatario che ha estinto il debito di cui era gravato il fondo legato subentra nelle ragioni del creditore contro gli eredi.
Capo IV.
Degli effetti della divisione e della garanzia delle quote.
Art. 757.
(Diritto dell'erede sulla propria quota).
Ogni coerede è reputato solo e immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota o a lui pervenuti dalla successione, anche per acquisto all'incanto, e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari.
Art. 758.
(Garanzia tra coeredi).
I coeredi si devono vicendevole garanzia per le sole molestie ed evizioni derivanti da causa anteriore alla divisione.
La garanzia non ha luogo, se è stata esclusa con clausola espressa nell'atto di divisione, o se il coerede soffre l'evizione per propria colpa.
Art. 759.
(Evizione subita da un coerede).
Se alcuno dei coeredi subisce evizione, il valore del bene evitto, calcolato al momento dell'evizione, deve essere ripartito tra tutti i coeredi ai fini della garanzia stabilita dall'articolo precedente, in proporzione del valore che i beni attribuiti a ciascuno di essi hanno al tempo dell'evizione e tenuto conto dello stato in cui si trovano al tempo della divisione.
Se uno dei coeredi è insolvente, la parte per cui è obbligato deve essere egualmente ripartita tra l'erede che ha sofferto l'evizione e tutti gli eredi solventi.
Art. 760.
(Inesigibilità di crediti).
Non è dovuta garanzia per l'insolvenza del debitore di un credito assegnato a uno dei coeredi, se l'insolvenza è sopravvenuta soltanto dopo che è stata fatta la divisione.
La garanzia della solvenza del debitore di una rendita è dovuta per i cinque anni successivi alla divisione.
Capo V.
Dell'annullamento e della rescissione in materia di divisione.
Art. 761.
(Annullamento per violenza o dolo).
La divisione può essere annullata quando è l'effetto di violenza o di dolo.
L'azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o in cui il dolo è stato scoperto.
Art. 762.
(Omissione di beni ereditari).
L'omissione di uno o più beni dell'eredità non dà luogo a nullità della divisione, ma soltanto a un supplemento della divisione stessa.
Art. 763.
(Rescissione per lesione).
La divisione può essere rescissa quando taluno dei coeredi prova di essere stato leso oltre il quarto.
La rescissione è ammessa anche nel caso di divisione fatta dal testatore, quando il valore dei beni assegnati ad alcuno dei coeredi è inferiore di oltre un quarto all'entità della quota ad esso spettante.
L'azione si prescrive in due anni dalla divisione.
Art. 764.
(Atti diversi dalla divisione).
L'azione di rescissione è anche ammessa contro ogni altro atto che abbia per effetto di far cessare tra i coeredi la comunione dei beni ereditari.
L'azione non è ammessa contro la transazione con la quale si è posta fine alle questioni insorte a causa della divisione o dell'atto fatto in luogo della medesima, ancorchè non fosse al riguardo incominciata alcuna lite.
Art. 765.
(Vendita del diritto ereditario fatto al coerede).
L'azione di rescissione non è ammessa contro la vendita del diritto ereditario fatta senza frode a uno dei coeredi, a suo rischio e pericolo, da parte degli altri coeredi o di uno di essi.
Art. 766.
(Stima dei beni).
Per conoscere se vi è lesione si procede alla stima dei beni secondo il loro stato e valore al tempo della divisione.
Art. 767.
(Facoltà del coerede di dare il supplemento).
Il coerede contro il quale è promossa l'azione di rescissione può troncarne il corso e impedire una nuova divisione, dando il supplemento della porzione ereditaria, in danaro o in natura, all'attore e agli altri coeredi che si sono a lui associati.
Art. 768.
(Alienazione della porzione ereditaria).
Il coerede che ha alienato la sua porzione o una parte di essa non è più ammesso a impugnare la divisione per dolo o violenza, se l'alienazione è seguita quando il dolo era stato scoperto o la violenza era cessata.
Il coerede non perde il diritto di proporre l'impugnazione, se la vendita è limitata a oggetti di facile deterioramento o di valore minimo in rapporto alla quota.
Titolo V.
Delle donazioni
Capo I.
Disposizioni generali.
Art. 769.
(Definizione).
La donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l'altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un'obbligazione.
Art. 770.
(Donazione rimuneratoria).
E` donazione anche la liberalità fatta per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale rimunerazione.
Non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi.
Art. 771.
(Donazione di beni futuri).
La donazione non può comprendere che i beni presenti del donante. Se comprende beni futuri, è nulla rispetto a questi, salvo che si tratti di frutti non ancora separati.
Qualora oggetto della donazione sia un'universalità di cose e il donante ne conservi il godimento trattenendola presso di sè, si considerano comprese nella donazione anche le cose che vi si aggiungono successivamente, salvo che dall'atto risulti una diversa volontà.
Art. 772.
(Donazione di prestazioni periodiche).
La donazione che ha per oggetto prestazioni periodiche si estingue alla morte del donante, salvo che risulti dall'atto una diversa volontà.
Art. 773.
(Donazione a più donatari).
La donazione fatta congiuntamente a favore di più donatari s'intende fatta per parti uguali, salvo che dall'atto risulti una diversa volontà.
E` valida la clausola con cui il donante dispone che, se uno dei donatari non può o non vuole accettare, la sua parte si accresca agli altri.
Capo II.
Della capacità di disporre e di ricevere per donazione.
Art. 774.
(Capacità di donare).
Non possono fare donazione coloro che non hanno la piena capacità di disporre dei propri beni. E` tuttavia valida la donazione fatta dal minore e dall'inabilitato nel loro contratto di matrimonio a norma degli articoli 165 e 166.
Le disposizioni precedenti si applicano anche al minore emancipato autorizzato all'esercizio di un'impresa commerciale.
Art. 775.
(Donazione fatta da persona incapace d'intendere o di volere).
La donazione fatta da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace d'intendere o di volere al momento in cui la donazione è stata fatta, può essere annullata su istanza del donante, dei suoi eredi o aventi causa.
L'azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui la donazione è stata fatta.
Art. 776.
(Donazione fatta dall'inabilitato).
La donazione fatta dall'inabilitato, anche se anteriore alla sentenza d'inabilitazione o alla nomina del curatore provvisorio, può essere annullata se fatta dopo che è stato promosso il giudizio d'inabilitazione.
Il curatore dell'inabilitato per prodigalità può chiedere l'annullamento della donazione, anche se fatta nei sei mesi anteriori all'inizio del giudizio d'inabilitazione.
Art. 777.
(Donazioni fatte da rappresentanti di persone incapaci).
Il padre e il tutore non possono fare donazioni per la persona incapace da essi rappresentata.
Sono consentite, con le forme abilitative richieste, le liberalità in occasione di nozze a favore dei discendenti dell'interdetto o dell'inabilitato.
Art. 778.
(Mandato a donare).
E` nullo il mandato con cui si attribuisce ad altri la facoltà di designare la persona del donatario o di determinare l'oggetto della donazione.
E` peraltro valida la donazione a favore di persona che un terzo sceglierà tra più persone designate dal donante o appartenenti a determinate categorie, o a favore di una persona giuridica, tra quelle indicate dal donante stesso.
E` del pari valida la donazione che ha per oggetto una cosa che un terzo determinerà tra più cose indicate dal donante o entro i limiti di valore dal donante stesso stabiliti.
Art. 779.
(Donazione a favore del tutore o protutore).
E` nulla la donazione a favore di chi è stato tutore o protutore del donante, se fatta prima che sia stato approvato il conto o sia estinta l'azione per il rendimento del conto medesimo.
Si applicano le disposizioni dell'art. 599.
Art. 780.
(Donazione al figlio naturale non riconoscibile).
E` nulla la donazione fatta dal genitore al figlio naturale, se la filiazione non può essere riconosciuta o dichiarata.
La nullità non si estende agli assegni fatti dal genitore in occasione del matrimonio o per la sistemazione professionale del figlio nella misura consentita dalle condizioni economiche e sociali del donante.
La nullità può essere fatta valere dal donante, dai suoi discendenti legittimi o dal coniuge.
Si applicano le disposizioni dell'art. 599.
Art. 781.
(Donazione tra coniugi).
I coniugi non possono, durante il matrimonio, farsi l'uno all'altro alcuna liberalità, salve quelle conformi agli usi.
Capo III.
Della forma e degli effetti della donazione.
Art. 782.
(Forma della donazione).
La donazione deve essere fatta per atto pubblico, sotto pena di nullità. Se ha per oggetto cose mobili, essa non è valida che per quelle specificate con indicazione del loro valore nell'atto medesimo della donazione, ovvero in una nota a parte sottoscritta dal donante, dal donatario e dal notaio.
L'accettazione può essere fatta nell'atto stesso o con atto pubblico posteriore. In questo caso la donazione non è perfetta se non dal momento in cui l'atto di accettazione è notificato al donante.
Prima che la donazione sia perfetta, tanto il donante quanto il donatario possono revocare la loro dichiarazione.
Se la donazione è fatta a una persona giuridica, il donante non può revocare la sua dichiarazione dopo che gli è stata notificata la domanda diretta a ottenere dall'autorità governativa l'autorizzazione ad accettare. Trascorso un anno dalla notificazione senza che l'autorizzazione sia stata concessa, la dichiarazione può essere revocata.
Art. 783.
(Donazioni di modico valore).
La donazione di modico valore che ha per oggetto beni mobili è valida anche se manca l'atto pubblico, purchè vi sia stata la tradizione.
La modicità deve essere valutata anche in rapporto alle condizioni economiche del donante.
Art. 784.
(Donazione a nascituri).
La donazione può essere fatta anche a favore di chi è soltanto concepito, ovvero a favore dei figli di una determinata persona vivente al tempo della donazione, benchè non ancora concepiti.
L'accettazione della donazione a favore di nascituri, benchè non concepiti, è regolata dalle disposizioni degli articoli 320 e 321.
Salvo diversa disposizione del donante, l'amministrazione dei beni donati spetta al donante o ai suoi eredi, i quali possono essere obbligati a prestare idonea garanzia. I frutti maturati prima della nascita sono riservati al donatario se la donazione è fatta a favore di un nascituro già concepito. Se è fatta a favore di un non concepito, i frutti sono riservati al donante sino al momento della nascita del donatario.
Art. 785.
(Donazione in riguardo di matrimonio).
La donazione fatta in riguardo di un determinato futuro matrimonio, sia dagli sposi tra loro, sia da altri a favore di uno o di entrambi gli sposi o dei figli nascituri da questi, si perfeziona senza bisogno che sia accettata, ma non produce effetto finchè non segua il matrimonio.
L'annullamento del matrimonio importa la nullità della donazione. Restano tuttavia salvi i diritti acquistati dai terzi di buona fede tra il giorno del matrimonio e il passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la nullità del matrimonio. Il coniuge di buona fede non è tenuto a restituire i frutti percepiti anteriormente alla domanda di annullamento del matrimonio.
La donazione in favore di figli nascituri rimane efficace per i figli rispetto ai quali si verificano gli effetti del matrimonio putativo.
Art. 786.
(Donazione a ente non riconosciuto).
La donazione a favore di un ente non riconosciuto non ha efficacia, se entro un anno non è notificata al donante l'istanza per ottenere il riconoscimento. La notificazione produce gli effetti indicati dall'ultimo comma dell'art. 782.
Salvo diversa disposizione del donante, i frutti maturati prima del riconoscimento sono riservati al donatario.
Art. 787.
(Errore sul motivo della donazione).
La donazione può essere impugnata per errore sul motivo, sia esso di fatto o di diritto, quando il motivo risulta dall'atto ed è il solo che ha determinato il donante a compiere la liberalità.
Art. 788.
(Motivo illecito).
Il motivo illecito rende nulla la donazione quando risulta dall'atto ed è il solo che ha determinato il donante alla liberalità.
Art. 789.
(Inadempimento o ritardo nell'esecuzione).
Il donante, in caso d'inadempimento o di ritardo nell'eseguire la donazione, è responsabile soltanto per dolo o per colpa grave.
Art. 790.
(Riserva di disporre di cose determinate).
Quando il donante si è riservata la facoltà di disporre di qualche oggetto compreso nella donazione o di una determinata somma sui beni donati, e muore senza averne disposto, tale facoltà non può essere esercitata dagli eredi.
Art. 791.
(Condizione di riversibilità).
Il donante può stipulare la riversibilità delle cose donate, sia per il caso di premorienza del solo donatario, sia per il caso di premorienza del donatario e dei suoi discendenti.
Nel caso in cui la donazione è fatta con generica indicazione della riversibilità, questa riguarda la premorienza, non solo del donatario, ma anche dei suoi discendenti.
Non si fa luogo a riversibilità che a beneficio del solo donante. Il patto a favore di altri si considera non apposto.
Art. 792.
(Effetti della riversibilità).
Il patto di riversibilità produce l'effetto di risolvere tutte le alienazioni dei beni donati e di farli ritornare al donante liberi da ogni peso o ipoteca, ad eccezione dell'ipoteca iscritta a garanzia della dote o di altre convenzioni matrimoniali, quando gli altri beni del coniuge donatario non sono sufficienti, e nel caso soltanto in cui la donazione è stata fatta con lo stesso contratto matrimoniale da cui l'ipoteca risulta.
E` valido il patto per cui la riversione non deve pregiudicare la quota di riserva spettante al coniuge superstite sul patrimonio del donatario, compresi in esso i beni donati.
Art. 793.
(Donazione modale).
La donazione può essere gravata da un onere.
Il donatario è tenuto all'adempimento dell'onere entro i limiti del valore della cosa donata.
Per l'adempimento dell'onere può agire, oltre il donante, qualsiasi interessato, anche durante la vita del donante stesso.
La risoluzione per inadempimento dell'onere, se preveduta nell'atto di donazione, può essere domandata dal donante o dai suoi eredi.
Art. 794.
(Onere illecito o impossibile).
L'onere illecito o impossibile si considera non apposto; rende tuttavia nulla la donazione se ne ha costituito il solo motivo determinante.
Art. 795.
(Divieto di sostituzione).
Nelle donazioni non sono permesse le sostituzioni se non nei casi e nei limiti stabiliti per gli atti di ultima volontà.
La nullità delle sostituzioni non importa nullità della donazione.
Art. 796.
(Riserva di usufrutto).
E` permesso al donante di riservare l'usufrutto dei beni donati a proprio vantaggio, e dopo di lui a vantaggio di un'altra persona o anche di più persone, ma non successivamente.
Art. 797.
(Garanzia per evizione).
Il donante è tenuto a garanzia verso il donatario, per l'evizione che questi può soffrire delle cose donate, nei casi seguenti: 1) se ha espressamente promesso la garanzia; 2) se l'evizione dipende dal dolo o dal fatto personale di lui; 3) se si tratta di donazione che impone oneri al donatario, o di donazione rimuneratoria, nei quali casi la garanzia è dovuta fino alla concorrenza dell'ammontare degli oneri o dell'entità delle prestazioni ricevute dal donante.
Art. 798.
(Responsabilità per vizi della cosa).
Salvo patto speciale, la garanzia del donante non si estende ai vizi della cosa, a meno che il donante sia stato in dolo.
Art. 799.
(Conferma ed esecuzione volontaria di donazioni nulle).
La nullità della donazione, da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere dagli eredi o aventi causa dal donante che, conoscendo la causa della nullità, hanno, dopo la morte di lui, confermato la donazione o vi hanno dato volontaria esecuzione.
Capo IV.
Della revocazione delle donazioni.
Art. 800.
(Cause di revocazione).
La donazione può essere revocata per ingratitudine o per sopravvenienza di figli.
Art. 801.
(Revocazione per ingratitudine).
La domanda di revocazione per ingratitudine non può essere proposta che quando il donatario ha commesso uno dei fatti previsti dai numeri 1, 2 e 3 dell'art. 463, ovvero si è reso colpevole d'ingiuria grave verso il donante o ha dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio di lui o gli ha rifiutato indebitamente gli alimenti dovuti ai sensi degli articoli 433, 435 e 436.
Art. 802.
(Termini e legittimazione ad agire).
La domanda di revocazione per causa d'ingratitudine deve essere proposta dal donante o dai suoi eredi, contro il donatario o i suoi eredi, entro l'anno dal giorno in cui il donante è venuto a conoscenza del fatto che consente la revocazione.
Se il donatario si è reso responsabile di omicidio volontario in persona del donante o gli ha dolosamente impedito di revocare la donazione, il termine per proporre l'azione è di un anno dal giorno in cui gli eredi hanno avuto notizia della causa di revocazione.
Art. 803.
(Revocazione per sopravvenienza di figli).
Le donazioni, fatte da chi non aveva o ignorava di avere figli o discendenti legittimi al tempo della donazione, possono essere revocate per la sopravvenienza o l'esistenza di un figlio o discendente legittimo del donante. Possono inoltre essere revocate per il riconoscimento di un figlio naturale, fatto entro due anni dalla donazione, salvo che si provi che al tempo della donazione il donante aveva notizia dell'esistenza del figlio.
La revocazione può essere domandata anche se il figlio del donante era già concepito al tempo della donazione.
Art. 804.
(Effetti nei riguardi dei terzi).
L'azione di revocazione per sopravvenienza di figli deve essere proposta entro cinque anni dal giorno della nascita dell'ultimo figlio o discendente legittimo ovvero della notizia dell'esistenza del figlio o discendente, ovvero dell'avvenuto riconoscimento del figlio naturale.
Il donante non può proporre o proseguire l'azione dopo la morte del figlio o del discendente.
Art. 805.
(Donazioni irrevocabili).
Non possono revocarsi per causa d'ingratitudine, nè per sopravvenienza di figli, le donazioni rimuneratorie e quelle fatte in riguardo di un determinato matrimonio.
Art. 806.
(Inammissibilità della rinunzia preventiva).
Non è valida la rinunzia preventiva alla revocazione della donazione per ingratitudine o per sopravvenienza di figli.
Art. 807.
(Effetti della revocazione).
Revocata la donazione per ingratitudine o sopravvenienza di figli, il donatario deve restituire i beni in natura, se essi esistono ancora, e i frutti relativi, a partire dal giorno della domanda.
Se il donatario ha alienato i beni, deve restituirne il valore, avuto riguardo al tempo della domanda, e i frutti relativi, a partire dal giorno della domanda stessa.
Art. 808.
(Effetti nei riguardi di terzi).
La revocazione per ingratitudine o per sopravvenienza di figli non pregiudica i terzi che hanno acquistato diritti anteriormente alla domanda, salvi gli effetti della trascrizione di questa.
Il donatario, che prima della trascrizione della domanda di revocazione ha costituito sui beni donati diritti reali che ne diminuiscono il valore, deve indennizzare il donante della diminuzione di valore sofferta dai beni stessi.
Art. 809.
(Norme sulle donazioni applicabili ad altri atti di liberalità).
Le liberalità, anche se risultano da atti diversi da quelli previsti dall'art. 769, sono soggette alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa d'ingratitudine e per sopravvenienza di figli, nonchè a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari.
Questa disposizione non si applica alle liberalità previste dal secondo comma dell'art. 770 e a quelle che a norma dell'art. 742 non sono soggette a collazione.
Libro terzo
Della proprietà
Titolo I.
Dei beni
Capo I.
Dei beni in generale.
Art. 810.
(Nozione).
Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti.
Sezione I. -
Dei beni nell'ordine corporativo.
Art. 811.
(Disciplina corporativa).
I beni sono sottoposti alla disciplina dell'ordinamento corporativo in relazione alla loro funzione economica e alle esigenze della produzione nazionale.
Sezione II. -
Dei beni immobili e mobili.
Art. 812.
(Distinzione dei beni).
Sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d'acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo.
Sono reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all'alveo o sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione.
Sono mobili tutti gli altri beni.
Art. 813.
(Distinzione dei diritti).
Salvo che dalla legge risulti diversamente, le disposizioni concernenti i beni immobili si applicano anche ai diritti reali che hanno per oggetto beni immobili e alle azioni relative; le disposizioni concernenti i beni mobili si applicano a tutti gli altri diritti.
Art. 814.
(Energie).
Si considerano beni mobili le energie naturali che hanno valore economico.
Art. 815.
(Beni mobili iscritti in pubblici registri).
I beni mobili iscritti in pubblici registri sono soggetti alle disposizioni che li riguardano e, in mancanza, alle disposizioni relative ai beni mobili.
Art. 816.
(Universalità di mobili).
E` considerata universalità di mobili la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria.
Le singole cose componenti l'universalità possono formare oggetto di separati atti e rapporti giuridici.
Art. 817.
(Pertinenze).
Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa.
La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima.
Art. 818.
(Regime delle pertinenze).
Gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se non è diversamente disposto.
Le pertinenze possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici.
La cessazione della qualità di pertinenza non è opponibile ai terzi i quali abbiano anteriormente acquistato diritti sulla cosa principale.
Art. 819.
(Diritti dei terzi sulle pertinenze).
La destinazione di una cosa al servizio o all'ornamento di un'altra non pregiudica i diritti preesistenti su di essa a favore dei terzi. Tali diritti non possono essere opposti ai terzi di buona fede se non risultano da scrittura avente data certa anteriore, quando la cosa principale è un bene immobile o un bene mobile iscritto in pubblici registri.
Sezione III. -
Dei frutti.
Art. 820.
(Frutti naturali e frutti civili).
Sono frutti naturali quelli che provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o no l'opera dell'uomo, come i prodotti agricoli, la legna, i parti degli animali, i prodotti delle miniere, cave e torbiere.
Finchè non avviene la separazione, i frutti formano parte della cosa. Si può tuttavia disporre di essi come di cosa mobile futura.
Sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Tali sono gli interessi dei capitali, i canoni enfiteutici, le rendite vitalizie e ogni altra rendita, il corrispettivo delle locazioni.
Art. 821.
(Acquisto dei frutti).
I frutti naturali appartengono al proprietario della cosa che li produce, salvo che la loro proprietà sia attribuita ad altri. In quest'ultimo caso la proprietà si acquista con la separazione.
Chi fa propri i frutti deve, nei limiti del loro valore, rimborsare colui che abbia fatto spese per la produzione e il raccolto.
I frutti civili si acquistano giorno per giorno, in ragione della durata del diritto.
Capo II.
Dei beni appartenenti allo Stato, agli enti pubblici e agli enti ecclesiastici.
Art. 822.
(Demanio pubblico).
Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale.
Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico.
Art. 823.
(Condizione giuridica del demanio pubblico).
I beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano.
Spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso regolati dal presente codice.
Art. 824.
(Beni delle provincie e dei comuni soggetti al regime dei beni demaniali).
I beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell'art. 822, se appartengono alle provincie o ai comuni, sono soggetti al regime del demanio pubblico.
Allo stesso regime sono soggetti i cimiteri e i mercati comunali.
Art. 825.
(Diritti demaniali su beni altrui).
Sono parimenti soggetti al regime del demanio pubblico i diritti reali che spettano allo Stato, alle provincie e ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l'utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi.
Art. 826.
(Patrimonio dello Stato, delle provincie e dei comuni).
I beni appartenenti allo Stato, alle provincie e ai comuni, i quali non siano della specie di quelli indicati dagli articoli precedenti, costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispettivamente, delle provincie e dei comuni.
Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo, le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo, i beni costituenti la dotazione della Corona, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra.
Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle provincie e dei comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio.
Art. 827.
(Beni immobili vacanti).
I beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato.
Art. 828.
(Condizione giuridica dei beni patrimoniali).
I beni che costituiscono il patrimonio dello Stato, delle provincie e dei comuni sono soggetti alle regole particolari che li concernono e, in quanto non è diversamente disposto, alle regole del presente codice.
I beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano.
Art. 829.
(Passaggio di beni dal demanio al patrimonio).
Il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato dev'essere dichiarato dall'autorità amministrativa. Dell'atto deve essere dato annunzio nella Gazzetta Ufficiale del Regno.
Per quanto riguarda i beni delle provincie e dei comuni, il provvedimento che dichiara il passaggio al patrimonio dev'essere pubblicato nei modi stabiliti per i regolamenti comunali e provinciali.
Art. 830.
(Beni degli enti pubblici non territoriali).
I beni appartenenti agli enti pubblici non territoriali sono soggetti alle regole del presente codice, salve le disposizioni delle leggi speciali.
Ai beni di tali enti che sono destinati a un pubblico servizio si applica la disposizione del secondo comma dell'art. 828.
Art. 831.
(Beni degli enti ecclesiastici ed edifici di culto).
I beni degli enti ecclesiastici sono soggetti alle norme del presente codice, in quanto non è diversamente disposto dalle leggi speciali che li riguardano.
Gli edifici destinati all'esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata in conformità delle leggi che li riguardano.
Titolo II.
Della proprietà
Capo I.
Disposizioni generali.
Art. 832.
(Contenuto del diritto).
Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico.
Art. 833.
(Atti d'emulazione).
Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri.
Art. 834.
(Espropriazione per pubblico interesse).
Nessuno può essere privato in tutto o in parte dei beni di sua proprietà, se non per causa di pubblico interesse, legalmente dichiarata, e contro il pagamento di una giusta indennità.
Le norme relative all'espropriazione per causa di pubblico interesse sono determinate da leggi speciali.
Art. 835.
(Requisizioni).
Quando ricorrono gravi e urgenti necessità pubbliche, militari o civili, può essere disposta la requisizione dei beni mobili o immobili. Al proprietario è dovuta una giusta indennità.
Le norme relative alle requisizioni sono determinate da leggi speciali.
Art. 836.
(Vincoli e obblighi temporanei).
Per le cause indicate dall'articolo precedente l'autorità amministrativa, nei limiti e con le forme stabiliti da leggi speciali, può sottoporre a particolari vincoli od obblighi di carattere temporaneo le aziende commerciali e agricole.
Art. 837.
(Ammassi).
Allo scopo di regolare la distribuzione di determinati prodotti agricoli o industriali nell'interesse della produzione nazionale sono costituiti gli ammassi.
Le norme per il conferimento dei prodotti negli ammassi sono contenute in leggi speciali.
Art. 838.
(Espropriazione di beni che interessano la produzione nazionale o di prevalente interesse pubblico).
Salve le disposizioni delle leggi penali e di polizia, nonchè le norme dell'ordinamento corporativo e le disposizioni particolari concernenti beni determinati, quando il proprietario abbandona la conservazione, la coltivazione o l'esercizio di beni che interessano la produzione nazionale, in modo da nuocere gravemente alle esigenze della produzione stessa, può farsi luogo all'espropriazione dei beni da parte dell'autorità amministrativa, premesso il pagamento di una giusta indennità.
La stessa disposizione si applica se il deperimento dei beni ha per effetto di nuocere gravemente al decoro delle città o alle ragioni dell'arte, della storia o della sanità pubblica.
Art. 839.
(Beni d'interesse storico e artistico).
Le cose di proprietà privata, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, sono sottoposte alle disposizioni delle leggi speciali.
Capo II.
Della proprietà fondiaria.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 840.
(Sottosuolo e spazio sovrastante al suolo).
La proprietà del suolo si estende al sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene, e il proprietario può fare qualsiasi escavazione od opera che non rechi danno al vicino. Questa disposizione non si applica a quanto forma oggetto delle leggi sulle miniere, cave e torbiere. Sono del pari salve le limitazioni derivanti dalle leggi sulle antichità e belle arti, sulle acque, sulle opere idrauliche e da altre leggi speciali.
Il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante, che egli non abbia interesse ad escluderle.
Art. 841.
(Chiusura del fondo).
Il proprietario può chiudere in qualunque tempo il fondo.
Art. 842.
(Caccia e pesca).
Il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l'esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno.
Egli può sempre opporsi a chi non è munito della licenza rilasciata dall'autorità.
Per l'esercizio della pesca occorre il consenso del proprietario del fondo.
Art. 843.
(Accesso al fondo).
Il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune.
Se l'accesso cagiona danno, è dovuta un'adeguata indennità.
Il proprietario deve parimenti permettere l'accesso a chi vuole riprendere la cosa sua che vi si trovi accidentalmente o l'animale che vi si sia riparato sfuggendo alla custodia. Il proprietario può impedire l'accesso consegnando la cosa o l'animale.
Art. 844.
(Immissioni).
Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.
Nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso.
Art. 845.
(Regole particolari per scopi di pubblico interesse).
La proprietà fondiaria è soggetta a regole particolari per il conseguimento di scopi di pubblico interesse nei casi previsti dalle leggi speciali e dalle disposizioni contenute nelle sezioni seguenti.
Sezione II. -
Del riordinamento della proprietà rurale.
Art. 846.
(Minima unità colturale).
Nei trasferimenti di proprietà, nelle divisioni e nelle assegnazioni a qualunque titolo, aventi per oggetto terreni destinati a coltura o suscettibili di coltura, e nella costituzione o nei trasferimenti di diritti reali sui terreni stessi non deve farsi luogo a frazionamenti che non rispettino la minima unità colturale.
S'intende per minima unità colturale l'estensione di terreno necessaria e sufficiente per il lavoro di una famiglia agricola e, se non si tratta di terreno appoderato, per esercitare una conveniente coltivazione secondo le regole della buona tecnica agraria.
Art. 847.
(Determinazione della minima unità colturale).
L'estensione della minima unità colturale sarà determinata distintamente per zone, avuto riguardo all'ordinamento produttivo e alla situazione demografica locale, con provvedimento dell'autorità amministrativa, da adottarsi sentite le associazioni professionali.
Art. 848.
(Sanzione dell'inosservanza).
Gli atti compiuti contro il divieto dell'art. 846 possono essere annullati dall'autorità giudiziaria, su istanza del pubblico ministero. L'azione si prescrive in tre anni dalla data della trascrizione dell'atto.
Art. 849.
(Fondi compresi entro maggiori unità fondiarie).
Indipendentemente dalla formazione del consorzio previsto dall'articolo seguente, il proprietario di terreni entro i quali sono compresi appezzamenti appartenenti ad altri, di estensione inferiore alla minima unità colturale, può domandare che gli sia trasferita la proprietà di questi ultimi, pagandone il prezzo, allo scopo di attuare una migliore sistemazione delle unità fondiarie. In caso di contrasto decide l'autorità giudiziaria, sentite le associazioni professionali circa la sussistenza delle condizioni che giustificano la richiesta di trasferimento.
Art. 850.
(Consorzi a scopo di ricomposizione fondiaria).
Quando più terreni contigui e inferiori alla minima unità colturale appartengono a diversi proprietari, può, su istanza di alcuno degli interessati o per iniziativa dell'autorità amministrativa, essere costituito un consorzio tra gli stessi proprietari, allo scopo di provvedere a una ricomposizione fondiaria idonea alla migliore utilizzazione dei terreni stessi.
Per la costituzione del consorzio si applicano le norme stabilite per i consorzi di bonifica.
Art. 851.
(Trasferimenti coattivi).
Il consorzio indicato dall'articolo precedente può predisporre il piano di riordinamento.
Per la migliore sistemazione delle unità fondiarie può procedersi a espropriazioni e a trasferimenti coattivi; può anche procedersi a rettificazioni di confini e ad arrotondamento di fondi.
Art. 852.
(Terreni esclusi dai trasferimenti).
Dai trasferimenti coattivi previsti dall'articolo precedente sono esclusi: 1) gli appezzamenti forniti di casa di abitazione civile o colonica; 2) i terreni adiacenti ai fabbricati e costituenti dipendenze dei medesimi; 3) le aree fabbricabili; 4) gli orti, i giardini, i parchi; 5) i terreni necessari per piazzali o luoghi di deposito di stabilimenti industriali o commerciali; 6) i terreni soggetti a inondazioni, a scoscendimenti o ad altri gravi rischi; 7) i terreni che per la loro speciale destinazione, ubicazione o singolarità di coltura presentano caratteristiche di spiccata individualità.
Art. 853.
(Trasferimento dei diritti reali).
Nei trasferimenti coattivi le servitù prediali sono abolite, conservate o create in relazione alle esigenze della nuova sistemazione.
Gli altri diritti reali di godimento sono trasferiti sui terreni assegnati in cambio e, qualora non siano costituiti su tutti i terreni dello stesso proprietario, sono trasferiti soltanto su una parte determinata del fondo assegnato in cambio, che corrisponda in valore ai terreni su cui esistevano.
Le ipoteche che non siano costituite su tutti i terreni dello stesso proprietario sono trasferite sul fondo di nuova assegnazione per una quota corrispondente in valore ai terreni su cui erano costituite. In caso di espropriazione forzata dell'immobile gravato da ipoteca su una quota, l'immobile è espropriato per intero e il credito è collocato, secondo il grado dell'ipoteca, sulla parte del prezzo corrispondente alla quota soggetta all'ipoteca medesima.
Art. 854.
(Notifica e trascrizione del piano di riordinamento).
Il piano di riordinamento dev'essere preventivamente portato a cognizione degli interessati, e contro di esso è ammesso reclamo in via amministrativa, nelle forme e nei termini stabiliti da leggi speciali.
Il provvedimento amministrativo di approvazione definitiva del piano dev'essere trascritto presso l'ufficio dei registri immobiliari nella cui circoscrizione sono situati i beni.
Art. 855.
(Effetti dell'approvazione del piano di riordinamento).
Con l'approvazione del piano di riordinamento si operano i trasferimenti di proprietà e degli altri diritti reali; sono anche costituite le servitù imposte nel piano stesso.
Art. 856.
(Competenza dell'autorità giudiziaria).
Nelle materie indicate dagli articoli 850 e seguenti è salva la competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria per la tutela dei diritti degli interessati. L'autorità giudiziaria non può tuttavia con le sue decisioni provocare una revisione del piano di riordinamento, ma può procedere alla conversione e liquidazione in danaro dei diritti da essa accertati.
Il credito relativo è privilegiato a norma delle leggi speciali.
Sezione III -
Della bonifica integrale.
Art. 857.
(Terreni soggetti a bonifica).
Per il conseguimento di fini igienici, demografici, economici o di altri fini sociali possono essere dichiarati soggetti a bonifica i terreni che si trovano in un comprensorio, in cui sono laghi, stagni, paludi e terre paludose, ovvero costituito da terreni montani dissestati nei riguardi idrogeologici e forestali, o da terreni estensivamente coltivati per gravi cause d'ordine fisico o sociale, i quali siano suscettibili di una radicale trasformazione dell'ordinamento produttivo.
Art. 858.
(Comprensorio di bonifica e piano delle opere).
Il comprensorio di bonifica e il piano generale dei lavori e di attività coordinate sono determinati e pubblicati a norma della legge speciale.
Art. 859.
(Opere di competenza dello Stato).
Il piano generale indicato dall'articolo precedente stabilisce quali opere di bonifica siano di competenza dello Stato.
Art. 860.
(Concorso dei proprietari nella spesa).
I proprietari dei beni situati entro il perimetro del comprensorio sono obbligati a contribuire nella spesa necessaria per l'esecuzione, la manutenzione e l'esercizio delle opere in ragione del beneficio che traggono dalla bonifica.
Art. 861.
(Opere di competenza dei privati).
I proprietari degli immobili indicati dall'articolo precedente sono obbligati a eseguire, in conformità del piano generale di bonifica e delle connesse direttive di trasformazione agraria, le opere di competenza privata che siano d'interesse comune a più fondi o d'interesse particolare a taluno di essi.
Art. 862.
(Consorzi di bonifica).
All'esecuzione, alla manutenzione e all'esercizio delle opere di bonifica può provvedersi a mezzo di consorzi tra i proprietari interessati.
A tali consorzi possono essere anche affidati l'esecuzione, la manutenzione e l'esercizio delle altre opere d'interesse comune a più fondi o d'interesse particolare a uno di essi.
I consorzi sono costituiti per decreto reale e, in mancanza dell'iniziativa privata, possono essere formati anche d'ufficio.
Essi sono persone giuridiche pubbliche e svolgono la loro attività secondo le norme dettate dalla legge speciale.
Art. 863.
(Consorzi di miglioramento fondiario).
Nelle forme stabilite per i consorzi di bonifica possono essere costituiti anche consorzi per l'esecuzione, la manutenzione e l'esercizio di opere di miglioramento fondiario comuni a più fondi e indipendenti da un piano generale di bonifica.
Essi sono persone giuridiche private. Possono tuttavia assumere il carattere di persone giuridiche pubbliche quando, per la loro vasta estensione territoriale o per la particolare importanza delle loro funzioni ai fini dell'incremento della produzione, sono riconosciuti d'interesse nazionale con provvedimento dell'autorità amministrativa.
Art. 864.
(Contributi consorziali).
I contributi dei proprietari nella spesa di esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere di bonifica e di miglioramento fondiario sono esigibili con le norme e i privilegi stabiliti per l'imposta fondiaria.
Art. 865.
(Espropriazione per inosservanza degli obblighi).
Quando l'inosservanza degli obblighi imposti ai proprietari risulta tale da compromettere l'attuazione del piano di bonifica, può farsi luogo all'espropriazione parziale o totale del fondo appartenente al proprietario inadempiente, osservate le disposizioni della legge speciale.
L'espropriazione ha luogo a favore del consorzio, se questo ne fa richiesta, o, in mancanza, a favore di altra persona che si obblighi ad eseguire le opere offrendo opportune garanzie.
Sezione IV. -
Dei vincoli idrogeologici e delle difese fluviali.
Art. 866.
(Vincoli per scopi idrogeologici e per altri scopi).
Anche indipendentemente da un piano di bonifica, i terreni di qualsiasi natura e destinazione possono essere sottoposti a vincolo idrogeologico, osservate le forme e le condizioni stabilite dalla legge speciale, al fine di evitare che possano con danno pubblico subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque.
L'utilizzazione dei terreni e l'eventuale loro trasformazione, la qualità delle colture, il governo dei boschi e dei pascoli sono assoggettati, per effetto del vincolo, alle limitazioni stabilite dalle leggi in materia.
Parimenti, a norma della legge speciale, possono essere sottoposti a limitazione nella loro utilizzazione i boschi che per la loro speciale ubicazione difendono terreni o fabbricati dalla caduta di valanghe, dal rotolamento dei sassi, dal sorrenamento e dalla furia dei venti, e quelli ritenuti utili per le condizioni igieniche locali.
Art. 867.
(Sistemazione e rimboschimento dei terreni vincolati).
Al fine del rimboschimento e del rinsaldamento i terreni vincolati possono essere assoggettati a espropriazione, a occupazione temporanea o a sospensione dell'esercizio del pascolo, nei modi e con le forme stabiliti dalle leggi in materia.
Art. 868.
(Regolamento protettivo dei corsi d'acqua).
I proprietari d'immobili situati in prossimità di corsi d'acqua che arrecano o minacciano danni all'agricoltura, ad abitati o a manufatti d'interesse pubblico sono obbligati, anche indipendentemente da un piano di bonifica, a contribuire all'esecuzione delle opere necessarie per il regolamento del corso d'acqua nelle forme stabilite dalle leggi speciali.
Sezione V. -
Della proprietà edilizia.
Art. 869.
(Piani regolatori).
I proprietari d'immobili nei comuni dove sono formati piani regolatori devono osservare le prescrizioni dei piani stessi nelle costruzioni e nelle riedificazioni o modificazioni delle costruzioni esistenti.
Art. 870.
(Comparti).
Quando è prevista la formazione di comparti, costituenti unità fabbricabili con speciali modalità di costruzione e di adattamento, gli aventi diritto sugli immobili compresi nel comparto devono regolare i loro reciproci rapporti in modo da rendere possibile l'attuazione del piano. Possono anche riunirsi in consorzio per l'esecuzione delle opere. In mancanza di accordo, può procedersi all'espropriazione a norma delle leggi in materia.
Art. 871.
(Norme di edilizia e di ornato pubblico).
Le regole da osservarsi nelle costruzioni sono stabilite dalla legge speciale e dai regolamenti edilizi comunali.
La legge speciale stabilisce altresì le regole da osservarsi per le costruzioni nelle località sismiche.
Art. 872.
(Violazione delle norme di edilizia).
Le conseguenze di carattere amministrativo della violazione delle norme indicate dall'articolo precedente sono stabilite da leggi speciali.
Colui che per effetto della violazione ha subito danno deve esserne risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino quando si tratta della violazione delle norme contenute nella sezione seguente o da questa richiamate.
Sezione VI. -
Delle distanze nelle costruzioni, piantagioni e scavi, e dei muri, fossi e siepi interposti tra i fondi.
Art. 873.
(Distanze nelle costruzioni).
Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore.
Art. 874.
(Comunione forzosa del muro sul confine).
Il proprietario di un fondo contiguo al muro altrui può chiederne la comunione per tutta l'altezza o per parte di essa, purchè lo faccia per tutta l'estensione della sua proprietà. Per ottenere la comunione deve pagare la metà del valore del muro, o della parte di muro resa comune, e la metà del valore del suolo su cui il muro è costruito. Deve inoltre eseguire le opere che occorrono per non danneggiare il vicino.
Art. 875.
(Comunione forzosa del muro che non è sul confine).
Quando il muro si trova a una distanza dal confine minore di un metro e mezzo ovvero a distanza minore della metà di quella stabilita dai regolamenti locali, il vicino può chiedere la comunione del muro soltanto allo scopo di fabbricare contro il muro stesso, pagando, oltre il valore della metà del muro, il valore del suolo da occupare con la nuova fabbrica, salvo che il proprietario preferisca estendere il suo muro sino al confine.
Il vicino che intende domandare la comunione deve interpellare preventivamente il proprietario se preferisca di estendere il muro al confine o di procedere alla sua demolizione. Questi deve manifestare la propria volontà entro un termine di giorni quindici e deve procedere alla costruzione o alla demolizione entro sei mesi dal giorno in cui ha comunicato la risposta.
Art. 876.
(Innesto nel muro sul confine).
Se il vicino vuole servirsi del muro esistente sul confine solo per innestarvi un capo del proprio muro, non ha l'obbligo di renderlo comune a norma dell'art. 874, ma deve pagare un'indennità per l'innesto.
Art. 877.
(Costruzioni in aderenza).
Il vicino, senza chiedere la comunione del muro posto sul confine, può costruire sul confine stesso in aderenza, ma senza appoggiare la sua fabbrica a quella preesistente.
Questa norma si applica anche nel caso previsto dall'art. 875; il vicino in tal caso deve pagare soltanto il valore del suolo.
Art. 878.
(Muro di cinta).
Il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un'altezza superiore ai tre metri non è considerato per il computo della distanza indicata dall'articolo 873.
Esso, quando è posto sul confine, può essere reso comune anche a scopo d'appoggio, purchè non preesista al di là un edificio a distanza inferiore ai tre metri.
Art. 879.
(Edifici non soggetti all'obbligo delle distanze e a comunione forzosa).
Alla comunione forzosa non sono soggetti gli edifici appartenenti al demanio pubblico e quelli soggetti allo stesso regime, nè gli edifici che sono riconosciuti di interesse storico, archeologico o artistico, a norma delle leggi in materia. Il vicino non può neppure usare della facoltà concessa dall'art. 877.
Alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano.
Art. 880.
(Presunzione di comunione del muro divisorio).
Il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune fino alla sua sommità e, in caso di altezze ineguali, fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto.
Si presume parimenti comune il muro che serve di divisione tra cortili giardini e orti o tra recinti nei campi.
Art. 881.
(Presunzione di proprietà esclusiva del muro divisorio).
Si presume che il muro divisorio tra i campi, cortili, giardini od orti appartenga al proprietario del fondo verso il quale esiste il piovente e in ragione del piovente medesimo.
Se esistono sporti, come cornicioni, mensole e simili, o vani che si addentrano oltre la metà della grossezza del muro, e gli uni e gli altri risultano costruiti col muro stesso, si presume che questo spetti al proprietario dalla cui parte gli sporti o i vani si presentano, anche se vi sia soltanto qualcuno di tali segni.
Se uno o più di essi sono da una parte, e uno o più dalla parte opposta, il muro è reputato comune: in ogni caso la positura del piovente prevale su tutti gli altri indizi.
Art. 882.
(Riparazioni del muro comune).
Le riparazioni e le ricostruzioni necessarie del muro comune sono a carico di tutti quelli che vi hanno diritto e in proporzione del diritto di ciascuno, salvo che la spesa sia stata cagionata dal fatto di uno dei partecipanti.
Il comproprietario di un muro comune può esimersi dall'obbligo di contribuire nelle spese di riparazione e ricostruzione, rinunziando al diritto di comunione, purchè il muro comune non sostenga un edificio di sua spettanza.
La rinunzia non libera il rinunziante dall'obbligo delle riparazioni e ricostruzioni a cui abbia dato causa col fatto proprio.
Art. 883.
(Abbattimento di edificio appoggiato al muro comune).
Il proprietario che vuole atterrare un edificio sostenuto da un muro comune può rinunziare alla comunione di questo, ma deve farvi le riparazioni e le opere che la demolizione rende necessarie per evitare ogni danno al vicino.
Art. 884.
(Appoggio e immissione di travi e catene nel muro comune).
Il comproprietario di un muro comune può fabbricare appoggiandovi le sue costruzioni e può immettervi travi, purchè le mantenga a distanza di cinque centimetri dalla superficie opposta, salvo il diritto dell'altro comproprietario di fare accorciare la trave fino alla metà del muro, nel caso in cui egli voglia collocare una trave nello stesso luogo, aprirvi un incavo o appoggiarvi un camino. Il comproprietario può anche attraversare il muro comune con chiavi e catene di rinforzo, mantenendo la stessa distanza. Egli è tenuto in ogni caso a riparare i danni causati dalle opere compiute.
Non può fare incavi nel muro comune, nè eseguirvi altra opera che ne comprometta la stabilità o che in altro modo lo danneggi.
Art. 885.
(Innalzamento del muro comune).
Ogni comproprietario può alzare il muro comune, ma sono a suo carico tutte le spese di costruzione e conservazione della parte sopraedificata. Anche questa può dal vicino essere resa comune a norma dell'articolo 874.
Se il muro non è atto a sostenere la sopraedificazione, colui che l'esegue è tenuto a ricostruirlo o a rinforzarlo a sue spese. Per il maggiore spessore che sia necessario, il muro deve essere costruito sul suolo proprio, salvo che esigenze tecniche impongano di costruirlo su quello del vicino. In entrambi i casi il muro ricostruito o ingrossato resta di proprietà comune, e il vicino deve essere indennizzato di ogni danno prodotto dall'esecuzione delle opere. Nel secondo caso il vicino ha diritto di conseguire anche il valore della metà del suolo occupato per il maggiore spessore.
Qualora il vicino voglia acquistare la comunione della parte sopraelevata del muro, si tiene conto, nel calcolare il valore di questa, anche delle spese occorse per la ricostruzione o per il rafforzamento.
Art. 886.
(Costruzione del muro di cinta).
Ciascuno può costringere il vicino a contribuire per metà nella spesa di costruzione dei muri di cinta che separano le rispettive case, i cortili e i giardini posti negli abitati. L'altezza di essi, se non è diversamente determinata dai regolamenti locali o dalla convenzione, deve essere di tre metri.
Art. 887.
(Fondi a dislivello negli abitati).
Se di due fondi posti negli abitati uno è superiore e l'altro inferiore, il proprietario del fondo superiore deve sopportare per intero le spese di costruzione e conservazione del muro dalle fondamenta all'altezza del proprio suolo, ed entrambi i proprietari devono contribuire per tutta la restante altezza.
Il muro deve essere costruito per metà sul terreno del fondo inferiore e per metà sul terreno del fondo superiore.
Art. 888.
(Esonero dal contributo nelle spese).
Il vicino si può esimere dal contribuire nelle spese di costruzione del muro di cinta o divisorio, cedendo, senza diritto a compenso, la metà del terreno su cui il muro di separazione deve essere costruito. In tal caso il muro è di proprietà di colui che l'ha costruito, salva la facoltà del vicino di renderlo comune ai sensi dell'art. 874, senza obbligo però di pagare la metà del valore del suolo su cui il muro è stato costruito.
Art. 889.
(Distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi).
Chi vuole aprire pozzi, cisterne, fosse di latrina o di concime presso il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, deve osservare la distanza di almeno due metri tra il confine e il punto più vicino del perimetro interno delle opere predette.
Per i tubi d'acqua pura o lurida, per quelli di gas e simili e loro diramazioni deve osservarsi la distanza di almeno un metro dal confine.
Sono salve in ogni caso le disposizioni dei regolamenti locali.
Art. 890.
(Distanze per fabbriche e depositi nocivi o pericolosi).
Chi presso il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, vuole fabbricare forni, camini, magazzini di sale, stalle e simili, o vuol collocare materie umide o esplodenti o in altro modo nocive, ovvero impiantare macchinari, per i quali può sorgere pericolo di danni, deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza.
Art. 891.
(Distanze per canali e fossi).
Chi vuole scavare fossi o canali presso il confine, se non dispongono in modo diverso i regolamenti locali, deve osservare una distanza eguale alla profondità del fosso o canale. La distanza si misura dal confine al ciglio della sponda più vicina, la quale deve essere a scarpa naturale ovvero munita di opere di sostegno. Se il confine si trova in un fosso comune o in una via privata, la distanza si misura da ciglio a ciglio o dal ciglio al lembo esteriore della via.
Art. 892.
(Distanze per gli alberi).
Chi vuol piantare alberi presso il confine deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, dagli usi locali. Se gli uni e gli altri non dispongono, devono essere osservate le seguenti distanze dal confine: 1) tre metri per gli alberi di alto fusto. Rispetto alle distanze, si considerano alberi di alto fusto quelli il cui fusto, semplice o diviso in rami, sorge ad altezza notevole, come sono i noci, i castagni, le querce, i pini, i cipressi, gli olmi, i pioppi, i platani e simili; 2) un metro e mezzo per gli alberi di non alto fusto. Sono reputati tali quelli il cui fusto, sorto ad altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami; 3) mezzo metro per le viti, gli arbusti, le siepi vive, le piante da frutto di altezza non maggiore di due metri e mezzo.
La distanza deve essere però di un metro, qualora le siepi siano di ontano, di castagno o di altre piante simili che si recidono periodicamente vicino al ceppo, e di due metri per le siepi di robinie.
La distanza si misura dalla linea del confine alla base esterna del tronco dell'albero nel tempo della piantagione, o dalla linea stessa al luogo dove fu fatta la semina.
Le distanze anzidette non si devono osservare se sul confine esiste un muro divisorio, proprio o comune, purchè le piante siano tenute ad altezza che non ecceda la sommità del muro.
Art. 893.
(Alberi presso strade, canali e sui confini di boschi).
Per gli alberi che nascono o si piantano nei boschi, sul confine con terreni non boschivi, o lungo le strade o le sponde dei canali, si osservano, trattandosi di boschi, canali e strade di proprietà privata, i regolamenti e, in mancanza, gli usi locali. Se gli uni e gli altri non dispongono, si osservano le distanze prescritte dall'articolo precedente.
Art. 894.
(Alberi a distanza non legale).
Il vicino può esigere che si estirpino gli alberi e le siepi che sono piantati o nascono a distanza minore di quelle indicate dagli articoli precedenti.
Art. 895.
(Divieto di ripiantare alberi a distanza non legale).
Se si è acquistato il diritto di tenere alberi a distanza minore di quelle sopra indicate, e l'albero muore o viene reciso o abbattuto, il vicino non può sostituirlo, se non osservando la distanza legale.
La disposizione non si applica quando gli alberi fanno parte di un filare situato lungo il confine.
Art. 896.
(Recisione di rami protesi e di radici).
Quegli sul cui fondo si protendono i rami degli alberi del vicino può in qualunque tempo costringerlo a tagliarli, e può egli stesso tagliare le radici che si addentrano nel suo fondo, salvi però in ambedue i casi i regolamenti e gli usi locali.
Se gli usi locali non dispongono diversamente, i frutti naturalmente caduti dai rami protesi sul fondo del vicino appartengono al proprietario del fondo su cui sono caduti.
Se a norma degli usi locali i frutti appartengono al proprietario dell'albero, per la raccolta di essi si applica il disposto dell'art. 843.
Art. 897.
(Comunione di fossi).
Ogni fosso interposto tra due fondi si presume comune.
Si presume che il fosso appartenga al proprietario che se ne serve per gli scoli delle sue terre, o al proprietario del fondo dalla cui parte è il getto della terra o lo spurgo ammucchiatovi da almeno tre anni.
Se uno o più di tali segni sono da una parte e uno o più dalla parte opposta, il fosso si presume comune.
Art. 898.
(Comunione di siepi).
Ogni siepe tra due fondi si presume comune ed è mantenuta a spese comuni, salvo che vi sia termine di confine o altra prova in contrario.
Se uno solo dei fondi è recinto, si presume che la siepe appartenga al proprietario del fondo recinto, ovvero di quello dalla cui parte si trova la siepe stessa in relazione ai termini di confine esistenti.
Art. 899.
(Comunione di alberi).
Gli alberi sorgenti nella siepe comune sono comuni.
Gli alberi sorgenti sulla linea di confine si presumono comuni, salvo titolo o prova in contrario.
Gli alberi che servono di limite o che si trovano nella siepe comune non possono essere tagliati, se non di comune consenso o dopo che l'autorità giudiziaria abbia riconosciuto la necessità o la convenienza del taglio.
Sezione VII. -
Delle luci e delle vedute.
Art. 900.
(Specie di finestre).
Le finestre o altre aperture sul fondo del vicino sono di due specie: luci, quando danno passaggio alla luce e all'aria, ma non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino; vedute o prospetti, quando permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente.
Art. 901.
(Luci).
Le luci che si aprono sul fondo del vicino devono: 1) essere munite di un'inferriata idonea a garantire la sicurezza del vicino e di una grata fissa in metallo le cui maglie non siano maggiore di tre centimetri quadrati; 2) avere il lato inferiore a un'altezza non minore di due metri e mezzo dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare luce e aria, se esse sono al piano terreno, e non minore di due metri, se sono ai piani superiori; 3) avere il lato inferiore a un'altezza non minore di due metri e mezzo dal suolo del fondo vicino, a meno che si tratti di locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l'altezza stessa.
Art. 902.
(Apertura priva dei requisiti prescritti per le luci).
L'apertura che non ha i caratteri di veduta o di prospetto è considerata come luce, anche se non sono state osservate le prescrizioni indicate dall'art. 901.
Il vicino ha sempre il diritto di esigere che essa sia resa conforme alle prescrizioni dell'articolo predetto.
Art. 903.
(Luci nel muro proprio o nel muro comune).
Le luci possono essere aperte dal proprietario del muro contiguo al fondo altrui.
Se il muro è comune, nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso dell'altro; ma chi ha sopraelevato il muro comune può aprirle nella maggiore altezza a cui il vicino non abbia voluto contribuire.
Art. 904.
(Diritto di chiudere le luci).
La presenza di luci in un muro non impedisce al vicino di acquistare la comunione del muro medesimo nè di costruire in aderenza.
Chi acquista la comunione del muro non può chiudere le luci se ad esso non appoggia il suo edificio.
Art. 905.
(Distanza per l'apertura di vedute dirette e balconi).
Non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo.
Non si possono parimenti costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere.
Il divieto cessa allorquando tra i due fondi vicini vi è una via pubblica.
Art. 906.
(Distanza per l'apertura di vedute laterali od oblique).
Non si possono aprire vedute laterali od oblique sul fondo del vicino se non si osserva la distanza di settantacinque centimetri, la quale deve misurarsi dal più vicino lato della finestra o dal più vicino sporto.
Art. 907.
(Distanza delle costruzioni dalle vedute).
Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell'art. 905.
Se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita.
Se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia.
Sezione VIII. -
Dello stillicidio.
Art. 908.
(Scarico delle acque piovane).
Il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino nel suo terreno e non può farle cadere nel fondo del vicino.
Se esistono pubblici colatoi, deve provvedere affinchè le acque piovane vi siano immesse con gronde o canali. Si osservano in ogni caso i regolamenti locali e le leggi sulla polizia idraulica.
Sezione IX. -
Delle acque.
Art. 909.
(Diritto sulle acque esistenti nel fondo).
Il proprietario del suolo ha il diritto di utilizzare le acque in esso esistenti, salve le disposizioni delle leggi speciali per le acque pubbliche e per le acque sotterranee.
Egli può anche disporne a favore d'altri, qualora non osti il diritto di terzi; ma, dopo essersi servito delle acque, non può divertirle in danno d'altri fondi.
Art. 910.
(Uso delle acque che limitano o attraversano un fondo).
Il proprietario di un fondo limitato o attraversato da un'acqua non pubblica, che corre naturalmente e sulla quale altri non ha diritto, può, mentre essa trascorre, farne uso per l'irrigazione dei suoi terreni e per l'esercizio delle sue industrie, ma deve restituire le colature e gli avanzi al corso ordinario.
Art. 911.
(Apertura di nuove sorgenti e altre opere).
Chi vuole aprire sorgenti, stabilire capi o aste di fonte e in genere eseguire opere per estrarre acque dal sottosuolo o costruire canali o acquedotti, oppure scavarne, profondarne o allargarne il letto, aumentarne o diminuirne il pendio o variarne la forma, deve, oltre le distanze stabilite nell'art. 891, osservare le maggiori distanze ed eseguire le opere che siano necessarie per non recare pregiudizio ai fondi altrui, sorgenti, capi o aste di fonte, canali o acquedotti preesistenti e destinati all'irrigazione dei terreni o agli usi domestici o industriali.
Art. 912.
(Conciliazione di opposti interessi).
Se sorge controversia tra i proprietari a cui un'acqua non pubblica può essere utile, l'autorità giudiziaria deve valutare l'interesse dei singoli proprietari nei loro rapporti e rispetto ai vantaggi che possono derivare all'agricoltura o all'industria dall'uso a cui l'acqua è destinata o si vuol destinare.
L'autorità giudiziaria può assegnare un'indennità ai proprietari che sopportino diminuzione del proprio diritto.
In tutti i casi devono osservarsi le disposizioni delle leggi sulle acque e sulle opere idrauliche.
Art. 913.
(Scolo delle acque).
Il fondo inferiore è soggetto a ricevere le acque che dal fondo più elevato scolano naturalmente, senza che sia intervenuta l'opera dell'uomo.
Il proprietario del fondo inferiore non può impedire questo scolo, nè il proprietario del fondo superiore può renderlo più gravoso.
Se per opere di sistemazione agraria dell'uno o dell'altro fondo si rende necessaria una modificazione del deflusso naturale delle acque, è dovuta un'indennità al proprietario del fondo a cui la modificazione stessa ha recato pregiudizio.
Art. 914.
(Consorzi per regolare il deflusso delle acque).
Qualora per esigenze della produzione si debba provvedere a opere di sistemazione degli scoli, di soppressione di ristagni o di raccolta di acque, l'autorità amministrativa, su richiesta della maggioranza degli interessati o anche d'ufficio, può costituire un consorzio tra i proprietari dei fondi che traggono beneficio dalle opere stesse.
Si applicano a tale consorzio le disposizioni del secondo e del terzo comma dell'art. 921.
Art. 915.
(Riparazione di sponde e argini).
Qualora le sponde o gli argini che servivano di ritegno alle acque siano stati in tutto o in parte distrutti o atterrati, ovvero per la naturale variazione del corso delle acque si renda necessario costruire nuovi argini o ripari, e il proprietario del fondo non provveda sollecitamente a ripararli o a costruirli, ciascuno dei proprietari che hanno sofferto o possono ricevere danno può provvedervi, previa autorizzazione del pretore, che provvede in via d'urgenza.
Le opere devono essere eseguite in modo che il proprietario del fondo, in cui esse si compiono, non ne subisca danno, eccetto quello temporaneo causato dall'esecuzione delle opere stesse.
Art. 916.
(Rimozione degli ingombri).
Le disposizioni dell'articolo precedente si applicano anche quando si tratta di togliere un ingombro formatosi sulla superficie di un fondo o in un fosso, rivo, colatoio o altro alveo, a causa di materie in essi impigliate, in modo che le acque danneggino o minaccino di danneggiare i fondi vicini.
Art. 917.
(Spese per la riparazione, costruzione o rimozione).
Tutti i proprietari, ai quali torna utile che le sponde o gli argini siano conservati o costruiti e gli ingombri rimossi, devono contribuire nella spesa in proporzione del vantaggio che ciascuno ne ritrae.
Tuttavia, se la distruzione degli argini, la variazione delle acque o l'ingombro nei loro corsi deriva da colpa di alcuno dei proprietari, le spese di conservazione, di costruzione o di riparazione gravano esclusivamente su di lui, salvo in ogni caso il risarcimento dei danni.
Art. 918.
(Consorzi volontari).
Possono costituirsi in consorzio i proprietari di fondi vicini che vogliano riunire e usare in comune le acque defluenti dal medesimo bacino di alimentazione o da bacini contigui.
L'adesione degli interessati e il regolamento del consorzio devono risultare da atto scritto.
Il regolamento del consorzio è deliberato dalla maggioranza calcolata in base all'estensione dei terreni a cui serve l'acqua.
Art. 919.
(Scioglimento del consorzio).
Lo scioglimento del consorzio non ha luogo se non quando è deliberato da una maggioranza eccedente i tre quarti, o quando, potendosi la divisione effettuare senza grave danno, essa è domandata da uno degli interessati.
Art. 920.
(Norme applicabili).
Salvo quanto è disposto dagli articoli precedenti, si applicano ai consorzi volontari ivi indicati le norme stabilite per la comunione.
Art. 921.
(Consorzi coattivi).
Nel caso indicato dall'art. 918, il consorzio può anche essere costituito d'ufficio dall'autorità amministrativa, allo scopo di provvedere a una migliore utilizzazione delle acque.
Per le forme di costituzione e il funzionamento si osservano le norme stabilite per i consorzi di miglioramento fondiario.
Il consorzio può anche procedere all'espropriazione dei singoli diritti, mediante il pagamento delle dovute indennità.
Capo III.
Dei modi di acquisto della proprietà.
Art. 922.
(Modi di acquisto).
La proprietà si acquista per occupazione, per invenzione, per accessione, per specificazione, per unione o commistione, per usucapione, per effetto di contratti, per successione a causa di morte e negli altri modi stabiliti dalla legge.
Sezione I. -
Dell'occupazione e dell'invenzione.
Art. 923.
(Cose suscettibili di occupazione).
Le cose mobili che non sono proprietà di alcuno si acquistano con l'occupazione.
Tali sono le cose abbandonate e gli animali che formano oggetto di caccia o di pesca.
Art. 924.
(Sciami di api).
Il proprietario di sciami di api ha diritto d'inseguirli sul fondo altrui, ma deve indennità per il danno cagionato al fondo; se non li ha inseguiti entro due giorni o ha cessato durante due giorni d'inseguirli, può prenderli e ritenerli il proprietario del fondo.
Art. 925.
(Animali mansuefatti).
Gli animali mansuefatti possono essere inseguiti dal proprietario nel fondo altrui, salvo il diritto del proprietario del fondo a indennità per il danno.
Essi appartengono a chi se ne è impossessato, se non sono reclamati entro venti giorni da quando il proprietario ha avuto conoscenza del luogo dove si trovano.
Art. 926.
(Migrazione di colombi, conigli e pesci).
I conigli o pesci che passano ad un'altra conigliera o peschiera si acquistano dal proprietario di queste, purchè non vi siano stati attirati con arte o con frode.
La stessa norma si osserva per i colombi che passano ad altra colombaia, salve le diverse disposizioni di legge sui colombi viaggiatori.
Art. 927.
(Cose ritrovate).
Chi trova una cosa mobile deve restituirla al proprietario, e, se non lo conosce, deve consegnarla senza ritardo al podestà del luogo in cui l'ha trovata, indicando le circostanze del ritrovamento.
Art. 928.
(Pubblicazione del ritrovamento).
Il podestà rende nota la consegna per mezzo di pubblicazione nell'albo pretorio del comune, da farsi per due domeniche successive e da restare affissa per tre giorni ogni volta.
Art. 929.
(Acquisto di proprietà della cosa ritrovata).
Trascorso un anno dall'ultimo giorno della pubblicazione senza che si presenti il proprietario, la cosa oppure il suo prezzo, se le circostanze ne hanno richiesto la vendita, appartiene a chi l'ha trovata.
Così il proprietario come il ritrovatore, riprendendo la cosa o ricevendo il prezzo, devono pagare le spese occorse.
Art. 930.
(Premio dovuto al ritrovatore).
Il proprietario deve pagare a titolo di premio al ritrovatore, se questi lo richiede, il decimo della somma o del prezzo della cosa ritrovata.
Se tale somma o prezzo eccede le diecimila lire, il premio per il sovrappiù è solo del ventesimo.
Se la cosa non ha valore commerciale, la misura del premio è fissata dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento.
Art. 931.
(Equiparazione del possessore o detentore al proprietario).
Agli effetti delle disposizioni contenute negli articoli 927 e seguenti, al proprietario sono equiparati, secondo le circostanze, il possessore e il detentore.
Art. 932.
(Tesoro).
Tesoro è qualunque cosa mobile di pregio, nascosta o sotterrata, di cui nessuno può provare d'essere proprietario.
Il tesoro appartiene al proprietario del fondo in cui si trova. Se il tesoro è trovato nel fondo altrui, purchè sia stato scoperto per solo effetto del caso, spetta per metà al proprietario del fondo e per metà al ritrovatore. La stessa disposizione si applica se il tesoro è scoperto in una cosa mobile altrui.
Per il ritrovamento degli oggetti d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico si osservano le disposizioni delle leggi speciali.
Art. 933.
(Rigetti del mare e piante sul lido. Relitti aeronautici).
I diritti sopra le cose gettate in mare o sopra quelle che il mare rigetta e sopra le piante e le erbe che crescono lungo le rive del mare sono regolati dalle leggi speciali.
Parimenti si osservano le leggi speciali per il ritrovamento di aeromobili e di relitti di aeromobili.
Sezione II. -
Dell'accessione, della specificazione, dell'unione e della commistione.
Art. 934.
(Opere fatte sopra o sotto il suolo).
Qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, salvo quanto è disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 e salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge.
Art. 935.
(Opere fatte dal proprietario del suolo con materiali altrui).
Il proprietario del suolo che ha fatto costruzioni, piantagioni od opere con materiali altrui deve pagarne il valore, se la separazione non è chiesta dal proprietario dei materiali, ovvero non può farsi senza che si rechi grave danno all'opera costruita o senza che perisca la piantagione. Deve inoltre, anche nel caso che si faccia la separazione, il risarcimento dei danni, se è in colpa grave.
In ogni caso la rivendicazione dei materiali non è ammessa trascorsi sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell'incorporazione.
Art. 936.
(Opere fatte da un terzo con materiali propri).
Quando le piantagioni, costruzioni od opere sono state fatte da un terzo con suoi materiali, il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarle.
Se il proprietario preferisce di ritenerle, deve pagare a sua scelta il valore dei materiali e il prezzo della mano d'opera oppure l'aumento di valore recato al fondo.
Se il proprietario del fondo domanda che siano tolte, esse devono togliersi a spese di colui che le ha fatte. Questi può inoltre essere condannato al risarcimento dei danni.
Il proprietario non può obbligare il terzo a togliere le piantagioni, costruzioni od opere, quando sono state fatte a sua scienza e senza opposizione o quando sono state fatte dal terzo in buona fede.
La rimozione non può essere domandata trascorsi sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell'incorporazione.
Art. 937.
(Opere fatte da un terzo con materiali altrui).
Se le piantagioni, costruzioni o altre opere sono state fatte da un terzo con materiali altrui, il proprietario di questi può rivendicarli, previa separazione a spese del terzo, se la separazione può ottenersi senza grave danno delle opere e del fondo.
La rivendicazione non è ammessa trascorsi sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell'incorporazione.
Nel caso che la separazione dei materiali non sia richiesta o che i materiali siano inseparabili, il terzo che ne ha fatto uso e il proprietario del suolo che sia stato in mala fede sono tenuti in solido al pagamento di un'indennità pari al valore dei materiali stessi. Il proprietario dei materiali può anche esigere tale indennità dal proprietario del suolo, ancorchè in buona fede, limitatamente al prezzo che da questo fosse ancora dovuto. Può altresì chiedere il risarcimento dei danni, tanto nei confronti del terzo che ne abbia fatto uso senza il suo consenso, quanto nei confronti del proprietario del suolo che in mala fede abbia autorizzato l'uso.
Art. 938.
(Occupazione di porzione di fondo attiguo).
Se nella costruzione di un edificio si occupa in buona fede una porzione del fondo attiguo, e il proprietario di questo non fa opposizione entro tre mesi dal giorno in cui ebbe inizio la costruzione, l'autorità giudiziaria, tenuto conto delle circostanze, può attribuire al costruttore la proprietà dell'edificio e del suolo occupato. Il costruttore è tenuto a pagare al proprietario del suolo il doppio del valore della superficie occupata, oltre il risarcimento dei danni.
Art. 939.
(Unione e commistione).
Quando più cose appartenenti a diversi proprietari sono state unite o mescolate in guisa da formare un sol tutto, ma sono separabili senza notevole deterioramento, ciascuno conserva la proprietà della cosa sua e ha diritto di ottenerne la separazione. In caso diverso, la proprietà ne diventa comune in proporzione del valore delle cose spettanti a ciascuno.
Quando però una delle cose si può riguardare come principale o è di molto superiore per valore, ancorchè serva all'altra di ornamento, il proprietario della cosa principale acquista la proprietà del tutto. Egli ha l'obbligo di pagare all'altro il valore della cosa che vi è unita o mescolata; ma se l'unione o la mescolanza è avvenuta senza il suo consenso ad opera del proprietario della cosa accessoria, egli non è obbligato a corrispondere che la somma minore tra l'aumento di valore apportato alla cosa principale e il valore della cosa accessoria.
E` inoltre dovuto il risarcimento dei danni in caso di colpa grave.
Art. 940.
(Specificazione).
Se taluno ha adoperato una materia che non gli apparteneva per formare una nuova cosa, possa o non possa la materia riprendere la sua prima forma, ne acquista la proprietà pagando al proprietario il prezzo della materia, salvo che il valore della materia sorpassi notevolmente quello della mano d'opera. In quest'ultimo caso la cosa spetta al proprietario della materia, il quale deve pagare il prezzo della mano d'opera.
Art. 941.
(Alluvione).
Le unioni di terra e gli incrementi, che si formano successivamente e impercettibilmente nei fondi posti lungo le rive dei fiumi o torrenti, appartengono al proprietario del fondo, salvo quanto è disposto dalle leggi speciali.
Art. 942.
(Terreno abbandonato dall'acqua corrente).
Il terreno abbandonato dall'acqua corrente, che insensibilmente si ritira da una delle rive portandosi sull'altra, appartiene al proprietario della riva scoperta, senza che il confinante della riva opposta possa reclamare il terreno perduto.
Questo diritto non ha luogo per i terreni abbandonati dal mare.
Art. 943.
(Laghi e stagni).
Il terreno che l'acqua copre quando essa è all'altezza dello sbocco del lago o dello stagno appartiene al proprietario del lago o dello stagno, ancorchè il volume dell'acqua venga a scemare.
Il proprietario non acquista alcun diritto sopra la terra lungo la riva che l'acqua ricopre nei casi di piena straordinaria.
Art. 944.
(Avulsione).
Se un fiume o torrente stacca per forza istantanea una parte considerevole e riconoscibile di un fondo contiguo al suo corso e la trasporta verso un fondo inferiore o verso l'opposta riva, il proprietario del fondo al quale si è unita la parte staccata ne acquista la proprietà. Deve però pagare all'altro proprietario un'indennità nei limiti del maggior valore recato al fondo dall'avulsione.
Art. 945.
(Isole e unioni di terra).
Le isole e unioni di terra che si formano nel letto dei fiumi o torrenti appartengono al demanio pubblico.
Se l'isola si è formata per avulsione, il proprietario del fondo, da cui è avvenuto il distacco, ne conserva la proprietà.
La stessa regola si osserva se un fiume o un torrente, formando un nuovo corso, attraversa e circonda il fondo o parte del fondo di un proprietario confinante, facendone un'isola.
Art. 946.
(Alveo abbandonato).
Se un fiume o torrente si forma un nuovo letto, abbandonando l'antico, questo spetta ai proprietari confinanti con le due rive. Essi se lo dividono fino al mezzo del letto medesimo, secondo l'estensione della fronte del fondo di ciascuno.
Art. 947.
(Mutamenti del letto dei fiumi derivanti da regolamento del loro corso).
Le disposizioni degli articoli 941, 942, 945 e 946 non si applicano nel caso in cui le alluvioni e i mutamenti nel letto dei fiumi derivano da regolamento del loro corso, da bonifiche o da altre simili cause.
Capo IV.
Delle azioni a difesa della proprietà.
Art. 948.
(Azione di rivendicazione).
Il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene e può proseguire l'esercizio dell'azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa. In tal caso il convenuto è obbligato a ricuperarla per l'attore a proprie spese, o, in mancanza, a corrispondergliene il valore, oltre a risarcirgli il danno.
Il proprietario, se consegue direttamente dal nuovo possessore o detentore la restituzione della cosa, è tenuto a restituire al precedente possessore o detentore la somma ricevuta in luogo di essa.
L'azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti dell'acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione.
Art. 949.
(Azione negatoria).
Il proprietario può agire per far dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio.
Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno.
Art. 950.
(Azione di regolamento di confini).
Quando il confine tra due fondi è incerto, ciascuno dei proprietari può chiedere che sia stabilito giudizialmente.
Ogni mezzo di prova è ammesso.
In mancanza di altri elementi, il giudice si attiene al confine delineato dalle mappe catastali.
Art. 951.
(Azione per apposizione di termini).
Se i termini tra fondi contigui mancano o sono diventati irriconoscibili, ciascuno dei proprietari ha diritto di chiedere che essi siano apposti o ristabiliti a spese comuni.
Titolo III.
Della superficie
Art. 952.
(Costituzione del diritto di superficie).
Il proprietario può costituire il diritto di fare e mantenere al disopra del suolo una costruzione a favore di altri, che ne acquista la proprietà.
Del pari può alienare la proprietà della costruzione già esistente, separatamente dalla proprietà del suolo.
Art. 953.
(Costituzione a tempo determinato).
Se la costituzione del diritto è stata fatta per un tempo determinato, allo scadere del termine il diritto di superficie si estingue e il proprietario del suolo diventa proprietario della costruzione.
Art. 954.
(Estinzione del diritto di superficie).
L'estinzione del diritto di superficie per scadenza del termine importa l'estinzione dei diritti reali imposti dal superficiario. I diritti gravanti sul suolo si estendono alla costruzione, salvo, per le ipoteche, il disposto del primo comma dell'art. 2816.
I contratti di locazione, che hanno per oggetto la costruzione, non durano se non per l'anno in corso alla scadenza del termine.
Il perimento della costruzione non importa, salvo patto contrario, l'estinzione del diritto di superficie.
Il diritto di fare la costruzione sul suolo altrui si estingue per prescrizione per effetto del non uso protratto per venti anni.
Art. 955.
(Costruzioni al disotto del suolo).
Le disposizioni precedenti si applicano anche nel caso in cui è concesso il diritto di fare e mantenere costruzioni al disotto del suolo altrui.
Art. 956.
(Divieto di proprietà separata delle piantagioni).
Non può essere costituita o trasferita la proprietà delle piantagioni separatamente dalla proprietà del suolo.
Titolo IV.
Dell'enfiteusi
Art. 957.
(Disposizioni inderogabili).
L'enfiteusi, salvo che il titolo disponga altrimenti, è regolata dalle norme contenute negli articoli seguenti.
Il titolo non può tuttavia derogare alle norme contenute negli articoli 958, secondo comma, 961, secondo comma, 962, 965, 968, 971 e 973.
Art. 958.
(Durata).
L'enfiteusi può essere perpetua o a tempo.
L'enfiteusi temporanea non può essere costituita per una durata inferiore ai venti anni.
Art. 959.
(Diritti dell'enfiteuta).
L'enfiteuta ha gli stessi diritti che avrebbe il proprietario sui frutti del fondo, sul tesoro e relativamente alle utilizzazioni del sottosuolo in conformità delle disposizioni delle leggi speciali.
Il diritto dell'enfiteuta si estende alle accessioni.
Art. 960.
(Obblighi dell'enfiteuta).
L'enfiteuta ha l'obbligo di migliorare il fondo e di pagare al concedente un canone periodico. Questo può consistere in una somma di danaro ovvero in una quantità fissa di prodotti naturali.
L'enfiteuta non può pretendere remissione o riduzione del canone per qualunque insolita sterilità del fondo o perdita di frutti.
Art. 961.
(Pagamento del canone).
L'obbligo del pagamento del canone grava solidalmente su tutti i coenfiteuti e sugli eredi dell'enfiteuta finchè dura la comunione.
Nel caso in cui segua la divisione e il fondo venga goduto separatamente dagli enfiteuti o dagli eredi, ciascuno risponde per gli obblighi inerenti all'enfiteusi proporzionalmente al valore della sua porzione.
Art. 962.
(Revisione del canone).
Decorsi almeno dieci anni dalla costituzione dell'enfiteusi, e successivamente dopo eguale periodo di tempo, le parti possono chiedere una revisione del canone, qualora questo sia divenuto troppo tenue o troppo gravoso in relazione al valore attuale del fondo. Tale valore si determina senza tener conto dei miglioramenti arrecati dall'enfiteuta o di deterioramenti dovuti a causa a lui imputabile.
La revisione non è ammessa, se il valore attuale del fondo non risulta almeno raddoppiato o ridotto a metà rispetto al valore iniziale o a quello accertato nella precedente revisione.
Art. 963.
(Perimento totale o parziale del fondo).
Quando il fondo enfiteutico perisce interamente, l'enfiteusi si estingue.
Se è perita una parte notevole del fondo e il canone risulta sproporzionato al valore della parte residua, l'enfiteuta, secondo le circostanze, può chiedere una congrua riduzione del canone, o rinunziare al suo diritto, restituendo il fondo al concedente, salvo il diritto al rimborso dei miglioramenti sulla parte residua.
La domanda di riduzione del canone e la rinunzia al diritto non sono ammesse, decorso un anno dall'avvenuto perimento.
Qualora il fondo sia assicurato e l'assicurazione sia fatta anche nell'interesse del concedente, l'indennità è ripartita tra il concedente e l'enfiteuta in proporzione del valore dei rispettivi diritti.
Nel caso di espropriazione per pubblico interesse, l'indennità si ripartisce a norma del comma precedente.
Art. 964.
(Imposte e altri pesi).
Le imposte e gli altri pesi che gravano sul fondo sono a carico dell'enfiteuta, salve le disposizioni delle leggi speciali.
Se in virtù del titolo costitutivo sono a carico del concedente, tale obbligo non può eccedere l'ammontare del canone.
Art. 965.
(Disponibilità del diritto dell'enfiteuta).
L'enfiteuta può disporre del proprio diritto, sia per atto tra vivi, sia per atto di ultima volontà.
Per l'alienazione del diritto dell'enfiteuta non è dovuta alcuna prestazione al concedente.
Nell'atto costitutivo può essere vietato all'enfiteuta di disporre per atto tra vivi, in tutto o in parte, del proprio diritto, per un tempo non maggiore di venti anni.
Nel caso di alienazione compiuta contro tale divieto, l'enfiteuta non è liberato dai suoi obblighi verso il concedente ed è tenuto a questi solidalmente con l'acquirente.
Art. 966.
(Prelazione a favore del concedente).
In caso di vendita del diritto dell'enfiteuta, il concedente è preferito a parità di condizioni. L'enfiteuta deve notificare al concedente la proposta di alienazione, indicandone il prezzo; il concedente deve esercitare il suo diritto entro il termine di trenta giorni. In mancanza della notificazione, il concedente, entro un anno dalla notizia della vendita, può riscattare il diritto dall'acquirente e da ogni successivo avente causa.
Se i concedenti sono più e la prelazione non è esercitata da tutti congiuntamente, essa può esercitarsi per la totalità anche da uno solo, il quale subentra all'enfiteuta di fronte agli altri concedenti.
Art. 967.
(Diritti e obblighi dell'enfiteuta e del concedente in caso di alienazione).
In caso di alienazione, il nuovo enfiteuta è obbligato solidalmente col precedente al pagamento dei canoni non soddisfatti.
Il precedente enfiteuta non è liberato dai suoi obblighi, prima che sia stato notificato l'atto di acquisto al concedente.
In caso di alienazione del diritto del concedente, l'acquirente non può pretendere l'adempimento degli obblighi dell'enfiteuta prima che a questo sia stata notificata l'alienazione.
Art. 968.
(Subenfiteusi).
La subenfiteusi non è ammessa.
Art. 969.
(Ricognizione).
Il concedente può richiedere la ricognizione del proprio diritto da chi si trova nel possesso del fondo enfiteutico, un anno prima del compimento del ventennio.
Per l'atto di ricognizione non è dovuta alcuna prestazione. Le spese dell'atto sono a carico del concedente.
Art. 970.
(Prescrizione del diritto dell'enfiteuta).
Il diritto dell'enfiteuta si prescrive per effetto del non uso protratto per venti anni.
Art. 971.
(Affrancazione).
L'enfiteuta può affrancare il fondo dopo venti anni dalla costituzione dell'enfiteusi.
Nell'atto costitutivo può essere stabilito un termine superiore ai venti anni, ma non eccedente i quarant'anni.
Anche quando nell'atto costitutivo non è indicato alcun termine, se in esso è prestabilito un piano di miglioramento, l'enfiteuta non può procedere all'affrancazione prima che i miglioramenti siano stati compiuti.
Se più sono gli enfiteuti, l'affrancazione può promuoversi anche da uno solo di essi, ma per la totalità. In questo caso l'affrancante subentra nei diritti del concedente verso gli altri enfiteuti, salva, a favore di questi, una riduzione proporzionale del canone.
Se più sono i concedenti, l'affrancazione può effettuarsi per la quota che spetta a ciascun concedente.
L'affrancazione si opera mediante il pagamento di una somma risultante dalla capitalizzazione del canone annuo sulla base dell'interesse legale. Le modalità sono stabilite da leggi speciali.
Art. 972.
(Devoluzione).
Il concedente può chiedere la devoluzione del fondo enfiteutico: 1) se l'enfiteuta deteriora il fondo o non adempie all'obbligo di migliorarlo; 2) se l'enfiteuta è in mora nel pagamento di due annualità di canone. La devoluzione non ha luogo se l'enfiteuta ha effettuato il pagamento dei canoni maturati prima che sia intervenuta nel giudizio sentenza, ancorchè di primo grado, che abbia accolto la domanda.
La domanda di devoluzione non preclude all'enfiteuta il diritto di affrancare, sempre che ricorrano le condizioni previste dall'art. 971. Tuttavia l'affrancazione non è ammessa, se la devoluzione è chiesta a norma del n. 1 del precedente comma e l'inadempimento è di considerevole gravità. In tal caso la domanda giudiziale di devoluzione prevale su quella di affrancazione anche se questa sia stata anteriormente proposta, purchè non sia intervenuta sentenza, sebbene di primo grado, che abbia ammesso l'affrancazione.
Art. 973.
(Clausola risolutiva espressa).
La dichiarazione del concedente di valersi della clausola risolutiva espressa non impedisce l'esercizio del diritto di affrancazione, eccettuato il caso in cui, a norma dell'articolo precedente, la domanda di devoluzione preclude l'affrancazione.
Art. 974.
(Diritti dei creditori dell'enfiteuta).
I creditori dell'enfiteuta possono intervenire nel giudizio di devoluzione per conservare le loro ragioni, valendosi all'uopo anche del diritto di affrancazione che spetti all'enfiteuta; possono offrire il risarcimento dei danni e dare cauzione per l'avvenire.
I creditori, che hanno iscritto ipoteca contro l'enfiteuta anteriormente alla trascrizione della domanda di devoluzione e ai quali questa non è stata notificata in tempo utile per poter intervenire, conservano il diritto di affrancazione anche dopo avvenuta la devoluzione.
Art. 975.
(Miglioramenti e addizioni).
Quando cessa l'enfiteusi, all'enfiteuta spetta il rimborso dei miglioramenti nella misura dell'aumento di valore conseguito dal fondo per effetto dei miglioramenti stessi, quali sono accertati al tempo della riconsegna.
Se in giudizio è stata fornita qualche prova della sussistenza in genere dei miglioramenti, all'enfiteuta compete la ritenzione del fondo fino a quando non è soddisfatto il suo credito.
Per le addizioni fatte dall'enfiteuta, quando possono essere tolte senza nocumento del fondo, il concedente, se vuole ritenerle, deve pagarne il valore al tempo della riconsegna. Se le addizioni non sono separabili senza nocumento e costituiscono miglioramento, si applica la disposizione del primo comma di questo articolo.
Art. 976.
(Locazioni concluse dall'enfiteuta).
Per le locazioni concluse dall'enfiteuta si applicano le norme dell'art. 999.
Art. 977.
(Enfiteusi costituite dalle persone giuridiche).
Le disposizioni contenute negli articoli precedenti si applicano anche alle enfiteusi costituite dalle persone giuridiche, salvo che sia disposto diversamente dalle leggi speciali.
Titolo V.
Dell'usufrutto, dell'uso e dell'abitazione
Capo I.
Dell'usufrutto.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 978.
(Costituzione).
L'usufrutto è stabilito dalla legge o dalla volontà dell'uomo. Può anche acquistarsi per usucapione.
Art. 979.
(Durata).
La durata dell'usufrutto non può eccedere la vita dell'usufruttuario.
L'usufrutto costituito a favore di una persona giuridica non può durare più di trent'anni.
Art. 980.
(Cessione dell'usufrutto).
L'usufruttuario può cedere il proprio diritto per un certo tempo o per tutta la sua durata, se ciò non è vietato dal titolo costitutivo.
La cessione dev'essere notificata al proprietario; finchè non sia stata notificata, l'usufruttuario è solidalmente obbligato con il cessionario verso il proprietario.
Sezione II. -
Dei diritti nascenti dall'usufrutto.
Art. 981.
(Contenuto del diritto di usufrutto).
L'usufruttuario ha diritto di godere della cosa, ma deve rispettarne la destinazione economica.
Egli può trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare, fermi i limiti stabiliti in questo capo.
Art. 982.
(Possesso della cosa).
L'usufruttuario ha il diritto di conseguire il possesso della cosa di cui ha l'usufrutto, salvo quanto è disposto dall'art. 1002.
Art. 983.
(Accessioni).
L'usufrutto si estende a tutte le accessioni della cosa.
Se il proprietario dopo l'inizio dell'usufrutto, con il consenso dell'usufruttuario, ha fatto nel fondo costruzioni o piantagioni, l'usufruttuario è tenuto a corrispondere gli interessi sulle somme impiegate. La norma si applica anche nel caso in cui le costruzioni o piantagioni sono state fatte per disposizione della pubblica autorità.
Art. 984.
(Frutti).
I frutti naturali e i frutti civili spettano all'usufruttuario per la durata del suo diritto.
Se il proprietario e l'usufruttuario si succedono nel godimento della cosa entro l'anno agrario o nel corso di un periodo produttivo di maggiore durata, l'insieme di tutti i frutti si ripartisce fra l'uno e l'altro in proporzione della durata del rispettivo diritto nel periodo stesso.
Le spese per la produzione e il raccolto sono a carico del proprietario e dell'usufruttuario nella proporzione indicata dal comma precedente ed entro i limiti del valore dei frutti.
Art. 985.
(Miglioramenti).
L'usufruttuario ha diritto a un'indennità per i miglioramenti che sussistono al momento della restituzione della cosa.
L'indennità si deve corrispondere nella minor somma tra l'importo della spesa e l'aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti.
L'autorità giudiziaria, avuto riguardo alle circostanze, può disporre che il pagamento dell'indennità prevista dai commi precedenti sia fatto ratealmente, imponendo in questo caso idonea garanzia.
Art. 986.
(Addizioni).
L'usufruttuario può eseguire addizioni che non alterino la destinazione economica della cosa.
Egli ha diritto di toglierle alla fine dell'usufrutto, qualora ciò possa farsi senza nocumento della cosa, salvo che il proprietario preferisca ritenere le addizioni stesse. In questo caso deve essere corrisposta all'usufruttuario un'indennità pari alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore delle addizioni al tempo della riconsegna.
Se le addizioni non possono separarsi senza nocumento della cosa e costituiscono miglioramento di essa, si applicano le disposizioni relative ai miglioramenti.
Art. 987.
(Miniere, cave e torbiere).
L'usufruttuario gode delle cave e torbiere già aperte e in esercizio all'inizio dell'usufrutto. Non ha facoltà di aprirne altre senza il consenso del proprietario.
Per le ricerche e le coltivazioni minerarie, di cui abbia ottenuto il permesso, l'usufruttuario deve indennizzare il proprietario dei danni che saranno accertati alla fine dell'usufrutto.
Se il permesso è stato ottenuto dal proprietario o da un terzo, questi devono all'usufruttuario un'indennità corrispondente al diminuito godimento del fondo durante l'usufrutto.
Art. 988.
(Tesoro).
Il diritto dell'usufruttuario non si estende al tesoro che si scopra durante l'usufrutto, salve le ragioni che gli possono competere come ritrovatore.
Art. 989.
(Boschi, filari e alberi sparsi di alto fusto).
Se nell'usufrutto sono compresi boschi o filari cedui ovvero boschi o filari di alto fusto destinati alla produzione di legna, l'usufruttuario può procedere ai tagli ordinari, curando il mantenimento dell'originaria consistenza dei boschi o dei filari e provvedendo, se occorre, alla loro ricostituzione.
Circa il modo, l'estensione, l'ordine e l'epoca dei tagli, l'usufruttuario è tenuto a uniformarsi, oltre che alle leggi e ai regolamenti forestali, alla pratica costante della regione.
Le stesse regole si applicano agli alberi di alto fusto sparsi per la campagna, destinati ad essere tagliati.
Art. 990.
(Alberi di alto fusto divelti, spezzati o periti).
Gli alberi di alto fusto divelti, spezzati o periti per accidente spettano al proprietario. L'usufruttuario può servirsi di essi soltanto per le riparazioni che sono a suo carico.
Art. 991.
(Alberi fruttiferi).
Gli alberi fruttiferi che periscono e quelli divelti o spezzati per accidente appartengono all'usufruttuario, ma questi ha l'obbligo di sostituirne altri.
Art. 992.
(Pali per vigne e per altre coltivazioni).
L'usufruttuario può prendere nei boschi i pali occorrenti per le vigne e per le altre coltivazioni che ne abbisognano, osservando sempre la pratica costante della regione.
Art. 993.
(Semenzai).
L'usufruttuario può servirsi dei piantoni dei semenzai, ma deve osservare la pratica costante della regione per il tempo e il modo dell'estrazione e per la rimessa dei virgulti.
Art. 994.
(Perimento delle mandre o dei greggi).
Se l'usufrutto è stabilito sopra una mandra o un gregge, l'usufruttuario è tenuto a surrogare gli animali periti, fino alla concorrente quantità dei nati, dopo che la mandra o il gregge ha cominciato ad essere mancante del numero primitivo.
Se la mandra o il gregge perisce interamente per causa non imputabile all'usufruttuario, questi non è obbligato verso il proprietario che a rendere conto delle pelli o del loro valore.
Art. 995.
(Cose consumabili).
Se l'usufrutto comprende cose consumabili, l'usufruttuario ha diritto di servirsene e ha l'obbligo di pagarne il valore al termine dell'usufrutto secondo la stima convenuta.
Mancando la stima, è in facoltà dell'usufruttuario di pagare le cose secondo il valore che hanno al tempo in cui finisce l'usufrutto o di restituirne altre in eguale qualità e quantità.
Art. 996.
(Cose deteriorabili).
Se l'usufrutto comprende cose che, senza consumarsi in un tratto, si deteriorano a poco a poco, l'usufruttuario ha diritto di servirsene secondo l'uso al quale sono destinate, e alla fine dell'usufrutto è soltanto tenuto a restituirle nello stato in cui si trovano.
Art. 997.
(Impianti, opifici e macchinari).
Se l'usufrutto comprende impianti, opifici o macchinari che hanno una destinazione produttiva, l'usufruttuario è tenuto a riparare e a sostituire durante l'usufrutto le parti che si logorano, in modo da assicurare il regolare funzionamento delle cose suddette. Se l'usufruttuario ha sopportato spese che eccedono quelle delle ordinarie riparazioni, il proprietario, al termine dell'usufrutto, è tenuto a corrispondergli una congrua indennità.
Art. 998.
(Scorte vive e morte).
Le scorte vive e morte di un fondo devono essere restituite in eguale quantità e qualità. L'eccedenza o la deficienza di esse deve essere regolata in danaro, secondo il loro valore al termine dell'usufrutto.
Art. 999.
(Locazioni concluse dall'usufruttuario).
Le locazioni concluse dall'usufruttuario, in corso al tempo della cessazione dell'usufrutto, purchè constino da atto pubblico o da scrittura privata di data certa anteriore, continuano per la durata stabilita, ma non oltre il quinquennio dalla cessazione dell'usufrutto.
Se la cessazione dell'usufrutto avviene per la scadenza del termine stabilito, le locazioni non durano in ogni caso se non per l'anno, e, trattandosi di fondi rustici dei quali il principale raccolto è biennale o triennale, se non per il biennio o triennio che si trova in corso al tempo in cui cessa l'usufrutto.
Art. 1000.
(Riscossione di capitali).
Per la riscossione di somme che rappresentano un capitale gravato d'usufrutto, è necessario il concorso del titolare del credito e dell'usufruttuario. Il pagamento fatto a uno solo di essi non è opponibile all'altro, salve in ogni caso le norme relative alla cessione dei crediti.
Il capitale riscosso dev'essere investito in modo fruttifero e su di esso si trasferisce l'usufrutto. Se le parti non sono d'accordo sul modo d'investimento, provvede l'autorità giudiziaria.
Sezione III. -
Degli obblighi nascenti dall'usufrutto.
Art. 1001.
(Obbligo di restituzione. Misura della diligenza).
L'usufruttuario deve restituire le cose che formano oggetto del suo diritto, al termine dell'usufrutto, salvo quanto è disposto dall'art. 995.
Nel godimento della cosa egli deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.
Art. 1002.
(Inventario e garanzia).
L'usufruttuario prende le cose nello stato in cui si trovano.
Egli è tenuto a fare a sue spese l'inventario dei beni, previo avviso al proprietario. Quando l'usufruttuario è dispensato dal fare l'inventario, questo può essere richiesto dal proprietario a sue spese.
L'usufruttuario deve inoltre dare idonea garanzia. Dalla prestazione della garanzia sono dispensati i genitori che hanno l'usufrutto legale sui beni dei loro figli minori. Sono anche dispensati il venditore e il donante con riserva d'usufrutto; ma, qualora questi cedano l'usufrutto, il cessionario è tenuto a prestare garanzia.
L'usufruttuario non può conseguire il possesso dei beni prima di avere adempiuto agli obblighi su indicati.
Art. 1003.
(Mancanza o insufficienza della garanzia).
Se l'usufruttuario non presta la garanzia a cui è tenuto, si osservano le disposizioni seguenti: gli immobili sono locati o messi sotto amministrazione, salva la facoltà all'usufruttuario di farsi assegnare per propria abitazione una casa compresa nell'usufrutto. L'amministrazione è affidata, con il consenso dell'usufruttuario, al proprietario o altrimenti a un terzo scelto di comune accordo tra proprietario e usufruttuario o, in mancanza di tale accordo, nominato dall'autorità giudiziaria; il danaro è collocato a interesse; i titoli al portatore si convertono in nominativi a favore del proprietario con il vincolo dell'usufrutto, ovvero si depositano presso una terza persona, scelta dalle parti, o presso un istituto di credito, la cui designazione, in caso di dissenso, è fatta dall'autorità giudiziaria; le derrate sono vendute e il loro prezzo è parimenti collocato a interesse.
In questi casi appartengono all'usufruttuario gli interessi dei capitali, le rendite, le pigioni e i fitti.
Se si tratta di mobili i quali si deteriorano con l'uso, il proprietario può chiedere che siano venduti e ne sia impiegato il prezzo come quello delle derrate. L'usufruttuario può nondimeno domandare che gli siano lasciati i mobili necessari per il proprio uso.
Art. 1004.
(Spese a carico dell'usufruttuario).
Le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa sono a carico dell'usufruttuario.
Sono pure a suo carico le riparazioni straordinarie rese necessarie dall'inadempimento degli obblighi di ordinaria manutenzione.
Art. 1005.
(Riparazioni straordinarie).
Le riparazioni straordinarie sono a carico del proprietario.
Riparazioni straordinarie sono quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta.
L'usufruttuario deve corrispondere al proprietario, durante l'usufrutto, l'interesse delle somme spese per le riparazioni straordinarie.
Art. 1006.
(Rifiuto del proprietario alle riparazioni).
Se il proprietario rifiuta di eseguire le riparazioni poste a suo carico o ne ritarda l'esecuzione senza giusto motivo, è in facoltà dell'usufruttuario di farle eseguire a proprie spese. Le spese devono essere rimborsate alla fine dell'usufrutto senza interesse. A garanzia del rimborso l'usufruttuario ha diritto di ritenere l'immobile riparato.
Art. 1007.
(Rovina parziale di edificio accessorio).
Le disposizioni dei due articoli precedenti si applicano anche nel caso in cui, per vetustà o caso fortuito, rovini soltanto in parte l'edificio che formava accessorio necessario del fondo soggetto a usufrutto.
Art. 1008.
(Imposte e altri pesi a carico dell'usufruttuario).
L'usufruttuario è tenuto, per la durata del suo diritto, ai carichi annuali, come le imposte, i canoni, le rendite fondiarie e gli altri pesi che gravano sul reddito.
Per l'anno in corso al principio e alla fine dell'usufrutto questi carichi si ripartiscono tra il proprietario e l'usufruttuario in proporzione della durata del rispettivo diritto.
Art. 1009.
(Imposte e altri pesi a carico del proprietario).
Al pagamento dei carichi imposti sulla proprietà durante l'usufrutto, salvo diverse disposizioni di legge, è tenuto il proprietario, ma l'usufruttuario gli deve corrispondere l'interesse della somma pagata.
Se l'usufruttuario ne anticipa il pagamento, ha diritto di essere rimborsato del capitale alla fine dell'usufrutto.
Art. 1010.
(Passività gravanti su eredità in usufrutto).
L'usufruttuario di un'eredità o di una quota di eredità è obbligato a pagare per intero, o in proporzione della quota, le annualità e gli interessi dei debiti o dei legati da cui l'eredità stessa sia gravata.
Per il pagamento del capitale dei debiti o dei legati, che si renda necessario durante l'usufrutto, è in facoltà dell'usufruttuario di fornire la somma occorrente, che gli deve essere rimborsata senza interesse alla fine dell'usufrutto.
Se l'usufruttuario non può o non vuole fare questa anticipazione, il proprietario può pagare tale somma, sulla quale l'usufruttuario deve corrispondergli l'interesse durante l'usufrutto, o può vendere una porzione dei beni soggetti all'usufrutto fino alla concorrenza della somma dovuta.
Se per il pagamento dei debiti si rende necessaria la vendita dei beni, questa è fatta d'accordo tra proprietario e usufruttuario, salvo ricorso all'autorità giudiziaria in caso di dissenso. L'espropriazione forzata deve seguire contro ambedue.
Art. 1011.
(Ritenzione per le somme anticipate).
Nelle ipotesi contemplate dal secondo comma dell'art. 1009 e dal secondo comma dell'art. 1010, l'usufruttuario ha diritto di ritenzione sui beni che sono in suo possesso fino alla concorrenza della somma a lui dovuta.
Art. 1012.
(Usurpazioni durante l'usufrutto e azioni relative alle servitù).
Se durante l'usufrutto un terzo commette usurpazione sul fondo o altrimenti offende le ragioni del proprietario, l'usufruttuario è tenuto a fargliene denunzia e, omettendola, è responsabile dei danni che eventualmente siano derivati al proprietario.
L'usufruttuario può far riconoscere l'esistenza delle servitù a favore del fondo o l'inesistenza di quelle che si pretende di esercitare sul fondo medesimo; egli deve in questi casi chiamare in giudizio il proprietario.
Art. 1013.
(Spese per le liti).
Le spese delle liti che riguardano tanto la proprietà quanto l'usufrutto sono sopportate dal proprietario e dall'usufruttuario in proporzione del rispettivo interesse.
Sezione IV. -
Estinzioni e modificazioni dell'usufrutto.
Art. 1014.
(Estinzione dell'usufrutto).
Oltre quanto è stabilito dall'art. 979, l'usufrutto si estingue: 1) per prescrizione per effetto del non uso durato per venti anni; 2) per la riunione dell'usufrutto e della proprietà nella stessa persona; 3) per il totale perimento della cosa su cui è costituito.
Art. 1015.
(Abusi dell'usufruttuario).
L'usufrutto può anche cessare per l'abuso che faccia l'usufruttuario del suo diritto alienando i beni o deteriorandoli o lasciandoli andare in perimento per mancanza di ordinarie riparazioni.
L'autorità giudiziaria può, secondo le circostanze, ordinare che l'usufruttuario dia garanzia, qualora ne sia esente, o che i beni siano locati o posti sotto amministrazione a spese di lui, o anche dati in possesso al proprietario con l'obbligo di pagare annualmente all'usufruttuario, durante l'usufrutto, una somma determinata.
I creditori dell'usufruttuario possono intervenire nel giudizio per conservare le loro ragioni, offrire il risarcimento dei danni e dare garanzia per l'avvenire.
Art. 1016.
(Perimento parziale della cosa).
Se una sola parte della cosa soggetta all'usufrutto perisce, l'usufrutto si conserva sopra ciò che rimane.
Art. 1017.
(Perimento della cosa per colpa o dolo di terzi).
Se il perimento della cosa non è conseguenza di caso fortuito, l'usufrutto si trasferisce sull'indennità dovuta dal responsabile del danno.
Art. 1018.
(Perimento dell'edificio).
Se l'usufrutto è stabilito sopra un fondo, del quale fa parte un edificio, e questo viene in qualsiasi modo a perire, l'usufruttuario ha diritto di godere dell'area e dei materiali.
La stessa disposizione si applica se l'usufrutto è stabilito soltanto sopra un edificio. In tal caso, però, il proprietario, se intende costruire un altro edificio, ha il diritto di occupare l'area e di valersi dei materiali, pagando all'usufruttuario, durante l'usufrutto, gli interessi sulla somma corrispondente al valore dell'area e dei materiali.
Art. 1019.
(Perimento di cosa assicurata dall'usufruttuario).
Se l'usufruttuario ha provveduto all'assicurazione della cosa o al pagamento dei premi per la cosa già assicurata, l'usufrutto si trasferisce sull'indennità dovuta dall'assicuratore.
Se è perito un edificio e il proprietario intende di ricostruirlo con la somma conseguita come indennità, l'usufruttuario non può opporsi. L'usufrutto in questo caso si trasferisce sull'edificio ricostruito. Se però la somma impiegata nella ricostruzione è maggiore di quella spettante in usufrutto, il diritto dell'usufruttuario sul nuovo edificio è limitato in proporzione di quest'ultima.
Art. 1020.
(Requisizione o espropriazione).
Se la cosa è requisita o espropriata per pubblico interesse, l'usufrutto si trasferisce sull'indennità relativa.
Capo II.
Dell'uso e dell'abitazione.
Art. 1021.
(Uso).
Chi ha il diritto d'uso di una cosa può servirsi di essa e, se è fruttifera, può raccogliere i frutti per quanto occorre ai bisogni suoi e della sua famiglia.
I bisogni si devono valutare secondo la condizione sociale del titolare del diritto.
Art. 1022.
(Abitazione).
Chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia.
Art. 1023.
(Ambito della famiglia).
Nella famiglia si comprendono anche i figli nati dopo che è cominciato il diritto d'uso o d'abitazione, quantunque nel tempo in cui il diritto è sorto la persona non avesse contratto matrimonio. Si comprendono inoltre i figli adottivi, i figli naturali riconosciuti e gli affiliati, anche se l'adozione, il riconoscimento o l'affiliazione sono seguiti dopo che il diritto era già sorto. Si comprendono infine le persone che convivono con il titolare del diritto per prestare a lui o alla sua famiglia i loro servizi.
Art. 1024.
(Divieto di cessione).
I diritti di uso e di abitazione non si possono cedere o dare in locazione.
Art. 1025.
(Obblighi inerenti all'uso e all'abitazione).
Chi ha l'uso di un fondo e ne raccoglie tutti i frutti o chi ha il diritto di abitazione e occupa tutta la casa è tenuto alle spese di coltura, alle riparazioni ordinarie e al pagamento dei tributi come l'usufruttuario.
Se non raccoglie che una parte dei frutti o non occupa che una parte della casa, contribuisce in proporzione di ciò che gode.
Art. 1026.
(Applicabilità delle norme sull'usufrutto).
Le disposizioni relative all'usufrutto si applicano, in quanto compatibili, all'uso e all'abitazione.
Titolo VI.
Delle servitù prediali
Capo I.
