Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbiate

Numero di risultati: 192 in 4 pagine

  • Pagina 3 di 4

Le belle maniere

180138
Francesca Fiorentina 2 occorrenze
  • 1918
  • Libreria editrice internazionale
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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E abbiate la stessa cura per i vini, più o meno abbondanti secondo l'importanza del pranzo, e di cui i comuni saran serviti in bocce di cristallo, i più fini nelle loro bottiglie. Tutto qui? No, care; bisogna che anche l'occhio abbia la sua parte, bisogna che la tavola sia degna di ricevere i cibi squisiti da voi preparati, e che i vostri invitati ammirino l'eleganza pratica della padroncina, in ogni particolare. La tavola dev'essere sufficentemente ampia per il numero dei commensali, a cui non garberebbe certo starsene striminziti come acciughe nel barile. Se c'è diversità di seggiole, guarderete sempre di riserbare le più comode alle signore, che avranno più cara l'attenzione d'un panchettino. Alla tovaglia, me l'immagino, avrete dato una sferrata di fresco:non si sa mai, alle volte nel guardaroba si formano delle pieghe secche così antiestetiche! Una leggerissima insaldatura non nocerà, ma sarà indispensabile un perfetto nitore. Della medesima qualità della tovaglia dovranno essere i tovaglioli:o damascati, o di Fiandra, senza o con iniziali. Ma, per carità! non vi scervellate a immaginare forme bizzarre per le salviette: un quadrato quasi perfetto sarà preferibile a qualunque poligono. Le metterete, per caso, dentro il bicchiere? Scusate, ve l'ho domandato per eccesso di prudenza. Mi par già di vedere i coperti disposti in una bella fila: ognuno ha il suo piatto, a cui fan da sentinella tre o quattro bicchieri, quelli necessari per tutto il pranzo, e tengon compagnia il coltello e il cucchiaio a destra e la forchetta a sinistra, dalla qual parte trovo anche il panino posato sul tovagliolo. Non manchino i fiori dal profumo tenue, o disposti in ghirlanda, o affacciati a graziosi vasetti sparsi qua e là, non in trionfi ingombrati, come s'usava una volta, nel Seicento! Se a ogni portata non v'è possibile cambiar le posate, sarebbe almeno necessario farlo quando l'invitato ha lasciato le sue sopra il piatto e, anche, dopo il pesce, il cui gusto è appiccicaticcio. Mi sembra superfluo dirvi che per il dolce bisogna aggiungere al piccolo coltello la forchettina dello stesso servizio, e per le frutta in composta o per la crema il cucchiaino. E guardate di preparare con una certa eleganza anche le frutta e le paste, che devono essere fini e leggere. Sicuro, anche nella loro disposizione si rivelerà il vostro gusto! Il caffè sarebbe meglio servirlo in una tavola a parte, non in quella seminata di bicchieri e di bricciole. Le tazzine si usano piccolissime, perchè s'immagina che la qualità del caffè ne compensi la quantità. Prima che gl'invitati vadano via, sarà bene servire il tè o qualche rinfresco, secondo la stagione. Per finire:non ripiegate neppure in casa vostra il tovagliolo. Sa di provinciale! Badate, io v'ho parlato soltanto di pranzi relativamente modesti, pe'quali basti, a servire, una cameriera giovine, ravviata, con un bel grembiulino bianco ricamato, e, magari, la cuffietta in testa; lascio quelli di gala, a cui bisogna rassegnarsi a sopportare, impalata alle spalle, l'ombra nera de'camerieri, e a vedere i loro guanti bianchi portarci via il piatto, magari nel momento che si cominciava a gustar la pietanza. Che soggezione, mamma mia! Ma di questi pesi sullo stomaco non ne auguro nè a voi nè a me. Intrattenendovi su questo vostro ufficio di padroncine, v'ho immaginate sole col babbo e col ricordo della povera mamma. Se ci sono fratelli, toccherà ugualmente a voi a fare gli onori di casa; se c'è qualche sorella, con lei dividerete i vostri piccoli doveri.