Disposizioni generali.
Art. 1027.
(Contenuto del diritto).
La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario.
Art. 1028.
(Nozione dell'utilità).
L'utilità può consistere anche nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante. Può del pari essere inerente alla destinazione industriale del fondo.
Art. 1029.
(Servitù per vantaggio futuro).
E` ammessa la costituzione di una servitù per assicurare a un fondo un vantaggio futuro.
E` ammessa altresì a favore o a carico di un edificio da costruire o di un fondo da acquistare; ma in questo caso la costituzione non ha effetto se non dal giorno in cui l'edificio è costruito o il fondo è acquistato.
Art. 1030.
(Prestazioni accessorie).
Il proprietario del fondo servente non è tenuto a compiere alcun atto per rendere possibile l'esercizio della servitù da parte del titolare, salvo che la legge o il titolo disponga altrimenti.
Art. 1031.
(Costituzione delle servitù).
Le servitù prediali possono essere costituite coattivamente o volontariamente. Possono anche essere costituite per usucapione o per destinazione del padre di famiglia.
Capo II.
Delle servitù coattive.
Art. 1032.
(Modi di costituzione).
Quando, in forza di legge, il proprietario di un fondo ha diritto di ottenere da parte del proprietario di un altro fondo la costituzione di una servitù, questa, in mancanza di contratto, è costituita con sentenza. Può anche essere costituita con atto dell'autorità amministrativa nei casi specialmente determinati dalla legge.
La sentenza stabilisce le modalità della servitù e determina l'indennità dovuta.
Prima del pagamento dell'indennità il proprietario del fondo servente può opporsi all'esercizio della servitù.
Sezione I. -
Dell'acquedotto e dello scarico coattivo.
Art. 1033.
(Obbligo di dare passaggio alle acque).
Il proprietario è tenuto a dare passaggio per i suoi fondi alle acque di ogni specie che si vogliono condurre da parte di chi ha, anche solo temporaneamente, il diritto di utilizzarle per i bisogni della vita o per usi agrari o industriali.
Sono esenti da questa servitù le case, i cortili, i giardini e le aie ad esse attinenti.
Art. 1034.
(Apertura di nuovo acquedotto).
Chi ha diritto di condurre acque per il fondo altrui deve costruire il necessario acquedotto, ma non può far defluire le acque negli acquedotti già esistenti e destinati al corso di altre acque.
Il proprietario del fondo soggetto alla servitù può tuttavia impedire la costruzione, consentendo il passaggio nei propri acquedotti già esistenti, qualora ciò non rechi notevole pregiudizio alla condotta che si domanda. In tal caso al proprietario dell'acquedotto è dovuta un'indennità da determinarsi avuto riguardo all'acqua che s'introduce, al valore dell'acquedotto, alle opere che si rendono necessarie per il nuovo passaggio e alle maggiori spese di manutenzione.
La facoltà indicata dal comma precedente non è consentita al proprietario del fondo servente nei confronti della pubblica amministrazione.
Art. 1035.
(Attraversamento di acquedotti).
Chi vuol condurre l'acqua per il fondo altrui può attraversare al disopra o al disotto gli acquedotti preesistenti, appartengono essi al proprietario del fondo o ad altri, purchè esegua le opere necessarie a impedire ogni danno o alterazione degli acquedotti stessi.
Art. 1036.
(Attraversamento di fiumi o di strade).
Se per la condotta delle acque occorre attraversare strade pubbliche o corsi di acque pubbliche, si osservano le leggi e i regolamenti sulle strade e sulle acque.
Art. 1037.
(Condizioni per la costituzione della servitù).
Chi vuol far passare le acque sul fondo altrui deve dimostrare che può disporre dell'acqua durante il tempo per cui chiede il passaggio; che la medesima è sufficiente per l'uso al quale si vuol destinare; che il passaggio richiesto è il più conveniente e il meno pregiudizievole al fondo servente, avuto riguardo alle condizioni dei fondi vicini, al pendio e alle altre condizioni per la condotta, per il corso e lo sbocco delle acque.
Art. 1038.
(Indennità per l'imposizione della servitù).
Prima d'imprendere la costruzione dell'acquedotto, chi vuol condurre acqua per il fondo altrui deve pagare il valore, secondo la stima, dei terreni da occupare, senza detrazione delle imposte e degli altri carichi inerenti al fondo, oltre l'indennità per i danni, ivi compresi quelli derivanti dalla separazione in due o più parti o da altro deterioramento del fondo da intersecare.
Per i terreni, però, che sono occupati soltanto per il deposito delle materie estratte e per il getto dello spurgo non si deve pagare che la metà del valore del suolo, e sempre senza detrazione delle imposte e degli altri carichi inerenti; ma nei terreni medesimi il proprietario del fondo servente può fare piantagioni e rimuovere e trasportare le materie ammucchiate, purchè tutto segua senza danno dell'acquedotto, del suo spurgo e della sua riparazione.
Art. 1039.
(Indennità per il passaggio temporaneo).
Qualora il passaggio delle acque sia domandato per un tempo non maggiore di nove anni, il pagamento dei valori e delle indennità indicati dall'articolo precedente è ristretto alla sola metà, ma con l'obbligo, scaduto il termine, di rimettere le cose nel primitivo stato.
Il passaggio temporaneo può essere reso perpetuo prima della scadenza del termine mediante il pagamento dell'altra metà con gli interessi legali dal giorno in cui il passaggio è stato praticato; scaduto il termine, non si tiene più conto di ciò che è stato pagato per la concessione temporanea.
Art. 1040.
(Uso dell'acquedotto).
Chi possiede un acquedotto nel fondo altrui non può immettervi maggiore quantità d'acqua, se l'acquedotto non ne è capace o ne può venir danno al fondo servente.
Se l'introduzione di una maggior quantità d'acqua esige nuove opere, queste non possono farsi, se prima non se ne determinano la natura e la qualità e non si paga la somma dovuta per il suolo da occupare e per i danni nel modo stabilito dall'art. 1038.
La stessa disposizione si applica anche quando per il passaggio attraverso un acquedotto occorre sostituire una tomba a un ponte-canale o viceversa.
Art. 1041.
(Letto dell'acquedotto).
E` sempre in facoltà del proprietario del fondo servente di far determinare stabilmente il letto dell'acquedotto con l'apposizione di capisaldi o soglie da riportarsi a punti fissi. Se però di tale facoltà egli non ha fatto uso al tempo della concessione dell'acquedotto, deve sopportare la metà delle spese occorrenti.
Art. 1042.
(Obblighi inerenti all'uso di corsi contigui a fondi altrui).
Se un corso d'acqua impedisce ai proprietari dei fondi contigui l'accesso ai medesimi, o la continuazione dell'irrigazione o dello scolo delle acque, coloro che si servono di quel corso sono obbligati, in proporzione del beneficio che ne ritraggono, a costruire e a mantenere i ponti e i loro accessi sufficienti per un comodo e sicuro transito, come pure le botti sotterranee, i ponti-canali o altre opere simili per continuare l'irrigazione o lo scolo, salvi i diritti derivanti dal titolo o dall'usucapione.
Art. 1043.
(Scarico coattivo).
Le disposizioni contenute negli articoli precedenti per il passaggio delle acque si applicano anche se il passaggio è domandato al fine di scaricare acque sovrabbondanti che il vicino non consente di ricevere nel suo fondo.
Lo scarico può essere anche domandato per acque impure, purchè siano adottate le precauzioni atte a evitare qualsiasi pregiudizio o molestia.
Art. 1044.
(Bonifica).
Ferme le disposizioni delle leggi sulla bonifica e sul vincolo forestale, il proprietario che intende prosciugare o bonificare le sue terre con fognature, con colmate o altri mezzi ha diritto, premesso il pagamento dell'indennità e col minor danno possibile, di condurre per fogne o per fossi le acque di scolo attraverso i fondi che separano le sue terre da un corso d'acqua o da qualunque altro colatoio.
Se il prosciugamento risulta in contrasto con gli interessi di coloro che utilizzano le acque provenienti dal fondo paludoso, e se gli opposti interessi non si possono conciliare con opportune opere che importino una spesa proporzionata allo scopo, l'autorità giudiziaria dà le disposizioni per assicurare l'interesse prevalente, avuto in ogni caso riguardo alle esigenze generali della produzione. Se si fa luogo al prosciugamento, può essere assegnata una congrua indennità a coloro che al prosciugamento si sono opposti.
Art. 1045.
(Utilizzazione di fogne o di fossi altrui).
I proprietari dei fondi attraversati da fogne o da fossi altrui, o che altrimenti possono approfittare dei lavori fatti in forza dell'articolo precedente, hanno facoltà di servirsene per risanare i loro fondi, a condizione che non ne venga danno ai fondi già risanati e che essi sopportino le nuove spese occorrenti per modificare le opere già eseguite, affinchè queste siano in grado di servire anche ai fondi attraversati, e inoltre sopportino una parte proporzionale delle spese già fatte e di quelle richieste per il mantenimento delle opere, le quali divengono comuni.
Art. 1046.
(Norme per l'esecuzione delle opere).
Nell'esecuzione delle opere indicate dagli articoli precedenti sono applicabili le disposizioni del secondo comma dell'art. 1033 e degli articoli 1035 e 1036.
Sezione II. -
Dell'appoggio e dell'infissione di chiusa.
Art. 1047.
(Contenuto della servitù).
Chi ha diritto di derivare acque da fiumi, torrenti, rivi, canali, laghi o serbatoi può, qualora sia necessario, appoggiare o infiggere una chiusa alle sponde, con l'obbligo però di pagare l'indennità e di fare e mantenere le opere atte ad assicurare i fondi da ogni danno.
Art. 1048.
(Obblighi degli utenti).
Nella derivazione e nell'uso delle acque a norma del precedente articolo, deve evitarsi tra gli utenti superiori e gli inferiori ogni vicendevole pregiudizio che possa provenire dallo stagnamento, dal rigurgito o dalla diversione delle acque medesime.
Sezione III. -
Della somministrazione coattiva di acqua a un edificio o a un fondo.
Art. 1049.
(Somministrazione di acqua a un edificio).
Se a una casa o alle sue dipendenze manca l'acqua necessaria per l'alimentazione degli uomini o degli animali e per gli altri usi domestici, e non è possibile procurarla senza eccessivo dispendio, il proprietario del fondo vicino deve consentire che sia dedotta l'acqua di sopravanzo nella misura indispensabile per le necessità anzidette.
Prima che siano iniziati i lavori, deve pagarsi il valore dell'acqua, che si chiede di dedurre, calcolato per un'annualità. Si devono altresì sostenere tutte le spese per le opere di presa e di derivazione. Si applicano inoltre le disposizioni del primo comma dell'art. 1038.
In mancanza di convenzione, la sentenza determina le modalità della derivazione e l'indennità dovuta.
Qualora si verifichi un mutamento nelle condizioni originarie, la derivazione può essere soppressa su istanza dell'una o dell'altra parte.
Art. 1050.
(Somministrazione di acqua a un fondo).
Le norme stabilite dall'articolo precedente si applicano anche se il proprietario di un fondo non ha acqua per irrigarlo, quando le acque del fondo vicino consentono una parziale somministrazione, dopo soddisfatto ogni bisogno domestico, agricolo o industriale.
Le disposizioni di questo articolo e del precedente non si applicano nel caso in cui delle acque si dispone in forza di concessione amministrativa.
Sezione IV.
Del passaggio coattivo.
Art. 1051.
(Passaggio coattivo).
Il proprietario, il cui fondo è circondato da fondi altrui, e che non ha uscita sulla via pubblica nè può procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio, ha diritto di ottenere il passaggio sul fondo vicino per la coltivazione e il conveniente uso del proprio fondo.
Il passaggio si deve stabilire in quella parte per cui l'accesso alla via pubblica è più breve e riesce di minore danno al fondo sul quale è consentito. Esso può essere stabilito anche mediante sottopassaggio, qualora ciò sia preferibile, avuto riguardo al vantaggio del fondo dominante e al pregiudizio del fondo servente.
Le stesse disposizioni si applicano nel caso in cui taluno, avendo un passaggio sul fondo altrui, abbia bisogno ai fini suddetti di ampliarlo per il transito dei veicoli anche a trazione meccanica.
Sono esenti da questa servitù le case, i cortili, i giardini e le aie ad esse attinenti.
Art. 1052.
(Passaggio coattivo a favore di fondo non intercluso).
Le disposizioni dell'articolo precedente si possono applicare anche se il proprietario del fondo ha un accesso alla via pubblica, ma questo è inadatto o insufficiente ai bisogni del fondo e non può essere ampliato.
Il passaggio può essere concesso dall'autorità giudiziaria solo quando questa riconosce che la domanda risponde alle esigenze dell'agricoltura o dell'industria.
Art. 1053.
(Indennità).
Nei casi previsti dai due articoli precedenti è dovuta un'indennità proporzionata al danno cagionato dal passaggio.
Qualora, per attuare il passaggio, sia necessario occupare con opere stabili o lasciare incolta una zona del fondo servente, il proprietario che lo domanda deve, prima d'imprendere le opere o d'iniziare il passaggio, pagare il valore della zona predetta nella misura stabilita dal primo comma dell'art. 1038.
Art. 1054.
(Interclusione per effetto di alienazione o di divisione).
Se il fondo è divenuto da ogni parte chiuso per effetto di alienazione a titolo oneroso, il proprietario ha diritto di ottenere dall'altro contraente il passaggio senza alcuna indennità.
La stessa norma si applica in caso di divisione.
Art. 1055.
(Cessazione dell'interclusione).
Se il passaggio cessa di essere necessario, può essere soppresso in qualunque tempo a istanza del proprietario del fondo dominante o del fondo servente. Quest'ultimo deve restituire il compenso ricevuto; ma l'autorità giudiziaria può disporre una riduzione della somma, avuto riguardo alla durata della servitù e al danno sofferto. Se l'indennità fu convenuta in annualità, la prestazione cessa dall'anno successivo.
Sezione V. -
Dell'elettrodotto coattivo e del passaggio coattivo di linee teleferiche.
Art. 1056.
(Passaggio di condutture elettriche).
Ogni proprietario è tenuto a dare passaggio per i suoi fondi alle condutture elettriche, in conformità delle leggi in materia.
Art. 1057.
(Passaggio di vie funicolari).
Ogni proprietario è parimenti tenuto a lasciar passare sopra il suo fondo le gomene di vie funicolari aeree a uso agrario o industriale e a tollerare sul fondo le opere, i meccanismi e le occupazioni necessarie a tale scopo, in conformità delle leggi in materia.
Capo III.
Delle servitù volontarie.
Art. 1058.
(Modi di costituzione).
Le servitù prediali possono essere costituite per contratto o per testamento.
Art. 1059.
(Servitù concessa da uno dei comproprietari).
La servitù concessa da uno dei comproprietari di un fondo indiviso non è costituita se non quando gli altri l'hanno anch'essi concessa unitamente o separatamente.
La concessione, però, fatta da uno dei comproprietari, indipendentemente dagli altri, obbliga il concedente e i suoi eredi o aventi causa a non porre impedimento all'esercizio del diritto concesso.
Art. 1060.
(Servitù costituite dal nudo proprietario).
Il proprietario può, senza il consenso dell'usufruttuario, imporre sul fondo le servitù che non pregiudicano il diritto di usufrutto.
Capo IV.
Delle servitù acquistate per usucapione e per destinazione del padre di famiglia.
Art. 1061.
(Servitù non apparenti).
Le servitù non apparenti non possono acquistarsi per usucapione o per destinazione del padre di famiglia.
Non apparenti sono le servitù quando non si hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio.
Art. 1062.
(Destinazione del padre di famiglia).
La destinazione del padre di famiglia ha luogo quando consta, mediante qualunque genere di prova, che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù.
Se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario, senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa s'intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati.
Capo V.
Dell'esercizio delle servitù.
Art. 1063.
(Norme regolatrici).
L'estensione e l'esercizio delle servitù sono regolati dal titolo e, in mancanza, dalle disposizioni seguenti.
Art. 1064.
(Estensione del diritto di servitù).
Il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne.
Se il fondo viene chiuso, il proprietario deve lasciarne libero e comodo l'ingresso a chi ha un diritto di servitù che renda necessario il passaggio per il fondo stesso.
Art. 1065.
(Esercizio conforme al titolo o al possesso).
Colui che ha un diritto di servitù non può usarne se non a norma del suo titolo o del suo possesso. Nel dubbio circa l'estensione e le modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente.
Art. 1066.
(Possesso delle servitù).
Nelle questioni di possesso delle servitù si ha riguardo alla pratica dell'anno antecedente e, se si tratta di servitù esercitate a intervalli maggiori di un anno, si ha riguardo alla pratica dell'ultimo godimento.
Art. 1067.
(Divieto di aggravare o di diminuire l'esercizio della servitù).
Il proprietario del fondo dominante non può fare innovazioni che rendano più gravosa la condizione del fondo servente.
Il proprietario del fondo servente non può compiere alcuna cosa che tenda a diminuire l'esercizio della servitù o a renderlo più incomodo.
Art. 1068.
(Trasferimento della servitù in luogo diverso).
Il proprietario del fondo servente non può trasferire l'esercizio della servitù in luogo diverso da quello nel quale è stata stabilita originariamente.
Tuttavia, se l'originario esercizio è divenuto più gravoso per il fondo servente o se impedisce di fare lavori, riparazioni o miglioramenti, il proprietario del fondo servente può offrire al proprietario dell'altro fondo un luogo egualmente comodo per l'esercizio dei suoi diritti, e questi non può ricusarlo.
Il cambiamento di luogo per l'esercizio della servitù si può del pari concedere su istanza del proprietario del fondo dominante, se questi prova che il cambiamento riesce per lui di notevole vantaggio e non reca danno al fondo servente.
L'autorità giudiziaria può anche disporre che la servitù sia trasferita su altro fondo del proprietario del fondo servente o di un terzo che vi acconsenta, purchè l'esercizio di essa riesca egualmente agevole al proprietario del fondo dominante.
Art. 1069.
(Opere sul fondo servente).
Il proprietario del fondo dominante, nel fare le opere necessarie per conservare la servitù, deve scegliere il tempo e il modo che siano per recare minore incomodo al proprietario del fondo servente.
Egli deve fare le opere a sue spese, salvo che sia diversamente stabilito dal titolo o dalla legge.
Se però le opere giovano anche al fondo servente, le spese sono sostenute in proporzione dei rispettivi vantaggi.
Art. 1070.
(Abbandono del fondo servente).
Il proprietario del fondo servente, quando è tenuto in forza del titolo o della legge alle spese necessarie per l'uso o per la conservazione della servitù, può sempre liberarsene, rinunziando alla proprietà del fondo servente a favore del proprietario del fondo dominante.
Nel caso in cui l'esercizio della servitù sia limitato a una parte del fondo, la rinunzia può limitarsi alla parte stessa.
Art. 1071.
(Divisione del fondo dominante o del fondo servente).
Se il fondo dominante viene diviso, la servitù è dovuta a ciascuna porzione, senza che però si renda più gravosa la condizione del fondo servente.
Se il fondo servente viene diviso e la servitù ricade su una parte determinata del fondo stesso, le altre parti sono liberate.
Capo VI.
Dell'estinzione delle servitù.
Art. 1072.
(Estinzione per confusione).
La servitù si estingue quando in una sola persona si riunisce la proprietà del fondo dominante con quella del fondo servente.
Art. 1073.
(Estinzione per prescrizione).
La servitù si estingue per prescrizione quando non se ne usa per venti anni.
Il termine decorre dal giorno in cui si è cessato di esercitarla; ma, se si tratta di servitù negativa o di servitù per il cui esercizio non è necessario il fatto dell'uomo, il termine decorre dal giorno in cui si è verificato un fatto che ne ha impedito l'esercizio.
Nelle servitù che si esercitano a intervalli, il termine decorre dal giorno in cui la servitù si sarebbe potuta esercitare e non ne fu ripreso l'esercizio.
Agli effetti dell'estinzione si computa anche il tempo per il quale la servitù non fu esercitata dai precedenti titolari.
Se il fondo dominante appartiene a più persone in comune, l'uso della servitù fatto da una di esse impedisce l'estinzione riguardo a tutte.
La sospensione o l'interruzione del non uso a vantaggio di uno dei comproprietari giova anche agli altri.
Art. 1074.
(Impossibilità di uso e mancanza di utilità).
L'impossibilità di fatto di usare della servitù e il venir meno dell'utilità della medesima non fanno estinguere la servitù, se non è decorso il termine indicato dall'articolo precedente.
Art. 1075.
(Esercizio limitato della servitù).
La servitù esercitata in modo da trarne un'utilità minore di quella indicata dal titolo si conserva per intero.
Art. 1076.
(Esercizio della servitù non conforme al titolo o al possesso).
L'esercizio di una servitù in tempo diverso da quello determinato dal titolo o dal possesso non ne impedisce l'estinzione per prescrizione.
Art. 1077.
(Servitù costituite sul fondo enfiteutico).
Le servitù costituite dall'enfiteuta sul fondo enfiteutico cessano quando l'enfiteusi si estingue per decorso del termine, per prescrizione o per devoluzione.
Art. 1078.
(Servitù costituite a favore del fondo enfiteutico, dotale o in usufrutto).
Le servitù costituite dall'enfiteuta a favore del fondo enfiteutico non cessano con l'estinguersi dell'enfiteusi. Lo stesso vale per le servitù costituite dall'usufruttuario a favore del fondo di cui ha l'usufrutto o dal marito a favore del fondo dotale.
Capo VII.
Delle azioni a difesa delle servitù.
Art. 1079.
(Accertamento della servitù e altri provvedimenti di tutela).
Il titolare della servitù può farne riconoscere in giudizio l'esistenza contro chi ne contesta l'esercizio e può far cessare gli eventuali impedimenti e turbative. Può anche chiedere la rimessione delle cose in pristino, oltre il risarcimento dei danni.
Capo VIII. -
Di alcune servitù in materia di acque.
Sezione I. -
Della servitù di presa o di derivazione di acque.
Art. 1080.
(Presa d'acqua continua).
Il diritto alla presa d'acqua continua si può esercitare in ogni istante.
Art. 1081.
(Modulo d'acqua).
Nelle servitù in cui è convenuta ed espressa una costante quantità di acqua, la quantità deve esprimersi in relazione al modulo.
Il modulo è l'unità di misura dell'acqua corrente.
Esso è un corpo d'acqua che scorre nella costante quantità di cento litri al minuto secondo e si divide in decimi, centesimi e millesimi.
Art. 1082.
(Forma della bocca e dell'edificio derivatore).
Quando, per la derivazione di una data e costante quantità di acqua corrente, è stata determinata la forma della bocca e dell'edificio derivatore, le parti non possono chiederne la modificazione per eccedenza deficienza d'acqua, salvo che l'eccedenza o la deficienza provenga da variazioni seguite nel canale dispensatore o nel corso delle acque in esso correnti.
Se la forma non è stata determinata, ma la bocca e l'edificio derivatore sono stati costruiti e posseduti per cinque anni, non è neppure ammesso dopo tale tempo alcun reclamo delle parti per eccedenza o deficienza d'acqua, salvo nel caso di variazione seguita nel canale o nel corso delle acque.
In mancanza di titolo o di possesso, la forma è determinata dall'autorità giudiziaria.
Art. 1083.
(Determinazione della quantità d'acqua).
Quando la quantità d'acqua non è stata determinata, ma la derivazione è stata fatta per un dato scopo, s'intende concessa la quantità necessaria per lo scopo medesimo, e chi vi ha interesse può in ogni tempo fare stabilire la forma della derivazione in modo che ne venga assicurato l'uso necessario e impedito l'eccesso.
Se però è stata determinata la forma della bocca e dell'edificio derivatore, o se, in mancanza di titolo, si è posseduta per cinque anni la derivazione in una data forma, non è ammesso reclamo delle parti, se non nel caso indicato dall'articolo precedente.
Art. 1084.
(Norme regolatrici della servitù).
Per l'esercizio della servitù di presa d'acqua, quando non dispone il titolo o non è possibile riferirsi al possesso, si osservano gli usi locali.
In mancanza di tali usi si osservano le disposizioni dei tre articoli seguenti.
Art. 1085.
(Tempo d'esercizio della servitù).
Il diritto alla presa d'acqua si esercita, per l'acqua estiva, dall'equinozio di primavera a quello d'autunno; per l'acqua iemale, dall'equinozio d'autunno a quello di primavera.
La distribuzione d'acqua per giorni e per notti si riferisce al giorno e alla notte naturali.
L'uso delle acque nei giorni festivi è regolato dalle feste di precetto vigenti al tempo in cui l'uso fu convenuto o in cui si è incominciato a possedere.
Art. 1086.
(Distribuzione per ruota).
Nelle distribuzioni per ruota il tempo che impiega l'acqua per giungere alla bocca di derivazione dell'utente si consuma a suo carico, e la coda dell'acqua appartiene a quello di cui cessa il turno.
Art. 1087.
(Acque sorgenti o sfuggite).
Nei canali soggetti a distribuzioni per ruota le acque sorgenti o sfuggite, ma contenute nell'alveo del canale, non possono trattenersi o derivarsi da un utente che al tempo del suo turno.
Art. 1088.
(Variazioni del turno tra gli utenti).
Gli utenti dei medesimi canali possono variare o permutare tra loro il turno, purchè tale cambiamento non rechi danno agli altri.
Art. 1089.
(Acqua impiegata come forza motrice).
Chi ha diritto di servirsi dell'acqua come forza motrice non può, senza espressa disposizione del titolo, impedirne o rallentarne il corso, procurandone il ribocco o ristagno.
Art. 1090.
(Manutenzione del canale).
Nella servitù di presa o di condotta d'acqua, quando il titolo non dispone altrimenti, il proprietario del fondo servente può domandare che il canale sia mantenuto convenientemente spurgato e le sue sponde siano tenute in istato di buona manutenzione a spese del proprietario del fondo dominante.
Art. 1091.
(Obblighi del conducente fino al luogo di consegna dell'acqua).
Se il titolo non dispone diversamente, il concedente dell'acqua di una fonte o di un canale è tenuto verso gli utenti a eseguire le opere ordinarie e straordinarie per la derivazione e condotta dell'acqua fino al punto in cui ne fa la consegna, a mantenere in buono stato gli edifici, a conservare l'alveo e le sponde della fonte o del canale, a praticare i consueti spurghi e a usare la dovuta diligenza, affinchè la derivazione e la regolare condotta dell'acqua siano in tempi debiti effettuate.
Art. 1092.
(Deficienza dell'acqua).
La deficienza dell'acqua deve essere sopportata da chi ha diritto di prenderla e di usarla nel tempo in cui la deficienza si verifica.
Tra diversi utenti la deficienza dell'acqua deve essere sopportata prima da quelli che hanno titolo o possesso più recente, e tra utenti in parità di condizione dall'ultimo utente.
Tuttavia l'autorità giudiziaria, con provvedimento in camera di consiglio, sentiti gli uffici tecnici competenti, può modificare o limitare i turni di utilizzazione e dare le altre disposizioni necessarie in relazione alla quantità di acqua disponibile, agli usi e alle colture a cui l'acqua è destinata.
Il concedente dell'acqua è tenuto a una proporzionale diminuzione del corrispettivo per la deficienza dell'acqua verificatasi per causa naturale o per fatto altrui. Parimenti si fa luogo alle dovute indennità in conseguenza delle modificazioni o limitazioni di turni, che siano state disposte dall'autorità giudiziaria.
Art. 1093.
(Riduzione della servitù).
Se la servitù dà diritto di derivare acqua da un fondo e per fatti indipendenti dalla volontà del proprietario si verifica una diminuzione dell'acqua tale che essa non possa bastare alle esigenze del fondo servente, il proprietario di questo può chiedere una riduzione della servitù, avuto riguardo ai bisogni di ciascun fondo. In questo caso è dovuta una congrua indennità al proprietario del fondo dominante.
Sezione II. -
Della servitù degli scoli e degli avanzi di acqua.
Art. 1094.
(Servitù attiva degli scoli).
Gli scoli o acque colaticce derivanti dall'altrui fondo possono costituire oggetto di servitù a favore del fondo che li riceve, all'effetto di impedire la loro diversione.
Art. 1095.
(Usucapione della servitù attiva degli scoli).
Nella servitù attiva degli scoli il termine per l'usucapione comincia a decorrere dal giorno in cui il proprietario del fondo dominante ha fatto sul fondo servente opere visibili e permanenti destinate a raccogliere e condurre i detti scoli a vantaggio del proprio fondo.
Quando sul fondo servente è aperto un cavo destinato a raccogliere e condurre gli scoli, il regolare spurgo e la manutenzione delle sponde fanno presumere che il cavo sia opera del proprietario del fondo dominante, purchè non vi sia titolo, segno o prova in contrario.
Si reputa segno contrario l'esistenza sul cavo di opere costruite o mantenute dal proprietario del fondo in cui il cavo è aperto.
Art. 1096.
(Diritti del proprietario del fondo servente).
La servitù degli scoli non toglie al proprietario del fondo servente il diritto di usare liberamente dell'acqua a vantaggio del suo fondo, di cambiare la coltivazione di questo e di abbandonarne in tutto o in parte l'irrigazione.
Art. 1097.
(Diritto agli avanzi d'acqua).
Quando l'acqua è concessa, riservata o posseduta per un determinato uso, con restituzione al concedente o ad altri di ciò che ne sopravanza, tale uso non può variarsi a danno del fondo a cui la restituzione è dovuta.
Art. 1098.
(Divieto di deviare acque di scolo o avanzi d'acqua).
Il proprietario del fondo vincolato alla restituzione degli scoli o degli avanzi d'acqua non può deviarne una parte qualunque adducendo di avervi introdotto una maggiore quantità di acqua viva o un diverso corpo, ma deve lasciarli discendere nella totalità a favore del fondo dominante.
Art. 1099.
(Sostituzione di acqua viva).
Il proprietario del fondo soggetto alla servitù degli scoli o degli avanzi d'acqua può sempre liberarsi da tale servitù mediante la concessione e l'assicurazione al fondo dominante di un corpo d'acqua viva, la cui quantità è determinata dall'autorità giudiziaria, tenuto conto di tutte le circostanze.
Titolo VII.
Della comunione
Capo I.
Della comunione in generale.
Art. 1100.
(Norme regolatrici).
Quando la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone, se il titolo o la legge non dispone diversamente, si applicano le norme seguenti.
Art. 1101.
(Quote dei partecipanti).
Le quote dei partecipanti alla comunione si presumono eguali.
Il concorso dei partecipanti, tanto nei vantaggi quanto nei pesi della comunione, è in proporzione delle rispettive quote.
Art. 1102.
(Uso della cosa comune).
Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.
Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.
Art. 1103.
(Disposizione della quota).
Ciascun partecipante può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota.
Per le ipoteche costituite da uno dei partecipanti si osservano le disposizioni contenute nel capo IV del titolo III del libro VI.
Art. 1104.
(Obblighi dei partecipanti).
Ciascun partecipante deve contribuire nelle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune e nelle spese deliberate dalla maggioranza a norma delle disposizioni seguenti, salva la facoltà di liberarsene con la rinunzia al suo diritto.
La rinunzia non giova al partecipante che abbia anche tacitamente approvato la spesa.
Il cessionario del partecipante è tenuto in solido con il cedente a pagare i contributi da questo dovuti e non versati.
Art. 1105.
(Amministrazione).
Tutti i partecipanti hanno diritto di concorrere nell'amministrazione della cosa comune.
Per gli atti di ordinaria amministrazione le deliberazioni della maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il valore delle loro quote, sono obbligatorie per la minoranza dissenziente.
Per la validità delle deliberazioni della maggioranza si richiede che tutti i partecipanti siano stati preventivamente informati dell'oggetto della deliberazione.
Se non si prendono i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all'autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore.
Art. 1106.
(Regolamento della comunione e nomina di amministratore).
Con la maggioranza calcolata nel modo indicato dall'articolo precedente, può essere formato un regolamento per l'ordinaria amministrazione e per il miglior godimento della cosa comune.
Nello stesso modo l'amministrazione può essere delegata ad uno o più partecipanti, o anche a un estraneo, determinandosi i poteri e gli obblighi dell'amministratore.
Art. 1107.
(Impugnazione del regolamento).
Ciascuno dei partecipanti dissenzienti può impugnare davanti all'autorità giudiziaria il regolamento della comunione entro trenta giorni dalla deliberazione che lo ha approvato. Per gli assenti il termine decorre dal giorno in cui è stata loro comunicata la deliberazione. L'autorità giudiziaria decide con unica sentenza sulle opposizioni proposte.
Decorso il termine indicato dal comma precedente senza che il regolamento sia stato impugnato, questo ha effetto anche per gli eredi e gli aventi causa dai singoli partecipanti.
Art. 1108.
(Innovazioni e altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione).
Con deliberazione della maggioranza dei partecipanti che rappresenti almeno due terzi del valore complessivo della cosa comune, si possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento della cosa o a renderne più comodo o redditizio il godimento, purchè esse non pregiudichino il godimento di alcuno dei partecipanti e non importino una spesa eccessivamente gravosa.
Nello stesso modo si possono compiere gli altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, sempre che non risultino pregiudizievoli all'interesse di alcuno dei partecipanti.
E` necessario il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore a nove anni.
L'ipoteca può essere tuttavia consentita dalla maggioranza indicata dal primo comma, qualora abbia lo scopo di garantire la restituzione delle somme mutuate per la ricostruzione o per il miglioramento della cosa comune.
Art. 1109.
(Impugnazione delle deliberazioni).
Ciascuno dei componenti la minoranza dissenziente può impugnare davanti all'autorità giudiziaria le deliberazioni della maggioranza: 1) nel caso previsto dal secondo comma dell'articolo 1105, se la deliberazione è gravemente pregiudizievole alla cosa comune; 2) se non è stata osservata la disposizione del terzo comma dell'art. 1105; 3) se la deliberazione relativa a innovazioni o ad altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione è in contrasto con le norme del primo e del secondo comma dell'art. 1108.
L'impugnazione deve essere proposta, sotto pena di decadenza, entro trenta giorni dalla deliberazione. Per gli assenti il termine decorre dal giorno in cui è stata loro comunicata la deliberazione. In pendenza del giudizio, l'autorità giudiziaria può ordinare la sospensione del provvedimento deliberato.
Art. 1110.
(Rimborso di spese).
Il partecipante che, in caso di trascuranza degli altri partecipanti o dell'amministratore, ha sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune, ha diritto al rimborso.
Art. 1111.
(Scioglimento della comunione).
Ciascuno dei partecipanti può sempre domandare lo scioglimento della comunione; l'autorità giudiziaria può stabilire una congrua dilazione, in ogni caso non superiore a cinque anni, se l'immediato scioglimento può pregiudicare gli interessi degli altri.
Il patto di rimanere in comunione per un tempo non maggiore di dieci anni è valido e ha effetto anche per gli aventi causa dai partecipanti. Se è stato stipulato per un termine maggiore, questo si riduce a dieci anni.
Se gravi circostanze lo richiedono, l'autorità giudiziaria può ordinare lo scioglimento della comunione prima del tempo convenuto.
Art. 1112.
(Cose non soggette a divisione).
Lo scioglimento della comunione non può essere chiesto quando si tratta di cose che, se divise, cesserebbero di servire all'uso a cui sono destinate.
Art. 1113.
(Intervento nella divisione e opposizioni).
I creditori e gli aventi causa da un partecipante possono intervenire nella divisione a proprie spese, ma non possono impugnare la divisione già eseguita, a meno che abbiano notificato un'opposizione anteriormente alla divisione stessa e salvo sempre ad essi l'esperimento dell'azione revocatoria o dell'azione surrogatoria.
Nella divisione che ha per oggetto beni immobili, l'opposizione, per l'effetto indicato dal comma precedente, deve essere trascritta prima della trascrizione dell'atto di divisione e, se si tratta di divisione giudiziale, prima della trascrizione della relativa domanda.
Devono essere chiamati a intervenire, perchè la divisione abbia effetto nei loro confronti, i creditori iscritti e coloro che hanno acquistato diritti sull'immobile in virtù di atti soggetti a trascrizione e trascritti prima della trascrizione dell'atto di divisione o della trascrizione della domanda di divisione giudiziale.
Nessuna ragione di prelevamento in natura per crediti nascenti dalla comunione può opporsi contro le persone indicate dal comma precedente, eccetto le ragioni di prelevamento nascenti da titolo anteriore alla comunione medesima, ovvero da collazione.
Art. 1114.
(Divisione in natura).
La divisione ha luogo in natura, se la cosa può essere comodamente divisa in parti corrispondenti alle quote dei partecipanti.
Art. 1115.
(Obbligazioni solidali dei partecipanti).
Ciascun partecipante può esigere che siano estinte le obbligazioni in solido contratte per la cosa comune, le quali siano scadute o scadano entro l'anno dalla domanda di divisione.
La somma per estinguere le obbligazioni si preleva dal prezzo di vendita della cosa comune, e, se la divisione ha luogo in natura, si procede alla vendita di una congrua frazione della cosa, salvo diverso accordo tra i condividenti.
Il partecipante che ha pagato il debito in solido e non ha ottenuto rimborso concorre nella divisione per una maggiore quota corrispondente al suo diritto verso gli altri condividenti.
Art. 1116.
(Applicabilità delle norme sulla divisione ereditaria).
Alla divisione delle cose comuni si applicano le norme sulla divisione dell'eredità, in quanto non siano in contrasto con quelle sopra stabilite.
Capo II.
Del condominio negli edifici.
Art. 1117.
(Parti comuni dell'edificio).
Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo: 1) il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni d'ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e in genere tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune; 2) i locali per la portineria e per l'alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune; 3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all'uso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti e inoltre le fognature e i canali di scarico, gli impianti per l'acqua, per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento e simili, fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini.
Art. 1118.
(Diritti dei partecipanti sulle cose comuni).
Il diritto di ciascun condomino sulle cose indicate dall'articolo precedente è proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene, se il titolo non dispone altrimenti.
Il condomino non può, rinunziando al diritto sulle cose anzidette, sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione.
Art. 1119.
(Indivisibilità).
Le parti comuni dell'edificio non sono soggette a divisione, a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino.
Art. 1120.
(Innovazioni).
I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell'art. 1136, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni.
Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.
Art. 1121.
(Innovazioni gravose o voluttuarie).
Qualora l'innovazione importi una spesa molto gravosa o abbia carattere voluttuario rispetto alle particolari condizioni e all'importanza dell'edificio, e consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata, i condomini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo nella spesa.
Se l'utilizzazione separata non è possibile, l'innovazione non è consentita, salvo che la maggioranza dei condomini che l'ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa.
Nel caso previsto dal primo comma i condomini e i loro eredi o aventi causa possono tuttavia, in qualunque tempo, partecipare ai vantaggi dell'innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera.
Art. 1122.
(Opere sulle parti dell'edificio di proprietà comune).
Ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni dell'edificio.
Art. 1123.
(Ripartizione delle spese).
Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.
Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne.
Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità.
Art. 1124.
(Manutenzione e ricostruzione delle scale).
Le scale sono mantenute e ricostruite dai proprietari dei diversi piani a cui servono. La spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano, e per l'altra metà in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo.
Al fine del concorso nella metà della spesa, che è ripartita in ragione del valore, si considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune.
Art. 1125.
(Manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai).
Le spese per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai sono sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore l'intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto.
Art. 1126.
(Lastrici solari di uso esclusivo).
Quando l'uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l'uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico: gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell'edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno.
Art. 1127.
(Costruzione sopra l'ultimo piano dell'edificio).
Il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio può elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo. La stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare.
La sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell'edificio non la consentono.
I condomini possono altresì opporsi alla sopraelevazione, se questa pregiudica l'aspetto architettonico dell'edificio ovvero diminuisce notevolmente l'aria o la luce dei piani sottostanti.
Chi fa la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini un'indennità pari al valore attuale dell'area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l'importo della quota a lui spettante. Egli è inoltre tenuto a ricostruire il lastrico solare di cui tutti o parte dei condomini avevano il diritto di usare.
Art. 1128.
(Perimento totale o parziale dell'edificio).
Se l'edificio perisce interamente o per una parte che rappresenti i tre quarti del suo valore, ciascuno dei condomini può richiedere la vendita all'asta del suolo e dei materiali, salvo che sia stato diversamente convenuto.
Nel caso di perimento di una parte minore, l'assemblea dei condomini delibera circa la ricostruzione delle parti comuni dell'edificio, e ciascuno è tenuto a concorrervi in proporzione dei suoi diritti sulle parti stesse.
L'indennità corrisposta per l'assicurazione relativa alle parti comuni è destinata alla ricostruzione di queste.
Il condomino che non intende partecipare alla ricostruzione dell'edificio è tenuto a cedere agli altri condomini i suoi diritti, anche sulle parti di sua esclusiva proprietà, secondo la stima che ne sarà fatta, salvo che non preferisca cedere i diritti stessi ad alcuni soltanto dei condomini.
Art. 1129.
(Nomina e revoca dell'amministratore).
Quando i condomini sono più di quattro, l'assemblea nomina un amministratore. Se l'assemblea non provvede, la nomina è fatta dall'autorità giudiziaria, su ricorso di uno o più condomini.
L'amministratore dura in carica un anno e può essere revocato in ogni tempo dall'assemblea.
Può altresì essere revocato dall'autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condomino, oltre che nel caso previsto dall'ultimo comma dell'art. 1131, se per due anni non ha reso il conto della sua gestione, ovvero se vi sono fondati sospetti di gravi irregolarità.
La nomina e la cessazione per qualunque causa dell'amministratore dall'ufficio sono annotate in apposito registro.
Art. 1130.
(Attribuzioni dell'amministratore).
L'amministratore deve: 1) eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini e curare l'osservanza del regolamento di condominio; 2) disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini; 3) riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni: 4) compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio.
Egli, alla fine di ciascun anno, deve rendere il conto della sua gestione.
Art. 1131.
(Rappresentanza).
Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'articolo precedente o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi.
Può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell'autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto.
Qualora la citazione o il provvedimento abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell'amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all'assemblea dei condomini.
L'amministratore che non adempie a quest'obbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento dei danni.
Art. 1132.
(Dissenso dei condomini rispetto alle liti).
Qualora l'assemblea dei condomini abbia deliberato di promuovere una lite o di resistere a una domanda, il condomino dissenziente, con atto notificato all'amministratore, può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza. L'atto deve essere notificato entro trenta giorni da quello in cui il condomino ha avuto notizia della deliberazione.
Il condomino dissenziente ha diritto di rivalsa per ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa.
Se l'esito della lite è stato favorevole al condominio, il condomino dissenziente che ne abbia tratto vantaggio è tenuto a concorrere nelle spese del giudizio che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente.
Art. 1133.
(Provvedimenti presi dall'amministratore).
I provvedimenti presi dall'amministratore nell'ambito dei suoi poteri sono obbligatori per i condomini. Contro i provvedimenti dell'amministratore è ammesso ricorso all'assemblea, senza pregiudizio del ricorso all'autorità giudiziaria nei casi e nel termine previsti dall'art. 1137.
Art. 1134.
(Spese fatte dal condomino).
Il condomino che ha fatto spese per le cose comuni senza autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente.
Art. 1135.
(Attribuzioni dell'assemblea dei condomini).
Oltre a quanto è stabilito dagli articoli precedenti, l'assemblea dei condomini provvede: 1) alla conferma dell'amministratore e all'eventuale sua retribuzione; 2) all'approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l'anno e alla relativa ripartizione tra i condomini; 3) all'approvazione del rendiconto annuale dell'amministratore e all'impiego del residuo attivo della gestione; 4) alle opere di manutenzione straordinaria, costituendo, se occorre, un fondo speciale.
L'amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea.
Art. 1136.
(Costituzione dell'assemblea e validità delle deliberazioni).
L'assemblea è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell'intero edificio e i due terzi dei partecipanti al condominio.
Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio.
Se l'assemblea non può deliberare per mancanza di numero, l'assemblea di seconda convocazione delibera in un giorno successivo a quello della prima e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla medesima; la deliberazione è valida se riporta un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio.
Le deliberazioni che concernono la nomina e la revoca dell'amministratore o le liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell'amministratore medesimo, nonchè le deliberazioni che concernono la ricostruzione dell'edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità devono essere sempre prese con la maggioranza stabilita dal secondo comma.
Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni previste dal primo comma dell'art. 1120 devono essere sempre approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio.
L'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti i condomini sono stati invitati alla riunione.
Delle deliberazioni dell'assemblea si redige processo verbale da trascriversi in un registro tenuto dall'amministratore.
Art. 1137.
(Impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea).
Le deliberazioni prese dall'assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini.
Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino dissenziente può fare ricorso all'autorità giudiziaria, ma il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità stessa.
Il ricorso deve essere proposto, sotto pena di decadenza, entro trenta giorni, che decorrono dalla data della deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti.
Art. 1138.
(Regolamento di condominio).
Quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonchè le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione.
Ciascun condomino può prendere l'iniziativa per la formazione del regolamento di condominio o per la revisione di quello esistente.
Il regolamento deve essere approvato dall'assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell'art. 1136 e trascritto nel registro indicato dall'ultimo comma dell'art. 1129. Esso può essere impugnato a norma dell'art. 1107.
Le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137.
Art. 1139.
(Rinvio alle norme sulla comunione).
Per quanto non è espressamente previsto da questo capo si osservano le norme sulla comunione in generale.
Titolo VIII.
Del possesso
Capo I.
Disposizioni generali.
Art. 1140.
(Possesso).
Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale.
Si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa.
Art. 1141.
(Mutamento della detenzione in possesso).
Si presume il possesso in colui che esercita il potere di fatto, quando non si prova che ha cominciato a esercitarlo semplicemente come detenzione.
Se alcuno ha cominciato ad avere la detenzione, non può acquistare il possesso finchè il titolo non venga a essere mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore. Ciò vale anche per i successori a titolo universale.
Art. 1142.
(Presunzione di possesso intermedio).
Il possessore attuale che ha posseduto in tempo più remoto si presume che abbia posseduto anche nel tempo intermedio.
Art. 1143.
(Presunzione di possesso anteriore).
Il possesso attuale non fa presumere il possesso anteriore, salvo che il possessore abbia un titolo a fondamento del suo possesso; in questo caso si presume che egli abbia posseduto dalla data del titolo.
Art. 1144.
(Atti di tolleranza).
Gli atti compiuti con l'altrui tolleranza non possono servire di fondamento all'acquisto del possesso.
Art. 1145.
(Possesso di cose fuori commercio).
Il possesso delle cose di cui non si può acquistare la proprietà è senza effetto.
Tuttavia nei rapporti tra privati è concessa l'azione di spoglio rispetto ai beni appartenenti al pubblico demanio e ai beni delle provincie e dei comuni soggetti al regime proprio del demanio pubblico.
Se trattasi di esercizio di facoltà, le quali possono formare oggetto di concessione da parte della pubblica amministrazione, è data altresì l'azione di manutenzione.
Art. 1146.
(Successione nel possesso. Accessione del possesso).
Il possesso continua nell'erede con effetto dall'apertura della successione.
Il successore a titolo particolare può unire al proprio possesso quello del suo autore per goderne gli effetti.
Art. 1147.
(Possesso di buona fede).
E` possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l'altrui diritto.
La buona fede non giova se l'ignoranza dipende da colpa grave.
La buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell'acquisto.
Capo II.
Degli effetti del possesso.
Sezione I. -
Dei diritti e degli obblighi del possessore nella restituzione della cosa.
Art. 1148.
(Acquisto dei frutti).
Il possessore di buona fede fa i suoi i frutti naturali separati fino al giorno della domanda giudiziale e i frutti civili maturati fino allo stesso giorno. Egli, fino alla restituzione della cosa, risponde verso il rivendicante dei frutti percepiti dopo la domanda giudiziale e di quelli che avrebbe potuto percepire dopo tale data, usando la diligenza di un buon padre di famiglia.
Art. 1149.
(Rimborso delle spese per la produzione e il raccolto dei frutti).
Il possessore che è tenuto a restituire i frutti indebitamente percepiti ha diritto al rimborso delle spese a norma del secondo comma dell'art. 821.
Art. 1150.
(Riparazioni, miglioramenti e addizioni).
Il possessore, anche se di mala fede, ha diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie.
Ha anche diritto a indennità per i miglioramenti recati alla cosa, purchè sussistano al tempo della restituzione.
L'indennità si deve corrispondere nella misura dell'aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti, se il possessore è di buona fede, se il possessore è di mala fede, nella minor somma tra l'importo della spesa e l'aumento di valore.
Se il possessore è tenuto alla restituzione dei frutti, gli spetta anche il rimborso delle spese fatte per le riparazioni ordinarie, limitatamente al tempo per il quale la restituzione è dovuta.
Per le addizioni fatte dal possessore sulla cosa si applica il disposto dell'art. 936. Tuttavia, se le addizioni costituiscono miglioramento e il possessore è di buona fede, è dovuta un'indennità nella misura dell'aumento di valore conseguito dalla cosa.
Art. 1151.
(Pagamento delle indennità).
L'autorità giudiziaria, avuto riguardo alle circostanze, può disporre che il pagamento delle indennità previste dall'articolo precedente sia fatto ratealmente, ordinando, in questo caso, le opportune garanzie.
Art. 1152.
(Ritenzione a favore del possessore di buona fede).
Il possessore di buona fede può ritenere la cosa finchè non gli siano corrisposte le indennità dovute, purchè queste siano state domandate nel corso del giudizio di rivendicazione e sia stata fornita una prova generica della sussistenza delle riparazioni e dei miglioramenti.
Egli ha lo stesso diritto finchè non siano prestate le garanzie ordinate dall'autorità giudiziaria nel caso previsto dall'articolo precedente.
Sezione II. -
Del possesso di buona fede di beni mobili.
Art. 1153.
(Effetti dell'acquisto del possesso).
Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso, purchè sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà.
La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal titolo e vi è la buona fede dell'acquirente.
Nello stesso modo si acquistano i diritti di usufrutto, di uso e di pegno.
Art. 1154.
(Conoscenza dell'illegittima provenienza della cosa).
A colui che ha acquistato conoscendo l'illegittima provenienza della cosa non giova l'erronea credenza che il suo autore o un precedente possessore ne sia divenuto proprietario.
Art. 1155.
(Acquisto di buona fede e precedente alienazione ad altri).
Se taluno con successivi contratti aliena a più persone un bene mobile, quella tra esse che ne ha acquistato in buona fede il possesso è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore.
Art. 1156.
(Universalità di mobili e mobili iscritti in pubblici registri).
Le disposizioni degli articoli precedenti non si applicano alle universalità di mobili e ai beni mobili iscritti in pubblici registri.
Art. 1157.
(Possesso di titoli di credito).
Gli effetti del possesso di buona fede dei titoli di credito sono regolati dal titolo V del libro IV.
Sezione III. -
Dell'usucapione.
Art. 1158.
(Usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari).
La proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni.
Art. 1159.
(Usucapione decennale).
Colui che acquista in buona fede da chi non è proprietario un immobile, in forza di un titolo che sia idoneo a trasferire la proprietà e che sia stato debitamente trascritto, ne compie l'usucapione in suo favore col decorso di dieci anni dalla data della trascrizione.
La stessa disposizione si applica nel caso di acquisto degli altri diritti reali di godimento sopra un immobile.
Art. 1160.
(Usucapione delle universalità di mobili).
L'usucapione di un'universalità di mobili o di diritti reali di godimento sopra la medesima si compie in virtù del possesso continuato per venti anni.
Nel caso di acquisto in buona fede da chi non è proprietario, in forza di titolo idoneo, l'usucapione si compie con il decorso di dieci anni.
Art. 1161.
(Usucapione dei beni mobili).
In mancanza di titolo idoneo, la proprietà dei beni mobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per dieci anni, qualora il possesso sia stato acquistato in buona fede.
Se il possessore è di mala fede, l'usucapione si compie con il decorso di venti anni.
Art. 1162.
(Usucapione di beni mobili iscritti in pubblici registri).
Colui che acquista in buona fede da chi non è proprietario un bene mobile iscritto in pubblici registri, in forza di un titolo che sia idoneo a trasferire la proprietà e che sia stato debitamente trascritto, ne compie in suo favore l'usucapione col decorso di tre anni dalla data della trascrizione.
Se non concorrono le condizioni previste dal comma precedente, l'usucapione si compie col decorso di dieci anni.
Le stesse disposizioni si applicano nel caso di acquisto degli altri diritti reali di godimento.
Art. 1163.
(Vizi del possesso).
Il possesso acquistato in modo violento o clandestino non giova per l'usucapione se non dal momento in cui la violenza o la clandestinità è cessata.
Art. 1164.
(Interversione del possesso).
Chi ha il possesso corrispondente all'esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapire la proprietà della cosa stessa, se il titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario. Il tempo necessario per l'usucapione decorre dalla data in cui il titolo del possesso è stato mutato.
Art. 1165.
(Applicazione di norme sulla prescrizione).
Le disposizioni generali sulla prescrizione, quelle relative alle cause di sospensione e d'interruzione e al computo dei termini si osservano, in quanto applicabili, rispetto all'usucapione.
Art. 1166.
(Inefficacia delle cause d'impedimento e di sospensione).
Nell'usucapione ventennale non hanno luogo, riguardo al terzo possessore di un immobile o di un diritto reale sopra un immobile, nè l'impedimento derivante da condizione o da termine, nè le cause di sospensione indicate dall'art. 2942.
L'impedimento derivante da condizione o da termine e le cause di sospensione menzionate nel detto articolo non sono nemmeno opponibili al terzo possessore nella prescrizione per non uso dei diritti reali sui beni da lui posseduti.
Art. 1167.
(Interruzione dell'usucapione per perdita di possesso).
L'usucapione è interrotta quando il possessore è stato privato del possesso per oltre un anno.
L'interruzione si ha come non avvenuta se è stata proposta l'azione diretta a ricuperare il possesso e questo è stato ricuperato.
Capo III.
Delle azioni a difesa del possesso.
Art. 1168.
(Azione di reintegrazione).
Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l'anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l'autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo.
L'azione è concessa altresì a chi ha la detenzione della cosa, tranne il caso che l'abbia per ragioni di servizio o di ospitalità.
Se lo spoglio è clandestino, il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal giorno della scoperta dello spoglio.
La reintegrazione deve ordinarsi dal giudice sulla semplice notorietà del fatto, senza dilazione.
Art. 1169.
(Reintegrazione contro l'acquirente consapevole dello spoglio).
La reintegrazione si può domandare anche contro chi è nel possesso in virtù di un acquisto a titolo particolare, fatto con la conoscenza dell'avvenuto spoglio.
Art. 1170.
(Azione di manutenzione).
Chi è stato molestato nel possesso di un immobile, di un diritto reale sopra un immobile o di un'universalità di mobili può, entro l'anno dalla turbativa, chiedere la manutenzione del possesso medesimo.
L'azione è data se il possesso dura da oltre un anno, continuo e non interrotto, e non è stato acquistato violentemente o clandestinamente. Qualora il possesso sia stato acquistato in modo violento o clandestino, l'azione può nondimeno esercitarsi, decorso un anno dal giorno in cui la violenza o la clandestinità è cessata.
Anche colui che ha subito uno spoglio non violento o clandestino può chiedere di essere rimesso nel possesso, se ricorrono le condizioni indicate dal comma precedente.
Titolo IX.
Della denunzia di nuova opera e di danno temuto
Art. 1171.
(Denunzia di nuova opera).
Il proprietario, il titolare di altro diritto reale di godimento o il possessore, il quale ha ragione di temere che da una nuova opera, da altri intrapresa sul proprio come sull'altrui fondo, sia per derivare danno alla cosa che forma l'oggetto del suo diritto o del suo possesso, può denunziare all'autorità giudiziaria la nuova opera, purchè questa non sia terminata e non sia trascorso un anno dal suo inizio.
L'autorità giudiziaria, presa sommaria cognizione del fatto, può vietare la continuazione dell'opera, ovvero permetterla, ordinando le opportune cautele: nel primo caso, per il risarcimento del danno prodotto dalla sospensione dell'opera, qualora le opposizioni al suo proseguimento risultino infondate nella decisione del merito; nel secondo caso, per la demolizione o riduzione dell'opera e per il risarcimento del danno che possa soffrirne il denunziante, se questi ottiene sentenza favorevole, nonostante la permessa continuazione.
Art. 1172.
(Denunzia di danno temuto).
Il proprietario, il titolare di altro diritto reale di godimento o il possessore, il quale ha ragione di temere che da qualsiasi edificio, albero o altra cosa sovrasti pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma l'oggetto del suo diritto o del suo possesso, può denunziare il fatto all'autorità giudiziaria e ottenere, secondo le circostanze, che si provveda per ovviare al pericolo.
L'autorità giudiziaria, qualora ne sia il caso, dispone idonea garanzia per i danni eventuali.
Libro quarto
Delle obbligazioni
Titolo I.
Delle obbligazioni in generale
Capo I.
Disposizioni preliminari.
Art. 1173.
(delle obbligazioni).
Le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico.
Art. 1174.
(Carattere patrimoniale della prestazione).
La prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore.
Art. 1175.
(Comportamento secondo correttezza).
Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza, in relazione ai principî della solidarietà corporativa.
Capo II.
Dell'adempimento delle obbligazioni.
Sezione I. -
Dell'adempimento in generale.
Art. 1176.
(Diligenza nell'adempimento).
Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.
Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata.
Art. 1177.
(Obbligazione di custodire).
L'obbligazione di consegnare una cosa determinata include quella di custodirla fino alla consegna.
Art. 1178.
(Obbligazione generica).
Quando l'obbligazione ha per oggetto la prestazione di cose determinate soltanto nel genere, il debitore deve prestare cose di qualità non inferiore alla media.
Art. 1179.
(Obbligo di garanzia).
Chi è tenuto a dare una garanzia, senza che ne siano determinati il modo e la forma, può prestare a sua scelta un'idonea garanzia reale o personale, ovvero altra sufficiente cautela.
Art. 1180.
(Adempimento del terzo).
L'obbligazione può essere adempiuta da un terzo, anche contro la volontà del creditore, se questi non ha interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione.
Tuttavia il creditore può rifiutare l'adempimento offertogli dal terzo, se il debitore gli ha manifestato la sua opposizione.
Art. 1181.
(Adempimento parziale).
Il creditore può rifiutare un adempimento parziale anche se la prestazione è divisibile, salvo che la legge o gli usi dispongano diversamente.
Art. 1182.
(Luogo dell'adempimento).
Se il luogo nel quale la prestazione deve essere eseguita non è determinato dalla convenzione o dagli usi e non può desumersi dalla natura della prestazione o da altre circostanze, si osservano le norme che seguono.
L'obbligazione di consegnare una cosa certa e determinata deve essere adempiuta nel luogo in cui si trovava la cosa quando l'obbligazione è sorta.
L'obbligazione avente per oggetto una somma di danaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza. Se tale domicilio è diverso da quello che il creditore aveva quando è sorta l'obbligazione e ciò rende più gravoso l'adempimento, il debitore, previa dichiarazione al creditore, ha diritto di eseguire il pagamento al proprio domicilio.
Negli altri casi l'obbligazione deve essere adempiuta al domicilio che il debitore ha al tempo della scadenza.
Art. 1183.
(Tempo dell'adempimento).
Se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita, il creditore può esigerla immediatamente. Qualora tuttavia, in virtù degli usi o per la natura della prestazione ovvero per il modo o il luogo dell'esecuzione, sia necessario un termine, questo, in mancanza di accordo delle parti, è stabilito dal giudice.
Se il termine per l'adempimento è rimesso alla volontà del debitore, spetta ugualmente al giudice di stabilirlo secondo le circostanze; se è rimesso alla volontà del creditore, il termine può essere fissato su istanza del debitore che intende liberarsi.
Art. 1184.
(Termine).
Se per l'adempimento è fissato un termine, questo si presume a favore del debitore, qualora non risulti stabilito a favore del creditore o di entrambi.
Art. 1185.
(Pendenza del termine).
Il creditore non può esigere la prestazione prima della scadenza, salvo che il termine sia stabilito esclusivamente a suo favore.
Tuttavia il debitore non può ripetere ciò che ha pagato anticipatamente, anche se ignorava l'esistenza del termine. In questo caso però egli può ripetere, nei limiti della perdita subìta, ciò di cui il creditore si è arricchito per effetto del pagamento anticipato.
Art. 1186.
(Decadenza dal termine).
Quantunque il termine sia stabilito a favore del debitore, il creditore può esigere immediatamente la prestazione se il debitore è divenuto insolvente o ha diminuito, per fatto proprio, le garanzie che aveva date o non ha dato le garanzie che aveva promesse.
Art. 1187.
(Computo del termine).
Il termine fissato per l'adempimento delle obbligazioni è computato secondo le disposizioni dell'art. 2963.
La disposizione relativa alla proroga del termine che scade in giorno festivo si osserva se non vi sono usi diversi.
E` salva in ogni caso una diversa pattuizione.
Art. 1188.
(Destinatario del pagamento).
Il pagamento deve essere fatto al creditore o al suo rappresentante, ovvero alla persona indicata dal creditore o autorizzata dalla legge o dal giudice a riceverlo.
Il pagamento fatto a chi non era legittimato a riceverlo libera il debitore, se il creditore lo ratifica o se ne ha approfittato.
Art. 1189.
(Pagamento al creditore apparente).
Il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede.
Chi ha ricevuto il pagamento è tenuto alla restituzione verso il vero creditore, secondo le regole stabilite per la ripetizione dell'indebito.
Art. 1190.
(Pagamento al creditore incapace).
Il pagamento fatto al creditore incapace di riceverlo non libera il debitore, se questi non prova che ciò che fu pagato è stato rivolto a vantaggio dell'incapace.
Art. 1191.
(Pagamento eseguito da un incapace).
Il debitore che ha eseguito la prestazione dovuta non può impugnare il pagamento a causa della propria incapacità.
Art. 1192.
(Pagamento eseguito con cose altrui).
Il debitore non può impugnare il pagamento eseguito con cose di cui non poteva disporre, salvo che offra di eseguire la prestazione dovuta con cose di cui può disporre.
Il creditore che ha ricevuto il pagamento in buona fede può impugnarlo, salvo il diritto al risarcimento del danno.
Art. 1193.
(Imputazione del pagamento).
Chi ha più debiti della medesima specie verso la stessa persona può dichiarare, quando paga, quale debito intende soddisfare.
In mancanza di tale dichiarazione, il pagamento deve essere imputato al debito scaduto; tra più debiti scaduti, a quello meno garantito; tra più debiti ugualmente garantiti, al più oneroso per il debitore; tra più debiti ugualmente onerosi, al più antico. Se tali criteri non soccorrono, l'imputazione è fatta proporzionalmente ai vari debiti.
Art. 1194.
(Imputazione del pagamento agli interessi).
Il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore.
Il pagamento fatto in conto di capitale e d'interessi deve essere imputato prima agli interessi.
Art. 1195.
(Quietanza con imputazione).
Chi, avendo più debiti, accetta una quietanza nella quale il creditore ha dichiarato di imputare il pagamento a uno di essi, non può pretendere un'imputazione diversa, se non vi è stato dolo o sorpresa da parte del creditore.
Art. 1196.
(Spese del pagamento).
Le spese del pagamento sono a carico del debitore.
Art. 1197.
(Prestazione in luogo dell'adempimento).
Il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o maggiore, salvo che il creditore consenta. In questo caso l'obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è eseguita.
Se la prestazione consiste nel trasferimento della proprietà o di un altro diritto, il debitore è tenuto alla garanzia per l'evizione e per i vizi della cosa secondo le norme della vendita, salvo che il creditore preferisca esigere la prestazione originaria e il risarcimento del danno.
In ogni caso non rivivono le garanzie prestate dai terzi.
Art. 1198.
(Cessione di un credito in luogo dell'adempimento).
Quando in luogo dell'adempimento è ceduto un credito, l'obbligazione si estingue con la riscossione del credito, se non risulta una diversa volontà delle parti.
E` salvo quanto è disposto dal secondo comma dell'art. 1267.
Art. 1199.
(Diritto del debitore alla quietanza).
Il creditore che riceve il pagamento deve, a richiesta e a spese del debitore, rilasciare quietanza e farne annotazione sul titolo, se questo non è restituito al debitore.
Il rilascio di una quietanza per il capitale fa presumere il pagamento degli interessi.
Art. 1200.
(Liberazione dalle garanzie).
Il creditore che ha ricevuto il pagamento deve consentire la liberazione dei beni dalle garanzie reali date per il credito e da ogni altro vincolo che comunque ne limiti la disponibilità.
Sezione II. -
Del pagamento con surrogazione.
Art. 1201.
(Surrogazione per volontà del creditore).
Il creditore, ricevendo il pagamento da un terzo, può surrogarlo nei propri diritti. La surrogazione deve essere fatta in modo espresso e contemporaneamente al pagamento.
Art. 1202.
(Surrogazione per volontà del debitore).
Il debitore, che prende a mutuo una somma di danaro o altra cosa fungibile al fine di pagare il debito, può surrogare il mutuante nei diritti del creditore, anche senza il consenso di questo.
La surrogazione ha effetto quando concorrono le seguenti condizioni: 1) che il mutuo e la quietanza risultino da atto avente data certa; 2) che nell'atto di mutuo sia indicata espressamente la specifica destinazione della somma mutuata; 3) che nella quietanza si menzioni la dichiarazione del debitore circa la provenienza della somma impiegata nel pagamento. Sulla richiesta del debitore, il creditore non può rifiutarsi di inserire nella quietanza tale dichiarazione.
Art. 1203.
(Surrogazione legale).
La surrogazione ha luogo di diritto nei seguenti casi: 1) a vantaggio di chi, essendo creditore, ancorchè chirografario, paga un altro creditore che ha diritto di essergli preferito in ragione dei suoi privilegi, del suo pegno o delle sue ipoteche; 2) a vantaggio dell'acquirente di un immobile che, fino alla concorrenza del prezzo di acquisto, paga uno o più creditori a favore dei quali l'immobile è ipotecato; 3) a vantaggio di colui che, essendo tenuto con altri o per altri al pagamento del debito, aveva interesse di soddisfarlo; 4) a vantaggio dell'erede con beneficio d'inventario, che paga con danaro proprio i debiti ereditari; 5) negli altri casi stabiliti dalla legge.
Art. 1204.
(Terzi garanti).
La surrogazione contemplata nei precedenti articoli ha effetto anche contro i terzi che hanno prestato garanzia per il debitore.
Se il credito è garantito da pegno, si osserva la disposizione del secondo comma dell'art. 1263.
Art. 1205.
(Surrogazione parziale).
Se il pagamento è parziale, il terzo surrogato e il creditore concorrono nei confronti del debitore in proporzione di quanto è loro dovuto, salvo patto contrario.
Sezione III. -
Della mora del creditore.
Art. 1206.
(Condizioni).
Il creditore è in mora quando, senza motivo legittimo, non riceve il pagamento offertogli nei modi indicati dagli articoli seguenti o non compie quanto è necessario affinchè il debitore possa adempiere l'obbligazione.
Art. 1207.
(Effetti).
Quando il creditore è in mora, è a suo carico l'impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore. Non sono più dovuti gli interessi nè i frutti della cosa che non siano stati percepiti dal debitore.
Il creditore è pure tenuto a risarcire i danni derivati dalla sua mora e a sostenere le spese per la custodia e la conservazione della cosa dovuta.
Gli effetti della mora si verificano dal giorno dell'offerta, se questa è successivamente dichiarata valida con sentenza passata in giudicato o se è accettata dal creditore.
Art. 1208.
(Requisiti per la validità dell'offerta).
Affinchè l'offerta sia valida è necessario: 1) che sia fatta al creditore capace di ricevere o a chi ha la facoltà di ricevere per lui; 2) che sia fatta da persona che può validamente adempiere; 3) che comprenda la totalità della somma o delle cose dovute, dei frutti o degli interessi e delle spese liquide, e una somma per le spese non liquide, con riserva di un supplemento, se è necessario; 4) che il termine sia scaduto, se stipulato in favore del creditore; 5) che si sia verificata la condizione dalla quale dipende l'obbligazione; 6) che l'offerta sia fatta alla persona del creditore o nel suo domicilio; 7) che l'offerta sia fatta da un ufficiale pubblico a ciò autorizzato.
Il debitore può subordinare l'offerta al consenso del creditore necessario per liberare i beni dalle garanzie reali o da altri vincoli che comunque ne limitino la disponibilità.
Art. 1209.
(Offerta reale e offerta per intimazione).
Se l'obbligazione ha per oggetto danaro, titoli di credito, ovvero cose mobili da consegnare al domicilio del creditore, l'offerta deve essere reale.
Se si tratta invece di cose mobili da consegnare in luogo diverso, l'offerta consiste nell'intimazione al creditore di riceverle, fatta mediante atto a lui notificato nelle forme prescritte per gli atti di citazione.
Art. 1210.
(Facoltà di deposito e suoi effetti liberatori).
Se il creditore rifiuta di accettare l'offerta reale o non si presenta per ricevere le cose offertegli mediante intimazione, il debitore può eseguire il deposito.
Eseguito il deposito, quando questo è accettato dal creditore o è dichiarato valido con sentenza passata in giudicato, il debitore non può più ritirarlo ed è liberato dalla sua obbligazione.
Art. 1211.
(Cose deperibili o di dispendiosa custodia).
Se le cose non possono essere conservate o sono deteriorabili, oppure se le spese della loro custodia sono eccessive, il debitore, dopo l'offerta reale o l'intimazione di ritirarle, può farsi autorizzare dal pretore a venderle nei modi stabiliti per le cose pignorate e a depositarne il prezzo.
Art. 1212.
(Requisiti del deposito).
Per la validità del deposito è necessario: 1) che sia stato preceduto da un'intimazione notificata al creditore e contenente l'indicazione del giorno, dell'ora e del luogo in cui la cosa offerta sarà depositata; 2) che il debitore abbia consegnato la cosa, con gli interessi e i frutti dovuti fino al giorno dell'offerta, nel luogo indicato dalla legge o, in mancanza, dal giudice; 3) che sia redatto dal pubblico ufficiale un processo verbale da cui risulti la natura delle cose offerte, il rifiuto di riceverle da parte del creditore o la sua mancata comparizione, e infine il fatto del deposito; 4) che, in caso di non comparizione del creditore, il processo verbale di deposito gli sia notificato con l'invito a ritirare la cosa depositata.
Il deposito che ha per oggetto somme di danaro può eseguirsi anche presso un istituto di credito.
Art. 1213.
(Ritiro del deposito).
Il deposito non produce effetto se il debitore lo ritira prima che sia stato accettato dal creditore o prima che sia stato riconosciuto valido con sentenza passata in giudicato.
Se, dopo l'accettazione del deposito o il passaggio in giudicato della sentenza che lo dichiara valido, il creditore consente che il debitore ritiri il deposito, egli non può più rivolgersi contro i condebitori e i fideiussori, nè valersi dei privilegi, del pegno e delle ipoteche che garantivano il credito.
Art. 1214.
(Offerta secondo gli usi e deposito).
Se il debitore ha offerto la cosa dovuta nelle forme d'uso anzichè in quelle prescritte dagli articoli 1208 e 1209, gli effetti della mora si verificano dal giorno in cui egli esegue il deposito a norma dell'art. 1212, se questo è accettato dal creditore o è dichiarato valido con sentenza passata in giudicato.
Art. 1215.
(Spese).
Quando l'offerta reale e il deposito sono validi, le spese occorse sono a carico del creditore.
Art. 1216.
(Intimazione di ricevere la consegna di un immobile).
Se deve essere consegnato un immobile, l'offerta consiste nell'intimazione al creditore di prenderne possesso. L'intimazione deve essere fatta nella forma prescritta dal secondo comma dell'art. 1209.
Il debitore, dopo l'intimazione al creditore, può ottenere dal giudice la nomina di un sequestratario. In questo caso egli è liberato dal momento in cui ha consegnato al sequestratario la cosa dovuta.
Art. 1217.
(Obbligazioni di fare).
Se la prestazione consiste in un fare, il creditore è costituito in mora mediante l'intimazione di ricevere la prestazione o di compiere gli atti che sono da parte sua necessari per renderla possibile.
L'intimazione può essere fatta nelle forme d'uso.
Capo III.
Dell'inadempimento delle obbligazioni.
Art. 1218.
(Responsabilità del debitore).
Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Art. 1219.
(Costituzione in mora).
Il debitore è costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto.
Non è necessaria la costituzione in mora: 1) quando il debito deriva da fatto illecito; 2) quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non volere eseguire l'obbligazione; 3) quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore. Se il termine scade dopo la morte del debitore, gli eredi non sono costituiti in mora che mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto, e decorsi otto giorni dall'intimazione o dalla richiesta.
Art. 1220.
(Offerta non formale).
Il debitore non può essere considerato in mora, se tempestivamente ha fatto offerta della prestazione dovuta, anche senza osservare le forme indicate nella sezione III del precedente capo, a meno che il creditore l'abbia rifiutata per un motivo legittimo.
Art. 1221.
(Effetti della mora sul rischio).
Il debitore che è in mora non è liberato per la sopravvenuta impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, se non prova che l'oggetto della prestazione sarebbe ugualmente perito presso il creditore.
In qualunque modo sia perita o smarrita una cosa illecitamente sottratta, la perdita di essa non libera chi l'ha sottratta dall'obbligo di restituirne il valore.
Art. 1222.
(Inadempimento di obbligazioni negative).
Le disposizioni sulla mora non si applicano alle obbligazioni di non fare; ogni fatto compiuto in violazione di queste costituisce di per sè inadempimento.
Art. 1223.
(Risarcimento del danno).
Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta.
Art. 1224.
(Danni nelle obbligazioni pecuniarie).
Nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno. Se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura.
Al creditore che dimostra di aver subìto un danno maggiore spetta l'ulteriore risarcimento. Questo non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori.
Art. 1225.
(Prevedibilità del danno).
Se l'inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l'obbligazione.
Art. 1226.
(Valutazione equitativa del danno).
Se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa.
Art. 1227.
(Concorso del fatto colposo del creditore).
Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate.
Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.
Art. 1228.
(Responsabilità per fatto degli ausiliari).
Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si vale dell'opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.
Art. 1229.
(Clausole di esonero da responsabilità).
E` nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave.
E` nullo altresì qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico.
Capo I.
Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall'adempimento.
Sezione I. -
Della novazione.
Art. 1230.
(Novazione oggettiva).
L'obbligazione si estingue quando le parti sostituiscono all'obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso.
La volontà di estinguere l'obbligazione precedente deve risultare in modo non equivoco.
Art. 1231.
(Modalità che non importano novazione).
Il rilascio di un documento o la sua rinnovazione, l'apposizione o l'eliminazione di un termine e ogni altra modificazione accessoria dell'obbligazione non producono novazione.
Art. 1232.
(Privilegi, pegno e ipoteche).
I privilegi, il pegno e le ipoteche del credito originario si estinguono, se le parti non convengono espressamente di mantenerli per il nuovo credito.
Art. 1233.
(Riserva delle garanzie nelle obbligazioni solidali).
Se la novazione si effettua tra il creditore e uno dei debitori in solido con effetto liberatorio per tutti, i privilegi, il pegno e le ipoteche del credito anteriore possono essere riservati soltanto sui beni del debitore che fa la novazione.
Art. 1234.
(Inefficacia della novazione).
La novazione è senza effetto, se non esisteva l'obbligazione originaria.
Qualora l'obbligazione originaria derivi da un titolo annullabile, la novazione è valida se il debitore ha assunto validamente il nuovo debito conoscendo il vizio del titolo originario.
Art. 1235.
(Novazione soggettiva).
Quando un nuovo debitore è sostituito a quello originario che viene liberato, si osservano le norme contenute nel capo VI di questo titolo.
Sezione II. -
Della remissione.
Art. 1236.
(Dichiarazione di remissione del debito).
La dichiarazione del creditore di rimettere il debito estingue l'obbligazione quando è comunicata al debitore, salvo che questi dichiari in un congruo termine di non volerne profittare.
Art. 1237.
(Restituzione volontaria del titolo).
La restituzione volontaria del titolo originale del credito, fatta dal creditore al debitore, costituisce prova della liberazione anche rispetto ai condebitori in solido.
Se il titolo del credito è in forma pubblica, la consegna volontaria della copia spedita in forma esecutiva fa presumere la liberazione, salva la prova contraria.
Art. 1238.
(Rinunzia alle garanzie).
La rinunzia alle garanzie dell'obbligazione non fa presumere la remissione del debito.
Art. 1239.
(Fideiussori).
La remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori.
La remissione accordata a uno dei fideiussori non libera gli altri che per la parte del fideiussore liberato. Tuttavia se gli altri fideiussori hanno consentito la liberazione, essi rimangono obbligati per l'intero.
Art. 1240.
(Rinunzia a una garanzia verso corrispettivo).
Il creditore che ha rinunziato, verso corrispettivo, alla garanzia prestata da un terzo deve imputare al debito principale quanto ha ricevuto, a beneficio del debitore e di coloro che hanno prestato garanzia per l'adempimento dell'obbligazione.
Della compensazione.
Art. 1241.
(Estinzione per compensazione).
Quando due persone sono obbligate l'una verso l'altra, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti, secondo le norme degli articoli che seguono.
Art. 1242.
(Effetti della compensazione).
La compensazione estingue i due debiti dal giorno della loro coesistenza. Il giudice non può rilevarla d'ufficio.
La prescrizione non impedisce la compensazione, se non era compiuta quando si è verificata la coesistenza dei due debiti.
Art. 1243.
(Compensazione legale e giudiziale).
La compensazione si verifica solo tra due debiti che hanno per oggetto una somma di danaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere e che sono ugualmente liquidi ed esigibili.
Se il debito opposto in compensazione non è liquido ma è di facile e pronta liquidazione, il giudice può dichiarare la compensazione per la parte del debito che riconosce esistente, e può anche sospendere la condanna per il credito liquido fino all'accertamento del credito opposto in compensazione.
Art. 1244.
(Dilazione).
La dilazione concessa gratuitamente dal creditore non è di ostacolo alla compensazione.
Art. 1245.
(Debiti non pagabili nello stesso luogo).
Quando i due debiti non sono pagabili nello stesso luogo, si devono computare le spese del trasporto al luogo del pagamento.
Art. 1246.
(Casi in cui la compensazione non si verifica).
La compensazione si verifica qualunque sia il titolo dell'uno o dell'altro debito, eccettuati i casi: 1) di credito per la restituzione di cose di cui il proprietario sia stato ingiustamente spogliato; 2) di credito per la restituzione di cose depositate o date in comodato; 3) di credito dichiarato impignorabile; 4) di rinunzia alla compensazione fatta preventivamente dal debitore; 5) di divieto stabilito dalla legge.
Art. 1247.
(Compensazione opposta da terzi garanti).
Il fideiussore può opporre in compensazione il debito che il creditore ha verso il debitore principale.
Lo stesso diritto spetta al terzo che ha costituito un'ipoteca o un pegno.
Art. 1248.
(Inopponibilità della compensazione).
Il debitore, se ha accettato puramente e semplicemente la cessione che il creditore ha fatta delle sue ragioni a un terzo, non può opporre al cessionario la compensazione che avrebbe potuto opporre al cedente.
La cessione non accettata dal debitore, ma a questo notificata, impedisce la compensazione dei crediti sorti posteriormente alla notificazione.
Art. 1249.
(Compensazione di più debiti).
Quando una persona ha verso un'altra più debiti compensabili, si osservano per la compensazione le disposizioni del secondo comma dell'art. 1193.
Art. 1250.
(Compensazione rispetto ai terzi).
La compensazione non si verifica in pregiudizio dei terzi che hanno acquistato diritti di usufrutto o di pegno su uno dei crediti.
Art. 1251.
(Garanzie annesse al credito).
Chi ha pagato un debito mentre poteva invocare la compensazione non può più valersi, in pregiudizio dei terzi, dei privilegi e delle garanzie a favore del suo credito, salvo che abbia ignorato l'esistenza di questo per giusti motivi.
Art. 1252.
(Compensazione volontaria).
Per volontà delle parti può aver luogo compensazione anche se non ricorrono le condizioni previste dagli articoli precedenti.
Le parti possono anche stabilire preventivamente le condizioni di tale compensazione.
Della confusione.
Art. 1253.
(Effetti della confusione).
Quando le qualità di creditore e di debitore si riuniscono nella stessa persona, l'obbligazione si estingue, e i terzi che hanno prestato garanzia per il debitore sono liberati.
Art. 1254.
(Confusione rispetto ai terzi).
La confusione non opera in pregiudizio dei terzi che hanno acquistato diritti di usufrutto o di pegno sul credito.
Art. 1255.
(Riunione delle qualità di fideiussore e di debitore).
Se nella medesima persona si riuniscono le qualità di fideiussore e di debitore principale, la fideiussione resta in vita, purchè il creditore vi abbia interesse.
Sezione V. -
Dell'impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore.
Art. 1256.
(Impossibilità definitiva e impossibilità temporanea).
L'obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile.
Se l'impossibilità è solo temporanea, il debitore, finchè essa perdura, non è responsabile del ritardo nell'adempimento. Tuttavia l'obbligazione si estingue se l'impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell'obbligazione o alla natura dell'oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla.
Art. 1257.
(Smarrimento di cosa determinata).
La prestazione che ha per oggetto una cosa determinata si considera divenuta impossibile anche quando la cosa è smarrita senza che possa esserne provato il perimento.
In caso di successivo ritrovamento della cosa, si applicano le disposizioni del secondo comma dell'articolo precedente.
Art. 1258.
(Impossibilità parziale).
Se la prestazione è divenuta impossibile solo in parte, il debitore si libera dall'obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile.
La stessa disposizione si applica quando, essendo dovuta una cosa determinata, questa ha subito un deterioramento, o quando residua alcunchè dal perimento totale della cosa.
Art. 1259.
(Subingresso del creditore nei diritti del debitore).
Se la prestazione che ha per oggetto una cosa determinata è divenuta impossibile, in tutto o in parte, il creditore subentra nei diritti spettanti al debitore in dipendenza del fatto che ha causato l'impossibilità, e può esigere dal debitore la prestazione di quanto questi abbia conseguito a titolo di risarcimento.
Capo V.
Della cessione dei crediti.
Art. 1260.
(Cedibilità dei crediti).
Il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore, purchè il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge.
Le parti possono escludere la cedibilità del credito; ma il patto non è opponibile al cessionario, se non si prova che egli lo conosceva al tempo della cessione.
Art. 1261.
(Divieti di cessione).
I magistrati dell'ordine giudiziario, i funzionari delle cancellerie e segreterie giudiziarie, gli ufficiali giudiziari, gli avvocati, i procuratori, i patrocinatori e i notai non possono, neppure per interposta persona, rendersi cessionari di diritti sui quali è sorta contestazione davanti l'autorità giudiziaria di cui fanno parte o nella cui giurisdizione esercitano le loro funzioni, sotto pena di nullità e dei danni.
La disposizione del comma precedente non si applica alle cessioni di azioni ereditarie tra coeredi, nè a quelle fatte in pagamento di debiti o per difesa di beni posseduti dal cessionario.
Art. 1262.
(Documenti probatori del credito).
Il cedente deve consegnare al cessionario i documenti probatori del credito che sono in suo possesso.
Se è stata ceduta solo una parte del credito, il cedente è tenuto a dare al cessionario una copia autentica dei documenti.
Art. 1263.
(Accessori del credito).
Per effetto della cessione, il credito è trasferito al cessionario con i privilegi, con le garanzie personali e reali e con gli altri accessori.
Il cedente non può trasferire al cessionario, senza il consenso del costituente, il possesso della cosa ricevuta in pegno; in caso di dissenso, il cedente rimane custode del pegno.
Salvo patto contrario, la cessione non comprende i frutti scaduti.
Art. 1264.
(Efficacia della cessione riguardo al debitore ceduto).
La cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l'ha accettata o quando gli è stata notificata.
Tuttavia, anche prima della notificazione, il debitore che paga al cedente non è liberato, se il cessionario prova che il debitore medesimo era a conoscenza dell'avvenuta cessione.
Art. 1265.
(Efficacia della cessione riguardo ai terzi).
Se il medesimo credito ha formato oggetto di più cessioni a persone diverse, prevale la cessione notificata per prima al debitore, o quella che è stata prima accettata dal debitore con atto di data certa, ancorchè essa sia di data posteriore.
La stessa norma si osserva quando il credito ha formato oggetto di costituzione di usufrutto o di pegno.
Art. 1266.
(Obbligo di garanzia del cedente).
Quando la cessione è a titolo oneroso, il cedente è tenuto a garantire l'esistenza del credito al tempo della cessione. La garanzia può essere esclusa per patto, ma il cedente resta sempre obbligato per il fatto proprio.
Se la cessione è a titolo gratuito, la garanzia è dovuta solo nei casi e nei limiti in cui la legge pone a carico del donante la garanzia per l'evizione.
Art. 1267.
(Garanzia della solvenza del debitore).
Il cedente non risponde della solvenza del debitore, salvo che ne abbia assunto la garanzia. In questo caso egli risponde nei limiti di quanto ha ricevuto; deve inoltre corrispondere gli interessi, rimborsare le spese della cessione e quelle che il cessionario abbia sopportate per escutere il debitore, e risarcire il danno. Ogni patto diretto ad aggravare la responsabilità del cedente è senza effetto.
Quando il cedente ha garantito la solvenza del debitore, la garanzia cessa, se la mancata realizzazione del credito per insolvenza del debitore è dipesa da negligenza del cessionario nell'iniziare o nel proseguire le istanze contro il debitore stesso.
Capo VI.
Della delegazione, dell'espromissione e dell'accollo.
Art. 1268.
(Delegazione cumulativa).
Se il debitore assegna al creditore un nuovo debitore, il quale si obbliga verso il creditore, il debitore originario non è liberato dalla sua obbligazione, salvo che il creditore dichiari espressamente di liberarlo.
Tuttavia il creditore che ha accettato l'obbligazione del terzo non può rivolgersi al delegante, se prima non ha richiesto al delegato l'adempimento.
Art. 1269.
(Delegazione di pagamento).
Se il debitore per eseguire il pagamento ha delegato un terzo, questi può obbligarsi verso il creditore, salvo che il debitore l'abbia vietato.
Il terzo delegato per eseguire il pagamento non è tenuto ad accettare l'incarico, ancorchè sia debitore del delegante. Sono salvi gli usi diversi.
Art. 1270.
(Estinzione della delegazione).
Il delegante può revocare la delegazione, fino a quando il delegato non abbia assunto l'obbligazione in confronto del delegatario o non abbia eseguito il pagamento a favore di questo.
Il delegato può assumere l'obbligazione o eseguire il pagamento a favore del delegatario anche dopo la morte o la sopravvenuta incapacità del delegante.
Art. 1271.
(Eccezioni opponibili dal delegato).
Il delegato può opporre al delegatario le eccezioni relative ai suoi rapporti con questo.
Se le parti non hanno diversamente pattuito, il delegato non può opporre al delegatario, benchè questi ne fosse stato a conoscenza, le eccezioni che avrebbe opporre al creditore le eccezioni relative ai suoi rapporto tra delegante e delegatario.
Il delegato non può neppure opporre le eccezioni relative al rapporto tra il delegante e il delegatario, se ad esso le parti non hanno fatto espresso riferimento.
Art. 1272.
(Espromissione).
Il terzo che, senza delegazione del debitore, ne assume verso il creditore il debito, è obbligato in solido col debitore originario, se il creditore non dichiara espressamente di liberare quest'ultimo.
Se non si è convenuto diversamente, il terzo non può opporre al creditore le eccezioni relative ai suoi rapporti col debitore originario.
Può opporgli invece le eccezioni che al creditore avrebbe potuto opporre il debitore originario, se non sono personali a quest'ultimo e non derivano da fatti successivi all'espromissione. Non può opporgli la compensazione che avrebbe potuto opporre il debitore originario, quantunque si sia verificata prima dell'espromissione.
Art. 1273.
(Accollo).
Se il debitore e un terzo convengono che questi assuma il debito dell'altro, il creditore può aderire alla convenzione, rendendo irrevocabile la stipulazione a suo favore.
L'adesione del creditore importa liberazione del debitore originario solo se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente di liberarlo.
Se non vi è liberazione del debitore, questi rimane obbligato in solido col terzo.
In ogni caso il terzo è obbligato verso il creditore che ha aderito alla stipulazione nei limiti in cui ha assunto il debito, e può opporre al creditore le eccezioni fondate sul contratto in base al quale l'assunzione è avvenuta.
Art. 1274.
(Insolvenza del nuovo debitore).
Il creditore che, in seguito a delegazione, ha liberato il debitore originario, non ha azione contro di lui se il delegato diviene insolvente, salvo che ne abbia fatto espressa riserva.
Tuttavia, se il delegato era insolvente al tempo in cui assunse il debito in confronto del creditore, il debitore originario non è liberato.
Le medesime disposizioni si osservano quando il creditore ha aderito all'accollo stipulato a suo favore e la liberazione del debitore originario era condizione espressa della stipulazione.
Art. 1275.
(Estinzione delle garanzie).
In tutti i casi nei quali il creditore libera il debitore originario, si estinguono le garanzie annesse al credito, se colui che le ha prestate non consente espressamente a mantenerle.
Art. 1276.
(Invalidità della nuova obbligazione).
Se l'obbligazione assunta dal nuovo debitore verso il creditore è dichiarata nulla o annullata, e il creditore aveva liberato il debitore originario, l'obbligazione di questo rivive, ma il creditore non può valersi delle garanzie prestate da terzi.
Capo VII.
Di alcune specie di obbligazioni.
Sezione I. -
Delle obbligazioni pecuniarie.
Art. 1277.
(Debito di somma di danaro).
I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale.
Se la somma dovuta era determinata in una moneta che non ha più corso legale al tempo del pagamento, questo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima.
Art. 1278.
(Debito di somma di monete non aventi corso legale).
Se la somma dovuta è determinata in una moneta non avente corso legale nello Stato, il debitore ha facoltà di pagare in moneta legale, al corso del cambio nel giorno della scadenza e nel luogo stabilito per il pagamento.
Art. 1279.
(Clausola di pagamento effettivo in monete non aventi corso legale).
La disposizione dell'articolo precedente non si applica, se la moneta non avente corso legale nello Stato è indicata con la clausola «effettivo» o altra equivalente, salvo che alla scadenza dell'obbligazione non sia possibile procurarsi tale moneta.
Art. 1280.
(Debito di specie monetaria avente valore intrinseco).
Il pagamento deve farsi con una specie di moneta avente valore intrinseco, se così è stabilito dal titolo costitutivo del debito, semprechè la moneta avesse corso legale al tempo in cui l'obbligazione fu assunta.
Se però la moneta non è reperibile, o non ha più corso, o ne è alterato il valore intrinseco, il pagamento si effettua con moneta corrente che rappresenti il valore intrinseco che la specie monetaria dovuta aveva al tempo in cui l'obbligazione fu assunta.
Art. 1281.
(Leggi speciali).
Le norme che precedono si osservano in quanto non siano in contrasto con i principî derivanti da leggi speciali.
Sono salve le disposizioni particolari concernenti i pagamenti da farsi fuori del territorio dello Stato.
Art. 1282.
(Interessi nelle obbligazioni pecuniarie).
I crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente.
Salvo patto contrario, i crediti per fitti e pigioni non producono interessi se non dalla costituzione in mora.
Se il credito ha per oggetto rimborso di spese fatte per cose da restituire, non decorrono interessi per il periodo di tempo in cui chi ha fatto le spese abbia goduto della cosa senza corrispettivo e senza essere tenuto a render conto del godimento.
Art. 1283.
(Anatocismo).
In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi.
Art. 1284.
(Saggio degli interessi).
Il saggio degli interessi legali è del cinque per cento in ragione di anno.
Allo stesso saggio si computano gli interessi convenzionali, se le parti non ne hanno determinato la misura.
Gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale.
Sezione II. -
Delle obbligazioni alternative.
Art. 1285.
(Obbligazione alternativa).
Il debitore di un'obbligazione alternativa si libera eseguendo una delle due prestazioni dedotte in obbligazione, ma non può costringere il creditore a ricevere parte dell'una e parte dell'altra.
Art. 1286.
(Facoltà di scelta).
La scelta spetta al debitore, se non è stata attribuita al creditore o ad un terzo.
La scelta diviene irrevocabile con l'esecuzione di una delle due prestazioni, ovvero con la dichiarazione di scelta, comunicata all'altra parte, o ad entrambe se la scelta è fatta da un terzo.
Se la scelta deve essere fatta da più persone, il giudice può fissare loro un termine. Se la scelta non è fatta nel termine stabilito, essa è fatta dal giudice.
Art. 1287.
(Decadenza dalla facoltà di scelta).
Quando il debitore, condannato alternativamente a due prestazioni, non ne esegue alcuna nel termine assegnatogli dal giudice, la scelta spetta al creditore.
Se la facoltà di scelta spetta al creditore e questi non l'esercita nel termine stabilito o in quello fissatogli dal debitore, la scelta passa a quest'ultimo.
Se la scelta è rimessa a un terzo e questi non la fa nel termine assegnatogli, essa è fatta dal giudice.
Art. 1288.
(Impossibilità di una delle prestazioni).
L'obbligazione alternativa si considera semplice, se una delle due prestazioni non poteva formare oggetto di obbligazione o se è divenuta impossibile per causa non imputabile ad alcuna delle parti.
Art. 1289.
(Impossibilità colposa di una delle prestazioni).
Quando la scelta spetta al debitore, l'obbligazione alternativa diviene semplice, se una delle due prestazioni diventa impossibile anche per causa a lui imputabile. Se una delle due prestazioni diviene impossibile per colpa del creditore, il debitore è liberato dall'obbligazione, qualora non preferisca eseguire l'altra prestazione e chiedere il risarcimento dei danni.
Quando la scelta spetta al creditore, il debitore è liberato dall'obbligazione, se una delle due prestazioni diviene impossibile per colpa del creditore, salvo che questi preferisca esigere l'altra prestazione e risarcire il danno. Se dell'impossibilità deve rispondere il debitore, il creditore può scegliere l'altra prestazione o esigere il risarcimento del danno.
Art. 1290.
(Impossibilità sopravvenuta di entrambe le prestazioni).
Qualora entrambe le prestazioni siano divenute impossibili e il debitore debba rispondere riguardo a una di esse, egli deve pagare l'equivalente di quella che è divenuta impossibile per l'ultima, se la scelta spettava a lui. Se la scelta spettava al creditore, questi può domandare l'equivalente dell'una o dell'altra.
Art. 1291.
(Obbligazione con alternativa multipla).
Le regole stabilite in questa sezione si osservano anche quando le prestazioni dedotte in obbligazione sono più di due.
Sezione III. -
Delle obbligazioni in solido.
Art. 1292.
(Nozione della solidarietà).
L'obbligazione è in solido quando più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto all'adempimento per la totalità e l'adempimento da parte di uno libera gli altri; oppure quando tra più creditori ciascuno ha diritto di chiedere l'adempimento dell'intera obbligazione e l'adempimento conseguito da uno di essi libera il debitore verso tutti i creditori.
Art. 1293.
(Modalità varie dei singoli rapporti).
La solidarietà non è esclusa dal fatto che i singoli debitori siano tenuti ciascuno con modalità diverse, o il debitore comune sia tenuto con modalità diverse di fronte ai singoli creditori.
Art. 1294.
(Solidarietà tra condebitori).
I condebitori sono tenuti in solido, se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente.
Art. 1295.
(Divisibilità tra gli eredi).
Salvo patto contrario, l'obbligazione si divide tra gli eredi di uno dei condebitori o di uno dei creditori in solido, in proporzione delle rispettive quote.
Art. 1296.
(Scelta del creditore per il pagamento).
Il debitore ha la scelta di pagare all'uno o all'altro dei creditori in solido, quando non è stato prevenuto da uno di essi con domanda giudiziale.
Art. 1297.
(Eccezioni personali).
Uno dei debitori in solido non può opporre al creditore le eccezioni personali agli altri debitori.
A uno dei creditori in solido il debitore non può opporre le eccezioni personali agli altri creditori.
Art. 1298.
(Rapporti interni tra debitori o creditori solidali).
Nei rapporti interni l'obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori o tra i diversi creditori, salvo che sia stata contratta nell'interesse esclusivo di alcuno di essi.
Le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente.
Art. 1299.
(Regresso tra condebitori).
Il debitore in solido che ha pagato l'intero debito può ripetere dai condebitori soltanto la parte di ciascuno di essi.
Se uno di questi è insolvente, la perdita si ripartisce per contributo tra gli altri condebitori, compreso quello che ha fatto il pagamento.
La stessa norma si applica qualora sia insolvente il condebitore nel cui esclusivo interesse l'obbligazione era stata assunta.
Art. 1300.
(Novazione).
La novazione tra il creditore e uno dei debitori in solido libera gli altri debitori. Qualora però si sia voluto limitare la novazione a uno solo dei debitori, gli altri non sono liberati che per la parte di quest'ultimo.
Se convenuta tra uno dei creditori in solido e il debitore, la novazione ha effetto verso gli altri creditori solo per la parte del primo.
Art. 1301.
(Remissione).
La remissione a favore di uno dei debitori in solido libera anche gli altri debitori, salvo che il creditore abbia riservato il suo diritto verso gli altri, nel qual caso il creditore non può esigere il credito da questi, se non detratta la parte del debitore a favore del quale ha consentito la remissione.
Se la remissione è fatta da uno dei creditori in solido, essa libera il debitore verso gli altri creditori solo per la parte spettante al primo.
Art. 1302.
(Compensazione).
Ciascuno dei debitori in solido può opporre in compensazione il credito di un condebitore solo fino alla concorrenza della parte di quest'ultimo.
A uno dei creditori in solido il debitore può opporre in compensazione ciò che gli è dovuto da un altro dei creditori, ma solo per la parte di questo.
Art. 1303.
(Confusione).
Se nella medesima persona si riuniscono le qualità di creditore e di debitore in solido, l'obbligazione degli altri debitori si estingue per la parte di quel condebitore.
Se nella medesima persona si riuniscono le qualità di debitore e di creditore in solido, l'obbligazione si estingue per la parte di questo.
Art. 1304.
(Transazione).
La transazione fatta dal creditore con uno dei debitori in solido non produce effetto nei confronti degli altri, se questi non dichiarano di volerne profittare.
Parimenti, se è intervenuta tra uno dei creditori in solido e il debitore, la transazione non ha effetto nei confronti degli altri creditori, se questi non dichiarano di volerne profittare.
Art. 1305.
(Giuramento).
Il giuramento sul debito e non sul vincolo solidale, deferito da uno dei debitori in solido al creditore o da uno dei creditori in solido al debitore, ovvero dal creditore a uno dei debitori in solido o dal debitore a uno dei creditori in solido, produce gli effetti seguenti: il giuramento ricusato dal creditore o dal debitore, ovvero prestato dal condebitore o dal concreditore in solido, giova agli altri condebitori o concreditori; il giuramento prestato dal creditore o dal debitore, ovvero ricusato dal condebitore o dal concreditore in solido, nuoce solo a chi lo ha deferito o a colui al quale è stato deferito.
Art. 1306.
(Sentenza).
La sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori.
Gli altri debitori possono opporla al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore; gli altri creditori possono farla valere contro il debitore, salve le eccezioni personali che questi può opporre a ciascuno di essi.
Art. 1307.
(Inadempimento).
Se l'adempimento dell'obbligazione è divenuto impossibile per causa imputabile a uno o più condebitori, gli altri condebitori non sono liberati dall'obbligo solidale di corrispondere il valore della prestazione dovuta. Il creditore può chiedere il risarcimento del danno ulteriore al condebitore o a ciascuno dei condebitori inadempienti.
Art. 1308.
(Costituzione in mora).
La costituzione in mora di uno dei debitori in solido non ha effetto riguardo agli altri, salvo il disposto dell'art. 1310.
La costituzione in mora del debitore da parte di uno dei creditori in solido giova agli altri.
Art. 1309.
(Riconoscimento del debito).
Il riconoscimento del debito fatto da uno dei debitori in solido non ha effetto riguardo agli altri; se è fatto dal debitore nei confronti di uno dei creditori in solido, giova agli altri.
Art. 1310.
(Prescrizione).
Gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido, oppure uno dei creditori in solido interrompe la prescrizione contro il comune debitore, hanno effetto riguardo agli altri debitori o agli altri creditori.
La sospensione della prescrizione nei rapporti di uno dei debitori o di uno dei creditori in solido non ha effetto riguardo agli altri. Tuttavia il debitore che sia stato costretto a pagare ha regresso contro i condebitori liberati in conseguenza della prescrizione.
La rinunzia alla prescrizione fatta da uno dei debitori in solido non ha effetto riguardo agli altri; fatta in confronto di uno dei creditori in solido, giova agli altri. Il condebitore che ha rinunziato alla prescrizione non ha regresso verso gli altri debitori liberati in conseguenza della prescrizione medesima.
Art. 1311.
(Rinunzia alla solidarietà).
Il creditore che rinunzia alla solidarietà a favore di uno dei debitori conserva l'azione in solido contro gli altri.
Rinunzia alla solidarietà: 1) il creditore che rilascia a uno dei debitori quietanza per la parte di lui senza alcuna riserva; 2) il creditore che ha agito giudizialmente contro uno dei debitori per la parte di lui, se questi ha aderito alla domanda, o se è stata pronunciata una sentenza di condanna.
Art. 1312.
(Pagamento separato dei frutti o degli interessi).
Il creditore che riceve, separatamente e senza riserva, la parte dei frutti o degli interessi che è a carico di uno dei debitori perde contro di lui l'azione in solido per i frutti o per gli interessi scaduti, ma la conserva per quelli futuri.
Art. 1313.
(Insolvenza di un condebitore in caso di rinunzia).
Nel caso di rinunzia del creditore alla solidarietà verso alcuno dei debitori, se uno degli altri è insolvente, la sua parte di debito è ripartita per contributo tra tutti i condebitori, compreso quello che era stato liberato dalla solidarietà.
Sezione IV. -
Delle obbligazioni divisibili e indivisibili.
Art. 1314.
(Obbligazioni divisibili).
Se più sono i debitori o i creditori di una prestazione divisibile e l'obbligazione non è solidale, ciascuno dei creditori non può domandare il soddisfacimento del credito che per la sua parte, e ciascuno dei debitori non è tenuto a pagare il debito che per la sua parte.
Art. 1315.
(Limiti alla divisibilità tra gli eredi del debitore).
Il beneficio della divisione non può essere opposto da quello tra gli eredi del debitore, che è stato incaricato di eseguire la prestazione o che è in possesso della cosa dovuta, se questa è certa e determinata.
Art. 1316.
(Obbligazioni indivisibili).
L'obbligazione è indivisibile, quando la prestazione ha per oggetto una cosa o un fatto che non è suscettibile di divisione per sua natura o per il modo in cui è stato considerato dalle parti contraenti.
Art. 1317.
(Disciplina delle obbligazioni indivisibili).
Le obbligazioni indivisibili sono regolate dalle norme relative alle obbligazioni solidali, in quanto applicabili, salvo quanto è disposto dagli articoli seguenti.
Art. 1318.
(Indivisibilità nei confronti con gli eredi).
L'indivisibilità opera anche nei confronti degli eredi del debitore o di quelli del creditore.
Art. 1319.
(Diritto di esigere l'intero).
Ciascuno dei creditori può esigere l'esecuzione dell'intera prestazione indivisibile. Tuttavia l'erede del creditore, che agisce per il soddisfacimento dell'intero credito, deve dare cauzione a garanzia dei coeredi.
Art. 1320.
(Estinzione parziale).
Se uno dei creditori ha fatto remissione del debito o ha consentito a ricevere un'altra prestazione in luogo di quella dovuta, il debitore non è liberato verso gli altri creditori. Questi tuttavia non possono domandare la prestazione indivisibile se non addebitandosi ovvero rimborsando il valore della parte di colui che ha fatto la remissione o che ha ricevuto la prestazione diversa.
La medesima disposizione si applica in caso di transazione, novazione, compensazione e confusione.
Titolo II.
Dei contratti in genere
Capo I.
Disposizioni preliminari.
Art. 1321.
(Nozione).
Il contratto è l'accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale.
Art. 1322.
(Autonomia contrattuale).
Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge e dalle norme corporative.
Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purchè siano diretti a realizzare interessi meritevoli li tutela secondo l'ordinamento giuridico.
Art. 1323.
(Norme regolatrici dei contratti).
Tutti i contratti, ancorchè non appartengano ai tipi che hanno una disciplina particolare, sono sottoposti alle norme generali contenute in questo titolo.
Art. 1324.
(Norme applicabili agli atti unilaterali).
Salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale.
Capo II.
Dei requisiti del contratto.
Art. 1325.
(Indicazione dei requisiti).
I requisiti del contratto sono: 1) l'accordo delle parti; 2) la causa; 3) l'oggetto; 4) la forma, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità.
Sezione I. -
Dell'accordo delle parti.
Art. 1326.
(Conclusione del contratto).
Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte.
L'accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello ordinariamente necessario secondo la natura dell'affare o secondo gli usi.
Il proponente può ritenere efficace l'accettazione tardiva, purchè ne dia immediatamente avviso all'altra parte.
Qualora il proponente richieda per l'accettazione una forma determinata, l'accettazione non ha effetto se è data in forma diversa.
Un'accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta.
Art. 1327.
(Esecuzione prima della risposta dell'accettante).
Qualora, su richiesta del proponente o per la natura dell'affare o secondo gli usi, la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta, il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l'esecuzione.
L'accettante deve dare prontamente avviso all'altra parte dell'iniziata esecuzione e, in mancanza, è tenuto al risarcimento del danno.
Art. 1328.
(Revoca della proposta e dell'accettazione).
La proposta può essere revocata finchè il contratto non sia concluso. Tuttavia, se l'accettante ne ha intrapreso in buona fede l'esecuzione prima di avere notizia della revoca, il proponente è tenuto a indennizzarlo delle spese e delle perdite subite per l'iniziata esecuzione del contratto.
L'accettazione può essere revocata, purchè la revoca giunga a conoscenza del proponente prima dell'accettazione.
Art. 1329.
(Proposta irrevocabile).
Se il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta per un certo tempo, la revoca è senza effetto.
Nell'ipotesi prevista dal comma precedente, la morte o la sopravvenuta incapacità del proponente non toglie efficacia alla proposta, salvo che la natura dell'affare o altre circostanze escludano tale efficacia.
Art. 1330.
(Morte o incapacità dell'imprenditore).
La proposta o l'accettazione, quando è fatta dall'imprenditore nell'esercizio della sua impresa, non perde efficacia se l'imprenditore muore o diviene incapace prima della conclusione del contratto, salvo che si tratti di piccoli imprenditori o che diversamente risulti dalla natura dell'affare o da altre circostanze.
Art. 1331.
(Opzione).
Quando le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l'altra abbia facoltà di accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile per gli effetti previsti dall'art. 1329.
Se per l'accettazione non è stato fissato un termine, questo può essere stabilito dal giudice.
Art. 1332.
(Adesione di altre parti al contratto).
Se ad un contratto possono aderire altre parti e non sono determinate le modalità dell'adesione, questa deve essere diretta all'organo che sia stato costituito per l'attuazione del contratto o, in mancanza di esso, a tutti i contraenti originari.
Art. 1333.
(Contratto con obbligazioni del solo proponente).
La proposta diretta a concludere un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il proponente è irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata.
Il destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell'affare o dagli usi. In mancanza di tale rifiuto il contratto è concluso.
Art. 1334.
(Efficacia degli atti unilaterali).
Gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati.
Art. 1335.
(Presunzione di conoscenza).
La proposta, l'accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia.
Art. 1336.
(Offerta al pubblico).
L'offerta al pubblico, quando contiene gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta, vale come proposta, salvo che risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi.
La revoca dell'offerta, se è fatta nella stessa forma dell'offerta o in forma equipollente, è efficace anche in confronto di chi non ne ha avuto notizia.
Art. 1337.
(Trattative e responsabilità precontrattuale).
Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede.
Art. 1338.
(Conoscenza delle cause d'invalidità).
La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa d'invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all'altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto.
Art. 1339.
(Inserzione automatica di clausole).
Le clausole, i prezzi di beni o di servizi, imposti dalla legge o da norme corporative, sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti.
Art. 1340.
(Clausole d'uso).
Le clausole d'uso s'intendono inserite nel contratto, se non risulta che non sono state volute dalle parti.
Art. 1341.
(Condizioni generali di contratto).
Le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell'altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l'ordinaria diligenza.
In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria.
Art. 1342.
(Contratto concluso mediante moduli o formulari).
Nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari, predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, le clausole aggiunte al modulo o al formulario prevalgono su quelle del modulo o del formulario qualora siano incompatibili con esse, anche se queste ultime non sono state cancellate.
Si osserva inoltre la disposizione del secondo comma dell'articolo precedente.
Sezione II. -
Della causa del contratto.
Art. 1343.
(Causa illecita).
La causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume.
Art. 1344.
(Contratto in frode alla legge).
Si reputa altresì illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l'applicazione di una norma imperativa.
Art. 1345.
(Motivo illecito).
Si reputa altresì illecita la causa quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune a entrambe.
Sezione III. -
Dell'oggetto del contratto.
Art. 1346.
(Requisiti).
L'oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile.
Art. 1347.
(Possibilità sopravvenuta dell'oggetto).
Il contratto sottoposto a condizione sospensiva o a termine è valido, se la prestazione inizialmente impossibile diviene possibile prima dell'avveramento della condizione o della scadenza del termine.
Art. 1348.
(Cose future).
La prestazione di cose future può essere dedotta in contratto, salvi i particolari divieti della legge.
Art. 1349.
(Determinazione dell'oggetto).
Se la determinazione della prestazione dedotta in contratto è deferita a un terzo e non risulta che le parti vollero rimettersi al suo mero arbitrio, il terzo deve procedere con equo apprezzamento. Se manca la determinazione del terzo o se questa è manifestamente iniqua o erronea, la determinazione è fatta dal giudice.
La determinazione rimessa al mero arbitrio del terzo non si può impugnare se non provando la sua mala fede. Se manca la determinazione del terzo e le parti non si accordano per sostituirlo, il contratto è nullo.
Nel determinare la prestazione il terzo deve tener conto anche delle condizioni generali della produzione a cui il contratto eventualmente abbia riferimento.
Sezione IV. -
Della forma del contratto.
Art. 1350.
(Atti che devono farsi per iscritto).
Devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità: 1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili; 2) i contratti che costituiscono, modificano o trasferiscono il diritto di usufrutto su beni immobili, il diritto di superficie, il diritto del concedente e dell'enfiteuta; 3) i contratti che costituiscono la comunione di diritti indicati dai numeri precedenti; 4) i contratti che costituiscono o modificano le servitù prediali, il diritto di uso su beni immobili e il diritto di abitazione; 5) gli atti di rinunzia ai diritti indicati dai numeri precedenti; 6) i contratti di affrancazione del fondo enfiteutico; 7) i contratti di anticresi; 8) i contratti di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni; 9) i contratti di società o di associazione con i quali si conferisce il godimento di beni immobili o di altri diritti reali immobiliari per un tempo eccedente i nove anni o per un tempo indeterminato; 10) gli atti che costituiscono rendite perpetue o vitalizie, salve le disposizioni relative alle rendite dello Stato; 11) gli atti di divisione di beni immobili e di altri diritti reali immobiliari; 12) le transazioni che hanno per oggetto controversie relative ai rapporti giuridici menzionati nei numeri precedenti; 13) gli altri atti specialmente indicati dalla legge.
Art. 1351.
(Contratto preliminare).
Il contratto preliminare è nullo, se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo.
Art. 1352.
(Forme convenzionali).
Se le parti hanno convenuto per iscritto di adottare una determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si presume che la forma sia stata voluta per la validità di questo.
Capo III.
Della condizione del contratto.
Art. 1353.
(Contratto condizionale).
Le parti possono subordinare l'efficacia o la risoluzione del contratto o di un singolo patto a un avvenimento futuro e incerto.
Art. 1354.
(Condizioni illecite o impossibili).
E` nullo il contratto al quale è apposta una condizione, sospensiva o risolutiva, contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume.
La condizione impossibile rende nullo il contratto se è sospensiva; se è risolutiva, si ha come non apposta.
Se la condizione illecita o impossibile è apposta a un patto singolo del contratto, si osservano, riguardo all'efficacia del patto, le disposizioni dei commi precedenti, fermo quanto è disposto dall'art. 1419.
Art. 1355.
(Condizione meramente potestativa).
E` nulla l'alienazione di un diritto o l'assunzione di un obbligo subordinata a una condizione sospensiva che la faccia dipendere dalla mera volontà dell'alienante o, rispettivamente, da quella del debitore.
Art. 1356.
(Pendenza della condizione).
In pendenza della condizione sospensiva l'acquirente di un diritto può compiere atti conservativi.
L'acquirente di un diritto sotto condizione risolutiva può, in pendenza di questa, esercitarlo, ma l'altro contraente può compiere atti conservativi.
Art. 1357.
(Atti di disposizione in pendenza della condizione).
Chi ha un diritto subordinato a condizione sospensiva o risolutiva può disporne in pendenza di questa; ma gli effetti di ogni atto di disposizione sono subordinati alla stessa condizione.
Art. 1358.
(Comportamento delle parti nello stato di pendenza).
Colui che si è obbligato o che ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva, ovvero lo ha acquistato sotto condizione risolutiva, deve, in pendenza della condizione, comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell'altra parte.
Art. 1359.
(Avveramento della condizione).
La condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all'avveramento di essa.
Art. 1360.
(Retroattività della condizione).
Gli effetti dell'avveramento della condizione retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il contratto, salvo che, per volontà delle parti o per la natura del rapporto, gli effetti del contratto o della risoluzione debbano essere riportati a un momento diverso.
Se però la condizione risolutiva è apposta a un contratto ad esecuzione continuata o periodica, l'avveramento di essa, in mancanza di patto contrario, non ha effetto riguardo alle prestazioni già eseguite.
Art. 1361.
(Atti di amministrazione).
L'avveramento della condizione non pregiudica la validità degli atti di amministrazione compiuti dalla parte a cui, in pendenza della condizione stessa, spettava l'esercizio del diritto.
Salvo diverse disposizioni di legge o diversa pattuizione, i frutti percepiti sono dovuti dal giorno in cui la condizione si è avverata.
Capo IV.
Dell'interpretazione del contratto.
Art. 1362.
(Intenzione dei contraenti).
Nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole.
Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto.
Art. 1363.
(Interpretazione complessiva delle clausole).
Le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell'atto.
Art. 1364.
(Espressioni generali).
Per quanto generali siano le espressioni usate nel contratto, questo non comprende che gli oggetti sui quali le parti si sono proposte di contrattare.
Art. 1365.
(Indicazioni esemplificative).
Quando in un contratto si è espresso un caso al fine di spiegare un patto, non si presumono esclusi i casi non espressi, ai quali, secondo ragione, può estendersi lo stesso patto.
Art. 1366.
(Interpretazione di buona fede).
Il contratto deve essere interpretato secondo buona fede.
Art. 1367.
(Conservazione del contratto).
Nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno.
Art. 1368.
(Pratiche generali interpretative).
Le clausole ambigue s'interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso.
Nei contratti in cui una delle parti è un imprenditore, le clausole ambigue s'interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui è la sede dell'impresa.
Art. 1369.
(Espressioni con più sensi).
Le espressioni che possono avere più sensi devono, nel dubbio, essere intese nel senso più conveniente alla natura e all'oggetto del contratto.
Art. 1370.
(Interpretazione contro l'autore della clausola).
Le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti s'interpretano, nel dubbio, a favore dell'altro.
Art. 1371.
(Regole finali).
Qualora, nonostante l'applicazione delle norme contenute in questo capo, il contratto rimanga oscuro, esso deve essere inteso nel senso meno gravoso per l'obbligato, se è a titolo gratuito, e nel senso che realizzi l'equo contemperamento degli interessi delle parti, se è a titolo oneroso.
La comune intenzione delle parti deve essere interpretata nel senso più conforme ai principî dell'ordine corporativo.
Capo V.
Degli effetti del contratto.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 1372.
(Efficacia del contratto).
Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge.
Il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge.
Art. 1373.
(Recesso unilaterale).
Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finchè il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione.
Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, tale facoltà può essere esercitata anche successivamente, ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione.
Qualora sia stata stipulata la prestazione di un corrispettivo per il recesso, questo ha effetto quando la prestazione è eseguita.
E` salvo in ogni caso il patto contrario.
Art. 1374.
(Integrazione del contratto).
Il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l'equità.
Art. 1375.
(Esecuzione di buona fede).
Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede.
Art. 1376.
(Contratto con effetti reali).
Nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato.
Art. 1377.
(Trasferimento di una massa di cose).
Quando oggetto del trasferimento è una determinata massa di cose, anche se omogenee, si applica la disposizione dell'articolo precedente, ancorchè, per determinati effetti, le cose debbano essere numerate, pesate o misurate.
Art. 1378.
(Trasferimento di cosa determinata solo nel genere).
Nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento di cose determinate solo nel genere, la proprietà si trasmette con l'individuazione fatta d'accordo tra le parti o nei modi da esse stabiliti. Trattandosi di cose che devono essere trasportate da un luogo a un altro, l'individuazione avviene anche mediante la consegna al vettore o allo spedizioniere.
Art. 1379.
(Divieto di alienazione).
Il divieto di alienare stabilito per contratto ha effetto solo tra le parti, e non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo e se non risponde a un apprezzabile interesse di una delle parti.
Art. 1380.
(Conflitto tra più diritti personali di godimento).
Se, con successivi contratti, una persona concede a diversi contraenti un diritto personale di godimento relativo alla stessa cosa, il godimento spetta al contraente che per primo lo ha conseguito.
Se nessuno dei contraenti ha conseguito il godimento, è preferito quello che ha il titolo di data certa anteriore.
Sono salve le norme relative agli effetti della trascrizione.
Art. 1381.
(Promessa dell'obbligazione o del fatto del terzo).
Colui che ha promesso l'obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto a indennizzare l'altro contraente, se il terzo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso.
Sezione II. -
Della clausola penale e della caparra.
Art. 1382.
(Effetti della clausola penale).
La clausola, con cui si conviene che, in caso d'inadempimento o di ritardo nell'adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l'effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore.
La penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno.
Art. 1383.
(Divieto di cumulo).
Il creditore non può domandare insieme la prestazione principale e la penale, se questa non è stata stipulata per il semplice ritardo.
Art. 1384.
(Riduzione della penale).
La penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l'obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l'ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento.
Art. 1385.
(Caparra confirmatoria).
Se al momento della conclusione del contratto una parte dà all'altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta.
Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.
Se però la parte che non è inadempiente preferisce domandare l'esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali.
Art. 1386.
(Caparra penitenziale).
Se nel contratto è stipulato il diritto di recesso per una o per entrambe le parti, la caparra ha la sola funzione di corrispettivo del recesso.
In questo caso, il recedente perde la caparra data o deve restituire il doppio di quella che ha ricevuta.
Capo VI.
Della rappresentanza.
Art. 1387.
(Fonti della rappresentanza).
Il potere di rappresentanza è conferito dalla legge ovvero dall'interessato.
Art. 1388.
(Contratto concluso dal rappresentante).
Il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell'interesse del rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato.
Art. 1389.
(Capacità del rappresentante e del rappresentato).
Quando la rappresentanza è conferita dall'interessato, per la validità del contratto concluso dal rappresentante basta che questi abbia la capacità di intendere e di volere, avuto riguardo alla natura e al contenuto del contratto stesso, sempre che sia legalmente capace il rappresentato.
In ogni caso, per la validità del contratto concluso dal rappresentante è necessario che il contratto non sia vietato al rappresentato.
Art. 1390.
(Vizi della volontà).
Il contratto è annullabile se è viziata la volontà del rappresentante. Quando però il vizio riguarda elementi predeterminati dal rappresentato, il contratto è annullabile solo se era viziata la volontà di questo.
Art. 1391.
(Stati soggettivi rilevanti).
Nei casi in cui è rilevante lo stato di buona o di mala fede, di scienza o d'ignoranza di determinate circostanze, si ha riguardo alla persona del rappresentante, salvo che si tratti di elementi predeterminati dal rappresentato.
In nessun caso il rappresentato che è in mala fede può giovarsi dello stato d'ignoranza o di buona fede del rappresentante.
Art. 1392.
(Forma della procura).
La procura non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere.
Art. 1393.
(Giustificazione dei poteri del rappresentante).
Il terzo che contratta col rappresentante può sempre esigere che questi giustifichi i suoi poteri e, se la rappresentanza risulta da un atto scritto, che gliene dia una copia da lui firmata.
Art. 1394.
(Conflitto d'interessi).
Il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d'interessi col rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo.
Art. 1395.
(Contratto con se stesso).
E` annullabile il contratto che il rappresentante conclude con se stesso, in proprio o come rappresentante di un'altra parte, a meno che il rappresentato lo abbia autorizzato specificatamente ovvero il contenuto del contratto sia determinato in modo da escludere la possibilità di conflitto d'interessi.
L'impugnazione può essere proposta soltanto dal rappresentato.
Art. 1396.
(Modificazione ed estinzione della procura).
Le modificazioni e la revoca della procura devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. In mancanza, esse non sono opponibili ai terzi, se non si prova che questi le conoscevano al momento della conclusione del contratto.
Le altre cause di estinzione del potere di rappresentanza conferito dall'interessato non sono opponibili ai terzi che le hanno senza colpa ignorate.
Art. 1397.
(Restituzione del documento della rappresentanza).
Il rappresentante è tenuto a restituire il documento dal quale risultano i suoi poteri, quando questi sono cessati.
Art. 1398.
(Rappresentanza senza potere).
Colui che ha contrattato come rappresentante senza averne i poteri o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli, è responsabile del danno che il terzo contraente ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nella validità del contratto.
Art. 1399.
(Ratifica).
Nell'ipotesi prevista dall'articolo precedente, il contratto può essere ratificato dall'interessato, con l'osservanza delle forme prescritte per la conclusione di esso.
La ratifica ha effetto retroattivo, ma sono salvi i diritti dei terzi.
Il terzo e colui che ha contrattato come rappresentante possono d'accordo sciogliere il contratto prima della ratifica.
Il terzo contraente può invitare l'interessato a pronunziarsi sulla ratifica assegnandogli un termine, scaduto il quale, nel silenzio, la ratifica s'intende negata.
La facoltà di ratifica si trasmette agli eredi.
Art. 1400.
(Speciali forme di rappresentanza).
Le speciali forme di rappresentanza nelle imprese agricole e commerciali sono regolate dal libro V.
Capo VII.
Del contratto per persona da nominare.
Art. 1401.
(Riserva di nomina del contraente).
Nel momento della conclusione del contratto una parte può riservarsi la facoltà di nominare successivamente la persona che deve acquistare i diritti e assumere gli obblighi nascenti dal contratto stesso.
Art. 1402.
(Termine e modalità della dichiarazione di nomina).
La dichiarazione di nomina deve essere comunicata all'altra parte nel termine di tre giorni dalla stipulazione del contratto, se le parti non hanno stabilito un termine diverso.
La dichiarazione non ha effetto se non è accompagnata dall'accettazione della persona nominata o se non esiste una procura anteriore al contratto.
Art. 1403.
(Forme e pubblicità).
La dichiarazione di nomina e la procura o l'accettazione della persona nominata non hanno effetto se non rivestono la stessa forma che le parti hanno usata per il contratto, anche se non prescritta dalla legge.
Se per il contratto è richiesta a determinati effetti una forma di pubblicità, deve agli stessi effetti essere resa pubblica anche la dichiarazione di nomina, con l'indicazione dell'atto di procura o dell'accettazione della persona nominata.
Art. 1404.
(Effetti della dichiarazione di nomina).
Quando la dichiarazione di nomina è stata validamente fatta, la persona nominata acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dal contratto con effetto dal momento in cui questo fu stipulato.
Art. 1405.
(Effetti della mancata dichiarazione di nomina).
Se la dichiarazione di nomina non è fatta validamente nel termine stabilito dalla legge o dalle parti, il contratto produce i suoi effetti fra i contraenti originari.
Capo VIII.
Della cessione del contratto.
Art. 1406.
(Nozione).
Ciascuna parte può sostituire a sè un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purchè l'altra parte vi consenta.
Art. 1407.
(Forma).
Se una parte ha consentito preventivamente che l'altra sostituisca a sè un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, la sostituzione è efficace nei suoi confronti dal momento in cui le è stata notificata o in cui essa l'ha accettata.
Se tutti gli elementi del contratto risultano da un documento nel quale è inserita la clausola «all'ordine» o altra equivalente, la girata del documento produce la sostituzione del giratario nella posizione del girante.
Art. 1408.
(Rapporti fra contraente ceduto e cedente).
Il cedente è liberato dalle sue obbligazioni verso il contraente ceduto dal momento in cui la sostituzione diviene efficace nei confronti di questo.
Tuttavia il contraente ceduto, se ha dichiarato di non liberare il cedente, può agire contro di lui qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte.
Nel caso previsto dal comma precedente, il contraente ceduto deve dare notizia al cedente dell'inadempimento del cessionario, entro quindici giorni da quello in cui l'inadempimento si è verificato; in mancanza è tenuto al risarcimento del danno.
Art. 1409.
(Rapporti fra contraente ceduto e cessionario).
Il contraente ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto, ma non quelle fondate su altri rapporti col cedente, salvo che ne abbia fatto espressa riserva al momento in cui ha consentito alla sostituzione.
Art. 1410.
(Rapporti fra cedente e cessionario).
Il cedente è tenuto a garantire la validità del contratto.
Se il cedente assume la garanzia dell'adempimento del contratto, egli risponde come un fideiussore per le obbligazioni del contraente ceduto.
Capo IX.
Del contratto a favore di terzi.
Art. 1411.
(Contratto a favore di terzi).
E` valida la stipulazione a favore di un terzo, qualora lo stipulante vi abbia interesse.
Salvo patto contrario, il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della stipulazione.
Questa però può essere revocata o modificata dallo stipulante, finchè il terzo non abbia dichiarato, anche in confronto del promittente, di volerne profittare.
In caso di revoca della stipulazione o di rifiuto del terzo di profittarne, la prestazione rimane a beneficio dello stipulante, salvo che diversamente risulti dalla volontà delle parti o dalla natura del contratto.
Art. 1412.
(Prestazione al terzo dopo la morte dello stipulante).
Se la prestazione deve essere fatta al terzo dopo la morte dello stipulante, questi può revocare il beneficio anche con una disposizione testamentaria e quantunque il terzo abbia dichiarato di volerne profittare, salvo che, in quest'ultimo caso, lo stipulante abbia rinunciato per iscritto al potere di revoca.
La prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questi premuore allo stipulante, purchè il beneficio non sia stato revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente.
Art. 1413.
(Eccezioni opponibili dal promittente al terzo).
Il promittente può opporre al terzo le eccezioni fondate sul contratto dal quale il terzo deriva il suo diritto, ma non quelle fondate su altri rapporti tra promittente e stipulante.
Capo X.
Della simulazione.
Art. 1414.
(Effetti della simulazione tra le parti).
Il contratto simulato non produce effetto tra le parti.
Se le parti hanno voluto concludere un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto dissimulato, purchè ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma.
Le precedenti disposizioni si applicano anche agli atti unilaterali destinati a una persona determinata, che siano simulati per accordo tra il dichiarante e il destinatario.
Art. 1415.
(Effetti della simulazione rispetto ai terzi).
La simulazione non può essere opposta nè dalle parti contraenti, nè dagli aventi causa o dai creditori del simulato alienante, ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione.
I terzi possono far valere la simulazione in confronto delle parti, quando essa pregiudica i loro diritti.
Art. 1416.
(Rapporti con i creditori).
La simulazione non può essere opposta dai contraenti ai creditori del titolare apparente che in buona fede hanno compiuto atti di esecuzione sui beni che furono oggetto del contratto simulato.
I creditori del simulato alienante possono far valere la simulazione che pregiudica i loro diritti, e, nel conflitto con i creditori chirografari del simulato acquirente, sono preferiti a questi, se il loro credito è anteriore all'atto simulato.
Art. 1417.
(Prova della simulazione).
La prova per testimoni della simulazione è ammissibile senza limiti, se la domanda è proposta da creditori o da terzi e, qualora sia diretta a far valere l'illiceità del contratto dissimulato, anche se è proposta dalle parti.
Capo XI.
Della nullità del contratto.
Art. 1418.
(Cause di nullità del contratto).
Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente.
Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'art. 1325, l'illiceità della causa, l'illiceità dei motivi nel caso indicato dall'art. 1845 e la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'art. 1846.
Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge.
Art. 1419.
(Nullità parziale).
La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità.
La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative.
Art. 1420.
(Nullità nel contratto plurilaterale).
Nei contratti con più di due parti, in cui le prestazioni di ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune, la nullità che colpisce il vincolo di una sola delle parti non importa nullità del contratto, salvo che la partecipazione di essa debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale.
Art. 1421.
(Legittimazione all'azione di nullità).
Salvo diverse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d'ufficio dal giudice.
Art. 1422.
(Imprescrittibilità dell'azione di nullità).
L'azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti dell'usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione.
Art. 1423.
(Inammissibilità della convalida).
Il contratto nullo non può essere convalidato, se la legge non dispone diversamente.
Art. 1424.
(Conversione del contratto nullo).
Il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità.
Capo XII.
Dell'annullabilità del contratto.
Sezione I. -
Dell'incapacità.
Art. 1425.
(Incapacità delle parti).
Il contratto è annullabile se una delle parti era legalmente incapace di contrattare.
E` parimenti annullabile, quando ricorrono le condizioni stabilite dall'art. 428, il contratto stipulato da persona incapace d'intendere o di volere.
Art. 1426.
(Raggiri usati dal minore).
Il contratto non è annullabile, se il minore ha con raggiri occultato la sua minore età; ma la semplice dichiarazione da lui fatta di essere maggiorenne non è di ostacolo all'impugnazione del contratto.
Sezione II. -
Dei vizi del consenso.
Art. 1427.
(Errore, violenza e dolo).
Il contraente, il cui consenso fu dato per errore, estorto con violenza o carpito con dolo, può chiedere l'annullamento del contratto secondo le disposizioni seguenti.
Art. 1428.
(Rilevanza dell'errore).
L'errore è causa di annullamento del contratto quando è essenziale ed è riconoscibile dall'altro contraente.
Art. 1429.
(Errore essenziale).
L'errore è essenziale: 1) quando cade sulla natura o sull'oggetto del contratto; 2) quando cade sull'identità dell'oggetto della prestazione ovvero sopra una qualità dello stesso che, secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze, deve ritenersi determinante del consenso; 3) quando cade sull'identità o sulle qualità della persona dell'altro contraente, sempre che l'una o le altre siano state determinanti del consenso; 4) quando, trattandosi di errore di diritto, è stato la ragione unica o principale del contratto.
Art. 1430.
(Errore di calcolo).
L'errore di calcolo non dà luogo ad annullamento del contratto, ma solo a rettifica, tranne che, concretandosi in errore sulla quantità, sia stato determinante del consenso.
Art. 1431.
(Errore riconoscibile).
L'errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo.
Art. 1432.
(Mantenimento del contratto rettificato).
La parte in errore non può domandare l'annullamento del contratto se, prima che ad essa possa derivarne pregiudizio, l'altra offre di eseguirlo in modo conforme al contenuto e alle modalità del contratto che quella intendeva concludere.
Art. 1433.
(Errore nella dichiarazione o nella sua trasmissione).
Le disposizioni degli articoli precedenti si applicano anche al caso in cui l'errore cade sulla dichiarazione, o in cui la dichiarazione è stata inesattamente trasmessa dalla persona o dall'ufficio che ne era stato incaricato.
Art. 1434.
(Violenza).
La violenza è causa di annullamento del contratto, anche se esercitata da un terzo.
Art. 1435.
(Caratteri della violenza).
La violenza deve essere di tal natura da fare impressione sopra una persona sensata e da farle temere di esporre sè o i suoi beni a un male ingiusto e notevole. Si ha riguardo, in questa materia, all'età, al sesso e alla condizione delle persone.
Art. 1436.
(Violenza diretta contro terzi).
La violenza è causa di annullamento del contratto anche quando il male minacciato riguarda la persona o i beni del coniuge del contraente o di un discendente o ascendente di lui.
Se il male minacciato riguarda altre persone, l'annullamento del contratto è rimesso alla prudente valutazione delle circostanze da parte del giudice.
Art. 1437.
(Timore riverenziale).
Il solo timore riverenziale non è causa di annullamento del contratto.
Art. 1438.
(Minaccia di far valere un diritto).
La minaccia di far valere un diritto può essere causa di annullamento del contratto solo quando è diretta a conseguire vantaggi ingiusti.
Art. 1439.
(Dolo).
Il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe contrattato.
Quando i raggiri sono stati usati da un terzo, il contratto è annullabile se essi erano noti al contraente che ne ha tratto vantaggio.
Art. 1440.
(Dolo incidente).
Se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benchè senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse; ma il contraente in mala fede risponde dei danni.
Sezione III. -
Dell'azione di annullamento.
Art. 1441.
(Legittimazione).
L'annullamento del contratto può essere domandato solo dalla parte nel cui interesse è stabilito dalla legge.
L'incapacità del condannato in istato di interdizione legale può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse.
Art. 1442.
(Prescrizione).
L'azione di annullamento si prescrive in cinque anni.
Quando l'annullabilità dipende da vizio del consenso o da incapacità legale, il termine decorre dal giorno in cui è cessata la violenza, è stato scoperto l'errore o il dolo, è cessato lo stato d'interdizione o d'inabilitazione, ovvero il minore ha raggiunto la maggiore età.
Negli altri casi il termine decorre dal giorno della conclusione del contratto.
L'annullabilità può essere opposta dalla parte convenuta per l'esecuzione del contratto, anche se è prescritta l'azione per farla valere.
Art. 1443.
(Ripetizione contro il contraente incapace).
Se il contratto è annullato per incapacità di uno dei contraenti, questi non è tenuto a restituire all'altro la prestazione ricevuta se non nei limiti in cui è stata rivolta a suo vantaggio.
Art. 1444.
(Convalida).
Il contratto annullabile può essere convalidato dal contraente al quale spetta l'azione di annullamento, mediante un atto che contenga la menzione del contratto e del motivo di annullabilità, e la dichiarazione che s'intende convalidarlo.
Il contratto è pure convalidato, se il contraente al quale spettava l'azione di annullamento vi ha dato volontariamente esecuzione conoscendo il motivo di annullabilità.
La convalida non ha effetto, se chi l'esegue non è in condizione di concludere validamente il contratto.
Art. 1445.
(Effetti dell'annullamento nei confronti dei terzi).
L'annullamento che non dipende da incapacità legale non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento.
Art. 1446.
(Annullabilità nel contratto plurilaterale).
Nei contratti indicati dall'art. 1420 l'annullabilità che riguarda il vincolo di una sola delle parti non importa annullamento del contratto, salvo che la partecipazione di questa debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale.
Capo XIII.
Della rescissione del contratto.
Art. 1447.
(Contratto concluso in istato di pericolo).
Il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique, per la necessità, nota alla controparte, di salvare sè o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, può essere rescisso sulla domanda della parte che si è obbligata.
Il giudice nel pronunciare la rescissione, può, secondo le circostanze, assegnare un equo compenso all'altra parte per l'opera prestata.
Art. 1448.
(Azione generale di rescissione per lesione).
Se vi è sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell'altra, e la sproporzione è dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l'altra ha approfittato per trarne vantaggio, la parte danneggiata può domandare la rescissione del contratto.
L'azione non è ammissibile se la lesione non eccede la metà del valore che la prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto.
La lesione deve perdurare fino al tempo in cui la domanda è proposta.
Non possono essere rescissi per causa di lesione i contratti aleatori.
Sono salve le disposizioni relative alla rescissione della divisione.
Art. 1449.
(Prescrizione).
L'azione di rescissione si prescrive in un anno dalla conclusione del contratto; ma se il fatto costituisce reato, si applica l'ultimo comma dell'art. 2947.
La rescindibilità del contratto non può essere opposta in via di eccezione quando l'azione è prescritta.
Art. 1450.
(Offerta di modificazione del contratto).
Il contraente contro il quale è domandata la rescissione può evitarla offrendo una modificazione del contratto sufficiente per ricondurlo ad equità.
Art. 1451.
(Inammissibilità della convalida).
Il contratto rescindibile non può essere convalidato.
Art. 1452.
(Effetti della rescissione rispetto ai terzi).
La rescissione del contratto non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di rescissione.
Capo XIV.
Della risoluzione del contratto.
Sezione I. -
Della risoluzione per inadempimento.
Art. 1453.
(Risolubilità del contratto per inadempimento).
Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.
La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l'adempimento; ma non può più chiedersi l'adempimento quando è stata domandata la risoluzione.
Dalla data della domanda di risoluzione l'inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione.
Art. 1454.
(Diffida ad adempiere).
Alla parte inadempiente l'altra può intimare per iscritto di adempiere in un congruo termine, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s'intenderà senz'altro risoluto.
Il termine non può essere inferiore a quindici giorni, salvo diversa pattuizione delle parti o salvo che, per la natura del contratto o secondo gli usi, risulti congruo un termine minore.
Decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo è risoluto di diritto.
Art. 1455.
(Importanza dell'inadempimento).
Il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra.
Art. 1456.
(Clausola risolutiva espressa).
I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite.
In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all'altra che intende valersi della clausola risolutiva.
Art. 1457.
(Termine essenziale per una delle parti).
Se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell'interesse dell'altra, questa, salvo patto o uso contrario, se vuole esigerne l'esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all'altra parte entro tre giorni.
In mancanza, il contratto s'intende risoluto di diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione.
Art. 1458.
(Effetti della risoluzione).
La risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l'effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite.
La risoluzione, anche se è stata espressamente pattuita, non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione.
Art. 1459.
(Risoluzione nel contratto plurilaterale).
Nei contratti indicati dall'art. 1420 l'inadempimento di una delle parti non importa la risoluzione del contratto rispetto alle altre, salvo che la prestazione mancata debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale.
Art. 1460.
(Eccezione d'inadempimento).
Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto.
Tuttavia non può rifiutarsi l'esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede.
Art. 1461.
(Mutamento nelle condizioni patrimoniali dei contraenti).
Ciascun contraente può sospendere l'esecuzione della prestazione da lui dovuta, se le condizioni patrimoniali dell'altro sono divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione, salvo che sia prestata idonea garanzia.
Art. 1462.
(Clausola limitativa della proponibilità di eccezioni).
La clausola con cui si stabilisce che una delle parti non può opporre eccezioni al fine di evitare o ritardare la prestazione dovuta, non ha effetto per le eccezioni di nullità, di annullabilità e di rescissione del contratto.
Nei casi in cui la clausola è efficace, il giudice, se riconosce che concorrono gravi motivi, può tuttavia sospendere la condanna, imponendo, se del caso, una cauzione.
Sezione II. -
Dell'impossibilità sopravvenuta.
Art. 1463.
(Impossibilità totale).
Nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell'indebito.
Art. 1464.
(Impossibilità parziale).
Quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l'altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale.
Art. 1465.
(Contratto con effetti traslativi o costitutivi).
Nei contratti che trasferiscono la proprietà di una cosa determinata ovvero costituiscono o trasferiscono diritti reali, il perimento della cosa per una causa non imputabile all'alienante non libera l'acquirente dall'obbligo di eseguire la controprestazione, ancorchè la cosa non gli sia stata consegnata.
La stessa disposizione si applica nel caso in cui l'effetto traslativo o costitutivo sia differito fino allo scadere di un termine.
Qualora oggetto del trasferimento sia una cosa determinata solo nel genere, l'acquirente non è liberato dall'obbligo di eseguire la controprestazione, se l'alienante ha fatto la consegna o se la cosa è stata individuata.
L'acquirente è in ogni caso liberato dalla sua obbligazione, se il trasferimento era sottoposto a condizione sospensiva e l'impossibilità è sopravvenuta prima che si verifichi la condizione.
Art. 1466.
(Impossibilità nel contratto plurilaterale).
Nei contratti indicati dall'art. 1420 l'impossibilità della prestazione di una delle parti non importa scioglimento del contratto rispetto alle altre, salvo che la prestazione mancata debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale.
Sezione III. -
Dell'eccessiva onerosità.
Art. 1467.
(Contratto con prestazioni corrispettive).
Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall'art. 1458.
La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell'alea normale del contratto.
La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.
Art. 1468.
(Contratto con obbligazioni di una sola parte).
Nell'ipotesi prevista dall'articolo precedente, se si tratta di un contratto nel quale una sola delle parti ha assunto obbligazioni, questa può chiedere una riduzione della sua prestazione ovvero una modificazione nelle modalità di esecuzione, sufficienti per ricondurla ad equità.
Art. 1469.
(Contratto aleatorio).
Le norme degli articoli precedenti non si applicano ai contratti aleatori per loro natura o per volontà delle parti.
Titolo III.
Dei singoli contratti
Capo I.
Della vendita.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 1470.
(Nozione).
La vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo.
Art. 1471.
(Divieti speciali di comprare).
Non possono essere compratori nemmeno all'asta pubblica, nè direttamente nè per interposta persona: 1) gli amministratori dei beni dello Stato, dei comuni, delle provincie o degli altri enti pubblici, rispetto ai beni affidati alla loro cura; 2) gli ufficiali pubblici, rispetto ai beni che sono venduti per loro ministero; 3) coloro che per legge o per atto della pubblica autorità amministrano beni altrui, rispetto ai beni medesimi; 4) i mandatari, rispetto ai beni che sono stati incaricati di vendere, salvo il disposto dell'art. 1395.
Nei primi due casi l'acquisto è nullo; negli altri è annullabile.
Art. 1472.
(Vendita di cose future).
Nella vendita che ha per oggetto una cosa futura, l'acquisto della proprietà si verifica non appena la cosa viene ad esistenza. Se oggetto della vendita sono gli alberi o i frutti di un fondo, la proprietà si acquista quando gli alberi sono tagliati o i frutti sono separati.
Qualora le parti non abbiano voluto concludere un contratto aleatorio, la vendita è nulla, se la cosa non viene ad esistenza.
Art. 1473.
(Determinazione del prezzo affidata a un terzo).
Le parti possono affidare la determinazione del prezzo a un terzo, eletto nel contratto o da eleggere posteriormente.
Se il terzo non vuole o non può accettare l'incarico, ovvero le parti non si accordano per la sua nomina o per la sua sostituzione, la nomina, su richiesta di una delle parti, è fatta dal presidente del tribunale del luogo in cui è stato concluso il contratto.
Art. 1474.
(Mancanza di determinazione espressa del prezzo).
Se il contratto ha per oggetto cose che il venditore vende abitualmente e le parti non hanno determinato il prezzo, nè hanno convenuto il modo di determinarlo, nè esso è stabilito per atto della pubblica autorità o da norme corporative, si presume che le parti abbiano voluto riferirsi al prezzo normalmente praticato dal venditore.
Se si tratta di cose aventi un prezzo di borsa o di mercato, il prezzo si desume dai listini o dalle mercuriali del luogo in cui deve essere eseguita la consegna, o da quelli della piazza più vicina.
Qualora le parti abbiano inteso riferirsi al giusto prezzo, si applicano le disposizioni dei commi precedenti; e, quando non ricorrono i casi da essi previsti, il prezzo, in mancanza di accordo, è determinato da un terzo, nominato a norma del secondo comma dell'articolo precedente.
Art. 1475.
(Spese della vendita).
Le spese del contratto di vendita e le altre accessorie sono a carico del compratore, se non è stato pattuito diversamente.
§ 1. -
Delle obbligazioni del venditore.
Art. 1476.
(Obbligazioni principali del venditore).
Le obbligazioni principali del venditore sono: 1) quella di consegnare la cosa al compratore; 2) quella di fargli acquistare la proprietà della cosa o il diritto, se l'acquisto non è effetto immediato del contratto; 3) quella di garantire il compratore dall'evizione e dai vizi della cosa.
Art. 1477.
(Consegna della cosa).
La cosa deve essere consegnata nello stato in cui si trovava al momento della vendita.
Salvo diversa volontà delle parti, la cosa deve essere consegnata insieme con gli accessori, le pertinenze e i frutti dal giorno della vendita.
Il venditore deve pure consegnare i titoli e i documenti relativi alla proprietà e all'uso della cosa venduta.
Art. 1478.
(Vendita di cosa altrui).
Se al momento del contratto la cosa venduta non era di proprietà del venditore, questi è obbligato a procurarne l'acquisto al compratore.
Il compratore diventa proprietario nel momento in cui il venditore acquista la proprietà dal titolare di essa.
Art. 1479.
(Buona fede del compratore).
Il compratore può chiedere la risoluzione del contratto, se, quando l'ha concluso, ignorava che la cosa non era di proprietà del venditore, e se frattanto il venditore non gliene ha fatto acquistare la proprietà.
Salvo il disposto dell'art. 1223, il venditore è tenuto a restituire all'acquirente il prezzo pagato, anche se la cosa è diminuita di valore o è deteriorata; deve inoltre rimborsargli le spese e i pagamenti legittimamente fatti per il contratto. Se la diminuzione di valore o il deterioramento derivano da un fatto del compratore, dall'ammontare suddetto si deve detrarre l'utile che il compratore ne ha ricavato.
Il venditore è inoltre tenuto a rimborsare al compratore le spese necessarie e utili fatte per la cosa, e, se era in mala fede, anche quelle voluttuarie.
Art. 1480.
(Vendita di cosa parzialmente di altri).
Se la cosa che il compratore riteneva di proprietà del venditore era solo in parte di proprietà altrui, il compratore può chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno a norma dell'articolo precedente, quando deve ritenersi, secondo le circostanze, che non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte di cui non è divenuto proprietario; altrimenti può solo ottenere una riduzione del prezzo, oltre al risarcimento del danno.
Art. 1481.
(Pericolo di rivendica).
Il compratore può sospendere il pagamento del prezzo, quando ha ragione di temere che la cosa o una parte di essa possa essere rivendicata da terzi, salvo che il venditore presti idonea garanzia.
Il pagamento non può essere sospeso se il pericolo era noto al compratore al tempo della vendita.
Art. 1482.
(Cosa gravata da garanzie reali o da altri vincoli).
Il compratore può altresì sospendere il pagamento del prezzo, se la cosa venduta risulta gravata da garanzie reali o da vincoli derivanti da pignoramento o da sequestro, non dichiarati dal venditore e dal compratore stesso ignorati.
Egli può inoltre far fissare dal giudice un termine, alla scadenza del quale, se la cosa non è liberata, il contratto è risoluto con obbligo del venditore di risarcire il danno ai sensi dell'art. 1479.
Se l'esistenza delle garanzie reali o dei vincoli sopra indicati era nota al compratore, questi non può chiedere la risoluzione del contratto, e il venditore è tenuto verso di lui solo per il caso di evizione.
Art. 1483.
(Evizione totale della cosa).
Se il compratore subisce l'evizione totale della cosa per effetto di diritti che un terzo ha fatti valere su di essa, il venditore è tenuto a risarcirlo del danno a norma dell'art. 1479.
Egli deve inoltre corrispondere al compratore il valore dei frutti che questi sia tenuto a restituire a colui dal quale è evitto, le spese che egli abbia fatte per la denunzia della lite e quelle che abbia dovuto rimborsare all'attore.
Art. 1484.
(Evizione parziale).
In caso di evizione parziale della cosa, si osservano le disposizioni dell'art. 1480 e quella del secondo comma dell'articolo precedente.
Art. 1485.
(Chiamata in causa del venditore).
Il compratore convenuto da un terzo che pretende di avere diritti sulla cosa venduta, deve chiamare in causa il venditore. Qualora non lo faccia e sia condannato con sentenza passata in giudicato, perde il diritto alla garanzia, se il venditore prova che esistevano ragioni sufficienti per far respingere la domanda.
Il compratore che ha spontaneamente riconosciuto il diritto del terzo perde il diritto alla garanzia, se non prova che non esistevano ragioni sufficienti per impedire l'evizione.
Art. 1486.
(Responsabilità limitata del venditore).
Se il compratore ha evitato l'evizione della cosa mediante il pagamento di una somma di danaro, il venditore può liberarsi da tutte le conseguenze della garanzia col rimborso della somma pagata, degli interessi e di tutte le spese.
Art. 1487.
(Modificazione o esclusione convenzionale della garanzia).
I contraenti possono aumentare o diminuire gli effetti della garanzia e possono altresì pattuire che il venditore non sia soggetto a garanzia alcuna.
Quantunque sia pattuita l'esclusione della garanzia, il venditore è sempre tenuto per l'evizione derivante da un fatto suo proprio. E` nullo ogni patto contrario.
Art. 1488.
(Effetti dell'esclusione della garanzia).
Quando è esclusa la garanzia, non si applicano le disposizioni degli articoli 1479 e 1480; se si verifica l'evizione, il compratore può pretendere dal venditore soltanto la restituzione del prezzo pagato e il rimborso delle spese.
Il venditore è esente anche da quest'obbligo quando la vendita è stata convenuta a rischio e pericolo del compratore.
Art. 1489.
(Cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi).
Se la cosa venduta è gravata da oneri o da diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e non sono stati dichiarati nel contratto, il compratore che non ne abbia avuto conoscenza può domandare la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo secondo la disposizione dell'art. 1480.
Si osservano inoltre, in quanto applicabili, le disposizioni degli articoli 1481, 1485, 1486, 1487 e 1488.
Art. 1490.
(Garanzia per i vizi della cosa venduta).
Il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore.
Il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto, se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa.
Art. 1491.
(Esclusione della garanzia).
Non è dovuta la garanzia se al momento del contratto il compratore conosceva i vizi della cosa; parimenti non è dovuta, se i vizi erano facilmente riconoscibili, salvo, in questo caso, che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi.
Art. 1492.
(Effetti della garanzia).
Nei casi indicati dall'art. 1490 il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione.
La scelta è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale.
Se la cosa consegnata è perita in conseguenza dei vizi, il compratore ha diritto alla risoluzione del contratto; se invece è perita per caso fortuito o per colpa del compratore, o se questi l'ha alienata o trasformata, egli non può domandare che la riduzione del prezzo.
Art. 1493.
(Effetti della risoluzione del contratto).
In caso di risoluzione del contratto il venditore deve restituire il prezzo e rimborsare al compratore le spese e i pagamenti legittimamente fatti per la vendita.
Il compratore deve restituire la cosa, se questa non è perita in conseguenza dei vizi.
Art. 1494.
(Risarcimento del danno).
In ogni caso il venditore è tenuto verso il compratore al risarcimento del danno, se non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa.
Il venditore deve altresì risarcire al compratore i danni derivati dai vizi della cosa.
Art. 1495.
(Termini e condizioni per l'azione).
Il compratore decade dal diritto alla garanzia, se non denunzia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta, salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge.
La denunzia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l'esistenza del vizio o l'ha occultato.
L'azione si prescrive, in ogni caso, in un anno dalla consegna; ma il compratore, che sia convenuto per l'esecuzione del contratto, può sempre far valere la garanzia, purchè il vizio della cosa sia stato denunziato entro otto giorni dalla scoperta e prima del decorso dell'anno dalla consegna.
Art. 1496.
(Vendita di animali).
Nella vendita di animali la garanzia per i vizi è regolata dalle leggi speciali o, in mancanza, dagli usi locali. Se neppure questi dispongono, si osservano le norme che precedono.
Art. 1497.
(Mancanza di qualità).
Quando la cosa venduta non ha le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l'uso a cui è destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento, purchè il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi.
Tuttavia il diritto di ottenere la risoluzione è soggetto alla decadenza e alla prescrizione stabilite dall'art. 1495.
§ 2. -
Delle obbligazioni del compratore.
Art. 1498.
(Pagamento del prezzo).
Il compratore è tenuto a pagare il prezzo nel termine e nel luogo fissati dal contratto.
In mancanza di pattuizione e salvi gli usi diversi, il pagamento deve avvenire al momento della consegna e nel luogo dove questa si esegue.
Se il prezzo non si deve pagare al momento della consegna, il pagamento si fa al domicilio del venditore.
Art. 1499.
(Interessi compensativi sul prezzo).
Salvo diversa pattuizione, qualora la cosa venduta e consegnata al compratore produca frutti o altri proventi, decorrono gli interessi sul prezzo, anche se questo non è ancora esigibile.
§ 3. -
Del riscatto convenzionale.
Art. 1500.
(Patto di riscatto).
Il venditore può riservarsi il diritto di riavere la proprietà della cosa venduta mediante la restituzione del prezzo e i rimborsi stabiliti dalle disposizioni che seguono.
Il patto di restituire un prezzo superiore a quello stipulato per la vendita è nullo per l'eccedenza.
Art. 1501.
(Termini).
Il termine per il riscatto non può essere maggiore di due anni nella vendita di beni mobili e di cinque anni in quella di beni immobili. Se le parti stabiliscono un termine maggiore, esso si riduce a quello legale.
Il termine stabilito dalla legge è perentorio e non si può prorogare.
Art. 1502.
(Obblighi del riscattante).
Il venditore che esercita il diritto di riscatto è tenuto a rimborsare al compratore il prezzo, le spese e ogni altro pagamento legittimamente fatto per la vendita, le spese per le riparazioni necessarie e, nei limiti dell'aumento, quelle che hanno aumentato il valore della cosa.
Fino al rimborso delle spese necessarie e utili, il compratore ha diritto di ritenere la cosa. Il giudice tuttavia, per il rimborso delle spese utili, può accordare una dilazione disponendo, se occorrono, le opportune cautele.
Art. 1503.
(Esercizio del riscatto).
Il venditore decade dal diritto di riscatto, se entro il termine fissato non comunica al compratore la dichiarazione di riscatto e non gli corrisponde le somme liquide dovute per il rimborso del prezzo, delle spese e di ogni altro pagamento legittimamente fatto per la vendita.
Se il compratore rifiuta di ricevere il pagamento di tali rimborsi, il venditore decade dal diritto di riscatto, qualora non ne faccia offerta reale entro otto giorni dalla scadenza del termine.
Nella vendita di beni immobili la dichiarazione di riscatto deve essere fatta per iscritto, sotto pena di nullità.
Art. 1504.
(Effetti del riscatto rispetto ai subacquirenti).
Il venditore che ha legittimamente esercitato il diritto di riscatto nei confronti del compratore può ottenere il rilascio della cosa anche dai successivi acquirenti, purchè il patto sia ad essi opponibile.
Se l'alienazione è stata notificata al venditore, il riscatto deve essere esercitato in confronto del terzo acquirente.
Art. 1505.
(Diritti costituiti dal compratore sulla cosa).
Il venditore che ha esercitato il diritto di riscatto riprende la cosa esente dai pesi e dalle ipoteche da cui sia stata gravata; ma è tenuto a mantenere le locazioni fatte senza frode, purchè abbiano data certa e siano state convenute per un tempo non superiore ai tre anni.
Art. 1506.
(Riscatto di parte indivisa).
In caso di vendita con patto di riscatto di una parte indivisa di una cosa, il comproprietario che chiede la divisione deve proporre la domanda anche in confronto del venditore.
Se la cosa non è comodamente divisibile e si fa luogo all'incanto, il venditore che non ha esercitato il riscatto anteriormente all'aggiudicazione decade da tale diritto, anche se aggiudicatario sia lo stesso compratore.
Art. 1507.
(Vendita congiuntiva di cosa indivisa).
Se più persone hanno venduto congiuntamente, mediante un solo contratto, una cosa indivisa, ciascuna può esercitare il diritto di riscatto solo sopra la quota che le spettava.
La medesima disposizione si osserva se il venditore ha lasciato più eredi.
Il compratore, nei casi sopra espressi, può esigere che tutti i venditori o tutti i coeredi esercitino congiuntamente il diritto di riscatto dell'intera cosa; se essi non si accordano, il riscatto può esercitarsi soltanto da parte di colui o di coloro che offrono di riscattare la cosa per intero.
Art. 1508.
(Vendita separata di cosa indivisa).
Se i comproprietari di una cosa non l'hanno venduta congiuntamente e per intero, ma ciascuno ha venduto la sola sua quota, essi possono separatamente esercitare il diritto di riscatto sopra la quota che loro spettava, e il compratore non può valersi della facoltà prevista dall'ultimo comma dell'articolo precedente.
Art. 1509.
(Riscatto contro gli eredi del compratore).
Qualora il compratore abbia lasciato più eredi, il diritto di riscatto si può esercitare contro ciascuno di essi solo per la parte che gli spetta, anche quando la cosa venduta è tuttora indivisa.
Se l'eredità è stata divisa e la cosa venduta è stata assegnata a uno degli eredi, il diritto di riscatto non può esercitarsi contro di lui che per la totalità.
Sezione II. -
Della vendita delle cose mobili.
§ 1. -
Disposizioni generali.
Art. 1510.
(Luogo della consegna).
In mancanza di patto o di uso contrario, la consegna della cosa deve avvenire nel luogo dove questa si trovava al tempo della vendita, se le parti ne erano a conoscenza, ovvero nel luogo dove il venditore aveva il suo domicilio o la sede dell'impresa.
Salvo patto o uso contrario, se la cosa venduta deve essere trasportata da un luogo all'altro, il venditore si libera dall'obbligo della consegna rimettendo la cosa al vettore o allo spedizioniere; le spese del trasporto sono a carico del compratore.
Art. 1511.
(Denunzia nella vendita di cose da trasportare).
Nella vendita di cose da trasportare da un luogo a un altro, il termine per la denunzia dei vizi e dei difetti di qualità apparenti decorre dal giorno del ricevimento.
Art. 1512.
(Garanzia di buon funzionamento).
Se il venditore ha garantito per un tempo determinato il buon funzionamento della cosa venduta, il compratore, salvo patto contrario, deve denunziare al venditore il difetto di funzionamento entro trenta giorni dalla scoperta, sotto pena di decadenza. L'azione si prescrive in sei mesi dalla scoperta.
Il giudice, secondo le circostanze, può assegnare al venditore un termine per sostituire o riparare la cosa in modo da assicurarne il buon funzionamento, salvo il risarcimento dei danni.
Sono salvi gli usi i quali stabiliscono che la garanzia di buon funzionamento è dovuta anche in mancanza di patto espresso.
Art. 1513.
(Accertamento dei difetti).
In caso di divergenza sulla qualità o condizione della cosa, il venditore o il compratore possono chiederne la verifica nei modi stabiliti dall'art. 696 del codice di procedura civile. Il giudice, su istanza della parte interessata, può ordinare il deposito o il sequestro della cosa stessa, nonchè la vendita per conto di chi spetta, determinandone le condizioni.
La parte che non ha chiesto la verifica della cosa, deve, in caso di contestazione, provarne rigorosamente l'identità e lo stato.
Art. 1514.
(Deposito della cosa venduta).
Se il compratore non si presenta per ricevere la cosa acquistata, il venditore può depositarla, per conto e a spese del compratore medesimo, in un locale di pubblico deposito, oppure in altro locale idoneo determinato dal pretore del luogo in cui la consegna doveva essere fatta.
Il venditore deve dare al compratore pronta notizia del deposito eseguito.
Art. 1515.
(Esecuzione coattiva per inadempimento del compratore).
Se il compratore non adempie l'obbligazione di pagare il prezzo, il venditore può far vendere senza ritardo la cosa per conto e a spese di lui.
La vendita è fatta all'incanto a mezzo di una persona autorizzata a tali atti o, in mancanza di essa nel luogo in cui la vendita deve essere eseguita, a mezzo di un ufficiale giudiziario. Il venditore deve dare tempestiva notizia al compratore del giorno, del luogo e dell'ora in cui la vendita sarà eseguita.
Se la cosa ha un prezzo corrente, stabilito per atto della pubblica autorità o da norme corporative, ovvero risultante da listini di borsa o da mercuriali, la vendita può essere fatta senza incanto, al prezzo corrente, a mezzo delle persone indicate nel comma precedente o di un commissario nominato dal pretore. In tal caso il venditore deve dare al compratore pronta notizia della vendita.
Il venditore ha diritto alla differenza tra il prezzo convenuto e il ricavo netto della vendita, oltre al risarcimento del maggior danno.
Art. 1516.
(Esecuzione coattiva per inadempimento del venditore).
Se la vendita ha per oggetto cose fungibili che hanno un prezzo corrente a norma del terzo comma dell'articolo precedente, e il venditore non adempie la sua obbligazione, il compratore può fare acquistare senza ritardo le cose, a spese del venditore, a mezzo di una delle persone indicate nel secondo e terzo comma dell'articolo precedente. Dell'acquisto il compratore deve dare pronta notizia al venditore.
Il compratore ha diritto alla differenza tra l'ammontare della spesa occorsa per l'acquisto e il prezzo convenuto, oltre al risarcimento del maggior danno.
Art. 1517.
(Risoluzione di diritto).
La risoluzione ha luogo di diritto a favore del contraente che, prima della scadenza del termine stabilito, abbia offerto all'altro, nelle forme di uso, la consegna della cosa o il pagamento del prezzo, se l'altra parte non adempie la propria obbligazione.
La risoluzione di diritto ha luogo pure a favore del venditore, se, alla scadenza del termine stabilito per la consegna, il compratore, la cui obbligazione di pagare il prezzo non sia scaduta, non si presenta per ricevere la cosa preventivamente offerta, ovvero non l'accetta.
Il contraente che intende valersi della risoluzione disposta dal presente articolo deve darne comunicazione all'altra parte entro otto giorni dalla scadenza del termine; in mancanza di tale comunicazione, si osservano le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento.
Art. 1518.
(Normale determinazione del risarcimento).
Se la vendita ha per oggetto una cosa che ha un prezzo corrente a norma del terzo comma dell'art. 1515, e il contratto si risolve per l'inadempimento di una delle parti, il risarcimento è costituito dalla differenza tra il prezzo convenuto e quello corrente nel luogo e nel giorno in cui si doveva fare la consegna, salva la prova di un maggior danno.
Nella vendita a esecuzione periodica, la liquidazione del danno si determina sulla base dei prezzi correnti nel luogo e nel giorno fissati per le singole consegne.
Art. 1519.
(Restituzione di cose non pagate).
Se la vendita è stata fatta senza dilazione per il pagamento del prezzo, il venditore, in mancanza di pagamento, può riprendere il possesso delle cose vendute, finchè queste si trovano presso il compratore, purchè la domanda sia proposta entro quindici giorni dalla consegna e le cose si trovino nello stato in cui erano al tempo della consegna stessa.
Il diritto di riprendere il possesso delle cose non si può esercitare in pregiudizio dei privilegi previsti dagli articoli 2764 e 2765, salvo che si provi che il creditore, al tempo della introduzione di esse nella casa o nel fondo locato ovvero nel fondo concesso a mezzadria o a colonia, conosceva che il prezzo era ancora dovuto.
La disposizione del comma precedente si applica anche a favore dei creditori del compratore che abbiano sequestrato o pignorato le cose, a meno che si provi che essi, al momento del sequestro o del pignoramento, conoscevano che il prezzo era ancora dovuto.
§ 2. -
Della vendita con riserva di gradimento, a prova, a campione.
Art. 1520.
(Vendita con riserva di gradimento).
Quando si vendono cose con riserva di gradimento da parte del compratore, la vendita non si perfeziona fino a che il gradimento non sia comunicato al venditore.
Se l'esame della cosa deve farsi presso il venditore, questi è liberato, qualora il compratore non vi proceda nel termine stabilito dal contratto o dagli usi, o, in mancanza, in un termine congruo fissato dal venditore.
Se la cosa si trova presso il compratore e questi non si pronunzia nel termine sopra indicato, la cosa si considera di suo gradimento.
Art. 1521.
(Vendita a prova).
La vendita a prova si presume fatta sotto la condizione sospensiva che la cosa abbia le qualità pattuite o sia idonea all'uso a cui è destinata.
La prova si deve eseguire nel termine e secondo le modalità stabiliti dal contratto o dagli usi.
Art. 1522.
(Vendita su campione e su tipo di campione).
Se la vendita è fatta su campione, s'intende che questo deve servire come esclusivo paragone per la qualità della merce, e in tal caso qualsiasi difformità attribuisce al compratore il diritto alla risoluzione del contratto.
Qualora, però, dalla convenzione o dagli usi risulti che il campione deve servire unicamente a indicare in modo approssimativo la qualità, si può domandare la risoluzione soltanto se la difformità dal campione sia notevole.
In ogni caso l'azione è soggetta alla decadenza o alla prescrizione stabilite dall'art. 1495.
§ 3. -
della vendita con riserva di proprietà.
Art. 1523.
(Passaggio della proprietà e dei rischi).
Nella vendita a rate con riserva della proprietà, il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell'ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna.
Art. 1524.
(Opponibilità della riserva di proprietà nei confronti di terzi).
La riserva della proprietà è opponibile ai creditori del compratore, solo se risulta da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento.
Se la vendita ha per oggetto macchine e il prezzo è superiore alle lire trentamila, la riserva della proprietà è opponibile anche al terzo acquirente, purchè il patto di riservato dominio sia trascritto in apposito registro tenuto nella cancelleria del tribunale nella giurisdizione del quale è collocata la macchina, e questa, quando è acquistata dal terzo, si trovi ancora nel luogo dove la trascrizione è stata eseguita.
Sono salve le disposizioni relative ai beni mobili iscritti in pubblici registri.
Art. 1525.
(Inadempimento del compratore).
Nonostante patto contrario, il mancato pagamento di una sola rata, che non superi l'ottava parte del prezzo, non dà luogo alla risoluzione del contratto, e il compratore conserva il beneficio del termine relativamente alle rate successive.
Art. 1526.
(Risoluzione del contratto).
Se la risoluzione del contratto ha luogo per l'inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l'uso della cosa, oltre al risarcimento del danno.
Qualora si sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d'indennità, il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l'indennità convenuta.
La stessa disposizione si applica nel caso in cui il contratto sia configurato come locazione, e sia convenuto che, al termine di esso, la proprietà della cosa sia acquisita al conduttore per effetto del pagamento dei canoni pattuiti.
§ 4. -
Della vendita su documenti e con pagamento contro documenti.
Art. 1527.
(Consegna).
Nella vendita su documenti, il venditore si libera dall'obbligo della consegna rimettendo al compratore il titolo rappresentativo della merce e gli altri documenti stabiliti dal contratto o, in mancanza, dagli usi.
Art. 1528.
(Pagamento del prezzo).
Salvo patto o usi contrari, il pagamento del prezzo e degli accessori deve eseguirsi nel momento e nel luogo in cui avviene la consegna dei documenti indicati dall'articolo precedente.
Quando i documenti sono regolari, il compratore non può rifiutare il pagamento del prezzo adducendo eccezioni relative alla qualità e allo stato delle cose, a meno che queste risultino già dimostrate.
Art. 1529.
(Rischi).
Se la vendita ha per oggetto cose in viaggio, e tra i documenti consegnati al compratore è compresa la polizza di assicurazione per i rischi del trasporto, sono a carico del compratore i rischi a cui si trova esposta la merce dal momento della consegna al vettore.
Questa disposizione non si applica se il venditore al tempo del contratto era a conoscenza della perdita o dell'avaria della merce, e le ha in mala fede taciute al compratore.
Art. 1530.
(Pagamento contro documenti a mezzo di banca).
Quando il pagamento del prezzo deve avvenire a mezzo di una banca, il venditore non può rivolgersi al compratore se non dopo il rifiuto opposto dalla banca stessa e constatato all'atto della presentazione dei documenti nelle forme stabilite dagli usi.
La banca che ha confermato il credito al venditore può opporgli solo le eccezioni derivanti dall'incompletezza o irregolarità dei documenti e quelle relative al rapporto di conferma del credito.
§ 5. -
Della vendita a termine di titoli di credito.
Art. 1531.
(Interessi, dividendi e diritto di voto).
Nella vendita a termine di titoli di credito, gli interessi e i dividendi esigibili dopo la conclusione del contratto e prima della scadenza del termine, se riscossi dal venditore, sono accreditati al compratore.
Qualora la vendita abbia per oggetto titoli azionari, il diritto di voto spetta al venditore fino al momento della consegna.
Art. 1532.
(Diritto di opzione).
Il diritto di opzione inerente ai titoli venduti a termine spetta al compratore.
Il venditore, qualora il compratore gliene faccia richiesta in tempo utile, deve mettere il compratore in grado di esercitare il diritto di opzione, oppure deve esercitarlo per conto del compratore, se questi gli ha fornito i fondi necessari.
In mancanza di richiesta da parte del compratore, il venditore deve curare la vendita dei diritti di opzione per conto del compratore, a mezzo di un agente di cambio o di un istituto di credito.
Art. 1533.
(Estrazione per premi o rimborsi).
Se i titoli venduti a termine sono soggetti a estrazione per premi o rimborsi, i diritti e gli oneri derivanti dall'estrazione spettano al compratore, qualora la conclusione del contratto sia anteriore al giorno stabilito per l'inizio dell'estrazione.
Il venditore, al solo effetto indicato dal comma precedente, deve comunicare per iscritto al compratore una distinta numerica dei titoli almeno un giorno prima dell'inizio dell'estrazione.
In mancanza di tale comunicazione, il compratore ha facoltà di acquistare, a spese del venditore, i diritti spettanti a una quantità corrispondente di titoli, dandone comunicazione al venditore prima dell'inizio dell'estrazione.
Art. 1534.
(Versamenti richiesti sui titoli).
Il compratore deve fornire al venditore, almeno due giorni prima della scadenza, le somme necessarie per eseguire i versamenti richiesti sui titoli non liberati.
Art. 1535.
(Proroga dei contratti a termine).
Se alla scadenza del termine le parti convengono di prorogare l'esecuzione del contratto, è dovuta la differenza tra il prezzo originario e quello corrente nel giorno della scadenza, salva l'osservanza degli usi diversi.
Art. 1536.
(Inadempimento).
In caso d'inadempimento della vendita a termine di titoli, si osservano le norme degli articoli 1515 e 1516, salva, per i contratti di borsa, l'applicazione delle leggi speciali.
Sezione III. -
Della vendita di cose immobili.
Art. 1537.
(Vendita a misura).
Quando un determinato immobile è venduto con l'indicazione della sua misura e per un prezzo stabilito in ragione di un tanto per ogni unità di misura, il compratore ha diritto a una riduzione, se la misura effettiva dell'immobile è inferiore a quella indicata nel contratto.
Se la misura risulta superiore a quella indicata nel contratto, il compratore deve corrispondere il supplemento del prezzo, ma ha facoltà di recedere dal contratto qualora l'eccedenza oltrepassi la ventesima parte della misura dichiarata.
Art. 1538.
(Vendita a corpo).
Nei casi in cui il prezzo è determinato in relazione al corpo dell'immobile e non alla sua misura, sebbene questa sia stata indicata, non si fa luogo a diminuzione o a supplemento di prezzo, salvo che la misura reale sia inferiore o superiore di un ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto.
Nel caso in cui dovrebbe pagarsi un supplemento di prezzo, il compratore ha la scelta di recedere dal contratto o di corrispondere il supplemento.
Art. 1539.
(Recesso dal contratto).
Quando il compratore esercita il diritto di recesso, il venditore è tenuto a restituire il prezzo e a rimborsare le spese del contratto.
Art. 1540.
(Vendita cumulativa di più immobili).
Se due o più immobili sono stati venduti con lo stesso contratto per un solo e medesimo prezzo, con l'indicazione della misura di ciascuno di essi, e si trova che la quantità è minore nell'uno e maggiore nell'altro, se ne fa la compensazione fino alla debita concorrenza; il diritto al supplemento o alla diminuzione del prezzo spetta in conformità delle disposizioni sopra stabilite.
Art. 1541.
(Prescrizione).
Il diritto del venditore al supplemento e quello del compratore alla diminuzione del prezzo o al recesso dal contratto si prescrivono in un anno dalla consegna dell'immobile.
Sezione IV. -
Della vendita di eredità.
Art. 1542.
(Garanzia).
Chi vende un'eredità senza specificarne gli oggetti non è tenuto a garantire che la propria qualità di erede.
Art. 1543.
(Forme).
La vendita di un'eredità deve farsi per atto scritto, sotto pena di nullità.
Il venditore è tenuto a prestarsi agli atti che sono necessari da parte sua per rendere efficace, di fronte ai terzi, la trasmissione di ciascuno dei diritti compresi nell'eredità.
Art. 1544.
(Obblighi del venditore).
Se il venditore ha percepito i frutti di qualche bene o riscosso qualche credito ereditario, ovvero ha venduto qualche bene dell'eredità, è tenuto a rimborsarne il compratore, salvo patto contrario.
Art. 1545.
(Obblighi del compratore).
Il compratore deve rimborsare il venditore di quanto questi ha pagato per debiti e pesi dell'eredità, e deve corrispondergli quanto gli sarebbe dovuto dall'eredità medesima, salvo che sia convenuto diversamente.
Art. 1546.
(Responsabilità per debiti ereditari).
Il compratore, se non vi è patto contrario, è obbligato in solido col venditore a pagare i debiti ereditari.
Art. 1547.
(Altre forme di alienazione di eredità).
Le disposizioni precedenti si applicano alle altre forme di alienazione di un'eredità a titolo oneroso.
Nelle alienazioni a titolo gratuito la garanzia è regolata dall'art. 797.
Capo II.
Del riporto.
Art. 1548.
(Nozione).
Il riporto è il contratto per il quale il riportato trasferisce in proprietà al riportatore titoli di credito di una data specie per un determinato prezzo, e il riportatore assume l'obbligo di trasferire al riportato, alla scadenza del termine stabilito, la proprietà di altrettanti titoli della stessa specie, verso rimborso del prezzo, che può essere aumentato o diminuito nella misura convenuta.
Art. 1549.
(Perfezione del contratto).
Il contratto si perfeziona con la consegna dei titoli.
Art. 1550.
(Diritti accessori e obblighi inerenti ai titoli).
I diritti accessori e gli obblighi inerenti ai titoli dati a riporto spettano al riportato. Si applicano le disposizioni degli articoli 1531, 1532, 1533 e 1534.
Il diritto di voto, salvo patto contrario, spetta al riportatore.
Art. 1551.
(Inadempimento).
In caso di inadempimento di una delle parti, si osservano le disposizioni degli articoli 1515 e 1516, salva per i contratti di borsa l'applicazione delle leggi speciali.
Se entrambe le parti non adempiono le proprie obbligazioni nel termine stabilito, il riporto cessa di avere effetto, e ciascuna parte ritiene ciò che ha ricevuto al tempo della stipulazione del contratto.
Capo III.
Della permuta.
Art. 1552.
(Nozione).
La permuta è il contratto che ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose, o di altri diritti, da un contraente all'altro.
Art. 1553.
(Evizione).
Il permutante, se ha sofferto l'evizione e non intende riavere la cosa data, ha diritto al valore della cosa evitta, secondo le norme stabilite per la vendita, salvo in ogni caso il risarcimento del danno.
Art. 1554.
(Spese della permuta).
Salvo patto contrario, le spese della permuta e le altre accessorie sono a carico di entrambi i contraenti in parti uguali.
Art. 1555.
(Applicabilità delle norme sulla vendita).
Le norme stabilite per la vendita si applicano alla permuta, in quanto siano con questa compatibili.
Capo IV.
Del contratto estimatorio.
Art. 1556.
(Nozione).
Con il contratto estimatorio una parte consegna una o più cose mobili all'altra e questa si obbliga a pagare il prezzo, salvo che restituisca le cose nel termine stabilito.
Art. 1557.
(Impossibilità di restituzione).
Chi ha ricevuto le cose non è liberato dall'obbligo di pagarne il prezzo, se la restituzione di esse nella loro integrità è divenuta impossibile per causa a lui non imputabile.
Art. 1558.
(Disponibilità delle cose).
Sono validi gli atti di disposizione compiuti da chi ha ricevuto le cose; ma i suoi creditori non possono sottoporle a pignoramento o a sequestro finchè non ne sia stato pagato il prezzo.
Colui che ha consegnato le cose non può disporne fino a che non gli siano restituite.
Capo V.
Della somministrazione.
Art. 1559.
(Nozione).
La somministrazione è il contratto con il quale una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell'altra, prestazioni periodiche o continuative di cose.
Art. 1560.
(Entità della somministrazione).
Qualora non sia determinata l'entità della somministrazione, s'intende pattuita quella corrispondente al normale fabbisogno della parte che vi ha diritto, avuto riguardo al tempo della conclusione del contratto.
Se le parti hanno stabilito soltanto il limite massimo e quello minimo per l'intera somministrazione o per le singole prestazioni, spetta all'avente diritto alla somministrazione di stabilire, entro i limiti suddetti, il quantitativo dovuto.
Se l'entità della somministrazione deve determinarsi in relazione al fabbisogno ed è stabilito un quantitativo minimo, l'avente diritto alla somministrazione è tenuto per la quantità corrispondente al fabbisogno se questo supera il minimo stesso.
Art. 1561.
(Determinazione del prezzo).
Nella somministrazione a carattere periodico, se il prezzo deve essere determinato secondo le norme dell'art. 1474, si ha riguardo al tempo della scadenza delle singole prestazioni e al luogo in cui queste devono essere eseguite.
Art. 1562.
(Pagamento del prezzo).
Nella somministrazione a carattere periodico il prezzo è corrisposto all'atto delle singole prestazioni e in proporzione di ciascuna di esse.
Nella somministrazione a carattere continuativo il prezzo è pagato secondo le scadenze d'uso.
Art. 1563.
(Scadenza delle singole prestazioni).
Il termine stabilito per le singole prestazioni si presume pattuito nell'interesse di entrambe le parti.
Se l'avente diritto alla somministrazione ha la facoltà di fissare la scadenza delle singole prestazioni, egli deve comunicarne la data al somministrante con un congruo preavviso.
Art. 1564.
(Risoluzione del contratto).
In caso d'inadempimento di una delle parti relativo a singole prestazioni, l'altra può chiedere la risoluzione del contratto, se l'inadempimento ha una notevole importanza ed è tale da menomare la fiducia nell'esattezza dei successivi adempimenti.
Art. 1565.
(Sospensione della somministrazione).
Se la parte che ha diritto alla somministrazione è inadempiente e l'inadempimento è di lieve entità, il somministrante non può sospendere l'esecuzione del contratto senza dare congruo preavviso.
Art. 1566.
(Patto di preferenza).
Il patto con cui l'avente diritto alla somministrazione si obbliga a dare la preferenza al somministrante nella stipulazione di un successivo contratto per lo stesso oggetto, è valido purchè la durata dell'obbligo non ecceda il termine di cinque anni. Se è convenuto un termine maggiore, questo si riduce a cinque anni.
L'avente diritto alla somministrazione deve comunicare al somministrante le condizioni propostegli da terzi e il somministrante deve dichiarare, sotto pena di decadenza, nel termine stabilito o, in mancanza, in quello richiesto dalle circostanze o dagli usi, se intende valersi del diritto di preferenza.
Art. 1567.
(Esclusiva a favore del somministrante).
Se nel contratto è pattuita la clausola di esclusiva a favore del somministrante, l'altra parte non può ricevere da terzi prestazioni della stessa natura, nè, salvo patto contrario, può provvedere con mezzi propri alla produzione delle cose che formano oggetto del contratto.
Art. 1568.
(Esclusiva a favore dell'avente diritto alla somministrazione).
Se la clausola di esclusiva è pattuita a favore dell'avente diritto alla somministrazione, il somministrante non può compiere nella zona per cui l'esclusiva è concessa e per la durata del contratto, nè direttamente nè indirettamente, prestazioni della stessa natura di quelle che formano oggetto del contratto.
L'avente diritto alla somministrazione, che assume l'obbligo di promuovere, nella zona assegnatagli, la vendita delle cose di cui ha l'esclusiva, risponde dei danni in caso di inadempimento a tale obbligo, anche se ha eseguito il contratto rispetto al quantitativo minimo che sia stato fissato.
Art. 1569.
(Contratto a tempo indeterminato).
Se la durata della somministrazione non è stabilita, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dando preavviso nel termine pattuito o in quello stabilito dagli usi o, in mancanza, in un termine congruo avuto riguardo alla natura della somministrazione.
Art. 1570.
(Rinvio).
Si applicano alla somministrazione, in quanto compatibili con le disposizioni che precedono, anche le regole che disciplinano il contratto a cui corrispondono le singole prestazioni.
Capo VI.
Della locazione.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 1571.
(Nozione).
La locazione è il contratto col quale una parte si obbliga a far godere all'altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo.
Art. 1572.
(Locazioni e anticipazioni eccedenti l'ordinaria amministrazione).
Il contratto di locazione per una durata superiore a nove anni è atto eccedente l'ordinaria amministrazione.
Sono altresì atti eccedenti l'ordinaria amministrazione le anticipazioni del corrispettivo della locazione per una durata superiore a un anno.
Art. 1573.
(Durata della locazione).
Salvo diverse norme di legge, la locazione non può stipularsi per un tempo eccedente i trenta anni. Se stipulata per un periodo più lungo o in perpetuo, è ridotta al termine suddetto.
Art. 1574.
(Locazione senza determinazione di tempo).
Quando le parti non hanno determinato la durata della locazione, questa s'intende convenuta: 1) se si tratta di case senza arredamento di mobili o di locali per l'esercizio di una professione, di un'industria o di un commercio, per la durata di un anno, salvi gli usi locali; 2) se si tratta di camere o di appartamenti mobiliati, per la durata corrispondente all'unità di tempo a cui è commisurata la pigione; 3) se si tratta di cose mobili, per la durata corrispondente all'unità di tempo a cui è commisurato il corrispettivo; 4) se si tratta di mobili forniti dal locatore per l'arredamento di un fondo urbano, per la durata della locazione del fondo stesso.
Art. 1575.
(Obbligazioni principali del locatore).
Il locatore deve: 1) consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione; 2) mantenerla in istato da servire all'uso convenuto; 3) garantirne il pacifico godimento durante la locazione.
Art. 1576.
(Mantenimento della cosa in buono stato locativo).
Il locatore deve eseguire, durante la locazione, tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore.
Se si tratta di cose mobili, le spese di conservazione e di ordinaria manutenzione sono, salvo patto contrario, a carico del conduttore.
Art. 1577.
(Necessità di riparazioni).
Quando la cosa locata abbisogna di riparazioni che non sono a carico del conduttore, questi è tenuto a darne avviso al locatore.
Se si tratta di riparazioni urgenti, il conduttore può eseguirle direttamente, salvo rimborso, purchè ne dia contemporaneamente avviso al locatore.
Art. 1578.
(Vizi della cosa locata).
Se al momento della consegna la cosa locata è affetta da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l'idoneità all'uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili.
Il locatore è tenuto a risarcire al conduttore i danni derivati da vizi della cosa, se non prova di avere senza colpa ignorato i vizi stessi al momento della consegna.
Art. 1579.
(Limitazioni convenzionali della responsabilità).
Il patto con cui si esclude o si limita la responsabilità del locatore per i vizi della cosa non ha effetto, se il locatore li ha in mala fede taciuti al conduttore oppure se i vizi sono tali da rendere impossibile il godimento della cosa.
Art. 1580.
(Cose pericolose per la salute).
Se i vizi della cosa o di parte notevole di essa espongono a serio pericolo la salute del conduttore o dei suoi familiari o dipendenti, il conduttore può ottenere la risoluzione del contratto, anche se i vizi gli erano noti, nonostante qualunque rinunzia.
Art. 1581.
(Vizi sopravvenuti).
Le disposizioni degli articoli precedenti si osservano, in quanto applicabili, anche nel caso di vizi della cosa sopravvenuti nel corso della locazione.
Art. 1582.
(Divieto d'innovazione).
Il locatore non può compiere sulla cosa innovazioni che diminuiscano il godimento da parte del conduttore.
Art. 1583.
(Mancato godimento per riparazioni urgenti).
Se nel corso della locazione la cosa abbisogna di riparazioni che non possono differirsi fino al termine del contratto, il conduttore deve tollerarle anche quando importano privazione del godimento di parte della cosa locata.
Art. 1584.
(Diritti del conduttore in caso di riparazioni).
Se l'esecuzione delle riparazioni si protrae per oltre un sesto della durata della locazione e, in ogni caso, per oltre venti giorni, il conduttore ha diritto a una riduzione del corrispettivo, proporzionata all'intera durata delle riparazioni stesse e all'entità del mancato godimento.
Indipendentemente dalla sua durata, se l'esecuzione delle riparazioni rende inabitabile quella parte della cosa che è necessaria per l'alloggio del conduttore e della sua famiglia, il conduttore può ottenere, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto.
Art. 1585.
(Garanzia per molestie).
Il locatore è tenuto a garantire il conduttore dalle molestie che diminuiscono l'uso o il godimento della cosa, arrecate da terzi che pretendono di avere diritti sulla cosa medesima.
Non è tenuto a garantirlo dalle molestie di terzi che non pretendono di avere diritti, salva al conduttore la facoltà di agire contro di essi in nome proprio.
Art. 1586.
(Pretese da parte di terzi).
Se i terzi che arrecano le molestie pretendono di avere diritti sulla cosa locata, il conduttore è tenuto a darne pronto avviso al locatore, sotto pena del risarcimento dei danni.
Se i terzi agiscono in via giudiziale, il locatore è tenuto ad assumere la lite, qualora sia chiamato nel processo. Il conduttore deve esserne estromesso con la semplice indicazione del locatore, se non ha interesse a rimanervi.
Art. 1587.
(Obbligazioni principali del conduttore).
Il conduttore deve: 1) prendere in consegna la cosa e osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l'uso determinato nel contratto o per l'uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze; 2) dare il corrispettivo nei termini convenuti.
Art. 1588.
(Perdita e deterioramento della cosa locata).
Il conduttore risponde della perdita e del deterioramento della cosa che avvengono nel corso della locazione, anche se derivanti da incendio, qualora non provi che siano accaduti per causa a lui non imputabile.
E` pure responsabile della perdita e del deterioramento cagionati da persone che egli ha ammesse, anche temporaneamente, all'uso o al godimento della cosa.
Art. 1589.
(Incendio di cosa assicurata).
Se la cosa distrutta o deteriorata per incendio era stata assicurata dal locatore o per conto di questo, la responsabilità del conduttore verso il locatore è limitata alla differenza tra l'indennizzo corrisposto dall'assicuratore e il danno effettivo.
Quando si tratta di cosa mobile stimata e l'assicurazione è stata fatta per valore uguale alla stima, cessa ogni responsabilità del conduttore in confronto del locatore, se questi è indennizzato dall'assicuratore.
Sono salve in ogni caso le norme concernenti il diritto di surrogazione dell'assicuratore.
Art. 1590.
(Restituzione della cosa locata).
Il conduttore deve restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui l'ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'uso della cosa in conformità del contratto.
In mancanza di descrizione, si presume che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione.
Il conduttore non risponde del perimento o del deterioramento dovuti a vetustà.
Le cose mobili si devono restituire nel luogo dove sono state consegnate.
Art. 1591.
(Danni per ritardata restituzione).
Il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l'obbligo di risarcire il maggior danno.
Art. 1592.
(Miglioramenti).
Salvo disposizioni particolari della legge o degli usi, il conduttore non ha diritto a indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata. Se però vi è stato il consenso del locatore, questi è tenuto a pagare un'indennità corrispondente alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore del risultato utile al tempo della riconsegna.
Anche nel caso in cui il conduttore non ha diritto a indennità, il valore dei miglioramenti può compensare i deterioramenti che si sono verificati senza colpa grave del conduttore.
Art. 1593.
(Addizioni).
Il conduttore che ha eseguito addizioni sulla cosa locata ha diritto di toglierle alla fine della locazione qualora ciò possa avvenire senza nocumento della cosa, salvo che il proprietario preferisca ritenere le addizioni stesse. In tal caso questi deve pagare al conduttore un'indennità pari alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore delle addizioni al tempo della riconsegna.
Se le addizioni non sono separabili senza nocumento della cosa e ne costituiscono un miglioramento, si osservano le norme dell'articolo precedente.
Art. 1594.
(Sublocazione o cessione della locazione).
Il conduttore, salvo patto contrario, ha facoltà di sublocare la cosa locatagli, ma non può cedere il contratto senza il consenso del locatore.
Trattandosi di cosa mobile, la sublocazione deve essere autorizzata dal locatore o consentita dagli usi.
Art. 1595.
(Rapporti tra il locatore e il subconduttore).
Il locatore, senza pregiudizio dei suoi diritti verso il conduttore, ha azione diretta contro il subconduttore per esigere il prezzo della sublocazione, di cui questi sia ancora debitore al momento della domanda giudiziale, e per costringerlo ad adempiere tutte le altre obbligazioni derivanti dal contratto di sublocazione.
Il subconduttore non può opporgli pagamenti anticipati, salvo che siano stati fatti secondo gli usi locali.
Senza pregiudizio delle ragioni del subconduttore verso il sublocatore, la nullità o la risoluzione del contratto di locazione ha effetto anche nei confronti del subconduttore, e la sentenza pronunciata tra locatore e conduttore ha effetto anche contro di lui.
Art. 1596.
(Fine della locazione per lo spirare del termine).
La locazione per un tempo determinato dalle parti cessa con lo spirare del termine, senza che sia necessaria la disdetta.
La locazione senza determinazione di tempo non cessa, se prima della scadenza stabilita a norma dell'art. 1574 una delle parti non comunica all'altra disdetta nel termine fissato dalle norme corporative o, in mancanza, in quello determinato dalle parti o dagli usi.
Art. 1597.
(Rinnovazione tacita del contratto).
La locazione si ha per rinnovata se, scaduto il termine di essa, il conduttore rimane ed è lasciato nella detenzione della cosa locata o se, trattandosi di locazione a tempo indeterminato, non è stata comunicata la disdetta a norma dell'articolo precedente.
La nuova locazione è regolata dalle stesse condizioni della precedente, ma la sua durata è quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato.
Se è stata data licenza, il conduttore non può opporre la tacita rinnovazione, salvo che consti la volontà del locatore di rinnovare il contratto.
Art. 1598.
(Garanzie della locazione).
Le garanzie prestate da terzi non si estendono alle obbligazioni derivanti da proroghe della durata del contratto.
Art. 1599.
(Trasferimento a titolo particolare della cosa locata).
Il contratto di locazione è opponibile al terzo acquirente, se ha data certa anteriore all'alienazione della cosa.
La disposizione del comma precedente non si applica alla locazione di beni mobili non iscritti in pubblici registri, se l'acquirente ne ha conseguito il possesso in buona fede.
Le locazioni di beni immobili non trascritte non sono opponibili al terzo acquirente, se non nei limiti di un novennio dall'inizio della locazione.
L'acquirente è in ogni caso tenuto a rispettare la locazione, se ne ha assunto l'obbligo verso l'alienante.
Art. 1600.
(Detenzione anteriore al trasferimento).
Se la locazione non ha data certa, ma la detenzione del conduttore è anteriore al trasferimento, l'acquirente non è tenuto a rispettare la locazione che per una durata corrispondente a quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato.
Art. 1601.
(Risarcimento del danno al conduttore licenziato).
Se il conduttore è stato licenziato dall'acquirente perchè il contratto di locazione non aveva data certa anteriore al trasferimento, il locatore è tenuto a risarcirgli il danno.
Art. 1602.
(Effetti dell'opponibilità della locazione al terzo acquirente).
Il terzo acquirente tenuto a rispettare la locazione subentra, dal giorno del suo acquisto, nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione.
Art. 1603.
(Clausola di scioglimento del contratto in caso di alienazione).
Se si è convenuto che il contratto possa sciogliersi in caso di alienazione della cosa locata, l'acquirente che vuole valersi di tale facoltà deve dare licenza al conduttore rispettando il termine di preavviso stabilito dal secondo comma dell'art. 1596. In tal caso al conduttore licenziato non spetta il risarcimento dei danni, salvo patto contrario.
Art. 1604.
(Vendita della cosa locata con patto di riscatto).
Il compratore con patto di riscatto non può esercitare la facoltà di licenziare il conduttore fino a che il suo acquisto non sia divenuto irrevocabile con la scadenza del termine fissato per il riscatto.
Art. 1605.
(Liberazione o cessione del corrispettivo della locazione).
La liberazione o la cessione del corrispettivo della locazione non ancora scaduto non può opporsi al terzo acquirente della cosa locata, se non risulta da atto scritto avente data certa anteriore al trasferimento. Si può in ogni caso opporre il pagamento anticipato eseguito in conformità degli usi locali.
Se la liberazione o la cessione è stata fatta per un periodo eccedente i tre anni e non è stata trascritta, può essere opposta solo entro i limiti di un triennio; se il triennio è già trascorso, può essere opposta solo nei limiti dell'anno in corso nel giorno del trasferimento.
Art. 1606.
(Estinzione del diritto del locatore).
Nei casi in cui il diritto del locatore sulla cosa locata si estingue con effetto retroattivo, le locazioni da lui concluse aventi data certa sono mantenute, purchè siano state fatte senza frode e non eccedano il triennio.
Sono salve le diverse disposizioni di legge.
Sezione II. -
Della locazione di fondi urbani.
Art. 1607.
(Durata massima della locazione di case).
La locazione di una casa per abitazione può essere convenuta per tutta la durata della vita dell'inquilino e per due anni successivi alla sua morte.
Art. 1608.
(Garanzie per il pagamento della pigione).
Nelle locazioni di case non mobiliate l'inquilino può essere licenziato se non fornisce la casa di mobili sufficienti o non presta altre garanzie idonee ad assicurare il pagamento della pigione.
Art. 1609.
(Piccole riparazioni a carico dell'inquilino).
Le riparazioni di piccola manutenzione, che a norma dell'art. 1576 devono essere eseguite dall'inquilino a sue spese, sono quelle dipendenti da deterioramenti prodotti dall'uso, e non quelle dipendenti da vetustà o da caso fortuito.
Le suddette riparazioni, in mancanza di patto, sono determinate dagli usi locali.
Art. 1610.
(Spurgo di pozzi e di latrine).
Lo spurgo dei pozzi e delle latrine è a carico del locatore.
Art. 1611.
(Incendio di casa abitata da più inquilini).
Se si tratta di casa occupata da più inquilini, tutti sono responsabili verso il locatore del danno prodotto dall'incendio, proporzionatamente al valore della parte occupata. Se nella casa abita anche il locatore, si detrae dalla somma dovuta una quota corrispondente alla parte da lui occupata.
La disposizione del comma precedente non si applica se si prova che l'incendio è cominciato dall'abitazione di uno degli inquilini, ovvero se alcuno di questi prova che l'incendio non è potuto cominciare nella sua abitazione.
Art. 1612.
(Recesso convenzionale del locatore).
Il locatore che si è riservata la facoltà di recedere dal contratto per abitare egli stesso nella casa locata deve dare licenza motivata nel termine stabilito dagli usi locali.
Art. 1613.
(Facoltà di recesso degli impiegati pubblici).
Gli impiegati delle pubbliche amministrazioni possono, nonostante patto contrario, recedere dal contratto nel caso di trasferimento, purchè questo non sia stato disposto su loro domanda.
Tale facoltà si esercita mediante disdetta motivata, e il recesso ha effetto dal secondo mese successivo a quello in corso alla data della disdetta.
Art. 1614.
(Morte dell'inquilino).
Nel caso di morte dell'inquilino, se la locazione deve ancora durare per più di un anno ed è stata vietata la sublocazione, gli eredi possono recedere dal contratto entro tre mesi dalla morte.
Il recesso si deve esercitare mediante disdetta comunicata con preavviso non inferiore a tre mesi.
Sezione III. -
Dell'affitto.
§ 1. -
Disposizioni generali.
Art. 1615.
(Gestione e godimento della cosa produttiva).
Quando la locazione ha per oggetto il godimento di una cosa produttiva, mobile o immobile, l'affittuario deve curarne la gestione in conformità della destinazione economica della cosa e dell'interesse della produzione. A lui spettano i frutti e le altre utilità della cosa.
Art. 1616.
(Affitto senza determinazione di tempo).
Se le parti non hanno determinato la durata dell'affitto, ciascuna di esse può recedere dal contratto dando all'altra un congruo preavviso.
Sono salve le norme corporative e gli usi che dispongano diversamente.
Art. 1617.
(Obblighi del locatore).
Il locatore è tenuto a consegnare la cosa, con i suoi accessori e le sue pertinenze, in istato da servire all'uso e alla produzione a cui è destinata.
Art. 1618.
(Inadempimenti dell'affittuario).
Il locatore può chiedere la risoluzione del contratto, se l'affittuario non destina al servizio della cosa i mezzi necessari per la gestione di essa, se non osserva le regole della buona tecnica, ovvero se muta stabilmente la destinazione economica della cosa.
Art. 1619.
(Diritto di controllo).
Il locatore può accertare in ogni tempo, anche con accesso in luogo, se l'affittuario osserva gli obblighi che gli incombono.
Art. 1620.
(Incremento della produttività della cosa).
L'affittuario può prendere le iniziative atte a produrre un aumento di reddito della cosa, purchè esse non importino obblighi per il locatore o non gli arrechino pregiudizio, e siano conformi all'interesse della produzione.
Art. 1621.
(Riparazioni).
Il locatore è tenuto ad eseguire a sue spese, durante l'affitto, le riparazioni straordinarie. Le altre sono a carico dell'affittuario.
Art. 1622.
(Perdite determinate da riparazioni).
Se l'esecuzione delle riparazioni che sono a carico del locatore determina per l'affittuario una perdita superiore al quinto del reddito annuale o, nel caso di affitto non superiore a un anno, al quinto del reddito complessivo, l'affittuario può domandare una riduzione del fitto in ragione della diminuzione del reddito oppure, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto.
Art. 1623.
(Modificazioni sopravvenute del rapporto contrattuale).
Se, in conseguenza di una disposizione di legge, di una norma corporativa o di un provvedimento dell'autorità riguardanti la gestione produttiva, il rapporto contrattuale risulta notevolmente modificato in modo che le parti ne risentano rispettivamente una perdita e un vantaggio, può essere richiesto un aumento o una diminuzione del fitto ovvero, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto.
Sono salve le diverse disposizioni della legge, della norma corporativa o del provvedimento dell'autorità.
Art. 1624.
(Divieto di subaffitto. Cessione dell'affitto).
L'affittuario non può subaffittare la cosa senza il consenso del locatore.
La facoltà di cedere l'affitto comprende quella di subaffittare; la facoltà di subaffittare non comprende quella di cedere l'affitto.
Art. 1625.
(Clausola di scioglimento del contratto in caso di alienazione).
Se si è convenuto che l'affitto possa sciogliersi in caso di alienazione, l'acquirente che voglia dare licenza all'affittuario deve osservare la disposizione dell'articolo 1616.
Quando l'affitto ha per oggetto un fondo rustico, la licenza deve essere data col preavviso di sei mesi e ha effetto per la fine dell'anno agrario in corso alla scadenza del termine di preavviso.
Art. 1626.
(Incapacità o insolvenza dell'affittuario).
L'affitto si scioglie per l'interdizione, l'inabilitazione o l'insolvenza dell'affittuario, salvo che al locatore sia prestata idonea garanzia per l'esatto adempimento degli obblighi dell'affittuario.
Art. 1627.
(Morte dell'affittuario).
Nel caso di morte dell'affittuario, il locatore e gli eredi dell'affittuario possono, entro tre mesi dalla morte, recedere dal contratto mediante disdetta comunicata all'altra parte con preavviso di sei mesi.
Se l'affitto ha per oggetto un fondo rustico, la disdetta ha effetto per la fine dell'anno agrario in corso alla scadenza del termine di preavviso.
§ 2. -
Dell'affitto dei fondi rustici.
Art. 1628.
(Durata minima dell'affitto).
Se le norme corporative stabiliscono un periodo minimo di durata del contratto, l'affitto di un fondo rustico stipulato per una durata inferiore si estende al periodo minimo così stabilito.
Art. 1629.
(Fondi destinati al rimboschimento).
L'affitto di fondi rustici destinati al rimboschimento può essere stipulato per un termine massimo di novantanove anni.
Art. 1630.
(Affitto senza determinazione di tempo).
L'affitto a tempo indeterminato di un fondo soggetto a rotazione di colture si reputa stipulato per il tempo necessario affinchè l'affittuario possa svolgere e portare a compimento il normale ciclo di avvicendamento delle colture praticate nel fondo.
Se il fondo non è soggetto ad avvicendamento di colture, l'affitto si reputa fatto per il tempo necessario alla raccolta dei frutti.
L'affitto non cessa se prima della scadenza una delle parti non ha dato disdetta con preavviso di sei mesi.
Sono salve le diverse disposizioni delle norme corporative.
Art. 1631.
(Estensione del fondo).
Per l'affitto a misura, oppure a corpo con indicazione della misura, nel caso di eccesso o di difetto dell'del fondo rispetto alla misura indicata, i diritti e le obbligazioni delle parti sono determinati secondo le norme contenute nel capo della vendita.
Art. 1632.
(Miglioramenti).
Se una parte intende compiere sul fondo affittato determinati miglioramenti che non ne trasformino profondamente l'ordinamento produttivo, e l'altra si oppone, il giudice, sentite le parti, può autorizzarne l'esecuzione qualora, nei modi e nelle forme stabilite dalla legge speciale, l'autorità competente riconosca che i miglioramenti sono di sicura utilità per il fondo e per la produzione. Il giudice assegna un congruo termine perchè i miglioramenti siano eseguiti.
Quando i miglioramenti sono stati proposti dall'affittuario, l'autorizzazione non può essere concessa se non risulta la sua capacità tecnica ed economica per eseguirli, o se egli è stato inadempiente agli obblighi contrattuali, ovvero se la durata ulteriore della locazione non consente all'affittuario di godere per un congruo periodo l'incremento del reddito che i miglioramenti sono destinati a produrre.
Se l'affittuario è autorizzato a eseguire i miglioramenti, il locatore, entro un termine perentorio fissato dal giudice, può dichiarare di compierli a sue spese; in tal caso egli subentra all'affittuario negli obblighi stabiliti dal provvedimento di autorizzazione.
Art. 1633.
(Diritti derivanti dall'esecuzione dei miglioramenti).
Il locatore che ha eseguito i miglioramenti ha diritto di aumentare il fitto in proporzione dell'incremento del reddito fondiario che ne è derivato, tenuto conto degli eventuali contributi dello Stato o di enti pubblici, con decorrenza dal tempo in cui l'incremento si è verificato.
L'affittuario che ha eseguito i miglioramenti ha diritto a un'indennità corrispondente all'aumento di valore conseguito dal fondo e sussistente alla fine dell'affitto. L'indennità non può essere superiore al quarto dell'ammontare complessivo del corrispettivo per l'intera durata dell'affitto.
Il giudice, con riguardo alle condizioni economiche del locatore, può disporre il pagamento rateale dell'indennità, ordinando, se del caso, la prestazione di idonee garanzie. Salvo diverso accordo delle parti, il pagamento non può essere frazionato per un tempo eccedente i dieci anni.
Art. 1634.
(Inderogabilità).
Le disposizioni dei due articoli precedenti sono inderogabili.
Art. 1635.
(Perdita fortuita dei frutti negli affitti pluriennali).
Se, durante l'affitto convenuto per più anni, almeno la metà dei frutti di un anno non ancora separati perisce per caso fortuito, l'affittuario può domandare una riduzione del fitto, salvo che la perdita trovi compenso nei precedenti raccolti.
Qualora la perdita non trovi compenso nei precedenti raccolti, la riduzione è determinata alla fine dell'affitto, eseguito il conguaglio con i frutti raccolti in tutti gli anni decorsi. Il giudice può dispensare provvisoriamente l'affittuario dal pagamento di una parte del fitto in proporzione della perdita sofferta.
La riduzione non può mai eccedere la metà del fitto.
In ogni caso si deve tener conto degli indennizzi che l'affittuario abbia conseguiti o possa conseguire in relazione alla perdita sofferta.
Al perimento è equiparata la mancata produzione dei frutti.
Art. 1636.
(Perdita fortuita dei frutti negli affitti annuali).
Se l'affitto ha la durata di un solo anno, e si è verificata la perdita per caso fortuito di almeno la metà dei frutti, l'affittuario può essere esonerato dal pagamento di una parte del fitto, in misura non superiore alla metà.
Art. 1637.
(Accollo di casi fortuiti).
L'affittuario può, con patto espresso, assumere il rischio dei casi fortuiti ordinari. Sono reputati tali i fortuiti che, avuto riguardo ai luoghi e a ogni altra circostanza, le parti potevano ragionevolmente ritenere probabili.
E` nullo il patto col quale l'affittuario si assoggetta ai casi fortuiti straordinari.
Art. 1638.
(Espropriazione per pubblico interesse).
In caso di espropriazione per pubblico interesse o di occupazione temporanea del fondo locato, l'affittuario ha diritto di ottenere dal locatore la parte d'indennità a questo corrisposta per i frutti non percepiti o per il mancato raccolto.
Art. 1639.
(Canone di affitto).
Il fitto può consistere anche in una quota ovvero in una quantità fissa o variabile dei frutti del fondo locato.
Art. 1640.
(Scorte morte).
Le scorte morte costituenti la dotazione del fondo, che sono state consegnate all'affittuario all'inizio dell'affitto, con determinazione della specie, qualità e quantità, devono, anche se stimate, essere restituite al locatore alla fine dell'affitto, nella stessa specie, qualità e quantità e, se si tratta di scorte fisse, come macchinari e attrezzi, nello stesso stato d'uso. L'eccedenza o la deficienza deve essere regolata in danaro, secondo il valore corrente al tempo della riconsegna. La dotazione necessaria non può essere distratta e deve essere mantenuta secondo le esigenze delle colture e la pratica dei luoghi.
La disposizione del comma precedente si applica anche se, all'inizio dell'affitto, l'affittuario ha depositato la somma che rappresenti il valore delle scorte presso il locatore, salvo l'obbligo di questo di restituirla al tempo della riconsegna delle scorte.
Se le scorte sono state consegnate con la sola indicazione del valore, l'affittuario ne acquista la proprietà, e, alla fine dell'affitto, deve restituire il valore ricevuto o scorte in natura per un corrispondente valore, determinato secondo il prezzo corrente, al tempo della riconsegna, ovvero parte dell'uno e parte delle altre.
Sono salve le diverse disposizioni delle norme corporative o le diverse pattuizioni delle parti.
Art. 1641.
(Scorte vive).
Quando il bestiame da lavoro o da allevamento, costituente la dotazione del fondo, è stato in tutto o in parte fornito dal locatore, si osservano le disposizioni degli articoli seguenti, salve le norme corporative o i patti diversi.
Art. 1642.
(Proprietà del bestiame consegnato).
Qualora il bestiame consegnato all'affittuario sia stato determinato con indicazione della specie, del numero, del sesso, della qualità, dell'età e del peso, anche se ne è stata fatta stima, la proprietà di esso rimane al locatore. Tuttavia l'affittuario può disporre dei singoli capi, ma deve mantenere nel fondo la dotazione necessaria.
Art. 1643.
(Rischio della perdita del bestiame).
Il rischio della perdita del bestiame è a carico dell'affittuario dal momento in cui questi lo ha ricevuto, se non è stato diversamente pattuito.
Art. 1644.
(Accrescimenti e frutti del bestiame).
L'affittuario fa suoi i parti e gli altri frutti del bestiame, l'accrescimento e ogni altro provento che ne deriva.
Il letame però deve essere impiegato esclusivamente nella coltivazione del fondo.
Art. 1645.
(Riconsegna del bestiame).
Nel caso previsto dall'art. 1642, al termine del contratto l'affittuario deve restituire bestiame corrispondente per specie, numero, sesso, qualità, età e peso a quello ricevuto. Se vi sono differenze di qualità o di quantità contenute nei limiti in cui esse possano ammettersi avuto riguardo ai bisogni della coltivazione del fondo, l'affittuario deve restituire bestiame di uguale valore. Se vi è eccedenza o deficienza nel valore del bestiame, ne è fatto conguaglio in danaro tra le parti, secondo il valore al tempo della riconsegna.
La disposizione del comma precedente si applica anche se, all'inizio dell'affitto, l'affittuario ha depositato presso il locatore la somma che rappresenta il valore del bestiame.
Si applica altresì la disposizione del terzo comma dell'art. 1640.
Sono salve le disposizioni delle norme corporative e i patti diversi.
Art. 1646.
(Rapporti fra gli affittuari uscente e subentrante).
L'affittuario uscente deve mettere a disposizione di chi gli subentra nella coltivazione i locali opportuni e gli altri comodi occorrenti per i lavori dell'anno seguente; il nuovo affittuario deve lasciare al precedente i locali opportuni e gli altri comodi occorrenti per il consumo dei foraggi e per le raccolte che restano da fare.
Per l'ulteriore determinazione dei rapporti tra l'affittuario uscente e l'affittuario subentrante si osservano le disposizioni delle norme corporative e, in mancanza, gli usi locali.
§ 3. -
Dell'affitto a coltivatore diretto.
Art. 1647.
(Nozione).
Quando l'affitto ha per oggetto un fondo che l'affittuario coltiva col lavoro prevalentemente proprio o di persone della sua famiglia, si applicano le norme che seguono, sempre che il fondo non superi i limiti di estensione che, per singole zone e colture, possono essere determinati dalle norme corporative.