Pagina 199

Pagina 97

Il Galateo

181575
Brunella Gasperini 2 occorrenze
  • 1912
  • Baldini e Castoldi s.r.l.
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Lo stesso all'uscita: non alzatevi in un momento di suspense e abbiate la cortesia di compiere le operazioni di rivestimento nel corridoio, e non in mezzo alla fila. I seccatori. C'è quello che, convinto forse di trovarsi in una sala di analfabeti, legge forte tutti i titoli, i nomi, le didascalie, le insegne, le targhe, i messaggi scritti che compaiono sullo schermo; c'è quello che sa tutto sul film perché ha letto le recensioni sui giornali, o perché gliel'ha raccontato un amico, e si crede in dovere di fornire anticipi di ogni sequenza, soluzione e colpo di scena; c'è quello che invece non sa niente del film, ma si diletta di fare pronostici ad alta voce; c'è il sessuorepresso che saluta con fischi e commenti irripetibili le scene d'amore e gli attributi anatomici dell'attrice; c'è l'emotiva, quasi sempre è una donna, che geme nei momenti di suspense («Gesù Gesù non posso guardare») e lancia un grido ogni volta che vede comparire il fellone; c'è l'esuberante che partecipa all'azione come se fosse reale e incita l'eroe: «attento!», «presto!», «buttati!»; c'è quello, frequentissimo, che non capisce niente e chiede in continuazione: «Cos'ha detto? Dove va? Ma quello lì è dei nostri o dei loro?». E ci sono quelli che invece di seguire il film chiacchierano per i fatti loro; e le schiere di amici che si passano richiami e commenti da un capo all'altro della fila; e infine quelli che, non apprezzando il film, continuano a sbuffare e a dire: «Che idiozia, che volgarità, che orrore, se va avanti così mi viene male». Scegliete con attenzione il film da andare a vedere; ma se per caso capitate male, i casi sono due: o andate via, o sopportate in silenzio. Il bello è che, se vengono zittiti dai vicini, questi spettatori altisonanti spesso si offendono, rispondono male e fanno sottili ironie sul sistema nervoso degli altri. Non fate come loro. E neanche infastidite la gente in altri modi: non fumate sigari puzzolenti; non sparate cenere e mozziconi tutt'intorno; non piegatevi continuamente a destra e a sinistra, obbligando chi sta dietro a fare lo stesso. Ai seccatori fanno da contrappeso gli insofferenti: quelli che subito protestano, zittiscono, aggrediscono i circostanti per ogni anche minimo e isolato bisbiglio, risatina, spostamento di testa o zaffatina di fumo. Specie quando il cinema è pieno, i superinsofferenti causano spesso maggior scompiglio dei seccatori di cui sopra. I pappagalli. Il seccatore che va subito, energicamente scoraggiato è il seccatore-pappagallo: quello che fa più o meno lente e insinuanti manovre per entrare in contatto, diciamo, con la spettatrice sconosciuta che gli siede al fianco. Questa non farà scene, non chiamerà la maschera, non mollerà sberle: se il cinema è abbastanza vuoto, si alzerà e cambierà posto. Altrimenti respingerà le occulte manovre con decisione, sguardo glaciale e poche, sommesse ma drastiche parole: in genere, di fronte a una pronta e ferma reazione il pappagallo batte in ritirata per non rischiare guai. Più complicata può essere la faccenda quando la signora non è sola, ma accompagnata da un uomo: se lo avverte di quanto sta accadendo sull'altro versante della propria sedia, può venirne fuori una scenata, che invece è saggio cercar di evitare; ma se l'importunata non reagisce, l'importuno può sentirsi autorizzato a continuare. Conosco una signora che, importunata al cinema da un pappagallo mentre era al fianco del marito, non disse niente: con la massima impassibilità e serenità si accese una sigaretta e poi la spense sulla mano del pappagallo come se fosse un portacenere; all'urlo del disgraziato, chiese con stupore e rincrescimento: «Oh, mi scusi, l'ho forse scottato?» È un sistema divertente ma un po' barbaro, che non ci sentiremmo di consigliare. Meglio chiedere al marito, con una scusa, di scambiarsi di posto, oppure di andare un po' più avanti o un po' più indietro. La vera ragione gliela si spiegherà dopo, se mai. Applausi e fischi. Al cinema in genere non si dovrebbe né applaudire né fischiare (se non alle prime, per esprimere un giudizio critico). Gli applausi ironici, che sottolineano le scene particolarmente stupide, sono comprensibili ma inutili: i responsabili non sono lì a sentire. In quanto ai documentari e alla pubblicità, sappiamo quanto gli uni e l'altra possano essere noiosi, ma poiché sono pagati, non possono essere interrotti; quindi fischi, applausi e tramestii di piedi non fanno che aggiungere alla noia della pubblicità o del documentario il fastidio del chiasso. Coppiette. Oggi le coppiette sono più attrezzate di una volta, quindi gli innamorati che vanno al cinema solo per stare vicini al buio sono diminuiti; ma ce ne sono ancora, specie tra i giovanissimi. Non è molto carino, al riaccendersi delle luci, vedere una fanciulla congestionata e scomposta vicino a un cavaliere stranito che cerca di darsi un contegno, ma si può essere indulgenti. Si vorrebbe solo che non eccedessero: in fatto di scene erotiche, bastano quelle dello schermo. Bambini al cinema. Non portate i bambini al cinema di sera: il loro posto è a letto. Non portateceli neanche di pomeriggio, se non per vedere film sicuramente adatti a loro. E per «adatti a loro» non intendiamo solo film che non siano vietati ai minori, ma film che possano interessarli e divertirli, tipo cartoni animati, western non violenti, eccetera. Se però i bambini sono molto piccoli, anche i western alla lunga li annoiano: e poche cose sono irritanti come quei genitori che, interessati al film, lasciano che i pargoletti scorrazzino intorno, si arrampichino sui sedili o sulle gambe degli spettatori, o peggio che li tengono fermi a forza, incuranti delle vocine che chiedono, prima sommesse, poi via via sempre più querule, penetranti, stentoree: «Perché? Chi è? Cos'è? Cosa fa? Dove va? Perché fa così? Papà quello lì è buono? Mamma quello lì è cattivo? È cattivo? È cattivo? È CATTIVO?» mentre i genitori, senza staccare gli occhi dallo schermo, li zittiscono meccanicamente: «Sssst, ssst, se stai buono poi ti prendo il gelato», «zitto! se non stai zitto le prendi», finché si arriva fatalmente all'esplosione di lacrime, singhiozzi e grida. Tutto questo, ovviamente, è da evitare. Portate i bambini con voi dove volete, ma non in posti dove possono annoiarsi, respirare aria viziata e disturbare il prossimo. In quanto ai bambini più grandi: ci sono film vietati e ci sono film permessi ai minori. Purtroppo il criterio con cui si vietano i film è un criterio di tipo, diciamo, unicamente sessuofobo. Ci si preoccupa moltissimo dell'«oltraggio al pudore», ma pochissimo dell'oltraggio all'estetica, al buon gusto, alla sensibilità; si vietano film che potrebbero turbare (o istruire) i bambini nella sfera sessuale, ma non si vietano film che possono traumatizzarli o influenzarli negativamente in vari modi. Quindi, prima di portare i bambini a vedere un film «non vietato», informatevi bene: o dai giornali, o da chi l'ha già visto.

Pagina 107

E allora, si spera che non abbiate vicini così. Finestre e balconi. Potete affacciarvi alla finestra o sostare sui balconi per godervi il sole (non nudi), per innaffiare i fiori (senza sgocciolare di sotto), per battere i tappeti (solo nelle ore lecite); non per sbirciare nelle finestre dei vicini, per chiamare a squarciagola chi passa di sotto, per intrecciare altisonanti conversazioni con altre signore o cameriere del casamento. Scale. Non fermatevi a chiacchierare sui pianerottoli o per le scale. Ma salutate sempre tutti quelli che incontrate; rivolgete un cenno o un buongiorno anche a quelli che non conoscete. Ascensore. Se l'ascensore non arriva alla chiamata, non arrabbiatevi subito, pestando pugni e calci nella porta e urlando «Ascensore! Ascensore!», come gridereste al fuoco in caso di incendio. Non fate gare con l'inquilino di sotto o di sopra per arrivare primi a schiacciare il bottone e soffiargli la baracca. Se, entrando in ascensore, vedete qualcuno che arriva, aspettatelo civilmente. Non sbattete fragorosamente la porta: specialmente di notte. Non tenetela abusivamente aperta per comodo vostro o dei vostri familiari: nascerebbero rappresaglie scomode per tutti. Portinai. Ricordatevi di dar loro la mancia a Natale, Pasqua, Ferragosto: è fatale. Salutateli sempre per primi, fermatevi pure un momento a scambiare qualche parola; ma non parlate dei fatti vostri e assolutamente mai di quelli dei vicini. Bambini. Non lasciateli urlare, scorrazzare e saltare in casa per troppe ore filate, con scarso gaudio del vicino di sotto. Insegnate loro a non scendere le scale a rompicollo facendo rimbombare la casa, a non cantare, a non gridare, a non giocare per le scale. A non seminare cartacce e cicche americane usate. A salutare le persone che incontrano. A non usare l'ascensore per divertimento; a non decorarlo di scritte e disegnini. Cani. In quasi tutte le case cittadine il regolamento vieta di tenere cani, e in quasi tutte le case cittadine ci sono inquilini che hanno il cane. Se voi siete tra questi, fate in modo che il cane assolutamente non disturbi. Se un cane è maleducato, la colpa non è sua, è dei suoi padroni. Non entrate col cane in ascensore, se ci sono altre persone. Insegnategli a non abbaiare sconsideratamente, a non far festa saltando addosso alla gente, a non rompere le calze della vicina, a non addentare le caviglie ai postini, a non fare pazzi caroselli per le scale, e così via. Per insegnargli tutto questo non occorre picchiarlo (picchiare un cane è sempre stupido e ingiusto): basta sgridarlo con voce severa e dito alzato ogni volta, ma proprio ogni volta che fa una cosa sbagliata (sbagliata per voi, ovviamente, non per lui). La sgridata diventerà più efficace se lo minaccerete agitando un giornale: tutti i cani, in questo più saggi di noi, hanno paura della carta stampata.

Pagina 203

L'angelo in famiglia

183262
Albini Crosta Maddalena 3 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Gesù misericordioso, abbiate pietà di essi! L'avarizia poi propriamente detta è un vizio nefando noverato tra i sette peccati capitali, che attira le vendette di Dio, e pur accumulando tesori terreni, rovina fino dal germe le famiglie che ne diventano eredi: Oh! evitiamo con ogni cura quest'orribile peccato, e per meglio evitarlo cerchiamo di conoscerlo mirandolo ben bene in faccia; quando ne avremo visto la bruttezza avremo maggior cura di schivarlo, di sfuggirlo, di odiarlo. L'avaro è crudele; egli ama soprattutto il suo denaro del quale è geloso: egli lascerebbe morire un uomo di fame anzichè privarsi di una sola moneta; ma anche staccandoci dal peggior tipo di avaro, e cercando l'avaro, per così dire, domestico, lo avaro pratico, l'avaro d'ogni giorno, noi vediamo in esso una vera durezza pei mali e pei bisogni del suo prossimo. Egli misura il pane ai servi, ai figli, a sè stesso; egli teme sempre gli venga meno quel denaro che adora, che cerca d'impiegare e che impiega realmente ad un frutto esagerato, sotto pretesto che la legge oggidì più non condanna l'usura: egli, il misero, non pensa che se l'usura è tollerata dalla legge umana, non è già tollerata dalla legge divina, da quella legge che tutela i diritti d'ognuno ed in ispecie quelli del bisognoso, dell'orfano, del pupillo... Egli trova inutile e superflua ogni spesa anche strettamente necessaria, e siccome sente ei pure il bisogno di giustificarsi dinanzi a sè stesso, e di persuadersi di non essere avaro, per una di quelle stranezze che mostrano la coincidenza dell'avarizia colla prodigalità, ma non la spiegano, profonde il suo denaro in un'opera spesso inutile o stolta, e così il risparmio accumulato con tanti sudori e con tante lacrime di povere vedove e di deserti orfanelli, serve al suo capriccio, e prova una volta di più che il peccato è irragionevole ed obbrobrioso, e che il frutto del peccato lo è del pari. Un ricco avaro che per una lunga vita aveva fatto usure e durezze d'ogni specie per accrescere il suo tesoro, privando sè medesimo dell'indispensabile alla vita, nella sua vecchiezza sciupava il suo denaro erigendo una fabbrica, senza disegno, senza architettura, senza scopo, se suo scopo non era quello d'incidervi una lapide sulla quale io stessa lessi scolpito:non adoro il denaro, ma generosamente lo calpesto. Io penso che egli si credesse in buona coscienza saggiamente economo, non avaro, e Iddio gli perdoni la sua ignoranza, gli tenga conto della buona intenzione; oh! si, Dio gli perdoni. L'economia invece è prudente ed oculata; misura con giustezza i bisogni della famiglia e li provvede. Impiega i proprj capitali ad un fruttato onesto ed in luogo sicuro, e calcolando giustamente le proprie entrate spende sempre qualche cosa di meno, poichè pensa che un dì o l'altro potrebbero diminuire o in qualche modo subire qualche avarìa, e trova quindi indispensabile aversi un qualche avanzo per riparare ai danni di un'eventuale malattia o di una qualunque disgrazia. La donna economa abitua sè ed i suoi di casa ad un vitto frugale, ad un vestiario modesto, talchè se la sventura li colpisse e la ruota girando mutasse la loro condizione, essi più facilmente potrebbero adattarsi ad una vita più ristretta e limitata, di quello che altri allevati nella grandezza o nella spensieratezza. Ma fin qui ho parlato degli obblighi, che ti ponno riguardare nell'avvenire, obblighi che tu sei tenuta a seriamente ponderare, ai quali tu devi prepararti, perchè nel loro adempimento sta una gran parte della saggezza muliebre. Ma a te pure posso e debbo parlare direttamente dell'economia, e perchè tu pure fin d'ora sei tenuta ad avertela famigliare, e per predisporti ai rovesci di fortuna, e per farteli evitare il più possibilmente. Molte volte, per un amore fosse eccessivo, i tuoi genitori hanno condisceso a circondarti di comodi, più che a te non erano dovuti, a dispendiarsi soverchiamente; ora tu devi saper far senza quelle ricercatezze che non sei certa di poter conservare. Ora sei agiata o ricca, ma un dì puoi diventar povera; con questo pensiero sempre fisso in mente devi abituarti ad una vita laboriosa e frugale, senza ricercare e tanto meno esigere quei comodi i quali aumentando la spesa, aumentano i tuoi bisogni, e quindi la tua infelicità. Io vorrei che anche le damigelle situate nella classe più alta, si abituassero á coprirsi di biancherie piuttosto grossolane ed ordinarie, non cercassero nel proprio vestiario che la decenza e la modestia, stando sempre nel vitto, nel vestire, nell'abitare ed in tutto una linea più sotto di quello porterebbe la loro condizione sociale e finanziaria. Questo servirà a mantenere una saggia economia, quindi ad ovviare un dissesto finanziario; nello stesso tempo dinoterà in esse un animo umile e gentile che ben lungi dal soverchiare gli altri, è contento di stare al disotto, memore che parola evangelica dice:gli ultimi saranno i primi. Sì, te lo raccomando ancora: abbi a cuore l'economia domestica, un'economia che più specialmente si riversi sulla tua persona, un'economia che non ti serri la mano al soccorso, ma ti presti anzi i mezzi per correre in ajuto dei bisognosi; un'economia che ti faccia amica e cara al Signore; a quel Signore che vestendo una carne come la nostra ha voluto cibarsi di povero pane, vestire povere vesti. Quand'io, aprendo il Vangelo, leggo il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci, un senso d'indefinibile tenerezza m'inonda il cuore, e mi torna alla mente questa riflessione, che non posso a meno di comunicarti. Non poteva il Salvatore operando il miracolo offrire alle turbe cibi più squisiti e prelibati di quanto nol fossero pane e pesci? Non poteva almeno dare a quel pane ed a quei pesci un sapore nuovo, differente, superiore ad ogni altro sapore? Il Vangelo non dice affatto parola di ciò; resta adunque sottinteso che nostro Signore moltiplicò i pani ed i pesci nella stessa qualità dei pochi pani e dei pochi pesci che gli Apostoli tenevano in serbo; siccome ogni cosa fatta da Dio è feconda di utili ammaestramenti, così questa pure è utilissima, insegnandoci che allorchè ci limitiamo a desiderare ed a chiedere il necessario, Iddio è pronto a fare anche dei miracoli per soddisfarci. Non cercare adunque, o amica tenerissima, che il necessario; fa di contentarti di poco, di restringere quanto più puoi i tuoi bisogni, e sarai più facilmente esaudita, ed il Signore vedendoti staccata dai beni della terra, non sarà indotto a privartene; ma ajuterà anzi l'opera saggia e prudente di un'economia guidata dall'amore della giustizia e dai dettami della carità, col benedirti non solo nell' anima, ma altresì nel corpo e negli averi! Oh! ti benedica, ti benedica Iddio!