Art. 1648.
(Casi fortuiti ordinari).
Il giudice, con riguardo alle condizioni economiche dell'affittuario, può disporre il pagamento rateale del fitto se per un caso fortuito ordinario, le cui conseguenze l'affittuario ha assunte a suo carico, si verifica la perdita di almeno la metà dei frutti del fondo.
Art. 1649.
(Subaffitto).
Se il locatore consente il subaffitto, questo è considerato come locazione diretta tra il locatore e il nuovo affittuario.
Art. 1650.
(Morte dell'affittuario).
Nel caso di morte dell'affittuario, fermo quanto è disposto dall'art. 1627, il locatore può sostituirsi immediatamente agli eredi nella conduzione del fondo. In tal caso egli ha diritto di prelevare sul raccolto le spese erogate.
Art. 1651.
(Miglioramenti).
Se l'affittuario, senza essere autorizzato dal locatore, ha eseguito miglioramenti di durevole utilità per il fondo e per la produzione, il giudice può attribuirgli un'indennità, salvo che i miglioramenti siano il risultato dell'ordinata e razionale coltivazione.
La sussistenza dei miglioramenti deve essere accertata alla fine di ciascun anno agrario nel quale sono stati eseguiti, e l'indennità deve essere subito corrisposta.
La determinazione dell'indennità è fatta equamente dal giudice, tenuto conto del vantaggio che può risentire l'affittuario per l'incremento del reddito derivante dai miglioramenti. In ogni caso l'indennità per i miglioramenti di ciascuna annata non può essere superiore al quarto del fitto annuo.
Art. 1652.
(Anticipazioni all'affittuario).
Qualora l'affittuario non possa provvedere altrimenti, il locatore è tenuto ad anticipargli le sementi e le materie fertilizzanti e antiparassitarie necessarie per la coltivazione del fondo.
Il credito del locatore produce interessi in misura corrispondente al saggio legale.
Art. 1653.
(Sostituzione del locatore all'affittuario).
Qualora, per mancanza di mezzi dell'affittuario, si verifichino nella coltivazione deficienze tali che possano compromettere il raccolto, il locatore, dopo averne dato preavviso all'affituario, può sostituirsi a lui nell'esecuzione dei lavori necessari e urgenti, salvo il diritto di prelevare sul raccolto le spese erogate, e senza pregiudizio dell'applicabilità dell'art. 1618.
Art. 1654.
(Inderogabilità).
Le disposizioni che precedono sono inderogabili.
Capo VII.
Dell'appalto.
Art. 1655.
(Nozione).
L'appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.
Art. 1656.
(Subappalto).
L'appaltatore non può dare in subappalto l'esecuzione dell'opera o del servizio, se non è stato autorizzato dal committente.
Art. 1657.
(Determinazione del corrispettivo).
Se le parti non hanno determinato la misura del corrispettivo nè hanno stabilito il modo di determinarla, essa è calcolata con riferimento alle tariffe esistenti o agli usi; in mancanza, è determinata dal giudice.
Art. 1658.
(Fornitura della materia).
La materia necessaria a compiere l'opera deve essere fornita dall'appaltatore, se non è diversamente stabilito dalla convenzione o dagli usi.
Art. 1659.
(Variazioni concordate del progetto).
L'appaltatore non può apportare variazioni alle modalità convenute dell'opera se il committente non le ha autorizzate.
L'autorizzazione si deve provare per iscritto.
Anche quando le modificazioni sono state autorizzate, l'appaltatore, se il prezzo dell'intera opera è stato determinato globalmente, non ha diritto a compenso per le variazioni o per le aggiunte, salvo diversa pattuizione.
Art. 1660.
(Variazioni necessarie del progetto).
Se per l'esecuzione dell'opera a regola d'arte è necessario apportare variazioni al progetto e le parti non si accordano, spetta al giudice di determinare le variazioni da introdurre e le correlative variazioni del prezzo.
Se l'importo delle variazioni supera il sesto del prezzo complessivo convenuto, l'appaltatore può recedere dal contratto e può ottenere, secondo le circostanze, un'equa indennità.
Se le variazioni sono di notevole entità, il committente può recedere dal contratto ed è tenuto a corrispondere un equo indennizzo.
Art. 1661.
(Variazioni ordinate dal committente).
Il committente può apportare variazioni al progetto, purchè il loro ammontare non superi il sesto del prezzo complessivo convenuto. L'appaltatore ha diritto al compenso per i maggiori lavori eseguiti, anche se il prezzo dell'opera era stato determinato globalmente.
La disposizione del comma precedente non si applica quando le variazioni, pur essendo contenute nei limiti suddetti, importano notevoli modificazioni della natura dell'opera o dei quantitativi nelle singole categorie di lavori previste nel contratto per l'esecuzione dell'opera medesima.
Art. 1662.
(Verifica nel corso di esecuzione dell'opera).
Il committente ha diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne a proprie spese lo stato.
Quando, nel corso dell'opera, si accerta che la sua esecuzione non procede secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d'arte, il committente può fissare un congruo termine entro il quale l'appaltatore si deve conformare a tali condizioni; trascorso inutilmente il termine stabilito, il contratto è risoluto, salvo il diritto del committente al risarcimento del danno.
Art. 1663.
(Denuncia dei difetti della materia).
L'appaltatore è tenuto a dare pronto avviso al committente dei difetti della materia da questo fornita, se si scoprono nel corso dell'opera e possono comprometterne la regolare esecuzione.
Art. 1664.
(Onerosità o difficoltà dell'esecuzione).
Qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d'opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l'appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo. La revisione può esser accordata solo per quella differenza che eccede il decimo.
Se nel corso dell'opera si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendano notevolmente più onerosa la prestazione dell'appaltatore, questi ha diritto a un equo compenso.
Art. 1665.
(Verifica e pagamento dell'opera).
Il committente, prima di ricevere la consegna, ha diritto di verificare l'opera compiuta.
La verifica deve essere fatta dal committente appena l'appaltatore lo mette in condizione di poterla eseguire.
Se, nonostante l'invito fattogli dall'appaltatore, il committente tralascia di procedere alla verifica senza giusti motivi, ovvero non ne comunica il risultato entro un breve termine, l'opera si considera accettata.
Se il committente riceve senza riserve la consegna dell'opera, questa si considera accettata ancorchè non si sia proceduto alla verifica.
Salvo diversa pattuizione o uso contrario, l'appaltatore ha diritto al pagamento del corrispettivo quando l'opera è accettata dal committente.
Art. 1666.
(Verifica e pagamento di singole partite).
Se si tratta di opera da eseguire per partite, ciascuno dei contraenti può chiedere che la verifica avvenga per le singole partite. In tal caso l'appaltatore può domandare il pagamento in proporzione dell'opera eseguita.
Il pagamento fa presumere l'accettazione della parte di opera pagata; non produce questo effetto il versamento di semplici acconti.
Art. 1667.
(Difformità e vizi dell'opera).
L'appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell'opera. La garanzia non è dovuta se il committente ha accettato l'opera e le difformità o i vizi erano da lui conosciuti o erano riconoscibili, purchè, in questo caso, non siano stati in mala fede taciuti dall'appaltatore.
Il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all'appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta. La denunzia non è necessaria se l'appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati.
L'azione contro l'appaltatore si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell'opera. Il committente convenuto per il pagamento può sempre far valere la garanzia, purchè le difformità o i vizi siano stati denunziati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna.
Art. 1668.
(Contenuto della garanzia per difetti dell'opera).
Il committente può chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese dell'appaltatore, oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell'appaltatore.
Se però le difformità o i vizi dell'opera sono tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto.
Art. 1669.
(Rovina e difetti di cose immobili).
Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purchè sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta.
Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia.
Art. 1670.
(Responsabilità dei subappaltatori).
L'appaltatore, per agire in regresso nei confronti dei subappaltatori, deve, sotto pena di decadenza, comunicare ad essi la denunzia entro sessanta giorni dal ricevimento.
Art. 1671.
(Recesso unilaterale dal contratto).
Il committente può recedere dal contratto, anche se è stata iniziata l'esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio, purchè tenga indenne l'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno.
Art. 1672.
(Impossibilità di esecuzione dell'opera).
Se il contratto si scioglie perchè l'esecuzione dell'opera è divenuta impossibile in conseguenza di una causa non imputabile ad alcuna delle parti, il committente deve pagare la parte dell'opera già compiuta, nei limiti in cui è per lui utile, in proporzione del prezzo pattuito per l'opera intera.
Art. 1673.
(Perimento o deterioramento della cosa).
Se, per causa non imputabile ad alcuna delle parti, l'opera perisce o è deteriorata prima che sia accettata dal committente o prima che il committente sia in mora a verificarla, il perimento o il deterioramento è a carico dell'appaltatore, qualora questi abbia fornito la materia.
Se la materia è stata fornita in tutto o in parte dal committente, il perimento o il deterioramento dell'opera è a suo carico per quanto riguarda la materia da lui fornita, e per il resto è a carico dell'appaltatore.
Art. 1674.
(Morte dell'appaltatore).
Il contratto di appalto non si scioglie per la morte dell'appaltatore, salvo che la considerazione della sua persona sia stata motivo determinante del contratto. Il committente può sempre recedere dal contratto, se gli eredi dell'appaltatore non danno affidamento per la buona esecuzione dell'opera o del servizio.
Art. 1675.
(Diritti e obblighi degli eredi dell'appaltatore).
Nel caso di scioglimento del contratto per morte dell'appaltatore, il committente è tenuto a pagare agli eredi il valore delle opere eseguite, in ragione del prezzo pattuito, e a rimborsare le spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, ma solo nei limiti in cui le opere eseguite e le spese sostenute gli sono utili.
Il committente ha diritto di domandare la consegna, verso una congrua indennità, dei materiali preparati e dei piani in via di esecuzione, salve le norme che proteggono le opere dell'ingegno.
Art. 1676.
(Diritti degli ausiliari dell'appaltatore verso il committente).
Coloro che, alle dipendenze dell'appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l'opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l'appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda.
Art. 1677.
(Prestazione continuativa o periodica di servizi).
Se l'appalto ha per oggetto prestazioni continuative o periodiche di servizi, si osservano, in quanto compatibili, le norme di questo capo e quelle relative al contratto di somministrazione.
Capo VIII.
Del trasporto.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 1678.
(Nozione).
Col contratto di trasporto il vettore si obbliga, verso corrispettivo, a trasferire persone o cose da un luogo a un altro.
Art. 1679.
(Pubblici servizi di linea).
Coloro che per concessione amministrativa esercitano servizi di linea per il trasporto di persone o di cose sono obbligati ad accettare le richieste di trasporto che siano compatibili con i mezzi ordinari dell'impresa, secondo le condizioni generali stabilite o autorizzate nell'atto di concessione e rese note al pubblico.
I trasporti devono eseguirsi secondo l'ordine delle richieste; in caso di più richieste simultanee, deve essere preferita quella di percorso maggiore.
Se le condizioni generali ammettono speciali concessioni, il vettore è obbligato ad applicarle a parità di condizioni a chiunque ne faccia richiesta.
Salve le speciali concessioni ammesse dalle condizioni generali, qualunque deroga alle medesime è nulla, e alla clausola difforme è sostituita la norma delle condizioni generali.
Art. 1680.
(Limiti di applicabilità delle norme).
Le disposizioni di questo capo si applicano anche ai trasporti per via d'acqua o per via d'aria e a quelli ferroviari e postali, in quanto non siano derogate dal codice della navigazione e dalle leggi speciali.
Sezione II. -
Del trasporto di persone.
Art. 1681.
(Responsabilità del vettore).
Salva la responsabilità per il ritardo e per l'inadempimento nell'esecuzione del trasporto, il vettore risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio e della perdita o dell'avaria delle cose che il viaggiatore porta con sè, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.
Sono nulle le clausole che limitano la responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscono il viaggiatore.
Le norme di questo articolo si osservano anche nei contratti di trasporto gratuito.
Art. 1682.
(Responsabilità del vettore nei trasporti comulativi).
Nei trasporti cumulativi ciascun vettore risponde nell'ambito del proprio percorso.
Tuttavia il danno per il ritardo o per l'interruzione del viaggio si determina in ragione dell'intero percorso.
Sezione III. -
Del trasporto di cose.
Art. 1683.
(Indicazioni e documenti che devono essere forniti al vettore).
Il mittente deve indicare con esattezza al vettore il nome del destinatario e il luogo di destinazione, la natura, il peso, la quantità e il numero delle cose da trasportare e gli altri estremi necessari per eseguire il trasporto.
Se per l'esecuzione del trasporto occorrono particolari documenti, il mittente deve rimetterli al vettore all'atto in cui consegna le cose da trasportare.
Sono a carico del mittente i danni che derivano dall'omissione o dall'inesattezza delle indicazioni o dalla mancata consegna o irregolarità dei documenti.
Art. 1684.
(Lettera di vettura e ricevuta di carico).
Su richiesta del vettore, il mittente deve rilasciare una lettera di vettura con la propria sottoscrizione, contenente le indicazioni enunciate nell'articolo precedente e le condizioni convenute per il trasporto.
Su richiesta del mittente, il vettore deve rilasciare un duplicato della lettera di vettura con la propria sottoscrizione o, se non gli è stata rilasciata lettera di vettura, una ricevuta di carico, con le stesse indicazioni.
Salvo contrarie disposizioni di legge, il duplicato della lettera di vettura e la ricevuta di carico possono essere rilasciate con la clausola «all'ordine».
Art. 1685.
(Diritti del mittente).
Il mittente può sospendere il trasporto e chiedere la restituzione delle cose, ovvero ordinarne la consegna a un destinatario diverso da quello originariamente indicato o anche disporre diversamente, salvo l'obbligo di rimborsare le spese e di risarcire i danni derivanti dal contrordine.
Qualora dal vettore sia stato rilasciato al mittente un duplicato della lettera di vettura o una ricevuta di carico, il mittente non può disporre delle cose consegnate per il trasporto, se non esibisce al vettore il duplicato o la ricevuta per farvi annotare le nuove indicazioni. Queste devono essere sottoscritte dal vettore.
Il mittente non può disporre delle cose trasportate dal momento in cui esse sono passate a disposizione del destinatario.
Art. 1686.
(Impedimenti e ritardi nell'esecuzione del trasporto).
Se l'inizio o la continuazione del trasporto sono impediti o soverchiamente ritardati per causa non imputabile al vettore, questi deve chiedere immediatamente istruzioni al mittente, provvedendo alla custodia delle cose consegnategli.
Se le circostanze rendono impossibile la richiesta di istruzioni al mittente o se le istruzioni non sono attuabili, il vettore può depositare le cose a norma dell'art. 1514, o, se sono soggette a rapido deterioramento, può farle vendere a norma dell'art. 1515. Il vettore deve informare prontamente il mittente del deposito o della vendita.
Il vettore ha diritto al rimborso delle spese. Se il trasporto è stato iniziato, egli ha diritto anche al pagamento del prezzo in proporzione del percorso compiuto, salvo che l'interruzione del trasporto sia dovuta alla perdita totale delle cose derivante da caso fortuito.
Art. 1687.
(Riconsegna delle merci).
Il vettore deve mettere le cose trasportate a disposizione del destinatario nel luogo, nel termine e con le modalità indicati dal contratto o, in mancanza, dagli usi.
Se la riconsegna non deve eseguirsi presso il destinatario, il vettore deve dargli prontamente avviso dell'arrivo delle cose trasportate.
Se dal mittente è stata rilasciata una lettera di vettura, il vettore deve esibirla al destinatario.
Art. 1688.
(Termine di resa).
Il termine di resa, quando sono indicati più termini parziali, è determinato dalla somma di questi.
Art. 1689.
(Diritti del destinatario).
I diritti nascenti dal contratto di trasporto verso il vettore spettano al destinatario dal momento in cui, arrivate le cose a destinazione o scaduto il termine in cui sarebbero dovute arrivare, il destinatario ne richiede la riconsegna al vettore.
Il destinatario non può esercitare i diritti nascenti dal contratto se non verso pagamento al vettore dei crediti derivanti dal trasporto e degli assegni da cui le cose trasportate sono gravate. Nel caso in cui l'ammontare delle somme dovute sia controverso, il destinatario deve depositare la differenza contestata presso un istituto di credito.
Art. 1690.
(Impedimenti alla riconsegna).
Se il destinatario è irreperibile ovvero rifiuta o ritarda a chiedere la riconsegna delle cose trasportate, il vettore deve domandare immediatamente istruzioni al mittente e si applicano le disposizioni dell'art. 1686.
Se sorge controversia tra più destinatari o circa il diritto del destinatario alla riconsegna o circa l'esecuzione di questa, ovvero se il destinatario ritarda a ricevere le cose trasportate, il vettore può depositarle a norma dell'art. 1514 o, se sono soggette a rapido deterioramento, può farle vendere a norma dell'art. 1515 per conto dell'avente diritto. Il vettore deve informare prontamente il mittente del deposito o della vendita.
Art. 1691.
(Lettera di vettura o ricevuta di carico all'ordine).
Se il vettore ha rilasciato al mittente un duplicato della lettera di vettura all'ordine o la ricevuta di carico all'ordine, i diritti nascenti dal contratto verso il vettore si trasferiscono mediante girata del titolo.
In tal caso il vettore è esonerato dall'obbligo di dare avviso dell'arrivo delle cose trasportate, salvo che sia stato indicato un domiciliatario nel luogo di destinazione, e l'indicazione risulti dal duplicato della lettera di vettura o dalla ricevuta di carico.
Il possessore del duplicato della lettera di vettura all'ordine o della ricevuta di carico all'ordine, deve restituire il titolo al vettore all'atto della riconsegna delle cose trasportate.
Art. 1692.
(Responsabilità del vettore nei confronti del mittente).
Il vettore che esegue la riconsegna al destinatario senza riscuotere i propri crediti o gli assegni da cui è gravata la cosa, o senza esigere il deposito della somma controversa, è responsabile verso il mittente dell'importo degli assegni dovuti al medesimo e non può rivolgersi a quest'ultimo per il pagamento dei propri crediti, salva l'azione verso il destinatario.
Art. 1693.
(Responsabilità per perdita e avaria).
Il vettore è responsabile della perdita e dell'avaria delle cose consegnategli per il trasporto, dal momento in cui le riceve a quello in cui le riconsegna al destinatario, se non prova che la perdita o l'avaria è derivata da caso fortuito, dalla natura o dai vizi delle cose stesse o del loro imballaggio, o dal fatto del mittente o da quello del destinatario.
Se il vettore accetta le cose da trasportare senza riserve, si presume che le cose stesse non presentino vizi apparenti d'imballaggio.
Art. 1694.
(Presunzioni di fortuito).
Sono valide le clausole che stabiliscono presunzioni di caso fortuito per eventi che normalmente, in relazione ai mezzi e alle condizioni del trasporto, dipendono da caso fortuito.
Art. 1695.
(Calo naturale).
Per le cose che, data la loro particolare natura, sono soggette durante il trasporto a diminuzione nel peso o nella misura, il vettore risponde solo delle diminuzioni che oltrepassano il calo naturale, a meno che il mittente o il destinatario provi che la diminuzione non è avvenuta in conseguenza della natura delle cose o che per le circostanze del caso non poteva giungere alla misura accertata.
Si deve tener conto del calo separatamente per ogni collo.
Art. 1696.
(Calcolo del danno in caso di perdita o di avaria).
Il danno derivante da perdita o da avaria si calcola secondo il prezzo corrente delle cose trasportate nel luogo e nel tempo della riconsegna.
Art. 1697.
(Accertamento della perdita e dell'avaria).
Il destinatario ha diritto di fare accertare a sue spese, prima della riconsegna, l'identità e lo stato delle cose trasportate.
Se la perdita o l'avaria esiste, il vettore deve rimborsargli le spese.
Salvo diverse disposizioni della legge, la perdita e l'avaria si accertano nei modi stabiliti dall'art. 696 del codice di procedura civile.
Art. 1698.
(Estinzione dell'azione nei confronti del vettore).
Il ricevimento senza riserve delle cose trasportate col pagamento di quanto è dovuto al vettore estingue le azioni derivanti dal contratto, tranne il caso di dolo o colpa grave del vettore. Sono salve le azioni per perdita parziale o per avaria non riconoscibili al momento della riconsegna, purchè in quest'ultimo caso il danno sia denunziato appena conosciuto e non oltre otto giorni dopo il ricevimento.
Art. 1699.
(Trasporto con rispedizione della merce).
Se il vettore si obbliga di far proseguire le cose trasportate, oltre le proprie linee, per mezzo di vettori successivi, senza farsi rilasciare dal mittente una lettera di vettura diretta fino al luogo di destinazione, si presume che egli assuma, per il trasporto oltre le proprie linee, gli obblighi di uno spedizioniere.
Art. 1700.
(Trasporto cumulativo).
Nei trasporti che sono assunti cumulativamente da più vettori successivi con unico contratto, i vettori rispondono in solido per l'esecuzione del contratto dal luogo originario di partenza fino al luogo di destinazione.
Il vettore chiamato a rispondere di un fatto non proprio può agire in regresso contro gli altri vettori, singolarmente o cumulativamente. Se risulta che il fatto dannoso è avvenuto nel percorso di uno dei vettori, questi è tenuto al risarcimento integrale; in caso contrario, al risarcimento sono tenuti tutti i vettori in parti proporzionali ai percorsi, esclusi quei vettori che provino che il danno non è avvenuto nel proprio percorso.
Art. 1701.
(Diritto di accertamento dei vettori successivi).
I vettori successivi hanno diritto di far dichiarare, nella lettera di vettura o in atto separato, lo stato delle cose da trasportare al momento in cui sono loro consegnate. In mancanza di dichiarazione, si presume che le abbiano ricevute in buono stato e conformi alla lettera di vettura.
Art. 1702.
(Riscossione dei crediti da parte dell'ultimo vettore).
L'ultimo vettore rappresenta i vettori precedenti per la riscossione dei rispettivi crediti che nascono dal contratto di trasporto e per l'esercizio del privilegio sulle cose trasportate.
Se egli omette tale riscossione o l'esercizio del privilegio, è responsabile verso i vettori precedenti per le somme loro dovute, salva l'azione contro il destinatario.
Capo IX.
Del mandato.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 1703.
(Nozione).
Il mandato è il contratto col quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell'altra.
Art. 1704.
(Mandato con rappresentanza).
Se al mandatario è stato conferito il potere di agire in nome del mandante, si applicano anche le norme del capo VI del titolo II di questo libro.
Art. 1705.
(Mandato senza rappresentanza).
Il mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato.
I terzi non hanno alcun rapporto col mandante. Tuttavia il mandante, sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato, salvo che ciò possa pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario dalle disposizioni degli articoli che seguono.
Art. 1706.
(Acquisti del mandatario).
Il mandante può rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome proprio, salvi i diritti acquistati dai terzi per effetto del possesso di buona fede.
Se le cose acquistate dal mandatario sono beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, il mandatario è obbligato a trasferirle al mandante. In caso d'inadempimento, si osservano le norme relative all'esecuzione dell'obbligo di contrarre.
Art. 1707.
(Creditori del mandatario).
I creditori del mandatario non possono far valere le loro ragioni sui beni che, in esecuzione del mandato, il mandatario ha acquistati in nome proprio, purchè, trattandosi di beni mobili o di crediti, il mandato risulti da scrittura avente data certa anteriore al pignoramento, ovvero, trattandosi di beni immobili o di beni mobili iscritti in pubblici registri, sia anteriore al pignoramento la trascrizione dell'atto di ritrasferimento o della domanda giudiziale diretta a conseguirlo.
Art. 1708.
(Contenuto del mandato).
Il mandato comprende non solo gli atti per i quali è stato conferito, ma anche quelli che sono necessari al loro compimento.
Il mandato generale non comprende gli atti che eccedono l'ordinaria amministrazione, se non sono indicati espressamente.
Art. 1709.
(Presunzione di onerosità).
Il mandato si presume oneroso. La misura del compenso, se non è stabilita dalle parti, è determinata in base alle tariffe professionali o agli usi; in mancanza è determinata dal giudice.
§ 1. -
Delle obbligazioni del mandatario.
Art. 1710.
(Diligenza del mandatario).
Il mandatario è tenuto a eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia; ma se il mandato è gratuito, la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore.
Il mandatario è tenuto a rendere note al mandante le circostanze sopravvenute che possono determinare la revoca o la modificazione del mandato.
Art. 1711.
(Limiti del mandato).
Il mandatario non può eccedere i limiti fissati nel mandato. L'atto che esorbita dal mandato resta a carico del mandatario, se il mandante non lo ratifica.
Il mandatario può discostarsi dalle istruzioni ricevute qualora circostanze ignote al mandante, e tali che non possano essergli comunicate in tempo, facciano ragionevolmente ritenere che lo stesso mandante avrebbe dato la sua approvazione.
Art. 1712.
(Comunicazione dell'eseguito mandato).
Il mandatario deve senza ritardo comunicare al mandante l'esecuzione del mandato.
Il ritardo del mandante a rispondere dopo aver ricevuto tale comunicazione, per un tempo superiore a quello richiesto dalla natura dell'affare o dagli usi, importa approvazione, anche se il mandatario si è discostato dalle istruzioni o ha ecceduto i limiti del mandato.
Art. 1713.
(Obbligo di rendiconto).
Il mandatario deve rendere al mandante il conto del suo operato e rimettergli tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato.
La dispensa preventiva dall'obbligo di rendiconto non ha effetto nei casi in cui il mandatario deve rispondere per dolo o per colpa grave.
Art. 1714.
(Interessi sulle somme riscosse).
Il mandatario deve corrispondere al mandante gli interessi legali sulle somme riscosse per conto del mandante stesso, con decorrenza dal giorno in cui avrebbe dovuto fargliene la consegna o la spedizione ovvero impiegarle secondo le istruzioni ricevute.
Art. 1715.
(Responsabilità per le obbligazioni dei terzi).
In mancanza di patto contrario, il mandatario che agisce in proprio nome non risponde verso il mandante dell'adempimento delle obbligazioni assunte dalle persone con le quali ha contrattato, tranne il caso che l'insolvenza di queste gli fosse o dovesse essergli nota all'atto della conclusione del contratto.
Art. 1716.
(Pluralità di mandatari).
Salvo patto contrario, il mandato conferito a più persone designate a operare congiuntamente non ha effetto, se non è accettato da tutte.
Se nel mandato non è dichiarato che i mandatari devono agire congiuntamente, ciascuno di essi può concludere l'affare. In questo caso il mandante, appena avvertito della conclusione, deve darne notizia agli altri mandatari; in mancanza è tenuto a risarcire i danni derivanti dall'omissione o dal ritardo.
Se più mandatari hanno comunque operato congiuntamente, essi sono obbligati in solido verso il mandante.
Art. 1717.
(Sostituto del mandatario).
Il mandatario che, nell'esecuzione del mandato, sostituisce altri a se stesso, senza esservi autorizzato o senza che ciò sia necessario per la natura dell'incarico, risponde dell'operato della persona sostituita.
Se il mandante aveva autorizzato la sostituzione senza indicare la persona, il mandatario risponde soltanto quando è in colpa nella scelta.
Il mandatario risponde delle istruzioni che ha impartite al sostituto.
Il mandante può agire direttamente contro la persona sostituita dal mandatario.
Art. 1718.
(Custodia delle cose e tutela dei diritti del mandante).
Il mandatario deve provvedere alla custodia delle cose che gli sono state spedite per conto del mandante e tutelare i diritti di quest'ultimo di fronte al vettore, se le cose presentano segni di deterioramento o sono giunte con ritardo.
Se vi è urgenza, il mandatario può procedere alla vendita delle cose a norma dell'art. 1515.
Di questi fatti, come pure del mancato arrivo della merce, egli deve dare immediato avviso al mandante.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche se il mandatario non accetta l'incarico conferitogli dal mandante, sempre che tale incarico rientri nell'attività professionale del mandatario.
§ 2. -
Delle obbligazioni del mandante.
Art. 1719.
(Mezzi necessari per l'esecuzione del mandato).
Il mandante, salvo patto contrario, è tenuto a somministrare al mandatario i mezzi necessari per l'esecuzione del mandato e per l'adempimento delle obbligazioni che a tal fine il mandatario ha contratte in proprio nome.
Art. 1720.
(Spese e compenso del mandatario).
Il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni, con gli interessi legali dal giorno in cui sono state fatte, e deve pagargli il compenso che gli spetta.
Il mandante deve inoltre risarcire i danni che il mandatario ha subiti a causa dell'incarico.
Art. 1721.
(Diritto del mandatario sui crediti).
Il mandatario ha diritto di soddisfarsi sui crediti pecuniari sorti dagli affari che ha conclusi, con precedenza sul mandante e sui creditori di questo.
§ 3. -
Dell'estinzione del mandato.
Art. 1722.
(Cause di estinzione).
Il mandato si estingue: 1) per la scadenza del termine o per il compimento, da parte del mandatario, dell'affare per il quale è stato conferito; 2) per revoca da parte del mandante; 3) per rinunzia del mandatario; 4) per la morte, l'interdizione o l'inabilitazione del mandante o del mandatario. Tuttavia il mandato che ha per oggetto il compimento di atti relativi all'esercizio di un'impresa non si estingue, se l'esercizio dell'impresa è continuato, salvo il diritto di recesso delle parti o degli eredi.
Art. 1723.
(Revocabilità del mandato).
Il mandante può revocare il mandato; ma, se era stata pattuita l'irrevocabilità, risponde dei danni, salvo che ricorra una giusta causa.
Il mandato conferito anche nell'interesse del mandatario o di terzi non si estingue per revoca da parte del mandante, salvo che sia diversamente stabilito o ricorra una giusta causa di revoca; non si estingue per la morte o per la sopravvenuta incapacità del mandante.
Art. 1724.
(Revoca tacita).
La nomina di un nuovo mandatario per lo stesso affare o il compimento di questo da parte del mandante importano revoca del mandato, e producono effetto dal giorno in cui sono stati comunicati al mandatario.
Art. 1725.
(Revoca del mandato oneroso).
La revoca del mandato oneroso, conferito per un tempo determinato o per un determinato affare, obbliga il mandante a risarcire i danni, se è fatta prima della scadenza del termine o del compimento dell'affare, salvo che ricorra una giusta causa.
Se il mandato è a tempo indeterminato, la revoca obbliga il mandante al risarcimento, qualora non sia dato un congruo preavviso, salvo che ricorra una giusta causa.
Art. 1726.
(Revoca del mandato collettivo).
Se il mandato è stato conferito da più persone con unico atto e per un affare d'interesse comune, la revoca non ha effetto qualora non sia fatta da tutti i mandanti, salvo che ricorra una giusta causa.
Art. 1727.
(Rinunzia del mandatario).
Il mandatario che rinunzia senza giusta causa al mandato deve risarcire i danni al mandante. Se il mandato è a tempo indeterminato, il mandatario che rinunzia senza giusta causa è tenuto al risarcimento, qualora non abbia dato un congruo preavviso.
In ogni caso la rinunzia deve essere fatta in modo e in tempo tali che il mandante possa provvedere altrimenti, salvo il caso d'impedimento grave da parte del mandatario.
Art. 1728.
(Morte o incapacità del mandante o del mandatario).
Quando il mandato si estingue per morte o per incapacità sopravvenuta del mandante, il mandatario che ha iniziato l'esecuzione deve continuarla, se vi è pericolo nel ritardo.
Quando il mandato si estingue per morte o per sopravvenuta incapacità del mandatario, i suoi eredi ovvero colui che lo rappresenta o lo assiste, se hanno conoscenza del mandato, devono avvertire prontamente il mandante e prendere intanto nell'interesse di questo i provvedimenti richiesti dalle circostanze.
Art. 1729.
(Mancata conoscenza della causa di estinzione).
Gli atti che il mandatario ha compiuti prima di conoscere l'estinzione del mandato sono validi nei confronti del mandante o dei suoi eredi.
Art. 1730.
(Estinzione del mandato conferito a più mandatari).
Salvo patto contrario, il mandato conferito a più persone designate a operare congiuntamente si estingue anche se la causa di estinzione concerne uno solo dei mandatari.
Sezione II. -
Della commissione.
Art. 1731.
(Nozione).
Il contratto di commissione è un mandato che ha per oggetto l'acquisto o la vendita di beni per conto del committente e in nome del commissionario.
Art. 1732.
(Operazioni a fido).
Il commissionario si presume autorizzato a concedere dilazioni di pagamento in conformità degli usi del luogo in cui compie l'operazione, se il committente non ha disposto altrimenti.
Se il commissionario concede dilazioni di pagamento, malgrado il divieto del committente o quando non è autorizzato dagli usi, il committente può esigere da lui il pagamento immediato, salvo il diritto del commissionario di far propri i vantaggi che derivano dalla concessa dilazione.
Il commissionario che ha concesso dilazioni di pagamento deve indicare al committente la persona del contraente e il termine concesso; altrimenti l'operazione si considera fatta senza dilazione e si applica il disposto del comma precedente.
Art. 1733.
(Misura della provvigione).
La misura della provvigione spettante al commissionario, se non è stabilita dalle parti, si determina secondo gli usi del luogo in cui è compiuto l'affare. In mancanza di usi provvede il giudice secondo equità.
Art. 1734.
(Revoca della commissione).
Il committente può revocare l'ordine di concludere l'affare fino a che il commissionario non l'abbia concluso. In tal caso spetta al commissionario una parte della provvigione, che si determina tenendo conto delle spese sostenute e dell'opera prestata.
Art. 1735.
(Commissionario contraente in proprio).
Nella commissione di compera o di vendita di titoli, divise o merci aventi un prezzo corrente che risulti nei modi indicati dal terzo comma dell'art. 1515, se il committente non ha diversamente disposto, il commissionario può fornire al prezzo suddetto le cose che deve comprare, o può acquistare per sè le cose che deve vendere, salvo, in ogni caso, il suo diritto alla provvigione.
Anche quando il committente ha fissato il prezzo, il commissionario che acquista per sè non può praticare un prezzo inferiore a quello corrente nel giorno in cui compie l'operazione, se questo è superiore al prezzo fissato dal committente; e il commissionario che fornisce le cose che deve comprare non può praticare un prezzo superiore a quello corrente, se questo è inferiore al prezzo fissato dal committente.
Art. 1736.
(Star del credere).
Il commissionario che, in virtù di patto o di uso, è tenuto allo «star del credere» risponde nei confronti del committente per l'esecuzione dell'affare. In tal caso ha diritto, oltre che alla provvigione, a un compenso o a una maggiore provvigione, la quale, in mancanza di patto, si determina secondo gli usi del luogo in cui è compiuto l'affare. In mancanza di usi, provvede il giudice secondo equità.
Sezione III. -
Della spedizione.
Art. 1737.
(Nozione).
Il contratto di spedizione è un mandato col quale lo spedizioniere assume l'obbligo di concludere, in nome proprio e per conto del mandante, un contratto di trasporto e di compiere le operazioni accessorie.
Art. 1738.
(Revoca).
Finchè lo spedizioniere non abbia concluso il contratto di trasporto col vettore, il mittente può revocare l'ordine di spedizione, rimborsando lo spedizioniere delle spese sostenute e corrispondendogli un equo compenso per l'attività prestata.
Art. 1739.
(Obblighi dello spedizioniere).
Nella scelta della via, del mezzo e delle modalità di trasporto della merce, lo spedizioniere è tenuto a osservare le istruzioni del committente e, in mancanza, a operare secondo il migliore interesse del medesimo.
Salvo che gli sia stato diversamente ordinato e salvi gli usi contrari, lo spedizioniere non ha obbligo di provvedere all'assicurazione delle cose spedite.
I premi, gli abbuoni e i vantaggi di tariffa ottenuti dallo spedizioniere devono essere accreditati al committente, salvo patto contrario.
Art. 1740.
(Diritti dello spedizioniere).
La misura della retribuzione dovuta allo spedizioniere per l'esecuzione dell'incarico si determina, in mancanza di convenzione, secondo le tariffe professionali o, in mancanza, secondo gli usi del luogo in cui avviene la spedizione.
Le spese anticipate e i compensi per le prestazioni accessorie eseguite dallo spedizioniere sono liquidati sulla base dei documenti giustificativi, a meno che il rimborso e i compensi siano stati preventivamente convenuti in una somma globale unitaria.
Art. 1741.
(Spedizioniere vettore).
Lo spedizioniere che con mezzi propri o altrui assume l'esecuzione del trasporto in tutto o in parte, ha gli obblighi e i diritti del vettore.
Capo X.
Del contratto di agenzia.
Art. 1742.
(Nozione).
Col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata.
Art. 1743.
(Diritto di esclusiva).
Il preponente non può valersi contemporaneamente di più agenti nella stessa zona e per lo stesso ramo di attività, nè l'agente può assumere l'incarico di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza tra loro.
Art. 1744.
(Riscossioni).
L'agente non ha facoltà di riscuotere i crediti del preponente. Se questa facoltà gli è stata attribuita, egli non può concedere sconti o dilazioni senza speciale autorizzazione.
Art. 1745.
(Rappresentanza dell'agente).
Le dichiarazioni che riguardano l'esecuzione del contratto concluso per il tramite dell'agente e i reclami relativi alle inadempienze contrattuali sono validamente fatti all'agente.
L'agente può chiedere i provvedimenti cautelari nell'interesse del preponente e presentare i reclami che sono necessari per la conservazione dei diritti spettanti a quest'ultimo.
Art. 1746.
(Obblighi dell'agente).
L'agente deve adempiere l'incarico affidatogli in conformità delle istruzioni ricevute e fornire al preponente le informazioni riguardanti le condizioni del mercato nella zona assegnatagli, e ogni altra informazione utile per valutare la convenienza dei singoli affari.
Egli deve altresì osservare gli obblighi che incombono al commissionario, in quanto non siano esclusi dalla natura del contratto di agenzia.
Art. 1747.
(Impedimento dell'agente).
L'agente che non è in grado di eseguire l'incarico affidatogli deve dare immediato avviso al preponente. In mancanza è obbligato al risarcimento del danno.
Art. 1748.
(Diritti dell'agente).
L'agente ha diritto alla provvigione solo per gli affari che hanno avuto regolare esecuzione. Se l'affare ha avuto esecuzione parziale, la provvigione spetta all'agente in proporzione della parte eseguita.
La provvigione è dovuta anche per gli affari conclusi direttamente dal preponente, che devono avere esecuzione nella zona riservata all'agente, salvo che sia diversamente pattuito.
L'agente non ha diritto al rimborso delle spese di agenzia.
Art. 1749.
(Mancata esecuzione del contratto).
La provvigione spetta all'agente anche per gli affari che non hanno avuto esecuzione per causa imputabile al preponente.
Se il preponente e il terzo si accordano per non dare, in tutto o in parte, esecuzione al contratto, l'agente ha diritto, per la parte ineseguita, ad una provvigione ridotta nella misura determinata dalle norme corporative, dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità.
Art. 1750.
(Recesso dal contratto).
Se il contratto di agenzia è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dandone preavviso all'altra nel termine stabilito dalle norme corporative o dagli usi.
Il termine di preavviso può essere sostituito dal pagamento di una corrispondente indennità.
Art. 1751.
(Indennità per lo scioglimento del contratto).
Se il contratto a tempo indeterminato si scioglie per fatto non imputabile all'agente, il preponente è tenuto a corrispondergli un'indennità proporzionale all'ammontare delle provvigioni liquidategli nel corso del contratto e nella misura stabilita dalle norme corporative, dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità.
Da tale indennità deve detrarsi quanto l'agente ha diritto di ottenere per effetto di atti di previdenza volontariamente compiuti dal preponente.
L'indennità è dovuta anche se il rapporto di agenzia è sciolto per invalidità permanente e totale dell'agente.
Nel caso di morte dell'agente l'indennità spetta agli eredi.
Art. 1752.
(Agente con rappresentanza).
Le disposizioni del presente capo si applicano anche nell'ipotesi in cui all'agente è conferita dal preponente la rappresentanza per la conclusione dei contratti.
Art. 1753.
(Agenti di assicurazione).
Le disposizioni di questo capo sono applicabili anche agli agenti di assicurazione, in quanto non siano derogate dalle norme corporative o dagli usi e in quanto siano compatibili con la natura dell'attività assicurativa.
Capo XI.
Della mediazione.
Art. 1754.
(Mediatore).
E` mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza.
Art. 1755.
(Provvigione).
Il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l'affare è concluso per effetto del suo intervento.
La misura della provvigione e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti, in mancanza di patto, di tariffe professionali o di usi, sono determinate dal giudice secondo equità.
Art. 1756.
(Rimborso delle spese).
Salvo patti o usi contrari, il mediatore ha diritto al rimborso delle spese nei confronti della persona per incarico della quale sono state eseguite anche se l'affare non è stato concluso.
Art. 1757.
(Provvigione nei contratti condizionali o invalidi).
Se il contratto è sottoposto a condizione sospensiva, il diritto alla provvigione sorge nel momento in cui si verifica la condizione.
Se il contratto è sottoposto a condizione risolutiva, il diritto alla provvigione non viene meno col verificarsi della condizione.
La disposizione del comma precedente si applica anche quando il contratto è annullabile o rescindibile, se il mediatore non conosceva la causa d'invalidità.
Art. 1758.
(Pluralità di mediatori).
Se l'affare è concluso per l'intervento di più mediatori, ciascuno di essi ha diritto a una quota della provvigione.
Art. 1759.
(Responsabilità del mediatore).
Il mediatore deve comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso.
Il mediatore risponde dell'autenticità della sottoscrizione delle scritture e dell'ultima girata dei titoli trasmessi per il suo tramite.
Art. 1760.
(Obblighi del mediatore professionale).
Il mediatore professionale in affari su merci o su titoli deve: 1) conservare i campioni delle merci vendute sopra campione, finchè sussista la possibilità di controversia sull'identità della merce; 2) rilasciare al compratore una lista firmata dei titoli negoziati, con l'indicazione della serie e del numero; 3) annotare su apposito libro gli estremi essenziali del contratto che si stipula col suo intervento e rilasciare alle parti copia da lui sottoscritta di ogni annotazione.
Art. 1761.
(Rappresentanza del mediatore).
Il mediatore può essere incaricato da una delle parti di rappresentarla negli atti relativi all'esecuzione del contratto concluso con il suo intervento.
Art. 1762.
(Contraente non nominato).
Il mediatore che non manifesta a un contraente il nome dell'altro risponde dell'esecuzione del contratto e, quando lo ha eseguito, subentra nei diritti verso il contraente non nominato.
Se dopo la conclusione del contratto il contraente non nominato si manifesta all'altra parte o è nominato dal mediatore, ciascuno dei contraenti può agire direttamente contro l'altro, ferma restando la responsabilità del mediatore.
Art. 1763.
(Fideiussione del mediatore).
Il mediatore può prestare fideiussione per una delle parti.
Art. 1764.
(Sanzioni).
Il mediatore che non adempie gli obblighi imposti dall'art. 1760 è punito con l'ammenda da lire cinquanta a lire cinquemila.
Nei casi più gravi può essere aggiunta la sospensione dalla professione fino a sei mesi.
Alle stesse pene è soggetto il mediatore che presta la sua attività nell'interesse di persona notoriamente insolvente o della quale conosce lo stato d'incapacità.
Art. 1765.
(Leggi speciali).
Sono salve le disposizioni delle leggi speciali.
Capo XII.
Del deposito.
Sezione I. -
Del deposito in generale.
Art. 1766.
(Nozione).
Il deposito è il contratto col quale una parte riceve dall'altra una cosa mobile con l'obbligo di custodirla e di restituirla in natura.
Art. 1767.
(Presunzione di gratuità).
Il deposito si presume gratuito, salvo che dalla qualità professionale del depositario o da altre circostanze si debba desumere una diversa volontà delle parti.
Art. 1768.
(Diligenza nella custodia).
Il depositario deve usare nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia.
Se il deposito è gratuito, la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore.
Art. 1769.
(Responsabilità del depositario incapace).
Il depositario incapace è responsabile della conservazione della cosa nei limiti in cui può essere tenuto a rispondere per fatti illeciti. In ogni caso il depositante ha diritto di conseguire la restituzione della cosa finchè questa si trova presso il depositario; altrimenti può pretendere il rimborso di ciò che sia stato rivolto a vantaggio di quest'ultimo.
Art. 1770.
(Modalità della custodia).
Il depositario non può servirsi della cosa depositata nè darla in deposito ad altri, senza il consenso del depositante.
Se circostanze urgenti lo richiedono, il depositario può esercitare la custodia in modo diverso da quello convenuto, dandone avviso al depositante appena è possibile.
Art. 1771.
(Richiesta di restituzione e obbligo di ritirare la cosa).
Il depositario deve restituire la cosa appena il depositante la richiede, salvo che sia convenuto un termine nell'interesse del depositario.
Il depositario può richiedere in qualunque tempo che il depositante riprenda la cosa, salvo che sia convenuto un termine nell'interesse del depositante. Anche se non è stato convenuto un termine, il giudice può concedere al depositante un termine congruo per ricevere la cosa.
Art. 1772.
(Pluralità di depositanti e di depositari).
Se più sono i depositanti di una cosa ed essi non si accordano circa la restituzione, questa deve farsi secondo le modalità stabilite dall'autorità giudiziaria.
La stessa norma si applica quando a un solo depositante succedono più eredi, se la cosa non è divisibile.
Se più sono i depositari, il depositante ha facoltà di chiedere la restituzione a quello tra essi che detiene la cosa. Questi deve darne pronta notizia agli altri.
Art. 1773.
(Terzo interessato nel deposito).
Se la cosa è stata depositata anche nell'interesse di un terzo e questi ha comunicato al depositante e al depositario la sua adesione, il depositario non può liberarsi restituendo la cosa al depositante senza il consenso del terzo.
Art. 1774.
(Luogo di restituzione e spese relative).
Salvo diversa convenzione, la restituzione della cosa deve farsi nel luogo in cui doveva essere custodita.
Le spese per la restituzione sono a carico del depositante.
Art. 1775.
(Restituzione dei frutti).
Il depositario è obbligato a restituire i frutti della cosa che egli abbia percepiti.
Art. 1776.
(Obblighi dell'erede del depositario).
L'erede del depositario, il quale ha alienato in buona fede la cosa che ignorava essere tenuta in deposito, è obbligato soltanto a restituire il corrispettivo ricevuto. Se questo non è stato ancora pagato, il depositante subentra nel diritto dell'alienante.
Art. 1777.
(Persona a cui deve essere restituita la cosa).
Il depositario deve restituire la cosa al depositante o alla persona indicata per riceverla, e non può esigere che il depositante provi di esserne proprietario.
Se è convenuto in giudizio da chi rivendica la proprietà della cosa o pretende di avere diritti su di essa, deve, sotto pena del risarcimento del danno, denunziare la controversia al depositante, e può ottenere di essere estromesso dal giudizio indicando la persona del medesimo. In questo caso egli può anche liberarsi dall'obbligo di restituire la cosa, depositandola, nei modi stabiliti dal giudice, a spese del depositante.
Art. 1778.
(Cosa proveniente da reato).
Il depositario, se scopre che la cosa proviene da un reato e gli è nota la persona alla quale è stata sottratta, deve denunziarle il deposito fatto presso di sè.
Il depositario è liberato se restituisce la cosa al depositante decorsi dieci giorni dalla denunzia senza che gli sia stata notificata opposizione.
Art. 1779.
(Cosa propria del depositario).
Il depositario è liberato da ogni obbligazione, se risulta che la cosa gli appartiene e che il depositante non ha su di essa alcun diritto.
Art. 1780.
(Perdita non imputabile della detenzione della cosa).
Se la detenzione della cosa è tolta al depositario in conseguenza di un fatto a lui non imputabile, egli è liberato dall'obbligazione di restituire la cosa, ma deve, sotto pena di risarcimento del danno, denunziare immediatamente al depositante il fatto per cui ha perduto la detenzione.
Il depositante ha diritto di ricevere ciò che, in conseguenza del fatto stesso, il depositario abbia conseguito, e subentra nei diritti spettanti a quest'ultimo.
Art. 1781.
(Diritti del depositario).
Il depositante è obbligato a rimborsare il depositario delle spese fatte per conservare la cosa, a tenerlo indenne delle perdite cagionate dal deposito e a pagargli il compenso pattuito.
Art. 1782.
(Deposito irregolare).
Se il deposito ha per oggetto una quantità di danaro o di altre cose fungibili, con facoltà per il depositario di servirsene, questi ne acquista la proprietà ed è tenuto a restituirne altrettante della stessa specie e qualità.
In tal caso si osservano, in quanto applicabili, le norme relative al mutuo.
Sezione II. -
Del deposito in albergo.
Art. 1783.
(Responsabilità per le cose consegnate).
Gli albergatori sono obbligati come depositari per le cose che i clienti hanno consegnate loro in custodia.
Art. 1784.
(Responsabilità per le cose portate in albergo).
L'albergatore risponde della sottrazione, della perdita o del deterioramento delle cose portate dai clienti nell'albergo e a lui non consegnate, fino al limite massimo di lire cinquemila.
La responsabilità dell'albergatore è illimitata: 1) se il danno è imputabile a colpa grave sua, dei membri della sua famiglia o dei suoi ausiliari; 2) se egli ha rifiutato di ricevere in custodia le cose del cliente senza giusti motivi. Si considerano giusti motivi di rifiuto l'eccessivo valore della cosa relativamente all'importanza dell'albergo, e la sua natura ingombrante rispetto alla capacità dei locali.
In ogni caso l'albergatore è esente da responsabilità, se prova che la sottrazione, la perdita o il deterioramento sono dovuti a colpa grave del cliente, delle persone da lui dipendenti o di coloro che lo visitano o l'accompagnano, oppure se la perdita o il deterioramento sono dovuti alla natura o al vizio della cosa, o a caso fortuito.
E` nullo ogni patto tendente a escludere o a diminuire la responsabilità prevista dai commi precedenti.
Art. 1785.
(Obbligo di denuncia del danno).
Fuori del caso indicato dal n. 1 del secondo comma dell'articolo precedente, la responsabilità dell'albergatore è esclusa, se il cliente non gli denunzia il danno appena ne ha avuto conoscenza.
Art. 1786.
(Stabilimenti e locali assimilati agli alberghi).
Le norme di questa sezione si applicano anche agli imprenditori di case di cura, stabilimenti di pubblici spettacoli, stabilimenti balneari, pensioni, trattorie, carrozze letto e simili.
Sezione III. -
Del deposito nei magazzini generali.
Art. 1787.
(Responsabilità dei magazzini generali).
I magazzini generali sono responsabili della conservazione delle merci depositate, a meno che si provi che la perdita, il calo o l'avaria è derivata da caso fortuito, dalla natura delle merci ovvero da vizi di esse o dell'imballaggio.
Art. 1788.
(Diritti del depositante).
Il depositante ha diritto d'ispezionare le merci depositate e di ritirare i campioni d'uso.
Art. 1789.
(Vendita delle cose depositate).
I magazzini generali, previo avviso al depositante, possono procedere alla vendita delle merci, quando, al termine del contratto, le merci non sono ritirate o non è rinnovato il deposito, ovvero, trattandosi di deposito a tempo indeterminato, quando è decorso un anno dalla data del deposito, e in ogni caso quando le merci sono minacciate di deperimento. Per la vendita si osservano le modalità stabilite dall'art. 1515.
Il ricavato della vendita, dedotte le spese e quanto altro spetta ai magazzini generali, deve essere tenuto a disposizione degli aventi diritto.
Art. 1790.
(Fede di deposito).
I magazzini generali, a richiesta del depositante, devono rilasciare una fede di deposito delle merci depositate.
La fede di deposito deve indicare: 1) il cognome e il nome o la ditta e il domicilio del depositante; 2) il luogo del deposito; 3) la natura e la quantità delle cose depositate e gli altri estremi atti a individuarle; 4) se per la merce sono stati pagati i diritti doganali e se essa è stata assicurata.
Art. 1791.
(Nota di pegno).
Alla fede di deposito è unita la nota di pegno, sulla quale sono ripetute le indicazioni richieste dall'articolo precedente.
La fede di deposito e la nota di pegno devono essere staccate da un unico registro a matrice, da conservarsi presso i magazzini.
Art. 1792.
(Intestazione e circolazione dei titoli).
La fede di deposito e la nota di pegno possono intestarsi al nome del depositante o di un terzo da questo designato, e sono trasferibili, sia congiuntamente sia separatamente, mediante girata.
Art. 1793.
(Diritti del possessore).
Il possessore della fede di deposito unita alla nota di pegno ha diritto alla riconsegna delle cose depositate; egli ha altresì diritto di richiedere che, a sue spese, le cose depositate siano divise in più partite e che per ogni partita gli sia rilasciata una fede di deposito distinta con la nota di pegno in sostituzione del titolo complessivo.
Il possessore della sola nota di pegno ha diritto di pegno sulle cose depositate.
Il possessore della sola fede di deposito non ha diritto alla riconsegna delle cose depositate, se non osserva le condizioni indicate dall'art. 1795; egli può valersi della facoltà concessa dall'art. 1788.
Art. 1794.
(Prima girata della nota di pegno).
La prima girata della sola nota di pegno deve indicare l'ammontare del credito e degli interessi nonchè la scadenza. La girata corredata delle dette indicazioni deve essere trascritta sulla fede di deposito controfirmata dal giratario.
La girata della nota di pegno che non indica l'ammontare del credito vincola, a favore del possessore di buona fede, tutto il valore delle cose depositate. Rimane tuttavia salva al titolare o al terzo possessore della fede di deposito, che abbia pagato una somma non dovuta, l'azione di rivalsa nei confronti del diretto contraente e del possessore di mala fede della nota di pegno.
Art. 1795.
(Diritti del possessore della sola fede di deposito).
Il possessore della sola fede di deposito può ritirare le cose depositate anche prima della scadenza del debito per cui furono costituite in pegno, depositando presso i magazzini generali la somma dovuta alla scadenza al creditore pignoratizio.
Sotto la responsabilità dei magazzini generali, quando si tratta di merci fungibili, il possessore della sola fede di deposito può ritirare anche parte delle merci, depositando presso i magazzini generali una somma proporzionale all'ammontare del debito garantito dalla nota di pegno e alla quantità delle merci ritirate.
Art. 1796.
(Diritti del possessore della nota di pegno insoddisfatto).
Il possessore della nota di pegno, che non sia stato soddisfatto alla scadenza e che abbia levato il protesto a norma della legge cambiaria, può far vendere le cose depositate in conformità dell'art. 1515, decorsi otto giorni da quello della scadenza.
Il girante che ha pagato volontariamente il possessore della nota di pegno è surrogato nei diritti di questo, e può procedere alla vendita delle cose depositate decorsi otto giorni dalla scadenza.
Art. 1797.
(Azione nei confronti dei giranti).
Il possessore della nota di pegno non può agire contro il girante, se prima non ha proceduto alla vendita del pegno.
I termini per esercitare l'azione di regresso contro i giranti sono quelli stabiliti dalla legge cambiaria e decorrono dal giorno in cui è avvenuta la vendita delle cose depositate.
Il possessore della nota di pegno decade dall'azione di regresso contro i giranti, se alla scadenza non leva il protesto o se, entro quindici giorni dal protesto, non fa istanza per la vendita delle cose depositate.
Egli conserva tuttavia l'azione contro i giranti della sede di deposito e contro il debitore. Quest'azione si prescrive in tre anni.
Capo XIII.
Del sequestro convenzionale.
Art. 1798.
(Nozione).
Il sequestro convenzionale è il contratto col quale due o più persone affidano a un terzo una cosa o una pluralità di cose, rispetto alla quale sia nata tra esse controversia, perchè la custodisca e la restituisca a quella a cui spetterà quando la controversia sarà definita.
Art. 1799.
(Obblighi, diritti e poteri del sequestratario).
Gli obblighi, i diritti e i poteri del sequestratario sono determinati dal contratto; in mancanza, si osservano le disposizioni seguenti.
Art. 1800.
(Conservazione e alienazione dell'oggetto del sequestro).
Il sequestratario, per la custodia delle cose affidategli, è soggetto alle norme del deposito.
Se vi è imminente pericolo di perdita o di grave deterioramento delle cose mobili affidategli, il sequestratario può alienarle, dandone pronta notizia agli interessati.
Qualora la natura delle cose lo richieda, egli ha pure l'obbligo di amministrarle. In questo caso si applicano le norme del mandato.
Il sequestratario non può consentire locazioni per durata superiore a quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato.
Art. 1801.
(Liberazione del sequestratario).
Prima che la controversia sia definita, il sequestratario non può essere liberato che per accordo delle parti o per giusti motivi.
Art. 1802.
(Compenso e rimborso delle spese al sequestratario).
Il sequestratario ha diritto a compenso, se non si è pattuito diversamente. Egli ha pure diritto al rimborso delle spese e di ogni altra erogazione fatta per la conservazione e per l'amministrazione della cosa.
Capo XIV.
Del comodato.
Art. 1803.
(Nozione).
Il comodato è il contratto col quale una parte consegna all'altra una cosa mobile o immobile, affinchè se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta.
Il comodato è essenzialmente gratuito.
Art. 1804.
(Obbligazione del comodatario).
Il comodatario è tenuto a custodire e a conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia. Egli non può servirsene che per l'uso determinato dal contratto o dalla natura della cosa.
Non può concedere a un terzo il godimento della cosa senza il consenso del comodante.
Se il comodatario non adempie gli obblighi suddetti, il comodante può chiedere l'immediata restituzione della cosa, oltre al risarcimento del danno.
Art. 1805.
(Perimento della cosa).
Il comodatario è responsabile se la cosa perisce per un caso fortuito a cui poteva sottrarla sostituendola con la cosa propria, o se, potendo salvare una delle due cose, ha preferito la propria.
Il comodatario che impiega la cosa per un uso diverso o per un tempo più lungo di quello a lui consentito, è responsabile della perdita avvenuta per causa a lui non imputabile, qualora non provi che la cosa sarebbe perita anche se non l'avesse impiegata per l'uso diverso o l'avesse restituita a tempo debito.
Art. 1806.
(Stima).
Se la cosa è stata stimata al tempo del contratto, il suo perimento è a carico del comodatario, anche se avvenuto per causa a lui non imputabile.
Art. 1807.
(Deterioramento per effetto dell'uso).
Se la cosa si deteriora per solo effetto dell'uso per cui è stata consegnata e senza colpa del comodatario, questi non risponde del deterioramento.
Art. 1808.
(Spese per l'uso della cosa e spese straordinarie).
Il comodatario non ha diritto al rimborso delle spese sostenute per servirsi della cosa.
Egli però ha diritto di essere rimborsato delle spese straordinarie sostenute per la conservazione della cosa, se queste erano necessarie e urgenti.
Art. 1809.
(Restituzione).
Il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto.
Se però, durante il termine convenuto o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, sopravviene un urgente e impreveduto bisogno al comodante, questi può esigerne la restituzione immediata.
Art. 1810.
(Comodato senza determinazione di durata).
Se non è stato convenuto un termine nè questo risulta dall'uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede.
Art. 1811.
(Morte del comodatario).
In caso di morte del comodatario, il comodante, benchè sia stato convenuto un termine, può esigere dagli eredi l'immediata restituzione della cosa.
Art. 1812.
(Danni al comodatario per vizi della cosa).
Se la cosa comodata ha vizi tali che rechino danno a chi se ne serve, il comodante è tenuto al risarcimento qualora, conoscendo i vizi della cosa, non ne abbia avvertito il comodatario.
Capo XV.
Del mutuo.
Art. 1813.
(Nozione).
Il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all'altra una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili, e l'altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità.
Art. 1814.
(Trasferimento della proprietà).
Le cose date a mutuo passano in proprietà del mutuatario.
Art. 1815.
(Interessi).
Salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante. Per la determinazione degli interessi si osservano le disposizioni dell'art. 1284.
Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e gli interessi sono dovuti solo nella misura legale.
Art. 1816.
(Termine per la restituzione fissato dalle parti).
Il termine per la restituzione si presume stipulato a favore di entrambe le parti e, se il mutuo è a titolo gratuito, a favore del mutuatario.
Art. 1817.
(Termine per la restituzione fissato dal giudice).
Se non è fissato un termine per la restituzione, questo è stabilito dal giudice, avuto riguardo alle circostanze.
Se è stato convenuto che il mutuatario paghi solo quando potrà, il termine per il pagamento è pure fissato dal giudice.
Art. 1818.
(Impossibilità o notevole difficoltà di restituzione).
Se sono state mutuate cose diverse dal danaro, e la restituzione è divenuta impossibile o notevolmente difficile per causa non imputabile al debitore, questi è tenuto a pagarne il valore, avuto riguardo al tempo e al luogo in cui la restituzione si doveva eseguire.
Art. 1819.
(Restituzione rateale).
Se è stata convenuta la restituzione rateale delle cose mutuate e il mutuatario non adempie l'obbligo del pagamento anche di una sola rata, il mutuante può chiedere, secondo le circostanze, l'immediata restituzione dell'intero.
Art. 1820.
(Mancato pagamento degli interessi).
Se il mutuatario non adempie l'obbligo del pagamento degli interessi, il mutuante può chiedere la risoluzione del contratto.
Art. 1821.
(Danni al mutuatario per vizi delle cose).
Il mutuante è responsabile del danno cagionato al mutuatario per i vizi delle cose date a prestito, se non prova di averli ignorati senza colpa.
Se il mutuo è gratuito, il mutuante è responsabile solo nel caso in cui, conoscendo i vizi, non ne abbia avvertito il mutuatario.
Art. 1822.
(Promessa di mutuo).
Chi ha promesso di dare a mutuo può rifiutare l'adempimento della sua obbligazione, se le condizioni patrimoniali dell'altro contraente sono divenute tali da rendere notevolmente difficile la restituzione, e non gli sono offerte idonee garanzie.
Capo XVI.
Del conto corrente.
Art. 1823.
(Nozione).
Il conto corrente è il contratto col quale le parti si obbligano ad annotare in un conto i crediti derivanti da reciproche rimesse, considerandoli inesigibili e indisponibili fino alla chiusura del conto.
Il saldo del conto è esigibile alla scadenza stabilita. Se non è richiesto il pagamento, il saldo si considera quale prima rimessa di un nuovo conto e il contratto s'intende rinnovato a tempo indeterminato.
Art. 1824.
(Crediti esclusi dal conto corrente).
Sono esclusi dal conto corrente i crediti che non sono suscettibili di compensazione.
Qualora il contratto intervenga tra imprenditori, s'intendono esclusi dal conto i crediti estranei alle rispettive imprese.
Art. 1825.
(Interessi).
Sulle rimesse decorrono gli interessi nella misura stabilita dal contratto o dagli usi ovvero, in mancanza, in quella legale.
Art. 1826.
(Spese e diritti di commissione).
L'esistenza del conto corrente non esclude i diritti di commissione e il rimborso delle spese per le operazioni che danno luogo alle rimesse. Tali diritti sono inclusi nel conto, salvo convenzione contraria.
Art. 1827.
(Effetti dell'inclusione nel conto).
L'inclusione di un credito nel conto corrente non esclude l'esercizio delle azioni ed eccezioni relative all'atto da cui il credito deriva.
Se l'atto è dichiarato nullo, è annullato, rescisso o risoluto, la relativa partita si elimina dal conto.
Art. 1828.
(Efficacia della garanzia dei crediti iscritti).
Se il credito incluso nel conto è assistito da una garanzia reale o personale, il correntista ha diritto di valersi della garanzia per il saldo esistente a suo favore alla chiusura del conto e fino alla concorrenza del credito garantito.
La stessa disposizione si applica se per il credito esiste un coobbligato solidale.
Art. 1829.
(Crediti verso terzi).
Se non risulta una diversa volontà delle parti, l'inclusione nel conto di un credito verso un terzo si presume fatta con la clausola «salvo incasso». In tal caso, se il credito non è soddisfatto, il ricevente ha la scelta di agire per la riscossione o di eliminare la partita dal conto reintegrando nelle sue ragioni colui che ha fatto la rimessa. Può eliminare la partita dal conto anche dopo avere infruttuosamente esercitato le azioni contro il debitore.
Art. 1830.
(Sequestro o pignoramento del saldo).
Se il creditore di un correntista ha sequestrato o pignorato l'eventuale saldo del conto spettante al suo debitore, l'altro correntista non può, con nuove rimesse, pregiudicare le ragioni del creditore. Non si considerano nuove rimesse quelle fatte in dipendenza di diritti sorti prima del sequestro o del pignoramento.
Il correntista presso cui è stato eseguito il sequestro o il pignoramento deve darne notizia all'altro. Ciascuno di essi può recedere dal contratto.
Art. 1831.
(Chiusura del conto).
La chiusura del conto con la liquidazione del saldo è fatta alle scadenze stabilite dal contratto o dagli usi e, in mancanza, al termine di ogni semestre, computabile dalla data del contratto.
Art. 1832.
(Approvazione del conto).
L'estratto conto trasmesso da un correntista all'altro s'intende approvato, se non è contestato nel termine pattuito o in quello usuale, o altrimenti nel termine che può ritenersi congruo secondo le circostanze.
L'approvazione del conto non preclude il diritto di impugnarlo per errori di scritturazione o di calcolo, per omissioni o per duplicazioni. L'impugnazione deve essere proposta, sotto pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di ricezione dell'estratto conto relativo alla liquidazione di chiusura, che deve essere spedito per mezzo di raccomandata.
Art. 1833.
(Recesso dal contratto).
Se il contratto è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto a ogni chiusura del conto, dandone preavviso almeno dieci giorni prima.
In caso d'interdizione, d'inabilitazione, d'insolvenza o di morte di una delle parti, ciascuna di queste o gli eredi hanno diritto di recedere dal contratto.
Lo scioglimento del contratto impedisce l'inclusione nel conto di nuove partite, ma il pagamento del saldo non può richiedersi che alla scadenza del periodo stabilito dall'art. 1831.
Capo XVII.
Dei contratti bancari.
Sezione I. -
Dei depositi bancari.
Art. 1834.
(Depositi di danaro).
Nei depositi di una somma di danaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà ed è obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria, alla scadenza del termine convenuto ovvero a richiesta del depositante, con l'osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle parti o dagli usi.
Salvo patto contrario, i versamenti e i prelevamenti si eseguono alla sede della banca presso la quale si è costituito il rapporto.
Art. 1835.
(Libretto di deposito a risparmio).
Se la banca rilascia un libretto di deposito a risparmio, i versamenti e i prelevamenti si devono annotare sul libretto.
Le annotazioni sul libretto, firmate dall'impiegato della banca che appare addetto al servizio, fanno piena prova nei rapporti tra banca e depositante.
E` nullo ogni patto contrario.
Art. 1836.
(Legittimazione del possessore).
Se il libretto di deposito è pagabile al portatore, la banca che senza dolo o colpa grave adempie la prestazione nei confronti del possessore è liberata, anche se questi non è il depositante.
La stessa disposizione si applica nel caso in cui il libretto di deposito pagabile al portatore sia intestato al nome di una determinata persona o in altro modo contrassegnato.
Sono salve le disposizioni delle leggi speciali.
Art. 1837.
(Libretti in favore di minori).
Il minore che ha compiuto diciotto anni può validamente effettuare depositi a risparmio e fare prelevamenti sui medesimi, salva l'opposizione del suo legale rappresentante.
Il libretto di deposito a risparmio rilasciato al minore deve essere nominativo.
Sono salve le disposizioni delle leggi speciali.
Art. 1838.
(Deposito di titoli in amministrazione).
La banca che assume il deposito di titoli in amministrazione deve custodire i titoli, esigerne gli interessi o i dividendi, verificare i sorteggi per l'attribuzione di premi o per il rimborso di capitale, curare le riscossioni per conto del depositante, e in generale provvedere alla tutela dei diritti inerenti ai titoli. Le somme riscosse devono essere accreditate al depositante.
Se per i titoli depositati si deve provvedere al versamento di decimi o si deve esercitare un diritto di opzione, la banca deve chiedere in tempo utile istruzioni al depositante e deve eseguirle, qualora abbia ricevuto i fondi all'uopo occorrenti. In mancanza d'istruzioni, i diritti di opzione devono essere venduti per conto del depositante a mezzo di un agente di cambio.
Alla banca spetta un compenso nella misura stabilita dalla convenzione o dagli usi, nonchè il rimborso delle spese necessarie da essa fatte.
E` nullo il patto col quale si esonera la banca dall'osservare, nell'amministrazione dei titoli, l'ordinaria diligenza.
Sezione II. -
Del servizio bancario delle cassette di sicurezza.
Art. 1839.
(Cassette di sicurezza).
Nel servizio delle cassette di sicurezza, la banca risponde verso l'utente per l'idoneità e la custodia dei locali e per l'integrità della cassetta, salvo il caso fortuito.
Art. 1840.
(Apertura della cassetta).
Se la cassetta è intestata a più persone, l'apertura di essa è consentita singolarmente a ciascuno degli intestatari, salvo diversa pattuizione.
In caso di morte dell'intestatario o di uno degli intestatari, la banca che ne abbia ricevuto comunicazione non può consentire l'apertura della cassetta se non con l'accordo di tutti gli aventi diritto o secondo le modalità stabilite dall'autorità giudiziaria.
Art. 1841.
(Apertura forzata della cassetta).
Quando il contratto è scaduto, la banca, previa intimazione all'intestatario e decorsi sei mesi dalla data della medesima, può chiedere al pretore l'autorizzazione ad aprire la cassetta. L'intimazione può farsi anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento.
L'apertura si esegue con l'assistenza di un notaio all'uopo designato e con le cautele che il pretore ritiene opportune.
Il pretore può dare le disposizioni necessarie per la conservazione degli oggetti rinvenuti e può ordinare la vendita di quella parte di essi che occorra al soddisfacimento di quanto è dovuto alla banca per canoni e spese.
Sezione III. -
Dell'apertura di credito bancario.
Art. 1842.
(Nozione).
L'apertura di credito bancario è il contratto col quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell'altra parte una somma di danaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato.
Art. 1843.
(Utilizzazione del credito).
Se non è convenuto altrimenti, l'accreditato può utilizzare in più volte il credito, secondo le forme di uso, e può con successivi versamenti ripristinare la sua disponibilità.
Salvo patto contrario, i prelevamenti e i versamenti si eseguono presso la sede della banca dove è costituito il rapporto.
Art. 1844.
(Garanzia).
Se per l'apertura di credito è data una garanzia reale o personale, questa non si estingue prima della fine del rapporto per il solo fatto che l'accreditato cessa di essere debitore della banca.
Se la garanzia diviene insufficiente, la banca può chiedere un supplemento di garanzia o la sostituzione del garante. Se l'accreditato non ottempera alla richiesta, la banca può ridurre il credito proporzionalmente al diminuito valore della garanzia o recedere dal contratto.
Art. 1845.
(Recesso dal contratto).
Salvo patto contrario, la banca non può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se non per giusta causa.
Il recesso sospende immediatamente l'utilizzazione del credito, ma la banca deve concedere un termine di almeno quindici giorni per la restituzione delle somme utilizzate e dei relativi accessori.
Se l'apertura di credito è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, mediante preavviso nel termine stabilito dal contratto, dagli usi o, in mancanza, in quello di quindici giorni.
Sezione IV. -
Dell'anticipazione bancaria.
Art. 1846.
(Disponibilità delle cose date in pegno).
Nell'anticipazione bancaria su pegno di titoli o di merci, la banca non può disporre delle cose ricevute in pegno, se ha rilasciato un documento nel quale le cose stesse sono individuate. Il patto contrario deve essere provato per iscritto.
Art. 1847.
(Assicurazione delle merci).
La banca deve provvedere per conto del contraente all'assicurazione delle merci date in pegno, se, per la natura, il valore o l'ubicazione di esse, l'assicurazione risponde alle cautele d'uso.
Art. 1848.
(Spese di custodia).
La banca, oltre al corrispettivo dovutole, ha diritto al rimborso delle spese occorse per la custodia delle merci e dei titoli, salvo che ne abbia acquistato la disponibilità.
Art. 1849.
(Ritiro dei titoli o delle merci).
Il contraente, anche prima della scadenza del contratto, può ritirare in parte i titoli o le merci dati in pegno, previo rimborso proporzionale delle somme anticipate e delle altre somme spettanti alla banca secondo la disposizione dell'articolo precedente, salvo che il credito residuo risulti insufficientemente garantito.
Art. 1850.
(Diminuzione della garanzia).
Se il valore della garanzia diminuisce almeno di un decimo rispetto a quello che era al tempo del contratto, la banca può chiedere al debitore un supplemento di garanzia nei termini d'uso, con la diffida che, in mancanza, si procederà alla vendita dei titoli o delle merci dati in pegno. Se il debitore non ottempera alla richiesta, la banca può procedere alla vendita a norma del secondo e quarto comma dell'art. 2797.
La banca ha diritto al rimborso immediato del residuo non soddisfatto col ricavato della vendita.
Art. 1851.
(Pegno irregolare a garanzia di anticipazione).
Se, a garanzia di uno o più crediti, sono vincolati depositi di danaro, merci o titoli che non siano stati individuati o per i quali sia stata conferita alla banca la facoltà di disporre, la banca deve restituire solo la somma o la parte delle merci o dei titoli che eccedono l'ammontare dei crediti garantiti. L'eccedenza è determinata in relazione al valore delle merci o dei titoli al tempo della scadenza dei crediti.
Sezione V. -
Delle operazioni bancarie in conto corrente.
Art. 1852.
(Disposizione da parte del correntista).
Qualora il deposito, l'apertura di credito o altre operazioni bancarie siano regolate in conto corrente, il correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito, salva l'osservanza del termine di preavviso eventualmente pattuito.
Art. 1853.
(Compensazione tra i saldi di più rapporti o più conti).
Se tra la banca e il correntista esistono più rapporti o più conti, ancorchè in monete differenti, i saldi attivi e passivi si compensano reciprocamente, salvo patto contrario.
Art. 1854.
(Conto corrente intestato a più persone).
Nel caso in cui il conto sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto.
Art. 1855.
(Operazioni a tempo indeterminato).
Se l'operazione regolata in conto corrente è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dandone preavviso nel termine stabilito dagli usi o, in mancanza, entro quindici giorni.
Art. 1856.
(Esecuzione d'incarichi).
La banca risponde secondo le regole del mandato per l'esecuzione d'incarichi ricevuti dal correntista o da altro cliente.
Se l'incarico deve eseguirsi su una piazza dove non esistono filiali della banca, questa può incaricare dell'esecuzione un'altra banca o un suo corrispondente.
Art. 1857.
(Norme applicabili).
Alle operazioni regolate in conto corrente si applicano le norme degli articoli 1826, 1829 e 1832.
Sezione VI.
Dello sconto bancario.
Art. 1858.
(Nozione).
Lo sconto è il contratto col quale la banca, previa deduzione dell'interesse, anticipa al cliente l'importo di un credito verso terzi non ancora scaduto, mediante la cessione, salvo buon fine, del credito stesso.
Art. 1859.
(Sconto di cambiali).
Se lo sconto avviene mediante girata di cambiale o di assegno bancario, la banca, nel caso di mancato pagamento, oltre ai diritti derivanti dal titolo, ha anche il diritto alla restituzione della somma anticipata.
Sono salve le norme delle leggi speciali relative alla cessione della provvista nello sconto di tratte non accettate o munite di clausole «senza accettazione».
Art. 1860.
(Sconto di tratte documentate).
La banca che ha scontato tratte documentate ha sulla merce lo stesso privilegio del mandatario finchè il titolo rappresentativo è in suo possesso.
Capo XVIII.
Della rendita perpetua.
Art. 1861.
(Nozione).
Col contratto di rendita perpetua una parte conferisce all'altra il diritto di esigere in perpetuo la prestazione periodica di una somma di danaro o di una certa quantità di altre cose fungibili, quale corrispettivo dell'alienazione di un immobile o della cessione di un capitale.
La rendita perpetua può essere costituita anche quale onere dell'alienazione gratuita di un immobile o della cessione gratuita di un capitale.
Art. 1862.
(Norme applicabili).
L'alienazione dell'immobile, se fatta a titolo oneroso, è soggetta alle norme stabilite per la vendita.
L'alienazione o la cessione fatta a titolo gratuito è soggetta alle norme stabilite per la donazione.
Art. 1863.
(Rendita fondiaria e rendita semplice).
E` fondiaria la rendita costituita mediante alienazione di un immobile. E` semplice quella costituita mediante cessione di un capitale.
Art. 1864.
(Garanzia della rendita semplice).
La rendita semplice deve essere garantita con ipoteca sopra un immobile; altrimenti il capitale è ripetibile.
Art. 1865.
(Diritto di riscatto della rendita perpetua).
La rendita perpetua è redimibile a volontà del debitore, nonostante qualunque convenzione contraria.
Le parti possono tuttavia convenire che il riscatto non possa eseguirsi durante la vita del beneficiario o prima di un certo termine, il quale non può eccedere i dieci anni nella rendita semplice e i trenta anni nella rendita fondiaria.
Può anche stipularsi che il debitore non esegua il riscatto senza averne dato preavviso al beneficiario. Il termine di preavviso non può eccedere l'anno.
Se sono convenuti termini più lunghi, essi si riducono nei limiti sopra stabiliti.
Art. 1866.
(Esercizio del riscatto).
Il riscatto della rendita semplice e della rendita fondiaria si effettua mediante il pagamento della somma che risulta dalla capitalizzazione della rendita annua sulla base dell'interesse legale.
Le modalità del riscatto sono stabilite dalle leggi speciali.
Art. 1867.
(Riscatto forzoso).
Il debitore di una rendita perpetua può essere costretto al riscatto: 1) se è in mora nel pagamento di due annualità di rendita; 2) se non ha dato al creditore le garanzie promesse, o se, venendo a mancare quelle già date, non ne sostituisce altre di uguale sicurezza; 3) se, per effetto di alienazione o di divisione, il fondo su cui è garantita la rendita è diviso fra più di tre persone.
Art. 1868.
(Riscatto per insolvenza del debitore).
Si fa pure luogo al riscatto della rendita nel caso d'insolvenza del debitore, salvo che, essendo stato alienato il fondo su cui era garantita la rendita, l'acquirente se ne sia assunto il debito o si dichiari pronto ad assumerlo.
Art. 1869.
(Altre prestazioni perpetue).
Le disposizioni degli articoli 1864, 1865, 1866, 1867 e 1868 si applicano a ogni altra annua prestazione perpetua costituita a qualsiasi titolo, anche per atto di ultima volontà.
Art. 1870.
(Ricognizione).
Il debitore della rendita o di ogni altra prestazione annua che debba o possa durare oltre i dieci anni deve fornire a proprie spese al titolare, se questi lo richiede, un nuovo documento, trascorsi nove anni dalla data del precedente.
Art. 1871.
(Rendite dello Stato).
Le disposizioni di questo capo non si applicano alle rendite emesse dallo Stato.
Capo XIX.
Della rendita vitalizia.
Art. 1872.
(Modi di costituzione).
La rendita vitalizia può essere costituita a titolo oneroso, mediante alienazione di un bene mobile o immobile o mediante cessione di capitale.
La rendita vitalizia può essere costituita anche per donazione o per testamento, e in questo caso si osservano le norme stabilite dalla legge per tali atti.
Art. 1873.
(Determinazione della durata).
La rendita vitalizia può costituirsi per la durata della vita del beneficiario o di altra persona.
Essa può costituirsi anche per la durata della vita di più persone.
Art. 1874.
(Costituzione a favore di più persone).
Se la rendita è costituita a favore di più persone, la parte spettante al creditore premorto si accresce a favore degli altri, salvo patto contrario.
Art. 1875.
(Costituzione a favore di un terzo).
La rendita vitalizia costituita a favore di un terzo, quantunque importi per questo una liberalità, non richiede le forme stabilite per la donazione.
Art. 1876.
(Rendita costituita su persone già defunte).
Il contratto è nullo, se la rendita è costituita per la durata della vita di persona che, al tempo del contratto, aveva già cessato di vivere.
Art. 1877.
(Risoluzione del contratto di vitalizio oneroso).
Il creditore di una rendita vitalizia costituita a titolo oneroso può chiedere la risoluzione del contratto, se il promittente non gli dà o diminuisce le garanzie pattuite.
Art. 1878.
(Mancanza di pagamento delle rate scadute).
In caso di mancato pagamento delle rate di rendita scadute, il creditore della rendita, anche se è lo stesso stipulante, non può domandare la risoluzione del contratto, ma può far sequestrare e vendere i beni del suo debitore affinchè col ricavato della vendita si faccia l'impiego di una somma sufficiente ad assicurare il pagamento della rendita.
Art. 1879.
(Divieto di riscatto e onerosità sopravvenuta).
Il debitore della rendita, salvo patto contrario, non può liberarsi dal pagamento della rendita stessa offrendo il rimborso del capitale, anche se rinunzia alla ripetizione delle annualità pagate.
Egli è tenuto a pagare la rendita per tutto il tempo per il quale è stata costituita, per quanto gravosa sia divenuta la sua prestazione.
Art. 1880.
(Modalità del pagamento della rendita).
La rendita vitalizia costituita mediante contratto è dovuta al creditore in proporzione del numero dei giorni vissuti da colui sulla vita del quale è costituita.
Se però è stato convenuto di pagarla a rate anticipate, ciascuna rata si acquista dal giorno in cui è scaduta.
Art. 1881.
(Sequestro o pignoramento della rendita).
Quando la rendita vitalizia è costituita a titolo gratuito, si può disporre che essa non sia soggetta a pignoramento o a sequestro entro i limiti del bisogno alimentare del creditore.
Capo XX.
Dell'assicurazione.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 1882.
(Nozione).
L'assicurazione è il contratto col quale l'assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana.
Art. 1883.
(Esercizio delle assicurazioni).
L'impresa di assicurazione non può essere esercitata che da un istituto di diritto pubblico o da una società per azioni e con l'osservanza delle norme stabilite dalle leggi speciali.
Art. 1884.
(Assicurazioni mutue).
Le assicurazioni mutue sono disciplinate dalle norme del presente capo, in quanto compatibili con la specialità del rapporto.
Art. 1885.
(Assicurazioni contro i rischi della navigazione).
Le assicurazioni contro i rischi della navigazione sono disciplinate dalle norme del presente capo per quanto non è regolato dal codice della navigazione.
Art. 1886.
(Assicurazioni sociali).
Le assicurazioni sociali sono disciplinate dalle leggi speciali. In mancanza si applicano le norme del presente capo.
Art. 1887.
(Efficacia della proposta).
La proposta scritta diretta all'assicuratore rimane ferma per il termine di quindici giorni, o di trenta giorni quando occorre una visita medica. Il termine decorre dalla data della consegna o della spedizione della proposta.
Art. 1888.
(Prova del contratto).
Il contratto di assicurazione deve essere provato per iscritto.
L'assicuratore è obbligato a rilasciare al contraente la polizza di assicurazione o altro documento da lui sottoscritto.
L'assicuratore è anche tenuto a rilasciare, a richiesta e a spese del contraente, duplicati o copie della polizza; ma in tal caso può esigere la presentazione o la restituzione dell'originale.
Art. 1889.
(Polizze all'ordine e al portatore).
Se la polizza di assicurazione è all'ordine o al portatore, il suo trasferimento importa trasferimento del credito verso l'assicuratore, con gli effetti della cessione.
Tuttavia l'assicuratore è liberato se senza dolo o colpa grave adempie la prestazione nei confronti del giratario o del portatore della polizza, anche se questi non è l'assicurato.
In caso di smarrimento, furto o distruzione della polizza all'ordine, si applicano le disposizioni relative all'ammortamento dei titoli all'ordine.
Art. 1890.
(Assicurazione in nome altrui).
Se il contraente stipula l'assicurazione in nome altrui senza averne il potere, l'interessato può ratificare il contratto anche dopo la scadenza o il verificarsi del sinistro.
Il contraente è tenuto personalmente ad osservare gli obblighi derivanti dal contratto fino al momento in cui l'assicuratore ha avuto notizia della ratifica o del rifiuto di questa.
Egli deve all'assicuratore i premi del periodo in corso nel momento in cui l'assicuratore ha avuto notizia del rifiuto della ratifica.
Art. 1891.
(Assicurazione per conto altrui o per conto di chi spetta).
Se l'assicurazione è stipulata per conto altrui o per conto di chi spetta, il contraente deve adempiere gli obblighi derivanti dal contratto, salvi quelli che per loro natura non possono essere adempiuti che dall'assicurato.
I diritti derivanti dal contratto spettano all'assicurato, e il contraente, anche se in possesso della polizza, non può farli valere senza espresso consenso dell'assicurato medesimo.
All'assicurato sono opponibili le eccezioni che si possono opporre al contraente in dipendenza del contratto.
Per il rimborso dei premi pagati all'assicuratore e delle spese del contratto, il contraente ha privilegio sulle somme dovute dall'assicuratore nello stesso grado dei crediti per spese di conservazione.
Art. 1892.
(Dichiarazioni inesatte e reticenze con dolo o colpa grave).
Le dichiarazioni inesatte e le reticenze del contraente, relative a circostanze tali che l'assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni se avesse conosciuto il vero stato delle cose, sono causa di annullamento del contratto quando il contraente ha agito con dolo o con colpa grave.
L'assicuratore decade dal diritto d'impugnare il contratto se, entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto l'inesattezza della dichiarazione o la reticenza, non dichiara al contraente di volere esercitare l'impugnazione.
L'assicuratore ha diritto ai premi relativi al periodo di assicurazione in corso al momento in cui ha domandato l'annullamento e, in ogni caso, al premio convenuto per il primo anno. Se il sinistro si verifica prima che sia decorso il termine indicato dal comma precedente, egli non è tenuto a pagare la somma assicurata.
Se l'assicurazione riguarda più persone o più cose, il contratto è valido per quelle persone o per quelle cose alle quali non si riferisce la dichiarazione inesatta o la reticenza.
Art. 1893.
(Dichiarazioni inesatte e reticenze senza dolo o colpa grave).
Se il contraente ha agito senza dolo o colpa grave, le dichiarazioni inesatte e le reticenze non sono causa di annullamento del contratto, ma l'assicuratore può recedere dal contratto stesso, mediante dichiarazione da farsi all'assicurato nei tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto l'inesattezza della dichiarazione o la reticenza.
Se il sinistro si verifica prima che l'inesattezza della dichiarazione o la reticenza sia conosciuta dall'assicuratore, o prima che questi abbia dichiarato di recedere dal contratto, la somma dovuta è ridotta in proporzione della differenza tra il premio convenuto e quello che sarebbe stato applicato se si fosse conosciuto il vero stato delle cose.
Art. 1894.
(Assicurazione in nome o per conto di terzi).
Nelle assicurazioni in nome o per conto di terzi, se questi hanno conoscenza dell'inesattezza delle dichiarazioni o delle reticenze relative al rischio, si applicano a favore dell'assicuratore le disposizioni degli articoli 1892 e 1893.
Art. 1895.
(Inesistenza del rischio).
Il contratto è nullo se il rischio non è mai esistito o ha cessato di esistere prima della conclusione del contratto.
Art. 1896.
(Cessazione del rischio durante l'assicurazione).
Il contratto si scioglie se il rischio cessa di esistere dopo la conclusione del contratto stesso, ma l'assicuratore ha diritto al pagamento dei premi finchè la cessazione del rischio non gli sia comunicata o non venga altrimenti a sua conoscenza. I premi relativi al periodo di assicurazione in corso al momento della comunicazione o della conoscenza sono dovuti per intero.
Qualora gli effetti dell'assicurazione debbano avere inizio in un momento posteriore alla conclusione del contratto e il rischio cessi nell'intervallo, l'assicuratore ha diritto al solo rimborso delle spese.
Art. 1897.
(Diminuzione del rischio).
Se il contraente comunica all'assicuratore mutamenti che producono una diminuzione del rischio tale che, se fosse stata conosciuta al momento della conclusione del contratto, avrebbe portato alla stipulazione di un premio minore, l'assicuratore, a decorrere dalla scadenza del premio o della rata di premio successiva alla comunicazione suddetta, non può esigere che il minor premio, ma ha facoltà di recedere dal contratto entro due mesi dal giorno in cui è stata fatta la comunicazione.
La dichiarazione di recesso dal contratto ha effetto dopo un mese.
Art. 1898.
(Aggravamento del rischio).
Il contraente ha l'obbligo di dare immediato avviso all'assicuratore dei mutamenti che aggravano il rischio in modo tale che, se il nuovo stato di cose fosse esistito e fosse stato conosciuto dall'assicuratore al momento della conclusione del contratto, l'assicuratore non avrebbe consentito l'assicurazione o l'avrebbe consentita per un premio più elevato.
L'assicuratore può recedere dal contratto, dandone comunicazione per iscritto all'assicurato entro un mese dal giorno in cui ha ricevuto l'avviso o ha avuto in altro modo conoscenza dell'aggravamento del rischio.
Il recesso dell'assicuratore ha effetto immediato se l'aggravamento è tale che l'assicuratore non avrebbe consentito l'assicurazione; ha effetto dopo quindici giorni, se l'aggravamento del rischio è tale che per l'assicurazione sarebbe stato richiesto un premio maggiore.
Spettano all'assicuratore i premi relativi al periodo di assicurazione in corso al momento in cui è comunicata la dichiarazione di recesso.
Se il sinistro si verifica prima che siano trascorsi i termini per la comunicazione e per l'efficacia del recesso, l'assicuratore non risponde qualora l'aggravamento del rischio sia tale che egli non avrebbe consentito l'assicurazione se il nuovo stato di cose fosse esistito al momento del contratto; altrimenti, la somma dovuta è ridotta, tenuto conto del rapporto tra il premio stabilito nel contratto e quello che sarebbe stato fissato se il maggiore rischio fosse esistito al tempo del contratto stesso.
Art. 1899.
(Durata dell'assicurazione).
L'assicurazione ha effetto dalle ore ventiquattro del giorno della conclusione del contratto alle ore ventiquattro dell'ultimo giorno della durata stabilita nel contratto stesso. Se questa supera i dieci anni, le parti, trascorso il decennio e nonostante patto contrario, hanno facoltà di recedere dal contratto, con preavviso di sei mesi, che può darsi anche mediante raccomandata.
Il contratto può essere tacitamente prorogato una o più volte, ma ciascuna proroga tacita non può avere una durata superiore a due anni.
Le norme del presente articolo non si applicano alle assicurazioni sulla vita.
Art. 1900.
(Sinistri cagionati con dolo o con colpa grave dell'assicurato o dei dipendenti).
L'assicuratore non è obbligato per i sinistri cagionati da dolo o da colpa grave del contraente, dell'assicurato o del beneficiario, salvo patto contrario per i casi di colpa grave.
L'assicuratore è obbligato per il sinistro cagionato da dolo o da colpa grave delle persone del fatto delle quali l'assicurato deve rispondere.
Egli è obbligato altresì, nonostante patto contrario, per i sinistri conseguenti ad atti del contraente, dell'assicurato o del beneficiario, compiuti per dovere di solidarietà umana o nella tutela degli interessi comuni all'assicuratore.
Art. 1901.
(Mancato pagamento del premio).
Se il contraente non paga il premio o la prima rata di premio stabilita dal contratto, l'assicurazione resta sospesa fino alle ore ventiquattro del giorno in cui il contraente paga quanto è da lui dovuto.
Se alle scadenze convenute il contraente non paga i premi successivi, l'assicurazione resta sospesa dalle ore ventiquattro del quindicesimo giorno dopo quello della scadenza.
Nelle ipotesi previste dai due commi precedenti il contratto è risoluto di diritto se l'assicuratore, nel termine di sei mesi dal giorno in cui il premio o la rata sono scaduti, non agisce per la riscossione; l'assicuratore ha diritto soltanto al pagamento del premio relativo al periodo di assicurazione in corso e al rimborso delle spese. La presente norma non si applica alle assicurazioni sulla vita.
Art. 1902.
(Fusione, concentrazione e liquidazione coatta amministrativa).
La fusione e la concentrazione di aziende tra più imprese assicuratrici non sono cause di scioglimento del contratto di assicurazione. Il contratto continua con l'impresa assicuratrice che risulta dalla fusione o che incorpora le imprese preesistenti. Per i trasferimenti di portafoglio si osservano le leggi speciali.
Nel caso di liquidazione coatta amministrativa dell'impresa assicuratrice, il contratto di assicurazione si scioglie nei modi e con gli effetti stabiliti dalle leggi speciali anche per ciò che riguarda il privilegio a favore della massa degli assicurati.
Art. 1903.
(Agenti di assicurazione).
Gli agenti autorizzati a concludere contratti di assicurazione possono compiere gli atti concernenti le modificazioni e la risoluzione dei contratti medesimi, salvi i limiti contenuti nella procura che sia pubblicata nelle forme richieste dalla legge.
Possono inoltre promuovere azioni ed essere convenuti in giudizio in nome dell'assicuratore, per le obbligazioni dipendenti dagli atti compiuti nell'esecuzione del loro mandato, davanti l'autorità giudiziaria del luogo in cui ha sede l'agenzia presso la quale è stato concluso il contratto.
Sezione II. -
Dell'assicurazione contro i danni.
Art. 1904.
(Interesse all'assicurazione).
Il contratto di assicurazione contro i danni è nullo se, nel momento in cui l'assicurazione deve avere inizio, non esiste un interesse dell'assicurato al risarcimento del danno.
Art. 1905.
(Limiti del risarcimento).
L'assicuratore è tenuto a risarcire, nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, il danno sofferto dall'assicurato in conseguenza del sinistro.
L'assicuratore risponde del profitto sperato solo se si è espressamente obbligato.
Art. 1906.
(Danni cagionati da vizio della cosa).
Salvo patto contrario, l'assicuratore non risponde dei danni prodotti da vizio intrinseco della cosa assicurata, che non gli sia stato denunziato.
Se il vizio ha aggravato il danno, l'assicuratore, salvo patto contrario, risponde del danno nella misura in cui sarebbe stato a suo carico, qualora il vizio non fosse esistito.
Art. 1907.
(Assicurazione parziale).
Se l'assicurazione copre solo una parte del valore che la cosa assicurata aveva nel tempo del sinistro, l'assicuratore risponde dei danni in proporzione della parte suddetta, a meno che non sia diversamente convenuto.
Art. 1908.
(Valore della cosa assicurata).
Nell'accertare il danno non si può attribuire alle cose perite o danneggiate un valore superiore a quello che avevano al tempo del sinistro.
Il valore delle cose assicurate può essere tuttavia stabilito al tempo della conclusione del contratto, mediante stima accettata per iscritto dalle parti.
Non equivale a stima la dichiarazione di valore delle cose assicurate contenuta nella polizza o in altri documenti.
Nell'assicurazione dei prodotti del suolo il danno si determina in relazione al valore che i prodotti avrebbero avuto al tempo della maturazione o al tempo in cui ordinariamente si raccolgono.
Art. 1909.
(Assicurazione per somma eccedente il valore delle cose).
L'assicurazione per una somma che eccede il valore reale della cosa assicurata non è valida se vi è stato dolo da parte dell'assicurato; l'assicuratore, se è in buona fede, ha diritto ai premi del periodo di assicurazione in corso.
Se non vi è stato dolo da parte del contraente, il contratto ha effetto fino alla concorrenza del valore reale della cosa assicurata, e il contraente ha diritto di ottenere per l'avvenire una proporzionale riduzione del premio.
Art. 1910.
(Assicurazione presso diversi assicuratori).
Se per il medesimo rischio sono contratte separatamente più assicurazioni presso diversi assicuratori, l'assicurato deve dare avviso di tutte le assicurazioni a ciascun assicuratore.
Se l'assicurato omette dolosamente di dare l'avviso, gli assicuratori non sono tenuti a pagare l'indennità.
Nel caso di sinistro, l'assicurato deve darne avviso a tutti gli assicuratori a norma dell'art. 1913, indicando a ciascuno il nome degli altri. L'assicurato può chiedere a ciascun assicuratore l'indennità dovuta secondo il rispettivo contratto, purchè le somme complessivamente riscosse non superino l'ammontare del danno.
L'assicuratore che ha pagato ha diritto di regresso contro gli altri per la ripartizione proporzionale in ragione delle indennità dovute secondo i rispettivi contratti. Se un assicuratore è insolvente, la sua quota viene ripartita fra gli altri assicuratori.
Art. 1911.
(Coassicurazione).
Qualora la medesima assicurazione o l'assicurazione di rischi relativi alle stesse cose sia ripartita tra più assicuratori per quote determinate, ciascun assicuratore è tenuto al pagamento dell'indennità assicurata soltanto in proporzione della rispettiva quota, anche se unico è il contratto sottoscritto da tutti gli assicuratori.
Art. 1912.
(Terremoto, guerra, insurrezione, tumulti popolari).
Salvo patto contrario, l'assicuratore non è obbligato per i danni determinati da movimenti tellurici, da guerra, da insurrezione o da tumulti popolari.
Art. 1913.
(Avviso all'assicuratore in caso di sinistro).
L'assicurato deve dare avviso del sinistro all'assicuratore o all'agente autorizzato a concludere il contratto, entro tre giorni da quello in cui il sinistro si è verificato o l'assicurato ne ha avuta conoscenza. Non è necessario l'avviso, se l'assicuratore o l'agente autorizzato alla conclusione del contratto intervengono entro il detto termine alle operazioni di salvataggio o di constatazione del sinistro.
Nelle assicurazioni contro la mortalità del bestiame l'avviso, salvo patto contrario, deve essere dato entro ventiquattro ore.
Art. 1914.
(Obbligo di salvataggio).
L'assicurato deve fare quanto gli è possibile per evitare o diminuire il danno.
Le spese fatte a questo scopo dall'assicurato sono a carico dell'assicuratore, in proporzione del valore assicurato rispetto a quello che la cosa aveva nel tempo del sinistro, anche se il loro ammontare, unitamente a quello del danno, supera la somma assicurata, e anche se non si è raggiunto lo scopo, salvo che l'assicuratore provi che le spese sono state fatte inconsideratamente.
L'assicuratore risponde dei danni materiali direttamente derivati alle cose assicurate dai mezzi adoperati dall'assicurato per evitare o diminuire i danni del sinistro, salvo che egli provi che tali mezzi sono stati adoperati inconsideratamente.
L'intervento dell'assicuratore per il salvataggio delle cose assicurate e per la loro conservazione non pregiudica i suoi diritti.
L'assicuratore che interviene al salvataggio deve, se richiesto dall'assicurato, anticiparne le spese o concorrere in proporzione del valore assicurato.
Art. 1915.
(Inadempimento dell'obbligo di avviso o di salvataggio).
L'assicurato che dolosamente non adempie l'obbligo dell'avviso o del salvataggio perde il diritto all'indennità.
Se l'assicurato omette colposamente di adempiere tale obbligo, l'assicuratore ha diritto di ridurre l'indennità in ragione del pregiudizio sofferto.
Art. 1916.
(Diritto di surrogazione dell'assicuratore).
L'assicuratore che ha pagato l'indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell'ammontare di essa, nei diritti dell'assicurato verso i terzi responsabili.
Salvo il caso di dolo, la surrogazione non ha luogo se il danno è causato dai figli, dagli affiliati, dagli ascendenti, da altri parenti o da affini dell'assicurato stabilmente con lui conviventi o da domestici.
L'assicurato è responsabile verso l'assicuratore del pregiudizio arrecato al diritto di surrogazione.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche alle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro e contro le disgrazie accidentali.
Art. 1917.
(Assicurazione della responsabilità civile).
Nell'assicurazione della responsabilità civile l'assicuratore è obbligato a tenere indenne l'assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto. Sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi.
L'assicuratore ha facoltà, previa comunicazione all'assicurato, di pagare direttamente al terzo danneggiato l'indennità dovuta, ed è obbligato al pagamento diretto se l'assicurato lo richiede.
Le spese sostenute per resistere all'azione del danneggiato contro l'assicurato sono a carico dell'assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata. Tuttavia, nel caso che sia dovuta al danneggiato una somma superiore al capitale assicurato, le spese giudiziali si ripartiscono tra assicuratore e assicurato in proporzione del rispettivo interesse.
L'assicurato, convenuto dal danneggiato, può chiamare in causa l'assicuratore.
Art. 1918.
(Alienazione delle cose assicurate).
L'alienazione delle cose assicurate non è causa di scioglimento del contratto di assicurazione.
L'assicurato, che non comunica all'assicuratore l'avvenuta alienazione e all'acquirente l'esistenza del contratto di assicurazione, rimane obbligato a pagare i premi che scadono posteriormente alla data dell'alienazione.
I diritti e gli obblighi dell'assicurato passano all'acquirente, se questi, avuta notizia dell'esistenza del contratto di assicurazione, entro dieci giorni dalla scadenza del primo premio successivo all'alienazione, non dichiara all'assicuratore, mediante raccomandata, che non intende subentrare nel contratto. Spettano in tal caso all'assicuratore i premi relativi al periodo di assicurazione in corso.
L'assicuratore, entro dieci giorni da quello in cui ha avuto notizia dell'avvenuta alienazione, può recedere dal contratto con preavviso di quindici giorni, che può essere dato anche mediante raccomandata.
Se è stata emessa una polizza all'ordine o al portatore, nessuna notizia dell'alienazione deve essere data all'assicuratore, e così quest'ultimo come l'acquirente non possono recedere dal contratto.
Sezione III. -
Dell'assicurazione sulla vita.
Art. 1919.
(Assicurazione sulla vita propria o di un terzo).
L'assicurazione può essere stipulata sulla vita propria o su quella di un terzo.
L'assicurazione contratta per il caso di morte di un terzo non è valida se questi o il suo legale rappresentante non dà il consenso alla conclusione del contratto. Il consenso deve essere provato per iscritto.
Art. 1920.
(Assicurazione a favore di un terzo).
E` valida l'assicurazione sulla vita a favore di un terzo.
La designazione del beneficiario può essere fatta nel contratto di assicurazione, o con successiva dichiarazione scritta comunicata all'assicuratore, o per testamento; essa è efficace anche se il beneficiario è determinato solo genericamente. Equivale a designazione l'attribuzione della somma assicurata fatta nel testamento a favore di una determinata persona.
Per effetto della designazione il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione.
Art. 1921.
(Revoca del beneficio).
La designazione del beneficiario è revocabile con le forme con le quali può essere fatta a norma dell'articolo precedente. La revoca non può tuttavia farsi dagli eredi dopo la morte del contraente, nè dopo che, verificatosi l'evento, il beneficiario ha dichiarato di voler profittare del beneficio.
Se il contraente ha rinunziato per iscritto al potere di revoca, questa non ha effetto dopo che il beneficiario ha dichiarato al contraente di voler profittare del beneficio. La rinuncia del contraente e la dichiarazione del beneficiario devono essere comunicate per iscritto all'assicuratore.
Art. 1922.
(Decadenza dal beneficio).
La designazione del beneficiario, anche se irrevocabile, non ha effetto qualora il beneficiario attenti alla vita dell'assicurato.
Se la designazione è irrevocabile ed è stata fatta a titolo di liberalità, essa può essere revocata nei casi previsti dall'art. 800.
Art. 1923.
(Diritti dei creditori e degli eredi).
Le somme dovute dall'assicuratore al contraente o al beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare.
Sono salve, rispetto ai premi pagati, le disposizioni relative alla revocazione degli atti compiuti in pregiudizio dei creditori e quelle relative alla collazione, all'imputazione e alla riduzione delle donazioni.
Art. 1924.
(Mancato pagamento dei premi).
Se il contraente non paga il premio relativo al primo anno, l'assicuratore può agire per l'esecuzione del contratto nel termine di sei mesi dal giorno in cui il premio è scaduto. La disposizione si applica anche se il premio è ripartito in più rate, fermo restando il disposto dei primi due commi dell'art. 1901; in tal caso il termine decorre dalla scadenza delle singole rate.
Se il contraente non paga i premi successivi nel termine di tolleranza previsto dalla polizza o, in mancanza, nel termine di venti giorni dalla scadenza, il contratto è risoluto di diritto, e i premi pagati restano acquisiti all'assicuratore, salvo che sussistano le condizioni per il riscatto dell'assicurazione o per la riduzione della somma assicurata.
Art. 1925.
(Riscatto e riduzione della polizza).
Le polizze di assicurazione devono regolare i diritti di riscatto e di riduzione della somma assicurata, in modo tale che l'assicurato sia in grado, in ogni momento, di conoscere quale sarebbe il valore di riscatto o di riduzione dell'assicurazione.
Art. 1926.
(Cambiamento di professione dell'assicurato).
I cambiamenti di professione o di attività dell'assicurato non fanno cessare gli effetti dell'assicurazione, qualora non aggravino il rischio in modo tale che, se il nuovo stato di cose fosse esistito al tempo del contratto, l'assicuratore non avrebbe consentito l'assicurazione.