Pagina 542

abbiate pietà di lei!... È brutto, sì è brutto e straziante quello spettacolo, ed io voglio condurti per la seconda volta presso il letto della vecchia mia inferma, per mostrarti la serenità del suo volto, del suo cuore, in mezzo ai dolori, agli acciacchi della malattia e della vecchiaja, ed alle privazioni della miseria sotto una vernice di proprietà, avanzo unico degli agi d'altra volta. Ma questo non basta: la vecchia zitella desidera bene a tutti, parla bene d'ognuno, e ti racconta con voce intenerita come un ex Garibaldino che abita sotto di lei l'ha protetta e difesa contro gl'insulti di alcuni infelici i quali cercavano di proibirle perfino di recitare ad alta voce il suo Rosario, e la vessavano in ogni maniera. Essa ama con ardente carità cristiana il Maggiore che non conosce, e prega e fa pregare per lui. Egli ammala, e la povera inferma con santa industria invia al suo letto un Sacerdote, il quale non è respinto, ma però tenuto a certa distanza. La malattia aggrava, e la vecchia prega sempre con maggior ardore per lui il buon Dio; i Framassoni circondano il letto dell'infermo cercando di estorcergli un ultimo testamento in cui dichiari di non essere altrimenti cattolico, e di non voler essere avvicinato dal Prete; ma nella camera sovrapposta una donna vecchissima, appoggiata a due grucce dimentica i proprj dolori, i proprj bisogni per non pregare se non per lui. Oh! la grazia non può tardare, verrà!... La grazia è venuta. È il 12 marzo del 1880: l'infermo si solleva sull'origliere, chiede di essere lasciato solo dai compagni, ed all'unico rimasto rivolge la preghiera di correre pel medico, mentre sottovoce supplica con istanza la moglie di mandare pel Sacerdote, il quale viene, lo confessa, riceve l'abjura dei suoi errori, lo assolve, lo benedice, gli amministra l'Estrema unzione e si allontana per indi dalla chiesa recargli il Pane di vita. Arrestati, o Sacerdote! Il pietoso Iddio ti ha prevenuto: già lo sai, l'antico framassone era sparito; su quel letto giace adesso il fervoroso credente, il quale benedice i proprj dolori, le proprie pene; eccolo assorto in Dio rivolgersi a Lui con caldo sospiro; ecco sciogliersi l'anima sua dal corpo di morte, riconciliata col suo Creatore, eccola volare in Cielo a ricevervi una Comunione santa che non avrà fine giammai... I settarj sbuffano, scalpitano alla porta dell' antico loro commilitone; finalmente la porta si apre, ma del povero Chiesa non trovano più che un cadavere!... E chi può misurare la misericordia di Dio? E chi può comprendere gl'imperscrutabili suoi disegni? Un sentimento di umanità piamente secondato dal valoroso Maggiore che aveva perduto una gamba in battaglia, attirò le benedizioni di Dio, e questi volle addolcire le sue agonie con una ferma speranza, con una forte promessa, accordando a lui quello che fu negato a Voltaire, quando al letto di morte richiesto con forza un Sacerdote, negatogli dagli Enciclopedisti che lo circondavano, moriva disperato divorando le proprie lordure! Mia buona figliuola, e dove t'ho condotta io mai? E perchè ti ho contristata con scene di tanto dolore? Ma se tu pensi alla vecchia quasi nonagenaria, al cinquantenne Garibaldino, il cui passaggio è allietato dal sorriso della fede, la calma ti tornerà al cuore e ti nascerà vivo il bisogno di pregare per i miscredenti più induriti, per tutti quanti gli uomini. Sì, prega, preghiamo per tutti; la preghiera affratella gli animi, li riunisce, li riconcilia con Dio, bene sommo, anzi unico cui può aspirare ed arrivare la creatura più perfetta dell'universo. Preghiamo anche per la salute del corpo, che pure è un gran dono del Signore; ma guardiamoci dal considerarla come bene sommo, poichè essa è un bene fugace e vale solo come mezzo conducente alla salute eterna: guardiamoci dal confondere il mezzo col fine, la via colla meta! Il buon Dio ad avvertirci di ciò, a ricordarcelo, permette che la malattia ci venga 49 a toccare, e forse tu pure, giovane diletta, sarai travagliata da qualche infermità; ma sia lode al Signore! tu sei credente, non basta; tu sei pia, tu sei fervorosa cattolica, tu sei figlia di una Madre addolorata, e le lacrime che ti sgorgheranno dagli occhi, strappate a viva forza dalle sofferenze corporali, rinchiuderanno la dolcezza che viene dalla fede, dalla pietà, dall'amor santo; e a somiglianza della verga colla quale Mosè percosse il monte, i tuoi dolori faranno scaturire un'onda purissima di sante virtù, di elette benedizioni, atte a spargere su tutta la tua vita una tinta benefica e meritoria. Proverai, lo so bone, grandi difficoltà nell' esercizio di una sì santa rassegnazione, poichè la carne si ribella, vuol prendere il sopravvento sullo spirito, e se il domarla ti costerà fatica, sarà altresì sorgente di gaudio e di benedizione non per te soltanto e per coloro che ti circondano, ma per tutti quelli cui sarà rivolta la tua caritatevole preghiera. Una falsa compassione od una fallace speranza potrebbe tener lontano dal mio e dal tuo letto i conforti cristiani nell'ultima nostra ora, ed allora, ahimè! ci saranno tolti gl'ineffabili conforti, le ineffabili consolazioni che speravamo compagni dell'ultimo nostro sospiro! Ma, io e tu, non potremmo fare fin d'ora un patto a noi medesime? Non potremmo fare un patto colla nostra volontà di far chiamare noi stesse il Ministro di Dio non appena ci minacci grave malattia, o ci tormenti una febbre cocente? Oh! sì, facciamolo assieme questo patto, questo fermo proposito, e Dio ce ne terrà conto, io spero, e nell'ultima nostra ora saremo allietate dalla riconciliazione con Lui, che ci verrà a visitare per farsi nostro alimento nel Sacramento dell'amor suo. Oh! Gesù, Ostia purissima di pace e di perdono, siate frequentemente il mio cibo corroborante nella mia mortale carriera; siate il mio conforto, il mio sostegno nei dolori dell'estrema malattia, siate il mio Viatico al grande passaggio! Gesù buono, accordatemi Voi una santa pazienza, cementatela coll'amor vostro purissimo, ed io dimentica di questo corpo di peccato sopporterò coraggiosamente i dolori, le pene, pensando al premio eterno, ineffabile che Voi stesso ci apprestate in Paradiso. Madre mia, Maria Santissima, conducete Voi al mio letto il vostro divin Figliuolo, e, come con esso chiudeste gli occhi al purissimo vostro sposo, chiudete pure gli occhi miei, quando l'anima mia si scioglierà dai lacci corporei. Oh mio caro S. Giuseppe, protettore dei moribondi, io V'invoco adesso che sono nella piena vigoria delle mie facoltà per quegli estremi momenti, e fidente nella promessa che verrà aperto a colui che picchia, e sarà dato a chi chiede, imploro con tutto l'ardore di cui sono capace l'ajuto vostro, ed esclamo dal più profondo del cuore: Gesù mio, misericordia! Madonna, ajutatemi! S. Giuseppe, protettore degli agonizzanti, pensateci Voi, sì, sì, pensateci Voi!

Pagina 763

Marco: Non vogliate premeditare quello che abbiate a dire; ma quello, che in quel punto vi sarà dato, quello dite; ché non siete voi che parlate, ma lo Spirito Santo, impugnerò nuovamente la penna, e dirò quello che lo Spirito mi detta, senza punto badare al mio desiderio od alla mia ripugnanza. Sì, il confesso, mentre mi è pena e pena grande farti in certo qual modo da maestra e da guida, mi è altresì pena vera lo staccarmi da te, damigella cara, da te che con amore mi hai seguito fin qui: quanto alle altre le quali hanno troncato a mezzo la lettura, non s'avvedono neppure di questa mia titubanza e di questo mio desiderio!... Ma un pensiero consolante mi rialza l'animo, assicurandomi che quanto io ho detto non è cosa mia, non viene da me, ma da quel Dio il quale buonissimo e misericordioso con tutti, e più specialmente coi più indegni, mi ha scelta a strumento della sua parola. Ah! foss'io stata, e foss'io tuttora strumento docile nelle mani divine, quanto lo è la penna che sta nelle mie! O mia buona figliuola, se gli è Dio che ti parla, ed io non sono che un portavoce, tu lo devi ascoltare, tu devi porgere attento orecchio alla sua parola; tu devi seguire i suoi ammaestramenti, i quali rendendoti più pia, ti renderanno più buona anche per te stessa, e più utile al prossimo tuo; ti tramuteranno in angelo sotto veste umana, ti rinforzeranno contro le battaglie che il mondo, il demonio e la carne insieme congiunti ti moveranno contro. Oh! possa il buon Dio renderti felice, ma prima fervorosa credente, calorosa adoratrice del Sacramentato nostro bene, del Cuore Sacratissimo del nostro Gesù, e ti faccia trovare ognora in quel pelago di dolcezza un consiglio nelle dubbiezze, un conforto nel timore, uno sprone nelle titubanze, un incoraggiamento, un ajuto nelle opere buone, un ostacolo insuperabile nelle vie del peccato. Oh! ti renda felice il nostro caro Gesù, e non solo felice in una vita che sfugge, ma nell'altra che eternamente dura!

Pagina 775

Galateo ad uso dei giovietti

183936
Matteo Gatta 2 occorrenze
  • 1877
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Intanto abbiate per fermo essere grave inciviltà l'accendere pipa o sigaro in una vettura, in un vagone, in una sala comune, senza prima domandarne il permesso almeno alle signore. All' udito, invece, riesce molesto e fastidioso il dirugginare i denti, lo zufolare, lo stropicciare pietre aspre, il fregar ferro, il graffiar vetri, cose queste ultime che destano il ribrezzo d' una lima stridente. Nessuno ha l' obbligo d'essere un canarino: ma chi sgraziatamente ha voce discorde e stonata e non ombra di abilità musicale senta compassione degli altri e non si faccia «Lacerator di ben costrutti orecchi.» Valga l'osservazione anche per quelli che nei caffè, nei convegni gridano a squarciagola con gran disturbo di chi ragiona tranquillamente e di chi è intento alla lettura dei giornali. Vi sono taluni che, tossendo o sternutando o purgandosi il naso, fanno uno strepito che assorda ; e altri che, non usando in ciò alcuna diligenza, spruzzano il viso ai circostanti. Non è mestieri che io raccomandi ai miei ascoltatori e alle mie ascoltatrici di guardarsi da questi atti in urbani. Al senso del gusto o al palato si può recar molestia, tanto per allegar qualche esempio, col goffo e grossolano scherzo di mettere alcun che di sgradevole, poniamo, in una bevanda, per poi sghignazzare sguaiatamente a spese di colui che resta colla bocca attossicata; e, in altro modo col voler costringere una persona, sia pur amico, ad assaggiare vino ammuffato, inacetito e peggio, o vivanda immangiabile per ostico sapore o nauseante condimento. Moltissimi sono gli atti inurbani che offendono il tatto. Lasciando stare gli usi plebei dei facchini e dei monelli da piazza di fare materia di scherzo e di giuoco le ceffate, i pugni, i calci, l'afferrarsi pei capegli, il pigliarsi a sassate, con gran consolazione dei presenti e dei passanti, vi hanno anche nelle classi più educate certuni che per riuscire seccanti e incivili valgono tant'oro. Ti picchiano sulle spalle per ricordarti una cosa; ti prendono pei bottoni dell'abito onde tu non abbia a sfuggire dalle loro ugne; passeggiando s' appoggiano di peso al tuo braccio e gli danno strappate da lasciartelo indolenzito; in compagnia credono porgere bel saggio di spirito con un buffetto sul naso a questo, col dare il gambetto a quello, coll'accostare alla mano del vicino la estremità del sigaro acceso..... Non dirò nulla di que' scioperati (e non basta qualificarli con tale epiteto) che d' improvviso levano di sotto via lo scranno a chi sta per sedere, con manifesto pericolo di vederlo stramazzare supino al suolo. Codeste non sono burle, sono attentati alla salute e alla vita delle persone, e i loro autori vorrebbero essere esclusi da ogni onesta brigata. Nelle occasioni di grande concorso poi, quando, in mezzo alla folla costretta all' immobilità, tra migliaia di persone stivate non cadrebbe un granellino di miglio, fa propriamente dispetto la villania di coloro che, armeggiando di mani, di gomiti, di petto, di gambe, vogliono a forza cacciarsi innanzi agli altri per veder meglio e smentire l'antico proverbio. « Chi tardi arriva male alloggia,» credendo rimediare agli urti violenti, alle ammaccature delle vostre spalle, de' vostri piedi, di tutto il corpo, con una scusa biasciata in italiano od in francese. E trovasi anche tale che, sbadigliando, urla o ragghia come un asino; e tale che con la bocca aperta vuol pur dire e seguitare il suo ragionamento, e manda fuori quella voce o piuttosto quel rumore che fa il muto quando si sforza di favellare: le quali sconcie maniere si voglion fuggire come sgradevoli alla vista e all' udito. E dato pure che lo sbadiglio non venga accompagnato nè dal raglio asinesco nè dal mugolo di cui sopra, il giovinetto costumato farà molto bene ad astenersene per varii motivi. Anzitutto perchè non sembri gli venga a noia la brigata e gli rincrescano i discorsi e i modi delle persone che la compongono; poi perchè, quando uno sbadiglia, quasi tutti gli altri, come vi sarà occorso di notare più volte, sentono il bisogno di fare lo stesso e quindi il primo è come la causa indiretta di questo sonnacchioso e generale contagio dello sbadiglio. Il suggerimento vale pei maschi, come per le femmine: ma con voi, buone fanciulle, mi corre anche qui, come in molti punti, l'obbligo di rincarar sulla dose per la ragione che certe cose spiacenti e meritevoli di censura nell'uomo, lo sono in grado superlativo nella donna. Non è egli vero che il vostro sesso è qualificato coll'epiteto di gentile? Ebbene, dee mostrarsene degno. Mi mancherebbe forse prima il tempo che la materia se io volessi enumerarvi ad uno ad uno gli atti che offendono i sensi; ma, dopo il saggio che vi ho posto sotto gli occhi, dopo i varii e speciali esempi che ho recato, sono persuaso che avrete una norma bastante per discernere quanto la civiltà permette da quanto riprova e condanna su questo proposito. Quindi io non vi toccherò nè di rutti nè di altre peggiori indecenze che, solo a intenderle accennare, destano un senso di schifo e di ribrezzo; mi arresterò invece su certe abitudini più comuni, su certe azioni che peccano d' inciviltà e qualche volta anche di egoismo, e che vediamo commesse con troppa frequenza più per sbadataggine che per maligna intenzione. Noi le porremo sotto una sola rubrica denominandole