Qualora i cambiamenti siano di tale natura che, se il nuovo stato di cose fosse esistito al tempo del contratto, l'assicuratore avrebbe consentito l'assicurazione per un premio più elevato, il pagamento della somma assicurata è ridotto in proporzione del minor premio convenuto in confronto di quello che sarebbe stato stabilito.
Se l'assicurato dà notizia dei suddetti cambiamenti all'assicuratore, questi, entro quindici giorni, deve dichiarare se intende far cessare gli effetti del contratto ovvero ridurre la somma assicurata o elevare il premio.
Se l'assicuratore dichiara di voler modificare il contratto in uno dei due sensi su indicati, l'assicurato, entro quindici giorni successivi, deve dichiarare se intende accettare la proposta.
Se l'assicurato dichiara di non accettare, il contratto è risoluto, salvo il diritto dell'assicuratore al premio relativo al periodo di assicurazione in corso e salvo il diritto dell'assicurato al riscatto. Il silenzio dell'assicurato vale come adesione alla proposta dell'assicuratore.
Le comunicazioni e dichiarazioni previste dai commi precedenti possono farsi anche mediante raccomandata.
Art. 1927.
(Suicidio dell'assicurato).
In caso di suicidio dell'assicurato, avvenuto prima che siano decorsi due anni dalla stipulazione del contratto, l'assicuratore non è tenuto al pagamento delle somme assicurate, salvo patto contrario.
L'assicuratore non è nemmeno obbligato se, essendovi stata sospensione del contratto per mancato pagamento dei premi, non sono decorsi due anni dal giorno in cui la sospensione è cessata.
Sezione IV. -
Della riassicurazione.
Art. 1928.
(Prova).
I contratti generali di riassicurazione relativi a una serie di rapporti assicurativi devono essere provati per iscritto.
I rapporti di riassicurazione in esecuzione dei contratti generali e i contratti di riassicurazione per singoli rischi possono essere provati secondo le regole generali.
Art. 1929.
(Efficacia del contratto).
Il contratto di riassicurazione non crea rapporti tra l'assicurato e il riassicuratore, salve le disposizioni delle leggi speciali sul privilegio a favore della massa degli assicurati.
Art. 1930.
(Diritto del riassicurato in caso di liquidazione coatta amministrativa).
In caso di liquidazione coatta amministrativa del riassicurato, il riassicuratore deve pagare integralmente l'indennità dovuta al riassicurato, salva la compensazione con i premi e gli altri crediti.
Art. 1931.
(Compensazione dei crediti e debiti).
In caso di liquidazione coatta amministrativa dell'impresa del riassicuratore o del riassicurato, i debiti e i crediti che, alla fine della liquidazione, risultano dalla chiusura dei conti relativi a più contratti di riassicurazione, si compensano di diritto.
Sezione V. -
Disposizioni finali.
Art. 1932.
(Norme inderogabili).
Le disposizioni degli articoli 1887, 1892, 1893, 1894, 1897, 1898, 1899, secondo comma, 1901, 1903, secondo comma, 1914, secondo comma, 1915, secondo comma, 1917, terzo e quarto comma e 1926 non possono essere derogate se non in senso più favorevole all'assicurato.
Le clausole che derogano in senso meno favorevole all'assicurato sono sostituite di diritto dalle corrispondenti disposizioni di legge.
Capo XXI.
Del giuoco e della scommessa.
Art. 1933.
(Mancanza di azione).
Non compete azione per il pagamento di un debito di giuoco o di scommessa, anche se si tratta di giuoco o di scommessa non proibiti.
Il perdente tuttavia non può ripetere quanto abbia spontaneamente pagato dopo l'esito di un giuoco o di una scommessa in cui non vi sia stata alcuna frode. La ripetizione è ammessa in ogni caso se il perdente è un incapace.
Art. 1934.
(Competizioni sportive).
Sono eccettuati dalla norma del primo comma dell'articolo precedente, anche rispetto alle persone che non vi prendono parte, i giuochi che addestrano al maneggio delle armi, le corse di ogni specie e ogni altra competizione sportiva.
Tuttavia il giudice può rigettare o ridurre la domanda, qualora ritenga la posta eccessiva.
Art. 1935.
(Lotterie autorizzate).
Le lotterie danno luogo ad azione in giudizio, qualora siano state legalmente autorizzate.
Capo XXII.
Della fideiussione.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 1936.
(Nozione).
E` fideiussore colui che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l'adempimento di un'obbligazione altrui.
La fideiussione è efficace anche se il debitore non ne ha conoscenza.
Art. 1937.
(Manifestazione della volontà).
La volontà di prestare fideiussione deve essere espressa.
Art. 1938.
(Fideiussione per obbligazioni future o condizionali).
La fideiussione può essere prestata anche per un'obbligazione futura o condizionale.
Art. 1939.
(Validità della fideiussione).
La fideiussione non è valida se non è valida l'obbligazione principale, salvo che sia prestata per un'obbligazione assunta da un incapace.
Art. 1940.
(Fideiussore del fideiussore).
La fideiussione può essere prestata così per il debitore principale, come per il suo fideiussore.
Art. 1941.
(Limiti della fideiussione).
La fideiussione non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore, nè può essere prestata a condizioni più onerose.
Può prestarsi per una parte soltanto del debito o a condizioni meno onerose.
La fideiussione eccedente il debito o contratta a condizioni più onerose è valida nei limiti dell'obbligazione principale.
Art. 1942.
(Estensione della fideiussione).
Salvo patto contrario, la fideiussione si estende a tutti gli accessori del debito principale, nonchè alle spese per la denunzia al fideiussore della causa promossa contro il debitore principale e alle spese successive.
Art. 1943.
(Obbligazione di prestare fideiussione).
Il debitore obbligato a dare un fideiussore deve presentare persona capace, che possieda beni sufficienti a garantire l'obbligazione e che abbia o elegga domicilio nella giurisdizione della corte di appello in cui la fideiussione si deve prestare.
Quando il fideiussore è divenuto insolvente, deve esserne dato un altro, tranne che la fideiussione sia stata prestata dalla persona voluta dal creditore.
Sezione II. -
Dei rapporti tra creditore e fideiussore.
Art. 1944.
(Obbligazione del fideiussore).
Il fideiussore è obbligato in solido col debitore principale al pagamento del debito.
Le parti però possono convenire che il fideiussore non sia tenuto a pagare prima dell'escussione del debitore principale. In tal caso, il fideiussore, che sia convenuto dal creditore e intenda valersi del beneficio dell'escussione, deve indicare i beni del debitore principale da sottoporre ad esecuzione.
Salvo patto contrario, il fideiussore è tenuto ad anticipare le spese necessarie.
Art. 1945.
(Eccezioni opponibili dal fideiussore).
Il fideiussore può opporre contro il creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, salva quella derivante dall'incapacità.
Art. 1946.
(Fideiussione prestata da più persone).
Se più persone hanno prestato fideiussione per un medesimo debitore e a garanzia di un medesimo debito, ciascuna di esse è obbligata per l'intero debito, salvo che sia stato pattuito il beneficio della divisione.
Art. 1947.
(Beneficio della divisione).
Se è stato stipulato il beneficio della divisione, ogni fideiussore che sia convenuto per il pagamento dell'intero debito può esigere che il creditore riduca l'azione alla parte da lui dovuta.
Se alcuno dei fideiussori era insolvente al tempo in cui un altro ha fatto valere il beneficio della divisione, questi è obbligato per tale insolvenza in proporzione della sua quota, ma non risponde delle insolvenze sopravvenute.
Art. 1948.
(Obbligazione del fideiussore del fideiussore).
Il fideiussore del fideiussore non è obbligato verso il creditore, se non nel caso in cui il debitore principale e tutti i fideiussori di questo siano insolventi, o siano liberati perchè incapaci.
Sezione III. -
Dei rapporti tra fideiussore e debitore principale.
Art. 1949.
(Surrogazione del fideiussore nei diritti del creditore).
Il fideiussore che ha pagato il debito è surrogato nei diritti che il creditore aveva contro il debitore.
Art. 1950.
(Regresso contro il debitore principale).
Il fideiussore che ha pagato ha regresso contro il debitore principale, benchè questi non fosse consapevole della prestata fideiussione.
Il regresso comprende il capitale, gli interessi e le spese che il fideiussore ha fatte dopo che ha denunziato al debitore principale le istanze proposte contro di lui.
Il fideiussore inoltre ha diritto agli interessi legali sulle somme pagate dal giorno del pagamento. Se il debito principale produceva interessi in misura superiore al saggio legale, il fideiussore ha diritto a questi fino al rimborso del capitale.
Se il debitore è incapace, il regresso del fideiussore è ammesso solo nei limiti di ciò che sia stato rivolto a suo vantaggio.
Art. 1951.
(Regresso contro più debitori principali).
Se vi sono più debitori principali obbligati in solido, il fideiussore che ha garantito per tutti ha regresso contro ciascuno per ripetere integralmente ciò che ha pagato.
Art. 1952.
(Divieto di agire contro il debitore principale).
Il fideiussore non ha regresso contro il debitore principale se, per avere omesso di denunziargli il pagamento fatto, il debitore ha pagato ugualmente il debito.
Se il fideiussore ha pagato senza averne dato avviso al debitore principale, questi può opporgli le eccezioni che avrebbe potuto opporre al creditore principale all'atto del pagamento.
In entrambi i casi è fatta salva al fideiussore l'azione per la ripetizione contro il creditore.
Art. 1953.
(Rilievo del fideiussore).
Il fideiussore, anche prima di aver pagato, può agire contro il debitore perchè questi gli procuri la liberazione o, in mancanza, presti le garanzie necessarie per assicurargli il soddisfacimento delle eventuali ragioni di regresso, nei casi seguenti: 1) quando è convenuto in giudizio per il pagamento; 2) quando il debitore è divenuto insolvente; 3) quando il debitore si è obbligato di liberarlo dalla fideiussione entro un tempo determinato; 4) quando il debito è divenuto esigibile per la scadenza del termine; 5) quando sono decorsi cinque anni, e l'obbligazione principale non ha un termine, purchè essa non sia di tal natura da non potersi estinguere prima di un tempo determinato.
Sezione IV. -
Dei rapporti tra più fideiussori.
Art. 1954.
(Regresso contro gli altri fideiussori).
Se più persone hanno prestato fideiussione per un medesimo debitore e per un medesimo debito, il fideiussore che ha pagato ha regresso contro gli altri fideiussori per la loro rispettiva porzione. Se uno di questi è insolvente, si osserva la disposizione del secondo comma dell'art. 1299.
Sezione V. -
Dell'estinzione della fideiussione.
Art. 1955.
(Liberazione del fideiussore per fatto del creditore).
La fideiussione si estingue quando, per fatto del creditore, non può avere effetto la surrogazione del fideiussore nei diritti, nel pegno, nelle ipoteche e nei privilegi del creditore.
Art. 1956.
(Liberazione del fideiussore per obbligazione futura).
Il fideiussore per un'obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito.
Art. 1957.
(Scadenza dell'obbligazione principale).
Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell'obbligazione principale, purchè il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate.
La disposizione si applica anche al caso in cui il fideiussore ha espressamente limitato la sua fideiussione allo stesso termine dell'obbligazione principale.
In questo caso però l'istanza contro il debitore deve essere proposta entro due mesi.
L'istanza proposta contro il debitore interrompe la prescrizione anche nei confronti del fideiussore.
Capo XXIII.
Del mandato di credito.
Art. 1958.
(Effetti del mandato di credito).
Se una persona si obbliga verso un'altra, che le ha conferito l'incarico, a fare credito a un terzo, in nome e per conto proprio, quella che ha dato l'incarico risponde come fideiussore di un debito futuro.
Colui che ha accettato l'incarico non può rinunziarvi, ma chi l'ha conferito può revocarlo, salvo l'obbligo di risarcire il danno all'altra parte.
Art. 1959.
(Sopravvenuta insolvenza del mandante o del terzo).
Se, dopo l'accettazione dell'incarico, le condizioni patrimoniali di colui che lo ha conferito o del terzo sono divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito, colui che ha accettato l'incarico non può essere costretto ad eseguirlo.
Si applica inoltre la disposizione dell'art. 1956.
Capo XXIV.
Dell'anticresi.
Art. 1960.
(Nozione).
L'anticresi è il contratto col quale il debitore o un terzo si obbliga a consegnare un immobile al creditore a garanzia del credito, affinchè il creditore ne percepisca i frutti, imputandoli agli interessi, se dovuti, e quindi al capitale.
Art. 1961.
(Obblighi del creditore anticretico).
Il creditore, se non è stato convenuto diversamente, è obbligato a pagare i tributi e i pesi annui dell'immobile ricevuto in anticresi.
Egli ha l'obbligo di conservare, amministrare e coltivare il fondo da buon padre di famiglia. Le spese relative devono essere prelevate dai frutti.
Il creditore, se vuole liberarsi da tali obblighi, può, in ogni tempo, restituire l'immobile al debitore, purchè non abbia rinunziato a tale facoltà.
Art. 1962.
(Durata dell'anticresi).
L'anticresi dura finchè il creditore sia stato interamente soddisfatto del suo credito, anche se il credito o l'immobile dato in anticresi sia divisibile, salvo che sia stata stabilita la durata.
In ogni caso l'anticresi non può avere una durata superiore a dieci anni.
Se è stato stipulato un termine maggiore, questo si riduce al termine suddetto.
Art. 1963.
(Divieto del patto commissorio).
E` nullo qualunque patto, anche posteriore alla conclusione del contratto, con cui si conviene che la proprietà dell'immobile passi al creditore nel caso di mancato pagamento del debito.
Art. 1964.
(Compensazione dei frutti con gli interessi).
Salva la disposizione dell'art. 1448, è valido il patto col quale le parti convengono che i frutti si compensino con gli interessi in tutto o in parte. In tal caso il debitore può in ogni tempo estinguere il suo debito e rientrare nel possesso dell'immobile.
Capo XXV.
Della transazione.
Art. 1965.
(Nozione).
La transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro.
Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti.
Art. 1966.
(Capacità a transigere e disponibilità dei diritti).
Per transigere le parti devono avere la capacità di disporre dei diritti che formano oggetto della lite.
La transazione è nulla se tali diritti, per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti.
Art. 1967.
(Prova).
La transazione deve essere provata per iscritto, fermo il disposto del n. 12 dell'art. 1350.
Art. 1968.
(Transazione sulla falsità di documenti).
La transazione nei giudizi civili di falso non produce alcun effetto, se non è stata omologata dal tribunale, sentito il pubblico ministero.
Art. 1969.
(Errore di diritto).
La transazione non può essere annullata per errore di diritto relativo alle questioni che sono state oggetto di controversia tra le parti.
Art. 1970.
(Lesione).
La transazione non può essere impugnata per causa di lesione.
Art. 1971.
(Transazione su pretesa temeraria).
Se una delle parti era consapevole della temerarietà della sua pretesa, l'altra può chiedere l'annullamento della transazione.
Art. 1972.
(Transazione su un titolo nullo).
E` nulla la transazione relativa a un contratto illecito, ancorchè le parti abbiano trattato della nullità di questo.
Negli altri casi in cui la transazione è stata fatta relativamente a un titolo nullo, l'annullamento di essa può chiedersi solo dalla parte che ignorava la causa di nullità del titolo.
Art. 1973.
(Annullabilità per falsità di documenti).
E` annullabile la transazione fatta, in tutto o in parte, sulla base di documenti che in seguito sono stati riconosciuti falsi.
Art. 1974.
(Annullabilità per cosa giudicata).
E` pure annullabile la transazione fatta su lite già decisa con sentenza passata in giudicato, della quale le parti o una di esse non avevano notizia.
Art. 1975.
(Annullabilità per scoperta di documenti).
La transazione che le parti hanno conclusa generalmente sopra tutti gli affari che potessero esservi tra loro non può impugnarsi per il fatto che posteriormente una di esse venga a conoscenza di documenti che le erano ignoti al tempo della transazione, salvo che questi siano stati occultati dall'altra parte.
La transazione è annullabile, quando non riguarda che un affare determinato e con documenti posteriormente scoperti si prova che una delle parti non aveva alcun diritto.
Art. 1976.
(Risoluzione della transazione per inadempimento).
La risoluzione della transazione per inadempimento non può essere richiesta se il rapporto preesistente è stato estinto per novazione, salvo che il diritto alla risoluzione sia stato espressamente stipulato.
Capo XXVI.
Della cessione dei beni ai creditori.
Art. 1977.
(Nozione).
La cessione dei beni ai creditori è il contratto col quale il debitore incarica i suoi creditori o alcuni di essi di liquidare tutte o alcune sue attività e di ripartirne tra loro il ricavato in soddisfacimento dei loro crediti.
Art. 1978.
(Forma).
La cessione dei beni si deve fare per iscritto, sotto pena di nullità.
Se tra i beni ceduti esistono crediti, si osservano le disposizione degli articoli 1264 e 1265.
Art. 1979.
(Poteri dei creditori cessionari).
L'amministrazione dei beni ceduti spetta ai creditori cessionari. Questi possono esercitare tutte le azioni di carattere patrimoniale relative ai beni medesimi.
Art. 1980.
(Effetti della cessione).
Il debitore non può disporre dei beni ceduti.
I creditori anteriori alla cessione che non vi hanno partecipato possono agire esecutivamente anche su tali beni.
I creditori cessionari, se la cessione ha avuto per oggetto solo alcune attività del debitore, non possono agire esecutivamente sulle altre attività prima di aver liquidato quelle cedute.
Art. 1981.
(Spese).
I creditori che hanno concluso il contratto o vi hanno aderito devono anticipare le spese necessarie per la liquidazione e hanno il diritto di prelevarne l'importo sul ricavato di essa.
Art. 1982.
(Riparto).
I creditori devono ripartire tra loro le somme ricavate in proporzione dei rispettivi crediti, salve le cause di prelazione. Il residuo spetta al debitore.
Art. 1983.
(Controllo del debitore).
Il debitore ha diritto di controllare la gestione e di averne il rendiconto alla fine della liquidazione, o alla fine di ogni anno se la gestione dura più di un anno.
Se è stato nominato un liquidatore, questi deve rendere il conto anche al debitore.
Art. 1984.
(Liberazione del debitore).
Se non vi è patto contrario, il debitore è liberato verso i creditori solo dal giorno in cui essi ricevono la parte loro spettante sul ricavato della liquidazione, e nei limiti di quanto hanno ricevuto.
Art. 1985.
(Recesso del contratto).
Il debitore può recedere dal contratto offrendo il pagamento del capitale e degli interessi a coloro con i quali ha contrattato o che hanno aderito alla cessione. Il recesso ha effetto dal giorno del pagamento.
Il debitore è tenuto al rimborso delle spese di gestione.
Art. 1986.
(Annullamento e risoluzione del contratto).
La cessione può essere annullata se il debitore, avendo dichiarato di cedere tutti i suoi beni, ha dissimulato parte notevole di essi, ovvero se ha occultato passività o ha simulato passività inesistenti.
La cessione può essere risoluta per inadempimento secondo le regole generali.
Titolo IV.
Delle promesse unilaterali
Art. 1987.
(Efficacia delle promesse).
La promessa, unilaterale di una prestazione non produce effetti obbligatori fuori dei casi ammessi dalla legge.
Art. 1988.
(Promessa di pagamento e ricognizione di debito).
La promessa di pagamento o la ricognizione di un debito dispensa colui a favore del quale è fatta dall'onere di provare il rapporto fondamentale. L'esistenza di questo si presume fino a prova contraria.
Art. 1989.
(Promessa al pubblico).
Colui che, rivolgendosi al pubblico, promette una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione, è vincolato dalla promessa non appena questa è resa pubblica.
Se alla promessa non è apposto un termine, o questo non risulta dalla natura o dallo scopo della medesima, il vincolo del promittente cessa, qualora entro l'anno dalla promessa non gli sia stato comunicato l'avveramento della situazione o il compimento dell'azione prevista nella promessa.
Art. 1990.
(Revoca della promessa).
La promessa può essere revocata prima della scadenza del termine indicato dall'articolo precedente solo per giusta causa, purchè la revoca sia resa pubblica nella stessa forma della promessa o in forma equivalente.
In nessun caso la revoca può avere effetto se la situazione prevista nella promessa si è già verificata o se l'azione è già stata compiuta.
Art. 1991.
(Cooperazione di più persone).
Se l'azione è stata compiuta da più persone separatamente, oppure se la situazione è comune a più persone, la prestazione promessa, quando è unica, spetta a colui che per primo ne ha dato notizia al promittente.
Titolo V.
Dei titoli di credito
Capo I.
Disposizioni generali.
Art. 1992.
(Adempimento della prestazione).
Il possessore di un titolo di credito ha diritto alla prestazione in esso indicata verso presentazione del titolo, purchè sia legittimato nelle forme prescritte dalla legge.
Il debitore, che senza dolo o colpa grave adempie la prestazione nei confronti del possessore, è liberato anche se questi non è il titolare del diritto.
Art. 1993.
(Eccezioni opponibili).
Il debitore può opporre al possessore del titolo soltanto le eccezioni a questo personali, le eccezioni di forma, quelle che sono fondate sul contesto letterale del titolo, nonchè quelle che dipendono da falsità della propria firma, da difetto di capacità o di rappresentanza al momento dell'emissione, o dalla mancanza delle condizioni necessarie per l'esercizio dell'azione.
Il debitore può opporre al possessore del titolo le eccezioni fondate sui rapporti personali con i precedenti possessori, soltanto se, nell'acquistare il titolo, il possessore ha agito intenzionalmente a danno del debitore medesimo.
Art. 1994.
(Effetti del possesso di buona fede).
Chi ha acquistato in buona fede il possesso di un titolo di credito, in conformità delle norme che ne disciplinano la circolazione, non è soggetto a rivendicazione.
Art. 1995.
(Trasferimento dei diritti accessori).
Il trasferimento del titolo di credito comprende anche i diritti accessori che sono ad esso inerenti.
Art. 1996.
(Titoli rappresentativi).
I titoli rappresentativi di merci attribuiscono al possessore il diritto alla consegna delle merci che sono in essi specificate, il possesso delle medesime e il potere di disporne mediante trasferimento del titolo.
Art. 1997.
(Efficacia dei vincoli sul credito).
Il pegno, il sequestro, il pignoramento e ogni altro vincolo sul diritto menzionato in un titolo di credito o sulle merci da esso rappresentate non hanno effetto se non si attuano sul titolo.
Art. 1998.
(Titoli con diritto a premi).
Nel caso di usufrutto di titoli di credito il godimento dell'usufruttuario si estende ai premi e alle altre utilità aleatorie prodotte dal titolo.
Il premio è investito a norma dell'art. 1000.
Nel pegno di titoli di credito la garanzia non si estende ai premi e alle altre utilità aleatorie prodotte dal titolo.
Art. 1999.
(Conversione dei titoli).
I titoli di credito al portatore possono essere convertiti dall'emittente in titoli nominativi, su richiesta e a spese del possessore.
Salvo il caso in cui la convertibilità sia stata espressamente esclusa dall'emittente, i titoli nominativi possono essere convertiti in titoli al portatore, su richiesta e a spese dell'intestatario che dimostri la propria identità e la propria capacità a norma del secondo comma dell'art. 2022.
Art. 2000.
(Riunione e frazionamento dei titoli).
I titoli di credito emessi in serie possono essere riuniti in un titolo multiplo, su richiesta e a spese del possessore.
I titoli di credito multipli possono essere frazionati in più titoli di taglio minore.
Art. 2001.
(Rinvio a disposizioni speciali).
Le norme di questo titolo si applicano in quanto non sia diversamente disposto da altre norme di questo codice o di leggi speciali.
I titoli del debito pubblico, i biglietti di banca e gli altri titoli equivalenti sono regolati da leggi speciali.
Art. 2002.
(Documenti di legittimazione e titoli impropri).
Le norme di questo titolo non si applicano ai documenti che servono solo a identificare l'avente diritto alla prestazione, o a consentire il trasferimento del diritto senza l'osservanza delle forme proprie della cessione.
Capo II.
Dei titoli al portatore.
Art. 2003.
(Trasferimento del titolo e legittimazione del possessore).
Il trasferimento del titolo al portatore si opera con la consegna del titolo.
Il possessore del titolo al portatore è legittimato all'esercizio del diritto in esso menzionato in base alla presentazione del titolo.
Art. 2004.
(Limitazione della libertà di emissione).
Il titolo di credito contenente l'obbligazione di pagare una somma di danaro non può essere emesso al portatore se non nei casi stabiliti dalla legge.
Art. 2005.
(Titolo deteriorato).
Il possessore di un titolo deteriorato che non sia più idoneo alla circolazione, ma sia tuttora sicuramente identificabile, ha diritto di ottenere dall'emittente un titolo equivalente, verso la restituzione del primo e il rimborso delle spese.
Art. 2006.
(Smarrimento e sottrazione del titolo).
Salvo disposizioni di leggi speciali, non è ammesso l'ammortamento dei titoli al portatore smarriti o sottratti.
Tuttavia chi denunzia all'emittente lo smarrimento o la sottrazione d'un titolo al portatore e gliene fornisce la prova ha diritto alla prestazione e agli accessori della medesima, decorso il termine di prescrizione del titolo.
Il debitore che esegue la prestazione a favore del possessore del titolo prima del termine suddetto è liberato, salvo che si provi che egli conoscesse il vizio del possesso del presentatore.
Se i titoli smarriti o sottratti sono azioni al portatore, il denunziante può essere autorizzato dal tribunale, previa cauzione, se del caso, a esercitare i diritti inerenti alle azioni anche prima del termine di prescrizione, fino a quando i titoli non vengano presentati da altri.
E` salvo, in ogni caso, l'eventuale diritto del denunziante verso il possessore del titolo.
Art. 2007.
(Distruzione del titolo).
Il possessore del titolo al portatore, che ne provi la distruzione, ha diritto di chiedere all'emittente il rilascio di un duplicato o di un titolo equivalente.
Le spese sono a carico del richiedente.
Se la prova della distruzione non è raggiunta, si osservano le disposizioni dell'articolo precedente.
Capo III.
Dei titoli all'ordine.
Art. 2008.
(Legittimazione del possessore).
Il possessore di un titolo all'ordine è legittimato all'esercizio del diritto in esso menzionato in base a una serie continua di girate.
Art. 2009.
(Forma della girata).
La girata deve essere scritta sul titolo e sottoscritta dal girante.
E` valida la girata anche se non contiene l'indicazione del giratario.
La girata al portatore vale come girata in bianco.
Art. 2010.
(Girata condizionale o parziale).
Qualsiasi condizione apposta alla girata si ha come non scritta.
E` nulla la girata parziale.
Art. 2011.
(Effetti della girata).
La girata trasferisce tutti i diritti inerenti al titolo.
Se il titolo è girato in bianco, il possessore può riempire la girata col proprio nome o con quello di altra persona, ovvero può girare di nuovo il titolo o trasmetterlo a un terzo senza riempire la girata o senza apporne una nuova.
Art. 2012.
(Obblighi del girante).
Salvo diversa disposizione di legge o clausola contraria risultante dal titolo, il girante non è obbligato per l'inadempimento della prestazione da parte dell'emittente.
Art. 2013.
(Girata per incasso o per procura).
Se alla girata è apposta una clausola che importa conferimento di una procura per incasso, il giratario può esercitare tutti i diritti inerenti al titolo, ma non può girare il titolo, fuorchè per procura.
L'emittente può opporre al giratario per procura soltanto le eccezioni opponibili al girante.
L'efficacia della girata per procura non cessa per la morte o per la sopravvenuta incapacità del girante.
Art. 2014.
(Girata a titolo di pegno).
Se alla girata è apposta una clausola che importa costituzione di pegno, il giratario può esercitare tutti i diritti inerenti al titolo, ma la girata da lui fatta vale solo come girata per procura.
L'emittente non può opporre al giratario in garanzia le eccezioni fondate sui propri rapporti personali col girante, a meno che il giratario, ricevendo il titolo, abbia agito intenzionalmente a danno dell'emittente.
Art. 2015.
(Cessione del titolo all'ordine).
L'acquisto di un titolo all'ordine con un mezzo diverso dalla girata produce gli effetti della cessione.
Art. 2016.
(Procedura d'ammortamento).
In caso di smarrimento, sottrazione o distruzione del titolo, il possessore può farne denunzia al debitore e chiedere l'ammortamento del titolo con ricorso al presidente del tribunale del luogo in cui il titolo è pagabile.
Il ricorso deve indicare i requisiti essenziali del titolo e, se si tratta di titolo in bianco, quelli sufficienti a identificarlo.
Il presidente del tribunale, premessi gli opportuni accertamenti sulla verità dei fatti e sul diritto del possessore, pronunzia con decreto l'ammortamento e autorizza il pagamento del titolo dopo trenta giorni dalla data di pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale del Regno, purchè nel frattempo non sia fatta opposizione dal detentore. Se alla data della pubblicazione il titolo non è ancora scaduto, il termine per il pagamento decorre dalla data della scadenza.
Il decreto deve essere notificato al debitore e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno a cura del ricorrente.
Nonostante la denunzia, il pagamento fatto al detentore prima della notificazione del decreto libera il debitore.
Art. 2017.
(Opposizione del detentore).
L'opposizione del detentore deve essere proposta davanti al tribunale che ha pronunziato l'ammortamento, con citazione da notificarsi al ricorrente e al debitore.
L'opposizione non è ammissibile senza il deposito del titolo presso la cancelleria del tribunale.
Se l'opposizione è respinta, il titolo è consegnato a chi ha ottenuto l'ammortamento.
Art. 2018.
(Diritti del ricorrente durante il termine per l'opposizione).
Durante il termine stabilito dall'art. 2016, il ricorrente può compiere tutti gli atti che tendono a conservare i suoi diritti, e, se il titolo è scaduto o pagabile a vista, può esigerne il pagamento mediante cauzione o chiedere il deposito giudiziario della somma.
Art. 2019.
(Effetti dell'ammortamento).
Trascorso senza opposizione il termine indicato dall'art. 2016, il titolo non ha più efficacia, salve le ragioni del detentore verso chi ha ottenuto l'ammortamento.
Chi ha ottenuto l'ammortamento, su presentazione del decreto e di un certificato del cancelliere del tribunale comprovante che non fu interposta opposizione, può esigere il pagamento o, qualora il titolo sia in bianco o non sia ancora scaduto, può ottenere un duplicato.
Art. 2020.
(Leggi speciali).
Le norme di questa sezione si applicano ai titoli all'ordine regolati da leggi speciali in quanto queste non dispongano diversamente.
Capo IV.
Dei titoli nominativi.
Art. 2021.
(Legittimazione del possessore).
Il possessore di un titolo nominativo è legittimato all'esercizio del diritto in esso menzionato per effetto dell'intestazione a suo favore contenuta nel titolo e nel registro dell'emittente.
Art. 2022.
(Trasferimento).
Il trasferimento del titolo nominativo si opera mediante l'annotazione del nome dell'acquirente sul titolo e nel registro dell'emittente o col rilascio di un nuovo titolo intestato al nuovo titolare. Del rilascio deve essere fatta annotazione nel registro.
Colui che chiede l'intestazione del titolo a favore di un'altra persona, o il rilascio di un nuovo titolo ad essa intestato, deve provare la propria identità e la propria capacità di disporre, mediante certificazione di un notaio o di un agente di cambio. Se l'intestazione o il rilascio è richiesto dall'acquirente, questi deve esibire il titolo e dimostrare il suo diritto mediante atto autentico.
Le annotazioni nel registro e sul titolo sono fatte a cura e sotto la responsabilità dell'emittente.
L'emittente che esegue il trasferimento nei modi indicati dal presente articolo è esonerato da responsabilità, salvo il caso di colpa.
Art. 2023.
(Trasferimento mediante girata).
Salvo diverse disposizioni della legge, il titolo nominativo può essere trasferito anche mediante girata autenticata da un notaio o da un agente di cambio.
La girata deve essere datata e sottoscritta dal girante e contenere l'indicazione del giratario. Se il titolo non è interamente liberato, è necessaria anche la sottoscrizione del giratario.
Il trasferimento mediante girata non ha efficacia nei confronti dell'emittente fino a che non ne sia fatta annotazione nel registro. Il giratario che si dimostra possessore del titolo in base a una serie continua di girate ha diritto di ottenere l'annotazione del trasferimento nel registro dell'emittente.
Art. 2024.
(Vincoli sul credito).
Nessun vincolo sul credito produce effetti nei confronti dell'emittente e dei terzi, se non risulta da una corrispondente annotazione sul titolo e nel registro.
Per l'annotazione si osserva il disposto del secondo comma dell'art. 2022.
Art. 2025.
(Usufrutto).
Chi ha l'usufrutto del credito menzionato in un titolo nominativo ha diritto di ottenere un titolo separato da quello del proprietario.
Art. 2026.
(Pegno).
La costituzione in pegno di un titolo nominativo può farsi anche mediante consegna del titolo, girato con la clausola «in garanzia» o altra equivalente.
Il giratario in garanzia non può trasmettere ad altri il titolo se non mediante girata per procura.
Art. 2027.
(Ammortamento).
In caso di smarrimento, sottrazione o distruzione del titolo, l'intestatario o il giratario di esso può farne denunzia all'emittente e chiedere l'ammortamento del titolo in conformità delle norme relative ai titoli all'ordine.
In caso di smarrimento, sottrazione o distruzione di azioni nominative, durante il termine stabilito dall'art. 2016 il ricorrente può esercitare i diritti inerenti alle azioni, salva, se del caso, la prestazione di una cauzione.
L'ammortamento estingue il titolo, ma non pregiudica le ragioni del detentore verso chi ha ottenuto il nuovo titolo.
Titolo VI.
Della gestione di affari
Art. 2028.
(Obbligo di continuare la gestione).
Chi, senza esservi obbligato, assume scientemente la gestione di un affare altrui, è tenuto a continuarla e a condurla a termine finchè l'interessato non sia in grado di provvedervi da se stesso.
L'obbligo di continuare la gestione sussiste anche se l'interessato muore prima che l'affare sia terminato, finchè l'erede possa provvedere direttamente.
Art. 2029.
(Capacità del gestore).
Il gestore deve avere la capacità di contrattare.
Art. 2030.
(Obbligazioni del gestore).
Il gestore è soggetto alle stesse obbligazioni che deriverebbero da un mandato.
Tuttavia il giudice, in considerazione delle circostanze che hanno indotto il gestore ad assumere la gestione, può moderare il risarcimento dei danni ai quali questi sarebbe tenuto per effetto della sua colpa.
Art. 2031.
(Obblighi dell'interessato).
Qualora la gestione sia stata utilmente iniziata, l'interessato deve adempiere le obbligazioni che il gestore ha assunte in nome di lui, deve tenere indenne il gestore di quelle assunte dal medesimo in nome proprio e rimborsargli tutte le spese necessarie o utili con gli interessi dal giorno in cui le spese stesse sono state fatte.
Questa disposizione non si applica agli atti di gestione eseguiti contro il divieto dell'interessato, eccetto che tale divieto sia contrario alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume.
Art. 2032.
(Ratifica dell'interessato).
La ratifica dell'interessato produce, relativamente alla gestione, gli effetti che sarebbero derivati da un mandato, anche se la gestione è stata compiuta da persona che credeva di gerire un affare proprio.
Titolo VII.
Del pagamento dell'indebito
Art. 2033.
(Indebito oggettivo).
Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda.
Art. 2034.
(Obbligazioni naturali).
Non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace.
I doveri indicati dal comma precedente, e ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato, non producono altri effetti.
Art. 2035.
(Prestazione contraria al buon costume).
Chi ha eseguito una prestazione per uno scopo che, anche da parte sua, costituisca offesa al buon costume non può ripetere quanto ha pagato.
Art. 2036.
(Indebito soggettivo).
Chi ha pagato un debito altrui, credendosi debitore in base a un errore scusabile, può ripetere ciò che ha pagato, sempre che il creditore non si sia privato in buona fede del titolo o delle garanzie del credito.
Chi ha ricevuto l'indebito è anche tenuto a restituire i frutti e gli interessi dal giorno del pagamento, se era in mala fede, o dal giorno della domanda, se era in buona fede.
Quando la ripetizione non è ammessa, colui che ha pagato subentra nei diritti del creditore.
Art. 2037.
(Restituzione di cosa determinata).
Chi ha ricevuto indebitamente una cosa determinata è tenuto a restituirla.
Se la cosa è perita, anche per caso fortuito, chi l'ha ricevuta in mala fede è tenuto a corrisponderne il valore; se la cosa è soltanto deteriorata, colui che l'ha data può chiedere l'equivalente, oppure la restituzione e un'indennità per la diminuzione di valore.
Chi ha ricevuto la cosa in buona fede non risponde del perimento o del deterioramento di essa, ancorchè dipenda da fatto proprio, se non nei limiti del suo arricchimento.
Art. 2038.
(Alienazione della cosa ricevuta indebitamente).
Chi, avendo ricevuto la cosa in buona fede, l'ha alienata prima di conoscere l'obbligo di restituirla è tenuto a restituire il corrispettivo conseguito. Se questo è ancora dovuto, colui che ha pagato l'indebito subentra nel diritto dell'alienante. Nel caso di alienazione a titolo gratuito, il terzo acquirente è obbligato, nei limiti del suo arricchimento, verso colui che ha pagato l'indebito.
Chi ha alienato la cosa ricevuta in mala fede, o dopo aver conosciuto l'obbligo di restituirla, è obbligato a restituirla in natura o a corrisponderne il valore. Colui che ha pagato l'indebito può però esigere il corrispettivo dell'alienazione e può anche agire direttamente per conseguirlo. Se l'alienazione è stata fatta a titolo gratuito, l'acquirente, qualora l'alienante sia stato inutilmente escusso, è obbligato, nei limiti dell'arricchimento, verso colui che ha pagato l'indebito.
Art. 2039.
(Indebito ricevuto da un incapace).
L'incapace che ha ricevuto l'indebito, anche in mala fede, non è tenuto che nei limiti in cui ciò che ha ricevuto è stato rivolto a suo vantaggio.
Art. 2040.
(Rimborso di spese e di miglioramenti).
Colui al quale è restituita la cosa è tenuto a rimborsare il possessore delle spese e dei miglioramenti, a norma degli articoli 1149, 1150, 1151 e 1152.
Titolo VIII.
Dell'arricchimento senza causa
Art. 2041.
(Azione generale di arricchimento).
Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un'altra persona è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, a indennizzare quest'ultima della correlativa diminuzione patrimoniale.
Qualora l'arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l'ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda.
Art. 2042.
(Carattere sussidiario dell'azione).
L'azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un'altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subìto.
Titolo IX.
Dei fatti illeciti
Art. 2043.
(Risarcimento per fatto illecito).
Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.
Art. 2044.
(Legittima difesa).
Non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sè o di altri.
Art. 2045.
(Stato di necessità).
Quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sè o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato nè era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta un'indennità, la cui misura è rimessa all'equo apprezzamento del giudice.
Art. 2046.
(Imputabilità del fatto dannoso).
Non risponde delle conseguenze dal fatto dannoso chi non aveva la capacità d'intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d'incapacità derivi da sua colpa.
Art. 2047.
(Danno cagionato dall'incapace).
In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell'incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto.
Nel caso in cui il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi è tenuto alla sorveglianza, il giudice, in considerazione delle condizioni economiche delle parti, può condannare l'autore del danno a un'equa indennità.
Art. 2048.
(Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte).
Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all'affiliante.
I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.
Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto.
Art. 2049.
(Responsabilità dei padroni e dei committenti).
I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.
Art. 2050.
(Responsabilità per l'esercizio di attività pericolose).
Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.
Art. 2051.
(Danno cagionato da cosa in custodia).
Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.
Art. 2052.
(Danno cagionato da animali).
Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito.
Art. 2053.
(Rovina di edificio).
Il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione.
Art. 2054.
(Circolazione di veicoli).
Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
Nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subìto dai singoli veicoli.
Il proprietario del veicolo, o, in sua vece, l'usufruttuario o l'acquirente con patto di riservato dominio, è responsabile in solido col conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà.
In ogni caso le persone indicate dai commi precedenti sono responsabili dei danni derivati da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo.
Art. 2055.
(Responsabilità solidale).
Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno.
Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall'entità delle conseguenze che ne sono derivate.
Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali.
Art. 2056.
(Valutazione dei danni).
Il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227.
Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso.
Art. 2057.
(Danni permanenti).
Quando il danno alle persone ha carattere permanente la liquidazione può essere fatta dal giudice, tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno, sotto forma di una rendita vitalizia. In tal caso il giudice dispone le opportune cautele.
Art. 2058.
(Risarcimento in forma specifica).
Il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile.
Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore.
Art. 2059.
(Danni non patrimoniali).
Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge.
Libro quinto
Del lavoro
Titolo I.
Della disciplina delle attività professionali
Capo I.
Disposizioni generali.
Art. 2060.
(Del lavoro).
Il lavoro è tutelato in tutte le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche e manuali, secondo i principî della Carta del lavoro.
Art. 2061.
(Ordinamento delle categorie professionali).
L'ordinamento delle categorie professionali è stabilito dalle leggi, dai regolamenti, dai provvedimenti dell'autorità governativa e dagli statuti delle associazioni professionali.
Art. 2062.
(Esercizio professionale delle attività economiche).
L'esercizio professionale delle attività economiche è disciplinato dalle leggi, dai regolamenti e dalle norme corporative.
Capo II.
Delle ordinanze corporative e degli accordi economici collettivi.
Art. 2063.
(Oggetto).
Le ordinanze corporative per il coordinamento della produzione e degli scambi possono avere per oggetto: 1) la disciplina unitaria della produzione; 2) il regolamento dei rapporti tra determinate categorie professionali; 3) le tariffe per le prestazioni e per i beni di consumo offerti al pubblico in condizioni di privilegio.
Le materie indicate nel n. 2 possono anche, nei casi e nei modi stabiliti dalla legge, formare oggetto di accordi economici collettivi tra le associazioni professionali che rappresentano le categorie interessate.
Art. 2064.
(Formazione e pubblicazione).
La formazione e la pubblicazione delle ordinanze corporative e degli accordi economici collettivi sono regolate dalle leggi speciali.
Art. 2065.
(Efficacia).
Le ordinanze corporative e gli accordi economici collettivi hanno efficacia per tutti coloro che esercitano la loro attività nel ramo di produzione regolato dalle ordinanze e dagli accordi medesimi.
Art. 2066.
(Inderogabilità).
I contratti individuali non possono derogare alle ordinanze corporative e agli accordi economici collettivi, salvo che questi lo consentano.
Le clausole dei contratti individuali, difformi dalle norme inderogabili contenute nelle ordinanze e negli accordi previsti nel presente capo, sono sostituite di diritto dalle norme suddette.
La disposizione del comma precedente non si applica ai contratti stipulati prima dell'entrata in vigore dell'ordinanza corporativa o dell'accordo economico collettivo. L'ordinanza e l'accordo possono tuttavia stabilire che le norme in essi contenute si applichino anche ai contratti ad esecuzione continuata o periodica in corso, per la parte non ancora eseguita.
Capo III.
Del contratto collettivo di lavoro e delle norme equiparate.
Art. 2067.
(Soggetti).
I contratti collettivi di lavoro sono stipulati dalle associazioni professionali.
Art. 2068.
(Rapporti di lavoro sottratti a contratto collettivo).
Non possono essere regolati da contratto collettivo i rapporti di lavoro, in quanto siano disciplinati con atti della pubblica autorità in conformità della legge.
Sono altresì sottratti alla disciplina del contratto collettivo i rapporti di lavoro concernenti prestazioni di carattere personale o domestico.
Art. 2069.
(Efficacia).
Il contratto collettivo deve contenere l'indicazione della categoria d'imprenditori e di prestatori di lavoro, ovvero delle imprese o dell'impresa, a cui si riferisce, e del territorio dove ha efficacia.
In mancanza di tali indicazioni il contratto collettivo è obbligatorio per tutti gli imprenditori e i prestatori di lavoro rappresentati dalle associazioni stipulanti.
Art. 2070.
(Criteri di applicazione).
L'appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell'applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l'attività effettivamente esercitata dall'imprenditore.
Se l'imprenditore esercita distinte attività aventi carattere autonomo, si applicano ai rispettivi rapporti di lavoro le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole attività.
Quando il datore di lavoro esercita non professionalmente un'attività organizzata, si applica il contratto collettivo che regola i rapporti di lavoro relativi alle imprese che esercitano la stessa attività.
Art. 2071.
(Contenuto).
Il contratto collettivo deve contenere le disposizioni occorrenti, secondo la natura del rapporto, per attuare i principî della Carta del lavoro e per dare esecuzione alle norme di questo codice concernenti la disciplina del lavoro, i diritti e gli obblighi degli imprenditori e dei prestatori di lavoro.
Deve inoltre indicare le qualifiche e le rispettive mansioni dei prestatori di lavoro appartenenti alla categoria a cui si riferisce la disciplina collettiva.
Deve infine contenere la determinazione della sua durata.
Art. 2072.
(Deposito e pubblicazione).
Il deposito e la pubblicazione del contratto collettivo sono regolati dalle leggi speciali.
Prima della pubblicazione l'autorità governativa deve accertare che ricorrano le condizioni richieste per la validità del contratto collettivo.
La pubblicazione può essere rifiutata, se il contratto collettivo non contiene le disposizioni e le indicazioni richieste dall'art. 2071, salvo che le parti si siano obbligate a integrarlo con successivi patti da stipularsi entro un termine stabilito. Se i patti integrativi non sono stipulati nel termine, può essere adita la magistratura del lavoro per la formazione delle disposizioni integrative.
Contro il rifiuto di pubblicazione è ammesso ricorso alla magistratura del lavoro a norma delle leggi speciali.
Art. 2073.
(Denunzia).
La denunzia del contratto collettivo deve farsi almeno tre mesi prima della scadenza.
Se, avvenuta la denunzia, le associazioni professionali non hanno, un mese prima della scadenza, provveduto alla stipulazione e al deposito del nuovo contratto collettivo, ed è rimasto infruttuoso l'esperimento di conciliazione previsto nell'art. 412 del codice di procedura civile, può essere adita la magistratura del lavoro per la formazione di nuove condizioni di lavoro.
Art. 2074.
(Efficacia dopo la scadenza).
Il contratto collettivo, anche quando è stato denunziato, continua a produrre i suoi effetti dopo la scadenza, fino a che sia intervenuto un nuovo regolamento collettivo.
Art. 2075.
(Efficacia nel caso di variazioni nell'inquadramento).
Il contratto collettivo conserva efficacia nei confronti della categoria alla quale si riferisce, anche se la rappresentanza legale di questa, per effetto di variazioni nell'inquadramento, spetta ad altra associazione.
Questa ha però facoltà di denunziare il contratto collettivo indipendentemente dal termine fissato per la scadenza di esso.
Art. 2076.
(Contratto collettivo annullabile).
Il contratto collettivo annullabile conserva efficacia fino a che intervenga una sentenza di annullamento passata in giudicato.
La domanda di annullamento è proposta davanti la magistratura del lavoro dalle associazioni interessate o dal pubblico ministero.
La domanda deve essere proposta, sotto pena di decadenza, entro sei mesi dalla pubblicazione del contratto collettivo.
Art. 2077.
(Efficacia del contratto collettivo sul contratto individuale).
I contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo.
Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro.
Art. 2078.
(Efficacia degli usi).
In mancanza di disposizioni di legge e di contratto collettivo si applicano gli usi. Tuttavia gli usi più favorevoli ai prestatori di lavoro prevalgono sulle norme dispositive di legge.
Gli usi non prevalgono sui contratti individuali di lavoro.
Art. 2079.
(Rapporti di associazione agraria e di affitto a coltivatore diretto).
La disciplina del contratto collettivo di lavoro si applica anche ai rapporti di associazione agraria regolati dal capo II del titolo II ed a quelli di affitto a coltivatore diretto del fondo.
Tuttavia in questi rapporti il contratto collettivo non deve contenere norme relative al salario, all'orario di lavoro, alle ferie, al periodo di prova, od altre che contrastino con la natura dei rapporti medesimi.
Art. 2080.
(Colonia parziaria e affitto con obbligo di miglioria).
Nei contratti individuali di colonia parziaria e di affitto a coltivatore diretto, con obbligo di miglioria, conservano efficacia le clausole difformi dalle disposizioni del contratto collettivo stipulato durante lo svolgimento del rapporto.
Art. 2081.
(Norme equiparate al contratto collettivo).
Le disposizioni sul contratto collettivo di lavoro contenute in questo capo valgono, in quanto applicabili, per le altre norme corporative che disciplinano rapporti di lavoro.
Titolo II.
Del lavoro nell'impresa
Capo I.
Dell'impresa in generale.
Sezione I. -
Dell'imprenditore.
Art. 2082.
(Imprenditore).
E` imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.
Art. 2083.
(Piccoli imprenditori).
Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.
Art. 2084.
(Condizioni per l'esercizio dell'impresa).
La legge determina le categorie d'imprese il cui esercizio è subordinato a concessione o autorizzazione amministrativa.
Le altre condizioni per l'esercizio delle diverse categorie d'imprese sono stabilite dalla legge e dalle norme corporative.
Art. 2085.
(Indirizzo della produzione).
Il controllo sull'indirizzo della produzione e degli scambi in relazione all'interesse unitario dell'economia nazionale è esercitato dallo Stato, nei modi previsti dalla legge e dalle norme corporative.
La legge stabilisce altresì i casi e i modi nei quali si esercita la vigilanza dello Stato sulla gestione delle imprese.
Art. 2086.
(Direzione e gerarchia nell'impresa).
L'imprenditore è il capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori.
Art. 2087.
(Tutela delle condizioni di lavoro).
L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Art. 2088.
(Responsabilità dell'imprenditore).
L'imprenditore deve uniformarsi nell'esercizio dell'impresa ai principî dell'ordinamento corporativo e agli obblighi che ne derivano, e risponde verso lo Stato dell'indirizzo della produzione e degli scambi, in conformità della legge e delle norme corporative.
Art. 2089.
(Inosservanza degli obblighi dell'imprenditore).
Se l'imprenditore non osserva gli obblighi imposti dall'ordinamento corporativo nell'interesse della produzione, in modo da determinare grave danno all'economia nazionale, gli organi corporativi, dopo aver compiuto le opportune indagini e richiesto all'imprenditore i chiarimenti necessari, possono disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso la corte d'appello di cui fa parte la magistratura del lavoro competente per territorio, perchè promuova eventualmente i provvedimenti indicati nell'art. 2091.
Art. 2090.
(Procedimento).
Il presidente della magistratura del lavoro, ricevuta l'istanza del pubblico ministero, fissa il giorno per la comparizione dell'imprenditore e assegna un termine entro il quale egli deve presentare le sue deduzioni.
La magistratura del lavoro decide in camera di consiglio, sentiti il pubblico ministero e l'imprenditore. Può anche, prima di decidere, sentire l'associazione professionale alla quale appartiene l'imprenditore, assumere le informazioni e compiere le indagini che ritiene necessarie.
Contro la sentenza della magistratura del lavoro l'imprenditore e il pubblico ministero possono proporre ricorso per cassazione a norma dell'art. 426 del codice di procedura civile.
Art. 2091.
(Sanzioni).
La magistratura del lavoro, se accerta che l'inosservanza perdura, fissa un termine entro il quale l'imprenditore deve uniformarsi agli obblighi suddetti.
Qualora l'imprenditore non vi ottemperi nel termine fissato, la magistratura del lavoro può ordinare la sospensione dell'esercizio dell'impresa o, se la sospensione è tale da recare pregiudizio all'economia nazionale, può nominare un amministratore che assuma la gestione dell'impresa, scegliendolo fra le persone designate dall'imprenditore, se riconosciute idonee, e determinandone i poteri e la durata.
Se si tratta di società, la magistratura del lavoro, anzichè nominare un amministratore, può assegnare un termine entro il quale la società deve provvedere a sostituire gli amministratori in carica con altre persone riconosciute idonee.
Art. 2092.
(Sanzioni previste da leggi speciali).
Le disposizioni dei tre articoli precedenti non si applicano nei casi in cui per le trasgressioni commesse dall'imprenditore le leggi speciali prevedono particolari sanzioni a di lui carico.
Art. 2093.
(Imprese esercitate da enti pubblici).
Le disposizioni di questo libro si applicano agli enti pubblici inquadrati nelle associazioni professionali.
Agli enti pubblici non inquadrati si applicano le disposizioni di questo libro, limitatamente alle imprese da essi esercitate.
Sono salve le diverse disposizioni della legge.
Sezione II. -
Dei collaboratori dell'imprenditore.
Art. 2094.
(Prestatore di lavoro subordinato).
E` prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore.
Art. 2095.
(Categorie dei prestatori di lavoro).
I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti amministrativi o tecnici, impiegati e operai.
Le leggi speciali e le norme corporative, in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura dell'impresa, determinano i requisiti di appartenenza alle indicate categorie.
Sezione III. -
Del rapporto di lavoro.
§ 1. -
Della costituzione del rapporto di lavoro.
Art. 2096.
(Assunzione in prova).
Salvo diversa disposizione delle norme corporative, l'assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto.
L'imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova.
Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d'indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine.
Compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa nell'anzianità del prestatore di lavoro.
Art. 2097.
(Durata del contratto di lavoro).
Il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato, se il termine non risulta dalla specialità del rapporto o da atto scritto.
In quest'ultimo caso l'apposizione del termine è priva di effetto, se è fatta per eludere le disposizioni che riguardano il contratto a tempo indeterminato.
Se la prestazione di lavoro continua dopo la scadenza del termine e non risulta una contraria volontà delle parti, il contratto si considera a tempo indeterminato.
Salvo diversa disposizione delle norme corporative, se il contratto di lavoro è stato stipulato per una durata superiore a cinque anni, o a dieci se si tratta di dirigenti, il prestatore di lavoro può recedere da esso trascorso il quinquennio o il decennio, osservata la disposizione dell'art. 2118.
Art. 2098.
(Violazione delle norme sul collocamento dei lavoratori).
Il contratto di lavoro stipulato senza l'osservanza delle disposizioni concernenti la disciplina della domanda e dell'offerta di lavoro può essere annullato, salva l'applicazione delle sanzioni penali.
La domanda di annullamento è proposta dal pubblico ministero, su denunzia dell'ufficio di collocamento, entro un anno dalla data dell'assunzione del prestatore di lavoro.
§ 2. -
Dei diritti e degli obblighi delle parti.
Art. 2099.
(Retribuzione).
La retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempo o a cottimo e deve essere corrisposta nella misura determinata dalle norme corporative, con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito.
In mancanza di norme corporative o di accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice, tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni professionali.
Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili o ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura.
Art. 2100.
(Obbligatorietà del cottimo).
Il prestatore di lavoro deve essere retribuito secondo il sistema del cottimo quando, in conseguenza dell'organizzazione del lavoro, è vincolato all'osservanza di un determinato ritmo produttivo, o quando la valutazione della sua prestazione è fatta in base al risultato delle misurazioni dei tempi di lavorazione.
Le norme corporative determinano i rami di produzione e i casi in cui si verificano le condizioni previste nel comma precedente e stabiliscono i criteri per la formazione delle tariffe.
Art. 2101.
(Tariffe di cottimo).
Le norme corporative possono stabilire che le tariffe di cottimo non divengano definitive se non dopo un periodo di esperimento.
Le tariffe possono essere sostituite o modificate soltanto se intervengono mutamenti nelle condizioni di esecuzione del lavoro, e in ragione degli stessi. In questo caso la sostituzione o la variazione della tariffa non diviene definitiva se non dopo il periodo di esperimento stabilito dalle norme corporative.
L'imprenditore deve comunicare preventivamente ai prestatori di lavoro i dati riguardanti gli elementi costitutivi della tariffa di cottimo, le lavorazioni da eseguirsi e il relativo compenso unitario. Deve altresì comunicare i dati relativi alla quantità di lavoro eseguita e al tempo impiegato.
Art. 2102.
(Partecipazione agli utili).
Se le norme corporative o la convenzione non dispongono diversamente, la partecipazione agli utili spettante al prestatore di lavoro è determinata in base agli utili netti dell'impresa, e, per le imprese soggette alla pubblicazione del bilancio, in base agli utili netti risultanti dal bilancio regolarmente approvato e pubblicato.
Art. 2103.
(Prestazione del lavoro).
Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per cui è stato assunto. Tuttavia, se non è convenuto diversamente, l'imprenditore può, in relazione alle esigenze dell'impresa, adibire il prestatore di lavoro ad una mansione diversa, purchè essa non importi una diminuzione nella retribuzione o un mutamento sostanziale nella posizione di lui.
Nel caso previsto dal comma precedente, il prestatore di lavoro ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, se è a lui più vantaggioso.
Art. 2104.
(Diligenza del prestatore di lavoro).
Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall'interesse dell'impresa e da quello superiore della produzione nazionale.
Deve inoltre osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende.
Art. 2105.
(Obbligo di fedeltà).
Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, nè divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.
Art. 2106.
(Sanzioni disciplinari).
L'inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti può dar luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell'infrazione e in conformità delle norme corporative.
Art. 2107.
(Orario di lavoro).
La durata giornaliera e settimanale della prestazione di lavoro non può superare i limiti stabiliti dalle leggi speciali o dalle norme corporative.
Art. 2108.
(Lavoro straordinario e notturno).
In caso di prolungamento dell'orario normale, il prestatore di lavoro deve essere compensato per le ore straordinarie con un aumento di retribuzione rispetto a quella dovuta per il lavoro ordinario.
Il lavoro notturno non compreso in regolari turni periodici deve essere parimenti retribuito con una maggiorazione rispetto al lavoro diurno.
I limiti entro i quali sono consentiti il lavoro straordinario e quello notturno, la durata di essi e la misura della maggiorazione sono stabiliti dalla legge o dalle norme corporative.
Art. 2109.
(Periodo di riposo).
Il prestatore di lavoro ha diritto ad un giorno di riposo ogni settimana, di regola in coincidenza con la domenica.
Ha anche diritto, dopo un anno d'ininterrotto servizio, ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. La durata di tale periodo è stabilita dalla legge, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità.
L'imprenditore deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie.
Non può essere computato nelle ferie il periodo di preavviso indicato nell'art. 2118.
Art. 2110.
(Infortunio, malattia, gravidanza, puerperio).
In caso d'infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge o le norme corporative non stabiliscono forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un'indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità.
Nei casi indicati nel comma precedente, l'imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell'art. 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità.
Il periodo di assenza dal lavoro per una delle cause anzidette deve essere computato nell'anzianità di servizio.
Art. 2111.
(Servizio militare).
La chiamata alle armi per adempiere agli obblighi di leva risolve il contratto di lavoro, salvo diverse disposizioni delle norme corporative.
In caso di richiamo alle armi, si applicano le disposizioni del primo e del terzo comma dell'articolo precedente.
Art. 2112.
(Trasferimento dell'azienda).
In caso di trasferimento dell'azienda, se l'alienante non ha dato disdetta in tempo utile, il contratto di lavoro continua con l'acquirente, e il prestatore di lavoro conserva i diritti derivanti dall'anzianità raggiunta anteriormente al trasferimento.
L'acquirente è obbligato in solido con l'alienante per tutti i crediti che il prestatore di lavoro aveva al tempo del trasferimento in dipendenza del lavoro prestato, compresi quelli che trovano causa nella disdetta data dall'alienante, semprechè l'acquirente ne abbia avuto conoscenza all'atto del trasferimento, o i crediti risultino dai libri dell'azienda trasferita o dal libretto di lavoro.
Con l'intervento delle associazioni professionali alle quali appartengono l'imprenditore e il prestatore di lavoro, questi può consentire la liberazione dell'alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
Le disposizioni di quest'articolo si applicano anche in caso di usufrutto o di affitto dell'azienda.
Art. 2113.
(Rinunzie e transazioni).
Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o da norme corporative, non sono valide.
L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro tre mesi dalla cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima.
Resta salva, in caso di controversia, l'applicazione degli articoli 185, 430 e 431 del codice di procedura civile.
§ 3. -
Della previdenza e dell'assistenza.
Art. 2114.
(Previdenza ed assistenza obbligatorie).
Le leggi speciali e le norme corporative determinano i casi e le forme di previdenza e di assistenza obbligatorie e le contribuzioni e prestazioni relative.
Art. 2115.
(Contribuzioni).
Salvo diverse disposizioni della legge o delle norme corporative, l'imprenditore e il prestatore di lavoro contribuiscono in parti eguali alle istituzioni di previdenza e di assistenza.
L'imprenditore è responsabile del versamento del contributo, anche per la parte che è a carico del prestatore di lavoro, salvo il diritto di rivalsa secondo le leggi speciali.
E` nullo qualsiasi patto diretto ad eludere gli obblighi relativi alla previdenza o all'assistenza.
Art. 2116.
(Prestazioni).
Le prestazioni indicate nell'art. 2114 sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l'imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali o delle norme corporative.
Nei casi in cui, secondo tali disposizioni, le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l'imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro.
Art. 2117.
(Fondi speciali per la previdenza e l'assistenza).
I fondi speciali per la previdenza e l'assistenza che l'imprenditore abbia costituiti, anche senza contribuzione dei prestatori di lavoro, non possono essere distratti dal fine al quale sono destinati e non possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell'imprenditore o del prestatore di lavoro.
§ 4. -
Dell'estinzione del rapporto di lavoro.
Art. 2118.
(Recesso dal contratto a tempo indeterminato).
Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità.
In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.
La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro nel caso di cessazione del rapporto per morte del prestatore di lavoro.
Art. 2119.
(Recesso per giusta causa).
Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità indicata nel secondo comma dell'articolo precedente.
Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell'imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell'azienda.
Art. 2120.
(Indennità di anzianità).
In caso di cessazione del contratto a tempo indeterminato, è dovuta al prestatore di lavoro un'indennità proporzionale agli anni di servizio, salvo il caso di licenziamento per di lui colpa o di dimissioni volontarie.
Le norme corporative possono tuttavia stabilire che l'indennità sia dovuta anche in caso di dimissioni volontarie, determinandone le condizioni e le modalità.
L'ammontare dell'indennità è determinato dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità, in base all'ultima retribuzione e in relazione alla categoria alla quale appartiene il prestatore di lavoro.
Sono salve le norme corporative che stabiliscono forme equivalenti di previdenza.
Art. 2121.
(Computo delle indennità di preavviso e di anzianità).
Le indennità di cui agli articoli 2118 e 2120 devono calcolarsi computando le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili o ai prodotti e ogni altro compenso di carattere continuativo, con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso di spese.
Se il prestatore di lavoro è retribuito in tutto o in parte con provvigioni, con premi di produzione o con partecipazioni, le indennità suddette sono determinate sulla media degli emolumenti degli ultimi tre anni di servizio o del minor tempo di servizio prestato.
Fa parte della retribuzione anche l'equivalente del vitto e dell'alloggio dovuto al prestatore di lavoro.
Art. 2122.
(Indennità in caso di morte).
In caso di morte del prestatore di lavoro, le indennità indicate dagli articoli 2118 e 2120 devono corrispondersi al coniuge, ai figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado.
La ripartizione delle indennità, se non vi è accordo tra gli aventi diritto, deve farsi secondo il bisogno di ciascuno.
In mancanza delle persone indicate nel primo comma, le indennità sono attribuite secondo le norme della successione legittima.
E` nullo ogni patto anteriore alla morte del prestatore di lavoro circa l'attribuzione e la ripartizione delle indennità.
Art. 2123.
(Forme di previdenza).
Salvo patto contrario, l'imprenditore che ha compiuto volontariamente atti di previdenza può dedurre dalle somme da lui dovute a norma degli articoli 2110, 2111 e 2120 quanto il prestatore di lavoro ha diritto di percepire per effetto degli atti medesimi.
Se esistono fondi di previdenza formati con il contributo dei prestatori di lavoro, questi hanno diritto alla liquidazione della propria quota, qualunque sia la causa della cessazione del contratto.
Art. 2124.
(Certificato di lavoro).
Se non è obbligatorio il libretto di lavoro, all'atto della cessazione del contratto, qualunque ne sia la causa, l'imprenditore deve rilasciare un certificato con l'indicazione del tempo durante il quale il prestatore di lavoro è stato occupato alle sue dipendenze e delle mansioni esercitate.
Art. 2125.
(Patto di non concorrenza).
Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell'attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura indicata dal comma precedente.
§ 5. -
Disposizioni finali.
Art. 2126.
(Prestazione di fatto con violazione di legge).
La nullità o l'annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall'illiceità dell'oggetto o della causa.
Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione.
Art. 2127.
(Divieto d'interposizione nel lavoro a cottimo).
E` vietato all'imprenditore di affidare a propri dipendenti lavori a cottimo da eseguirsi da prestatori di lavoro assunti e retribuiti direttamente dai dipendenti medesimi.
In caso di violazione di tale divieto, l'imprenditore risponde direttamente, nei confronti dei prestatori di lavoro assunti dal proprio dipendente, degli obblighi derivanti dai contratti di lavoro da essi stipulati.
Art. 2128.
(Lavoro a domicilio).
Ai prestatori di lavoro a domicilio si applicano le disposizioni di questa sezione, in quanto compatibili con la specialità del rapporto.
Art. 2129.
(Contratto di lavoro per i dipendenti da enti pubblici).
Le disposizioni di questa sezione si applicano ai prestatori di lavoro dipendenti da enti pubblici, salvo che il rapporto sia diversamente regolato dalla legge.
Sezione IV. -
Del tirocinio.
Art. 2130.
(Durata del tirocinio).
Il periodo di tirocinio non può superare i limiti stabiliti dalle norme corporative o dagli usi.
Art. 2131.
(Retribuzione).
La retribuzione dell'apprendista non può assumere la forma del salario a cottimo.
Art. 2132.
(Istruzione professionale).
L'imprenditore deve permettere che l'apprendista frequenti i corsi per la formazione professionale e deve destinarlo soltanto ai lavori attinenti alla specialità professionale a cui si riferisce il tirocinio.
Art. 2133.
(Attestato di tirocinio).
Alla cessazione del tirocinio, l'apprendista, per il quale non è obbligatorio il libretto di lavoro, ha diritto di ottenere un attestato del tirocinio compiuto.
Art. 2134.
(Norme applicabili al tirocinio).
Al tirocinio si applicano le disposizioni della sezione precedente, in quanto siano compatibili con la specialità del rapporto e non siano derogate da disposizioni delle leggi speciali o da norme corporative.
Capo II.
Dell'impresa agricola.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 2135.
(Imprenditore agricolo).
E` imprenditore agricolo chi esercita un'attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame e attività connesse.
Si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all'alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura.
Art. 2136.
(Inapplicabilità delle norme sulla registrazione).
Le norme relative all'iscrizione nel registro delle imprese non si applicano agli imprenditori agricoli, salvo quanto è disposto dall'art. 2200.
Art. 2137.
(Responsabilità dell'imprenditore agricolo).
L'imprenditore, anche se esercita l'impresa su fondo altrui, è soggetto agli obblighi stabiliti dalla legge e dalle norme corporative concernenti l'esercizio dell'agricoltura.
Art. 2138.
(Dirigenti e fattori di campagna).
I poteri dei dirigenti preposti all'esercizio dell'impresa agricola e quelli dei fattori di campagna, se non sono determinati per iscritto dal preponente, sono regolati dalle norme corporative e, in mancanza, dagli usi.
Art. 2139.
(Scambio di mano d'opera o di servizi).
Tra piccoli imprenditori agricoli è ammesso lo scambio di mano d'opera o di servizi secondo gli usi.
Art. 2140.
(Comunioni tacite familiari).
Le comunioni tacite familiari nell'esercizio dell'agricoltura sono regolate dagli usi.
Sezione II. -
Della mezzadria.
Art. 2141.
(Nozione).
Nella mezzadria il concedente ed il mezzadro, in proprio e quale capo di una famiglia colonica, si associano per la coltivazione di un podere e per l'esercizio delle attività connesse al fine di dividerne a metà i prodotti e gli utili. E` valido tuttavia il patto con il quale taluni prodotti si dividono in proporzioni diverse.
Art. 2142.
(Famiglia colonica).
La composizione della famiglia colonica non può volontariamente essere modificata senza il consenso del concedente, salvi i casi di matrimonio, di adozione e di riconoscimento di figli naturali. La composizione e le variazioni della famiglia colonica devono risultare dal libretto colonico.
Art. 2143.
(Mezzadria a tempo indeterminato).
La mezzadria a tempo indeterminato s'intende convenuta per la durata di un anno agrario, salvo diverse disposizioni delle norme corporative, e si rinnova tacitamente di anno in anno, se non è stata comunicata disdetta almeno sei mesi prima della scadenza nei modi fissati dalle norme corporative, dalla convenzione o dagli usi.
Art. 2144.
(Mezzadria a tempo determinato).
La mezzadria a tempo determinato non cessa di diritto alla scadenza del termine.
Se non è comunicata disdetta a norma dell'articolo precedente, il contratto s'intende rinnovato di anno in anno.
Art. 2145.
(Diritti ed obblighi del concedente).
Il concedente conferisce il godimento del podere, dotato di quanto occorre per l'esercizio dell'impresa e di un'adeguata casa per la famiglia colonica.
La direzione dell'impresa spetta al concedente, il quale deve osservare le norme della buona tecnica agraria.
Art. 2146.
(Conferimento delle scorte).
Le scorte vive e morte sono conferite dal concedente e dal mezzadro in parti uguali, salvo diversa disposizione delle norme corporative, della convenzione o degli usi.
Le scorte conferite divengono comuni in proporzione dei rispettivi conferimenti.
Art. 2147.
(Obblighi del mezzadro).
Il mezzadro è obbligato a prestare, secondo le direttive del concedente e le necessità della coltivazione, il lavoro proprio e quello della famiglia colonica.
E` a carico del mezzadro, salvo diverse disposizioni delle norme corporative, della convenzione o degli usi, la spesa della mano d'opera eventualmente necessaria per la normale coltivazione del podere.
Art. 2148.
(Obblighi di residenza e di custodia).
Il mezzadro ha l'obbligo di risiedere stabilmente nel podere con la famiglia colonica.
Egli deve custodire il podere e mantenerlo in normale stato di produttività. Egli deve altresì custodire e conservare le altre cose affidategli dal concedente, con la diligenza del buon padre di famiglia, e non può, senza il consenso del concedente o salvo uso contrario, svolgere attività a suo esclusivo profitto o compiere prestazioni a favore di terzi.
Art. 2149.
(Divieto di subconcessione).
Il mezzadro non può cedere la mezzadria, nè affidare ad altri la coltivazione del podere, senza il consenso del concedente.
Art. 2150.
(Rappresentanza della famiglia colonica).
Nei rapporti relativi alla mezzadria il mezzadro rappresenta, nei confronti del concedente, i componenti della famiglia colonica.
Le obbligazioni contratte dal mezzadro nell'esercizio della mezzadria sono garantite dai suoi beni e da quelli comuni della famiglia colonica. I componenti della famiglia colonica non rispondono con i loro beni, se non hanno prestato espressa garanzia.
Art. 2151.
(Spese per la coltivazione).
Le spese per la coltivazione del podere e per l'esercizio delle attività connesse, escluse quelle per la mano d'opera previste dall'art. 2147, sono a carico del concedente e del mezzadro in parti eguali, se non dispongono diversamente le norme corporative, la convenzione o gli usi.
Se il mezzadro è sfornito di mezzi propri, il concedente deve anticipare senza interesse, sino alla scadenza dell'anno agrario in corso, le spese indicate nel comma precedente, salvo rivalsa mediante prelevamento sui prodotti e sugli utili.
Art. 2152.
(Miglioramenti).
Il concedente che intende compiere miglioramenti sul podere deve valersi del lavoro dei componenti della famiglia colonica che siano forniti della necessaria capacità lavorativa, e questi sono tenuti a prestarlo verso compenso.
La misura del compenso, se non è stabilita dalle norme corporative, dalla convenzione o dagli usi, è determinata dal giudice, sentite, ove occorra, le associazioni professionali e tenuto conto dell'eventuale incremento di reddito realizzato dal mezzadro.
Art. 2153.
(Riparazioni di piccola manutenzione).
Salvo diverse disposizioni delle norme corporative, della convenzione o degli usi, sono a carico del mezzadro le riparazioni di piccola manutenzione della casa colonica e degli strumenti di lavoro, di cui egli e la famiglia colonica si servono.
Art. 2154.
(Anticipazioni di carattere alimentare alla famiglia colonica).
Se la quota dei prodotti spettante al mezzadro, per scarsezza del raccolto a lui non imputabile, non è sufficiente ai bisogni alimentari della famiglia colonica, e questa non è in grado di provvedervi, il concedente deve somministrare senza interesse il necessario per il mantenimento della famiglia colonica, salvo rivalsa mediante prelevamento sulla parte dei prodotti e degli utili spettanti al mezzadro.
Il giudice, con riguardo alle circostanze, può disporre il rimborso rateale.
Art. 2155.
(Raccolta e divisione dei prodotti).
Il mezzadro non può iniziare le operazioni di raccolta senza il consenso del concedente ed è obbligato a custodire i prodotti sino alla divisione.
I prodotti sono divisi in natura sul fondo con l'intervento delle parti.
Salvo diverse disposizioni delle norme corporative, della convenzione o degli usi, il mezzadro deve trasportare ai magazzini del concedente la quota a questo assegnata nella divisione.
Art. 2156.
(Vendita dei prodotti).
La vendita dei prodotti, che in conformità degli usi non si dividono in natura, è fatta dal concedente previo accordo col mezzadro e, in mancanza, sulla base del prezzo di mercato.
La divisione si effettua sul ricavato della vendita, dedotte le spese.
Art. 2157.
(Diritto di preferenza del concedente).
Il mezzadro, nella vendita dei prodotti assegnatigli in natura, deve, a parità di condizioni, preferire il concedente.
Art. 2158.
(Morte di una delle parti).
La mezzadria non si scioglie per la morte del concedente.
In caso di morte del mezzadro la mezzadria si scioglie alla fine dell'anno agrario in corso, salvo che tra gli eredi del mezzadro vi sia persona idonea a sostituirlo ed i componenti della famiglia colonica si accordino nel designarla.
Se la morte del mezzadro è avvenuta negli ultimi quattro mesi dell'anno agrario, i componenti della famiglia colonica possono chiedere che la mezzadria continui sino alla fine dell'anno successivo, purchè assicurino la buona coltivazione del podere. La richiesta deve essere fatta entro due mesi dalla morte del mezzadro, o, se ciò non è possibile, prima dell'inizio del nuovo anno agrario.
In tutti i casi, se il podere non è coltivato con la dovuta diligenza, il concedente può fare eseguire a sue spese i lavori necessari, salvo rivalsa mediante prelevamento sui prodotti e sugli utili.
Art. 2159.
(Scioglimento del contratto).
Salve le norme generali sulla risoluzione dei contratti per inadempimento, ciascuna delle parti può chiedere lo scioglimento del contratto quando si verificano fatti tali da non consentire la prosecuzione del rapporto.
Art. 2160.
(Trasferimento del diritto di godimento del fondo).
Se viene trasferito il diritto di godimento del fondo, la mezzadria continua nei confronti di chi subentra al concedente, salvo che il mezzadro, entro un mese dalla notizia del trasferimento, dichiari di recedere dal contratto. In tal caso il recesso ha effetto alla fine dell'anno agrario in corso o di quello successivo, se non è comunicato almeno tre mesi prima della fine dell'anno agrario in corso.
I crediti e i debiti del concedente verso il mezzadro risultanti dal libretto colonico passano a chi subentra nel godimento del fondo, salva per i debiti la responsabilità sussidiaria dell'originario concedente.
Art. 2161.
(Libretto colonico).
Il concedente deve istituire un libretto colonico da tenersi in due esemplari, uno per ciascuna delle parti.
Il concedente deve annotare di volta in volta su entrambi gli esemplari i crediti e i debiti delle parti relativi alla mezzadria, con indicazione della data e del fatto che li ha determinati.
Le annotazioni devono, alla fine dell'anno agrario, essere sottoscritte per accettazione dal concedente e dal mezzadro.
Il mezzadro deve presentare il libretto colonico al concedente per le annotazioni e per i saldi annuali.
Art. 2162.
(Efficacia probatoria del libretto colonico).
Le annotazioni eseguite sui due esemplari del libretto colonico fanno prova a favore e contro ciascuno dei contraenti, se il mezzadro non ha reclamato entro novanta giorni dalla consegna del libretto fattagli dal concedente.
Se una delle parti non presenta il proprio libretto, fa fede quello presentato.
In ogni caso le annotazioni delle partite fanno prova contro chi le ha scritte.
Con la sottoscrizione delle parti alla chiusura annuale del conto colonico, questo s'intende approvato. Le risultanze del conto possono essere impugnate soltanto per errori materiali, omissioni, falsità e duplicazioni di partite entro novanta giorni dalla consegna del libretto al mezzadro.
Art. 2163.
(Assegnazione delle scorte al termine della mezzadria).
Salvo diverse disposizioni delle norme corporative, della convenzione o degli usi, l'assegnazione delle scorte al termine della mezzadria deve farsi secondo le norme seguenti: 1) se si tratta di scorte vive, secondo la specie, il sesso, il numero, la qualità e il peso, ovvero, in mancanza di tali determinazioni, secondo il valore, tenuto conto della differenza di esso tra il tempo del conferimento e quello della riconsegna; 2) se si tratta di scorte morte circolanti, per quantità e qualità, valutando le eccedenze e le diminuzioni in base ai prezzi di mercato nel tempo della riconsegna; 3) se si tratta di scorte morte fisse, per specie, quantità, qualità e stato d'uso.
Sezione III. -
Della colonia parziaria.
Art. 2164.
(Nozione).
Nella colonia parziaria il concedente ed uno o più coloni si associano per la coltivazione di un fondo e per l'esercizio delle attività connesse, al fine di dividerne i prodotti e gli utili.
La misura della ripartizione dei prodotti e degli utili è stabilita dalle norme corporative, dalla convenzione o dagli usi.
Art. 2165.
(Durata).
La colonia parziaria è contratta per il tempo necessario affinchè il colono possa svolgere e portare a compimento un ciclo normale di rotazione delle colture praticate nel fondo.
Se non si fa luogo a rotazione di colture, la colonia non può avere una durata inferiore a due anni.
Art. 2166.
(Obblighi del concedente).
Il concedente deve consegnare il fondo in istato di servire alla produzione alla quale è destinato.
Art. 2167.
(Obblighi del colono).
Il colono deve prestare il lavoro proprio secondo le direttive del concedente e le necessità della coltivazione.
Egli deve custodire il fondo e mantenerlo in normale stato di produttività; deve altresì custodire e conservare le altre cose affidategli dal concedente con la diligenza del buon padre di famiglia.
Art. 2168.
(Morte di una delle parti).
La colonia parziaria non si scioglie per la morte del concedente.
In caso di morte del colono, si applicano a favore degli eredi di questo le disposizioni del secondo, terzo e quarto comma dell'art. 2158.
Art. 2169.
(Rinvio).
Sono applicabili alla colonia parziaria le norme dettate per la mezzadria negli articoli 2145, secondo comma, 2147, secondo comma, 2149, 2151, secondo comma, 2152, 2155, 2156, 2157, 2159, 2160 e 2163, nonchè quelle concernenti la tenuta e l'efficacia probatoria del libretto colonico, qualora le parti l'abbiano d'accordo istituito.
Sezione IV. -
Della soccida.
§ 1. -
Disposizioni generali.
Art. 2170.
(Nozione).
Nella soccida il soccidante e il soccidario si associano per l'allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l'esercizio delle attività connesse, al fine di ripartire l'accrescimento del bestiame e gli altri prodotti e utili che ne derivano.
L'accrescimento consiste tanto nei parti sopravvenuti, quanto nel maggior valore intrinseco che il bestiame abbia al termine del contratto.
§ 2. -
Della soccida semplice.
Art. 2171.
(Nozione).
Nella soccida semplice il bestiame è conferito dal soccidante.
La stima del bestiame all'inizio del contratto non ne trasferisce la proprietà al soccidario.
La stima deve indicare il numero, la razza, la qualità, il sesso, il peso e l'età del bestiame e il relativo prezzo di mercato. La stima serve di base per determinare il prelevamento a cui ha diritto il soccidante alla fine del contratto, a norma dell'art. 2181.
Art. 2172.
(Durata del contratto).
Se nel contratto non è stabilito un termine, la soccida ha la durata di tre anni.
Alla scadenza del termine il contratto non cessa di diritto, e la parte che non intende rinnovarlo deve darne disdetta almeno sei mesi prima della scadenza o nel maggior termine fissato dalle norme corporative, dalla convenzione o dagli usi.
Se non è data disdetta, il contratto s'intende rinnovato di anno in anno.
Art. 2173.
(Direzione dell'impresa e assunzione di mano d'opera).
La direzione dell'impresa spetta al soccidante, il quale deve esercitarla secondo le regole della buona tecnica dell'allevamento.
La scelta di prestatori di lavoro, estranei alla famiglia del soccidario, deve essere fatta col consenso del soccidante, anche quando secondo la convenzione o gli usi la relativa spesa è posta a carico del soccidario.
Art. 2174.
(Obblighi del soccidario).
Il soccidario deve prestare, secondo le direttive del soccidante, il lavoro occorrente per la custodia e l'allevamento del bestiame affidatogli, per la lavorazione dei prodotti e per il trasporto sino ai luoghi di ordinario deposito.
Il soccidario deve usare la diligenza del buon allevatore.
Art. 2175.
(Perimento del bestiame).
Il soccidario non risponde del bestiame che provi essere perito per causa a lui non imputabile, ma deve rendere conto delle parti recuperabili.
Art. 2176.
(Reintegrazione del bestiame conferito).
Nella soccida stipulata per un tempo non inferiore a tre anni, qualora durante la prima metà del periodo contrattuale perisca la maggior parte del bestiame inizialmente conferito, per causa non imputabile al soccidario, questi può chiederne la reintegrazione con altri capi di valore intrinseco eguale a quello che i capi periti avevano all'inizio del contratto, tenuto conto del numero, della razza, della qualità, del sesso, del peso e dell'età.
Se il soccidante non provvede alla reintegrazione, il soccidario può recedere dal contratto.
Art. 2177.
(Trasferimento dei diritti sul bestiame).
Se la proprietà o il godimento del bestiame dato a soccida viene trasferito ad altri, il contratto non si scioglie, e i crediti e i debiti del soccidante, derivanti dalla soccida, passano all'acquirente in proporzione della quota acquistata, salva per i debiti la responsabilità sussidiaria del soccidante.
Se il trasferimento riguarda la maggior parte del bestiame, il soccidario può, nel termine di un mese da quando ha avuto conoscenza del trasferimento, recedere dal contratto con effetto dalla fine dell'anno in corso.
Art. 2178.
(Accrescimenti, prodotti, utili e spese).
Gli accrescimenti, i prodotti, gli utili e le spese si dividono tra le parti secondo le proporzioni stabilite dalle norme corporative, dalla convenzione o dagli usi.
E` nullo il patto per il quale il soccidario debba sopportare nella perdita una parte maggiore di quella spettantegli nel guadagno.
Art. 2179.
(Morte di una delle parti).
La soccida non si scioglie per la morte del soccidante.
In caso di morte del soccidario si osservano, in quanto applicabili, nei riguardi degli eredi le disposizioni del secondo, terzo e quarto comma dell'art. 2158.
Art. 2180.
(Scioglimento del contratto).
Salve le norme generali sulla risoluzione dei contratti per inadempimento, ciascuna delle parti può chiedere lo scioglimento del contratto, quando si verificano fatti tali da non consentire la prosecuzione del rapporto.
Art. 2181.
(Prelevamento e divisione al termine del contratto).
Al termine del contratto le parti procedono a nuova stima del bestiame.
Il soccidante preleva, d'accordo con il soccidario, un complesso di capi che, avuto riguardo al numero, alla razza, al sesso, al peso, alla qualità e all'età, sia corrispondente alla consistenza del bestiame apportato all'inizio della soccida. Il di più si divide a norma dell'art. 2178.
Se non vi sono capi sufficienti ad eguagliare la stima iniziale, il soccidante prende quelli che rimangono.
§ 3. -
Della soccida parziaria.
Art. 2182.
(Conferimento del bestiame).
Nella soccida parziaria il bestiame è conferito da entrambi i contraenti nelle proporzioni convenute.
Essi divengono comproprietari del bestiame in proporzione del rispettivo conferimento.
Art. 2183.
(Reintegrazione del bestiame conferito).
Nella soccida stipulata per un tempo non inferiore a tre anni, qualora durante la prima metà del periodo contrattuale perisca per causa non imputabile al soccidario la maggior parte del bestiame inizialmente conferito, e i contraenti non si accordino per la reintegrazione, ciascuno di essi ha diritto di recedere dal contratto.
Salvo diverso accordo delle parti, il recesso ha effetto con la fine dell'anno in corso.
Il bestiame rimasto è diviso fra le parti nella proporzione indicata nell'art. 2184.
Se è convenuto che nella divisione del bestiame da farsi alla scadenza del contratto sia attribuita ad uno dei contraenti una quota maggiore di quella corrispondente al suo conferimento, tale quota deve essere ridotta in rapporto alla minor durata della soccida.
Art. 2184.
(Divisione del bestiame, dei prodotti e degli utili).
Gli accrescimenti, i prodotti, gli utili, le spese e, al termine del contratto, il bestiame conferito si dividono nella proporzione stabilita dalle norme corporative, dalla convenzione o dagli usi.
Art. 2185.
(Rinvio).
Per quanto non è disposto dagli articoli precedenti, si applicano alla soccida parziaria le disposizioni relative alla soccida semplice.
§ 4. -
Della soccida con conferimento di pascolo.
Art. 2186.
(Nozione e norme applicabili).
Si ha rapporto di soccida anche quando il bestiame è conferito dal soccidario e il soccidante conferisce il terreno per il pascolo.
In tal caso il soccidario ha la direzione dell'impresa e al soccidante spetta il controllo della gestione.
Si osservano inoltre le disposizioni dell'art. 2184 e, in quanto applicabili, quelle dettate per la soccida semplice.
Sezione V. -
Disposizione finale.
Art. 2187.
(Usi).
Nei rapporti di associazione agraria regolati dalle sezioni II, III e IV di questo capo, per quanto non è espressamente disposto, si applicano, in mancanza di convenzione, gli usi.
Capo III.
Delle imprese commerciali e delle altre imprese soggette a registrazione.
Sezione I. -
Del registro delle imprese.
Art. 2188.
(Registro delle imprese).
E` istituito il registro delle imprese per le iscrizioni previste dalla legge.
Il registro è tenuto dall'ufficio del registro delle imprese sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale.
Il registro è pubblico.
Art. 2189.
(Modalità dell'iscrizione).
Le iscrizioni nel registro sono eseguite su domanda sottoscritta dall'interessato.
Prima di procedere all'iscrizione, l'ufficio del registro deve accertare l'autenticità della sottoscrizione e il concorso delle condizioni richieste dalla legge per l'iscrizione.
Il rifiuto dell'iscrizione deve essere comunicato con raccomandata al richiedente. Questi può ricorrere entro otto giorni al giudice del registro, che provvede con decreto.
Art. 2190.
(Iscrizione d'ufficio).
Se un'iscrizione obbligatoria non è stata richiesta, l'ufficio del registro invita mediante raccomandata l'imprenditore a richiederla entro un congruo termine. Decorso inutilmente il termine assegnato, il giudice del registro può ordinarla con decreto.
Art. 2191.
(Cancellazione d'ufficio).
Se un'iscrizione è avvenuta senza che esistano le condizioni richieste dalla legge, il giudice del registro, sentito l'interessato, ne ordina con decreto la cancellazione.
Art. 2192.
(Ricorso contro il decreto del giudice del registro).
Contro il decreto del giudice del registro emesso a norma degli articoli precedenti, l'interessato, entro quindici giorni dalla comunicazione, può ricorrere al tribunale dal quale dipende l'ufficio del registro.
Il decreto che pronunzia sul ricorso deve essere iscritto d'ufficio nel registro.
Art. 2193.
(Efficacia dell'iscrizione).
I fatti dei quali la legge prescrive l'iscrizione, se non sono stati iscritti, non possono essere opposti ai terzi da chi è obbligato a richiederne l'iscrizione, a meno che questi provi che i terzi ne abbiano avuto conoscenza.
L'ignoranza dei fatti dei quali la legge prescrive l'iscrizione non può essere opposta dai terzi dal momento in cui l'iscrizione è avvenuta.
Sono salve le disposizioni particolari della legge.
Art. 2194.
(Inosservanza dell'obbligo d'iscrizione).
Salvo quanto disposto dagli articoli 2626 e 2634, chiunque omette di richiedere l'iscrizione nei modi e nel termine stabiliti dalla legge, è punito con l'ammenda da lire cento a lire cinquemila.
Sezione II. -
Dell'obbligo di registrazione.
Art. 2195.
(Imprenditori soggetti a registrazione).
Sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano: 1) un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi; 2) un'attività intermediaria nella circolazione dei beni; 3) un'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria; 4) un'attività bancaria o assicurativa; 5) altre attività ausiliarie delle precedenti.
Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle imprese che le esercitano.
Art. 2196.
(Iscrizione dell'impresa).
Entro trenta giorni dall'inizio dell'impresa l'imprenditore che esercita un'attività commerciale deve chiedere l'iscrizione all'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione stabilisce la sede, indicando: 1) il cognome e il nome, il nome del padre, la cittadinanza e la razza; 2) la ditta; 3) l'oggetto dell'impresa; 4) la sede dell'impresa; 5) il cognome e il nome degli institori e procuratori.
All'atto della richiesta l'imprenditore deve depositare la sua firma autografa e quelle dei suoi institori e procuratori.
L'imprenditore deve inoltre chiedere l'iscrizione delle modificazioni relative agli elementi suindicati e della cessazione dell'impresa, entro trenta giorni da quello in cui le modificazioni o la cessazione si verificano.
Art. 2197.
(Sedi secondarie).
L'imprenditore che istituisce nel territorio dello Stato sedi secondarie con una rappresentanza stabile deve, entro trenta giorni, chiederne l'iscrizione all'ufficio del registro delle imprese del luogo dove è la sede principale dell'impresa.
Nello stesso termine la richiesta deve essere fatta all'ufficio del luogo nel quale è istituita la sede secondaria, indicando altresì la sede principale, e il cognome e il nome del rappresentante preposto alla sede secondaria. Il rappresentante deve depositare presso il medesimo ufficio la sua firma autografa.
La disposizione del secondo comma si applica anche all'imprenditore che ha all'estero la sede principale dell'impresa.
L'imprenditore che istituisce sedi secondarie con rappresentanza stabile all'estero deve, entro trenta giorni, chiederne l'iscrizione all'ufficio del registro nella cui circoscrizione si trova la sede principale.
Art. 2198.
(Minori, interdetti e inabilitati).
I provvedimenti di autorizzazione all'esercizio di un'impresa commerciale da parte di un minore emancipato o di un inabilitato o nell'interesse di un minore non emancipato o di un interdetto e i provvedimenti con i quali l'autorizzazione viene revocata devono essere comunicati senza indugio a cura del cancelliere all'ufficio del registro delle imprese per l'iscrizione.
Art. 2199.
(Indicazione dell'iscrizione).
L'imprenditore deve indicare negli atti e nella corrispondenza, che si riferiscono all'impresa, il registro presso il quale è iscritto.
Art. 2200.
(Società).
Sono soggette all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese le società costituite secondo uno dei tipi regolati nei capi III e seguenti del titolo V e le società cooperative, anche se non esercitano un'attività commerciale.
L'iscrizione delle società nel registro delle imprese è regolata dalle disposizioni dei titoli V e VI.
Art. 2201.
(Enti pubblici).
Gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un'attività commerciale sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese.
Art. 2202.
(Piccoli imprenditori).
Non sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese i piccoli imprenditori.
Sezione III. -
Disposizioni particolari per le imprese commerciali.
§ 1. -
Della rappresentanza.
Art. 2203.
(Preposizione institoria).
E` institore colui che è preposto dal titolare all'esercizio di un'impresa commerciale.
La preposizione può essere limitata all'esercizio di una sede secondaria o di un ramo particolare dell'impresa.
Se sono preposti più institori, questi possono agire disgiuntamente, salvo che nella procura sia diversamente disposto.
Art. 2204.
(Poteri dell'institore).
L'institore può compiere tutti gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa a cui è preposto, salve le limitazioni contenute nella procura. Tuttavia non può alienare o ipotecare i beni immobili del preponente, se non è stato a ciò espressamente autorizzato.
L'institore può stare in giudizio in nome del preponente per le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell'esercizio dell'impresa a cui è preposto.
Art. 2205.
(Obblighi dell'institore).
Per le imprese o le sedi secondarie alle quali è preposto, l'institore è tenuto, insieme con l'imprenditore, all'osservanza delle disposizioni riguardanti l'iscrizione nel registro delle imprese e la tenuta delle scritture contabili.
Art. 2206.
(Pubblicità della procura).
La procura con sottoscrizione del preponente autenticata deve essere depositata per l'iscrizione presso il competente ufficio del registro delle imprese.
In mancanza dell'iscrizione, la rappresentanza si reputa generale e le limitazioni di essa non sono opponibili ai terzi, se non si prova che questi le conoscevano al momento della conclusione dell'affare.
Art. 2207.
(Modificazione e revoca della procura).
Gli atti con i quali viene successivamente limitata o revocata la procura devono essere depositati, per l'iscrizione nel registro delle imprese, anche se la procura non fu pubblicata.
In mancanza dell'iscrizione, le limitazioni o la revoca non sono opponibili ai terzi, se non si prova che questi le conoscevano al momento della conclusione dell'affare.
Art. 2208.
(Responsabilità personale dell'institore).
L'institore è personalmente obbligato se omette di far conoscere al terzo che egli tratta per il preponente; tuttavia il terzo può agire anche contro il preponente per gli atti compiuti dall'institore, che siano pertinenti all'esercizio dell'impresa a cui è preposto.
Art. 2209.
(Procuratori).
Le disposizioni degli articoli 2206 e 2207 si applicano anche ai procuratori, i quali, in base a un rapporto continuativo, abbiano il potere di compiere per l'imprenditore gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa, pur non essendo preposti ad esso.
Art. 2210.
(Poteri dei commessi dell'imprenditore).
I commessi dell'imprenditore, salve le limitazioni contenute nell'atto di conferimento della rappresentanza, possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie delle operazioni di cui sono incaricati.
Non possono tuttavia esigere il prezzo delle merci delle quali non facciano la consegna, nè concedere dilazioni o sconti che non sono d'uso, salvo che siano a ciò espressamente autorizzati.
Art. 2211.
(Poteri di deroga alle condizioni generali di contratto).
I commessi, anche se autorizzati a concludere contratti in nome dell'imprenditore, non hanno il potere di derogare alle condizioni generali di contratto o alle clausole stampate sui moduli dell'impresa, se non sono muniti di una speciale autorizzazione scritta.
Art. 2212.
(Poteri dei commessi relativi agli affari conclusi).
Per gli affari da essi conclusi, i commessi dell'imprenditore sono autorizzati a ricevere per conto di questo le dichiarazioni che riguardano l'esecuzione del contratto e i reclami relativi alle inadempienze contrattuali.
Sono altresì legittimati a chiedere i provvedimenti cautelari nell'interesse dell'imprenditore.
Art. 2213.
(Poteri dei commessi preposti alla vendita).
I commessi preposti alla vendita nei locali dell'impresa possono esigere il prezzo delle merci da essi vendute, salvo che alla riscossione sia palesemente destinata una cassa speciale.
Fuori dei locali dell'impresa non possono esigere il prezzo, se non sono autorizzati o se non consegnano quietanza firmata dall'imprenditore.
§ 2. -
Delle scritture contabili.
Art. 2214.
(Libri obbligatori e altre scritture contabili).
L'imprenditore che esercita un'attività commerciale deve tenere il libro giornale e il libro degli inventari.
Deve altresì tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonchè le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite.
Le disposizioni di questo paragrafo non si applicano ai piccoli imprenditori.
Art. 2215.
(Libro giornale e libro degli inventari).
Il libro giornale e il libro degli inventari, prima di essere messi in uso, devono essere numerati progressivamente in ogni pagina e bollati in ogni foglio dall'ufficio del registro delle imprese o da un notaio secondo le disposizioni delle leggi speciali.
L'ufficio del registro o il notaio deve dichiarare nell'ultima pagina dei libri il numero dei fogli che li compongono.
Art. 2216.
(Contenuto e vidimazione del libro giornale).
Il libro giornale deve indicare giorno per giorno le operazioni relative all'esercizio dell'impresa e deve essere annualmente vidimato dall'ufficio del registro delle imprese o da un notaio.
Art. 2217.
(Redazione dell'inventario).
L'inventario deve redigersi all'inizio dell'esercizio dell'impresa e successivamente ogni anno, e deve contenere l'indicazione e la valutazione delle attività e delle passività relative all'impresa, nonchè delle attività e delle passività dell'imprenditore estranee alla medesima.
L'inventario si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite, il quale deve dimostrare con evidenza e verità gli utili conseguiti o le perdite subìte. Nelle valutazioni di bilancio l'imprenditore deve attenersi ai criteri stabiliti per i bilanci delle società per azioni, in quanto applicabili.
L'inventario deve essere sottoscritto dall'imprenditore e presentato entro tre mesi all'ufficio del registro delle imprese o a un notaio per la vidimazione.
Art. 2218.
(Bollatura e vidimazione facoltative).
L'imprenditore può far bollare e vidimare nei modi indicati negli articoli 2215 e 2216 gli altri libri da lui tenuti.
Art. 2219.
(Tenuta della contabilità).
Tutte le scritture devono essere tenute secondo le norme di un'ordinata contabilità, senza spazi in bianco, senza interlinee e senza trasporti in margine. Non vi si possono fare abrasioni e, se è necessaria qualche cancellazione, questa deve eseguirsi in modo che le parole cancellate siano leggibili.
Art. 2220.
(Conservazione delle scritture contabili).
Le scritture devono essere conservate per dieci anni dalla data dell'ultima registrazione.
Per lo stesso periodo devono conservarsi le fatture, le lettere e i telegrammi ricevuti e le copie delle fatture, delle lettere e dei telegrammi spediti.
§ 3. -
Dell'insolvenza.
Art. 2221.
(Fallimento e concordato preventivo).
Gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori, sono soggetti, in caso d'insolvenza, alle procedure del fallimento e del concordato preventivo, salve le disposizioni delle leggi speciali.
Titolo III.
Del lavoro autonomo
Capo I.
Disposizioni generali.
Art. 2222.
(Contratto d'opera).
Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV.
Art. 2223.
(Prestazione della materia).
Le disposizioni di questo capo si osservano anche se la materia è fornita dal prestatore d'opera, purchè le parti non abbiano avuto prevalentemente in considerazione la materia, nel qual caso si applicano le norme sulla vendita.
Art. 2224.
(Esecuzione dell'opera).
Se il prestatore d'opera non procede all'esecuzione dell'opera secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d'arte, il committente può fissare un congruo termine, entro il quale il prestatore d'opera deve conformarsi a tali condizioni.
Trascorso inutilmente il termine fissato, il committente può recedere dal contratto, salvo il diritto al risarcimento dei danni.
Art. 2225.
(Corrispettivo).
Il corrispettivo, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe professionali o gli usi, è stabilito dal giudice in relazione al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo.
Art. 2226.
(Difformità e vizi dell'opera).
L'accettazione espressa o tacita dell'opera libera il prestatore d'opera dalla responsabilità per difformità o per vizi della medesima, se all'atto dell'accettazione questi erano noti al committente o facilmente riconoscibili, purchè in questo caso non siano stati dolosamente occultati.
Il committente deve, a pena di decadenza, denunziare le difformità e i vizi occulti al prestatore d'opera entro otto giorni dalla scoperta. L'azione si prescrive entro un anno dalla consegna.
I diritti del committente nel caso di difformità o di vizi dell'opera sono regolati dall'art. 1668.
Art. 2227.
(Recesso unilaterale dal contratto).
Il committente può recedere dal contratto, ancorchè sia iniziata l'esecuzione dell'opera, tenendo indenne il prestatore d'opera delle spese, del lavoro eseguito e del mancato guadagno.
Art. 2228.
(Impossibilità sopravvenuta dell'esecuzione dell'opera).
Se l'esecuzione dell'opera diventa impossibile per causa non imputabile ad alcuna delle parti, il prestatore d'opera ha diritto ad un compenso per il lavoro prestato in relazione all'utilità della parte dell'opera compiuta.
Capo II.
Delle professioni intellettuali.
Art. 2229.
(Esercizio delle professioni intellettuali).
La legge determina le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi.
L'accertamento dei requisiti per l'iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente.
Contro il rifiuto dell'iscrizione o la cancellazione dagli albi o elenchi, e contro i provvedimenti disciplinari che importano la perdita o la sospensione del diritto all'esercizio della professione è ammesso ricorso in via giurisdizionale nei modi e nei termini stabiliti dalle leggi speciali.
Art. 2230.
(Prestazione d'opera intellettuale).
Il contratto che ha per oggetto una prestazione d'opera intellettuale è regolato dalle norme seguenti e, in quanto compatibili con queste e con la natura del rapporto, dalle disposizioni del capo precedente.
Sono salve le disposizioni delle leggi speciali.
Art. 2231.
(Mancanza d'iscrizione).
Quando l'esercizio di un'attività professionale è condizionato all'iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione.
La cancellazione dall'albo o elenco risolve il contratto in corso, salvo il diritto del prestatore d'opera al rimborso delle spese incontrate e a un compenso adeguato all'utilità del lavoro compiuto.
Art. 2232.
(Esecuzione dell'opera).
Il prestatore d'opera deve eseguire personalmente l'incarico assunto. Può tuttavia valersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l'oggetto della prestazione.
Art. 2233.
(Compenso).
Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell'associazione professionale a cui il professionista appartiene.
In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione.
Gli avvocati, i procuratori e i patrocinatori, non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullità e dei danni.
Art. 2234.
(Spese e acconti).
Il cliente, salvo diversa pattuizione, deve anticipare al prestatore d'opera le spese occorrenti al compimento dell'opera e corrispondere, secondo gli usi, gli acconti sul compenso.
Art. 2235.
(Divieto di ritenzione).
Il prestatore d'opera non può ritenere le cose e i documenti ricevuti, se non per il periodo strettamente necessario alla tutela dei propri diritti secondo le leggi professionali.
Art. 2236.
(Responsabilità del prestatore d'opera).
Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave.
Art. 2237.
(Recesso).
Il cliente può recedere dal contratto, rimborsando al prestatore d'opera le spese sostenute e pagando il compenso per l'opera svolta.
Il prestatore d'opera può recedere dal contratto per giusta causa. In tal caso egli ha diritto al rimborso delle spese fatte e al compenso per l'opera svolta, da determinarsi con riguardo al risultato utile che ne sia derivato al cliente.
Il recesso del prestatore d'opera deve essere esercitato in modo da evitare pregiudizio al cliente.
Art. 2238.
(Rinvio).
Se l'esercizio della professione costituisce elemento di un'attività organizzata in forma d'impresa, si applicano anche le disposizioni del titolo II.
In ogni caso, se l'esercente una professione intellettuale impiega sostituti o ausiliari, si applicano le disposizioni delle sezioni II, III e IV del capo I del titolo II.
Titolo IV.
Del lavoro subordinato in particolari rapporti
Capo I.
Disposizioni generali.
Art. 2239.
(Norme applicabili).
I rapporti di lavoro subordinato che non sono inerenti all'esercizio di un'impresa sono regolati dalle disposizioni delle sezioni II, III e IV del capo I del titolo II, in quanto compatibili con la specialità del rapporto.
Capo II.
Del lavoro domestico.
Art. 2240.
(Norme applicabili).
Il rapporto di lavoro che ha per oggetto la prestazione di servizi di carattere domestico è regolato dalle disposizioni di questo capo e, in quanto più favorevoli al prestatore di lavoro, dalla convenzione e dagli usi.
Art. 2241.
(Periodo di prova).
Il patto di prova si presume per i primi otto giorni.
Art. 2242.
(Vitto, alloggio e assistenza).
Il prestatore di lavoro ammesso alla convivenza familiare ha diritto, oltre alla retribuzione in danaro, al vitto, all'alloggio e, per le infermità di breve durata, alla cura e all'assistenza medica.
Le parti devono contribuire alle istituzioni di previdenza e di assistenza, nei casi e nei modi stabiliti dalla legge.
Art. 2243.
(Periodo di riposo).
Il prestatore di lavoro, oltre al riposo settimanale secondo gli usi, ha diritto, dopo un anno di ininterrotto servizio, ad un periodo di ferie retribuito, che non può essere inferiore a otto giorni.
Art. 2244.
(Recesso).