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E però abbiate cura di essere delicati in questo proposito, di non avviare il discorso unicamente su quella materia che voi conoscete meglio, e di cui forse gli altri non capiscono un ette, ma anzi fate in modo che a ciascheduno si offra l'opportunità di prendere la parola su quel soggetto che ha più alla mano. In generale è bene che gli argomenti siano adatti all' intelligenza del maggior numero. In presenza altrui, guardatevi dal censurare o rimproverare o correggere alcuno, sia pure un compagno od anche un fratello, perchè ciò ferisce troppo vivamente il nostro amor proprio. Potrete farlo invece amorevolmente e a quattr'occhi, e la vostra ammonizione non sarà senza frutto. Giungendo in mezzo ad una conversazione dov'è incamminato un discorso, non domandate di che si parli. Ma se all'incontro, mentre voi parlate, sopravviene una persona di riguardo, abbiate la gentilezza di riassumere in poche parole quanto avete già detto, quindi riattaccate il filo del vostro discorso. Non fate mai ripetere alla persona che parla con voi quello che ha già esposto. « Io non capisco. - Che avete detto? - Era distratto non ho inteso. » Questi e consimili modi non sono da giovinetti bene educati. E nemmeno pigliate in disparte qualcheduno, come in aria di confidargli un segreto, mentre le persone radunate in crocchio s'intrattengono a ragionare. Ciò disgusta gli astanti ed eccita indiscretamente la curiosità altrui. Così pure, favellando col vostro vicino, badate di non mostrare col dito le persone, e non fate movimenti sconvenevoli, nè schiamazzate ridendo fuori di modo e fuori di tempo. Raccontando un fatto o un aneddoto, non nominate mai la persona da cui lo sapeste, se avete il menomo dubbio di recarle dispiacere. La discrezione è una delle prime doti di cui vuol essere adorno l' uomo che frequenta la società. Altrimenti chi si arrischierebbe a confidarvi un segreto, nella persuasione o nel dubbio che voi andiate tosto a strombazzarlo ai quattro venti, palesando anche il nome di chi ve l'ha confidato? Se alcuno, in vostra presenza, scappa a dire o a fare cosa che non stia bene, accorgendosi che la fu una sbadataggine e ch'egli stesso ne è già pentito, voi dovete starvene in silenzio, fingendo di non avervi fatto attenzione, e non rinfacciargli quella parola o quell'atto, ciò che sarebbe non solo contro la civiltà, ma eziandio contro la carità. Se poi bisbiglia qualche scusa, cercate d' interpretar tutto per il meglio, onde in certo modo scusare lui stesso a' suoi occhi medesimi. Spiace a tutti l'uomo che mena vanto della sua nobiltà, delle sue ricchezze, de' suoi onori, delle opere sue. Meglio è sottrarre alcuna cosa ai proprii meriti. Guardatevi adunque dal gloriarvi e dal fare il vostro elogio; ciò riesce intollerabile a quelli che vi ascoltano, i quali argomentano subito che voi vogliate essere da più di loro. Se alcuno vi loda, non mostrate di rallegrarvene soverchiamente, ma con modestia cercate di persuaderlo che la sua benevolenza ingrandisce agli occhi di lui il poco vostro merito, oppure ingegnatevi a troncare destramente il discorso ed è questo uno dei rari casi in cui il troncarlo con garbo in bocca altrui non può essere giudicata azione incivile. Se mai sentite a lodare qualcuno che non sia presente, non vogliate scemar quelle lodi, altrimenti vi acquistereste la bruttissima taccia d'invidiosi. Se, all' incontro, sentite censurare o biasimare ingiustamente una persona della quale conoscete l'onesto carattere e le pregevoli doti, pigliatene pur le difese e rendetegli quella giustizia che merita, senza però prorompere in parole d'oltraggio contro chi introdusse il discorso, e sforzandovi di convincerlo con sodi argomenti ch' esso fu tratto in inganno o da un equivoco, o dalle false dicerie di qualche malevolo. Talvolta noi siamo obbligati per civiltà a soffrire nelle conversazioni i difetti altrui; e fin qui tutto si riduce a una scambievole indulgenza, giacchè anche gli altri sopportano i nostri. Ma il peggio si è che non di rado ci troviamo costretti, per non parere istrici od orsi, a dire cose gentili a chi forse non le merita. Non c' è scampo, bisogna rassegnarci e fare di necessità virtù guardandosi però dallo sdrucciolare nell'abbietta adulazione. E a questo proposito calza molto bene un avvertimento di monsignor Della Casa, il quale dice che gli uomini in genere « devonsi piuttosto pesare colla stadera del mugnaio che con la bilancia dell'orafo...... e accettarli non per quello che essi vagliono, ma, come si fa delle monete, per quello che corrono. Codesto argomento ha pure affinità colle espressioni di cerimonia, cioè colle parole che racchiudono un vano significato di onore e di riverenza. Infatti si dice e si scrive: Illustrissimo signor tale. Distintissimo signor cotale, a persone tutt'altro che illustri e distinte; e ci protestiamo devotissimi servitori a certuni che noi, osserva il Della Casa, vorremmo piuttosto disservire che servire. Queste espressioni adunque sarebbero vere menzogne, se non avessero perduto la loro forza e guasta, siccome il ferro, la tempera primitiva. Quindi si dà loro quel peso e quel valore che meritano. Non potendo mutare l' antica usanza, siamo costretti a secondarla: ma ciò vuolsi fare con discrezione e con misura, non seguendo il brutto vezzo di coloro che a persone di nessun conto profondono e a voce e in iscritto i più altisonanti e ampollosi superlativi. Il primo nostro poeta satirico, il Giusti, aveva una istintiva antipatia pel chiarissimo, e in un sua lettera lo pone lepidamente in ridicolo. Non vogliate imitare le persone che guardano troppo pel sottile ai complimenti, ai saluti, ai titoli, alle visite, e con questo modo vengono a noia a tutti. E neppur quelle che si proferiscono sempre disposte a farvi piacere e che poi al bisogno non sanno rendervi il più piccolo servigio. Benchè ormai si sappia dall' universale che codeste offerte non sono che complimenti e formole d'uso, si hanno ugualmente a sfuggire, non essendo, in fin dei conti, che falsità. E in vero come prestar fede alle dichiarazioni di stima, di riverenza, d'affetto di chi le ha sempre sulle labbra e le usa indistintamente con tutti? « Ella è mio padrone. - Io sono interamente a' suoi ordini. - O qual fortuna è la mia di godere della sua amicizia! - Oh quanto sarei felice se mi fosse dato di poter servirla in qualche cosa! - Ella è veramente una degna persona. - Mi comandi con ogni libertà. - Io non valgo a niente, ma sono tutto cosa sua.... » E mille altre esagerazioni e menzogne di questa specie. Il galantuomo non si proferisce per un servizio che coll'intenzione e, dirò anche, colla possibilità di renderlo davvero.

Pagina 92

Come devo comportarmi. Le buone usanze

184981
Lydia (Diana di Santafiora) 5 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
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Non mostrate mai di dubitare dell'onestà di chi vi serve, salvo che non abbiate prove chiare e lampanti. Siate esatti nel pagamento dei salari; non permettete a nessuno della vostra famiglia, neppure ai bimbi più piccoli, di trattar male la bambinaia o la cameriera; avvezzateli a rispettarle e a parlar loro con correttezza e con buone parole. Insomma, ricordatevi sempre che il mestiere del domestico è il più odioso di tutti, e cercate di renderlo meno grave che potete alle persone che sono alle vostre dipendenze; cercate soprattutto di non far pesar troppo su di loro la vostra autorità, e addolcite le necessarie asprezze della loro posizione con la dolcezza dei modi e delle parole.

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Finchè i vostri figliuoli sono piccoli, abbiate cura soltanto che studino, che crescano buoni e onesti. La carriera se la sceglieranno poi, quando i venti anni saranno ormai vicini. Con questo non intendo dire che i ragazzi non comincino molto presto a discutere fra loro e coi genitori su quello che faranno da grandi; ma finchè l'età e l'intelligenza non sono mature, son tutti disegni senza importanza. Domandate a un bambino di dieci anni che cosa farà da grande, ed egli avrà subito la sua risposta pronta; domandateglielo quattro o cinque anni dopo, e la risposta sarà ugualmente pronta, ma diversa; con tutta probabilità sceglierà poi, a diciott'anni, una carriera che non sarà nè la prima nè la seconda. Nell'età fra l'infanzia e l'adolescenza, i ragazzi hanno una grande ammirazione per tutto ciò che fa effetto, che s'impone per dignità o per abilità. Di ritorno da una rivista, dichiareranno che da grandi saranno soldati; uscendo dal teatro, s'innamoreranno della professione di comico o di direttore d'orchestra. Due miei bambini, a nove e dieci anni giuravano che sarebbero divenuti un giorno l'uno cocchiere, l'altro carabiniere! A quindici anni, la naturale tendenza agli esercizi ginnastici e violenti, la lettura di libri di viaggi e d'avventure fanno inclinare i giovinetti verso carriere eroiche e pericolose: chi vuol farsi marinaro per andare al polo, chi esploratore per studiare le sorgenti del Nilo, chi poliziotto dilettante per arrestare i ladri e gli assassini.... Lasciateli dire e, finchè non è giunto il momento di discutere sul serio, non vi preoccupate delle loro idee fantastiche. Quei genitori che credono utile di discutere coi loro bambini su simili argomenti e di ricondurli alla ragione, sprecano il tempo e il fiato e mostrano di non conoscere la psicologia infantile. I ragazzi hanno bisogno di vagare con la mente fuori della realtà della vita, di crearsi un mondo a modo loro, senza limiti e senza inciampi. Togliete loro questa bella prerogativa e li renderete inquieti e tristi. Del resto, ogni vostro sforzo riuscirebbe vano: nessun ragionamento al mondo potrà convincere un bambino di dieci anni che la vita del cocchiere, con la frusta a con le briglie in mano dalla mattina alla sera, non sia la più bella di tutte; nè un ragazzo di quindici si piegherà ad ammettere che la carriera dell'impiegato, sempre chiuso in una stanza, sia da preferirsi a quella dell'esploratore, che s'aggira liberamente nelle foreste del centro dell'Affrica. Soltanto l'esperienza, e la realtà della vita, lo indurrà un giorno a più miti propositi. Quando il giovinetto sta per finire gli studi medi, quando da ragazzo è per diventare un giovinotto, allora, s'egli non ha ancor preso una decisione, è il caso d'intavolare con lui colloqui seri e gravi, di esaminarne le tendenze, di guidarlo e d'indirizzarlo. Nel consigliarlo sulla futura carriera, si deve tener conto, e indurlo a tener conto, delle condizioni della famiglia e, se esistono, delle difficoltà che si oppongono a studi lunghi e costosi. Se si tratta di un giovane diligente e studioso, d'ingegno pronto e vivace, ogni sacrifizio, anche grave, sarà giustificato per assicurargli un brillante avvenire; ma se l'ingegno non è troppo sveglio, se l'amore allo studio è meno che normale, si farà il bene della famiglia, e di lui stesso, persuadendolo a scegliere una carriera dignitosa ma modesta, adatta alla condizione e ai mezzi paterni. Nè si creda, con ciò, di sacrificarlo: meglio un buon impiegato che un cattivo medico o avvocato, così dal lato morale, come da quello materiale. Oggi, la spietata concorrenza in ogni ramo professionale elimina senza pietà tutti gli spostati. Di cento laureati in medicina o in legge, solo gli ottimi riescono a conquistare una posizione capace di dar loro fama e ricchezza; gli altri stentano la vita, scontentando se e il prossimo. Nella carriera degli impieghi invece c'è posto per molti, e chi non ha ingegno può facilmente supplire con la diligenza e la buona condotta. Soprattutto, non si creda che una carriera modesta sia poco dignitosa: ogni professione è onorevole, se esercitata con onore; e un onesto meccanico o un abile tipografo sono più degni di rispetto d'un medico ignorante o d'un avvocato senza coscienza. La moderna società soffre assai della tendenza dei genitori a dare ai loro figliuoli una posizione superiore alla propria; e se tale tendenza è scusabile, anzi, degna d'approvazione in certi casi eccezionali, quasi sempre serve soltanto a sparger nel mondo degli spostati.