Al contratto di lavoro domestico sono applicabili le norme sul recesso volontario e per giusta causa, stabilite negli articoli 2118 e 2119.
Il periodo di preavviso non può essere inferiore a otto giorni o, se l'anzianità di servizio è superiore a due anni, a quindici giorni.
Art. 2245.
(Indennità di anzianità).
In caso di cessazione del contratto è dovuta al prestatore di lavoro un'indennità proporzionale agli anni di servizio, salvo il caso di licenziamento per colpa di lui o di dimissioni volontarie.
L'ammontare dell'indennità è determinata sulla base dell'ultima retribuzione in danaro, nella misura di otto giorni per ogni anno di servizio.
Se gli usi lo stabiliscono, l'indennità è dovuta anche nel caso di dimissioni volontarie.
Art. 2246.
(Certificato di lavoro).
Alla cessazione del contratto il prestatore di lavoro ha diritto al rilascio di un certificato che attesti la natura delle mansioni disimpegnate e il periodo di servizio prestato.
Titolo IV.
Delle società
Capo I.
Disposizioni generali.
Art. 2247.
(Nozione).
Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili.
Art. 2248.
(Comunione a scopo di godimento).
La comunione costituita o mantenuta al solo scopo del godimento di una o più cose è regolata dalle norme del titolo VII del libro III.
Art. 2249.
(Tipi di società).
Le società che hanno per oggetto l'esercizio di una attività commerciale devono costituirsi secondo uno dei tipi regolati nei capi III e seguenti di questo titolo.
Le società che hanno per oggetto l'esercizio di una attività diversa sono regolate dalle disposizioni sulla società semplice, a meno che i soci abbiano voluto costituire la società secondo uno degli altri tipi regolati nei capi III e seguenti di questo titolo.
Sono salve le disposizioni riguardanti le società cooperative e quelle delle leggi speciali che per l'esercizio di particolari categorie d'imprese prescrivono la costituzione della società secondo un determinato tipo.
Art. 2250.
(Indicazione negli atti e nella corrispondenza).
Negli atti e nella corrispondenza delle società soggette all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese devono essere indicati la sede della società e l'ufficio del registro delle imprese presso il quale questa è iscritta.
Il capitale delle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata deve essere negli atti e nella corrispondenza indicato secondo la somma effettivamente versata e quale risulta esistente dall'ultimo bilancio.
Dopo lo scioglimento delle società previste dal primo comma deve essere espressamente indicato negli atti e nella corrispondenza che la società è in liquidazione.
Capo II.
Della società semplice.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 2251.
(Contratto sociale).
Nella società semplice il contratto non è soggetto a forme speciali, salve quelle richieste dalla natura dei beni conferiti.
Art. 2252.
(Modificazioni del contratto sociale).
Il contratto sociale può essere modificato soltanto con il consenso di tutti i soci, se non è convenuto diversamente.
Sezione II. -
Dei rapporti tra i soci.
Art. 2253.
(Conferimenti).
Il socio è obbligato a eseguire i conferimenti determinati nel contratto sociale.
Se i conferimenti non sono determinati, si presume che i soci siano obbligati a conferire, in parti eguali tra loro, quanto è necessario per il conseguimento dell'oggetto sociale.
Art. 2254.
(Garanzia e rischi dei conferimenti).
Per le cose conferite in proprietà la garanzia dovuta dal socio e il passaggio dei rischi sono regolati dalle norme sulla vendita.
Il rischio delle cose conferite in godimento resta a carico del socio che le ha conferite. La garanzia per il godimento è regolata dalle norme sulla locazione.
Art. 2255.
(Conferimento di crediti).
Il socio che ha conferito un credito risponde della insolvenza del debitore, nei limiti indicati dall'art. 1267 per il caso di assunzione convenzionale della garanzia.
Art. 2256.
(Uso illegittimo delle cose sociali).
Il socio non può servirsi, senza il consenso degli altri soci, delle cose appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei a quelli della società.
Art. 2257.
(Amministrazione disgiuntiva).
Salvo diversa pattuizione, l'amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri.
Se l'amministrazione spetta disgiuntamente a più soci, ciascun socio amministratore ha diritto di opporsi all'operazione che un altro voglia compiere, prima che sia compiuta.
La maggioranza dei soci, determinata secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili, decide sull'opposizione.
Art. 2258.
(Amministrazione congiuntiva).
Se l'amministrazione spetta congiuntamente a più soci, è necessario il consenso di tutti i soci amministratori per il compimento delle operazioni sociali.
Se è convenuto che per l'amministrazione o per determinati atti sia necessario il consenso della maggioranza, questa si determina a norma dell'ultimo comma dell'articolo precedente.
Nei casi preveduti da questo articolo, i singoli amministratori non possono compiere da soli alcun atto, salvo che vi sia urgenza di evitare un danno alla società.
Art. 2259.
(Revoca della facoltà di amministrare).
La revoca dell'amministratore nominato con il contratto sociale non ha effetto se non ricorre una giusta causa.
L'amministratore nominato con atto separato è revocabile secondo le norme sul mandato.
La revoca per giusta causa può in ogni caso essere chiesta giudizialmente da ciascun socio.
Art. 2260.
(Diritti e obblighi degli amministratori).
I diritti e gli obblighi degli amministratori sono regolati dalle norme sul mandato.
Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società per l'adempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa.
Art. 2261.
(Controllo dei soci).
I soci che non partecipano all'amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizia dello svolgimento degli affari sociali, di consultare i documenti relativi all'amministrazione e di ottenere il rendiconto quando gli affari per cui fu costituita la società sono stati compiuti.
Se il compimento degli affari sociali dura oltre un anno, i soci hanno diritto di avere il rendiconto dell'amministrazione al termine di ogni anno, salvo che il contratto stabilisca un termine diverso.
Art. 2262.
(Utili).
Salvo patto contrario, ciascun socio ha diritto di percepire la sua parte di utili dopo l'approvazione del rendiconto.
Art. 2263.
(Ripartizione dei guadagni e delle perdite).
Le parti spettanti ai soci nei guadagni e nelle perdite si presumono proporzionali ai conferimenti. Se il valore dei conferimenti non è determinato dal contratto, esse si presumono eguali.
La parte spettante al socio che ha conferito la propria opera, se non è determinata dal contratto, è fissata dal giudice secondo equità.
Se il contratto determina soltanto la parte di ciascun socio nei guadagni, nella stessa misura si presume che debba determinarsi la partecipazione alle perdite.
Art. 2264.
(Partecipazione ai guadagni e alle perdite rimessa alla determinazione di un terzo).
La determinazione della parte di ciascun socio nei guadagni e nelle perdite può essere rimessa ad un terzo.
La determinazione del terzo può essere impugnata soltanto nei casi previsti dall'art. 1349 e nel termine di tre mesi dal giorno in cui il socio, che pretende di esserne leso, ne ha avuto comunicazione. L'impugnazione non può essere proposta dal socio che ha volontariamente eseguito la determinazione del terzo.
Art. 2265.
(Patto leonino).
E` nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite.
Sezione III. -
Dei rapporti con i terzi.
Art. 2266.
(Rappresentanza della società).
La società acquista diritti e assume obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza e sta in giudizio nella persona dei medesimi.
In mancanza di diversa disposizione del contratto, la rappresentanza spetta a ciascun socio amministratore e si estende a tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale.
Le modificazioni e l'estinzione dei poteri di rappresentanza sono regolate dall'art. 1396.
Art. 2267.
(Responsabilità per le obbligazioni sociali).
I creditori della società possono far valere i loro diritti sul patrimonio sociale. Per le obbligazioni sociali rispondono inoltre personalmente e solidalmente i soci che hanno agito in nome e per conto della società e, salvo patto contrario, gli altri soci.
Il patto deve essere portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei; in mancanza, la limitazione della responsabilità o l'esclusione della solidarietà non è opponibile a coloro che non ne hanno avuto conoscenza.
Art. 2268.
(Escussione preventiva del patrimonio sociale).
Il socio richiesto del pagamento di debiti sociali può domandare, anche se la società è in liquidazione, la preventiva escussione del patrimonio sociale, indicando i beni sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi.
Art. 2269.
(Responsabilità del nuovo socio).
Chi entra a far parte di una società già costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della qualità di socio.
Art. 2270.
(Creditore particolare del socio).
Il creditore particolare del socio, finchè dura la società, può far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al debitore e compiere atti conservativi sulla quota spettante a quest'ultimo nella liquidazione.
Se gli altri beni del debitore sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti, il creditore particolare del socio può inoltre chiedere in ogni tempo la liquidazione della quota del suo debitore. La quota deve essere liquidata entro tre mesi dalla domanda, salvo che sia deliberato lo scioglimento della società.
Art. 2271.
(Esclusione della compensazione).
Non è ammessa compensazione fra il debito che un terzo ha verso la società e il credito che egli ha verso un socio.
Sezione IV. -
Dello scioglimento della società.
Art. 2272.
(Cause di scioglimento).
La società si scioglie: 1) per il decorso del termine; 2) per il conseguimento dell'oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo; 3) per la volontà di tutti i soci; 4) quando viene a mancare la pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi questa non è ricostituita; 5) per le altre cause previste dal contratto sociale.
Art. 2273.
(Proroga tacita).
La società è tacitamente prorogata a tempo indeterminato quando, decorso il tempo per cui fu contratta, i soci continuano a compiere le operazioni sociali.
Art. 2274.
(Poteri degli amministratori dopo lo scioglimento).
Avvenuto lo scioglimento della società, i soci amministratori conservano il potere di amministrare, limitatamente agli affari urgenti, fino a che siano presi i provvedimenti necessari per la liquidazione.
Art. 2275.
(Liquidatori).
Se il contratto non prevede il modo di liquidare il patrimonio sociale e i soci non sono d'accordo nel determinarlo, la liquidazione è fatta da uno o più liquidatori, nominati con il consenso di tutti i soci o, in caso di disaccordo, dal presidente del tribunale.
I liquidatori possono essere revocati per volontà di tutti i soci e in ogni caso dal tribunale per giusta causa su domanda di uno o più soci.
Art. 2276.
(Obblighi e responsabilità dei liquidatori).
Gli obblighi e la responsabilità dei liquidatori sono regolati dalle disposizioni stabilite per gli amministratori, in quanto non sia diversamente disposto dalle norme seguenti o dal contratto sociale.
Art. 2277.
(Inventario).
Gli amministratori devono consegnare ai liquidatori i beni e i documenti sociali e presentare ad essi il conto della gestione relativo al periodo successivo all'ultimo rendiconto.
I liquidatori devono prendere in consegna i beni e i documenti sociali, e redigere, insieme con gli amministratori, l'inventario dal quale risulti lo stato attivo e passivo del patrimonio sociale. L'inventario deve essere sottoscritto dagli amministratori e dai liquidatori.
Art. 2278.
(Poteri dei liquidatori).
I liquidatori possono compiere gli atti necessari per la liquidazione e, se i soci non hanno disposto diversamente, possono vendere anche in blocco i beni sociali e fare transazioni e compromessi.
Essi rappresentano la società anche in giudizio.
Art. 2279.
(Divieto di nuove operazioni).
I liquidatori non possono intraprendere nuove operazioni. Contravvenendo a tale divieto, essi rispondono personalmente e solidalmente per gli affari intrapresi.
Art. 2280.
(Pagamento dei debiti sociali).
I liquidatori non possono ripartire tra i soci, neppure parzialmente, i beni sociali, finchè non siano pagati i creditori della società o non siano accantonate le somme necessarie per pagarli.
Se i fondi disponibili risultano insufficienti per il pagamento dei debiti sociali, i liquidatori possono chiedere ai soci i versamenti ancora dovuti sulle rispettive quote e, se occorre, le somme necessarie, nei limiti della rispettiva responsabilità e in proporzione della parte di ciascuno nelle perdite. Nella stessa proporzione si ripartisce tra i soci il debito del socio insolvente.
Art. 2281.
(Restituzione dei beni conferiti in godimento).
I soci che hanno conferito beni in godimento hanno diritto di riprenderli nello stato in cui si trovano. Se i beni sono periti o deteriorati per causa imputabile agli amministratori, i soci hanno diritto al risarcimento del danno a carico del patrimonio sociale, salva l'azione contro gli amministratori.
Art. 2282.
(Ripartizione dell'attivo).
Estinti i debiti sociali, l'attivo residuo è destinato al rimborso dei conferimenti. L'eventuale eccedenza è ripartita tra i soci in proporzione della parte di ciascuno nei guadagni.
L'ammontare dei conferimenti non aventi per oggetto somme di danaro è determinato secondo la valutazione che ne è stata fatta nel contratto o, in mancanza, secondo il valore che essi avevano nel momento in cui furono eseguiti.
Art. 2283.
(Ripartizione di beni in natura).
Se è convenuto che la ripartizione dei beni sia fatta in natura, si applicano le disposizioni sulla divisione delle cose comuni.
Sezione V. -
Dello scioglimento del rapporto sociale limitatamente a un socio.
Art. 2284.
(Morte del socio).
Salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società, ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano.
Art. 2285.
(Recesso del socio).
Ogni socio può recedere dalla società quando questa è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci.
Può inoltre recedere nei casi previsti nel contratto sociale ovvero quando sussiste una giusta causa.
Nei casi previsti nel primo comma il recesso deve essere comunicato agli altri soci con un preavviso di almeno tre mesi.
Art. 2286.
(Esclusione).
L'esclusione di un socio può avere luogo per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale, nonchè per l'interdizione, l'inabilitazione del socio o per la sua condanna ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici.
Il socio che ha conferito nella società la propria opera o il godimento di una cosa può altresì essere escluso per la sopravvenuta inidoneità a svolgere l'opera conferita o per il perimento della cosa dovuto a causa non imputabile agli amministratori.
Parimenti può essere escluso il socio che si è obbligato con il conferimento a trasferire la proprietà di una cosa, se questa è perita prima che la proprietà sia acquistata alla società.
Art. 2287.
(Procedimento di esclusione).
L'esclusione è deliberata dalla maggioranza dei soci, non computandosi nel numero di questi il socio da escludere, ed ha effetto decorsi trenta giorni dalla data della comunicazione al socio escluso.
Entro questo termine il socio escluso può fare opposizione davanti al tribunale, il quale può sospendere l'esecuzione.
Se la società si compone di due soci, l'esclusione di uno di essi è pronunciata dal tribunale, su domanda dell'altro.
Art. 2288.
(Esclusione di diritto).
E` escluso di diritto il socio che sia dichiarato fallito.
Parimenti è escluso di diritto il socio nei cui confronti un suo creditore particolare abbia ottenuto la liquidazione della quota a norma dell'art. 2270.
Art. 2289.
(Liquidazione della quota del socio uscente).
Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota.
La liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento.
Se vi sono operazioni in corso, il socio o i suoi eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime.
Salvo quanto è disposto nell'art. 2270, il pagamento della quota spettante al socio deve essere fatto entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto.
Art. 2290.
(Responsabilità del socio uscente o dei suoi eredi).
Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento.
Lo scioglimento deve essere portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei; in mancanza non è opponibile ai terzi che lo hanno senza colpa ignorato.
Capo III.
Della società in nome collettivo.
Art. 2291.
(Nozione).
Nella società in nome collettivo tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali.
Il patto contrario non ha effetto nei confronti dei terzi.
Art. 2292.
(Ragione sociale).
La società in nome collettivo agisce sotto una ragione sociale costituita dal nome di uno o più soci con l'indicazione del rapporto sociale.
La società può conservare nella ragione sociale il nome del socio receduto o defunto, se il socio receduto o gli eredi del socio defunto vi consentono.
Art. 2293.
(Norme applicabili).
La società in nome collettivo è regolata dalle norme di questo capo e, in quanto queste non dispongano, dalle norme del capo precedente.
Art. 2294.
(Incapace).
La partecipazione di un incapace alla società in nome collettivo è subordinata in ogni caso all'osservanza delle disposizioni degli articoli 320, 397, 424 e 425.
Art. 2295.
(Atto costitutivo).
L'atto costitutivo della società deve indicare: 1) il cognome e il nome, il nome del padre, il domicilio, la cittadinanza e la razza dei soci; 2) la ragione sociale; 3) i soci che hanno l'amministrazione e la rappresentanza della società; 4) la sede della società e le eventuali sedi secondarie; 5) l'oggetto sociale; 6) i conferimenti di ciascun socio, il valore ad essi attribuito e il modo di valutazione; 7) le prestazioni a cui sono obbligati i soci di opera; 8) le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti e la quota di ciascun socio negli utili e nelle perdite; 9) la durata della società.
Art. 2296.
(Pubblicazione).
L'atto costitutivo della società, con sottoscrizione autenticata dei contraenti, o una copia autentica di esso se la stipulazione è avvenuta per atto pubblico, deve entro trenta giorni essere depositato per l'iscrizione, a cura degli amministratori, presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale.
Se gli amministratori non provvedono al deposito nel termine indicato nel comma precedente, ciascun socio può provvedervi a spese della società, o far condannare gli amministratori ad eseguirlo.
Se la stipulazione è avvenuta per atto pubblico, è obbligato ad eseguire il deposito anche il notaio.
Art. 2297.
(Mancata registrazione).
Fino a quando la società non è iscritta nel registro delle imprese, i rapporti tra la società e i terzi, ferma restando la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci, sono regolati dalle disposizioni relative alla società semplice.
Tuttavia si presume che ciascun socio che agisce per la società abbia la rappresentanza sociale, anche in giudizio. I patti che attribuiscono la rappresentanza ad alcuno soltanto dei soci o che limitano i poteri di rappresentanza non sono opponibili ai terzi, a meno che si provi che questi ne erano a conoscenza.
Art. 2298.
(Rappresentanza della società).
L'amministratore che ha la rappresentanza della società può compiere tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale, salve le limitazioni che risultano dall'atto costitutivo o dalla procura. Le limitazioni non sono opponibili ai terzi, se non sono iscritte nel registro delle imprese o se non si prova che i terzi ne hanno avuto conoscenza.
Gli amministratori che hanno la rappresentanza sociale devono, entro quindici giorni dalla notizia della nomina, depositare presso l'ufficio del registro delle imprese le loro firme autografe.
Art. 2299.
(Sedi secondarie).
Un estratto dell'atto costitutivo deve essere depositato per l'iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese del luogo in cui la società istituisce sedi secondarie con una rappresentanza stabile, entro trenta giorni dall'istituzione delle medesime.
L'estratto deve indicare l'ufficio del registro presso il quale è iscritta la società e la data dell'iscrizione.
Presso l'ufficio del registro in cui è iscritta la sede secondaria deve essere altresì depositata la firma autografa del rappresentante preposto all'esercizio della sede medesima.
L'istituzione di sedi secondarie deve essere denunciata per l'iscrizione nello stesso termine anche all'ufficio del registro del luogo dove è iscritta la società.
Art. 2300.
(Modificazioni dell'atto costitutivo).
Gli amministratori devono richiedere nel termine di trenta giorni all'ufficio del registro delle imprese l'iscrizione delle modificazioni dell'atto costitutivo e degli altri fatti relativi alla società, dei quali è obbligatoria l'iscrizione.
Se la modificazione dell'atto costitutivo risulta da deliberazione dei soci, questa deve essere depositata in copia autentica.
Le modificazioni dell'atto costitutivo, finchè non sono iscritte, non sono opponibili ai terzi, a meno che si provi che questi ne erano a conoscenza.
Art. 2301.
(Divieto di concorrenza).
Il socio non può, senza il consenso degli altri soci, esercitare per conto proprio o altrui un'attività concorrente con quella della società, nè partecipare come socio illimitatamente responsabile ad altra società concorrente.
Il consenso si presume, se l'esercizio dell'attività o la partecipazione ad altra società preesisteva al contratto sociale, e gli altri soci ne erano a conoscenza.
In caso d'inosservanza delle disposizioni del primo comma la società ha diritto al risarcimento del danno, salva l'applicazione dell'art. 2286.
Art. 2302.
(Scritture contabili).
Gli amministratori devono tenere i libri e le altre scritture contabili prescritti dall'art. 2214.
Art. 2303.
(Limiti alla distribuzione degli utili).
Non può farsi luogo a ripartizione di somme tra soci se non per utili realmente conseguiti.
Se si verifica una perdita del capitale sociale, non può farsi luogo a ripartizione di utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente.
Art. 2304.
(Responsabilità dei soci).
I creditori sociali, anche se la società è in liquidazione, non possono pretendere il pagamento dai singoli soci, se non dopo l'escussione del patrimonio sociale.
Art. 2305.
(Creditore particolare del socio).
Il creditore particolare del socio, finchè dura la società, non può chiedere la liquidazione della quota del socio debitore.
Art. 2306.
(Riduzione di capitale).
La deliberazione di riduzione di capitale, mediante rimborso ai soci delle quote pagate o mediante liberazione di essi dall'obbligo di ulteriori versamenti, può essere eseguita soltanto dopo tre mesi dal giorno della iscrizione nel registro delle imprese, purchè entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all'iscrizione abbia fatto opposizione.
Il tribunale, nonostante l'opposizione, può disporre che l'esecuzione abbia luogo, previa prestazione da parte della società di un'idonea garanzia.
Art. 2307.
(Proroga della società).
Il creditore particolare del socio può fare opposizione alla proroga della società, entro tre mesi dalla iscrizione della deliberazione di proroga nel registro delle imprese.
Se l'opposizione è accolta, la società deve, entro tre mesi dalla notificazione della sentenza, liquidare la quota del socio debitore dell'opponente.
In caso di proroga tacita ciascun socio può sempre recedere dalla società, dando preavviso a norma dell'art. 2285, e il creditore particolare del socio può chiedere la liquidazione della quota del suo debitore a norma dell'art. 2270.
Art. 2308.
(Scioglimento della società).
La società si scioglie, oltre che per le cause indicate dall'art. 2272, per provvedimento dell'autorità governativa nei casi stabiliti dalla legge, e, salvo che abbia per oggetto un'attività non commerciale, per la dichiarazione di fallimento.
Art. 2309.
(Pubblicazione della nomina dei liquidatori).
La deliberazione dei soci o la sentenza che nomina i liquidatori e ogni atto successivo che importa cambiamento nelle persone dei liquidatori devono essere, entro quindici giorni dalla notizia della nomina, depositati in copia autentica a cura dei liquidatori medesimi per l'iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese.
I liquidatori devono altresì depositare presso lo stesso ufficio le loro firme autografe.
Art. 2310.
(Rappresentanza della società in liquidazione).
Dall'iscrizione della nomina dei liquidatori la rappresentanza della società, anche in giudizio, spetta ai liquidatori.
Art. 2311.
(Bilancio finale di liquidazione e piano di riparto).
Compiuta la liquidazione, i liquidatori devono redigere il bilancio finale e proporre ai soci il piano di riparto.
Il bilancio, sottoscritto dai liquidatori, e il piano di riparto devono essere comunicati mediante raccomandata ai soci, e s'intendono approvati se non sono stati impugnati nel termine di due mesi dalla comunicazione.
In caso d'impugnazione del bilancio e del piano di riparto, il liquidatore può chiedere che le questioni relative alla liquidazione siano esaminate separatamente da quelle relative alla divisione, alle quali il liquidatore può restare estraneo.
Con l'approvazione del bilancio i liquidatori sono liberati di fronte ai soci.
Art. 2312.
(Cancellazione della società).
Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese.
Dalla cancellazione della società i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci e, se il mancato pagamento è dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi.
Le scritture contabili e i documenti che non spettano ai singoli soci sono depositati presso la persona designata dalla maggioranza.
Le scritture contabili e i documenti devono essere conservati per dieci anni a decorrere dalla cancellazione della società dal registro delle imprese.
Capo IV.
Della società in accomandita semplice.
Art. 2313.
(Nozione).
Nella società in accomandita semplice i soci accomandatari rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali, e i soci accomandanti rispondono limitatamente alla quota conferita.
Le quote di partecipazione dei soci non possono essere rappresentate da azioni.
Art. 2314.
(Ragione sociale).
La società agisce sotto una ragione sociale costituita dal nome di almeno uno dei soci accomandatari, con l'indicazione di società in accomandita semplice, salvo il disposto del secondo comma dell'art. 2292.
L'accomandante, il quale consente che il suo nome sia compreso nella ragione sociale, risponde di fronte ai terzi illimitatamente e solidalmente con i soci accomandatari per le obbligazioni sociali.
Art. 2315.
(Norme applicabili).
Alla società in accomandita semplice si applicano le disposizioni relative alla società in nome collettivo, in quanto siano compatibili con le norme seguenti.
Art. 2316.
(Atto costitutivo).
L'atto costitutivo deve indicare i soci accomandatari e i soci accomandanti.
Art. 2317.
(Mancata registrazione).
Fino a quando la società non è iscritta nel registro delle imprese, ai rapporti fra la società e i terzi si applicano le disposizioni dell'art. 2297.
Tuttavia per le obbligazioni sociali i soci accomandanti rispondono limitatamente alla loro quota, salvo che abbiano partecipato alle operazioni sociali.
Art. 2318.
(Soci accomandatari).
I soci accomandatari hanno i diritti e gli obblighi dei soci della società in nome collettivo.
L'amministrazione della società può essere conferita soltanto a soci accomandatari.
Art. 2319.
(Nomina e revoca degli amministratori).
Se l'atto costitutivo non dispone diversamente, per la nomina degli amministratori e per la loro revoca nel caso indicato nel secondo comma dell'art. 2259 sono necessari il consenso dei soci accomandatari e l'approvazione di tanti soci accomandanti che rappresentino la maggioranza del capitale da essi sottoscritto.
Art. 2320.
(Soci accomandanti).
I soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, nè trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali e può essere escluso a norma dell'art. 2286.
I soci accomandanti possono tuttavia prestare la loro opera sotto la direzione degli amministratori e, se l'atto costitutivo lo consente, dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni e compiere atti di ispezione e di sorveglianza.
In ogni caso essi hanno diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite, e di controllarne l'esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società.
Art. 2321.
(Utili percepiti in buona fede).
I soci accomandanti non sono tenuti alla restituzione degli utili riscossi in buona fede secondo il bilancio regolarmente approvato.
Art. 2322.
(Trasferimento della quota).
La quota di partecipazione del socio accomandante è trasmissibile per causa di morte.
Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, la quota può essere ceduta, con effetto verso la società, con il consenso dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale.
Art. 2323.
(Cause di scioglimento).
La società si scioglie, oltre che per le cause previste nell'art. 2308, quando rimangono soltanto soci accomandanti o soci accomandatari, semprechè nel termine di sei mesi non sia stato sostituito il socio che è venuto meno.
Se vengono a mancare tutti gli accomandatari, per il periodo indicato dal comma precedente gli accomandanti nominano un amministratore provvisorio per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione. L'amministratore provvisorio non assume la qualità di socio accomandatario.
Art. 2324.
(Diritti dei creditori sociali dopo la liquidazione).
Salvo il diritto previsto dal secondo comma dell'art. 2312 nei confronti degli accomandatari e dei liquidatori, i creditori sociali che non sono stati soddisfatti nella liquidazione della società possono far valere i loro crediti anche nei confronti degli accomandanti, limitatamente alla quota di liquidazione.
Capo V.
Della società per azioni.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 2325.
(Nozione).
Nella società per azioni per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio.
Le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni.
Art. 2326.
(Denominazione sociale).
La denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve contenere l'indicazione di società per azioni.
Art. 2327.
(Ammontare minimo del capitale).
La società per azioni deve costituirsi con un capitale non inferiore a un milione di lire.
Art. 2328.
(Atto costitutivo).
La società deve costituirsi per atto pubblico. L'atto costitutivo deve indicare: 1) il cognome e il nome, il nome del padre, il domicilio, la cittadinanza e la razza dei soci, e il numero delle azioni sottoscritte da ciascuno di essi; 2) la denominazione, la sede della società e le eventuali sedi secondarie; 3) l'oggetto sociale; 4) l'ammontare del capitale sottoscritto e versato; 5) il valore nominale e il numero delle azioni e se queste sono nominative o al portatore; 6) il valore dei crediti e dei beni conferiti in natura; 7) le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti; 8) la partecipazione agli utili eventualmente accordata ai promotori o ai soci fondatori; 9) il numero degli amministratori e i loro poteri, indicando quali tra essi hanno la rappresentanza della società; 10) il numero dei componenti il collegio sindacale; 11) la durata della società.
Lo statuto contenente le norme relative al funzionamento della società, anche se forma oggetto di atto separato, si considera parte integrante dell'atto costitutivo e deve essere a questo allegato.
Art. 2329.
(Condizioni per la costituzione).
Per procedere alla costituzione della società è necessario: 1) che sia sottoscritto per intero il capitale sociale; 2) che siano versati presso un istituto di credito almeno i tre decimi dei conferimenti in danaro; 3) che sussistano le autorizzazioni governative e le altre condizioni richieste dalle leggi speciali per la costituzione della società, in relazione al suo particolare oggetto.
Le somme depositate a norma del n. 2 del comma precedente devono essere consegnate agli amministratori quando provano l'avvenuta iscrizione della società nel registro delle imprese. Se entro un anno dal deposito l'iscrizione non ha avuto luogo, le somme suddette devono essere restituite ai sottoscrittori.
Art. 2330.
(Deposito dell'atto costitutivo e iscrizione della società).
Il notaio che ha ricevuto l'atto costitutivo deve depositarlo entro trenta giorni presso l'ufficio del registro delle imprese, nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, allegando i documenti comprovanti l'avvenuto versamento dei decimi in danaro e, per i conferimenti in natura, la relazione indicata nell'art. 2343, nonchè le eventuali autorizzazioni richieste per la costituzione della società.
Se il notaio o gli amministratori non provvedono al deposito dell'atto costitutivo e degli allegati nel termine indicato nel comma precedente, ciascun socio può provvedervi a spese della società o far condannare gli amministratori ad eseguirlo.
Il tribunale, verificato l'adempimento delle condizioni stabilite dalla legge per la costituzione della società e sentito il pubblico ministero, ordina l'iscrizione della società nel registro.
Il decreto del tribunale è soggetto a reclamo davanti alla corte di appello entro trenta giorni dalla comunicazione.
Se la società istituisce sedi secondarie, si applica l'art. 2299.
Art. 2331.
(Effetti dell'iscrizione).
Con l'iscrizione nel registro la società acquista la personalità giuridica.
Per le operazioni compiute in nome della società prima dell'iscrizione sono illimitatamente e solidalmente responsabili verso i terzi coloro che hanno agito.
L'emissione e la vendita delle azioni prima dell'iscrizione della società sono nulle.
Art. 2332.
(Nullità dell'atto costitutivo).
Avvenuta l'iscrizione della società nel registro delle imprese, la dichiarazione di nullità dell'atto costitutivo non pregiudica l'efficacia degli atti compiuti in nome della società.
I soci non sono liberati dall'obbligo del conferimento fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali.
La sentenza che dichiara la nullità nomina i liquidatori.
La nullità non può essere dichiarata quando la causa di essa è stata eliminata per effetto di una modificazione dell'atto costitutivo iscritta nel registro delle imprese.
Sezione II. -
Della costituzione mediante pubblica sottoscrizione.
Art. 2333.
(Programma e sottoscrizione delle azioni).
La società può essere costituita anche per mezzo di pubblica sottoscrizione sulla base di un programma che ne indichi l'oggetto e il capitale, le principali disposizioni dell'atto costitutivo, l'eventuale partecipazione che i promotori si riservano agli utili e il termine entro il quale deve essere stipulato l'atto costitutivo.
Il programma con le firme autenticate dei promotori, prima di essere reso pubblico, deve essere depositato presso un notaio.
Le sottoscrizioni delle azioni devono risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata. L'atto deve indicare il cognome e il nome, il domicilio o la sede del sottoscrittore, il numero delle azioni sottoscritte e la data della sottoscrizione.
Art. 2334.
(Versamenti e convocazione dell'assemblea dei sottoscrittori).
Raccolte le sottoscrizioni, i promotori, con raccomandata o nella forma prevista nel programma, devono assegnare ai sottoscrittori un termine non superiore ad un mese per fare il versamento prescritto dal n. 2 dell'art. 2329.
Decorso inutilmente questo termine, è in facoltà dei promotori di agire contro i sottoscrittori morosi o di scioglierli dall'obbligazione assunta. Qualora i promotori si avvalgano di quest'ultima facoltà, non può procedersi alla costituzione della società prima che siano collocate le azioni che quelli avevano sottoscritte.
Salvo che il programma stabilisca un termine diverso, i promotori, nei venti giorni successivi al termine fissato per il versamento prescritto dal n. 2 dell'art. 2329, devono convocare l'assemblea dei sottoscrittori mediante raccomandata, da inviarsi a ciascuno di essi almeno dieci giorni prima di quello fissato per l'assemblea, con l'indicazione delle materie da trattare.
Art. 2335.
(Assemblea dei sottoscrittori).
L'assemblea dei sottoscrittori: 1) accerta l'esistenza delle condizioni richieste per la costituzione della società; 2) delibera sul contenuto dell'atto costitutivo; 3) delibera sulla riserva di partecipazione agli utili fatta a proprio favore dai promotori; 4) nomina gli amministratori e i membri del collegio sindacale.
L'assemblea è validamente costituita con la presenza della metà dei sottoscrittori.
Ciascun sottoscrittore ha diritto a un voto, qualunque sia il numero delle azioni sottoscritte, e per la validità delle deliberazioni si richiede il voto favorevole della maggioranza dei presenti.
Tuttavia per modificare le condizioni stabilite nel programma è necessario il consenso di tutti i sottoscrittori.
Art. 2336.
(Stipulazione e deposito dell'atto costitutivo).
Eseguito quanto è prescritto nell'articolo precedente, gli intervenuti all'assemblea, in rappresentanza anche dei sottoscrittori assenti, stipulano l'atto costitutivo, che deve essere depositato per l'iscrizione nel registro delle imprese a norma dell'art. 2330.
Sezione III. -
Dei promotori e dei soci fondatori.
Art. 2337.
(Promotori).
Sono promotori coloro che nella costituzione per pubblica sottoscrizione hanno firmato il programma a norma del secondo comma dell'art. 2333.
Art. 2338.
(Obbligazioni dei promotori).
I promotori sono solidalmente responsabili verso i terzi per le obbligazioni assunte per costituire la società.
La società è tenuta a rilevare i promotori dalle obbligazioni assunte e a rimborsare loro le spese sostenute, semprechè siano state necessarie per la costituzione della società o siano state approvate dall'assemblea.
Se per qualsiasi ragione la società non si costituisce, i promotori non possono rivalersi verso i sottoscrittori delle azioni.
Art. 2339.
(Responsabilità dei promotori).
I promotori sono solidalmente responsabili verso la società e verso i terzi: 1) per l'integrale sottoscrizione del capitale sociale e per i versamenti richiesti per la costituzione della società; 2) per l'esistenza dei conferimenti in natura in conformità della relazione giurata indicata nell'art. 2343; 3) per la veridicità delle comunicazioni da essi fatte al pubblico per la costituzione della società.
Sono del pari solidalmente responsabili verso la società e verso i terzi coloro per conto dei quali i promotori hanno agito.
Art. 2340.
(Limiti dei benefici riservati ai promotori).
I promotori possono riservarsi nell'atto costitutivo, indipendentemente dalla loro qualità di soci, una partecipazione non superiore complessivamente a un decimo degli utili netti risultanti dal bilancio e per un periodo massimo di cinque anni.
Essi non possono stipulare a proprio vantaggio altro beneficio.
Art. 2341.
(Soci fondatori).
Le disposizioni dell'articolo precedente si applicano anche ai soci che nella costituzione simultanea o in quella per pubblica sottoscrizione stipulano l'atto costitutivo.
Sezione IV. -
Dei conferimenti.
Art. 2342.
(Conferimenti).
Se nell'atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in danaro.
Per i conferimenti di beni in natura e di crediti si osservano le disposizioni degli articoli 2254 e 2255.
Art. 2343.
(Stima dei conferimenti in natura).
Chi conferisce beni in natura deve presentare la relazione giurata di un esperto designato dal presidente del tribunale, contenente la descrizione dei beni conferiti, il valore a ciascuno di essi attribuito ed i criteri di valutazione seguiti. La relazione deve essere allegata all'atto costitutivo.
Gli amministratori e i sindaci devono, nel termine di sei mesi dalla costituzione della società, controllare le valutazioni contenute nella relazione indicata nel comma precedente e, se sussistono fondati motivi, devono procedere alla revisione della stima. Fino a quando le valutazioni non sono state controllate, le azioni corrispondenti ai conferimenti in natura sono inalienabili e devono restare depositate presso la società.
Se risulta che il valore dei beni conferiti era inferiore di oltre un quinto a quello per cui avvenne il conferimento, la società deve proporzionalmente ridurre il capitale sociale, annullando le azioni che risultano scoperte. Tuttavia il socio conferente può versare la differenza in danaro o recedere dalla società.
Art. 2344.
(Mancato pagamento delle quote).
Se il socio non esegue il pagamento delle quote dovute, gli amministratori, decorsi quindici giorni dalla pubblicazione di una diffida nella Gazzetta Ufficiale del Regno, possono far vendere le azioni a suo rischio e per suo conto, a mezzo di un agente di cambio o di un istituto di credito.
Qualora la vendita non possa aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori possono dichiarare decaduto il socio, trattenendo le somme riscosse, salvo il risarcimento dei maggiori danni.
Le azioni non vendute, se non possono essere rimesse in circolazione entro l'esercizio in cui fu pronunziata la decadenza del socio moroso, devono essere estinte con la corrispondente riduzione del capitale.
Il socio in mora nei versamenti non può esercitare il diritto di voto.
Art. 2345.
(Prestazioni accessorie).
Oltre l'obbligo dei conferimenti, l'atto costitutivo può stabilire l'obbligo dei soci di eseguire prestazioni accessorie non consistenti in denaro, determinandone il contenuto, la durata, le modalità e il compenso, e stabilendo particolari sanzioni per il caso d'inadempimento. Nella determinazione del compenso devono essere osservate le norme corporative applicabili ai rapporti aventi per oggetto le stesse prestazioni.
Le azioni alle quali è connesso l'obbligo delle prestazioni anzidette devono essere nominative e non sono trasferibili senza il consenso degli amministratori.
Se non è diversamente disposto dall'atto costitutivo, gli obblighi previsti in questo articolo non possono essere modificati senza il consenso di tutti i soci.
Sezione V. -
Delle azioni.
Art. 2346.
(Emissione delle azioni).
Le azioni non possono emettersi per somma inferiore al loro valore nominale.
Art. 2347.
(Indivisibilità delle azioni).
Le azioni sono indivisibili. Nel caso di comproprietà di un'azione, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune.
Se il rappresentante comune non è stato nominato, le comunicazioni e le dichiarazioni fatte dalla società a uno dei comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti.
I comproprietari dell'azione rispondono solidalmente delle obbligazioni da essa derivanti.
Art. 2348.
(Categorie di azioni).
Le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti.
Si possono tuttavia creare categorie di azioni fornite di diritti diversi con l'atto costitutivo o con successive modificazioni di questo.
Art. 2349.
(Azioni a favore dei prestatori di lavoro).
In caso di assegnazione straordinaria di utili ai prestatori di lavoro dipendenti dalla società, possono essere emesse, per un ammontare corrispondente agli utili stessi, speciali categorie di azioni da assegnare individualmente ai prestatori di lavoro, con norme particolari riguardo alla forma, al modo di trasferimento ed ai diritti spettanti agli azionisti.
Il capitale sociale deve essere aumentato in misura corrispondente.
Art. 2350.
(Diritto agli utili e alla quota di liquidazione).
Ogni azione attribuisce il diritto a una parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione, salvi i diritti stabiliti a favore di speciali categorie di azioni a norma degli articoli precedenti.
Art. 2351.
(Diritto di voto).
Ogni azione attribuisce il diritto di voto.
L'atto costitutivo può tuttavia stabilire che le azioni privilegiate nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale allo scioglimento della società abbiano diritto di voto soltanto nelle deliberazioni previste nell'art. 2365. Le azioni con voto limitato non possono superare la metà del capitale sociale.
Non possono emettersi azioni a voto plurimo.
Art. 2352.
(Pegno e usufrutto di azioni).
Nel caso di pegno o di usufrutto sulle azioni, il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria, al creditore pignoratizio o all'usufruttuario.
Se le azioni attribuiscono un diritto di opzione, questo spetta al socio. Qualora il socio non provveda almeno tre giorni prima della scadenza al versamento delle somme necessarie per l'esercizio del diritto di opzione, questo deve essere alienato per conto del socio medesimo a mezzo di un agente di cambio o di un istituto di credito.
Se sono richiesti versamenti sulle azioni, nel caso di pegno, il socio deve provvedere al versamento delle somme necessarie almeno tre giorni prima della scadenza; in mancanza, il creditore pignoratizio può vendere le azioni nel modo stabilito dal comma precedente. Nel caso di usufrutto, l'usufruttuario deve provvedere al versamento, salvo il suo diritto alla restituzione al termine dell'usufrutto.
Se l'usufrutto spetta a più persone, si applica il secondo comma dell'art. 2347.
Art. 2353.
(Azioni di godimento).
Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, le azioni di godimento attribuite ai possessori delle azioni rimborsate non danno diritto di voto nell'assemblea. Esse concorrono nella ripartizione degli utili che residuano dopo il pagamento alle azioni non rimborsate di un dividendo pari all'interesse legale e, in caso di liquidazione, nella ripartizione del patrimonio sociale residuo dopo il rimborso delle altre azioni al loro valore nominale.
Art. 2354.
(Contenuto delle azioni).
Le azioni devono indicare: 1) la denominazione, la sede e la durata della società; 2) la data dell'atto costitutivo e della sua iscrizione, e l'ufficio del registro delle imprese dove la società è iscritta; 3) il loro valore nominale e l'ammontare del capitale sociale; 4) l'ammontare dei versamenti parziali sulle azioni non interamente liberate; 5) i diritti e gli obblighi particolari ad esse inerenti.
Le azioni devono essere sottoscritte da uno degli amministratori. E` valida la sottoscrizione mediante riproduzione meccanica della firma, purchè l'originale sia depositato presso l'ufficio del registro delle imprese ove è iscritta la società.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche ai certificati provvisori che si distribuiscono ai soci prima dell'emissione dei titoli definitivi.
Art. 2355.
(Azioni nominative e al portatore).
Le azioni possono essere nominative o al portatore, a scelta dell'azionista, se l'atto costitutivo non stabilisce che devono essere nominative.
Le azioni non possono essere al portatore, finchè non siano interamente liberate.
L'atto costitutivo può sottoporre a particolari condizioni l'alienazione delle azioni nominative.
Art. 2356.
(Responsabilità in caso di trasferimento di azioni non liberate).
Coloro che hanno trasferito azioni non liberate sono obbligati solidalmente con gli acquirenti per l'ammontare dei versamenti ancora dovuti, per il periodo di tre anni dal trasferimento.
Il pagamento non può essere ad essi domandato se non nel caso in cui la richiesta al possessore dell'azione sia rimasta infruttuosa.
Art. 2357.
(Acquisto delle proprie azioni).
La società non può acquistare azioni proprie, se l'acquisto non è autorizzato dall'assemblea dei soci, non è fatto con somme prelevate da utili netti regolarmente accertati e le azioni non sono interamente liberate.
Gli amministratori non possono disporre delle azioni acquistate, e il diritto di voto inerente alle medesime è sospeso finchè esse restano in proprietà della società.
Le limitazioni disposte nel primo comma di questo articolo non si applicano quando l'acquisto di azioni proprie avviene in virtù di una deliberazione dell'assemblea che dispone una riduzione del capitale sociale, da attuarsi mediante riscatto e annullamento delle azioni.
Art. 2358.
(Anticipazioni sulle proprie azioni).
La società non può fare anticipazioni sulle proprie azioni, nè prestiti a terzi per acquistarle.
Art. 2359.
(Acquisto di azioni da parte di società controllate).
Le società non possono investire, nemmeno parzialmente, il proprio capitale in azioni della società che esercita il controllo su di esse o di altre società controllate dalla medesima.
Sono considerate società controllate quelle in cui un'altra società possiede un numero di azioni tale da assicurarle la maggioranza dei voti nelle assemblee ordinarie, o quelle che, in virtù di particolari vincoli contrattuali, sono sotto l'influenza dominante di altra società.
Art. 2360.
(Divieto di sottoscrizione reciproca di azioni).
E` vietato alle società di costituire o di aumentare il capitale mediante sottoscrizione reciproca di azioni, anche per interposta persona.
Art. 2361.
(Partecipazioni).
L'assunzione di partecipazioni in altre imprese, anche se prevista genericamente nell'atto costitutivo, non è consentita, se per la misura e per l'oggetto della partecipazione ne risulta sostanzialmente modificato l'oggetto sociale determinato dall'atto costitutivo.
Art. 2362.
(Unico azionista).
In caso d'insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni risultano essere appartenute ad una sola persona, questa risponde illimitatamente.
Sezione VI. -
Degli organi sociali.
§ 1. -
Dell'assemblea.
Art. 2363.
(Luogo di convocazione dell'assemblea).
L'assemblea è convocata dagli amministratori nella sede della società, se l'atto costitutivo non dispone diversamente.
L'assemblea è ordinaria o straordinaria.
Art. 2364.
(Assemblea ordinaria).
L'assemblea ordinaria: 1) approva il bilancio; 2) nomina gli amministratori, i sindaci e il presidente del collegio sindacale; 3) determina il compenso degli amministratori e dei sindaci, se non è stabilito nell'atto costitutivo; 4) delibera sugli altri oggetti attinenti alla gestione della società riservati alla sua competenza dall'atto costitutivo, o sottoposti al suo esame dagli amministratori, nonchè sulla responsabilità degli amministratori e dei sindaci.
L'assemblea ordinaria deve essere convocata almeno una volta all'anno, entro quattro mesi dalla chiusura dell'esercizio sociale. L'atto costitutivo può stabilire un termine maggiore, non superiore in ogni caso a sei mesi, quando particolari esigenze lo richiedono.
Art. 2365.
(Assemblea straordinaria).
L'assemblea straordinaria delibera sulle modificazioni dell'atto costitutivo e sull'emissione di obbligazioni. Delibera altresì sulla nomina e sui poteri dei liquidatori a norma degli articoli 2450 e 2452.
Art. 2366.
(Formalità per la convocazione).
L'assemblea deve essere convocata dagli amministratori mediante avviso contenente l'indicazione del giorno, dell'ora e del luogo dell'adunanza e l'elenco delle materie da trattare.
L'avviso deve essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno almeno quindici giorni prima di quello fissato per l'adunanza.
In mancanza delle formalità suddette, l'assemblea si reputa regolarmente costituita, quando è rappresentato l'intero capitale sociale e sono intervenuti tutti gli amministratori e i componenti del collegio sindacale. Tuttavia in tale ipotesi ciascuno degli intervenuti può opporsi alla discussione degli argomenti sui quali non si ritenga sufficientemente informato.
Art. 2367.
(Convocazione su richiesta della minoranza).
Gli amministratori devono convocare senza ritardo l'assemblea, quando ne è fatta domanda da tanti soci che rappresentino almeno il quinto del capitale sociale e nella domanda sono indicati gli argomenti da trattare.
Se gli amministratori, o in loro vece i sindaci, non provvedono, la convocazione dell'assemblea è ordinata con decreto dal presidente del tribunale, il quale designa la persona che deve presiederla.
Art. 2368.
(Costituzione dell'assemblea e validità delle deliberazioni).
L'assemblea ordinaria è regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale, escluse dal computo le azioni a voto limitato. Essa delibera a maggioranza assoluta, salvo che l'atto costitutivo richieda una maggioranza più elevata. Per la nomina alle cariche sociali l'atto costitutivo può stabilire norme particolari.
L'assemblea straordinaria delibera con il voto favorevole di tanti soci che rappresentino più della metà del capitale sociale, se l'atto costitutivo non richiede una maggioranza più elevata.
Art. 2369.
(Seconda convocazione).
Se i soci intervenuti non rappresentano complessivamente la parte di capitale richiesta dall'articolo precedente, l'assemblea deve essere nuovamente convocata.
Nell'avviso di convocazione dell'assemblea può essere fissato il giorno per la seconda convocazione. Questa non può aver luogo nello stesso giorno fissato per la prima. Se il giorno per la seconda convocazione non è indicato nell'avviso, l'assemblea deve essere riconvocata entro trenta giorni dalla data della prima, e il termine stabilito dal secondo comma dell'art. 2366 è ridotto ad otto giorni.
In seconda convocazione l'assemblea ordinaria delibera sugli oggetti che avrebbero dovuto essere trattati nella prima, qualunque sia la parte di capitale rappresentata dai soci intervenuti, e l'assemblea straordinaria delibera con il voto favorevole di tanti soci che rappresentino più del terzo del capitale sociale, a meno che l'atto costitutivo richieda una maggioranza più elevata.
Tuttavia anche in seconda convocazione è necessario il voto favorevole di tanti soci che rappresentino più della metà del capitale sociale per le deliberazioni concernenti il cambiamento dell'oggetto sociale, la trasformazione della società, lo scioglimento anticipato di questa, il trasferimento della sede sociale all'estero e l'emissione di azioni privilegiate.
Art. 2370.
(Diritto d'intervento all'assemblea).
Possono intervenire all'assemblea gli azionisti iscritti nel libro dei soci almeno cinque giorni prima di quello fissato per l'assemblea, e quelli che hanno depositato nel termine stesso le loro azioni presso la sede sociale o gli istituti di credito indicati nell'avviso di convocazione.
Art. 2371.
(Presidenza dell'assemblea).
L'assemblea è presieduta dalla persona indicata nell'atto costitutivo o, in mancanza, da quella designata dagli intervenuti. Il presidente è assistito da un segretario designato nello stesso modo.
L'assistenza del segretario non è necessaria quando il verbale dell'assemblea è redatto da un notaio.
Art. 2372.
(Rappresentanza nell'assemblea).
Salvo disposizione contraria dell'atto costitutivo, i soci possono farsi rappresentare nell'assemblea. La rappresentanza deve essere conferita per iscritto, e i documenti relativi devono essere conservati dalla società.
Gli amministratori e i dipendenti della società non possono rappresentare i soci nell'assemblea.
Art. 2373.
(Conflitto d'interessi).
Il diritto di voto non può essere esercitato dal socio nelle deliberazioni in cui egli ha, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società.
In caso d'inosservanza della disposizione del comma precedente, la deliberazione, qualora possa recare danno alla società, è impugnabile a norma dell'art. 2377 se, senza il voto dei soci che avrebbero dovuto astenersi dalla votazione, non si sarebbe raggiunta la necessaria maggioranza.
Gli amministratori non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità.
Le azioni per le quali, a norma di questo articolo, non può essere esercitato il diritto di voto sono computate ai fini della regolare costituzione dell'assemblea.
Art. 2374.
(Rinvio dell'assemblea).
I soci intervenuti che riuniscono il terzo del capitale rappresentano nell'assemblea, se dichiarano di non essere sufficientemente informati sugli oggetti posti in deliberazione, possono chiedere che l'adunanza sia rinviata a non oltre tre giorni.
Questo diritto non può esercitarsi che una sola volta per lo stesso oggetto.
Art. 2375.
(Verbale delle deliberazioni dell'assemblea).
Le deliberazioni dell'assemblea devono constare da verbale sottoscritto dal presidente e dal segretario o dal notaio. Nel verbale devono essere riassunte, su richiesta dei soci, le loro dichiarazioni.
Il verbale dell'assemblea straordinaria deve essere redatto da un notaio.
Art. 2376.
(Assemblee speciali).
Se esistono diverse categorie di azioni, le deliberazioni dell'assemblea, che pregiudicano i diritti di una di esse, devono essere approvate anche dall'assemblea speciale dei soci della categoria interessata.
Alle assemblee speciali si applicano le disposizioni relative alle assemblee straordinarie.
Art. 2377.
(Invalidità delle deliberazioni).
Le deliberazioni dell'assemblea, prese in conformità della legge e dell'atto costitutivo, vincolano tutti i soci, ancorchè non intervenuti o dissenzienti.
Le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dell'atto costitutivo possono essere impugnate dagli amministratori, dai sindaci e dai soci assenti o dissenzienti, e quelle dell'assemblea ordinaria altresì dai soci con diritto di voto limitato, entro tre mesi dalla data della deliberazione, ovvero, se questa è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese, entro tre mesi dall'iscrizione.
L'annullamento della deliberazione ha effetto rispetto a tutti i soci ed obbliga gli amministratori a prendere i conseguenti provvedimenti, sotto la propria responsabilità. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione.
L'annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dell'atto costitutivo.
Art. 2378.
(Procedimento d'impugnazione).
L'impugnazione è proposta davanti al tribunale del luogo dove la società ha sede.
Il socio opponente deve depositare in cancelleria almeno un'azione. Il presidente del tribunale può disporre con decreto che il socio opponente presti una idonea garanzia per l'eventuale risarcimento dei danni.
Tutte le impugnazioni relative alla medesima deliberazione devono essere istruite congiuntamente e decise con unica sentenza. La trattazione della causa ha inizio trascorso il termine stabilito nel secondo comma dell'articolo precedente.
Il presidente del tribunale o il giudice istruttore, sentiti gli amministratori e i sindaci, può sospendere, se ricorrono gravi motivi, su richiesta del socio opponente, l'esecuzione della deliberazione impugnata, con decreto motivato da notificarsi agli amministratori.
I dispositivi del decreto di sospensione e della sentenza che decide sull'impugnazione devono essere iscritti, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese.
Art. 2379.
(Deliberazioni nulle per impossibilità o illiceità dell'oggetto).
Alle deliberazioni nulle per impossibilità o illiceità dell'oggetto si applicano le disposizioni degli articoli 1421, 1422 e 1423.
§ 2. -
Degli amministratori.
Art. 2380.
(Amministrazione della società).
L'amministrazione della società può essere affidata anche a non soci.
Quando l'amministrazione è affidata a più persone, queste costituiscono il consiglio di amministrazione.
Se l'atto costitutivo non stabilisce il numero degli amministratori, ma ne indica solamente un numero massimo e minimo, la determinazione spetta all'assemblea.
Il consiglio di amministrazione sceglie tra i suoi membri il presidente, se questi non è nominato dall'assemblea.
Art. 2381.
(Comitato esecutivo e amministratori delegati).
Il consiglio di amministrazione, se l'atto costitutivo o l'assemblea lo consentono, può delegare le proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto di alcuni dei suoi membri, o ad uno o più dei suoi membri, determinando i limiti della delega. Non possono essere delegate le attribuzioni indicate negli articoli 2423, 2443, 2446 e 2447.
Art. 2382.
(Cause d'ineleggibilità e di decadenza).
Non può essere nominato amministratore, e se nominato decade dal suo ufficio, l'interdetto, l'inabilitato, il fallito, o chi è stato condannato ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi.
Art. 2383.
(Nomina e revoca degli amministratori).
La nomina degli amministratori spetta all'assemblea, fatta eccezione per i primi amministratori, che sono nominati nell'atto costitutivo, e salvo il disposto degli articoli 2458 e 2459.
La nomina degli amministratori non può essere fatta per un periodo superiore a tre anni.
Gli amministratori sono rieleggibili, salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, e sono revocabili dall'assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell'atto costitutivo, salvo il diritto dell'amministratore al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa.
Entro quindici giorni dalla notizia della loro nomina gli amministratori devono chiedere l'iscrizione nel registro delle imprese, indicando per ciascuno di essi il cognome e il nome, il nome del padre, il domicilio, la cittadinanza e la razza.
Art. 2384.
(Poteri di rappresentanza).
Agli amministratori che hanno la rappresentanza della società si applicano le disposizioni dell'art. 2298.
Art. 2385.
(Cessazione degli amministratori).
L'amministratore che rinunzia all'ufficio deve darne comunicazione scritta al consiglio di amministrazione e al presidente del collegio sindacale. La rinunzia ha effetto immediato, se rimane in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione, o, in caso contrario, dal momento in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito all'accettazione dei nuovi amministratori.
La cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito.
La cessazione degli amministratori dall'ufficio per qualsiasi causa deve essere iscritta entro quindici giorni nel registro delle imprese a cura del collegio sindacale.
Art. 2386.
(Sostituzione degli amministratori).
Se nel corso dell'esercizio vengono a mancare uno o più amministratori, gli altri provvedono a sostituirli con deliberazione approvata dal collegio sindacale. Gli amministratori così nominati restano in carica fino alla prossima assemblea.
Se viene meno la maggioranza degli amministratori, quelli rimasti in carica devono convocare l'assemblea perchè provveda alla sostituzione dei mancanti.
Gli amministratori nominati dall'assemblea scadono insieme con quelli in carica all'atto della loro nomina.
Se vengono a cessare l'amministratore unico o tutti gli amministratori, l'assemblea per la sostituzione dei mancanti deve essere convocata d'urgenza dal collegio sindacale, il quale può compiere nel frattempo gli atti di ordinaria amministrazione.
Art. 2387.
(Cauzione degli amministratori).
L'amministratore deve prestare cauzione in azioni nominative della società o in titoli nominativi emessi o garantiti dallo Stato, in misura non inferiore alla cinquantesima parte del capitale sociale. Può tuttavia stabilirsi nell'atto costitutivo che la cauzione non ecceda la somma di duecentomila lire al valore nominale delle azioni o dei titoli.
Gli amministratori che non prestano cauzione entro trenta giorni dalla notizia della nomina decadono dall'ufficio.
Il vincolo cauzionale deve essere iscritto sul titolo e nel registro dell'emittente, e non può essere tolto finchè l'assemblea non abbia approvato il bilancio dell'ultimo esercizio in cui l'amministratore ha tenuto l'ufficio.
Art. 2388.
(Validità delle deliberazioni del consiglio).
Per la validità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione è necessaria la presenza della maggioranza degli amministratori in carica, quando l'atto costitutivo non richiede un maggior numero di presenti.
Le deliberazioni del consiglio di amministrazione sono prese a maggioranza assoluta, salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo.
Il voto non può essere dato per rappresentanza.
Art. 2389.
(Compensi degli amministratori).
I compensi e le partecipazioni agli utili spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti nell'atto costitutivo o dall'assemblea.
La rimunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dell'atto costitutivo è stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale.
Art. 2390.
(Divieto di concorrenza).
Gli amministratori non possono assumere la qualità di soci illimitatamente responsabili in società concorrenti, nè esercitare un'attività concorrente per conto proprio o di terzi, salvo autorizzazione dell'assemblea.
Per l'inosservanza di tale divieto l'amministratore può essere revocato dall'ufficio e risponde dei danni.
Art. 2391.
(Conflitto d'interessi).
L'amministratore, che in una determinata operazione ha, per conto proprio o di terzi, interesse in conflitto con quello della società, deve darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale, e deve astenersi dal partecipare alle deliberazioni riguardanti l'operazione stessa.
In caso d'inosservanza, l'amministratore risponde delle perdite che siano derivate alla società dal compimento dell'operazione.
La deliberazione del consiglio, qualora possa recare danno alla società, può, entro tre mesi dalla sua data, essere impugnata dagli amministratori assenti o dissenzienti e dai sindaci se, senza il voto dell'amministratore che doveva astenersi, non si sarebbe raggiunta la maggioranza richiesta. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione.
Art. 2392.
(Responsabilità verso la società).
Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo con la diligenza del mandatario, e sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di uno o più amministratori.
In ogni caso gli amministratori sono solidalmente responsabili se non hanno vigilato sul generale andamento della gestione o se, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale.
Art. 2393.
(Azione sociale di responsabilità).
L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa in seguito a deliberazione dell'assemblea, anche se la società è in liquidazione.
La deliberazione concernente la responsabilità degli amministratori può essere presa in occasione della discussione del bilancio, anche se non è indicata nell'elenco delle materie da trattare.
La deliberazione dell'azione di responsabilità importa la revoca dall'ufficio degli amministratori contro cui è proposta, purchè sia presa col voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. In questo caso l'assemblea stessa provvede alla loro sostituzione.
La società può rinunziare all'esercizio dell'azione di responsabilità e può transigere, purchè la rinunzia e la transazione siano approvate con espressa deliberazione dell'assemblea, e purchè non vi sia il voto contrario di una minoranza di soci che rappresenti almeno il quinto del capitale sociale.
Art. 2394.
(Responsabilità verso i creditori sociali).
Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale.
L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.
In caso di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa della società, l'azione spetta al curatore del fallimento o al commissario liquidatore.
La rinunzia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l'azione revocatoria, quando ne ricorrono gli estremi.
Art. 2395.
(Azione individuale del socio e del terzo).
Le disposizioni dei precedenti articoli non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori.
Art. 2396.
(Direttori generali).
Le disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori si applicano anche ai direttori nominati dall'assemblea o per disposizione dell'atto costitutivo, in relazione ai compiti loro affidati.
§ 3. -
Del collegio sindacale.
Art. 2397.
(Composizione del collegio).
Il collegio sindacale si compone di tre o cinque membri effettivi, soci o non soci. Devono inoltre essere nominati due sindaci supplenti.
Le società per azioni che hanno un capitale non inferiore a cinque milioni di lire devono scegliere tra gli iscritti nel ruolo dei revisori ufficiali dei conti almeno uno dei sindaci effettivi, se questi sono in numero di tre, e non meno di due, se i sindaci effettivi sono cinque, e in entrambi i casi uno dei sindaci supplenti.
Le altre società per azioni devono scegliere almeno uno dei sindaci effettivi e uno dei sindaci supplenti negli albi professionali determinati dalla legge.
Art. 2398.
(Presidenza del collegio).
La presidenza del collegio sindacale spetta al sindaco scelto nel ruolo dei revisori ufficiali dei conti. Se fanno parte del collegio più revisori ufficiali dei conti, l'assemblea deve eleggere tra essi il presidente del collegio. Se nessuno dei sindaci è iscritto nel ruolo dei revisori ufficiali dei conti, l'assemblea deve nominare il presidente fra i membri del collegio.
Art. 2399.
(Cause d'ineleggibilità e di decadenza).
Non possono essere eletti alla carica di sindaco e, se eletti, decadono dall'ufficio coloro che si trovano nelle condizioni previste dall'art. 2382, i parenti e gli affini degli amministratori entro il quarto grado, e coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate da un rapporto continuativo di prestazione d'opera retribuita.
Per i sindaci scelti nel ruolo dei revisori ufficiali dei conti o negli albi professionali determinati dalla legge la cancellazione o la sospensione dal ruolo o dall'albo è causa di decadenza dall'ufficio di sindaco.
Art. 2400.
(Nomina e cessazione dall'ufficio).
I sindaci sono nominati per la prima volta nell'atto costitutivo e successivamente dall'assemblea, salvo il disposto degli articoli 2458 e 2459. Essi restano in carica per un triennio, e non possono essere revocati se non per giusta causa.
La deliberazione di revoca deve essere approvata con decreto dal tribunale, sentito l'interessato.
La nomina dei sindaci e la cessazione dall'ufficio devono essere iscritte, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese nel termine di quindici giorni.
Art. 2401.
(Sostituzione).
In caso di morte, di rinunzia o di decadenza di un sindaco scelto nel ruolo dei revisori ufficiali dei conti o negli albi professionali a norma del secondo e del terzo comma dell'art. 2397, subentra il supplente iscritto nel ruolo o negli albi suddetti. Se si tratta di altro sindaco, subentrano i supplenti in ordine di età. I nuovi sindaci restano in carica fino alla prossima assemblea, la quale deve provvedere alla nomina dei sindaci effettivi e supplenti necessari per l'integrazione del collegio. I nuovi nominati scadono insieme con quelli in carica.
Se con i sindaci supplenti non si completa il collegio sindacale, deve essere convocata l'assemblea perchè provveda all'integrazione del collegio medesimo.
Art. 2402.
(Retribuzione).
La retribuzione annuale dei sindaci, se non è stabilita nell'atto costitutivo, deve essere determinata dall'assemblea all'atto della nomina per l'intero periodo di durata del loro ufficio.
Art. 2403.
(Doveri del collegio sindacale).
Il collegio sindacale deve controllare l'amministrazione della società, vigilare sull'osservanza della legge e dell'atto costitutivo ed accertare la regolare tenuta della contabilità sociale, la corrispondenza del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite alle risultanze dei libri e delle scritture contabili, e l'osservanza delle norme stabilite dall'art. 2425 per la valutazione del patrimonio sociale.
Il collegio sindacale deve altresì accertare almeno ogni trimestre la consistenza di cassa e l'esistenza dei valori e dei titoli di proprietà sociale o ricevuti dalla società in pegno, cauzione o custodia.
I sindaci possono in qualsiasi momento procedere, anche individualmente, ad atti d'ispezione e di controllo.
Il collegio sindacale può chiedere agli amministratori notizie sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari.
Degli accertamenti eseguiti deve farsi constare nel libro indicato nel n. 5 dell'art. 2421.
Art. 2404.
(Riunioni e deliberazioni del collegio).
Il collegio sindacale deve riunirsi almeno ogni trimestre.
Il sindaco che, senza giustificato motivo, non partecipa durante un esercizio sociale a due riunioni del collegio decade dall'ufficio.
Delle riunioni del collegio deve redigersi processo verbale, che viene trascritto nel libro previsto dal n. 5 dell'art. 2421 e sottoscritto dagli intervenuti.
Le deliberazioni del collegio sindacale devono essere prese a maggioranza assoluta. Il sindaco dissenziente ha diritto di fare iscrivere a verbale i motivi del proprio dissenso.
Art. 2405.
(Intervento alle adunanze del consiglio di amministrazione e alle assemblee).
I sindaci devono assistere alle adunanze del consiglio di amministrazione ed alle assemblee e possono assistere alle riunioni del comitato esecutivo.
I sindaci, che non assistono senza giustificato motivo alle assemblee o, durante un esercizio sociale, a due adunanze del consiglio d'amministrazione, decadono dall'ufficio.
Art. 2406.
(Omissioni degli amministratori).
Il collegio sindacale deve convocare l'assemblea ed eseguire le pubblicazioni prescritte dalla legge in caso di omissione da parte degli amministratori.
Art. 2407.
(Responsabilità).
I sindaci devono adempiere i loro doveri con la diligenza del mandatario, sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.
Essi sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.
L'azione di responsabilità contro i sindaci è regolata dalle disposizioni degli articoli 2393 e 2394.
Art. 2408.
(Denunzia al collegio sindacale).
Ogni socio può denunziare i fatti che ritiene censurabili al collegio sindacale, il quale deve tener conto della denunzia nella relazione all'assemblea.
Se la denunzia è fatta da tanti soci che rappresentino un ventesimo del capitale sociale, il collegio sindacale deve indagare senza ritardo sui fatti denunziati e presentare le sue conclusioni ed eventuali proposte all'assemblea, convocando immediatamente la medesima se la denunzia appare fondata e vi è urgente necessità di provvedere.
Art. 2409.
(Denunzia al tribunale).
Se vi è fondato sospetto di gravi irregolarità nell'adempimento dei doveri degli amministratori e dei sindaci, i soci che rappresentano il decimo del capitale sociale possono denunziare i fatti al tribunale.
Il tribunale, sentiti in camera di consiglio gli amministratori e i sindaci, può ordinare l'ispezione dell'amministrazione della società a spese dei soci richiedenti, subordinandola, se del caso, alla prestazione di una cauzione.
Se le irregolarità denunziate sussistono, il tribunale può disporre gli opportuni provvedimenti cautelari e convocare l'assemblea per le conseguenti deliberazioni. Nei casi più gravi può revocare gli amministratori ed i sindaci e nominare un amministratore giudiziario, determinandone i poteri e la durata.
L'amministratore giudiziario può proporre l'azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci.
Prima della scadenza del suo incarico l'amministratore giudiziario convoca e presiede l'assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e sindaci o per proporre, se del caso, la messa in liquidazione della società.
I provvedimenti previsti da questo articolo possono essere adottati anche su richiesta del pubblico ministero, e in questo caso le spese per l'ispezione sono a carico della società.
Sezione VII. -
Delle obbligazioni.
Art. 2410.
(Limiti all'emissione di obbligazioni).
La società può emettere obbligazioni al portatore o nominative per somma non eccedente il capitale versato ed esistente secondo l'ultimo bilancio approvato.
Tale somma può essere superata: 1) quando le obbligazioni sono garantite da ipoteca su immobili di proprietà sociale, sino a due terzi del valore di questi; 2) quando l'eccedenza dell'importo delle obbligazioni rispetto al capitale versato è garantita da titoli nominativi emessi o garantiti dallo Stato, aventi scadenza non anteriore a quella delle obbligazioni, ovvero da equivalente credito di annualità o sovvenzioni a carico dello Stato o di enti pubblici. I titoli devono rimanere depositati e le annualità o sovvenzioni devono essere vincolate presso un istituto di credito, per la parte necessaria a garantire il pagamento degli interessi e l'ammortamento delle relative obbligazioni, fino all'estinzione delle obbligazioni emesse.
Quando ricorrono particolari ragioni che interessano l'economia nazionale, la società può essere autorizzata, con provvedimento dell'autorità governativa, ad emettere obbligazioni, anche senza le garanzie previste nel presente articolo, con l'osservanza dei limiti, delle modalità e delle cautele stabilite nel provvedimento stesso.
Restano salve le disposizioni di leggi speciali relative a particolari categorie di società.
Art. 2411.
(Deposito e iscrizione della deliberazione).
La deliberazione dell'assemblea deve essere, a cura del notaio o degli amministratori, depositata entro trenta giorni presso l'ufficio del registro delle imprese. Alla deliberazione devono essere allegate le eventuali autorizzazioni richieste.
Il tribunale, verificato l'adempimento delle condizioni richieste dalla legge e sentito il pubblico ministero, ordina l'iscrizione nel registro delle imprese.
Il decreto del tribunale è soggetto a reclamo davanti alla corte di appello entro trenta giorni dalla comunicazione.
La deliberazione non può essere eseguita se non dopo l'iscrizione.
Art. 2412.
(Riduzione del capitale).
La società che ha emesso obbligazioni non può ridurre il capitale sociale, se non in proporzione delle obbligazioni rimborsate. Se la riduzione del capitale sociale deve essere deliberata in conseguenza di perdite, la misura della riserva legale deve continuare a calcolarsi sulla base del capitale sociale esistente al tempo dell'emissione, fino a che l'ammontare del capitale sociale e della riserva legale non eguagli l'ammontare delle obbligazioni in circolazione.
Art. 2413.
(Contenuto delle obbligazioni).
Le obbligazioni devono indicare: 1) la denominazione, l'oggetto e la sede della società, con l'indicazione dell'ufficio del registro delle imprese presso il quale la società è iscritta; 2) il capitale sociale versato ed esistente al momento dell'emissione; 3) la data della deliberazione dell'assemblea e della sua iscrizione nel registro; 4) l'ammontare complessivo delle obbligazioni emesse, il valore nominale di ciascuna, il saggio degli interessi e il modo di pagamento e di rimborso; 5) le garanzie da cui sono assistite.
Art. 2414.
(Costituzione delle garanzie).
L'assemblea che delibera l'emissione di obbligazioni con le garanzie previste nell'art. 2410 deve designare un notaio che, per conto degli obbligazionisti, compia le formalità necessarie per la costituzione delle garanzie medesime.
Art. 2415.
(Assemblea degli obbligazionisti).
L'assemblea degli obbligazionisti delibera: 1) sulla nomina e sulla revoca del rappresentante comune; 2) sulle modificazioni delle condizioni del prestito; 3) sulla proposta di amministrazione controllata e di concordato; 4) sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi e sul rendiconto relativo; 5) sugli altri oggetti d'interesse comune degli obbligazionisti.
L'assemblea è convocata dagli amministratori o dal rappresentante degli obbligazionisti, quando lo ritengono necessario, o quando ne è fatta richiesta da tanti obbligazionisti che rappresentino il ventesimo dei titoli emessi e non estinti.
Si applicano all'assemblea degli obbligazionisti le disposizioni relative all'assemblea straordinaria dei soci. Per la validità delle deliberazioni sull'oggetto indicato nel n. 2 di questo articolo è necessario anche in seconda convocazione il voto favorevole degli obbligazionisti che rappresentino la metà delle obbligazioni emesse e non estinte.
La società, per le obbligazioni da essa eventualmente possedute, non può partecipare alle deliberazioni.
All'assemblea degli obbligazionisti possono assistere gli amministratori ed i sindaci.
Art. 2416.
(Impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea).
Le deliberazioni prese dall'assemblea vincolano anche gli obbligazionisti assenti o dissenzienti.
Ciascun obbligazionista può impugnare le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge, a norma degli articoli 2377 e 2378.
L'impugnazione è proposta innanzi al tribunale, nella cui giurisdizione la società ha sede, in contraddittorio del rappresentante degli obbligazionisti.
Art. 2417.
(Rappresentante comune).
Il rappresentante comune può essere scelto al di fuori degli obbligazionisti. Se non è nominato dall'assemblea a norma dell'art. 2415, è nominato con decreto dal presidente del tribunale su domanda di uno o più obbligazionisti o degli amministratori della società. Non possono essere nominati rappresentanti comuni degli obbligazionisti e, se nominati, decadono dall'ufficio, gli amministratori, i sindaci, i dipendenti della società debitrice e coloro che si trovano nelle condizioni indicate nell'art. 2399.
Il rappresentante comune dura in carica per un periodo non superiore ad un triennio e può essere rieletto. L'assemblea degli obbligazionisti ne fissa il compenso. Entro quindici giorni dalla notizia della sua nomina il rappresentante comune deve richiederne l'iscrizione nel registro delle imprese.
Art. 2418.
(Obblighi e poteri del rappresentante comune).
Il rappresentante comune deve provvedere all'esecuzione delle deliberazioni dell'assemblea degli obbligazionisti, tutelare gli interessi comuni di questi nei rapporti con la società e assistere alle operazioni di sorteggio delle obbligazioni. Egli ha diritto di assistere all'assemblea dei soci.
Per la tutela degli interessi comuni ha la rappresentanza processuale degli obbligazionisti anche nell'amministrazione controllata, nel concordato preventivo, nel fallimento e nella liquidazione coatta amministrativa della società debitrice.
Art. 2419.
(Azione individuale degli obbligazionisti).
Le disposizioni degli articoli precedenti non precludono le azioni individuali degli obbligazionisti, salvo che queste siano incompatibili con le deliberazioni dell'assemblea previste dall'art. 2415.
Art. 2420.
(Sorteggio delle obbligazioni).
Le operazioni per l'estrazione a sorte delle obbligazioni devono farsi, a pena di nullità, alla presenza del rappresentante comune o, in mancanza, di un notaio.
Sezione VIII. -
Dei libri sociali.
Art. 2421.
(Libri sociali obbligatori).
Oltre i libri e le altre scritture contabili prescritti nell'art. 2214, la società deve tenere: 1) il libro dei soci, nel quale devono essere indicati il numero delle azioni, il cognome e il nome dei titolari delle azioni nominative, i trasferimenti e i vincoli ad esse relativi e i versamenti eseguiti; 2) il libro delle obbligazioni, il quale deve indicare l'ammontare delle obbligazioni emesse e di quelle estinte, il cognome e il nome dei titolari delle obbligazioni nominative e i trasferimenti e i vincoli ad esse relativi; 3) il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, in cui devono essere trascritti anche i verbali redatti per atto pubblico; 4) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione; 5) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale; 6) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del comitato esecutivo, se questo esiste; 7) il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee degli obbligazionisti, se sono state emesse obbligazioni.
I libri indicati nei numeri 1, 2, 3 e 4 sono tenuti a cura degli amministratori, il libro indicato nel n. 5 a cura del collegio sindacale, il libro indicato nel n. 6 a cura del comitato esecutivo e il libro indicato nel n. 7 a cura del rappresentante comune degli obbligazionisti.
I libri suddetti, prima che siano messi in uso, devono essere numerati progressivamente in ogni pagina, bollati in ogni foglio e annualmente vidimati a norma degli articoli 2215 e 2216.
Art. 2422.
(Diritto d'ispezione dei libri sociali).
I soci hanno diritto di esaminare i libri indicati nei numeri 1 e 3 dell'articolo precedente e di ottenerne estratti a proprie spese.
Eguale diritto spetta al rappresentante comune degli obbligazionisti per i libri indicati nei numeri 2 e 3 dell'articolo precedente, e ai singoli obbligazionisti per il libro indicato nel n. 7 dell'articolo medesimo.
Sezione IX. -
Del bilancio.
Art. 2423.
(Redazione del bilancio).
Gli amministratori devono redigere il bilancio di esercizio, con il conto dei profitti e delle perdite.
Dal bilancio e dal conto dei profitti e delle perdite devono risultare con chiarezza e precisione la situazione patrimoniale della società e gli utili conseguiti o le perdite sofferte.
Il bilancio deve essere corredato da una relazione degli amministratori sull'andamento della gestione sociale.
Art. 2424.
(Contenuto del bilancio).
Salve le disposizioni delle leggi speciali per le società che esercitano particolari attività, il bilancio deve indicare distintamente nel loro importo complessivo: nell'attivo: 1) i crediti verso i soci per versamenti ancora dovuti; 2) gli immobili; 3) gli impianti e il macchinario; 4) i diritti di brevetto industriale e i diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno; 5) le concessioni, i marchi di fabbrica e l'avviamento; 6) i mobili; 7) le scorte di materie prime e le merci; 8) il danaro e i valori esistenti in cassa; 9) i titoli di credito a reddito fisso; 10) le partecipazioni, indicando distintamente le azioni proprie acquistate a norma dell'art. 2357; 11) i crediti verso la clientela; 12) i crediti verso banche; 13) i crediti verso società collegate; 14) gli altri crediti; nel passivo: 1) il capitale sociale al suo valore nominale, distinguendo l'importo delle azioni ordinarie da quello delle altre categorie di azioni; 2) la riserva legale; 3) le riserve statutarie e facoltative; 4) i fondi di ammortamento, di rinnovamento e di copertura contro il rischio di svalutazione dei beni; 5) i fondi accantonati per indennità di anzianità o di quiescenza del personale dipendente; 6) i debiti con garanzia reale; 7) i debiti verso fornitori; 8) i debiti verso banche ed altri sovventori; 9) i debiti verso società collegate; 10) le obbligazioni emesse e non ancora estinte; 11) gli altri debiti della società; nell'attivo e nel passivo: 1) le cauzioni degli amministratori e dei dipendenti; 2) le altre partite di giro e i conti d'ordine.
Le obbligazioni di garanzia debbono essere iscritte in bilancio, anche quando sussistono corrispondenti crediti di regresso.
Sono vietati i compensi di partite.
Art. 2425.
(Criteri di valutazione).
Nella valutazione degli elementi dell'attivo devono essere osservati i seguenti criteri: 1) gli immobili, gli impianti, il macchinario e i mobili non possono essere iscritti per un valore superiore al prezzo di costo, e la valutazione deve essere in ogni esercizio ridotta in proporzione del loro deperimento e del consumo per la quota corrispondente all'esercizio stesso, mediante l'iscrizione al passivo di un fondo di ammortamento; 2) le materie prime e le merci non possono essere iscritte per un valore superiore al minor prezzo tra quello di acquisto o di costo e quello desunto dall'andamento del mercato alla chiusura dell'esercizio; 3) i diritti di brevetto industriale, i diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno, i diritti di concessione e i marchi di fabbrica non possono essere iscritti per un valore superiore al prezzo di acquisto o di costo, e questo prezzo deve essere in ogni esercizio ridotto in proporzione della loro durata o della perdita o della diminuzione della loro utilizzazione; 4) il valore delle azioni e dei titoli a reddito fisso deve essere determinato dagli amministratori, secondo il loro prudente apprezzamento, tenendo presente, per i titoli quotati in borsa, l'andamento delle quotazioni. I criteri seguiti in tale determinazione devono essere comunicati al collegio sindacale, che deve tenerne conto nella relazione all'assemblea; 5) le partecipazioni non azionarie devono essere valutate per un importo non superiore a quello risultante dall'ultimo bilancio delle imprese alle quali si riferiscono; 6) i crediti devono essere valutati secondo il presumibile valore di realizzazione; 7) l'eventuale differenza in più tra le somme dovute alla scadenza delle obbligazioni emesse e quelle ricavate al momento dell'emissione può essere iscritta in una apposita posta dell'attivo. In tal caso deve essere in ogni esercizio ammortizzata una parte della differenza, in conformità dei piani di ammortamento.
Le svalutazioni degli elementi dell'attivo possono risultare da partite iscritte nel passivo, separatamente per le singole poste dell'attivo.
Se speciali ragioni richiedono una deroga alle norme di questo articolo, gli amministratori e il collegio sindacale devono indicare e giustificare le singole deroghe nelle loro relazioni all'assemblea.
Art. 2426.
(Partite relative a più esercizi).
Le spese d'impianto e di ampliamento, che non trovano contropartita nella parte attiva indicata nell'art. 2427, possono estinguersi, con il consenso del collegio sindacale, mediante ammortamenti annuali entro un periodo non superiore a cinque anni.
Salve le disposizioni delle leggi speciali, i criteri per l'iscrizione nel bilancio dei ratei attivi e passivi e dei risconti contabili attivi e passivi devono essere concordati con il collegio sindacale, il quale ne deve dare notizia nella sua relazione all'assemblea.
Art. 2427.
(Valore di avviamento).
L'avviamento può essere iscritto nell'attivo del bilancio soltanto quando è stata pagata una somma a tale titolo nell'acquisto dell'azienda alla quale si riferisce, e per un importo non superiore al prezzo pagato.
Il valore di avviamento deve essere ammortizzato nei successivi esercizi, secondo il prudente apprezzamento degli amministratori e dei sindaci.
Art. 2428.
(Riserva legale).
Dagli utili netti annuali deve essere dedotta una somma corrispondente almeno alla ventesima parte di essi per costituire un fondo di riserva, fino a che questo non abbia raggiunto il quinto del capitale sociale.
Il fondo di riserva, se viene diminuito per qualsiasi ragione, deve essere reintegrato a norma del comma precedente.
Sono salve le disposizioni delle leggi speciali.
Art. 2429.
(Fondi di anzianità e di quiescenza).
I fondi per indennità di anzianità o di quiescenza dei dipendenti devono essere accantonati gradualmente in misura adeguata, stabilita dagli amministratori, quando la società non ha provveduto alla costituzione di casse di previdenza o ad altre forme assicurative.
Sono salve le disposizioni delle leggi speciali.
Art. 2430.
(Sopraprezzo delle azioni).
Le somme percepite dalla società per l'emissione di azioni ad un prezzo superiore al loro valore nominale non possono essere distribuite fino a che la riserva legale non abbia raggiunto il limite stabilito dall'art. 2428.
Art. 2431.
(Partecipazioni agli utili).
Le partecipazioni agli utili eventualmente spettanti ai promotori, ai soci fondatori e agli amministratori sono computate sugli utili netti risultanti dal bilancio, fatta deduzione delle quote di riserva legale.
Art. 2432.
(Relazione dei sindaci e deposito del bilancio).
Il bilancio deve essere comunicato dagli amministratori al collegio sindacale, con la relazione e i documenti giustificativi, almeno trenta giorni prima di quello fissato per l'assemblea che deve discuterlo.
Il collegio sindacale deve riferire all'assemblea sui risultati dell'esercizio sociale e sulla tenuta della contabilità, e fare le osservazioni e le proposte in ordine al bilancio ed alla sua approvazione.
Il bilancio deve restare depositato in copia, insieme con le relazioni degli amministratori e dei sindaci, nella sede della società durante i quindici giorni che precedono l'assemblea, e finchè sia approvato. I soci possono prenderne visione.
Art. 2433.
(Distribuzione degli utili ai soci).
L'assemblea che approva il bilancio delibera sulla distribuzione degli utili ai soci.
Non possono essere pagati dividendi sulle azioni, se non per utili realmente conseguiti e risultanti dal bilancio regolarmente approvato.
Se si verifica una perdita del capitale sociale, non può farsi luogo a ripartizione di utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente.
I dividendi erogati in violazione delle disposizioni del presente articolo non sono ripetibili, se i soci li hanno riscossi in buona fede in base a bilancio regolarmente approvato, da cui risultano utili netti corrispondenti.
Art. 2434.
(Azione di responsabilità).
L'approvazione del bilancio da parte dell'assemblea non implica liberazione degli amministratori, dei direttori generali e dei sindaci per le responsabilità incorse nella gestione sociale.
Art. 2435.
(Pubblicazione del bilancio).
Entro trenta giorni dall'approvazione una copia del bilancio, corredata dalle relazioni degli amministratori e del collegio sindacale e dal verbale di approvazione dell'assemblea, deve essere, a cura degli amministratori, depositata presso l'ufficio del registro delle imprese.
Sezione X. -
Delle modificazioni dell'atto costitutivo.
Art. 2436.
(Deposito e iscrizione delle modificazioni).
Le deliberazioni che importano modificazioni dell'atto costitutivo devono essere depositate e iscritte a norma del primo, secondo e terzo comma dell'art. 2411.
Le modificazioni dell'atto costitutivo, fino a che non sono iscritte, non possono essere opposte ai terzi, a meno che si provi che questi ne erano a conoscenza.
Art. 2437.
(Diritto di recesso).
I soci dissenzienti dalle deliberazioni riguardanti il cambiamento dell'oggetto o del tipo della società, o il trasferimento della sede sociale all'estero hanno diritto di recedere dalla società e di ottenere il rimborso delle proprie azioni, secondo il prezzo medio dell'ultimo semestre, se queste sono quotate in borsa, o, in caso contrario, in proporzione del patrimonio sociale risultante dal bilancio dell'ultimo esercizio.
La dichiarazione di recesso deve essere comunicata con raccomandata dai soci intervenuti all'assemblea non oltre tre giorni dalla chiusura di questa, e dai soci non intervenuti non oltre quindici giorni dalla data dell'iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese.
E` nullo ogni patto che esclude il diritto di recesso o ne rende più gravoso l'esercizio.
Art. 2438.
(Aumento di capitale).
Non si possono emettere nuove azioni fino a che quelle emesse non siano interamente liberate.
Art. 2439.
(Sottoscrizione e versamenti).
I sottoscrittori delle azioni di nuova emissione devono, all'atto della sottoscrizione, versare almeno i tre decimi del valore nominale delle azioni sottoscritte.
Se l'aumento di capitale non è integralmente sottoscritto nel termine previsto dalla deliberazione, i sottoscrittori non sono liberati dall'obbligo assunto, a meno che nella deliberazione stessa non sia altrimenti disposto.
Art. 2440.
(Conferimenti in natura).
Se l'aumento di capitale avviene mediante conferimento in natura, si applicano le disposizioni degli articoli 2254 e 2343. Se l'aumento di capitale avviene mediante conferimento di crediti, si applica l'art. 2255.
Art. 2441.
(Diritto di opzione).
Le azioni ordinarie di nuova emissione devono essere offerte in opzione agli azionisti, in proporzione del numero delle azioni da essi possedute, salvo che per deliberazione dell'assemblea debbano essere liberate in tutto o in parte mediante conferimenti in natura.
Per l'esercizio del diritto di opzione deve essere concesso agli azionisti un termine non inferiore a giorni quindici dalla pubblicazione dell'offerta di opzione nella Gazzetta Ufficiale del Regno.
Quando l'interesse della società lo esige, il diritto di opzione può essere escluso o limitato con la deliberazione di aumento di capitale, approvata da tanti soci che rappresentino oltre la metà del capitale sociale, anche se la deliberazione è presa in assemblea di seconda convocazione.
Art. 2442.
(Passaggio di riserve a capitale).
L'assemblea può aumentare il capitale, imputando a capitale la parte disponibile delle riserve e dei fondi speciali iscritti in bilancio.
In questo caso le azioni di nuova emissione devono avere le stesse caratteristiche di quelle in circolazione, e devono essere assegnate gratuitamente agli azionisti in proporzione di quelle da essi già possedute.
L'aumento di capitale può attuarsi anche mediante aumento del valore nominale delle azioni in circolazione.
Art. 2443.
(Delega agli amministratori).
L'atto costitutivo può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare in una o più volte il capitale mediante emissione di azioni ordinarie fino ad un ammontare determinato, per il periodo massimo di un anno dalla data dell'iscrizione della società nel registro delle imprese.
Tale facoltà può essere attribuita anche mediante modificazione dell'atto costitutivo durante la vita della società, per il periodo massimo di un anno dalla data della deliberazione.
La deliberazione degli amministratori di aumentare il capitale deve essere depositata e iscritta a norma dell'art. 2436.
Art. 2444.
(Iscrizione nel registro delle imprese).
Nei trenta giorni dall'avvenuta sottoscrizione delle azioni di nuova emissione gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese un'attestazione che l'aumento del capitale è stato eseguito.
Fino a che l'iscrizione nel registro non sia avvenuta, l'aumento del capitale non può essere menzionato negli atti della società.
Art. 2445.
(Riduzione del capitale esuberante).
La riduzione del capitale, quando questo risulta esuberante per il conseguimento dell'oggetto sociale, può aver luogo sia mediante liberazione dei soci dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti, sia mediante rimborso del capitale ai soci, nei limiti ammessi dagli articoli 2327 e 2412.
La deliberazione può essere eseguita soltanto dopo tre mesi dal giorno dell'iscrizione nel registro delle imprese, purchè entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all'iscrizione abbia fatto opposizione.
Il tribunale, nonostante l'opposizione, può disporre che la riduzione abbia luogo, previa prestazione da parte della società di un'idonea garanzia.
Art. 2446.
(Riduzione del capitale per perdite).
Quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite, gli amministratori devono senza indugio convocare l'assemblea per gli opportuni provvedimenti. All'assemblea deve essere sottoposta una relazione sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale. La relazione degli amministratori con le osservazioni del collegio sindacale deve restare depositata in copia nella sede della società durante gli otto giorni che precedono l'assemblea, perchè i soci possano prenderne visione.
Se entro l'esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo, l'assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. In mancanza gli amministratori e i sindaci devono chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale in ragione delle perdite risultanti dal bilancio. Il tribunale provvede, sentito il pubblico ministero, mediante decreto, che deve essere iscritto nel registro delle imprese a cura degli amministratori. Contro tale decreto è ammesso reclamo alla corte d'appello entro trenta giorni dall'iscrizione.
Art. 2447.
(Riduzione del capitale sociale al disotto del limite legale).
Se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce al disotto del minimo stabilito dall'art. 2327, gli amministratori devono senza indugio convocare l'assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo, o la trasformazione della società.
Sezione XI. -
Dello scioglimento e della liquidazione.
Art. 2448.
(Cause di scioglimento).
La società per azioni si scioglie: 1) per il decorso del termine; 2) per il conseguimento dell'oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo; 3) per l'impossibilità di funzionamento o per la continuata inattività dell'assemblea; 4) per la riduzione del capitale al disotto del minimo legale, salvo quanto è disposto dall'art. 2447; 5) per deliberazione dell'assemblea; 6) per le altre cause previste dall'atto costitutivo.
La società si scioglie inoltre per provvedimento dell'autorità governativa nei casi stabiliti dalla legge, e per la dichiarazione di fallimento se la società ha per oggetto un'attività commerciale. Si osservano in questi casi le disposizioni delle leggi speciali.
Art. 2449.
(Effetti dello scioglimento).
Gli amministratori, quando si è verificato un fatto che determina lo scioglimento della società, non possono intraprendere nuove operazioni. Contravvenendo a questo divieto, essi assumono responsabilità illimitata e solidale per gli affari intrapresi.
Essi devono, nel termine di trenta giorni, convocare l'assemblea per le deliberazioni relative alla liquidazione.
Gli amministratori sono responsabili della conservazione dei beni sociali fino a quando non ne hanno fatto consegna ai liquidatori.
Art. 2450.
(Nomina e revoca dei liquidatori).
La nomina dei liquidatori spetta all'assemblea, salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo.
L'assemblea delibera con le maggioranze prescritte per l'assemblea straordinaria.
Nel caso previsto dal n. 3 dell'art. 2448, o quando la maggioranza prescritta non è raggiunta, la nomina dei liquidatori è fatta con decreto dal presidente del tribunale su istanza dei soci, degli amministratori o dei sindaci.
I liquidatori possono essere revocati dall'assemblea con le maggioranze prescritte per l'assemblea straordinaria o, quando sussiste una giusta causa, dal tribunale su istanza dei soci, dei sindaci o del pubblico ministero.
Le disposizioni del primo, secondo e terzo comma si applicano anche alla sostituzione dei liquidatori.
Art. 2451.
(Organi sociali durante la liquidazione).
Le disposizioni sulle assemblee e sul collegio sindacale si applicano anche durante la liquidazione, in quanto compatibili con questa.
Art. 2452.
(Poteri, obblighi e responsabilità dei liquidatori).
I liquidatori sono soggetti alle disposizioni degli articoli 2276, 2277, 2279, 2280, primo comma, 2309 e 2310.
I poteri dei liquidatori sono regolati dal primo comma dell'art. 2278, salvo che l'assemblea con le maggioranze stabilite per l'assemblea straordinaria non abbia disposto diversamente.
Se i fondi disponibili risultano insufficienti per il pagamento dei debiti sociali, i liquidatori possono chiedere proporzionalmente ai soci i versamenti ancora dovuti sulle rispettive azioni.
Art. 2453.
(Bilancio finale di liquidazione).
Compiuta la liquidazione, i liquidatori devono redigere il bilancio finale, indicando la parte spettante a ciascuna azione nella divisione dell'attivo.
Il bilancio, sottoscritto dai liquidatori e accompagnato dalla relazione dei sindaci, è depositato presso l'ufficio del registro delle imprese.
Nei tre mesi successivi all'iscrizione dell'avvenuto deposito, ogni socio può proporre reclamo davanti al tribunale in contraddittorio dei liquidatori.
I reclami devono essere riuniti e decisi in unico giudizio, nel quale tutti i soci possono intervenire. La trattazione della causa ha inizio quando sia decorso il termine suddetto. La sentenza fa stato anche riguardo ai non intervenuti.
Art. 2454.
(Approvazione tacita del bilancio).
Decorso il termine di tre mesi senza che siano stati proposti reclami, il bilancio s'intende approvato, e i liquidatori, salvi i loro obblighi relativi alla distribuzione dell'attivo risultante dal bilancio, sono liberati di fronte ai soci.
Indipendentemente dalla decorrenza del termine, la quietanza, rilasciata senza riserve all'atto del pagamento dell'ultima quota di riparto, importa approvazione del bilancio.
Art. 2455.
(Deposito delle somme non riscosse).
Le somme spettanti ai soci, non riscosse entro tre mesi dall'iscrizione dell'avvenuto deposito del bilancio a norma dell'art. 2453, devono essere depositate presso un istituto di credito con l'indicazione del cognome e del nome del socio o dei numeri delle azioni, se queste sono al portatore.
Art. 2456.
(Cancellazione della società).
Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese.
Dopo la cancellazione della società i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi.
Art. 2457.
(Deposito dei libri sociali).
Compiuta la liquidazione, la distribuzione dell'attivo o il deposito indicato nell'art. 2455, i libri della società devono essere depositati e conservati per dieci anni presso l'ufficio del registro delle imprese. Chiunque può esaminarli, anticipando le spese.
Sezione XII. -
Delle società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici.
Art. 2458.
(Società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici).
Se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni, l'atto costitutivo può ad essi conferire la facoltà di nominare uno o più amministratori o sindaci.
Gli amministratori e i sindaci nominati a norma del comma precedente possono essere revocati soltanto dagli enti che li hanno nominati.
Essi hanno i diritti e gli obblighi dei membri nominati dall'assemblea.
Art. 2459.
(Amministratori e sindaci nominati dallo Stato o da enti pubblici).
Le disposizioni dell'articolo precedente si applicano anche nel caso in cui la legge o l'atto costitutivo attribuisca allo Stato o a enti pubblici, anche in mancanza di partecipazione azionaria, la nomina di uno o più amministratori o sindaci, salvo che la legge disponga diversamente.
Art. 2460.
(Presidenza del collegio sindacale).
Qualora uno o più sindaci siano nominati dallo Stato, il presidente del collegio sindacale deve essere scelto tra essi.
Sezione XIII. -
Delle società di interesse nazionale.
Art. 2461.
(Norme applicabili).
Le disposizioni di questo capo si applicano anche alle società per azioni d'interesse nazionale, compatibilmente con le disposizioni delle leggi speciali che stabiliscono per tali società una particolare disciplina circa la gestione sociale, la trasferibilità delle azioni, il diritto di voto e la nomina degli amministratori, dei sindaci e dei dirigenti.
Capo VI.
Della società in accomandita per azioni.
Art. 2462.
(Nozione).
Nella società in accomandita per azioni i soci accomandatari rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali, e i soci accomandanti sono obbligati nei limiti della quota di capitale sottoscritta.
Le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni.
Art. 2463.
(Denominazione sociale).
La denominazione della società è costituita dal nome di almeno uno dei soci accomandatari, con l'indicazione di società in accomandita per azioni.
Art. 2464.
(Norme applicabili).
Alla società in accomandita per azioni sono applicabili le norme relative alla società per azioni, in quanto compatibili con le disposizioni seguenti.
Art. 2465.
(Soci accomandatari).
L'atto costitutivo deve indicare i soci accomandatari.
I soci accomandatari sono di diritto amministratori e sono soggetti agli obblighi degli amministratori della società per azioni, escluso quello della cauzione.
Art. 2466.
(Revoca degli amministratori).
La revoca degli amministratori deve essere deliberata con la maggioranza prescritta per le deliberazioni dell'assemblea straordinaria della società per azioni.
Se la revoca avviene senza giusta causa, l'amministratore revocato ha diritto al risarcimento dei danni.
Art. 2467.
(Sostituzione degli amministratori).
L'assemblea con la maggioranza indicata nell'articolo precedente provvede a sostituire l'amministratore che, per qualunque causa, ha cessato dal suo ufficio. Nel caso di pluralità di amministratori, la nomina deve essere approvata dagli amministratori rimasti in carica.
Il nuovo amministratore assume la qualità di socio accomandatario dal momento dell'accettazione della nomina.
Art. 2468.
(Cessazione dell'ufficio di tutti i soci amministratori).
In caso di cessazione dall'ufficio di tutti gli amministratori, la società si scioglie se nel termine di sei mesi non si è provveduto alla loro sostituzione e i sostituti non hanno accettato la carica.
Per questo periodo il collegio sindacale nomina un amministratore provvisorio per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione. L'amministratore provvisorio non assume la qualità di socio accomandatario.
Art. 2469.
(Sindaci e azione di responsabilità).
I soci accomandatari non hanno diritto di voto per le azioni ad essi spettanti nelle deliberazioni dell'assemblea che concernono la nomina e la revoca dei sindaci e l'esercizio dell'azione di responsabilità.
Art. 2470.
(Modificazioni dell'atto costitutivo).
Le modificazioni dell'atto costitutivo devono essere approvate dall'assemblea con le maggioranze prescritte per l'assemblea straordinaria della società per azioni, e devono inoltre essere approvate da tutti i soci accomandatari.
Art. 2471.
(Responsabilità degli accomandatari verso i terzi).
La responsabilità dei soci accomandatari verso i terzi è regolata dall'art. 2304.
Il socio accomandatario che cessa dall'ufficio di amministratore non risponde per le obbligazioni della società sorte posteriormente all'iscrizione nel registro delle imprese della cessazione dall'ufficio.
Capo VII.
Della società a responsabilità limitata.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 2472.
(Nozione).
Nella società a responsabilità limitata per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio.
Le quote di partecipazione dei soci non possono essere rappresentate da azioni.
Art. 2473.
(Denominazione sociale).
La denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve contenere l'indicazione di società a responsabilità limitata.
Art. 2474.
(Capitale sociale).
La società deve costituirsi con un capitale non inferiore a lire cinquantamila.
Le quote di conferimento dei soci possono essere di diverso ammontare, ma in nessun caso inferiori a lire mille.
Se la quota di conferimento è superiore al minimo, deve essere costituita da un ammontare multiplo di lire mille.
Se il valore di un conferimento in natura non raggiunge l'ammontare minimo o un multiplo di questo, la differenza deve essere integrata mediante conferimento in danaro.
Art. 2475.
(Costituzione).
La società deve costituirsi per atto pubblico. L'atto costitutivo deve indicare: 1) il cognome e il nome, il nome del padre, il domicilio, la cittadinanza e la razza di ciascun socio; 2) la denominazione, la sede della società e le eventuali sedi secondarie; 3) l'oggetto sociale; 4) l'ammontare del capitale sottoscritto e versato; 5) la quota di conferimento di ciascun socio e il valore dei beni e dei crediti conferiti; 6) le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti; 7) il numero degli amministratori e i loro poteri, indicando quali tra essi hanno la rappresentanza della società; 8) il numero dei componenti del collegio sindacale nei casi previsti dall'art. 2488; 9) la durata della società.
Si applicano alla società a responsabilità limitata le disposizioni degli articoli 2328, ultimo comma, 2329, 2330, 2331 primo e secondo comma, 2332 e 2341.
Sezione II. -
Dei conferimenti e delle quote.
Art. 2476.
(Conferimenti).
Si applicano ai conferimenti dei soci le disposizioni degli articoli 2342 e 2343.
Art. 2477.
(Mancato pagamento delle quote).
Se il socio non esegue il pagamento della quota nel termine prescritto, gli amministratori possono diffidare il socio moroso ad eseguirlo nel termine di trenta giorni.
Decorso inutilmente questo termine, gli amministratori possono vendere, a rischio e per conto del socio moroso, la sua quota per il valore risultante dall'ultimo bilancio approvato. I soci hanno diritto di preferenza nell'acquisto. In mancanza di offerte per l'acquisto, la quota è venduta all'incanto.
Se la vendita non può aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori possono escludere il socio, trattenendo le somme riscosse, salvo il risarcimento dei maggiori danni. Il capitale deve essere ridotto in misura corrispondente.
Il socio in mora nei versamenti non può esercitare il diritto di voto.
Art. 2478.
(Prestazioni accessorie).
L'atto costitutivo può prevedere l'obbligo dei soci al compimento di prestazioni accessorie. Si applicano in tal caso le disposizioni del primo e del terzo comma dell'art. 2345.
Le quote a cui è connesso l'obbligo delle prestazioni anzidette sono trasferibili soltanto con il consenso degli amministratori.
Art. 2479.
(Trasferimento della quota).
Le quote sono trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell'atto costitutivo.
Il trasferimento delle quote ha effetto di fronte alla società dal momento dell'iscrizione nel libro dei soci.
L'iscrizione del trasferimento può aver luogo su richiesta dell'alienante o dell'acquirente verso esibizione del titolo da cui risulta il trasferimento, ovvero mediante dichiarazione nel libro dei soci sottoscritta dall'alienante e dall'acquirente e controfirmata da un amministratore.
Art. 2480.
(Espropriazione della quota).
La quota può formare oggetto di espropriazione.
L'ordinanza del giudice che dispone la vendita della quota deve essere notificata alla società a cura del creditore.
Se la quota non è liberamente trasferibile e il creditore, il debitore e la società non si accordano sulla vendita della quota stessa, la vendita ha luogo all'incanto; ma la vendita è priva di effetto se, entro dieci giorni dall'aggiudicazione, la società presenta un altro acquirente che offra lo stesso prezzo.
Le disposizioni del comma precedente si applicano anche nel caso di fallimento di un socio.
Art. 2481.
(Responsabilità dell'alienante per i versamenti ancora dovuti).
Nel caso di cessione della quota l'alienante è obbligato solidalmente con l'acquirente, per il periodo di tre anni dal trasferimento, per i versamenti ancora dovuti.
Il pagamento non può essere domandato all'alienante se non quando la richiesta al socio moroso è rimasta infruttuosa.
Art. 2482.
(Divisibilità della quota).
Salvo contraria disposizione dell'atto costitutivo, le quote sono divisibili nel caso di successione a causa di morte o di alienazione, purchè siano osservate le disposizioni del secondo e terzo comma dell'art. 2474.
Se una quota sociale diventa proprietà comune di più persone, si applica l'art. 2347.
Art. 2483.
(Acquisto o pegno di quote da parte della società).
In nessun caso la società può acquistare o ricevere in pegno le proprie quote.
Sezione III. -
Degli organi sociali e dell'amministrazione.
Art. 2484.
(Convocazione dell'assemblea).
Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'assemblea deve essere convocata dagli amministratori con raccomandata spedita ai soci almeno otto giorni prima dell'adunanza nel domicilio risultante dal libro dei soci.
Nella lettera devono essere indicati il giorno, il luogo e l'ora dell'adunanza e l'elenco delle materie da trattare.
Art. 2485.
(Diritto di voto).
Ogni socio ha diritto ad almeno un voto nell'assemblea. Se la quota è multipla di lire mille, il socio ha diritto a un voto per ogni mille lire.
Art. 2486.
(Deliberazioni dell'assemblea).
Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'assemblea ordinaria delibera col voto favorevole di tanti soci che rappresentino la maggioranza del capitale sociale, e l'assemblea straordinaria delibera col voto favorevole di tanti soci che rappresentino almeno due terzi del capitale sociale.
Alle assemblee dei soci si applicano le disposizioni degli articoli 2363, 2364, 2365, 2367, 2371, 2372, 2373, 2374, 2375, 2377, 2378 e 2379.
Alla società a responsabilità limitata non è consentita l'emissione di obbligazioni.
Art. 2487.
(Amministrazione).
Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo l'amministrazione della società deve essere affidata a uno o più soci.
Si applicano all'amministrazione della società gli articoli 2381, 2382, 2383, primo, terzo e quarto comma, 2384, 2385, 2386, 2388, 2389, 2390, 2391, 2392, 2393, 2394, 2395, 2396 e 2434.
Art. 2488.
(Collegio sindacale).
La nomina del collegio sindacale è obbligatoria se il capitale non è inferiore ad un milione di lire o se è stabilita nell'atto costitutivo.
In tal caso si applicano le disposizioni degli articoli 2397 e seguenti.
Anche quando manca il collegio sindacale, si applica l'art. 2409.
Art. 2489.
(Controllo individuale del socio).
Nelle società in cui non esiste il collegio sindacale, ciascun socio ha diritto di avere dagli amministratori notizia dello svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri sociali. I soci che rappresentano almeno un terzo del capitale hanno inoltre il diritto di far eseguire annualmente a proprie spese la revisione della gestione.
E` nullo ogni patto contrario.
Art. 2490.
(Libri sociali obbligatori).
Oltre i libri e le altre scritture contabili prescritti nell'art. 2214, la società deve tenere: 1) il libro dei soci, nel quale devono essere indicati il nome dei soci e i versamenti fatti sulle quote, nonchè le variazioni nelle persone dei soci; 2) il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell'assemblea, in cui devono essere trascritti anche i verbali redatti per atto pubblico; 3) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione; 4) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale, se questo esiste.
I primi tre libri devono essere tenuti a cura degli amministratori e il quarto a cura dei sindaci.
Ai soci spetta il diritto di esaminare i libri indicati nei numeri 1 e 2, e di ottenerne estratti a proprie spese.
Art. 2491.
(Bilancio).
Il bilancio deve essere redatto con l'osservanza delle disposizioni degli articoli 2423 a 2431.
Gli amministratori devono depositare copia del bilancio nella sede sociale, con il conto dei profitti e delle perdite e con la loro relazione, almeno quindici giorni prima dell'assemblea.
Se esiste il collegio sindacale, si applica l'art. 2432.
Art. 2492.
(Ripartizione degli utili).
Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, la ripartizione degli utili ai soci è fatta in proporzione delle rispettive quote di conferimento.
Si applicano inoltre le disposizioni dell'art. 2433.
Art. 2493.
(Pubblicazione del bilancio).
Il bilancio approvato dall'assemblea deve essere depositato presso l'ufficio del registro delle imprese a norma dell'art. 2435.
Sezione IV. -
Delle modificazioni dell'atto costitutivo e dello scioglimento.
Art. 2494.
(Modificazioni dell'atto costitutivo).
Alle modificazioni dell'atto costitutivo si applicano le disposizioni degli articoli 2436 e 2437.
Art. 2495.
(Aumento del capitale).
In caso di aumento del capitale si applicano in ordine alle quote le disposizioni degli articoli 2438, 2439, 2440, 2441, primo comma e 2474, ultimo comma.
Art. 2496.
(Riduzione del capitale).
La riduzione del capitale ha luogo nei casi e nei modi prescritti per le società per azioni.
Il limite minimo del capitale, agli effetti degli articoli 2445 e 2447, è quello indicato nell'art. 2474.
In caso di riduzione del capitale per perdite, i soci conservano i diritti sociali secondo il valore originario delle rispettive quote.
Art. 2497.
(Scioglimento e liquidazione).
Allo scioglimento e alla liquidazione della società si applicano le disposizioni degli articoli 2448 a 2457. La maggioranza necessaria per la nomina e la revoca dei liquidatori è quella richiesta dall'art. 2486 per l'assemblea straordinaria.
In caso d'insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le quote risultano essere appartenute a una sola persona, questa risponde illimitatamente.
Capo VIII.
Della trasformazione e della fusione delle società.
Sezione I. -
Della trasformazione delle società.
Art. 2498.
(Trasformazione in società aventi personalità giuridica).
La deliberazione di trasformazione di una società in nome collettivo o in accomandita semplice in società per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata deve risultare da atto pubblico e contenere le indicazioni prescritte dalla legge per l'atto costitutivo del tipo di società adottato.
Essa deve essere accompagnata da una relazione di stima del patrimonio sociale a norma dell'art. 2343 e deve essere iscritta nel registro delle imprese con le forme prescritte per l'atto costitutivo del tipo di società adottato.
La società acquista personalità giuridica con l'iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese e conserva i diritti e gli obblighi anteriori alla trasformazione.
Art. 2499.
(Responsabilità dei soci).
La trasformazione di una società non libera i soci a responsabilità illimitata dalla responsabilità per le obbligazioni sociali anteriori all'iscrizione della deliberazione di trasformazione nel registro delle imprese, se non risulta che i creditori sociali hanno dato il loro consenso alla trasformazione.
Il consenso si presume se i creditori, ai quali la deliberazione di trasformazione sia stata comunicata per raccomandata, non hanno negato espressamente la loro adesione nel termine di trenta giorni dalla comunicazione.
Art. 2500.
(Assegnazione di azioni e quote).
Nella trasformazione in società per azioni o in accomandita per azioni di una società di altro tipo ciascun socio ha diritto all'assegnazione di un numero di azioni proporzionale al valore della sua quota secondo l'ultimo bilancio approvato.
Nella trasformazione di una società di altro tipo in società a responsabilità limitata l'assegnazione delle quote deve farsi con l'osservanza dell'art. 2474.
Sezione II. -
Della fusione delle società.
Art. 2501.
(Forme di fusione).
La fusione di più società può eseguirsi mediante la costituzione di una società nuova, o mediante l'incorporazione in una società di una o più altre.
Art. 2502.
(Deliberazione di fusione).
La fusione deve essere deliberata da ciascuna delle società che vi partecipano.
La deliberazione di fusione deve essere depositata per l'iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese, insieme con la situazione patrimoniale della società al tempo della deliberazione, a norma del primo, secondo e terzo comma dell'art. 2411.
Art. 2503.
(Opposizione dei creditori).
La fusione può essere attuata solo dopo tre mesi dall'iscrizione delle deliberazioni delle società che vi partecipano, salvo che consti il consenso dei rispettivi creditori, il pagamento dei creditori che non hanno dato il consenso o il deposito delle somme corrispondenti presso un istituto di credito.
Durante il termine suddetto i creditori delle società partecipanti alla fusione possono fare opposizione.
Il tribunale, nonostante l'opposizione, può disporre che la fusione abbia luogo previa prestazione da parte della società di un'idonea garanzia.
Art. 2504.
(Atto di fusione).
Se la società incorporante o la nuova società risultante dalla fusione è una società per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata, la fusione deve essere fatta per atto pubblico.
L'atto di fusione deve essere depositato in ogni caso per l'iscrizione, a cura del notaio o degli amministratori, entro trenta giorni, presso l'ufficio del registro delle imprese del luogo dove è posta la sede della società incorporante o di quella che risulta dalla fusione.
L'atto di fusione deve essere altresì iscritto nel registro delle imprese del luogo dove avevano sede le società estinte per effetto della fusione.
La società incorporante o quella che risulta dalla fusione assume i diritti e gli obblighi delle società estinte.
Capo IX.
Delle società costituite all'estero od operanti all'estero.
Art. 2505.
(Società costituite all'estero con sede nel territorio dello Stato).
Le società costituite all'estero, le quali hanno nel territorio dello Stato la sede dell'amministrazione ovvero l'oggetto principale dell'impresa, sono soggette, anche per i requisiti di validità dell'atto costitutivo, a tutte le disposizioni della legge italiana.
Art. 2506.
(Società estere con sede secondaria nel territorio dello Stato).
Le società costituite all'estero, le quali stabiliscono nel territorio dello Stato una o più sedi secondarie con rappresentanza stabile, sono soggette, per ciascuna sede, alle disposizioni della legge italiana riguardanti il deposito e l'iscrizione dell'atto costitutivo nel registro delle imprese e la pubblicità del bilancio, e devono pubblicare, nei modi stessi, i cognomi e i nomi delle persone che rappresentano stabilmente la società nel territorio dello Stato, e depositare le rispettive firme autografe.
Esse sono altresì soggette, per quanto riguarda le sedi secondarie, alle disposizioni che regolano l'esercizio dell'impresa o che lo subordinano all'osservanza di particolari condizioni.
Art. 2507.
(Società estere di tipo diverso da quelle nazionali).
Le società costituite all'estero, che sono di tipo diverso da quelli regolati in questo codice, sono soggette alle norme della società per azioni, per ciò che riguarda gli obblighi relativi all'iscrizione degli atti sociali nel registro delle imprese e la responsabilità degli amministratori.
Art. 2508.
(Responsabilità in caso d'inosservanza delle formalità).
Fino all'adempimento delle formalità sopra indicate, coloro che agiscono in nome della società rispondono illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali.
Art. 2509.
(Società costituite nel territorio dello Stato con attività all'estero).
Le società che si costituiscono nel territorio dello Stato, anche se l'oggetto della loro attività è all'estero, sono soggette alle disposizioni della legge italiana.
Art. 2510.
(Società con prevalenti interessi stranieri).
Sono salve le disposizioni delle leggi speciali che vietano o sottopongono a particolari condizioni l'esercizio di determinate attività da parte di società nelle quali siano rappresentati interessi stranieri.
Titolo VI.
Delle imprese cooperative e delle mutue assicuratrici
Capo I.
Delle imprese cooperative.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 2511.
(Società cooperative).
Le imprese che hanno scopo mutualistico possono costituirsi come società cooperative a responsabilità illimitata o limitata, secondo le disposizioni seguenti.
Art. 2512.
(Enti mutualistici).
Gli enti mutualistici diversi dalle società sono regolati dalle leggi speciali.
Art. 2513.
(Società cooperative a responsabilità illimitata).
Nelle società cooperative a responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali risponde la società con il suo patrimonio e, in caso di liquidazione coatta amministrativa o di fallimento, rispondono in via sussidiaria i soci solidalmente e illimitatamente a norma dell'art. 2541.
Art. 2514.
(Società cooperative a responsabilità limitata).
Nelle società cooperative a responsabilità limitata per le obbligazioni sociali risponde la società con il suo patrimonio. Le quote di partecipazione possono essere rappresentate da azioni.
L'atto costitutivo può stabilire che in caso di liquidazione coatta amministrativa o di fallimento della società ciascun socio risponda sussidiariamente e solidalmente per una somma multipla della propria quota a norma dell'art. 2541.
Art. 2515.
(Denominazione sociale).
La denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve contenere l'indicazione di società cooperativa a responsabilità illimitata o di società cooperativa a responsabilità limitata.
L'indicazione di cooperativa non può essere usata da società che non hanno scopo mutualistico.
Art. 2516.
(Norme applicabili).
Alle società cooperative si applicano in ogni caso le disposizioni riguardanti i conferimenti e le prestazioni accessorie, le assemblee, gli amministratori, i sindaci, i libri sociali, il bilancio e la liquidazione delle società per azioni, in quanto compatibili con le disposizioni seguenti e con quelle delle leggi speciali.
Art. 2517.
(Leggi speciali).
Le società cooperative che esercitano il credito, le casse rurali ed artigiane, le società cooperative per la costruzione e l'acquisto di case popolari ed economiche e le altre società cooperative regolate dalle leggi speciali sono soggette alle disposizioni del presente titolo, in quanto compatibili con le disposizioni delle leggi speciali.
Sezione II. -
Costituzione.
Art. 2518.
(Atto costitutivo).
La società deve costituirsi per atto pubblico.
L'atto costitutivo deve indicare: 1) il cognome e il nome, il nome del padre, il domicilio, la cittadinanza e la razza dei soci; 2) la denominazione, la sede della società e le eventuali sedi secondarie; 3) l'oggetto sociale; 4) se la società è a responsabilità illimitata o limitata e, in questo caso, se il capitale sociale è ripartito in azioni e l'eventuale responsabilità sussidiaria dei soci; 5) la quota di capitale sottoscritta da ciascun socio, i versamenti eseguiti e, se il capitale è ripartito in azioni, il valore nominale di queste; 6) il valore dei crediti e dei beni conferiti in natura; 7) le condizioni per l'ammissione dei soci e il modo e il tempo in cui devono essere eseguiti i conferimenti; 8) le condizioni per l'eventuale recesso e per l'esclusione dei soci; 9) le norme secondo le quali devono essere ripartiti gli utili, la percentuale massima degli utili ripartibili e la destinazione che deve essere data agli utili residui; 10) le forme di convocazione dell'assemblea, in quanto si deroghi alle disposizioni di legge; 11) il numero degli amministratori e i loro poteri, indicando quali tra essi hanno la rappresentanza sociale; 12) il numero dei componenti il collegio sindacale; 13) la durata della società.
Lo statuto contenente le norme relative al funzionamento della società, anche se forma oggetto di atto separato, si considera parte integrante dell'atto costitutivo e deve essere a questo allegato.
Art. 2519.
(Deposito dell'atto costitutivo e iscrizione della società).
L'atto costitutivo deve essere depositato entro trenta giorni per l'iscrizione nel registro delle imprese, a cura del notaio che lo ha ricevuto o degli amministratori, a norma dell'art. 2330.
Gli effetti dell'iscrizione e della nullità dell'atto costitutivo sono regolati rispettivamente dagli articoli 2331 e 2332.
Art. 2520.
(Variabilità dei soci e del capitale).
La variazione del numero e delle persone dei soci non importa modificazione dell'atto costitutivo.
Il capitale della società, anche se questa è a responsabilità limitata, non è determinato in un ammontare prestabilito.
Ogni trimestre deve essere depositato per l'iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese, a cura degli amministratori, un elenco delle variazioni delle persone dei soci a responsabilità illimitata o di quelli che hanno assunto responsabilità per una somma multipla dell'ammontare della propria quota.
Sezione III. -
Delle quote e delle azioni.
Art. 2521.
(Quote ed azioni).
Nelle società cooperative nessun socio può avere una quota superiore a lire cinquantamila, nè tante azioni il cui valore nominale superi tale somma.
Il valore nominale di ciascuna quota o azione non può essere inferiore a lire cento. Il valore nominale di ciascuna azione non può essere superiore a lire mille.
Alle azioni si applicano le disposizioni degli articoli 2346, 2347, 2348, primo comma, 2349 e 2354. Tuttavia nelle azioni non è indicato l'ammontare del capitale, nè quello dei versamenti parziali sulle azioni non completamente liberate.
Art. 2522.
(Acquisto delle proprie quote o azioni).
L'atto costitutivo può autorizzare gli amministratori ad acquistare o rimborsare quote o azioni della società, purchè l'acquisto o il rimborso sia fatto con somme prelevate dagli utili regolarmente accertati.
Art. 2523.
(Trasferibilità delle quote e delle azioni).
Le quote e le azioni non possono essere cedute con effetto verso la società, se la cessione non è autorizzata dagli amministratori.
L'atto costitutivo può vietare la cessione delle quote o delle azioni con effetto verso la società, salvo in questo caso il diritto del socio di recedere dalla società.
Art. 2524.
(Mancato pagamento delle quote o delle azioni).
Il socio che non esegue in tutto o in parte il pagamento delle quote o delle azioni sottoscritte può, previa intimazione da parte degli amministratori, essere escluso a norma dell'art. 2527.
Art. 2525.
(Ammissione di nuovi soci).
L'ammissione di un nuovo socio è fatta con deliberazione degli amministratori su domanda dell'interessato.
La deliberazione di ammissione deve essere annotata a cura degli amministratori nel libro dei soci.
Il nuovo socio deve versare, oltre l'importo della quota o dell'azione, una somma da determinarsi dagli amministratori per ciascun esercizio sociale, tenuto conto delle riserve patrimoniali risultanti dall'ultimo bilancio approvato.
Art. 2526.
(Recesso del socio).
La dichiarazione di recesso, nei casi in cui questo è ammesso dalla legge o dall'atto costitutivo, deve essere comunicata con raccomandata alla società e deve essere annotata nel libro dei soci a cura degli amministratori.
Essa ha effetto con la chiusura dell'esercizio in corso, se comunicata tre mesi prima e, in caso contrario, con la chiusura dell'esercizio successivo.
Art. 2527.
(Esclusione del socio).
L'esclusione del socio, qualunque sia il tipo della società, oltre che nel caso indicato nell'art. 2524, può aver luogo negli altri casi previsti dagli articoli 2286 e 2288, primo comma, e in quelli stabiliti dall'atto costitutivo.
Quando l'esclusione non ha luogo di diritto, essa deve essere deliberata dall'assemblea dei soci o, se l'atto costitutivo lo consente, dagli amministratori, e deve essere comunicata al socio.
Contro la deliberazione di esclusione il socio può, nel termine di trenta giorni dalla comunicazione, proporre opposizione davanti al tribunale. Questo può sospendere l'esecuzione della deliberazione.
L'esclusione ha effetto dall'annotazione nel libro dei soci, da farsi a cura degli amministratori.
Art. 2528.
(Morte del socio).
In caso di morte del socio, salvo che l'atto costitutivo disponga la continuazione della società con gli eredi, questi hanno diritto alla liquidazione della quota o al rimborso delle azioni, secondo le disposizioni dell'articolo seguente.
Art. 2529.
(Liquidazione della quota o rimborso delle azioni del socio uscente).
Nel caso di recesso, esclusione o morte del socio, la liquidazione della quota o il rimborso delle azioni ha luogo sulla base del bilancio dell'esercizio in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente al socio. Il pagamento deve essere fatto entro sei mesi dall'approvazione del bilancio stesso.
Art. 2530.
(Responsabilità del socio uscente o dei suoi eredi).
Il socio che cessa di far parte della società risponde verso questa per il pagamento dei conferimenti non versati per due anni dal giorno in cui il recesso, l'esclusione o la cessione della quota o dell'azione si è verificato. Per lo stesso periodo il socio uscente è responsabile verso i terzi, nei limiti della responsabilità sussidiaria stabiliti dall'atto costitutivo, per le obbligazioni assunte dalla società sino al giorno in cui la cessazione della qualità di socio si è verificata.
Nello stesso modo e per lo stesso termine sono responsabili verso la società e verso i terzi gli eredi del socio defunto.
Art. 2531.
(Creditore particolare del socio).
Il creditore particolare del socio, finchè dura la società, non può agire esecutivamente sulla quota e sulle azioni del socio debitore.
In caso di proroga della società il creditore particolare del socio può fare opposizione a norma dell'art. 2307.
Sezione IV. -
Degli organi sociali.
Art. 2532.
(Assemblea).
Nelle assemblee hanno diritto di voto coloro che risultano iscritti da almeno tre mesi nel libro dei soci.
Ogni socio ha un voto, qualunque sia il valore della quota o il numero delle azioni.
Tuttavia nelle società cooperative con partecipazione di persone giuridiche l'atto costitutivo può attribuire a queste più voti, ma non oltre cinque, in relazione all'ammontare della quota o delle azioni, oppure al numero dei loro membri.
Le maggioranze richieste per la regolarità della costituzione delle assemblee e per la validità delle deliberazioni sono calcolate secondo il numero dei voti spettanti ai soci. L'atto costitutivo può determinare le maggioranze necessarie in deroga agli articoli 2368 e 2369.
Il voto può essere dato per corrispondenza, se ciò è ammesso dall'atto costitutivo. In tal caso l'avviso di convocazione dell'assemblea deve contenere per esteso la deliberazione proposta.
Art. 2533.
(Assemblee separate).
Se la società cooperativa ha non meno di cinquecento soci e svolge la propria attività in più comuni, l'atto costitutivo può stabilire che l'assemblea sia costituita da delegati eletti da assemblee parziali, convocate nelle località nelle quali risiedono non meno di cinquanta soci.
Le assemblee separate devono deliberare sulle materie che formano oggetto dell'assemblea generale, ed in tempo utile perchè i delegati da esse eletti possano partecipare a questa assemblea.
I delegati devono essere soci.
Nell'atto costitutivo devono altresì essere stabilite le modalità per la convocazione delle assemblee separate, per la nomina dei delegati all'assemblea generale, nonchè per la validità delle deliberazioni delle assemblee separate e di quella generale.
Le stesse disposizioni si applicano alle società cooperative costituite da appartenenti a categorie diverse, in numero non inferiore a trecento, anche se non ricorrono le condizioni indicate nel primo comma.
Art. 2534.
(Rappresentanza nell'assemblea).
Il socio non può farsi rappresentare nelle assemblee se non da un altro socio e nei casi previsti dall'atto costitutivo. Ciascun socio non può rappresentare più di cinque soci.
Art. 2535.
(Amministratori e sindaci).
Gli amministratori devono essere soci o mandatari di persone giuridiche socie. Essi devono prestare cauzione nella misura e nei modi stabiliti dall'atto costitutivo, salvo che da questo ne siano esonerati.
L'atto costitutivo può prevedere che uno o più amministratori o sindaci siano scelti tra gli appartenenti alle diverse categorie dei soci, in proporzione dell'interesse che ciascuna categoria ha nell'attività sociale. Non si applicano le disposizioni del secondo e del terzo comma dell'art. 2397.
La nomina di uno o più amministratori o sindaci può essere attribuita dall'atto costitutivo allo Stato o ad enti pubblici.
In ogni caso la nomina della maggioranza degli amministratori e dei sindaci è riservata all'assemblea dei soci.
Art. 2536.
(Distribuzione degli utili).
Qualunque sia l'ammontare del fondo di riserva legale, deve essere a questa destinata almeno la quinta parte degli utili netti annuali.
La quota di utili che non è assegnata a riserva legale o statutaria e che non è distribuita ai soci deve essere destinata a fini mutualistici.
Sezione V. -
Delle modificazioni dell'atto costitutivo.
Art. 2537.
(Modificazioni dell'atto costitutivo).
Alle deliberazioni che importano modificazioni dell'atto costitutivo si applicano le disposizioni dell'art. 2436.
Alle deliberazioni che riducono la responsabilità dei soci verso i terzi si applicano le disposizioni dell'art. 2499.
Art. 2538.
(Fusione).
La fusione di società cooperative è regolata dalle disposizioni degli articoli 2501 a 2504.
Sezione VI. -
Dello scioglimento e della liquidazione.
Art. 2539.
(Scioglimento).
La società cooperativa si scioglie per le cause indicate nell'art. 2448, escluso il n. 4, nonchè per la perdita del capitale sociale.
Art. 2540.
(Insolvenza).
Qualora le attività della società, anche se questa è in liquidazione, risultino insufficienti per il pagamento dei debiti, l'autorità governativa alla quale spetta il controllo sulla società può disporre la liquidazione coatta amministrativa.
Sono tuttavia soggette al fallimento le società cooperative che hanno per oggetto un'attività commerciale, salve le disposizioni delle leggi speciali.
Art. 2541.
(Responsabilità sussidiaria dei soci).
Nelle cooperative con responsabilità sussidiaria illimitata o limitata dei soci, questi, sia in caso di liquidazione coatta amministrativa sia in caso di fallimento, rispondono per il pagamento dei debiti sociali in proporzione della parte di ciascuno nelle perdite, secondo un piano di riparto da formarsi dai commissari liquidatori o dal curatore. Nella stessa proporzione si ripartiscono le somme dovute dai soci insolventi.
Dopo la chiusura della liquidazione coatta amministrativa o del fallimento, a meno che non sia intervenuto un concordato, resta salva l'azione dei creditori insoddisfatti nei confronti dei singoli soci nei limiti della loro responsabilità sussidiaria.
Sezione VII. -
Dei controlli dell'autorità governativa.
Art. 2542.
(Controllo sulle società cooperative).
Le società cooperative sono sottoposte alle autorizzazioni, alla vigilanza e agli altri controlli sulla gestione stabiliti dalle leggi speciali.
Art. 2543.
(Gestione commissariale).
In caso d'irregolare funzionamento delle società cooperative, l'autorità governativa può revocare gli amministratori e i sindaci, e affidare la gestione della società a un commissario governativo, determinandone i poteri e la durata.
Al commissario governativo possono essere conferiti per determinati atti anche i poteri dell'assemblea, ma le relative deliberazioni non sono valide senza l'approvazione dell'autorità governativa.
Art. 2544.
(Scioglimento per atto dell'autorità).
Le società cooperative, che a giudizio dell'autorità governativa non sono in condizione di raggiungere gli scopi per cui sono state costituite, o che per due anni consecutivi non hanno depositato il bilancio annuale, o non hanno compiuto atti di gestione, possono essere sciolte con provvedimento dell'autorità governativa, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale del Regno e da iscriversi nel registro delle imprese.
Se vi è luogo a liquidazione, con lo stesso provvedimento sono nominati uno o più commissari liquidatori.
Art. 2545.
(Sostituzione dei liquidatori).
In caso d'irregolarità o di eccessivo ritardo nello svolgimento della liquidazione ordinaria di una società cooperativa, l'autorità governativa può sostituire i liquidatori o, se questi sono stati nominati dall'autorità giudiziaria, può chiederne la sostituzione al tribunale.
Capo II.
Delle mutue assicuratrici.
Art. 2546.
(Nozione).
Nella società di mutua assicurazione le obbligazioni sociali sono garantite dal patrimonio sociale.
I soci sono tenuti al pagamento di contributi fissi o variabili, entro il limite massimo determinato dall'atto costitutivo.
Nelle mutue assicuratrici non si può acquistare la qualità di socio, se non assicurandosi presso la società, e si perde la qualità di socio con l'estinguersi dell'assicurazione, salvo quanto disposto dall'art. 2548.
Art. 2547.
(Norme applicabili).
Le società di mutua assicurazione sono soggette alle autorizzazioni, alla vigilanza e agli altri controlli stabiliti dalle leggi speciali sull'esercizio dell'assicurazione, e sono regolate dalle norme stabilite per le società cooperative a responsabilità limitata, in quanto compatibili con la loro natura.
Art. 2548.
(Conferimenti per la costituzione di fondi di garanzia).
L'atto costitutivo può prevedere la costituzione di fondi di garanzia per il pagamento delle indennità, mediante speciali conferimenti da parte di assicurati o di terzi, attribuendo anche a questi ultimi la qualità di socio.
L'atto costitutivo può attribuire a ciascuno dei soci sovventori più voti, ma non oltre cinque, in relazione all'ammontare del conferimento.
I voti attribuiti ai soci sovventori, come tali, devono in ogni caso essere inferiori al numero dei voti spettanti ai soci assicurati.
I soci sovventori possono essere nominati amministratori. La maggioranza degli amministratori deve essere costituita da soci assicurati.
Titolo VII.
Dell'associazione in partecipazione
Art. 2549.
(Nozione).
Con il contratto di associazione in partecipazione l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto.
Art. 2550.
(Pluralità di associazioni).
Salvo patto contrario, l'associante non può attribuire partecipazioni per la stessa impresa o per lo stesso affare ad altre persone senza il consenso dei precedenti associati.
Art. 2551.
(Diritti ed obbligazioni dei terzi).
I terzi acquistano diritti e assumono obbligazioni soltanto verso l'associante.
Art. 2552.
(Diritti dell'associante e dell'associato).
La gestione dell'impresa o dell'affare spetta all'associante.
Il contratto può determinare quale controllo possa esercitare l'associato sull'impresa o sullo svolgimento dell'affare per cui l'associazione è stata contratta.
In ogni caso l'associato ha diritto al rendiconto dell'affare compiuto, o a quello annuale della gestione se questa si protrae per più di un anno.
Art. 2553.
(Divisione degli utili e delle perdite).
Salvo patto contrario, l'associato partecipa alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli utili, ma le perdite che colpiscono l'associato non possono superare il valore del suo apporto.
Art. 2554.
(Partecipazione agli utili e alle perdite).
Le disposizioni degli articoli 2551 e 2552 si applicano anche al contratto di cointeressenza agli utili di una impresa senza partecipazione alle perdite, e al contratto con il quale un contraente attribuisce la partecipazione agli utili e alle perdite della sua impresa, senza il corrispettivo di un determinato apporto.
Per le partecipazioni agli utili attribuite ai prestatori di lavoro resta salva la disposizione dell'art. 2102.
Titolo VIII.
Dell'azienda
Capo I.
Disposizioni generali.
Art. 2555.
(Nozione).
L'azienda è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa.
Art. 2556.
(Imprese soggette a registrazione).
Per le imprese soggette a registrazione i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell'azienda devono essere provati per iscritto, salva l'osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l'azienda o per la particolare natura del contratto.
I contratti suddetti devono, a cura delle parti, essere denunziati per l'iscrizione nel registro delle imprese, nel termine di trenta giorni dalla conclusione.
Art. 2557.
(Divieto di concorrenza).
Chi aliena l'azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che per l'oggetto, l'ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta.
Il patto di astenersi dalla concorrenza in limiti più ampi di quelli previsti dal comma precedente è valido, purchè non impedisca ogni attività professionale dell'alienante. Esso non può eccedere la durata di cinque anni dal trasferimento.
Se nel patto è indicata una durata maggiore o la durata non è stabilita, il divieto di concorrenza vale per il periodo di cinque anni dal trasferimento.
Nel caso di usufrutto o di affitto dell'azienda il divieto di concorrenza disposto dal primo comma vale nei confronti del proprietario o del locatore per la durata dell'usufrutto o dell'affitto.
Le disposizioni di questo articolo si applicano alle aziende agricole solo per le attività ad esse connesse, quando rispetto a queste sia possibile uno sviamento di clientela.
Art. 2558.
(Successioni nei contratti).
Se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale.
Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell'alienante.
Le stesse disposizioni si applicano anche nei confronti dell'usufruttuario e dell'affittuario per la durata dell'usufrutto e dell'affitto.
Art. 2559.
(Crediti relativi all'azienda ceduta).
La cessione dei crediti relativi all'azienda ceduta, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione, ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell'iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese. Tuttavia il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all'alienante.
Le stesse disposizioni si applicano anche nel caso di usufrutto dell'azienda, se esso si estende ai crediti relativi alla medesima.
Art. 2560.
(Debiti relativi all'azienda ceduta).
L'alienante non è liberato dai debiti, inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito.
Nel trasferimento di un'azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l'acquirente dell'azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori.
Art. 2561.
(Usufrutto dell'azienda).
L'usufruttuario dell'azienda deve esercitarla sotto la ditta che la contraddistingue.
Egli deve gestire l'azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l'efficienza dell'organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte.
Se non adempie a tale obbligo o cessa arbitrariamente dalla gestione dell'azienda, si applica l'art. 1015.
La differenza tra le consistenze d'inventario all'inizio e al termine dell'usufrutto è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell'usufrutto.
Art. 2562.
(Affitto dell'azienda).
Le disposizioni dell'articolo precedente si applicano anche nel caso di affitto dell'azienda.
Capo II.
Della ditta e dell'insegna.
Art. 2563.
(Ditta).
L'imprenditore ha diritto all'uso esclusivo della ditta da lui prescelta.
La ditta, comunque sia formata, deve contenere almeno il cognome o la sigla dell'imprenditore, salvo quanto è disposto dall'art. 2565.
Art. 2564.
(Modificazione della ditta).
Quando la ditta è uguale o simile a quella usata da altro imprenditore e può creare confusione per l'oggetto dell'impresa e per il luogo in cui questa è esercitata, deve essere integrata o modificata con indicazioni idonee a differenziarla.
Per le imprese commerciali l'obbligo dell'integrazione o modificazione spetta a chi ha iscritto la propria ditta nel registro delle imprese in epoca posteriore.
Art. 2565.
(Trasferimento della ditta).
La ditta non può essere trasferita separatamente dall'azienda.
Nel trasferimento dell'azienda per atto tra vivi la ditta non passa all'acquirente senza il consenso dell'alienante.
Nella successione nell'azienda per causa di morte la ditta si trasmette al successore, salvo diversa disposizione testamentaria.
Art. 2566.
(Registrazione della ditta).
Per le imprese commerciali, l'ufficio del registro delle imprese deve rifiutare l'iscrizione della ditta, se questa non è conforme a quanto è prescritto dal secondo comma dell'art. 2563 o, trattandosi di ditta derivata, se non è depositata copia dell'atto in base al quale ha avuto luogo la successione nell'azienda.
Art. 2567.
(Società).
La ragione sociale e la denominazione delle società sono regolate dai titoli V e VI di questo libro.
Tuttavia si applicano anche ad esse le disposizioni dell'art. 2564.
Art. 2568.
(Insegna).
Le disposizioni del primo comma dell'art. 2564 si applicano all'insegna.
Capo III.
Del marchio.
Art. 2569.
(Diritto di esclusività).
Chi ha registrato nelle forme stabilite dalla legge un nuovo marchio, costituito da un emblema o da una denominazione e destinato a distinguere merci od altri prodotti della propria impresa, ha diritto di valersene in modo esclusivo per le cose per le quali è stato registrato.
In mancanza di registrazione il marchio è tutelato a norma dell'art. 2571.
Art. 2570.
(Marchi collettivi).
Gli enti e le associazioni legalmente riconosciuti possono ottenere la registrazione di marchi collettivi per le imprese dipendenti o associate, secondo le norme dei rispettivi statuti e delle leggi speciali.
Art. 2571.
(Preuso).
Chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha la facoltà di continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei limiti in cui anteriormente se ne è valso.
Art. 2572.
(Divieto di soppressione del marchio).
Il rivenditore può apporre il proprio marchio ai prodotti che mette in vendita, ma non può sopprimere il marchio del produttore.
Art. 2573.
(Trasferimento del marchio).
Il diritto esclusivo all'uso del marchio registrato può essere trasferito soltanto con l'azienda o con un ramo particolare di questa.
Quando il marchio è costituito da un segno figurativo, da una denominazione di fantasia o da una ditta derivata, si presume che il diritto all'uso esclusivo di esso sia trasferito insieme con l'azienda.
Art. 2574.
(Leggi speciali).
Le condizioni per la registrazione dei marchi e degli atti di trasferimento dei medesimi, nonchè gli effetti della registrazione sono stabiliti dalle leggi speciali.
Titolo IX.
Dei diritti sulle opere dell'ingegno e sulle invenzioni industriali
Capo I.
Del diritto di autore sulle opere dell'ingegno letterarie e artistiche.
Art. 2575.
(Oggetto del diritto).
Formano oggetto del diritto di autore le opere dell'ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all'architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione.
Art. 2576.
(Acquisto del diritto).
Il titolo originario dell'acquisto del diritto di autore è costituito dalla creazione dell'opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale.
Art. 2577.
(Contenuto del diritto).
L'autore ha il diritto esclusivo di pubblicare l'opera e di utilizzarla economicamente in ogni forma e modo, nei limiti e per gli effetti fissati dalla legge.
L'autore, anche dopo la cessione dei diritti previsti dal comma precedente, può rivendicare la paternità dell'opera e può opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione dell'opera stessa, che possa essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione.
Art. 2578.
(Progetti di lavori).
All'autore di progetti di lavori d'ingegneria o di altri lavori analoghi che costituiscono soluzioni originali di problemi tecnici, compete, oltre il diritto esclusivo di riproduzione dei piani e disegni dei progetti medesimi, il diritto di ottenere un equo compenso da coloro che eseguono il progetto tecnico a scopo di lucro senza il suo consenso.
Art. 2579.
(Interpreti ed esecutori).
Agli artisti attori o interpreti di opere o composizioni drammatiche o letterarie, e agli artisti esecutori di opere o composizioni musicali, anche se le opere o composizioni sovraindicate sono in dominio pubblico, compete, nei limiti, per gli effetti e con le modalità fissati dalle leggi speciali, indipendentemente dall'eventuale retribuzione loro spettante per la recitazione, rappresentazione od esecuzione, il diritto ad un equo compenso nei confronti di chiunque diffonda o trasmetta per radio, telefono od altro apparecchio equivalente, ovvero incida, registri o comunque riproduca su dischi fonografici, pellicola cinematografica od altro apparecchio equivalente la suddetta recitazione, rappresentazione od esecuzione.
Gli artisti attori od interpreti e gli artisti esecutori hanno diritto di opporsi alla diffusione, trasmissione o riproduzione della loro recitazione, rappresentazione od esecuzione che possa essere di pregiudizio al loro onore o alla loro reputazione.
Art. 2580.
(Soggetti del diritto).
Il diritto di autore spetta all'autore ed ai suoi aventi causa nei limiti e per gli effetti fissati dalle leggi speciali.
L'autore che ha compiuto diciotto anni ha capacità di compiere tutti gli atti giuridici relativi alle opere da lui create e di esercitare le azioni che ne derivano.
Art. 2581.
(Trasferimento dei diritti di utilizzazione).
I diritti di utilizzazione sono trasferibili.
Il trasferimento per atto tra vivi deve essere provato per iscritto.
Art. 2582.
(Ritiro dell'opera dal commercio).
L'autore, qualora concorrano gravi ragioni morali, ha diritto di ritirare l'opera dal commercio, salvo l'obbligo d'indennizzare coloro che hanno acquistato i diritti di riprodurre, diffondere, eseguire, rappresentare o mettere in commercio l'opera medesima.
Questo diritto è personale e intrasmissibile.
Art. 2583.
(Leggi speciali).
L'esercizio dei diritti contemplati in questo capo e la loro durata sono regolati dalle leggi speciali.
Capo II.
Del diritto di brevetto per invenzioni industriali.
Art. 2584.
(Diritto di esclusività).
Chi ha ottenuto un brevetto per un'invenzione industriale ha diritto esclusivo di attuare l'invenzione e di disporne entro i limiti e alle condizioni stabilite dalla legge.
Il diritto si estende anche al commercio del prodotto a cui l'invenzione si riferisce.
Art. 2585.
(Oggetto del brevetto).
Possono costituire oggetto di brevetto le nuove invenzioni atte ad avere un'applicazione industriale, quali un metodo o un processo di lavorazione industriale, una macchina, uno strumento, un utensile o un dispositivo meccanico, un prodotto o un risultato industriale e l'applicazione tecnica di un principio scientifico, purchè essa dia immediati risultati industriali.
In quest'ultimo caso il brevetto è limitato ai soli risultati indicati dall'inventore.
Art. 2586.
(Brevetto per nuovi metodi o processi di fabbricazione).
Il brevetto concernente un nuovo metodo o processo di fabbricazione industriale ne attribuisce al titolare l'uso esclusivo.
Se il metodo o processo è diretto ad ottenere un prodotto industriale nuovo, il brevetto si estende anche al prodotto ottenuto, purchè questo possa formare oggetto di brevetto.
Art. 2587.
(Brevetto dipendente da brevetto altrui).
Il brevetto per invenzione industriale, la cui attuazione implica quella d'invenzioni protette da precedenti brevetti per invenzioni industriali ancora in vigore, non pregiudica i diritti dei titolari di questi ultimi, e non può essere attuato nè utilizzato senza il consenso di essi.
Sono salve le disposizioni delle leggi speciali.
Art. 2588.
(Soggetti del diritto).
Il diritto di brevetto spetta all'autore dell'invenzione e ai suoi aventi causa.
Art. 2589.
(Trasferibilità).
I diritti nascenti dalle invenzioni industriali, tranne il diritto di esserne riconosciuto autore, sono trasferibili.
Art. 2590.
(Invenzione del prestatore di lavoro).
Il prestatore di lavoro ha diritto di essere riconosciuto autore dell'invenzione fatta nello svolgimento del rapporto di lavoro.
I diritti e gli obblighi delle parti relativi all'invenzione sono regolati dalle leggi speciali.
Art. 2591.
(Rinvio alle leggi speciali).
Le condizioni e le modalità per la concessione del brevetto, l'esercizio dei diritti che ne derivano e la loro durata sono regolati dalle leggi speciali.
Capo III.
Del diritto di brevetto per modelli di utilità e per modelli e disegni ornamentali.
Art. 2592.
(Modelli di utilità).
Chi, in conformità della legge, ha ottenuto un brevetto per un'invenzione atta a conferire a macchine o parti di esse, strumenti, utensili od oggetti particolare efficacia o comodità di applicazione o d'impiego, ha il diritto esclusivo di attuare l'invenzione, di disporne e di fare commercio dei prodotti a cui si riferisce.
Il brevetto per le macchine nel loro complesso non comprende la protezione delle singole parti.
Art. 2593.
(Modelli e disegni ornamentali).
Chi, in conformità della legge, ha ottenuto un brevetto per un nuovo disegno o modello destinato a dare a determinate categorie di prodotti industriali uno speciale ornamento, sia per la forma, sia per una particolare combinazione di linee o di colori, ha il diritto esclusivo di attuare il disegno o il modello, di disporne e di far commercio dei prodotti in cui il disegno o il modello è attuato.
Art. 2594.
(Norme applicabili).
Ai diritti di brevetto contemplati in questo capo si applicano gli articoli 2588, 2589 e 2590.
Le condizioni e le modalità per la concessione del brevetto, l'esercizio dei diritti che ne derivano e la loro durata sono regolati dalle leggi speciali.
Titolo X.
Della disciplina della concorrenza e dei consorzi
Capo I.
Della disciplina della concorrenza.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 2595.
(Limiti legali della concorrenza).
La concorrenza deve svolgersi in modo da non ledere gli interessi dell'economia nazionale e nei limiti stabiliti dalla legge e dalle norme corporative.
Art. 2596.
(Limiti contrattuali della concorrenza).
Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto. Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni.
Se la durata del patto non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio.
Art. 2597.
(Obbligo di contrattare nel caso di monopolio).
Chi esercita un'impresa in condizione di monopolio legale ha l'obbligo di contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell'impresa, osservando la parità di trattamento.
Sezione II. -
Della concorrenza sleale.
Art. 2598.
(Atti di concorrenza sleale).
Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto, compie atti di concorrenza sleale chiunque: 1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente; 2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente; 3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principî della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda.
Art. 2599.
(Sanzioni).
La sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione e dà gli opportuni provvedimenti affinchè ne vengano eliminati gli effetti.
Art. 2600.
(Risarcimento del danno).
Se gli atti di concorrenza sleale sono compiuti con dolo o con colpa, l'autore è tenuto al risarcimento dei danni.
In tale ipotesi può essere ordinata la pubblicazione della sentenza.
Accertati gli atti di concorrenza, la colpa si presume.
Art. 2601.
(Azione delle associazioni professionali).
Quando gli atti di concorrenza sleale pregiudicano gli interessi di una categoria professionale, l'azione per la repressione della concorrenza sleale può essere promossa anche dalle associazioni professionali e dagli enti che rappresentano la categoria.
Capo II.
Dei consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 2602.
(Nozione e norme applicabili).
I contratti tra più imprenditori, esercenti una medesima attività economica o attività economiche connesse, i quali hanno per oggetto la disciplina delle attività stesse mediante un'organizzazione comune, sono regolati dalle norme seguenti, salve le diverse disposizioni delle leggi speciali.
Art. 2603.
(Forma e contenuto del contratto).
Il contratto deve essere fatto per iscritto sotto pena di nullità.
Esso deve indicare: 1) l'oggetto e la durata del consorzio; 2) la sede dell'ufficio eventualmente costituito; 3) gli obblighi assunti e i contributi dovuti dai consorziati; 4) le attribuzioni e i poteri degli organi consortili anche in ordine alla rappresentanza in giudizio; 5) le condizioni di ammissione di nuovi consorziati; 6) i casi di recesso e di esclusione; 7) le sanzioni per l'inadempimento degli obblighi dei consorziati.
Se il consorzio ha per oggetto il contingentamento della produzione o degli scambi, il contratto deve inoltre stabilire le quote dei singoli consorziati o i criteri per la determinazione di esse.
Se l'atto costitutivo deferisce la risoluzione di questioni relative alla determinazione delle quote ad una o più persone, le decisioni di queste possono essere impugnate innanzi all'autorità giudiziaria, se sono manifestamente inique od erronee, entro trenta giorni dalla notizia.
Art. 2604.
(Durata del consorzio).
Il contratto non può avere una durata superiore a dieci anni, ma può essere prorogato, prima della scadenza del termine, con il consenso di tutti i consorziati.
Se la durata non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a dieci anni, il contratto è valido per la durata del decennio.
Art. 2605.
(Controllo sull'attività dei singoli consorziati).
I consorziati devono consentire i controlli e le ispezioni da parte degli organi previsti dal contratto, al fine di accertare l'esatto adempimento delle obbligazioni assunte.
Art. 2606.
(Deliberazioni consortili).
Se il contratto non dispone diversamente, le deliberazioni relative all'attuazione dell'oggetto del consorzio sono prese col voto favorevole della maggioranza dei consorziati.
Le deliberazioni che non sono prese in conformità alle disposizioni di questo articolo o a quelle del contratto possono essere impugnate davanti all'autorità giudiziaria entro trenta giorni. Per i consorziati assenti il termine decorre dalla comunicazione o, se si tratta di deliberazione soggetta ad iscrizione, dalla data di questa.
Art. 2607.
(Modificazioni del contratto).
Il contratto, se non è diversamente convenuto, non può essere modificato senza il consenso di tutti i consorziati.
Le modificazioni devono essere fatte per iscritto sotto pena di nullità.
Art. 2608.
(Organi preposti al consorzio).
La responsabilità verso i consorziati di coloro che sono preposti al consorzio è regolata dalle norme sul mandato.
Art. 2609.
(Recesso ed esclusione).
Nei casi di recesso e di esclusione previsti dal contratto, la quota di partecipazione del consorziato receduto o escluso si accresce proporzionalmente a quelle degli altri.
Il mandato conferito dai consorziati per l'attuazione degli scopi del consorzio, ancorchè dato con unico atto, cessa nei confronti del consorziato receduto o escluso.
Art. 2610.
(Trasferimento dell'azienda).
Salvo patto contrario, in caso di trasferimento a qualunque titolo dell'azienda l'acquirente subentra nel contratto di consorzio.
Tuttavia, se sussiste una giusta causa, in caso di trasferimento dell'azienda per atto fra vivi, gli altri consorziati possono deliberare, entro un mese dalla notizia dell'avvenuto trasferimento, l'esclusione dell'acquirente dal consorzio.
Art. 2611.
(Cause di scioglimento).
Il contratto di consorzio si scioglie: 1) per il decorso del tempo stabilito per la sua durata; 2) per il conseguimento dell'oggetto o per l'impossibilità di conseguirlo; 3) per volontà unanime dei consorziati; 4) per deliberazione dei consorziati, presa a norma dell'art. 2606, se sussiste una giusta causa; 5) per provvedimento dell'autorità governativa, nei casi ammessi dalla legge; 6) per le altre cause previste nel contratto.
Sezione II. -
Dei consorzi con attività esterna.
Art. 2612.
(Iscrizione nel registro delle imprese).
Se il contratto prevede l'istituzione di un ufficio destinato a svolgere un'attività con i terzi, un estratto del contratto deve, a cura degli amministratori, entro trenta giorni dalla stipulazione, essere depositato per l'iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese del luogo dove l'ufficio ha sede.
L'estratto deve indicare: 1) la denominazione e l'oggetto del consorzio e la sede dell'ufficio; 2) il cognome e il nome dei consorziati; 3) la durata del consorzio; 4) le persone a cui vengono attribuite la presidenza, la direzione e la rappresentanza del consorzio ed i rispettivi poteri; 5) il modo di formazione del fondo consortile e le norme relative alla liquidazione.
Del pari devono essere iscritte nel registro delle imprese le modificazioni del contratto concernenti gli elementi sopra indicati.
Art. 2613.
(Rappresentanza in giudizio).
I consorzi possono essere convenuti in giudizio in persona di coloro ai quali il contratto attribuisce la presidenza o la direzione, anche se la rappresentanza è attribuita ad altre persone.
Art. 2614.
(Fondo consortile).
I contributi dei consorziati e i beni acquistati con questi contributi costituiscono il fondo consortile. Per la durata del consorzio i consorziati non possono chiedere la divisione del fondo, e i creditori particolari dei consorziati non possono far valere i loro diritti sul fondo medesimo.
Art. 2615.
(Responsabilità verso i terzi).
Per le obbligazioni assunte in nome del consorzio dalle persone che ne hanno la rappresentanza, i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo consortile. Per le obbligazioni stesse rispondono inoltre illimitatamente e solidalmente le persone che hanno agito in nome del consorzio.
Per le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati rispondono questi ultimi solidalmente col fondo consortile. In caso d'insolvenza nei rapporti tra i consorziati il debito dell'insolvente si ripartisce tra tutti in proporzione delle quote.
Sezione III. -
Dei consorzi obbligatori.
Art. 2616.
(Costituzione).
Con provvedimento dell'autorità governativa, sentite le corporazioni interessate, può essere disposta, anche per zone determinate, la costituzione di consorzi obbligatori fra esercenti lo stesso ramo o rami similari di attività economica, qualora la costituzione stessa risponda alle esigenze dell'organizzazione della produzione.
Nello stesso modo, ricorrendo le condizioni di cui al comma precedente, possono essere trasformati in obbligatori i consorzi costituiti volontariamente.
Art. 2617.
(Consorzi per l'ammasso dei prodotti agricoli).
Quando la legge prescrive l'ammasso di determinati prodotti agricoli, la gestione collettiva di questi è fatta per conto degli imprenditori interessati a mezzo di consorzi obbligatori, secondo le disposizioni delle leggi speciali.
Sezione IV. -
Dei controlli dell'autorità governativa.
Art. 2618.
(Approvazione del contratto consortile).
I contratti previsti nel presente capo, se sono tali da influire sul mercato generale dei beni in essi contemplati, sono soggetti ad approvazione da parte dell'autorità governativa, sentite le corporazioni interessate.
Art. 2619.
(Controllo sull'attività del consorzio).
L'attività dei consorzi è sottoposta alla vigilanza dell'autorità governativa.
Quando l'attività del consorzio risulta non conforme agli scopi per cui è stato costituito, l'autorità governativa può sciogliere gli organi del consorzio e affidare la gestione a un commissario governativo ovvero, nei casi più gravi, può disporre lo scioglimento del consorzio stesso.
Art. 2620.
(Estensione delle norme di controllo alle società).
Le disposizioni di questa sezione si applicano anche alle società che si costituiscono per raggiungere gli scopi indicati nell'art. 2602.
L'autorità governativa può sempre disporre lo scioglimento della società, quando la costituzione di questa non abbia avuto l'approvazione prevista nell'art. 2618.
Titolo XI.
Disposizioni penali in materia di società e di consorzi
Capo I.
Disposizioni generali per le società soggette a registrazione.
Art. 2621.
(False comunicazioni ed illegale ripartizione di utili).
Salvo che il fatto costituisca reato più grande, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire diecimila a centomila: 1) i promotori, i soci fondatori, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali nelle relazioni, nei bilanci o in altre comunicazioni sociali fraudolentemente espongono fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle condizioni economiche della società o nascondono in tutto o in parte fatti concernenti le condizioni medesime; 2) gli amministratori e i direttori generali che, in mancanza di bilancio approvato o in difformità di esso o in base ad un bilancio falso, sotto qualunque forma, riscuotono o pagano utili fittizi o che non possono essere distribuiti.
Art. 2622.
(Divulgazione di notizie sociali riservate).
Gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, che, senza giustificato motivo, si servono a profitto proprio od altrui di notizie avute a causa del loro ufficio, o ne dànno comunicazione, sono puniti, se dal fatto può derivare pregiudizio alla società, con la reclusione fino ad un anno e con la multa da lire mille a diecimila. Il delitto è punibile su querela della società.
Art. 2623.
(Violazione di obblighi incombenti agli amministratori).
Sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire duemila a diecimila gli amministratori che: 1) eseguono una riduzione di capitale o la fusione con altra società in violazione degli articoli 2306, 2445 e 2503; 2) restituiscono ai soci palesemente o sotto forme simulate i conferimenti o li liberano dall'obbligo di eseguirli, fuori del caso di riduzione del capitale sociale; 3) impediscono il controllo della gestione sociale da parte del collegio sindacale, o, nei casi previsti dalla legge, da parte dei soci.
Art. 2624.
(Prestiti e garanzie della società).
Gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori che contraggono prestiti sotto qualsiasi forma, sia direttamente sia per interposta persona, con la società che amministrano o con una società che questa controlla o da cui è controllata, o che si fanno prestare da una di tali società garanzie per debiti propri, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da lire duemila a ventimila.
Per gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori delle società che hanno per oggetto l'esercizio del credito si applicano le disposizioni delle leggi speciali.
Art. 2625.
(Violazione di obblighi incombenti ai liquidatori).
I liquidatori di società che procedono alla ripartizione dell'attivo sociale fra i soci prima che siano pagati i creditori o siano accantonate le somme necessarie per pagarli, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da lire mille a diecimila.
Art. 2626.
(Omissione od esecuzione tardiva o incompiuta di denunzie, comunicazioni, depositi).
Gli amministratori, i sindaci e i liquidatori che omettono di fare, nel termine stabilito, all'ufficio del registro delle imprese una denunzia, una comunicazione o un deposito, a cui sono dalla legge obbligati, o li eseguono o li fanno eseguire in modo incompiuto, sono puniti con l'ammenda da lire cinquecento a lire diecimila.
La stessa pena si applica al notaio nei casi in cui l'obbligo della denunzia, della comunicazione o del deposito è posto dalla legge anche a di lui carico.
Art. 2627.
(Omissione delle indicazioni obbligatorie).
Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori che contravvengono alle disposizioni dell'art. 2250 sono puniti con l'ammenda da lire cinquecento a lire cinquemila.
Capo II.
Disposizioni speciali per le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata e per le società cooperative.
Art. 2628.
(Manovre fraudolente sui titoli della società).
Gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori che diffondono notizie false o adoperano altri mezzi fraudolenti atti a cagionare nel pubblico mercato o nelle borse di commercio un aumento o una diminuzione del valore delle azioni della società o di altri titoli ad essa appartenenti, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a lire tremila.
Art. 2629.
(Valutazione esagerata dei conferimenti in natura).
I promotori ed i soci fondatori, che nell'atto costitutivo esagerano fraudolentemente il valore dei conferimenti in natura, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire duemila a ventimila.
La stessa pena si applica anche nel caso di aumento di capitale agli amministratori e ai soci conferenti, che esagerano fraudolentemente la valutazione dei conferimenti in natura e, nel caso di trasformazione di società, agli amministratori, che esagerano fraudolentemente la valutazione del patrimonio della società che si trasforma.
Art. 2630.
(Violazione di obblighi incombenti agli amministratori).
Sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire duemila a diecimila gli amministratori, che: 1) emettono azioni o attribuiscono quote per somma minore del loro valore nominale, ovvero emettono nuove azioni o attribuiscono nuove quote prima che quelle sottoscritte precedentemente siano interamente liberate; 2) violano le disposizioni degli articoli 2357 e 2358 o quelle degli articoli 2483 e 2522, o le disposizioni degli articoli 2359 e 2360; 3) influiscono, sulla formazione della maggioranza dell'assemblea, valendosi di azioni o di quote non collocate o facendo esercitare sotto altro nome il diritto di voto spettante alle proprie azioni o quote, ovvero usando altri mezzi illeciti.
Sono puniti con la reclusione fino ad un anno e con la multa da lire mille a diecimila gli amministratori, che: 1) percepiscono compensi o partecipazioni in violazione dell'art. 2389; 2) omettono di convocare, nei termini prescritti dalla legge, l'assemblea dei soci nei casi previsti dagli articoli 2367 e 2446; 3) assumono per conto della società partecipazioni in altre imprese, che, per la misura e per l'oggetto, importano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato dall'atto costitutivo.
Art. 2631.
(Conflitto d'interessi).
L'amministratore, che, avendo in una determinata operazione per conto proprio o di terzi un interesse in conflitto con quello della società, non si astiene dal partecipare alla deliberazione del consiglio relativa all'operazione stessa, è punito con la multa da lire duemila a ventimila.
Se dalla deliberazione è derivato un pregiudizio alla società, si applica, oltre la multa, la reclusione fino a tre anni.
Art. 2632.
(Violazione di obblighi incombenti ai sindaci).
Sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire mille a lire diecimila i sindaci, che omettono: 1) nel caso previsto dal n. 2 dell'art. 2621, di adempiere gli obblighi imposti dalla legge, fuori dei casi di concorso nel delitto da esso previsto; 2) di convocare l'assemblea nei casi previsti dagli articoli 2406 e 2408.
Art. 2633.
(Irregolarità dei titoli azionari o obbligazionari).
Gli amministratori delle società per azioni e in accomandita per azioni, che emettono azioni o certificati provvisori senza l'osservanza dell'art. 2354, oppure emettono obbligazioni in violazione dell'art. 2413, sono puniti con l'ammenda da lire cinquecento a cinquemila.
Art. 2634.
(Rappresentante comune degli obbligazionisti).
Il rappresentante comune degli obbligazionisti, che omette di richiedere l'iscrizione della sua nomina nel registro delle imprese nei termini previsti dall'art. 2417, è punito con l'ammenda da lire cinquecento a lire cinquemila.
Capo III.
Disposizioni speciali per i consorzi.
Art. 2635.
(Omissione dell'iscrizione nel registro delle imprese).
Agli amministratori dei consorzi, che omettono di richiedere nel termine prescritto le iscrizioni previste dall'art. 2612, si applica la pena prevista dall'art. 2626.
Capo IV.
Degli amministratori giudiziari e dei commissari governativi.
Art. 2636.
(Amministratori giudiziari e commissari governativi).
Agli amministratori giudiziari previsti dagli articoli 2091 e 2409, nonchè ai commissari governativi previsti dagli articoli 2543 e 2619 si applicano le pene stabilite dagli articoli 2621, 2622, 2623, 2624, 2626, 2627, 2628 e 2630, se commettono alcuno dei fatti in essi previsti.
Nel caso di mancata convocazione dell'assemblea a norma del quinto comma dell'art. 2409, all'amministratore giudiziario si applica la pena prevista dal secondo comma dell'art. 2630.
Art. 2637.
(Interesse privato dell'amministratore giudiziario e del commissario governativo).
Salvo che al fatto siano applicabili gli articoli 315, 317, 318, 319 e 323 del codice penale, l'amministratore giudiziario o il commissario governativo che, direttamente o per interposta persona o con atti simulati, prende interesse privato in qualsiasi atto della gestione a lui affidata, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa non inferiore a lire duemila.
La condanna importa l'interdizione dai pubblici uffici.
Art. 2638.
(Accettazione di retribuzione non dovuta).
L'amministratore giudiziario o il commissario governativo che riceve o pattuisce una retribuzione, in denaro o in altra forma, in aggiunta di quella legalmente attribuitagli, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire duemila a diecimila.
Nei casi più gravi può inoltre essere disposta l'incapacità temporanea ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata non inferiore a tre e non superiore a dieci anni.
Art. 2639.
(Omessa consegna o deposito di cose detenute a causa dell'ufficio).
L'amministratore giudiziario o il commissario governativo che non ottempera all'ordine dell'autorità di consegnare o depositare somme o altra cosa, da lui detenute a causa del suo ufficio, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa fino a lire quindicimila.
Se il fatto avviene per colpa, si applica la reclusione fino a sei mesi o la multa fino a lire tremila.
Capo V.
Disposizioni comuni.
Art. 2640.
(Circostanza aggravante).
Quando dai fatti previsti negli articoli 2621, 2622, 2623, 2628 e 2630, primo comma, deriva all'impresa un danno di gravità rilevante, la pena è aumentata fino alla metà.
Art. 2641.
(Pene accessorie).
La condanna alla pena della reclusione pronunziata a carico di amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori per delitti commessi nell'esercizio o a causa del loro ufficio, importa l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per un periodo di dieci anni, salve le altre pene accessorie previste dal capo III, titolo II, libro I del codice penale.
Gli uffici direttivi a cui si riferisce l'incapacità preveduta nel comma precedente e nel secondo comma dell'art. 2638 sono quelli di amministratore, sindaco, liquidatore e direttore generale.
Art. 2642.
(Comunicazione della sentenza di condanna).
Ogni sentenza penale pronunziata a carico di amministratori, direttori generali, sindaci, liquidatori e commissari di qualsiasi impresa per delitti commessi nell'esercizio od a causa del loro ufficio è comunicata, a cura del cancelliere dell'autorità giudiziaria che ha emesso la sentenza, per gli eventuali provvedimenti, all'organo che esercita la funzione disciplinare sugli iscritti nell'albo professionale al quale essi appartengono.
Libro sesto
Della tutela dei diritti
Titolo I.
Della trascrizione
Capo I.
Della trascrizione degli atti relativi ai beni immobili.
Art. 2643.
(Atti soggetti a trascrizione).
Si devono rendere pubblici col mezzo della trascrizione: 1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili; 2) i contratti che costituiscono, trasferiscono o modificano il diritto di usufrutto su beni immobili, il diritto di superficie, i diritti del concedente e dell'enfiteuta; 3) i contratti che costituiscono la comunione dei diritti menzionati nei numeri precedenti; 4) i contratti che costituiscono o modificano servitù prediali, il diritto di uso sopra beni immobili, il diritto di abitazione; 5) gli atti tra vivi di rinunzia ai diritti menzionati nei numeri precedenti; 6) i provvedimenti con i quali nell'esecuzione forzata si trasferiscono la proprietà di beni immobili o altri diritti reali immobiliari, eccettuato il caso di vendita seguita nel processo di liberazione degli immobili dalle ipoteche a favore del terzo acquirente; 7) gli atti e le sentenze di affrancazione del fondo enfiteutico; 8) i contratti di locazione di beni immobili che hanno durata superiore a nove anni; 9) gli atti e le sentenze da cui risulta liberazione o cessione di pigioni o di fitti non ancora scaduti, per un termine maggiore di tre anni; 10) i contratti di società e di associazione con i quali si conferisce il godimento di beni immobili o di altri diritti reali immobiliari, quando la durata della società o dell'associazione eccede i nove anni o è indeterminata; 11) gli atti di costituzione dei consorzi che hanno l'effetto indicato dal numero precedente; 12) i contratti di anticresi; 13) le transazioni che hanno per oggetto controversie sui diritti menzionati nei numeri precedenti; 14) le sentenze che operano la costituzione, il trasferimento o la modificazione di uno dei diritti menzionati nei numeri precedenti.
Art. 2644.
(Effetti della trascrizione).
Gli atti enunciati nell'articolo precedente non hanno effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi.
Seguita la trascrizione, non può avere effetto contro colui che ha trascritto alcuna trascrizione o iscrizione di diritti acquistati verso il suo autore, quantunque l'acquisto risalga a data anteriore.
Art. 2645.
(Altri atti soggetti a trascrizione).
Deve del pari rendersi pubblico, agli effetti previsti dall'articolo precedente, ogni altro atto o provvedimento che produce in relazione a beni immobili o a diritti immobiliari taluno degli effetti dei contratti menzionati nell'art. 2643, salvo che dalla legge risulti che la trascrizione non è richiesta o è richiesta a effetti diversi.
Art. 2646.
(Trascrizione delle divisioni).
Si devono trascrivere le divisioni che hanno per oggetto beni immobili, come pure i provvedimenti di aggiudicazione degli immobili divisi mediante incanto, i provvedimenti di attribuzione delle quote tra condividenti e i verbali di estrazione a sorte delle quote.
Si devono pure trascrivere la domanda di divisione giudiziale e l'atto di opposizione indicato dall'art. 1113, per gli effetti ivi enunciati.
Art. 2647.
(Costituzione del vincolo dotale, della comunione tra coniugi e del patrimonio familiare).
Devono essere trascritte, se hanno per oggetto beni immobili, la costituzione del vincolo dotale, la costituzione della comunione tra coniugi e quella del patrimonio familiare, a carico rispettivamente della dotata o dei coniugi o del coniuge titolare del patrimonio familiare.
Se è stata stipulata la clausola dell'impiego del danaro dotale in acquisto di beni immobili, ai sensi dell'art. 183, o se con gli utili della comunione si compiono acquisti, le trascrizioni del vincolo dotale o della comunione devono eseguirsi a misura che i nuovi beni sono acquistati. La stessa norma si applica nei casi di reimpiego in beni immobili previsto dall'art. 170 e di permuta dei beni dotali.
La trascrizione del vincolo derivante dal patrimonio familiare costituito per testamento deve essere eseguita d'ufficio dal conservatore contemporaneamente alla trascrizione dell'acquisto a causa di morte.
Il vincolo dotale e quello derivante dalla comunione, nonchè la costituzione del patrimonio familiare non possono essere opposti ai terzi finchè non siano trascritti, fermo, per quanto riguarda il patrimonio familiare, il disposto del terzo comma dell'art. 169.
Art. 2648.
(Accettazione di eredità e acquisto di legato).
Si devono trascrivere l'accettazione dell'eredità che importi acquisto dei diritti enunciati nei numeri 1, 2 e 4 dell'art. 2643 o liberazione dai medesimi e l'acquisto del legato che abbia lo stesso oggetto.
La trascrizione dell'accettazione dell'eredità si opera in base alla dichiarazione del chiamato all'eredità, contenuta in un atto pubblico ovvero in una scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.
Se il chiamato ha compiuto uno degli atti che importano accettazione tacita dell'eredità, si può richiedere la trascrizione sulla base di quell'atto, qualora esso risulti da sentenza, da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.
La trascrizione dell'acquisto del legato si opera sulla base di un estratto autentico del testamento.
Art. 2649.
(Cessione dei beni ai creditori).
Deve essere trascritta, qualora comprenda beni immobili, la cessione che il debitore fa dei suoi beni ai creditori, perchè questi procedano alla liquidazione dei medesimi e alla ripartizione del ricavato.
Non hanno effetto, rispetto ai creditori, le trascrizioni o iscrizioni di diritti acquistati verso il debitore, se eseguite dopo che la cessione è stata trascritta.
Art. 2650.
(Continuità delle trascrizioni).
Nei casi in cui, per le disposizioni precedenti, un atto di acquisto è soggetto a trascrizione, le successive trascrizioni o iscrizioni a carico dell'acquirente non producono effetto, se non è stato trascritto l'atto anteriore di acquisto.
Quando l'atto anteriore di acquisto è stato trascritto, le successive trascrizioni o iscrizioni producono effetto secondo il loro ordine rispettivo, salvo il disposto dell'art. 2644.
L'ipoteca legale a favore dell'alienante e quella a favore del condividente, iscritte contemporaneamente alla trascrizione del titolo di acquisto o della divisione, prevalgono sulle trascrizioni o iscrizioni eseguite anteriormente contro l'acquirente o il condividente tenuto al conguaglio.
Art. 2651.
(Trascrizione di sentenze).
Si devono trascrivere le sentenze da cui risulta estinto per prescrizione o acquistato per usucapione ovvero in altro modo non soggetto a trascrizione uno dei diritti indicati dai numeri 1, 2 e 4 dell'art. 2643.
Art. 2652.
(Domande riguardanti atti soggetti a trascrizione. Effetti delle relative trascrizioni rispetto ai terzi).
Si devono trascrivere, qualora si riferiscano ai diritti menzionati nell'art. 2643, le domande giudiziali indicate dai numeri seguenti, agli effetti per ciascuna di esse previsti: 1) le domande di risoluzione dei contratti e quelle indicate dal secondo comma dell'art. 648 e dall'ultimo comma dell'art. 793, le domande di rescissione, le domande di revocazione delle donazioni, nonchè quelle indicate dall'art. 524. Le sentenze che accolgono tali domande non pregiudicano i diritti acquistati dai terzi in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda; 2) le domande dirette a ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo a contrarre. La trascrizione della sentenza che accoglie la domanda prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro il convenuto dopo la trascrizione della domanda; 3) le domande dirette a ottenere l'accertamento giudiziale della sottoscrizione di scritture private in cui si contiene un atto soggetto a trascrizione o a iscrizione. La trascrizione o l'iscrizione dell'atto contenuto nella scrittura produce effetto dalla data in cui è stata trascritta la domanda; 4) le domande dirette all'accertamento della simulazione di atti soggetti a trascrizione. La sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda; 5) le domande di revoca degli atti soggetti a trascrizione, che siano stati compiuti in pregiudizio dei creditori. La sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda; 6) le domande dirette a far dichiarare la nullità o a far pronunziare l'annullamento di atti soggetti a trascrizione e le domande dirette a impugnare la validità della trascrizione. Se la domanda è trascritta dopo cinque anni dalla data della trascrizione dell'atto impugnato, la sentenza che l'accoglie non pregiudica i diritti acquistati a qualunque titolo dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda. Se però la domanda è diretta a far pronunziare l'annullamento per una causa diversa dall'incapacità legale, la sentenza che l'accoglie non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda, anche se questa è stata trascritta prima che siano decorsi cinque anni dalla data della trascrizione dell'atto impugnato, purchè in questo caso i terzi abbiano acquistato a titolo oneroso; 7) le domande con le quali si contesta il fondamento di un acquisto a causa di morte. Salvo quanto è disposto dal secondo e dal terzo comma dell'art. 534, se la trascrizione della domanda è eseguita dopo cinque anni dalla data della trascrizione dell'acquisto, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i terzi di buona fede che, in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda, hanno a qualunque titolo acquistato diritti da chi appare erede o legatario; 8) le domande di riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie per lesione di legittima. Se la trascrizione è eseguita dopo dieci anni dall'apertura della successione, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i terzi che hanno acquistato a titolo oneroso diritti in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda; 9) le domande di revocazione e quelle di opposizione di terzo contro le sentenze soggette a trascrizione per le cause previste dai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 del codice di procedura civile e dal secondo comma dell'art. 404 dello stesso codice. Se la domanda è trascritta dopo cinque anni dalla trascrizione della sentenza impugnata, la sentenza che l'accoglie non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda.
Art. 2653.
(Altre domande e atti soggetti a trascrizione a diversi effetti).
Devono parimenti essere trascritti: 1) le domande dirette a rivendicare la proprietà o altri diritti reali di godimento su beni immobili e le domande dirette all'accertamento dei diritti stessi. La sentenza pronunziata contro il convenuto indicato nella trascrizione della domanda ha effetto anche contro coloro che hanno acquistato diritti dal medesimo in base a un atto trascritto dopo la trascrizione della domanda; 2) la domanda di devoluzione del fondo enfiteutico. La pronunzia di devoluzione ha effetto anche nei confronti di coloro che hanno acquistato diritti dall'enfiteuta in base a un atto trascritto posteriormente alla trascrizione della domanda; 3) le domande e le dichiarazioni di riscatto nella vendita di beni immobili. Se la trascrizione di tali domande o dichiarazioni è eseguita dopo sessanta giorni dalla scadenza del termine per l'esercizio del riscatto, restano salvi i diritti acquistati dai terzi dopo la scadenza del termine medesimo in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda o della dichiarazione; 4) le domande di separazione degli immobili dotali e quelle di scioglimento della comunione tra coniugi avente per oggetto beni immobili. La sentenza che pronunzia la separazione o lo scioglimento non ha effetto a danno dei terzi che, anteriormente alla trascrizione della domanda, hanno validamente acquistato dal marito diritti relativi a beni dotali o a beni della comunione; 5) gli atti e le domande che interrompono il corso dell'usucapione di beni immobili. L'interruzione non ha effetto riguardo ai terzi che hanno acquistato diritti dal possessore in base a un atto trascritto o iscritto, se non dalla data della trascrizione dell'atto o della domanda.
Art. 2654.
(Annotazione di domande o atti soggetti a trascrizione).
La trascrizione degli atti e delle domande indicati dai due articoli precedenti dev'essere anche annotata in margine alla trascrizione o iscrizione, quando si riferisce a un atto trascritto o iscritto.
Art. 2655.
(Annotazione di atti e di sentenze).
Qualora un atto trascritto o iscritto sia dichiarato nullo o sia annullato, risoluto, rescisso o revocato o sia soggetto a condizione risolutiva, la dichiarazione di nullità e, rispettivamente, l'annullamento, la risoluzione, la rescissione, la revocazione, l'avveramento della condizione devono annotarsi in margine alla trascrizione o all'iscrizione dell'atto.
Si deve del pari annotare, in margine alla trascrizione della relativa domanda, la sentenza di devoluzione del fondo enfiteutico.
Se tali annotazioni non sono eseguite, non producono effetto le successive trascrizioni o iscrizioni a carico di colui che ha ottenuto la dichiarazione di nullità o l'annullamento, la risoluzione, la rescissione, la revoca o la devoluzione o a favore del quale si è avverata la condizione. Eseguita l'annotazione, le trascrizioni o iscrizioni già compiute hanno il loro effetto secondo l'ordine rispettivo.
L'annotazione si opera in base alla sentenza o alla convenzione da cui risulta uno dei fatti sopra indicati; se si tratta di condizione, può eseguirsi in virtù della dichiarazione unilaterale del contraente in danno del quale la condizione stessa si è verificata.
Art. 2656.
(Forme per l'annotazione).
L'annotazione si esegue secondo le norme stabilite dagli articoli seguenti per la trascrizione, in quanto applicabili.
Art. 2657.
(Titolo per la trascrizione).
La trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.
Le sentenze e gli atti seguiti in paese estero devono essere legalizzati.
Art. 2658.
(Atti da presentare al conservatore).
La parte che domanda la trascrizione del titolo deve presentarne al conservatore dei registri immobiliari copia autenticata, se si tratta di atti pubblici o di sentenze, e, se si tratta di scritture private, deve presentare l'originale, salvo che questo si trovi depositato in un pubblico archivio o negli atti di un notaio. In questo caso basta la presentazione di una copia autenticata dall'archivista o dal notaio, dalla quale risulti che la scrittura ha i requisiti indicati dall'articolo precedente.
Per la trascrizione di una domanda giudiziale occorre presentare copia autentica del documento che la contiene, munito della relazione di notifica alla controparte.
Art. 2659.
(Nota di trascrizione).
Chi domanda la trascrizione di un atto tra vivi deve presentare al conservatore dei registri immobiliari, insieme con la copia del titolo, una nota in doppio originale, nella quale devono essere indicati: 1) il cognome e il nome, il nome del padre e il domicilio o la residenza delle parti; 2) il titolo di cui si chiede la trascrizione e la data del medesimo; 3) il cognome e il nome dell'ufficiale pubblico che ha ricevuto l'atto o autenticato le firme, o l'autorità giudiziaria che ha pronunziato la sentenza; 4) la natura e la situazione dei beni a cui si riferisce il titolo, con le indicazioni richieste dall'art. 2826.
Se l'acquisto, la rinunzia o la modificazione del diritto sono sottoposti a termine o a condizione, se ne deve fare menzione nella nota di trascrizione. Tale menzione non è necessaria se, al momento in cui l'atto si trascrive, la condizione sospensiva si è verificata o la condizione risolutiva è mancata ovvero il termine iniziale è scaduto.
Art. 2660.
(Trascrizione degli acquisti a causa di morte).
Chi domanda la trascrizione di un acquisto a causa di morte deve presentare, oltre l'atto indicato dall'articolo 2648, il certificato di morte dell'autore della successione e una copia o un estratto autentico del testamento, se l'acquisto segue in base a esso.
Deve anche presentare una nota in doppio originale con le seguenti indicazioni: 1) il cognome e il nome, il nome del padre, il domicilio o la residenza dell'erede o legatario e del defunto; 2) la data di morte; 3) se la successione è devoluta per legge, il vincolo che univa all'autore il chiamato e la quota a questo spettante; 4) se la successione è devoluta per testamento, la forma e la data del medesimo, il nome del pubblico ufficiale che l'ha ricevuto o che l'ha in deposito; 5) la natura e la situazione dei beni con le indicazioni richieste dall'art. 2826; 6) la condizione o il termine, qualora siano apposti alla disposizione testamentaria, salvo il caso contemplato dal secondo comma del precedente articolo, nonchè la sostituzione fidecommissaria, qualora sia stata disposta a norma dell'art. 692.
Art. 2661.
(Ulteriori trascrizioni in base allo stesso titolo).
Quando si domanda la trascrizione di un acquisto a causa di morte e per la stessa successione è stato già trascritto altro acquisto in base allo stesso titolo, basta presentare l'atto di accettazione se si tratta di acquisto a titolo di erede. Deve essere anche indicata la trascrizione anteriormente eseguita, se si tratta dello stesso ufficio, e, se si tratta di ufficio diverso, deve essere presentato il certificato della trascrizione medesima.
Se chi ha trascritto anteriormente ha presentato un estratto del testamento, alla domanda di nuova trascrizione deve essere allegato, qualora occorra, un altro estratto o la copia dell'intero testamento.
Art. 2662.
(Trascrizione di acquisti a causa di morte in luogo di altri chiamati).
Qualora l'acquisto a causa di morte si colleghi alla rinunzia o alla morte di uno dei chiamati, chi domanda la trascrizione deve presentare il documento comprovante la morte o la rinunzia, facendone menzione nella nota.
Se invece l'acquisto dipende da altra ragione che impedisce ad alcuno dei chiamati di succedere, non è necessario esibire un documento che giustifichi la ragione stessa, ma il richiedente risponde dei danni, quando le sue dichiarazioni non corrispondono a verità.
Qualora alcuna delle cause di impedimento sopra indicate si sia constatata dopo la trascrizione dell'acquisto a causa di morte, essa si annota in margine alla trascrizione stessa, purchè risulti da regolare documento.
Art. 2663.
(Ufficio in cui deve farsi la trascrizione).
La trascrizione deve essere fatta presso ciascun ufficio dei registri immobiliari nella cui circoscrizione sono situati i beni.
Art. 2664.
(Conservazione dei titoli. Trascrizione e restituzione della nota).
Il conservatore dei registri immobiliari deve custodire negli archivi, in appositi volumi, i titoli che gli sono consegnati e deve trascrivere nel registro particolare delle trascrizioni il contenuto della nota, indicando il giorno della consegna del titolo, il numero d'ordine assegnatogli nel registro progressivo e il numero del volume in cui ha collocato il titolo stesso.
Il conservatore deve restituire al richiedente uno degli originali della nota, nel quale deve certificare l'eseguita trascrizione con le indicazioni sopra accennate.
Art. 2665.
(Omissioni o inesattezze nelle note).
L'omissione o l'inesattezza di alcuna delle indicazioni richieste nelle note menzionate negli articoli 2659 e 2660 non nuoce alla validità della trascrizione, eccetto che induca incertezza sulle persone, sul bene o sul rapporto giuridico a cui si riferisce l'atto o, rispettivamente, la sentenza o la domanda.
Art. 2666.
(Limiti soggettivi dell'efficacia della trascrizione).
La trascrizione, da chiunque si faccia, giova a tutti coloro che vi hanno interesse.
Art. 2667.
(Atti compiuti per persona incapace).
I rappresentanti di persone incapaci e coloro che hanno prestato assistenza alle medesime devono curare che si esegua la trascrizione degli atti, delle sentenze o delle domande giudiziali che sono soggetti a trascrizione e rispetto ai quali essi hanno esercitato il loro ufficio.
La mancanza della trascrizione può anche essere opposta ai minori, agli interdetti e a qualsiasi altro incapace, salvo ai medesimi il regresso contro i tutori, gli amministratori o i curatori che avevano l'obbligo della trascrizione.
La mancanza della trascrizione non può essere opposta dalle persone che avevano l'obbligo di eseguirla per i propri rappresentati o amministrati, nè dai loro eredi.
Art. 2668.
(Cancellazione della trascrizione).
La cancellazione della trascrizione delle domande enunciate dagli articoli 2652 e 2653 e delle relative annotazioni si esegue quando è debitamente consentita dalle parti interessate ovvero è ordinata giudizialmente con sentenza passata in giudicato.
Deve essere giudizialmente ordinata, qualora la domanda sia rigettata o il processo sia estinto per rinunzia o per inattività delle parti.
Si deve cancellare l'indicazione della condizione o del termine negli atti trascritti, quando l'avveramento o la mancanza della condizione ovvero la scadenza del termine risulta da sentenza o da dichiarazione, anche unilaterale, della parte, in danno della quale la condizione sospensiva si è verificata o la condizione risolutiva è mancata ovvero il termine iniziale è scaduto.
Art. 2669.
(Trascrizione anteriore al pagamento dell'imposta di registro).
La trascrizione può essere domandata, quantunque non sia stata ancora pagata l'imposta di registro a cui è soggetto il titolo, se si tratta di atto pubblico ricevuto nello Stato o di sentenza pronunziata da un'autorità giudiziaria dello Stato.
In tal caso però il richiedente deve presentare al conservatore, oltre la nota indicata dall'art. 2659, una copia della medesima, la quale, a cura del conservatore, deve essere vidimata e trasmessa immediatamente all'ufficiale incaricato di riscuotere l'imposta suddetta.
Art. 2670.
(Spese della trascrizione).
Le spese della trascrizione devono essere anticipate da chi la domanda, salvo il diritto al rimborso verso l'interessato.
Se più sono gli interessati, ciascuno di essi deve rimborsare la persona che ha eseguito la trascrizione della parte di spesa corrispondente alla quota per cui è interessato.
Art. 2671.
(Obbligo dei pubblici ufficiali).
Il notaio o altro pubblico ufficiale che ha ricevuto o autenticato l'atto soggetto a trascrizione ha l'obbligo di curare che questa venga eseguita nel più breve tempo possibile, ed è tenuto al risarcimento dei danni in caso di ritardo, salva l'applicazione delle pene pecuniarie previste dalle leggi speciali, se lascia trascorrere trenta giorni dalla data dell'atto ricevuto o autenticato.
Rimangono ferme le disposizioni delle leggi speciali che stabiliscono a carico di altre persone l'obbligo di richiedere la trascrizione di determinati atti e le relative sanzioni.
Art. 2672.
(Leggi speciali).
Sono salve le disposizioni delle leggi speciali che richiedono la trascrizione di atti non contemplati dal presente capo e le altre disposizioni che non sono incompatibili con quelle contenute nel capo medesimo.
Capo II.
Della pubblicità dei registri immobiliari e della responsabilità dei conservatori.
Art. 2673.
(Obblighi del conservatore).
Il conservatore dei registri immobiliari deve rilasciare a chiunque ne fa richiesta copia delle trascrizioni, delle iscrizioni e delle annotazioni, o il certificato che non ve ne è alcuna.
Deve altresì permettere l'ispezione dei suoi registri nelle ore fissate dai regolamenti; ma non è consentito di prendere copia delle trascrizioni, iscrizioni o annotazioni.
Il conservatore deve anche rilasciare copia dei documenti che sono depositati presso di lui in originale o i cui originali sono depositati negli atti di un notaio o in pubblico archivio fuori della circoscrizione del tribunale nella quale ha sede il suo ufficio.
Art. 2674.
(Divieto di rifiutare gli atti del proprio ufficio).
Il conservatore può ricusare di ricevere le note e i titoli, se non sono in carattere intelligibile; e non può riceverli quando il titolo non ha i requisiti stabiliti dagli articoli 2657, 2660, primo comma, 2821, 2835 e 2837.
In ogni altro caso il conservatore non può ricusare o ritardare di ricevere la consegna dei titoli presentati e di eseguire le trascrizioni, iscrizioni o annotazioni richieste, nonchè di spedire le copie o i certificati. Per il rifiuto o il ritardo è tenuto al risarcimento dei danni arrecati alle parti. A tale effetto queste possono far stendere immediatamente verbale da un notaio o da un ufficiale giudiziario assistito da due testimoni.
Art. 2675.
(Responsabilità del conservatore).
Il conservatore è responsabile dei danni derivati: 1) dall'omissione, nei suoi registri, delle trascrizioni, delle iscrizioni e delle relative annotazioni, come pure dagli errori incorsi in tali operazioni; 2) dall'omissione, nei suoi certificati, delle trascrizioni, iscrizioni o annotazioni, come pure dagli errori incorsi nei medesimi, salvo che l'omissione o l'errore provenga da indicazioni insufficienti a lui non imputabili; 3) dalle cancellazioni indebitamente operate.
Art. 2676.
(Diversità tra registri, copie e certificati).
Nel caso di diversità tra i risultati dei registri e quelli delle copie o dei certificati rilasciati dal conservatore dei registri immobiliari, prevale ciò che risulta dai registri, ferma la responsabilità del conservatore per ogni danno proveniente dalle inesattezze delle copie o dei certificati.
Art. 2677.
(Orario per le domande di trascrizione e iscrizione).
Il conservatore non può ricevere alcuna domanda di trascrizione o di iscrizione fuorchè nelle ore determinate dal regolamento nelle quali l'ufficio è aperto al pubblico.
Art. 2678.
(Registro generale).
Il conservatore è obbligato a tenere un registro generale d'ordine, in cui giornalmente deve annotare, all'atto della consegna, ogni titolo che gli è rimesso perchè sia trascritto, iscritto o annotato.
Questo registro, diviso in altrettante caselle, deve indicare il numero d'ordine, il giorno della richiesta, la persona dell'esibitore e le persone per cui la richiesta è fatta, i titoli presentati con la nota, l'oggetto della richiesta, e cioè se questa è fatta per trascrizione, per iscrizione o per annotazione, e le persone riguardo alle quali la trascrizione, l'iscrizione o l'annotazione si deve eseguire.
Appena avvenuta la consegna del titolo o della nota, il conservatore ne deve dare ricevuta in carta libera all'esibitore, senza spesa; la ricevuta contiene l'indicazione del numero d'ordine.
Art. 2679.
(Altri registri da tenersi dal conservatore).
Oltre al registro generale, il conservatore deve tenere registri particolari: 1) per le trascrizioni; 2) per le iscrizioni soggette a rinnovazione; 3) per le iscrizioni non soggette a rinnovazione; 4) per le annotazioni.
Deve inoltre tenere gli altri registri che sono ordinati dai regolamenti.
Art. 2680.
(Tenuta dei registri).
Il registro generale e i registri delle trascrizioni, delle iscrizioni e delle annotazioni devono essere vidimati in ogni foglio dal presidente o da un giudice del tribunale nella cui circoscrizione è stabilito l'ufficio, indicando nel relativo processo verbale il numero dei fogli e il giorno in cui sono stati vidimati.
Questi registri devono essere scritti di seguito, senza spazi in bianco o interlinee e senza aggiunte. Le cancellature di parole devono essere approvate dal conservatore in fine di ciascun foglio con la sua firma e con l'indicazione del numero delle parole cancellate.
I registri alla fine di ciascun giorno devono essere chiusi e firmati dal conservatore.
In essi si deve rigorosamente osservare la serie delle date, dei fogli e dei numeri d'ordine.
Art. 2681.
(Divieto di rimozione dei registri).
I registri sopra indicati non possono essere rimossi dall'ufficio del conservatore, fuorchè per ordine di una corte d'appello, qualora ne sia riconosciuta la necessità, e mediante le cautele determinate dalla stessa corte.
Art. 2682.
(Sanzioni contro il conservatore).
Il conservatore nell'esercizio delle sue incombenze è tenuto a conformarsi a tutte le disposizioni di questo titolo, nonchè alle altre disposizioni delle leggi che lo riguardano e, in caso di inosservanza, è soggetto a una pena pecuniaria fino a lire diecimila.
Capo III.
Della trascrizione degli atti relativi ad alcuni beni immobili.
Sezione I. -
Della trascrizione relativamente alle navi, agli aeromobili e agli autoveicoli.
Art. 2683.
(Beni per i quali è disposta la pubblicità).
Devono essere resi pubblici col mezzo della trascrizione, osservate le altre forme di pubblicità stabilite dalla legge, gli atti menzionati negli articoli seguenti, quando hanno per oggetto: 1) le navi e i galleggianti iscritti nei registri indicati dal codice della navigazione; 2) gli aeromobili iscritti nei registri indicati dallo stesso codice; 3) gli autoveicoli iscritti nel pubblico registro automobilistico.
Art. 2684.
(Atti soggetti a trascrizione).
Sono soggetti alla trascrizione per gli effetti stabiliti dall'art. 2644: 1) i contratti che trasferiscono la proprietà o costituiscono la comunione; 2) i contratti che costituiscono o modificano diritti di usufrutto o di uso o che trasferiscono il diritto di usufrutto; 3) gli atti tra vivi di rinunzia ai diritti indicati dai numeri precedenti; 4) le transazioni che hanno per oggetto controversie sui diritti indicati dai numeri precedenti; 5) i provvedimenti con i quali nel giudizio di espropriazione si trasferiscono la proprietà o gli altri diritti menzionati nei numeri precedenti; 6) le sentenze che operano la costituzione, la modificazione o il trasferimento di uno dei diritti indicati dai numeri precedenti.
Art. 2685.
(Altri atti soggetti a trascrizione).
Si devono trascrivere le divisioni e gli altri atti menzionati nell'art. 2646, la costituzione del vincolo dotale, della comunione tra coniugi, l'accettazione dell'eredità e l'acquisto del legato che importano acquisto dei diritti indicati dai numeri 1 e 2 dell'art. 2684 o liberazione dai medesimi.
La trascrizione ha gli effetti stabiliti per i beni immobili.
Art. 2686.
(Sentenze).
Devono essere trascritte, agli effetti dell'art. 2644, le sentenze da cui risulta acquistato, modificato o estinto uno dei diritti indicati dai numeri 1 e 2 dell'art. 2684 in forza di un titolo non trascritto.
Art. 2687.
(Cessione dei beni ai creditori).
Deve essere trascritta, per gli effetti indicati dall'articolo 2649, la cessione che il debitore fa dei suoi beni ai creditori, perchè questi procedano alla liquidazione dei medesimi e alla ripartizione del ricavato.
Art. 2688.
(Continuità delle trascrizioni).
Nei casi in cui, per le disposizioni precedenti, un atto di acquisto è soggetto a trascrizione, le successive trascrizioni o iscrizioni non producono effetto se non è stato trascritto l'atto anteriore di acquisto.
Quando l'atto anteriore di acquisto è stato trascritto, le successive trascrizioni o iscrizioni producono il loro effetto secondo l'ordine rispettivo, salvo il disposto dell'art. 2644.
Art. 2689.
(Usucapione).
Devono essere trascritte le sentenze da cui risulta acquistato per usucapione uno dei diritti indicati dai numeri 1 e 2 dell'art. 2684.
Art. 2690.
(Domande relative ad atti soggetti a trascrizione).
Devono essere trascritte, qualora si riferiscano ai diritti menzionati dall'art. 2684: 1) le domande indicate dai numeri 1, 2, 3, 4 e 5 dell'art. 2652 per gli effetti ivi disposti; 2) le domande dirette all'accertamento di uno dei contratti indicati dai numeri 1 e 2 dell'art. 2684. La trascrizione della sentenza che accoglie la domanda prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro il convenuto dopo la trascrizione della domanda; 3) le domande dirette a far dichiarare la nullità o a far pronunziare l'annullamento di atti soggetti a trascrizione e le domande dirette a impugnare la validità della trascrizione. La sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i diritti acquistati a qualunque titolo dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda medesima, se questa è stata resa pubblica dopo tre anni dalla data della trascrizione dell'atto che si impugna. Se però la domanda è diretta a far pronunziare l'annullamento per una causa diversa dall'incapacità legale, la sentenza che l'accoglie non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda, anche se questa è stata trascritta prima che siano decorsi tre anni dalla data della trascrizione dell'atto impugnato, purchè in questo caso i terzi abbiano acquistato a titolo oneroso; 4) le domande con le quali si contesta il fondamento di un acquisto a causa di morte. Salvo quanto è disposto dal secondo e dal terzo comma dell'art. 534, se la domanda è trascritta dopo tre anni dalla data della trascrizione dell'atto impugnato, la sentenza che l'accoglie non pregiudica i terzi di buona fede che, in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda, hanno a qualunque titolo acquistato diritti da chi appare erede o legatario; 5) le domande di riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie per lesione di legittima. Se la trascrizione è eseguita dopo tre anni dall'apertura della successione, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i terzi che hanno acquistato a titolo oneroso diritti in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda; 6) le domande di revocazione e quelle di opposizione di terzo contro le sentenze soggette a trascrizione per le cause previste dai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'articolo 395 del codice di procedura civile e dal secondo comma dell'articolo 404 dello stesso codice. Se la domanda è trascritta dopo tre anni dalla trascrizione della sentenza impugnata, la sentenza che l'accoglie non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda.
Art. 2691.
(Altre domande e atti soggetti a trascrizione).
Devono del pari trascriversi, quando si riferiscono ai beni menzionati nell'art. 2683, le domande e gli atti indicati dai numeri 1, 3, 4 e 5 dell'art. 2653, per gli effetti ivi disposti.
Art. 2692.
(Annotazione della trascrizione delle domande e degli atti).
La trascrizione delle domande e degli atti indicati dai due articoli precedenti dev'essere anche annotata secondo le modalità stabilite dall'art. 2654.
Si osservano inoltre le disposizioni del primo, terzo e quarto comma dell'art. 2655 e quelle dell'art. 2656.
Art. 2693.
(Trascrizione del pignoramento e del sequestro).
Deve essere trascritto, dopo la notificazione, il provvedimento che ordina il sequestro conservativo per gli effetti disposti dall'art. 2906. Si deve trascrivere del pari l'atto di pignoramento per gli effetti disposti dagli articoli 2913, 2914, 2915 e 2916.
Art. 2694.
(Richiamo di altre leggi).
Sono salve le disposizioni del codice della navigazione e delle leggi speciali che richiedono la trascrizione di atti non contemplati dal presente capo e le altre disposizioni non incompatibili con quelle contenute nel capo medesimo.
Art. 2695.
(Forme e modalità della trascrizione).
Le forme e le modalità delle trascrizioni previste in questo capo sono regolate dal codice della navigazione, per quanto riguarda le navi e gli aeromobili, e dalla legge speciale per quanto riguarda gli autoveicoli.
In mancanza, si osservano le norme concernenti la trascrizione degli atti relativi ai beni immobili, in quanto sono applicabili.
Sezione II. -
Della trascrizione relativamente ad altri beni mobili.
Art. 2696.
(Rinvio).
Per gli altri beni mobili per cui è disposta la trascrizione di determinati atti si osservano le disposizioni delle leggi che li riguardano.
Titolo II.
Delle prove
Capo I.
Disposizioni generali.
Art. 2697.
(Onere della prova).
Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda.
Art. 2698.
(Patti relativi all'onere della prova).
Sono nulli i patti con i quali è invertito ovvero è modificato l'onere della prova, quando si tratta di diritti di cui le parti non possono disporre o quando l'inversione o la modificazione ha per effetto di rendere a una delle parti eccessivamente difficile l'esercizio del diritto.
Capo II.
Della prova documentale.
Sezione I. -
Dell'atto pubblico.
Art. 2699.
(Atto pubblico).
L'atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato.
Art. 2700.
(Efficacia dell'atto pubblico).
L'atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonchè delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.
Art. 2701.
(Conversione dell'atto pubblico).
Il documento formato da ufficiale pubblico incompetente o incapace ovvero senza l'osservanza delle formalità prescritte, se è stato sottoscritto dalle parti, ha la stessa efficacia probatoria della scrittura privata.
Sezione II. -
Della scrittura privata.
Art. 2702.
(Efficacia della scrittura privata).
La scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta.
Art. 2703.
(Sottoscrizione autenticata).
Si ha per riconosciuta la sottoscrizione autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
L'autenticazione consiste nell'attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza. Il pubblico ufficiale deve previamente accertare l'identità della persona che sottoscrive.
Art. 2704.
(Data della scrittura privata nei confronti dei terzi).
La data della scrittura privata della quale non è autenticata la sottoscrizione non è certa e computabile riguardo ai terzi, se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l'hanno sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubblici o, infine, dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l'anteriorita della formazione del documento.
La data della scrittura privata che contiene dichiarazioni unilaterali non destinate a persona determinata può essere accertata con qualsiasi mezzo di prova.
Per l'accertamento della data nelle quietanze il giudice, tenuto conto delle circostanze, può ammettere qualsiasi mezzo di prova.
Art. 2705.
(Telegramma).
Il telegramma ha l'efficacia probatoria della scrittura privata, se l'originale consegnato all'ufficio di partenza è sottoscritto dal mittente, ovvero se è stato consegnato o fatto consegnare dal mittente medesimo, anche senza sottoscriverlo.
La sottoscrizione può essere autenticata da notaio.
Se l'identità della persona che ha sottoscritto l'originale del telegramma è stata accertata nei modi stabiliti dai regolamenti, è ammessa la prova contraria.
Il mittente può fare indicare nel telegramma se l'originale è stato firmato con o senza autenticazione.
Art. 2706.
(Conformità tra originale e riproduzione del telegramma).
La riproduzione del telegramma consegnata al destinatario si presume, fino a prova contraria, conforme all'originale.
Il mittente, se ha fatto collazionare il telegramma secondo le disposizioni dei regolamenti, si presume esente da colpa per le divergenze verificatesi tra originale e riproduzione.
Art. 2707.
(Carte e registri domestici).
Le carte e i registri domestici fanno prova contro chi li ha scritti: 1) quando enunciano espressamente un pagamento ricevuto; 2) quando contengono la menzione espressa che l'annotazione è stata fatta per supplire alla mancanza di titolo in favore di chi è indicato come creditore.
Art. 2708.
(Annotazione in calce, in margine o a tergo di un documento).
L'annotazione fatta dal creditore in calce, in margine o a tergo di un documento rimasto in suo possesso fa prova, benchè non sottoscritta da lui, se tende ad accertare la liberazione del debitore.
Lo stesso valore ha l'annotazione fatta dal creditore in calce, in margine o a tergo di una quietanza o di un esemplare del documento del debito posseduto dal debitore.
Sezione III. -
Delle scritture contabili delle imprese soggette a registrazione.
Art. 2709.
(Efficacia probatoria contro l'imprenditore).
I libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l'imprenditore. Tuttavia chi vuol trarne vantaggio non può scinderne il contenuto.
Art. 2710.
(Efficacia probatoria tra imprenditori).
I libri bollati e vidimati nelle forme di legge, quando sono regolarmente tenuti, possono fare prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa.
Art. 2711.
(Comunicazione ed esibizione).
La comunicazione integrale dei libri, delle scritture contabili e della corrispondenza può essere ordinata dal giudice solo nelle controversie relative allo scioglimento della società, alla comunione dei beni e alla successione per causa di morte.
Negli altri casi il giudice può ordinare, anche d'ufficio, che si esibiscano i libri per estrarne le registrazioni concernenti la controversia in corso. Può ordinare altresì l'esibizione di singole scritture contabili, lettere, telegrammi o fatture concernenti la controversia stessa.
Sezione IV. -
Delle riproduzioni meccaniche.
Art. 2712.
(Riproduzioni meccaniche).
Le riproduzioni fotografiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.
Sezione V. -
Delle taglie o tacche di contrassegno.
Art. 2713.
(Taglie o tacche di contrassegno).
Le taglie o tacche di contrassegno corrispondenti al contrassegno di riscontro formano piena prova tra coloro che usano provare in tal modo le somministrazioni che fanno o ricevono al minuto.
Sezione VI. -
Delle copie degli atti.
Art. 2714.
(Copie di atti pubblici).
Le copie di atti pubblici spedite nelle forme prescritte da depositari pubblici autorizzati fanno fede come l'originale.
La stessa fede fanno le copie di copie di atti pubblici originali, spedite da depositari pubblici di esse, a ciò autorizzati.
Art. 2715.
(Copie di scritture private, originali depositate).
Le copie delle scritture private depositate presso pubblici uffici e spedite da pubblici depositari autorizzati hanno la stessa efficacia della scrittura originale da cui sono estratte.
Art. 2716.
(Mancanza dell'atto originale o di copia depositata).
In mancanza dell'originale dell'atto pubblico o di una copia di esso presso un pubblico depositario, le copie spedite in conformità dell'art. 2714 fanno piena prova; ma se tali copie, o anche la copia esistente presso un pubblico depositario quando manca l'originale, presentano cancellature, abrasioni, intercalazioni o altri difetti esteriori, è rimesso al giudice di apprezzarne l'efficacia probatoria.
In mancanza dell'originale scrittura privata, le copie di essa spedite in conformità dell'art. 2715 fanno egualmente prova; ma se presentano cancellature, abrasioni, intercalazioni o altri difetti esteriori, è rimesso parimenti al giudice di apprezzarne l'efficacia probatoria. Resta in ogni caso salva la questione circa l'autenticità dell'originale mancante.
Art. 2717.
(Valore probatorio di altre copie).
Le copie rilasciate da pubblici ufficiali fuori dei casi contemplati dagli articoli precedenti hanno l'efficacia di un principio di prova per iscritto.
Art. 2718.
(Valore probatorio di copie parziali).
Le copie parziali o le riproduzioni per estratto, rilasciate nella forma prescritta da pubblici ufficiali che ne sono depositari e sono debitamente autorizzati, fanno piena prova solo per quella parte dell'originale che riproducono letteralmente.
Art. 2719.
(Copie fotografiche di scritture).
Le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l'originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta.
Sezione VII. -
Degli atti di ricognizione o di rinnovazione.
Art. 2720.
(Efficacia probatoria).
L'atto di ricognizione o di rinnovazione fa piena prova delle dichiarazioni contenute nel documento originale, se non si dimostra, producendo quest'ultimo, che vi è stato errore nella ricognizione o nella rinnovazione.
Capo III.
Della prova testimoniale.
Art. 2721.
(Ammissibilità: limiti di valore).
La prova per testimoni dei contratti non è ammessa quando il valore dell'oggetto eccede le lire cinquemila.
Tuttavia l'autorità giudiziaria può consentire la prova oltre il limite anzidetto, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza.
Art. 2722.
(Patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento).
La prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea.
Art. 2723.
(Patti posteriori alla formazione del documento).
Qualora si alleghi che, dopo la formazione di un documento, è stato stipulato un patto aggiunto o contrario al contenuto di esso, l'autorità giudiziaria può consentire la prova per testimoni soltanto se, avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura del contratto e a ogni altra circostanza, appare verosimile che siano state fatte aggiunte o modificazioni verbali.
Art. 2724.
(Eccezioni al divieto della prova testimoniale).
La prova per testimoni è ammessa in ogni caso: 1) quando vi è un principio di prova per iscritto: questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato; 2) quando il contraente è stato nell'impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta; 3) quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova.
Art. 2725.
(Atti per i quali è richiesta la prova per iscritto o la forma scritta).
Quando, secondo la legge o la volontà delle parti, un contratto deve essere provato per iscritto, la prova per testimoni è ammessa soltanto nel caso indicato dal n. 3 dell'articolo precedente.
La stessa regola si applica nei casi in cui la forma scritta è richiesta sotto pena di nullità.
Art. 2726.
(Prova del pagamento e della remissione).
Le norme stabilite per la prova testimoniale dei contratti si applicano anche al pagamento e alla remissione del debito.
Capo IV.
Delle presunzioni.
Art. 2727.
(Nozione).
Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato.
Art. 2728.
(Prova contro le presunzioni legali).
Le presunzioni legali dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite.
Contro le presunzioni sul fondamento delle quali la legge dichiara nulli certi atti o non ammette l'azione in giudizio non può essere data prova contraria, salvo che questa sia consentita dalla legge stessa.
Art. 2729.
(Presunzioni semplici).
Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti.
Le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni.
Capo V.
Della confessione.
Art. 2730.
(Nozione).
La confessione è la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all'altra parte.
La confessione è giudiziale o stragiudiziale.
Art. 2731.
(Capacità richiesta per la confessione).
La confessione non è efficace se non proviene da persona capace di disporre del diritto, a cui i fatti confessati si riferiscono. Qualora sia resa da un rappresentante, è efficace solo se fatta entro i limiti e nei modi in cui questi vincola il rappresentato.
Art. 2732.
(Revoca della confessione).
La confessione non può essere revocata se non si prova che è stata determinata da errore di fatto o da violenza.
Art. 2733.
(Confessione giudiziale).
E` giudiziale la confessione resa in giudizio.
Essa forma piena prova contro colui che l'ha fatta, purchè non verta su fatti relativi a diritti non disponibili.
In caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è liberamente apprezzata dal giudice.
Art. 2734.
(Dichiarazioni aggiunte alla confessione).
Quando alla dichiarazione indicata dall'art. 2730 si accompagna quella di altri fatti o circostanze tendenti a infirmare l'efficacia del fatto confessato ovvero a modificarne o a estinguerne gli effetti, le dichiarazioni fanno piena prova nella loro integrità se l'altra parte non contesta la verità dei fatti o delle circostanze aggiunte. In caso di contestazione, è rimesso al giudice di apprezzare, secondo le circostanze, l'efficacia probatoria delle dichiarazioni.
Art. 2735.
(Confessione stragiudiziale).
La confessione stragiudiziale fatta alla parte o a chi la rappresenta ha la stessa efficacia probatoria di quella giudiziale. Se è fatta a un terzo o se è contenuta in un testamento, è liberamente apprezzata dal giudice.
La confessione stragiudiziale non può provarsi per testimoni, se verte su un oggetto per il quale la prova testimoniale non è ammessa dalla legge.
Capo VI.
Del giuramento.
Art. 2736.
(Specie).
Il giuramento è di due specie: 1) è decisorio quello che una parte deferisce all'altra per farne dipendere la decisione totale o parziale della causa; 2) è suppletorio quello che è deferito d'ufficio dal giudice a una delle parti al fine di decidere la causa quando la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate, ma non sono del tutto sfornite di prova, ovvero quello che è deferito al fine di stabilire il valore della cosa domandata, se non si può accertarlo altrimenti.
Art. 2737.
(Capacità delle parti).
Per deferire o riferire il giuramento si richiedono le condizioni indicate dall'art. 2731.
Art. 2738.
(Efficacia).
Se è stato prestato il giuramento deferito o riferito, l'altra parte non è ammessa a provare il contrario, nè può chiedere la revocazione della sentenza qualora il giuramento sia stato dichiarato falso.
Può tuttavia domandare il risarcimento dei danni nel caso di condanna penale per falso giuramento. Se la condanna penale non può essere pronunziata perchè il reato è estinto, il giudice civile può conoscere del reato al solo fine del risarcimento.
In caso di litisconsorzio necessario, il giuramento prestato da alcuni soltanto dei litisconsorti è liberamente apprezzato dal giudice.
Art. 2739.
(Oggetto).
Il giuramento non può essere deferito o riferito per la decisione di cause relative a diritti di cui le parti non possono disporre, nè sopra un fatto illecito o sopra un contratto per la validità del quale sia richiesta la forma scritta, nè per negare un fatto che da un atto pubblico risulti avvenuto alla presenza del pubblico ufficiale che ha formato l'atto stesso.
Il giuramento non può essere deferito che sopra un fatto proprio della parte a cui si deferisce o sulla conoscenza che essa ha di un fatto altrui e non può essere riferito qualora il fatto che ne è l'oggetto non sia comune a entrambe le parti.
Titolo III.
Della responsabilità patrimoniale, delle cause di prelazione e della conservazione della garanzia patrimoniale
Capo I.
Disposizioni generali.
Art. 2740.
(Responsabilità patrimoniale).
Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge.
Art. 2741.
(Concorso dei creditori e cause di prelazione).
I creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione.
Sono cause legittime di prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche.
Art. 2742.
(Surrogazione dell'indennità alla cosa).
Se le cose soggette a privilegio, pegno o ipoteca sono perite o deteriorate, le somme dovute dagli assicuratori per indennità della perdita o del deterioramento sono vincolate al pagamento dei crediti privilegiati, pignoratizi o ipotecari, secondo il loro grado, eccetto che le medesime vengano impiegate a riparare la perdita o il deterioramento. L'autorità giudiziaria può, su istanza degli interessati, disporre le opportune cautele per assicurare l'impiego delle somme nel ripristino o nella riparazione della cosa.
Gli assicuratori sono liberati qualora paghino dopo trenta giorni dalla perdita o dal deterioramento, senza che sia stata fatta opposizione. Quando però si tratta di immobili su cui gravano iscrizioni, gli assicuratori non sono liberati se non dopo che è decorso senza opposizione il termine di trenta giorni dalla notificazione ai creditori iscritti del fatto che ha dato luogo alla perdita o al deterioramento.
Sono del pari vincolate al pagamento dei crediti suddetti le somme dovute per causa di servitù coattive o di comunione forzosa o di espropriazione per pubblico interesse, osservate, per quest'ultima, le disposizioni della legge speciale.
Art. 2743.
(Diminuzione della garanzia).
Qualora la cosa data in pegno o sottoposta a ipoteca perisca o si deteriori, anche per caso fortuito, in modo da essere insufficiente alla sicurezza del creditore, questi può chiedere che gli sia prestata idonea garanzia su altri beni e, in mancanza, può chiedere l'immediato pagamento del suo credito.
Art. 2744.
(Divieto del patto commissorio).
E` nullo il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell'ipoteca o del pegno.
Capo II.
Dei privilegi.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 2745.
(Fondamento del privilegio).
Il privilegio è accordato dalla legge in considerazione della causa del credito. La costituzione del privilegio può tuttavia dalla legge essere subordinata alla convenzione delle parti; può anche essere subordinata a particolari forme di pubblicità.
Art. 2746.
(Distinzione dei privilegi).
Il privilegio è generale o speciale. Il primo si esercita su tutti i beni mobili del debitore, il secondo su determinati beni mobili o immobili.
Art. 2747.
(Efficacia del privilegio).
Il privilegio generale non può esercitarsi in pregiudizio dei diritti spettanti ai terzi sui mobili che ne formano oggetto, salvo quanto è disposto dagli articoli 2913, 2914, 2915 e 2916.
Se la legge non dispone diversamente, il privilegio speciale sui mobili, sempre che sussista la particolare situazione alla quale è subordinato, può esercitarsi in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi posteriormente al sorgere di esso.
Art. 2748.
(Efficacia del privilegio speciale rispetto al pegno e alle ipoteche).
Se la legge non dispone altrimenti, il privilegio speciale sui beni mobili non può esercitarsi in pregiudizio del creditore pignoratizio.
I creditori che hanno privilegio sui beni immobili sono preferiti ai creditori ipotecari se la legge non dispone diversamente.
Art. 2749.
(Estensione del privilegio).
Il privilegio accordato al credito si estende alle spese ordinarie per l'intervento nel processo di esecuzione. Si estende anche agli interessi dovuti per l'anno in corso alla data del pignoramento e per quelli dell'anno precedente.
Gli interessi successivamente maturati hanno privilegio nei limiti della misura legale fino alla data della vendita.
Art. 2750.
(Privilegi marittimi, aeronautici e privilegi stabiliti da leggi speciali).
I privilegi sulla nave, sul nolo e sulle cose caricate e i privilegi sull'aeromobile, sul nolo e sulle cose caricate sono regolati dal codice della navigazione.
Ai privilegi previsti da leggi speciali si applicano le norme di questo capo, se non è diversamente disposto.
Sezione II. -
Dei privilegi sui mobili.
§ 1. -
Dei privilegi generali sui mobili.
Art. 2751.
(Crediti per spese funebri, d'infermità, alimenti, retribuzioni).
Hanno privilegio generale sui mobili, nell'ordine che segue, i crediti riguardanti: 1) le spese funebri necessarie secondo gli usi; 2) le spese d'infermità fatte negli ultimi sei mesi della vita del debitore; 3) le somministrazioni di vitto, vesti e alloggio, nei limiti della stretta necessità, fatte al debitore per lui e per la sua famiglia negli ultimi sei mesi; 4) le retribuzioni dovute, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro subordinato per gli ultimi sei mesi e tutte le indennità dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro; 5) le retribuzioni dei professionisti e di ogni altro prestatore d'opera intellettuale dovute per l'ultimo anno; 6) le provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia dovute per gli ultimi sei mesi e le indennità dovute per la cessazione del rapporto medesimo; 7) i crediti di alimenti per gli ultimi tre mesi a favore delle persone alle quali gli alimenti sono dovuti per legge.
Art. 2752.
(Crediti per tributi diretti dello Stato e per tributi degli enti locali).
Hanno privilegio generale sui mobili del debitore i crediti dello Stato per ogni tributo diretto, eccettuato quello fondiario, iscritti nel ruolo principale dell'anno in cui l'esattore procede o interviene nell'esecuzione e nel ruolo dell'anno precedente.
Qualora si tratti di ruolo suppletivo, il privilegio non può esercitarsi per un importo superiore a quello dell'ultimo biennio.
Hanno lo stesso privilegio, subordinatamente a quello dello Stato, i crediti per le imposte, tasse e tributi dei comuni e delle provincie, previsti dalla legge per la finanza locale, esclusi i tributi indicati dagli articoli 2771 e 2773.
Art. 2753.
(Crediti per contributi di previdenza sociale).
Hanno privilegio generale sui mobili del datore di lavoro i crediti derivanti dal mancato versamento dei contributi assicurativi dovuti in conformità delle leggi sulla previdenza sociale.
Art. 2754.
(Crediti per contributi di assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali).
Hanno pure privilegio generale sui mobili del datore di lavoro i crediti per i premi e i contributi di assicurazione con i relativi interessi, nonchè per le somme supplementari a titolo di penale, riferentisi all'anno in corso al tempo dell'esecuzione e ai due precedenti, in conformità della legge sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
§ 2. -
Dei privilegi sopra determinati mobili.
Art. 2755.
(Spese per atti conservativi o di espropriazione).
I crediti per spese di giustizia fatte per atti conservativi o per l'espropriazione di beni mobili nell'interesse comune dei creditori hanno privilegio sui beni stessi.
Art. 2756.
(Crediti per prestazioni e spese di conservazione e miglioramento).
I crediti per le prestazioni e le spese relative alla conservazione o al miglioramento di beni mobili hanno privilegio sui beni stessi, purchè questi si trovino ancora presso chi ha fatto le prestazioni o le spese.
Il privilegio ha effetto anche in pregiudizio dei terzi che hanno diritti sulla cosa, qualora chi ha fatto le prestazioni o le spese sia stato in buona fede.
Il creditore può ritenere la cosa soggetta al privilegio finchè non è soddisfatto del suo credito e può anche venderla secondo le norme stabilite per la vendita del pegno.
Art. 2757.
(Crediti per somministrazioni e lavori occorrenti per la produzione agricola).
I crediti per le somministrazioni di sementi, di materie fertilizzanti e antiparassitarie e di acqua per irrigazione, come pure i crediti per lavori di coltivazione e di raccolta dell'annata agricola hanno privilegio sui frutti, alla cui produzione abbiano concorso.
Il privilegio si può esercitare finchè i frutti si trovano nel fondo o nelle sue dipendenze.
Si applica la disposizione del secondo comma dell'articolo 2756.
Art. 2758.
(Crediti per tributi indiretti).
I crediti dello Stato per i tributi indiretti hanno privilegio sui mobili ai quali i tributi si riferiscono e sugli altri beni indicati dalle leggi relative, con l'effetto da esse stabilito.
Il privilegio, per quanto riguarda l'imposta di successione, non ha effetto in pregiudizio dei creditori che hanno esercitato il diritto di separazione dei beni del defunto da quelli dell'erede.
Lo stesso privilegio, subordinatamente a quello dello Stato, hanno i crediti dei comuni per l'imposta di consumo, in conformità della legge speciale.
Art. 2759.
(Crediti per imposta di ricchezza mobile).
I crediti dello Stato per l'imposta di ricchezza mobile, dovuta per l'anno in corso e per il precedente, in dipendenza dell'esercizio di commercio, industria, arte o professione, hanno privilegio sopra i mobili che servono a tale esercizio e sopra le merci che si trovano nel locale adibito all'esercizio stesso o nell'abitazione del contribuente, in conformità della legge speciale.
Hanno lo stesso privilegio, subordinatamente a quello dello Stato, i crediti dei comuni e delle provincie per l'imposta sulle industrie, i commerci, le arti e le professioni e relativa addizionale.
Art. 2760.
(Crediti dell'albergatore).
I crediti dell'albergatore per mercedi e somministrazioni verso le persone albergate hanno privilegio sulle cose da queste portate nell'albergo e nelle dipendenze e che continuano a trovarvisi.
Il privilegio ha effetto anche in pregiudizio dei terzi che hanno diritti sulle cose stesse, a meno che l'albergatore fosse a conoscenza di tali diritti al tempo in cui le cose sono state portate nell'albergo.
Art. 2761.
(Crediti del vettore, del mandatario, del depositario e del sequestratario).
I crediti dipendenti dal contratto di trasporto e quelli per le spese d'imposta anticipate dal vettore hanno privilegio sulle cose trasportate finchè queste rimangono presso di lui.
I crediti derivanti dall'esecuzione del mandato hanno privilegio sulle cose del mandante che il mandatario detiene per l'esecuzione del mandato.
I crediti derivanti dal deposito o dal sequestro convenzionale a favore del depositario e del sequestratario hanno parimenti privilegio sulle cose che questi detengono per effetto del deposito o del sequestro.
Si applicano a questi privilegi le disposizioni del secondo e del terzo comma dell'art. 2756.
Art. 2762.
(Privilegio del venditore di macchine).
Chi ha venduto macchine per un prezzo superiore a lire trentamila ha privilegio per il prezzo non pagato sulle macchine vendute e consegnate, anche se sono incorporate o congiunte all'immobile di proprietà del compratore o di un terzo.
Il privilegio è subordinato alla trascrizione dei documenti, dai quali la vendita e il credito risultano, nel registro indicato dal secondo comma dell'art. 1524. La trascrizione è eseguita presso il tribunale nella giurisdizione del quale è collocata la macchina.
Il privilegio dura per un triennio dalla data della vendita e ha effetto fino a quando la macchina si trova in possesso del compratore nel luogo dove è stata eseguita la trascrizione, salvo il caso di sottrazione fraudolenta.
Il privilegio stabilito in questo articolo spetta anche alle banche autorizzate all'esercizio di prestiti con garanzia sul macchinario, le quali abbiano anticipato al compratore il prezzo per l'acquisto. Il privilegio sussiste a condizione che il documento rilasciato a prova della sovvenzione indichi lo scopo, l'ammontare e la scadenza del credito, contenga l'esatta designazione della macchina soggetta al privilegio e sia trascritto a norma del secondo comma di questo articolo.
Se il privilegio della banca concorre con quello del venditore, è preferito il creditore che ha trascritto per primo.
Art. 2763.
(Crediti per canoni enfiteutici).
I crediti del concedente per il canone dovuto dall'enfiteuta per l'anno in corso e per il precedente hanno privilegio sui frutti dell'anno e su quelli raccolti anteriormente, purchè si trovino nel fondo o nelle sue dipendenze.
Art. 2764.
(Crediti del locatore di immobili).
Il credito delle pigioni e dei fitti degli immobili ha privilegio sui frutti dell'anno e su quelli raccolti anteriormente, nonchè sopra tutto ciò che serve a fornire l'immobile o a coltivare il fondo locato.
Il privilegio sussiste per il credito dell'anno in corso, dell'antecedente e dei successivi, se la locazione ha data certa, e, in caso diverso, per quello dell'anno in corso e del susseguente.
Lo stesso privilegio ha il credito dipendente da mancate riparazioni le quali siano a carico del conduttore, il credito per i danni arrecati all'immobile locato, per la mancata restituzione delle scorte e ogni altro credito dipendente da inadempimento del contratto.
Il privilegio sui frutti sussiste finchè si trovano nel fondo o nelle sue dipendenze. Esso si può far valere anche nei confronti del subconduttore.
Il privilegio sulle cose che servono a fornire l'immobile locato o alla coltivazione del fondo sussiste pure se le cose appartengono al subconduttore, nei limiti in cui il locatore ha azione contro il medesimo.
Il privilegio sulle cose che servono a fornire l'immobile locato ha luogo altresì nei confronti dei terzi, finchè le cose si trovano nell'immobile, salvo che si provi che il locatore conoscesse il diritto del terzo al tempo in cui sono state introdotte.
Qualora le cose che servono a fornire la casa o il fondo locato ovvero a coltivare il medesimo vengano asportate dall'immobile senza il consenso del locatore, questi conserva su di esse il privilegio, purchè ne domandi il sequestro, nei modi stabiliti dal codice di procedura civile per il sequestro conservativo, entro il termine di trenta giorni dall'asportazione, se si tratta di mobili che servono a fornire o a coltivare il fondo rustico, e di quindici giorni, se si tratta di mobili che servono a fornire la casa. Restano salvi in ogni caso i diritti acquistati dopo l'asportazione dai terzi che ignoravano l'esistenza del privilegio.
Art. 2765.
(Crediti derivanti dai contratti di mezzadria e di colonia).
Colui che concede un fondo a mezzadria o a colonia e il mezzadro o il colono hanno, per i crediti derivanti dal contratto, privilegio sulla rispettiva parte dei frutti e sulle cose che servono a coltivare o a fornire il fondo dato a mezzadria o a colonia.
Il privilegio sui frutti sussiste finchè questi si trovano nel fondo o nelle sue dipendenze.
Si applicano le disposizioni degli ultimi tre commi dell'art. 2764.
Art. 2766.
(Crediti degli istituti di credito agrario).
Gli istituti che esercitano il credito agrario hanno privilegio sui frutti del fondo per i mutui concessi per la conduzione dell'azienda agraria e per l'utilizzazione, manipolazione e trasformazione dei prodotti.
Per i mutui concessi per acquisto di bestiame, di macchine e di attrezzi agricoli essi hanno eguale privilegio sulle cose acquistate con il danaro preso a mutuo.
A garanzia dei crediti indicati dai commi precedenti, nonchè dei mutui per opere di miglioramento del fondo può essere inoltre costituito un privilegio sui frutti del fondo e sopra tutto ciò che serve a coltivare o a fornire il fondo stesso, limitatamente alla parte di valore che eccede l'ammontare dei crediti assistiti dal privilegio indicato dai due commi anzidetti.
I privilegi previsti da questo articolo sono regolati dalle leggi speciali.
Art. 2767.
(Crediti per risarcimento di danni contro l'assicurato).
Nel caso di assicurazione della responsabilità civile, il credito del danneggiato per il risarcimento ha privilegio sull'indennità dovuta dall'assicuratore.
Art. 2768.
(Crediti dipendenti da reato).
Per i crediti dipendenti da reato hanno privilegio sulle cose sequestrate lo Stato e le altre persone indicate dal codice penale, secondo le disposizioni del codice stesso e del codice di procedura penale.
Art. 2769.
(Sequestro della cosa soggetta a privilegio).
Il creditore che ha privilegio su una cosa mobile, se ha fondati motivi di temere la rimozione della cosa dalla particolare situazione alla quale è subordinata la sussistenza del privilegio, può domandarne il sequestro conservativo.
Sezione III. -
Dei privilegi sopra gli immobili.
Art. 2770.
(Crediti per atti conservativi o di espropriazione).
I crediti per le spese di giustizia fatte per atti conservativi o per l'espropriazione di beni immobili nell'interesse comune dei creditori sono privilegiati sul prezzo degli immobili stessi.
Del pari ha privilegio il credito dell'acquirente di un immobile per le spese fatte per la dichiarazione di liberazione dell'immobile dalle ipoteche.
Art. 2771.
(Crediti per il tributo fondiario e altri tributi diretti).
I crediti dello Stato per il tributo fondiario iscritto nel ruolo dell'anno in cui si procede all'esecuzione e dell'anno precedente, nonchè i crediti per le sovrimposte comunali e provinciali per lo stesso periodo di tempo sono privilegiati sopra gli immobili tutti del contribuente situati nel territorio del comune in cui il tributo si riscuote, e sopra i frutti, i fitti e le pigioni degli stessi immobili, senza pregiudizio dei mezzi speciali di esecuzione autorizzati dalla legge.
Eguale privilegio, per lo stesso periodo di tempo, hanno i crediti dello Stato per ogni altro tributo diretto sopra gli immobili ai quali il tributo si riferisce, in conformità delle leggi speciali.
Se si tratta di ruoli suppletivi, il privilegio non può esercitarsi per un importo superiore a quello dell'ultimo biennio.
Art. 2772.
(Crediti dello Stato per tributi indiretti).
Hanno pure privilegio i crediti dello Stato per ogni tributo indiretto sopra gli immobili ai quali il tributo si riferisce. Il privilegio non si può esercitare in pregiudizio dei diritti che i terzi hanno anteriormente acquistati sugli immobili. Se si tratta d'imposta di registro suppletiva, il privilegio non si può neppure esercitare in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi dopo la registrazione dell'atto.
Lo stesso privilegio, per quanto riguarda l'imposta di successione, non ha effetto a danno dei creditori del defunto che hanno iscritto la loro ipoteca nei tre mesi dalla morte di lui, nè ha effetto a danno dei creditori che hanno esercitato il diritto di separazione dei beni del defunto da quelli dell'erede.
Art. 2773.
(Crediti dei comuni e delle provincie per tributi).
I crediti dei comuni e delle provincie per i tributi previsti dalla legge per la finanza locale hanno privilegio sopra gli immobili ai quali i tributi stessi si riferiscono.
Il privilegio non è opponibile ai terzi che hanno acquistato anteriormente diritti sugli immobili.
Art. 2774.
(Crediti per concessione di acque).
I crediti dello Stato per i canoni dovuti dai concessionari di acque pubbliche o di acque derivate da canali demaniali ovvero per i lavori eseguiti d'ufficio sono privilegiati sugli impianti, in conformità delle leggi speciali.
Tale privilegio, per quanto riguarda i canoni, non è opponibile ai terzi che hanno acquistato diritti sugli immobili anteriormente all'atto di concessione o, trattandosi di crediti per lavori, anteriormente al sorgere dei crediti stessi.
Art. 2775.
(Contributi per opere di bonifica e di miglioramento).
I crediti per i contributi indicati dall'art. 864 sono privilegiati sugli immobili che traggono beneficio dalle opere di bonifica o di miglioramento.
La costituzione del privilegio per le opere di miglioramento è subordinata all'osservanza delle leggi speciali.
Art. 2776.
(Collocazione sussidiaria sugli immobili).
I crediti indicati dall'art. 2751, nel caso di infruttuosa esecuzione sui mobili, sono collocati sussidiariamente sul prezzo degli immobili, con preferenza rispetto ai crediti chirografari.
Sezione IV. -
Dell'ordine dei privilegi.
Art. 2777.
(Preferenza delle spese di giustizia).
I crediti per spese di giustizia enunciati dagli articoli 2755 e 2770 sono preferiti a ogni altro credito, anche pignoratizio o ipotecario. I privilegi che le leggi speciali dichiarano genericamente preferiti a ogni altro credito sono sempre posposti al privilegio per le spese di giustizia.
Art. 2778.
(Ordine degli altri privilegi sui mobili).
Salvo quanto è disposto dall'articolo precedente, nel concorso di crediti aventi privilegio generale o speciale sulla medesima cosa, la prelazione si esercita nell'ordine che segue: 1) i crediti per il tributo fondiario, indicati dall'art. 2771, quando il privilegio si esercita separatamente sopra i frutti, i fitti e le pigioni degli immobili; 2) i crediti degli istituti esercenti il credito agrario, indicati dai due primi commi dell'art. 2766; 3) i crediti per prestazioni e spese di conservazione e miglioramento di beni mobili, indicati dall'articolo 2756; 4) i crediti per sementi e materie fertilizzanti e antiparassitarie e per somministrazione di acqua per irrigazione, nonchè i crediti per i lavori di coltivazione e di raccolta, indicati dall'art. 2757. Qualora tali crediti vengano in concorso tra loro, sono preferiti quelli di raccolta; seguono quelli di coltivazione e, infine, gli altri crediti indicati dallo stesso articolo; 5) i crediti per tributi indiretti, indicati dall'articolo 2758, salvo che la legge speciale accordi un diverso grado di preferenza, e i crediti per l'imposta di ricchezza mobile, indicati dall'art. 2759; 6) i crediti degli istituti esercenti il credito agrario, indicati dal terzo comma dell'art. 2766; 7) i crediti dipendenti da reato, indicati dall'articolo 2768, sulle cose sequestrate, nei casi e secondo l'ordine stabilito dal codice penale e dal codice di procedura penale; 8) i crediti per risarcimento, indicati dall'articolo 2767; 9) i crediti dell'albergatore, indicati dall'art. 2760; 10) i crediti del vettore, del mandatario, del depositario e del sequestratario, indicati dall'art. 2761; 11) i crediti del venditore di macchine, o della banca per le anticipazioni del prezzo, indicati dall'art. 2762; 12) i crediti per canoni enfiteutici, indicati dall'art. 2763; 13) i crediti del locatore e i crediti dipendenti dai contratti di mezzadria e colonia, indicati rispettivamente dagli articoli 2764 e 2765. Concorrendo le due categorie di crediti, è preferito quello del locatore; 14) i crediti per spese funebri, d'infermità, per somministrazioni, retribuzioni, provvigioni, indennità e alimenti, nell'ordine indicato dall'art. 2751; 15) i crediti dello Stato per tributi diretti, indicati dal primo comma dell'art. 2752; 16) i crediti degli enti locali per tributi, indicati dal terzo comma dell'art. 2752; i contributi di assicurazione e gli altri crediti accessori, indicati dagli articoli 2753 e 2754.
Art. 2779.
(Concorso dei privilegi con ipoteche sugli autoveicoli).
Se i privilegi indicati dall'articolo precedente concorrono con le ipoteche sugli autoveicoli, menzionate nell'art. 2810, queste sono posposte ai privilegi menzionati nei primi sette numeri dell'art. 2778 e sono preferite a tutti gli altri.
Art. 2780.
(Ordine dei privilegi sugli immobili).
Quando sul prezzo dello stesso immobile concorrono più crediti privilegiati, la prelazione ha luogo secondo l'ordine seguente: 1) i crediti per i tributi diretti, indicati dall'articolo 2771; 2) i crediti per i contributi, indicati dall'art. 2775; 3) i crediti dello Stato per le concessioni di acque, indicati dall'art. 2774; 4) i crediti dello Stato per i tributi indiretti, indicati dall'art. 2772; 5) i crediti dei comuni e delle provincie per i tributi, indicati dall'art. 2773.
Art. 2781.
(Concorso di privilegi speciali con crediti pignoratizi).
Qualora con crediti assistiti da privilegio speciale concorra un credito garantito con pegno e uno dei privilegi debba essere preferito rispetto al pegno, tale privilegio prevale su quegli altri che devono essere posposti al pegno, anche se anteriori di grado.
Art. 2782.
(Concorso di crediti egualmente privilegiati).
I crediti egualmente privilegiati concorrono tra loro in proporzione del rispettivo importo.
La stessa disposizione si osserva quando concorrono tra loro più crediti privilegiati ai quali le leggi speciali attribuiscono genericamente una prelazione su ogni altro credito.
Art. 2783.
(Preferenza non determinata dalla legge).
Quando dalla legge non risulta il grado di preferenza di un determinato privilegio speciale, esso prende grado dopo ogni altro privilegio speciale regolato nel codice.
Capo III.
Del pegno.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 2784.
(Nozione).
Il pegno è costituito a garanzia dell'obbligazione dal debitore o da un terzo per il debitore.
Possono essere dati in pegno i beni mobili, le universalità di mobili, i crediti e altri diritti aventi per oggetto beni mobili.
Art. 2785.
(Rinvio a leggi speciali).
Le disposizioni del presente capo non derogano alle leggi speciali concernenti casi e forme particolari di costituzione di pegno, nè a quelle concernenti gli istituti autorizzati a fare prestiti sopra pegni.
Sezione II. -
Del pegno dei beni mobili.
Art. 2786.
(Costituzione).
Il pegno si costituisce con la consegna al creditore della cosa o del documento che conferisce l'esclusiva disponibilità della cosa.
La cosa o il documento possono essere anche consegnati a un terzo designato dalle parti o possono essere posti in custodia di entrambe, in modo che il costituente sia nell'impossibilità di disporne senza la cooperazione del creditore.
Art. 2787.
(Prelazione del creditore pignoratizio).
Il creditore ha diritto di farsi pagare con prelazione sulla cosa ricevuta in pegno.
La prelazione non si può far valere se la cosa data in pegno non è rimasta in possesso del creditore o presso il terzo designato dalle parti.
Quando il credito garantito eccede la somma di lire cinquemila, la prelazione non ha luogo se il pegno non risulta da scrittura con data certa, la quale contenga sufficiente indicazione del credito e della cosa.
Se però il pegno risulta da polizza o da altra scrittura di enti che, debitamente autorizzati, compiono professionalmente operazioni di credito su pegno, la data della scrittura può essere accertata con ogni mezzo di prova.
Art. 2788.
(Prelazione per il credito degli interessi).
La prelazione ha luogo anche per gli interessi dell'anno in corso alla data del pignoramento o, in mancanza di questo, alla data della notificazione del precetto. La prelazione ha luogo inoltre per gli interessi successivamente maturati, nei limiti della misura legale, fino alla data della vendita.
Art. 2789.
(Rivendicazione della cosa da parte del creditore pignoratizio).
Il creditore che ha perduto il possesso della cosa ricevuta in pegno, oltre le azioni a difesa del possesso, può anche esercitare l'azione di rivendicazione, se questa spetta al costituente.
Art. 2790.
(Conservazione della cosa e spese relative).
Il creditore è tenuto a custodire la cosa ricevuta in pegno e risponde, secondo le regole generali, della perdita e del deterioramento di essa.
Colui che ha costituito il pegno è tenuto al rimborso delle spese occorse per la conservazione della cosa.
Art. 2791.
(Pegno di cosa fruttifera).
Se è data in pegno una cosa fruttifera, il creditore, salvo patto contrario, ha la facoltà di fare suoi i frutti, imputandoli prima alle spese e agli interessi e poi al capitale.
Art. 2792.
(Divieto di uso e disposizione della cosa).
Il creditore non può, senza il consenso del costituente, usare della cosa, salvo che l'uso sia necessario per la conservazione di essa. Egli non può darla in pegno o concederne ad altri il godimento.
In ogni caso, deve imputare l'utile ricavato prima alle spese e agli interessi e poi al capitale.
Art. 2793.
(Sequestro della cosa).
Se il creditore abusa della cosa data in pegno il costituente può domandarne il sequestro.
Art. 2794.
(Restituzione della cosa).
Colui che ha costituito il pegno non può esigerne la restituzione, se non sono stati interamente pagati il capitale e gli interessi e non sono state rimborsate le spese relative al debito e al pegno.
Se il pegno è stato costituito dal debitore e questi ha verso lo stesso creditore un altro debito sorto dopo la costituzione del pegno e scaduto prima che sia pagato il debito anteriore, il creditore ha soltanto il diritto di ritenzione a garanzia del nuovo credito.
Art. 2795.
(Vendita anticipata).
Se la cosa data in pegno si deteriora in modo da far temere che essa divenga insufficiente alla sicurezza del creditore, questi, previo avviso a colui che ha costituito il pegno, può chiedere al giudice l'autorizzazione a vendere la cosa.
Con il provvedimento che autorizza la vendita il giudice dispone anche circa il deposito del prezzo a garanzia del credito. Il costituente può evitare la vendita e farsi restituire il pegno, offrendo altra garanzia reale che il giudice riconosca idonea.
Il costituente può del pari, in caso di deterioramento o di diminuzione di valore della cosa data in pegno, domandare al giudice l'autorizzazione a venderla oppure chiedere la restituzione del pegno, offrendo altra garanzia reale che il giudice riconosca idonea.
Il costituente può chiedere al giudice l'autorizzazione a vendere la cosa, qualora si presenti un'occasione favorevole. Con il provvedimento di autorizzazione il giudice dispone le condizioni della vendita e il deposito del prezzo.
Art. 2796.
(Vendita della cosa).
Il creditore per il conseguimento di quanto gli è dovuto può far vendere la cosa ricevuta in pegno secondo le forme stabilite dall'articolo seguente.
Art. 2797.
(Forme della vendita).
Prima di procedere alla vendita il creditore, a mezzo di ufficiale giudiziario, deve intimare al debitore di pagare il debito e gli accessori, avvertendolo che, in mancanza, si procederà alla vendita. L'intimazione deve essere notificata anche al terzo che abbia costituito il pegno.
Se entro cinque giorni dall'intimazione non è proposta opposizione, o se questa è rigettata, il creditore può far vendere la cosa al pubblico incanto, o, se la cosa ha un prezzo di mercato, anche a prezzo corrente, a mezzo di persona autorizzata a tali atti. Se il debitore non ha residenza o domicilio eletto nel luogo di residenza del creditore, il termine per l'opposizione è determinato a norma dell'art. 166 del codice di procedura civile.
Il giudice, sull'opposizione del costituente, può limitare la vendita a quella tra più cose date in pegno, il cui valore basti a pagare il debito.
Per la vendita della cosa data in pegno le parti possono convenire forme diverse.
Art. 2798.
(Assegnazione della cosa in pagamento).
Il creditore può sempre domandare al giudice che la cosa gli venga assegnata in pagamento fino alla concorrenza del debito, secondo la stima da farsi con perizia o secondo il prezzo corrente, se la cosa ha un prezzo di mercato.
Art. 2799.
(Indivisibilità del pegno).
Il pegno è indivisibile e garantisce il credito finchè questo non è integralmente soddisfatto, anche se il debito o la cosa data in pegno è divisibile.
Sezione III. -
Del pegno di crediti e di altri diritti.
Art. 2800.
(Condizioni della prelazione).
Nel pegno di crediti la prelazione non ha luogo, se non quando il pegno risulta da atto scritto e la costituzione di esso è stata notificata al debitore del credito dato in pegno ovvero è stata da questo accettata con scrittura avente data certa.
Art. 2801.
(Consegna del documento).
Se il credito costituito in pegno risulta da un documento, il costituente è tenuto a consegnarlo al creditore.
Art. 2802.
(Riscossione d'interessi e di prestazioni periodiche).
Il creditore pignoratizio è tenuto a riscuotere gli interessi del credito o le altre prestazioni periodiche, imputandone l'ammontare in primo luogo alle spese e agli interessi e poi al capitale. Egli è tenuto a compiere gli atti conservativi del credito ricevuto in pegno.
Art. 2803.
(Riscossione del credito dato in pegno).
Il creditore pignoratizio è tenuto a riscuotere, alla scadenza, il credito ricevuto in pegno e, se questo ha per oggetto danaro o altre cose fungibili, deve, a richiesta del debitore, effettuarne il deposito nel luogo stabilito d'accordo o altrimenti determinato dall'autorità giudiziaria. Se il credito garantito è scaduto, il creditore può ritenere del danaro ricevuto quanto basta per il soddisfacimento delle sue ragioni e restituire il residuo al costituente o, se si tratta di cose diverse dal danaro, può farle vendere o chiederne l'assegnazione secondo le norme degli articoli 2797 e 2798.
Art. 2804.
(Assegnazione o vendita del credito dato in pegno).
Il creditore pignoratizio non soddisfatto può in ogni caso chiedere che gli sia assegnato in pagamento il credito ricevuto in pegno, fino a concorrenza del suo credito.
Se il credito non è ancora scaduto, egli può anche farlo vendere nelle forme stabilite dall'art. 2797.
Art. 2805.
(Eccezioni opponibili dal debitore del credito dato in pegno).
Il debitore del credito dato in pegno può opporre al creditore pignoratizio le eccezioni che gli spetterebbero contro il proprio creditore.
Se il debitore medesimo ha accettato senza riserve la costituzione del pegno, non può opporre al creditore pignoratizio la compensazione verificatasi anteriormente.
Art. 2806.
(Pegno di diritti diversi dai crediti).
Il pegno di diritti diversi dai crediti si costituisce nella forma rispettivamente richiesta per il trasferimento dei diritti stessi, fermo il disposto del terzo comma dell'art. 2787.
Sono salve le disposizioni delle leggi speciali.
Art. 2807.
(Norme applicabili al pegno di crediti).
Per tutto ciò che non è regolato nella presente sezione si osservano, in quanto applicabili, le norme della sezione precedente.
Capo IV.
Delle ipoteche.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 2808.
(Costituzione ed effetti dell'ipoteca).
L'ipoteca attribuisce al creditore il diritto di espropriare, anche in confronto del terzo acquirente, i beni vincolati a garanzia del suo credito e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall'espropriazione.
L'ipoteca può avere per oggetto beni del debitore o di un terzo e si costituisce mediante iscrizione nei registri immobiliari.
L'ipoteca è legale, giudiziale o volontaria.
Art. 2809.
(Specialità e indivisibilità dell'ipoteca).
L'ipoteca deve essere iscritta su beni specialmente indicati e per una somma determinata in danaro.
Essa è indivisibile e sussiste per intero sopra tutti i beni vincolati, sopra ciascuno di essi e sopra ogni loro parte.
Art. 2810.
(Oggetto dell'ipoteca).
Sono capaci d'ipoteca: 1) i beni immobili che sono in commercio con le loro pertinenze; 2) l'usufrutto dei beni stessi; 3) il diritto di superficie; 4) il diritto dell'enfiteuta e quello del concedente sul fondo enfiteutico.
Sono anche capaci d'ipoteca le rendite dello Stato nel modo determinato dalle leggi relative al debito pubblico, e inoltre le navi, gli aeromobili e gli autoveicoli, secondo le leggi che li riguardano.
Sono considerati ipoteche i privilegi iscritti sugli autoveicoli a norma della legge speciale.
Art. 2811.
(Miglioramenti e accessioni).
L'ipoteca si estende ai miglioramenti, nonchè alle costruzioni e alle altre accessioni dell'immobile ipotecato, salve le eccezioni stabilite dalla legge.
Art. 2812.
(Diritti costituiti sulla cosa ipotecata).
Le servitù di cui sia stata trascritta la costituzione dopo l'iscrizione dell'ipoteca non sono opponibili al creditore ipotecario, il quale può far subastare la cosa come libera. La stessa disposizione si applica per i diritti di usufrutto, di uso e di abitazione.
Tali diritti si estinguono con l'espropriazione del fondo e i titolari sono ammessi a far valere le loro ragioni sul ricavato, con preferenza rispetto alle ipoteche iscritte posteriormente alla trascrizione dei diritti medesimi.
Per coloro che hanno acquistato il diritto di superficie o il diritto d'enfiteusi sui beni soggetti all'ipoteca e hanno trascritto l'acquisto posteriormente all'iscrizione dell'ipoteca, si osservano le disposizioni relative ai terzi acquirenti.
Le cessioni e le liberazioni di pigioni e di fitti non scaduti, che non siano trascritte o siano inferiori al triennio, sono opponibili ai creditori ipotecari solo se hanno data certa anteriore al pignoramento e per un termine non superiore a un anno dal giorno del pignoramento.
Le cessioni e le liberazioni trascritte non sono opponibili ai creditori ipotecari anteriori alla trascrizione, se non per il termine stabilito dal comma precedente.
Art. 2813.
(Pericolo di danno alle cose ipotecate).
Qualora il debitore o un terzo compia atti da cui possa derivare il perimento o il deterioramento dei beni ipotecati, il creditore può domandare all'autorità giudiziaria che ordini la cessazione di tali atti o disponga le cautele necessarie per evitare il pregiudizio della sua garanzia.
Art. 2814.
(Ipoteca sull'usufrutto e sulla nuda proprietà).
Le ipoteche costituite sull'usufrutto si estinguono col cessare di questo. Tuttavia, se la cessazione si verifica per rinunzia o per abuso da parte dell'usufruttuario ovvero per acquisto della nuda proprietà da parte del medesimo, l'ipoteca perdura fino a che non si verifichi l'evento che avrebbe altrimenti prodotto l'estinzione dell'usufrutto.
Se la nuda proprietà è gravata da ipoteca, questa, avvenendo l'estinzione dell'usufrutto, si estende alla piena proprietà. Ma nei casi in cui, secondo la disposizione del comma precedente, perdura l'ipoteca costituita sull'usufrutto, l'estensione non pregiudica il credito garantito con l'ipoteca stessa.
Art. 2815.
(Ipoteca sul diritto del concedente e sul diritto dell'enfiteuta).
Nel caso di affrancazione, le ipoteche gravanti sul diritto del concedente si risolvono sul prezzo dovuto per l'affrancazione; le ipoteche gravanti sul diritto dell'enfiteuta si estendono alla piena proprietà.
Nel caso di devoluzione o di cessazione dell'enfiteusi per decorso del termine, le ipoteche gravanti sul diritto dell'enfiteuta si risolvono sul prezzo dovuto per i miglioramenti, senza deduzione di quanto è dovuto al concedente per i canoni non soddisfatti. Il prezzo dei miglioramenti, se da atto scritto non risulta concordato con i creditori ipotecari, deve determinarsi giudizialmente, anche in contraddittorio dei medesimi. Le ipoteche gravanti sul diritto del concedente si estendono alla piena proprietà.
Quando l'enfiteusi si estingue per prescrizione, si estinguono le ipoteche che gravano sul diritto dell'enfiteuta.
Se per causa diversa da quelle sopra indicate vengono a riunirsi in una medesima persona il diritto del concedente e il diritto dell'enfiteuta, le ipoteche gravanti sull'uno e sull'altro continuano a gravarli separatamente; ma se l'ipoteca grava soltanto sull'uno o sull'altro diritto, essa si estende alla piena proprietà.
Art. 2816.
(Ipoteca sul diritto di superficie).
Le ipoteche che hanno per oggetto il diritto di superficie si estinguono nel caso di devoluzione della superficie al proprietario del suolo per decorso del termine. Se però il superficiario ha diritto a un corrispettivo, le ipoteche iscritte contro di lui si risolvono sul corrispettivo medesimo. Le ipoteche iscritte contro il proprietario del suolo non si estendono alla superficie.
Se per altre cause si riuniscono nella medesima persona il diritto del proprietario del suolo e quello del superficiario, le ipoteche sull'uno e sull'altro diritto continuano a gravare separatamente i diritti stessi.
Sezione II. -
Dell'ipoteca legale.
Art. 2817.
(Persone a cui compete).
Hanno ipoteca legale: 1) l'alienante sopra gli immobili alienati per l'adempimento degli obblighi che derivano dall'atto di alienazione; 2) i coeredi, i soci e altri condividenti per il pagamento dei conguagli sopra gli immobili assegnati ai condividenti ai quali incombe tale obbligo; 3) la moglie sui beni del marito per la dote, nonostante qualunque patto contrario. Questa ipoteca, se non è stata limitata a beni determinati nell'atto di costituzione di dote, è iscritta su tutti i beni che il marito ha al tempo in cui la dote è costituita o aumentata; 4) lo Stato sopra i beni dell'imputato e della persona civilmente responsabile, secondo le disposizioni del codice penale e del codice di procedura penale.
Sezione III. -
Dell'ipoteca giudiziale.
Art. 2818.
(Provvedimenti da cui deriva).
Ogni sentenza che porta condanna al pagamento di una somma o all'adempimento di altra obbligazione ovvero al risarcimento dei danni da liquidarsi successivamente è titolo per iscrivere ipoteca sui beni del debitore.
Lo stesso ha luogo per gli altri provvedimenti giudiziali ai quali la legge attribuisce tale effetto.
Art. 2819.
(Sentenze arbitrali).
Si può iscrivere ipoteca in base al lodo degli arbitri, quando è stato reso esecutivo.
Art. 2820.
(Sentenze straniere).
Si può parimenti iscrivere ipoteca in base alle sentenze pronunziate dalle autorità giudiziarie straniere, dopo che ne è stata dichiarata l'efficacia dall'autorità giudiziaria italiana, salvo che le convenzioni internazionali dispongano diversamente.
Sezione IV. -
Dell'ipoteca volontaria.
Art. 2821.
(Concessione d'ipoteca).
L'ipoteca può essere concessa anche mediante dichiarazione unilaterale. La concessione deve farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità.
Non può essere concessa per testamento.
Art. 2822.
(Ipoteca su beni altrui).
Se l'ipoteca è concessa da chi non è proprietario della cosa, l'iscrizione può essere validamente presa solo quando la cosa è acquistata dal concedente.
Se l'ipoteca è concessa da persona che agisce come rappresentante senza averne la qualità, l'iscrizione può essere validamente presa solo quando il proprietario ha ratificato la concessione.
Art. 2823.
(Ipoteca su beni futuri).
L'ipoteca su cosa futura può essere validamente iscritta solo quando la cosa è venuta a esistenza.
Art. 2824.
(Ipoteca iscritta in base a titolo annullabile).
L'iscrizione d'ipoteca eseguita in virtù di un titolo annullabile rimane convalidata con la convalida del titolo.
Art. 2825.
(Ipoteca su beni indivisi).
L'ipoteca costituita sulla propria quota da uno dei partecipanti alla comunione produce effetto rispetto a quei beni o a quella porzione di beni che a lui verranno assegnati nella divisione.
Se nella divisione sono assegnati a un partecipante beni diversi da quello da lui ipotecato, l'ipoteca si trasferisce su questi altri beni, col grado derivante dall'originaria iscrizione e nei limiti del valore del bene in precedenza ipotecato, quale risulta dalla divisione, purchè l'ipoteca sia nuovamente iscritta con l'indicazione di detto valore entro novanta giorni dalla trascrizione della divisione medesima.
Il trasferimento però non pregiudica le ipoteche iscritte contro tutti i partecipanti, nè l'ipoteca legale spettante ai condividenti per i conguagli.
I creditori ipotecari e i cessionari di un partecipante, al quale siano stati assegnati beni diversi da quelli ipotecati o ceduti, possono far valere le loro ragioni anche sulle somme a lui dovute per conguagli o, qualora sia stata attribuita una somma di danaro in luogo di beni in natura, possono far valere le loro ragioni su tale somma, con prelazione determinata dalla data di iscrizione o di trascrizione dei titoli rispettivi, nel limite però del valore dei beni precedentemente ipotecati o ceduti.
I debitori delle somme sono tuttavia liberati quando le abbiano pagate al condividente dopo trenta giorni da che la divisione è stata notificata ai creditori ipotecari o ai cessionari senza che da costoro sia stata fatta opposizione.
Art. 2826.
(Indicazioni dell'immobile ipotecato).
Nell'atto di concessione dell'ipoteca l'immobile deve essere specificatamente designato con l'indicazione della sua natura, del comune in cui si trova, del numero del catasto o delle mappe censuarie, dove esistono, e di tre almeno dei suoi confini.
Sezione V. -
Dell'iscrizione e rinnovazione delle ipoteche.
§ 1. -
Dell'iscrizione.
Art. 2827.
(Luogo dell'iscrizione).
L'ipoteca si iscrive nell'ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si trova l'immobile.
Art. 2828.
(Immobili su cui può iscriversi l'ipoteca giudiziale).
L'ipoteca giudiziale si può iscrivere su qualunque degli immobili appartenenti al debitore e su quelli che gli pervengono successivamente alla condanna, a misura che egli li acquista.
Art. 2829.
(Iscrizione sui beni del defunto).
L'iscrizione d'ipoteca sui beni di un defunto può eseguirsi con la semplice indicazione della sua persona, osservate per il resto le regole ordinarie. Se però risulta trascritto l'acquisto dei beni da parte degli eredi, l'iscrizione deve eseguirsi contro costoro.
Art. 2830.
(Ipoteca giudiziale sui beni dell'eredità beneficiata e dell'eredità giacente).
Se l'eredità è accettata con beneficio d'inventario o se si tratta di eredità giacente, non possono essere iscritte ipoteche giudiziali sui beni ereditari, neppure in base a sentenze pronunziate anteriormente alla morte del debitore.
Art. 2831.
(Ipoteca a garanzia di obbligazioni all'ordine o al portatore).
Le obbligazioni risultanti dai titoli all'ordine o al portatore possono essere garantite con ipoteca.
Per i titoli all'ordine l'ipoteca è iscritta a favore dell'attuale possessore e si trasmette ai successivi possessori; questi non sono tenuti a effettuare l'annotazione prevista dall'art. 2843.
Per i titoli al portatore l'ipoteca a favore degli obbligazionisti è iscritta con l'indicazione dell'emittente, della data dell'atto di emissione, della serie, del numero e del valore delle obbligazioni emesse. In margine all'iscrizione deve essere annotato il nome del rappresentante degli obbligazionisti, appena questo sia nominato. Per l'annotazione deve presentarsi copia della deliberazione o del provvedimento giudiziale di nomina.
Art. 2832.
(Iscrizione dell'ipoteca legale della moglie).
L'ipoteca legale spettante alla moglie deve essere iscritta nel termine di venti giorni a cura del marito e del notaio che ha ricevuto l'atto di costituzione della dote.
Se l'ipoteca non è stata ristretta a determinati beni, il notaio deve far dichiarare dal marito la situazione dei beni a lui appartenenti, con le indicazioni stabilite dall'art. 2826.
L'iscrizione dell'ipoteca legale può essere richiesta, oltre che dalla moglie, anche da chi ha costituito la dote.
Art. 2833.
(Responsabilità per mancata iscrizione).
Le persone obbligate a richiedere l'iscrizione dell'ipoteca legale secondo l'articolo precedente, se non adempiono tale obbligo nel termine stabilito, rispondono dei danni e incorrono in una pena pecuniaria estensibile fino a lire tremila.
Art. 2834.
(Iscrizione dell'ipoteca legale dell'alienante e del condividente).
Il conservatore dei registri immobiliari, nel trascrivere un atto di alienazione o di divisione, deve iscrivere d'ufficio, sotto pena dei danni, l'ipoteca legale che spetta all'alienante o al condividente a norma dei numeri 1 e 2 dell'art. 2817, a meno che gli sia presentato un atto pubblico o una scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente, da cui risulti che gli obblighi sono stati adempiuti o che vi è stata rinunzia all'ipoteca da parte dell'alienante o del condividente.
Art. 2835.
(Iscrizione in base a scrittura privata).
Se il titolo per l'iscrizione risulta da scrittura privata, la sottoscrizione di chi ha concesso l'ipoteca deve essere autenticata o accertata giudizialmente.
Il richiedente deve presentare la scrittura originale o, se questa è depositata in pubblico archivio o negli atti d'un notaio, una copia autenticata, con la certificazione che ricorrono i requisiti innanzi indicati.
L'originale o la copia rimane in deposito nell'ufficio dei registri immobiliari.
Art. 2836.
(Iscrizione in base ad atto pubblico o a sentenza).
Se il titolo per l'iscrizione risulta da un atto pubblico ricevuto nello Stato o da una sentenza o da altro provvedimento giudiziale ad essa parificato, si deve presentare copia del titolo.
Se non è stata ancora pagata l'imposta di registro, si osservano le disposizioni dell'art. 2669.
Art. 2837.
(Atti formati all'estero).
Gli atti formati in paese estero che si presentano per l'iscrizione devono essere legalizzati.
Art. 2838.
(Somma per cui l'iscrizione è eseguita).
Se la somma di danaro non è altrimenti determinata negli atti in base ai quali è eseguita l'iscrizione o in atto successivo, essa è determinata dal creditore nella nota per l'iscrizione.
Qualora tra la somma enunciata nell'atto e quella enunciata nella nota vi sia divergenza, l'iscrizione ha efficacia per la somma minore.
Art. 2839.
(Formalità per l'iscrizione dell'ipoteca).
Per eseguire l'iscrizione deve presentarsi il titolo costitutivo insieme con una nota sottoscritta dal richiedente in doppio originale. Uno degli originali può essere steso in calce al titolo.
La nota deve indicare: 1) il cognome e il nome, il nome del padre, nonchè il domicilio o la residenza e la professione del creditore e del debitore. Per le obbligazioni all'ordine o al portatore si devono osservare le norme dell'art. 2831. Per le obbligazioni all'ordine si deve inoltre esibire il titolo al conservatore, il quale vi annota l'eseguita iscrizione dell'ipoteca. Per le obbligazioni al portatore si deve presentare copia dell'atto di emissione e del piano di ammortamento; 2) il domicilio eletto dal creditore nella circoscrizione del tribunale in cui ha sede l'ufficio dei registri immobiliari; 3) il titolo, la sua data e il nome del pubblico ufficiale che lo ha ricevuto o autenticato; 4) l'importo della somma per la quale l'iscrizione è presa; 5) gli interessi e le annualità che il credito produce; 6) il tempo della esigibilità; 7) la natura e la situazione dei beni gravati, con le indicazioni prescritte dall'art. 2826.
Art. 2840.
(Certificato dell'iscrizione).
Eseguita l'iscrizione, il conservatore restituisce al richiedente uno degli originali della nota, certificando, in calce al medesimo, la data e il numero d'ordine dell'iscrizione.
I titoli consegnati al conservatore sono custoditi secondo quanto è disposto dall'art. 2664.
Art. 2841.
(Omissioni e inesattezze nei titoli o nelle note).
L'omissione o l'inesattezza di alcune delle indicazioni nel titolo, in base al quale è presa l'iscrizione, o nella nota non nuoce alla validità dell'iscrizione, salvo che induca incertezza sulla persona del creditore o del debitore o sull'ammontare del credito ovvero sulla persona del proprietario del bene gravato, quando l'indicazione ne è necessaria, o sull'identità dei singoli beni gravati.
Nel caso di altre omissioni o inesattezze, si può ordinare la rettificazione a istanza e a spese della parte interessata.
Art. 2842.
(Variazione del domicilio eletto).
E` in facoltà del creditore, del suo mandatario o del suo erede o avente causa di variare il domicilio eletto nell'iscrizione, sostituendone un altro nella stessa circoscrizione.
Il cambiamento deve essere annotato dal conservatore in margine o in calce all'iscrizione.
La dichiarazione circa il cambiamento del domicilio deve risultare da atto ricevuto o autenticato da notaio e deve rimanere depositata nell'ufficio del conservatore.
Art. 2843.
(Annotazione di cessione, di surrogazione e di altri atti dispositivi del credito).
La trasmissione o il vincolo dell'ipoteca per cessione, surrogazione, pegno, postergazione di grado o costituzione in dote del credito ipotecario, nonchè per sequestro, pignoramento o assegnazione del credito medesimo si deve annotare in margine all'iscrizione dell'ipoteca.
La trasmissione o il vincolo dell'ipoteca non ha effetto finchè l'annotazione non sia stata eseguita. Dopo l'annotazione l'iscrizione non si può cancellare senza il consenso dei titolari dei diritti indicati nell'annotazione medesima e le intimazioni o notificazioni che occorrono in dipendenza dell'iscrizione devono essere loro fatte nel domicilio eletto.
Per l'annotazione deve essere consegnata al conservatore copia del titolo e, qualora questo sia una scrittura privata o un atto formato in paese estero, si applicano le disposizioni degli articoli 2835 e 2837.
Art. 2844.
(Azioni e notificazioni).
Le azioni a cui le iscrizioni possono dar luogo contro i creditori sono promosse davanti all'autorità giudiziaria competente, per mezzo di citazione da farsi alla persona in mani proprie o all'ultimo domicilio da essi eletto.
La stessa disposizione si applica per ogni altra notificazione relativa alle dette iscrizioni.
Se non è stata fatta elezione di domicilio o se è morta la persona ovvero è cessato l'ufficio presso cui si era eletto il domicilio, le citazioni e le notificazioni possono essere fatte all'ufficio presso il quale l'iscrizione è stata presa.
Se si tratta di giudizio promosso dal debitore contro il suo creditore per la riduzione dell'ipoteca o per la cancellazione totale o parziale dell'iscrizione, il creditore deve essere citato nei modi ordinari stabiliti dal codice di procedura civile.
Art. 2845.
(Notificazioni relative a iscrizioni per obbligazioni all'ordine e al portatore).
Se l'iscrizione è presa per obbligazioni risultanti da titoli all'ordine, le citazioni e notificazioni previste dall'articolo precedente devono farsi nei confronti di chi ha preso l'iscrizione a norma degli articoli 2831 e 2839, salvo che dai registri risulti l'annotazione a favore di un possessore successivo.
Se si tratta di obbligazioni al portatore, le citazioni e le notificazioni devono essere fatte al rappresentante degli obbligazionisti il cui nome è annotato in margine all'iscrizione. Le citazioni e le notificazioni devono essere iscritte nel registro delle imprese e pubblicate per estratto in un giornale quotidiano designato dall'autorità giudiziaria.
Se manca per qualsiasi causa il rappresentante o il nome di lui non è stato annotato in margine all'iscrizione dell'ipoteca, le citazioni e le notificazioni sono fatte nei confronti di un curatore da nominarsi dall'autorità giudiziaria. Il decreto di nomina del curatore deve essere pubblicato con le modalità prescritte nel comma precedente.
Art. 2846.
(Spese d'iscrizione).
Le spese d'iscrizione dell'ipoteca sono a carico del debitore, se non vi è patto contrario, ma devono essere anticipate dal richiedente.
§ 2. -
Della rinnovazione.
Art. 2847.
(Durata dell'efficacia dell'iscrizione).
L'iscrizione conserva il suo effetto per venti anni dalla sua data. L'effetto cessa se l'iscrizione non è rinnovata prima che scada detto termine.
Art. 2848.
(Nuova iscrizione dell'ipoteca).
Nonostante il decorso del termine indicato dall'articolo precedente, il creditore può procedere a nuova iscrizione; in tal caso l'ipoteca prende grado dalla data della nuova iscrizione.
La nuova iscrizione non può essere presa contro i terzi acquirenti dell'immobile ipotecato che hanno trascritto il loro titolo.
Art. 2849.
(Durata dell'ipoteca legale della moglie).
L'iscrizione dell'ipoteca legale della moglie conserva il suo effetto, senza che sia rinnovata, durante il matrimonio e per un anno successivo allo scioglimento del medesimo.
Art. 2850.
(Formalità per la rinnovazione).
Per ottenere la rinnovazione si presenta al conservatore una nota in doppio originale conforme a quella della precedente iscrizione, in cui si dichiari che s'intende rinnovare l'iscrizione originaria.
In luogo del titolo si può presentare la nota precedente.
Il conservatore deve osservare le disposizioni dell'art. 2840.
Art. 2851.
(Rinnovazione rispetto a beni trasferiti agli eredi o aventi causa).
Se al tempo della rinnovazione gli immobili ipotecati risultano dai registri delle trascrizioni passati agli eredi del debitore o ai suoi aventi causa, la rinnovazione deve essere fatta anche nei confronti degli eredi o aventi causa e la nota deve contenere le indicazioni stabilite dall'art. 2839, se queste risultano dai registri medesimi.
Sezione VI. -
Dell'ordine delle ipoteche.
Art. 2852.
(Grado dell'ipoteca).
L'ipoteca prende grado dal momento della sua iscrizione, anche se è iscritta per un credito condizionale. La stessa norma si applica per i crediti che possano eventualmente nascere in dipendenza di un rapporto già esistente.
Art. 2853.
(Richieste contemporanee d'iscrizione).
Il numero d'ordine delle iscrizioni determina il loro grado. Nondimeno, se più persone presentano contemporaneamente la nota per ottenere iscrizione contro la stessa persona o sugli stessi immobili, le iscrizioni sono eseguite sotto lo stesso numero, e di ciò si fa menzione nella ricevuta spedita dal conservatore a ciascuno dei richiedenti.
Art. 2854.
(Ipoteche iscritte nello stesso grado).
I crediti con iscrizione ipotecaria dello stesso grado sugli stessi beni concorrono tra loro in proporzione dell'importo relativo.
Art. 2855.
(Estensione degli effetti dell'iscrizione).
L'iscrizione del credito fa collocare nello stesso grado le spese dell'atto di costituzione d'ipoteca, quelle dell'iscrizione e rinnovazione e quelle ordinarie occorrenti per l'intervento nel processo di esecuzione. Per il credito di maggiori spese giudiziali le parti possono estendere l'ipoteca con patto espresso, purchè sia presa la corrispondente iscrizione.
Qualunque sia la specie d'ipoteca, l'iscrizione di un capitale che produce interessi fa collocare nello stesso grado gli interessi dovuti, purchè ne sia enunciata la misura nell'iscrizione. La collocazione degli interessi è limitata alle due annate anteriori e a quella in corso al giorno del pignoramento, ancorchè sia stata pattuita l'estensione a un maggior numero di annualità; le iscrizioni particolari prese per altri arretrati hanno effetto dalla loro data.
L'iscrizione del capitale fa pure collocare nello stesso grado gli interessi maturati dopo il compimento dell'annata in corso alla data del pignoramento, però soltanto nella misura legale e fino alla data della vendita.
Art. 2856.
(Surrogazione del creditore perdente).
Il creditore che ha ipoteca sopra uno o più immobili, qualora si trovi perdente perchè sul loro prezzo si è in tutto o in parte soddisfatto un creditore anteriore, la cui ipoteca si estendeva ad altri beni dello stesso debitore, può surrogarsi nell'ipoteca iscritta a favore del creditore soddisfatto, al fine di esercitare l'azione ipotecaria su questi altri beni con preferenza rispetto ai creditori posteriori alla propria iscrizione. Lo stesso diritto spetta ai creditori perdenti in seguito alla detta surrogazione.
Questa disposizione si applica anche ai creditori perdenti per causa di privilegi immobiliari.
Art. 2857.
(Limiti della surrogazione).
La surrogazione non si può esercitare sui beni dati in ipoteca da un terzo, nè sui beni alienati dal debitore, quando l'alienazione è stata trascritta anteriormente all'iscrizione del creditore perdente.
Trattandosi di beni acquistati dal debitore posteriormente a detta iscrizione, se il creditore soddisfatto aveva esteso a essi la sua ipoteca giudiziale, il creditore perdente può esercitare la surrogazione anche su tali beni.
Per far valere il diritto alla surrogazione deve essere eseguita annotazione in margine all'ipoteca del creditore soddisfatto; per l'annotazione deve presentarsi al conservatore copia dello stato di graduazione dal quale risulta l'incapienza.
Sezione VII. -
Degli effetti dell'ipoteca rispetto al terzo acquirente.
Art. 2858.
(Facoltà del terzo acquirente).
Il terzo acquirente dei beni ipotecati, che ha trascritto il suo titolo di acquisto e non è personalmente obbligato, se non preferisce pagare i creditori iscritti, può rilasciare i beni stessi ovvero liberarli dalle ipoteche, osservando le norme contenute nella sezione XII di questo capo. In mancanza, l'espropriazione segue contro di lui secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile.
Art. 2859.
(Eccezioni opponibili dal terzo acquirente).
Se la domanda diretta a ottenere la condanna del debitore è posteriore alla trascrizione del titolo del terzo acquirente, questi, ove non abbia preso parte al giudizio, può opporre al creditore procedente tutte le eccezioni non opposte dal debitore e quelle altresì che spetterebbero a questo dopo la condanna.
Le eccezioni suddette però non sospendono il corso dei termini stabiliti per la liberazione del bene dalle ipoteche.
Art. 2860.
(Capacità per il rilascio).
Può procedere al rilascio soltanto chi ha la capacità di alienare.
Art. 2861.
(Termine ed esecuzione del rilascio).
Il rilascio dei beni ipotecati si esegue con dichiarazione alla cancelleria del tribunale competente per l'espropriazione. La dichiarazione deve essere fatta non oltre i dieci giorni dalla data del pignoramento.
Il certificato della cancelleria attestante la dichiarazione deve, a cura del terzo, essere annotato in margine alla trascrizione dell'atto di pignoramento e deve essere notificato, entro cinque giorni dalla sua data, al creditore procedente.
Sull'istanza di questo o di qualunque altro interessato, il tribunale provvede alla nomina di un amministratore, in confronto del quale prosegue il processo di espropriazione.
Il terzo rimane responsabile della custodia dell'immobile fino alla consegna all'amministratore.
Art. 2862.
(Ipoteche e altri diritti reali a carico e a favore del terzo).
Il rilascio non pregiudica le ipoteche, le servitù e gli altri diritti reali resi pubblici contro il terzo prima dell'annotazione del rilascio.
Le ipoteche, le servitù e gli altri diritti reali che già spettavano al terzo prima dell'acquisto riprendono efficacia dopo il rilascio o dopo la vendita all'incanto eseguita contro di lui.
Del pari riprendono efficacia le servitù che al momento dell'iscrizione dell'ipoteca esistevano a favore del fondo ipotecato e a carico di altro fondo del terzo. Esse sono comprese nell'espropriazione del fondo ipotecato.
Art. 2863.
(Ricupero dell'immobile rilasciato e abbandono dell'esecuzione).
Finchè non sia avvenuta la vendita, il terzo può ricuperare l'immobile rilasciato, pagando i crediti iscritti e i loro accessori, oltre le spese.
Qualora la vendita sia avvenuta e, dopo pagati i creditori iscritti, vi sia un residuo del prezzo, questo spetta al terzo acquirente.
Il rilascio non ha effetto se il processo di esecuzione si estingue per rinunzia o per inattività delle parti.
Art. 2864.
(Danni causati dal terzo e miglioramenti).
Il terzo è tenuto a risarcire i danni che da sua colpa grave sono derivati all'immobile in pregiudizio dei creditori iscritti.
Egli non può ritenere l'immobile per causa di miglioramenti; ma ha il diritto di far separare dal prezzo di vendita la parte corrispondente ai miglioramenti eseguiti dopo la trascrizione del suo titolo, fino a concorrenza del valore dei medesimi al tempo della vendita.
Se il prezzo non copre il valore dell'immobile nello stato in cui era prima dei miglioramenti e insieme quello dei miglioramenti, esso deve dividersi in due parti proporzionali ai detti valori.
Art. 2865.
(Frutti dovuti dal terzo).
I frutti dell'immobile ipotecato sono dovuti dal terzo a decorrere dal giorno in cui è stato eseguito il pignoramento.
Nel caso di liberazione dell'immobile dalle ipoteche i frutti sono del pari dovuti dal giorno del pignoramento o, in mancanza di pignoramento, dal giorno della notificazione eseguita in conformità dell'art. 2890.
Art. 2866.
(Diritti del terzo nei confronti del debitore e di altri terzi acquirenti).
Il terzo che ha pagato i creditori iscritti ovvero ha rilasciato l'immobile o sofferto l'espropriazione ha ragione d'indennità verso il suo autore, anche se si tratta di acquisto a titolo gratuito.
Ha pure diritto di subingresso nelle ipoteche costituite a favore del creditore soddisfatto sugli altri beni del debitore; se questi sono stati acquistati da terzi, non ha azione che contro coloro i quali hanno trascritto il loro acquisto in data posteriore alla trascrizione del suo titolo. Per esercitare il subingresso deve fare eseguire la relativa annotazione in conformità dell'art. 2843.
Il subingresso non pregiudica l'esercizio del diritto di surrogazione stabilito dall'art. 2856 a favore dei creditori che hanno un'iscrizione anteriore alla trascrizione del titolo del terzo acquirente.
Art. 2867.
(Terzo debitore di somma in dipendenza dell'acquisto).
Se il terzo acquirente, che ha trascritto il suo titolo, è debitore, in dipendenza dell'acquisto, di una somma attualmente esigibile, la quale basti a soddisfare tutti i creditori iscritti contro il precedente proprietario, ciascuno di questi può obbligarlo al pagamento.
Se il debito del terzo non è attualmente esigibile, o è minore o diverso da ciò che è dovuto ai detti creditori, questi, purchè di comune accordo, possono egualmente richiedere che venga loro pagato, fino alla rispettiva concorrenza, ciò che il terzo deve nei modi e termini della sua obbligazione.
Nell'uno e nell'altro caso l'acquirente non può evitar di pagare, offrendo il rilascio dell'immobile, ma, eseguito il pagamento, l'immobile è liberato da ogni ipoteca, non esclusa quella che spetta all'alienante, e il terzo ha diritto di ottenere che si cancellino le relative iscrizioni.
Sezione VIII. -
Degli effetti dell'ipoteca rispetto al terzo datore.
Art. 2868.
(Beneficio di escussione).
Chi ha costituito un'ipoteca a garanzia del debito altrui non può invocare il beneficio della preventiva escussione del debitore, se il beneficio non è stato convenuto.
Art. 2869.
(Estinzione dell'ipoteca per fatto del creditore).
L'ipoteca costituita dal terzo si estingue se, per fatto del creditore, non può avere effetto la surrogazione del terzo nei diritti, nel pegno, nelle ipoteche e nei privilegi del creditore.
Art. 2870.
(Eccezioni opponibili dal terzo datore).
Il terzo datore che non ha preso parte al giudizio diretto alla condanna del debitore può opporre al creditore le eccezioni indicate dall'art. 2859.
Art. 2871.
(Diritti del terzo datore che ha pagato i creditori iscritti o ha sofferto l'espropriazione).
Il terzo datore che ha pagato i creditori iscritti o ha sofferto l'espropriazione ha regresso contro il debitore. Se vi sono più debitori obbligati in solido, il terzo che ha costituito l'ipoteca a garanzia di tutti ha regresso contro ciascuno per l'intero.
Il terzo datore ha regresso contro i fideiussori del debitore. Ha inoltre regresso contro gli altri terzi datori per la loro rispettiva porzione e può esercitare, anche nei confronti dei terzi acquirenti, il subingresso previsto dal secondo comma dell'art. 2866.
Sezione IX. -
Della riduzione delle ipoteche.
Art. 2872.
(Modalità della riduzione).
La riduzione delle ipoteche si opera riducendo la somma per la quale è stata presa l'iscrizione o restringendo l'iscrizione a una parte soltanto dei beni.
Questa restrizione può aver luogo anche se l'ipoteca ha per oggetto un solo bene, qualora questo abbia parti distinte o tali che si possano comodamente distinguere.
Art. 2873.
(Esclusione della riduzione).
Non è ammessa domanda di riduzione riguardo alla quantità dei beni nè riguardo alla somma, se la quantità dei beni o la somma è stata determinata per convenzione o per sentenza.
Tuttavia, se sono stati eseguiti pagamenti parziali così da estinguere almeno il quinto del debito originario, si può chiedere una riduzione proporzionale per quanto riguarda la somma.
Nel caso d'ipoteca iscritta su un edificio, il costituente che dopo l'iscrizione ha eseguito sopraelevazioni può chiedere che l'ipoteca sia ridotta, per modo che le sopraelevazioni ne restino esenti in tutto o in parte, osservato il limite stabilito dall'art. 2876 per il valore della cautela.
Art. 2874.
(Riduzione dell'ipoteca legale e dell'ipoteca giudiziale).
Le ipoteche legali, eccettuate quelle indicate dai numeri 1 e 2 dell'art. 2817, e le ipoteche giudiziali devono ridursi su domanda degli interessati, se i beni compresi nell'iscrizione hanno un valore che eccede la cautela da somministrarsi o se la somma determinata dal creditore nell'iscrizione eccede di un quinto quella che l'autorità giudiziaria dichiara dovuta.
Art. 2875.
(Eccesso nel valore dei beni).
Si reputa che il valore dei beni ecceda la cautela da somministrarsi, se tanto alla data dell'iscrizione dell'ipoteca, quanto posteriormente, supera di un terzo l'importo dei crediti iscritti, accresciuto degli accessori a norma dell'art. 2855.
Art. 2876.
(Limiti della riduzione).
La riduzione si opera rispettando l'eccedenza del quinto per ciò che riguarda la somma del credito e l'eccedenza del terzo per ciò che riguarda il valore della cautela.
Art. 2877.
(Spese della riduzione).
Le spese necessarie per eseguire la riduzione, anche se consentita dal creditore, sono sempre a carico del richiedente, a meno che la riduzione abbia luogo per eccesso nella determinazione del credito fatta dal creditore, nel qual caso sono a carico di quest'ultimo.
Se la riduzione è stata ordinata con sentenza, le spese del giudizio sono a carico del soccombente, salvo che siano compensate tra le parti.
Sezione X. -
Dell'estinzione delle ipoteche.
Art. 2878.
(Cause di estinzione).
L'ipoteca si estingue: 1) con la cancellazione dell'iscrizione; 2) con la mancata rinnovazione dell'iscrizione entro il termine indicato dall'art. 2847; 3) con l'estinguersi dell'obbligazione; 4) col perimento del bene ipotecato, salvo quanto è stabilito dall'art. 2742; 5) con la rinunzia del creditore; 6) con lo spirare del termine a cui l'ipoteca è stata limitata o col verificarsi della condizione risolutiva; 7) con la pronunzia del provvedimento che trasferisce all'acquirente il diritto espropriato e ordina la cancellazione delle ipoteche.
Art. 2879.
(Rinunzia all'ipoteca).
La rinunzia del creditore all'ipoteca deve essere espressa e deve risultare da atto scritto, sotto pena di nullità.
La rinunzia non ha effetto di fronte ai terzi che anteriormente alla cancellazione dell'ipoteca abbiano acquistato il diritto all'ipoteca medesima ed eseguito la relativa annotazione a termini dell'articolo 2843.
Art. 2880.
(Prescrizione rispetto a beni acquistati da terzi).
Riguardo ai beni acquistati da terzi, l'ipoteca si estingue per prescrizione, indipendentemente dal credito, col decorso di venti anni dalla data della trascrizione del titolo di acquisto, salve le cause di sospensione e d'interruzione.
Art. 2881.
(Nuova iscrizione dell'ipoteca).
Salvo diversa disposizione di legge, se la causa estintiva dell'obbligazione è dichiarata nulla o altrimenti non sussiste ovvero è dichiarata nulla la rinunzia fatta dal creditore all'ipoteca, e l'iscrizione non è stata conservata, si può procedere a nuova iscrizione e questa prende grado dalla sua data.
Sezione XI. -
Della cancellazione dell'iscrizione.
Art. 2882.
(Formalità per la cancellazione).
La cancellazione consentita dalle parti interessate deve essere eseguita dal conservatore in seguito a presentazione dell'atto contenente il consenso del creditore.
Per quest'atto devono essere osservate le forme prescritte dagli articoli 2821, 2835 e 2837.
Art. 2883.
(Capacità per consentire la cancellazione).
Chi non ha la capacità richiesta per liberare il debitore non può consentire la cancellazione dell'iscrizione, se non è assistito dalle persone il cui intervento è necessario per la liberazione.
Il rappresentante legale dell'incapace e ogni altro amministratore, anche se autorizzati a esigere il credito e a liberare il debitore, non possono consentire la cancellazione dell'iscrizione, ove il credito non sia soddisfatto.
Art. 2884.
(Cancellazione ordinata con sentenza).
La cancellazione deve essere eseguita dal conservatore, quando è ordinata con sentenza passata in giudicato o con altro provvedimento definitivo emesso dalle autorità competenti.
Art. 2885.
(Cancellazione sotto condizione).
Se è stato convenuto od ordinato che la cancellazione non debba aver luogo che sotto la condizione di nuova ipoteca, di nuovo impiego o sotto altra condizione, la cancellazione non può essere eseguita se non si fa constare al conservatore che la condizione è stata adempiuta.
Art. 2886.
(Formalità per la cancellazione).
Chi richiede la cancellazione totale o parziale deve presentare al conservatore l'atto su cui la richiesta è fondata.
La cancellazione di un'iscrizione o la rettifica deve essere eseguita in margine all'iscrizione medesima, con l'indicazione del titolo dal quale è stata consentita od ordinata e della data in cui si esegue, e deve portare la sottoscrizione del conservatore.
Art. 2887.
(Cancellazione delle ipoteche a garanzia dei titoli all'ordine).
L'atto con il quale è consentita la cancellazione dell'ipoteca costituita a garanzia dell'obbligazione risultante da un titolo all'ordine deve essere presentato al conservatore insieme con il titolo, il quale è restituito dopo che il conservatore vi ha eseguito l'annotazione della cancellazione.
La cancellazione dell'ipoteca importa la perdita del diritto di regresso contro i giranti anteriori alla cancellazione medesima.
Art. 2888.
(Rifiuto di cancellazione).
Qualora il conservatore rifiuti di procedere alla cancellazione di un'iscrizione, il richiedente può proporre reclamo all'autorità giudiziaria.
Sezione XII. -
Del modo di liberare i beni dalle ipoteche.
Art. 2889.
(Facoltà di liberare i beni dalle ipoteche).
Il terzo acquirente dei beni ipotecati, che ha trascritto il suo titolo e non è personalmente obbligato a pagare i creditori ipotecari, ha facoltà di liberare i beni da ogni ipoteca iscritta anteriormente alla trascrizione del suo titolo di acquisto.
Tale facoltà spetta all'acquirente anche dopo il pignoramento, purchè nel termine di trenta giorni proceda in conformità dell'articolo che segue.
Art. 2890.
(Notificazione).
L'acquirente deve far notificare, per mezzo di ufficiale giudiziario, ai creditori iscritti, nel domicilio da essi eletto, e al precedente proprietario un atto nel quale siano indicati: 1) il titolo, la data del medesimo e la data della sua trascrizione; 2) la qualità e la situazione dei beni col numero del catasto o altra loro designazione, quale risulta dallo stesso titolo; 3) il prezzo stipulato o il valore da lui stesso dichiarato, se si tratta di beni pervenutigli a titolo lucrativo o di cui non sia stato determinato il prezzo.
In ogni caso, il prezzo o il valore dichiarato non può essere inferiore a quello stabilito come base degli incanti dal codice di procedura civile in caso di espropriazione.
Nell'atto della notificazione il terzo acquirente deve eleggere domicilio nel comune dove ha sede il tribunale competente per l'espropriazione e deve offrire di pagare il prezzo o il valore dichiarato.
Un estratto sommario della notificazione è inserito nel giornale degli annunzi giudiziari.
Art. 2891.
(Diritto dei creditori di far vendere i beni).
Entro il termine di quaranta giorni dalla notificazione indicata dall'articolo precedente, qualunque dei creditori iscritti o dei relativi fideiussori ha diritto di richiedere l'espropriazione dei beni con ricorso al presidente del tribunale competente a norma del codice di procedura civile, purchè adempia le condizioni che seguono: 1) che la richiesta sia notificata al terzo acquirente nel domicilio da lui eletto a norma dell'articolo precedente e al proprietario anteriore; 2) che contenga la dichiarazione del richiedente di aumentare di un decimo il prezzo stipulato o il valore dichiarato; 3) che contenga l'offerta di una cauzione per una somma eguale al quinto del prezzo aumentato come sopra; 4) che l'originale e le copie della richiesta siano sottoscritti dal richiedente o da un suo procuratore munito di mandato speciale.
L'omissione di alcuna di queste condizioni produce nullità della richiesta.
Art. 2892.
(Divieto di proroga dei termini).
I termini fissati dal secondo comma dell'art. 2889 e dal primo comma dell'art. 2891 non possono essere prorogati.
Art. 2893.
(Mancata richiesta dell'incanto).
Se l'incanto non è domandato nel tempo e nel modo prescritti dall'art. 2891, il valore del bene rimane definitivamente stabilito nel prezzo che l'acquirente ha posto a disposizione dei creditori a norma dell'art. 2890, n. 3.
La liberazione del bene dalle ipoteche avviene dopo che è stato depositato il prezzo e si è provveduto nei modi indicati dal codice di procedura civile.
Art. 2894.
(Effetti del mancato deposito del prezzo).
Se il terzo acquirente non deposita il prezzo entro il termine stabilito dall'art. 792 del codice di procedura civile, la richiesta di liberazione del bene dalle ipoteche rimane senza effetto, salva la responsabilità del richiedente per i danni verso i creditori iscritti.
Art. 2895.
(Desistenza del creditore).
La desistenza del creditore che ha richiesto l'incanto non può impedire l'espropriazione, a meno che vi consentano espressamente gli altri creditori iscritti.
Art. 2896.
(Aggiudicazione al terzo acquirente).
Se l'aggiudicazione segue a favore del terzo acquirente, il decreto di trasferimento deve essere annotato in margine alla trascrizione dell'atto di acquisto.
Art. 2897.
(Regresso dell'acquirente divenuto compratore all'incanto).
Il terzo acquirente al quale è stato aggiudicato l'immobile ha regresso contro il venditore per il rimborso di ciò che eccede il prezzo stipulato nel contratto di vendita.
Art. 2898.
(Beni non ipotecati per il credito per il quale si procede).
Nel caso in cui il titolo d'acquisto del terzo acquirente comprende mobili e immobili, o comprende più immobili, gli uni ipotecati e gli altri liberi, ovvero non tutti gravati dalle stesse iscrizioni, situati nella giurisdizione dello stesso tribunale o in diverse giurisdizioni di tribunali, alienati per un unico prezzo ovvero per prezzi distinti, il prezzo di ciascun immobile assoggettato a particolari e separate iscrizioni deve dichiararsi nella notificazione, ragguagliato al prezzo totale espresso nel titolo.
Il creditore che richiede l'espropriazione non può in nessun caso essere costretto a estendere la sua domanda ai mobili, o ad altri immobili, fuori di quelli che sono ipotecati per il suo credito, salvo il regresso del terzo acquirente contro il suo autore per il risarcimento del danno che venga a soffrire a causa della separazione dei beni compresi nell'acquisto e delle relative coltivazioni.
Sezione XIII. -
Della rinunzia e dell'astensione del creditore nell'espropriazione forzata.
Art. 2899.
(Divieto di rinunzia a un'ipoteca a danno di altro creditore).
Il creditore, che ha ipoteca su vari immobili, dopo che gli è stata fatta la notificazione indicata dall'articolo 2890, se si tratta del processo di liberazione dalle ipoteche, o dopo la notificazione del provvedimento che dispone la vendita, in caso di espropriazione, non può rinunziare alla sua ipoteca sopra uno di quegli immobili nè astenersi dall'intervenire nel giudizio di espropriazione, qualora sia con ciò favorito un creditore a danno di altro creditore anteriormente iscritto; se egli rinunzia o si astiene, è responsabile dei danni, a meno che vi siano giusti motivi.
La stessa disposizione si applica nel caso in cui la rinunzia o l'astensione favorisca un terzo acquirente a danno di un creditore con ipoteca anteriore o di un altro terzo acquirente che abbia un titolo anteriormente trascritto.
Capo V.
Dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale.
Sezione I. -
Dell'azione surrogatoria.
Art. 2900.
(Condizioni, modalità ed effetti).
Il creditore, per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni, può esercitare i diritti e le azioni che spettano verso i terzi al proprio debitore e che questi trascura di esercitare, purchè i diritti e le azioni abbiano contenuto patrimoniale e non si tratti di diritti o di azioni che, per loro natura o per disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro titolare.
Il creditore, qualora agisca giudizialmente, deve citare anche il debitore al quale intende surrogarsi.
Sezione II. -
Dell'azione revocatoria.
Art. 2901.
(Condizioni).
Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni: 1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l'atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento; 2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.
Agli effetti della presente norma, le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito.
Non è soggetto a revoca l'adempimento di un debito scaduto.
L'inefficacia dell'atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione.
Art. 2902.
(Effetti).
Il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell'atto impugnato.
Il terzo contraente, che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall'esercizio dell'azione revocatoria, non può concorrere sul ricavato dei beni che sono stati oggetto dell'atto dichiarato inefficace, se non dopo che il creditore è stato soddisfatto.
Art. 2903.
(Prescrizione dell'azione).
L'azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell'atto.
Art. 2904.
(Rinvio).
Sono salve le disposizioni sull'azione revocatoria in materia fallimentare e in materia penale.
Sezione III. -
Del sequestro conservativo.
Art. 2905.
(Sequestro nei confronti del debitore o del terzo).
Il creditore può chiedere il sequestro conservativo dei beni del debitore, secondo le regole stabilite dal codice di procedura civile.
Il sequestro può essere chiesto anche nei confronti del terzo acquirente dei beni del debitore, qualora sia stata proposta l'azione per far dichiarare l'inefficacia dell'alienazione.
Art. 2906.
(Effetti).
Non hanno effetto in pregiudizio del creditore sequestrante le alienazioni e gli altri atti che hanno per oggetto la cosa sequestrata, in conformità delle regole stabilite per il pignoramento.
Non ha parimenti effetto in pregiudizio del creditore opponente il pagamento eseguito dal debitore, qualora l'opposizione sia stata proposta nei casi e con le forme stabilite dalla legge.
Titolo IV.
Della tutela giurisdizionale dei diritti
Capo I.
Disposizioni generali.
Art. 2907.
(Attività giurisdizionale).
Alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l'autorità giudiziaria su domanda di parte e, quando la legge lo dispone, anche su istanza del pubblico ministero o d'ufficio.
La tutela giurisdizionale dei diritti, nell'interesse delle categorie professionali, è attuata su domanda delle associazioni legalmente riconosciute, nei casi determinati dalla legge e con le forme da questa stabilite.
Art. 2908.
(Effetti costitutivi delle sentenze).
Nei casi previsti dalla legge, l'autorità giudiziaria può costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici, con effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa.
Art. 2909.
(Cosa giudicata).
L'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa.
Capo II.
Dell'esecuzione forzata.
Sezione I. -
Dell'espropriazione.
§ 1. -
Disposizioni generali.
Art. 2910.
(Oggetto dell'espropriazione).
Il creditore, per consegnare quanto gli è dovuto, può fare espropriare i beni del debitore, secondo le regole stabilite dal codice di procedura civile.
Possono essere espropriati anche i beni di un terzo quando sono vincolati a garanzia del credito o quando sono oggetto di un atto che è stato revocato perchè compiuto in pregiudizio del creditore.
Art. 2911.
(Beni gravati da pegno o ipoteca).
Il creditore che ha pegno su beni del debitore non può pignorare altri beni del debitore medesimo, se non sottopone a esecuzione anche i beni gravati dal pegno. Non può parimenti, quando ha ipoteca, pignorare altri immobili, se non sottopone a pignoramento anche gli immobili gravati dall'ipoteca.
La stessa disposizione si applica se il creditore ha privilegio speciale su determinati beni.
§ 2. -
Degli effetti del pignoramento.
Art. 2912.
(Estensione del pignoramento).
Il pignoramento comprende gli accessori, le pertinenze e i frutti della cosa pignorata.
Art. 2913.
(Inefficacia delle alienazioni del bene pignorato).
Non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione gli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento, salvi gli effetti del possesso di buona fede per i mobili non iscritti in pubblici registri.
Art. 2914.
(Alienazioni anteriori al pignoramento).
Non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione, sebbene anteriori al pignoramento: 1) le alienazioni di beni immobili o di beni mobili iscritti in pubblici registri, che siano state trascritte successivamente al pignoramento; 2) le cessioni di crediti che siano state notificate al debitore ceduto o accettate dal medesimo successivamente al pignoramento; 3) le alienazioni di universalità di mobili che non abbiano data certa; 4) le alienazioni di beni mobili di cui non sia stato trasmesso il possesso anteriormente al pignoramento, salvo che risultino da atto avente data certa.
Art. 2915.
(Atti che limitano la disponibilità dei beni pignorati).
Non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione gli atti che importano vincoli di indisponibilità, se non sono stati trascritti prima del pignoramento, quando hanno per oggetto beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, e, negli altri casi, se non hanno data certa anteriore al pignoramento.
Non hanno del pari effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione gli atti e le domande per la cui efficacia rispetto ai terzi acquirenti la legge richiede la trascrizione, se sono trascritti successivamente al pignoramento.
Art. 2916.
(Ipoteche e privilegi).
Nella distribuzione della somma ricavata dall'esecuzione non si tiene conto: 1) delle ipoteche, anche se giudiziali, iscritte dopo il pignoramento; 2) dei privilegi per la cui efficacia è necessaria l'iscrizione, se questa ha luogo dopo il pignoramento; 3) dei privilegi per crediti sorti dopo il pignoramento.
Art. 2917.
(Estinzione del credito pignorato).
Se oggetto del pignoramento è un credito, l'estinzione di esso per cause verificatesi in epoca successiva al pignoramento non ha effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione.
Art. 2918.
(Cessioni e liberazioni di pigioni e di fitti).
Le cessioni e le liberazioni di pigioni e di fitti non ancora scaduti per un periodo eccedente i tre anni non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione, se non sono trascritte anteriormente al pignoramento. Le cessioni e le liberazioni per un tempo inferiore ai tre anni e le cessioni e le liberazioni superiori ai tre anni non trascritte non hanno effetto, se non hanno data certa anteriore al pignoramento e, in ogni caso, non oltre il termine di un anno dalla data del pignoramento.
§ 3. -
Effetti della vendita forzata e dell'assegnazione.
Art. 2919.
(Effetto traslativo della vendita forzata).
La vendita forzata trasferisce all'acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l'espropriazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede. Non sono però opponibili all'acquirente diritti acquistati da terzi sulla cosa, se i diritti stessi non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori intervenuti nell'esecuzione.
Art. 2920.
(Diritti di terzi sulla cosa mobile venduta).
Se oggetto della vendita è una cosa mobile, coloro che avevano la proprietà o altri diritti reali su di essa, ma non hanno fatto valere le loro ragioni sulla somma ricavata dall'esecuzione, non possono farle valere nei confronti dell'acquirente di buona fede, nè possono ripetere dai creditori la somma distribuita. Resta ferma la responsabilità del creditore procedente di mala fede per i danni e per le spese.
Art. 2921.
(Evizione).
L'acquirente della cosa espropriata, se ne subisce l'evizione, può ripetere il prezzo non ancora distribuito, dedotte le spese, e, se la distribuzione è già avvenuta, può ripeterne da ciascun creditore la parte che ha riscossa e dal debitore l'eventuale residuo, salva la responsabilità del creditore procedente per i danni e per le spese.
Se l'evizione è soltanto parziale, l'acquirente ha diritto di ripetere una parte proporzionale del prezzo. La ripetizione ha luogo anche se l'aggiudicatario, per evitare l'evizione, ha pagato una somma di danaro.
In ogni caso l'acquirente non può ripetere il prezzo nei confronti dei creditori privilegiati o ipotecari ai quali la causa di evizione non era opponibile.
Art. 2922.
(Vizi della cosa. Lesione).
Nella vendita forzata non ha luogo la garanzia per i vizi della cosa.
Essa non può essere impugnata per causa di lesione.
Art. 2923.
(Locazioni).
Le locazioni consentite da chi ha subito l'espropriazione sono opponibili all'acquirente se hanno data certa anteriore al pignoramento, salvo che, trattandosi di beni mobili, l'acquirente ne abbia conseguito il possesso in buona fede.
Le locazioni immobiliari eccedenti i nove anni che non sono state trascritte anteriormente al pignoramento non sono opponibili all'acquirente, se non nei limiti di un novennio dall'inizio della locazione.
In ogni caso l'acquirente non è tenuto a rispettare la locazione qualora il prezzo convenuto sia inferiore di un terzo al giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni.
Se la locazione non ha data certa, ma la detenzione del conduttore è anteriore al pignoramento della cosa locata, l'acquirente non è tenuto a rispettare la locazione che per la durata corrispondente a quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato.
Se nel contratto di locazione è convenuto che esso possa risolversi in caso di alienazione, l'acquirente può intimare licenza al conduttore secondo le disposizioni dell'art. 1603.
Art. 2924.
(Cessioni e liberazioni di pigioni e di fitti).
Le cessioni e le liberazioni di pigioni e di fitti non ancora scaduti non sono opponibili all'acquirente, salvo che si tratti di cessioni o di liberazioni eccedenti il triennio e trascritte anteriormente al pignoramento o si tratti di anticipazioni fatte in conformità degli usi locali.
Art. 2925.
(Norme applicabili all'assegnazione forzata).
Le norme concernenti la vendita forzata si applicano anche all'assegnazione forzata, salvo quanto è disposto negli articoli seguenti.
Art. 2926.
(Diritti dei terzi sulla cosa assegnata).
Se l'assegnazione ha per oggetto beni mobili, i terzi che ne avevano la proprietà possono, entro il termine di sessanta giorni dall'assegnazione, rivolgersi contro l'assegnatario che ha ricevuto in buona fede il possesso, al solo scopo di ripetere la somma corrispondente al suo credito soddisfatto con l'assegnazione. La stessa facoltà spetta ai terzi che avevano sulla cosa altri diritti reali, nei limiti del valore del loro diritto.
L'assegnatario conserva le sue ragioni nei confronti del debitore, ma si estinguono le garanzie prestate da terzi.
Art. 2927.
(Evizione della cosa assegnata).
L'assegnatario, se subisce l'evizione della cosa, ha diritto di ripetere quanto ha pagato agli altri creditori, salva la responsabilità del creditore procedente per i danni e per le spese.
L'assegnatario conserva le sue ragioni nei confronti del debitore espropriato, ma non le garanzie prestate da terzi.
Art. 2928.
(Assegnazione di crediti).
Se oggetto dell'assegnazione è un credito, il diritto dell'assegnatario verso il debitore che ha subito l'espropriazione non si estingue che con la riscossione del credito assegnato.
Art. 2929.
(Nullità del processo esecutivo).
La nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l'assegnazione non ha effetto riguardo all'acquirente o all'assegnatario, salvo il caso di collusione con il creditore procedente. Gli altri creditori non sono in nessun caso tenuti a restituire quanto hanno ricevuto per effetto dell'esecuzione.
Sezione II. -
Dell'esecuzione forzata in forma specifica.
Art. 2930.
(Esecuzione forzata per consegna o rilascio).
Se non è adempiuto l'obbligo di consegnare una cosa determinata, mobile o immobile, l'avente diritto può ottenere la consegna o il rilascio forzati a norma delle disposizioni del codice di procedura civile.
Art. 2931.
(Esecuzione forzata degli obblighi di fare).
Se non è adempiuto un obbligo di fare, l'avente diritto può ottenere che esso sia eseguito a spese dell'obbligato nelle forme stabilite dal codice di procedura civile.
Art. 2932.
(Esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto).
Se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l'obbligazione, l'altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso.
Se si tratta di contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto, la domanda non può essere accolta, se la parte che l'ha proposta non esegue la sua prestazione o non ne fa offerta nei modi di legge, a meno che la prestazione non sia ancora esigibile.
Art. 2933.
(Esecuzione forzata degli obblighi di non fare).
Se non è adempiuto un obbligo di non fare, l'avente diritto può ottenere che sia distrutto, a spese dell'obbligato, ciò che è stato fatto in violazione dell'obbligo.
Non può essere ordinata la distruzione della cosa e l'avente diritto può conseguire solo il risarcimento dei danni, se la distruzione della cosa è di pregiudizio all'economia nazionale.
Titolo V.
Della prescrizione e della decadenza
Capo I.
Della prescrizione.
Sezione I. -
Disposizioni generali.
Art. 2934.
(Estinzione dei diritti).
Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge.
Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge.
Art. 2935.
(Decorrenza della prescrizione).
La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Art. 2936.
(Inderogabilità delle norme sulla prescrizione).
E` nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione.
Art. 2937.
(Rinunzia alla prescrizione).
Non può rinunziare alla prescrizione chi non può disporre validamente del diritto.
Si può rinunziare alla prescrizione solo quando questa è compiuta.
La rinunzia può risultare da un fatto incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione.
Art. 2938.
(Non rilevabilità d'ufficio).
Il giudice non può rilevare d'ufficio la prescrizione non opposta.
Art. 2939.
(Opponibilità della prescrizione da parte dei terzi).
La prescrizione può essere opposta dai creditori e da chiunque vi ha interesse, qualora la parte non la faccia valere. Può essere opposta anche se la parte vi ha rinunziato.
Art. 2940.
(Pagamento del debito prescritto).
Non è ammessa la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato in adempimento di un debito prescritto.
Sezione II. -
Della sospensione della prescrizione.
Art. 2941.
(Sospensione dei rapporti tra le parti).
La prescrizione rimane sospesa: 1) tra i coniugi; 2) tra chi esercita la patria potestà o i poteri a essa inerenti e le persone che vi sono sottoposte; 3) tra il tutore e il minore o l'interdetto soggetti alla tutela, finchè non sia stato reso e approvato il conto finale, salvo quanto è disposto dall'art. 387 per le azioni relative alla tutela; 4) tra il curatore e il minore emancipato o l'inabilitato; 5) tra l'erede e l'eredità accettata con beneficio d'inventario; 6) tra le persone i cui beni sono sottoposti per legge o per provvedimento del giudice all'amministrazione altrui e quelle da cui l'amministrazione è esercitata, finchè non sia stato reso e approvato definitivamente il conto; 7) tra le persone giuridiche e i loro amministratori, finchè sono in carica, per le azioni di responsabilità contro di essi; 8) tra il debitore che ha dolosamente occultato l'esistenza del debito e il creditore, finchè il dolo non sia stato scoperto.
Art. 2942.
(Sospensione per la condizione del titolare).
La prescrizione rimane sospesa: 1) contro i minori non emancipati e gli interdetti per infermità di mente, per il tempo in cui non hanno rappresentante legale e per sei mesi successivi alla nomina del medesimo o alla cessazione dell'incapacità; 2) in tempo di guerra, contro i militari in servizio e gli appartenenti alle forze armate dello Stato e contro coloro che si trovano per ragioni di servizio al seguito delle forze stesse, per il tempo indicato dalle disposizioni delle leggi di guerra.
Sezione III. -
Dell'interruzione della prescrizione.
Art. 2943.
(Interruzione da parte del titolare).
La prescrizione è interrotta dalla notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo.
E` pure interrotta dalla domanda proposta nel corso di un giudizio.
L'interruzione si verifica anche se il giudice adito è incompetente.
La prescrizione è inoltre interrotta da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore.
Art. 2944.
(Interruzione per effetto di riconoscimento).
La prescrizione è interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere.
Art. 2945.
(Effetti e durata dell'interruzione).
Per effetto dell'interruzione s'inizia un nuovo periodo di prescrizione.
Se l'interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell'art. 2943, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio.
Se il processo si estingue, rimane fermo l'effetto interruttivo e il nuovo periodo di prescrizione comincia dalla data dell'atto interruttivo.
Sezione IV. -
Del termine della prescrizione.
§ 1. -
Della prescrizione ordinaria.
Art. 2946.
(Prescrizione ordinaria).
Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni.
§ 2. -
Delle prescrizioni brevi.
Art. 2947.
(Prescrizione del diritto al risarcimento del danno).
Il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato.
Per il risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli di ogni specie il diritto si prescrive in due anni.
In ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile. Tuttavia, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile.
Art. 2948.
(Prescrizione di cinque anni).
Si prescrivono in cinque anni: 1) le annualità delle rendite perpetue o vitalizie; 2) le annualità delle pensioni alimentari; 3) le pigioni delle case, i fitti dei beni rustici e ogni altro corrispettivo di locazioni; 4) gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi; 5) le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro.
Art. 2949.
(Prescrizione in materia di società).
Si prescrivono in cinque anni i diritti che derivano dai rapporti sociali, se la società è iscritta nel registro delle imprese.
Nello stesso termine si prescrive l'azione di responsabilità che spetta ai creditori sociali verso gli amministratori nei casi stabiliti dalla legge.
Art. 2950.
(Prescrizione del diritto del mediatore).
Si prescrive in un anno il diritto del mediatore al pagamento della provvigione.
Art. 2951.
(Prescrizione in materia di spedizione e di trasporto).
Si prescrivono in un anno i diritti derivanti dal contratto di spedizione e dal contratto di trasporto.
La prescrizione si compie con il decorso di diciotto mesi se il trasporto ha inizio o termine fuori d'Europa.
Il termine decorre dall'arrivo a destinazione della persona o, in caso di sinistro, dal giorno di questo, ovvero dal giorno in cui è avvenuta o sarebbe dovuta avvenire la riconsegna della cosa al luogo di destinazione.
Si prescrivono parimenti in un anno dalla richiesta del trasporto i diritti verso gli esercenti pubblici servizi di linea indicati dall'art. 1679.
Art. 2952.
(Prescrizione in materia di assicurazione).
Il diritto al pagamento delle rate di premio si prescrive in un anno dalle singole scadenze.
Gli altri diritti derivanti dal contratto di assicurazione si prescrivono in un anno e quelli derivanti dal contratto di riassicurazione in due anni dal giorno in cui si è verificato il fatto su cui il diritto si fonda.
Nell'assicurazione della responsabilità civile, il termine decorre dal giorno in cui il terzo ha richiesto il risarcimento all'assicurato o ha promosso contro di questo l'azione.
La comunicazione all'assicuratore della richiesta del terzo danneggiato o dell'azione da questo proposta sospende il corso della prescrizione finchè il credito del danneggiato non sia divenuto liquido ed esigibile oppure il diritto del terzo danneggiato non sia prescritto.
La disposizione del comma precedente si applica all'azione del riassicurato verso il riassicuratore per il pagamento dell'indennità.
Art. 2953.
(Effetti del giudicato sulle prescrizioni brevi).
I diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni.
§ 3. -
Delle prescrizioni presuntive.
Art. 2954.
(Prescrizioni di sei mesi).
Si prescrive in sei mesi il diritto degli albergatori e degli osti per l'alloggio e il vitto che somministrano, e si prescrive nello stesso termine il diritto di tutti coloro che dànno alloggio con o senza pensione.
Art. 2955.
(Prescrizione di un anno).
Si prescrive in un anno il diritto: 1) degli insegnanti, per la retribuzione delle lezioni che impartiscono a mesi o a giorni o a ore; 2) dei prestatori di lavoro, per le retribuzioni corrisposte a periodi non superiori al mese; 3) di coloro che tengono convitto o casa di educazione e d'istruzione, per il prezzo della pensione e dell'istruzione; 4) degli ufficiali giudiziari, per il compenso degli atti compiuti nella loro qualità; 5) dei commercianti, per il prezzo delle merci vendute a chi non ne fa commercio; 6) dei farmacisti, per il prezzo dei medicinali.
Art. 2956.
(Prescrizione di tre anni).
Si prescrive in tre anni il diritto: 1) dei prestatori di lavoro, per le retribuzioni corrisposte a periodi superiori al mese; 2) dei professionisti, per il compenso dell'opera prestata e per il rimborso delle spese correlative; 3) dei notai, per gli atti del loro ministero; 4) degli insegnanti, per la retribuzione delle lezioni impartite a tempo più lungo di un mese.
Art. 2957.
(Decorrenza delle prescrizioni presuntive).
Il termine della prescrizione decorre dalla scadenza della retribuzione periodica o dal compimento della prestazione.
Per le competenze dovute agli avvocati, ai procuratori e ai patrocinatori legali il termine decorre dalla decisione della lite, dalla conciliazione delle parti o dalla revoca del mandato; per gli affari non terminati, la prescrizione decorre dall'ultima prestazione.
Art. 2958.
(Corso della prescrizione).
La prescrizione decorre anche se vi è stata continuazione di somministrazioni o di prestazioni.
Art. 2959.
(Ammissioni di colui che oppone la prescrizione).
L'eccezione è rigettata, se chi oppone la prescrizione nei casi indicati dagli articoli 2954, 2955 e 2956 ha comunque ammesso in giudizio che l'obbligazione non è stata estinta.
Art. 2960.
(Delazione di giuramento).
Nei casi indicati dagli articoli 2954, 2955 e 2956, colui al quale la prescrizione è stata opposta può deferire all'altra parte il giuramento per accertare se si è verificata l'estinzione del debito.
Il giuramento può essere deferito al coniuge superstite e agli eredi o ai loro rappresentanti legali per dichiarare se hanno notizia dell'estinzione del debito.
Art. 2961.
(Restituzione di documenti).
I cancellieri, gli arbitri, gli avvocati, i procuratori e i patrocinatori legali sono esonerati dal rendere conto degli incartamenti relativi alle liti dopo tre anni da che queste sono state decise o sono altrimenti terminate.
Tale esonero si verifica, per gli ufficiali giudiziari, dopo due anni dal compimento degli atti ad essi affidati.
Anche alle persone designate in questo articolo può essere deferito il giuramento perchè dichiarino se ritengono o sanno dove si trovano gli atti o le carte.
Si applica in questo caso il disposto dell'art. 2959.
§ 4. -
Del computo dei termini.
Art. 2962.
(Compimento della prescrizione).
In tutti i casi contemplati dal presente codice e dalle altre leggi, la prescrizione si verifica quando è compiuto l'ultimo giorno del termine.
Art. 2963.
(Computo dei termini di prescrizione).
I termini di prescrizione contemplati dal presente codice e dalle altre leggi si computano secondo il calendario comune.
Non si computa il giorno nel corso del quale cade il momento iniziale del termine e la prescrizione si verifica con lo spirare dell'ultimo istante del giorno finale.
Se il termine scade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo.
La prescrizione a mesi si verifica nel mese di scadenza e nel giorno di questo corrispondente al giorno del mese iniziale.
Se nel mese di scadenza manca tale giorno, il termine si compie con l'ultimo giorno dello stesso mese.
Capo II.
Della decadenza.
Art. 2964.
(Inapplicabilità di regole della prescrizione).
Quando un diritto deve esercitarsi entro un dato termine sotto pena di decadenza, non si applicano le norme relative all'interruzione della prescrizione. Del pari non si applicano le norme che si riferiscono alla sospensione, salvo che sia disposto altrimenti.
Art. 2965.
(Decadenze stabilite contrattualmente).
E` nullo il patto con cui si stabiliscono termini di decadenza che rendono eccessivamente difficile a una delle parti l'esercizio del diritto.
Art. 2966.
(Cause che impediscono la decadenza).
La decadenza non è impedita se non dal compimento dell'atto previsto dalla legge o dal contratto. Tuttavia, se si tratta di un termine stabilito dal contratto o da una norma di legge relativa a diritti disponibili, la decadenza può essere anche impedita dal riconoscimento del diritto proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto soggetto a decadenza.
Art. 2967.
(Effetto dell'impedimento della decadenza).
Nei casi in cui la decadenza è impedita, il diritto rimane soggetto alle disposizioni che regolano la prescrizione.
Art. 2968.
(Diritti indisponibili).
Le parti non possono modificare la disciplina legale della decadenza nè possono rinunziare alla decadenza medesima, se questa è stabilita dalla legge in materia sottratta alla disponibilità delle parti.
Art. 2969.
(Rilievo d'ufficio).
La decadenza non può essere rilevata d'ufficio dal giudice, salvo che, trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti, il giudice debba rilevare le cause d'improponibilità dell'azione.
Roma, addì 16 marzo 1942-XX
Vittorio Emanuele