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Abbiate dunque una cura solerte e continua dei vostri denti: non tutti possono avere dei denti regolari, ma tutti possono averli puliti: è una questione di pazienza, e soprattutto di abitudine regolare di pulizia. I denti devono esser lavati con lo spazzolino e con un buon dentifricio non una volta al giorno soltanto, ma più volte. È un'ottima abitudine quella di lavarseli dopo ogni pasto, e la sera prima d'andare a letto; e il lavaggio dev'esser fatto a lungo e a fondo, in modo da toglier via tutte le materie estranee rimaste fra dente e dente. L'uso di fumare annerisce i denti, ed è anche per questo che una signora che tiene ad apparir bella e piacente deve rigorosamente astenersene; ma dell'annerimento dei denti vi possono essere molte altre cause, fra le quali la più frequente è una digestione faticosa o imperfetta. In generale, chi digerisce bene ha i denti sani e bianchi. La regolarità dei denti, oltre la loro candidezza, è una delle bellezze più ricercate in una donna; nulla è più piacevole d'una bella fila di perle, quando le labbra si schiudono al sorriso. Ora, le madri amorose, che amano di veder belle e ammirate le loro figliuole, è bene che sappiano che, nella maggior parte dei casi, nulla è più facile che raddrizzare dei denti storti; basta rivolgersi a un buon dentista, che in un tempo relativamente breve saprà rimetter le cose a posto. La spesa non grave che un tal trattamento richiede è largamente compensata dai molti e grandi vantaggi che ne conseguono.

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Non abbiate paura dell'aria: la più parte dei malanni si prendono a star tappati in casa. Oltre alla pulizia giornaliera di tutta la casa, qualche brava signora ha l'abitudine di pulire a fondo una stanza per giorno, a turno, cominciando dal levare i mobili, sollevare i tappeti, lustrare il pavimento, ecc. È un'ottima abitudine, che non possiamo mai raccomandare abbastanza; e su di essa ci fermeremo ancora a lungo. La casa è il regno della donna; ed essa deve esserne gelosa come di cosa che appartiene tutta a lei. Una casa ben tenuta non solo fa onore alla padrona di casa, ma è fonte d'armonia fra i coniugi e di felicità familiare. Il marito che torna stanco dal lavoro, entra contento nel suo nido tutto lindo, dove ogni più piccolo oggetto rivela le cure amorose d'una persona gentile; da una casa sporca e mal tenuta egli si stacca invece volentieri, e cerca altrove, nelle sale del circolo o nei caffè, una distrazione alle fatiche della giornata. Pensateci, lettrici cortesi.

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Abbiate dunque cura, anche se siete giovani e vi sentite forti, della vostra salute, alla quale oggi non pensate, ma che sarà un giorno la vostra preoccupazione. Lavorate; lavorate con impegno, con serietà, con intelligenza; il lavoro è, si sa, la più nobile occupazione dell'uomo, nè io intendo in alcun modo incitarvi all'ozio. Ma sappiate non esagerare, sappiate fermarvi a tempo; sappiate soprattutto intramezzare nel vostro lavoro periodi di riposo assoluto e completo, che vi ristorino a vi ricreino, come all'assetato viandante le oasi in un deserto. Soprattutto, non aspettate per riposarvi di non poterne più; chè allora il riposo dovrà essere infinitamente più lungo e potrà anche non essere più sufficiente. Il consiglio del mio amico igienista è probabilmente il più saggio di tutti: un'ora al giorno, un giorno alla settimana, un mese all'anno. È una pessima abitudine quella di render la domenica un giorno come tutti gli altri. Si pensi che in tutti i paesi, in tutti i tempi, in tutte le religioni, un giorno della settimana è dedicato al riposo. Gli ebrei avevano il sabato, e tutti conoscono a quali gravi punizioni andava incontro chi lavorava in quel giorno: Dio stesso, secondo la Bibbia, si riposò dopo sei giorni di lavoro. Sia dunque la domenica, anche per noi moderni, un giorno di riposo e di svago, nel quale la mente e il corpo si rafforzino per il lavoro che ci attende. E cerchiamo di passarla serenamente e senza preoccupazioni. Alcuni amano fare, la domenica, lunghe passeggiate, e quest'abitudine, veramente eccellente, va prendendo piede ogni giorno più. Si vedono giovinetti, signorine, uomini maturi, partire la mattina col loro sacco in ispalla, e ritornar la sera, sorridenti, ilari, disinvolti. Hanno fatto miglia e miglia in campagna; si son seduti a mezzogiorno in mezzo a un bel prato o nel folto d'un bosco, accanto a una sorgente d'acqua pura, e hanno mangiato allegramente le provviste portate con sè; hanno giocato, hanno cantato, hanno respirato dell'aria buona, si son divertiti: che volete di più? Quanto meglio hanno costoro provveduto alla loro salute, che non quelli che hanno passato ore e ore nella sala buia d'un cinematografo, nella platea d'un teatro o in mezzo al fumo acre d'un caffè! Ci sono gli appassionati allo sport. Essi attendono con ansia la domenica per giocare la loro partita al calcio, al tennis, alla palla, per esercitarsi nel canottaggio, per andare a caccia. Siano benedetti anche loro! Ogni sport all'aria aperta è degno d'essere incoraggiato, senza eccezione. La gioventù che si dà allo sport, alle passeggiate, alla vita libera e allegra sotto il sole, non conosce il vizio, disprezza le sozzure della vita cittadina, rifugge dalle società equivoche, dai loschi raggiri, dai giuochi d'azzardo. Aria, luce, sole, moto: ecco gli elementi necessari alla vita del corpo e dell'anima; ecco i rimedi sovrani contro il sordo logorio della faticosa vita di tutti i giorni.

Pagina 70

Galateo per tutte le occasioni

188009
Sabrina Carollo 3 occorrenze
  • 2012
  • Giunti Editore
  • Firenze-Milano
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Insomma, abbiate comprensione, non addobbateli quotidianamente come piccoli adulti graziosi. Possono essere in ordine anche senza apparire ciò che non sono: voi in miniatura.

Pagina 156

Abbiate rispetto. Fermarsi poi per lasciare attraversare le persone in attesa sulle strisce è una cortesia che fa tanto british da non osare sperarci. Corollario alla precedente: la mancata attenzione al pedone ha scatenato ultimamente alcuni comportamenti tendenzialmente eccessivi. Il primo è quello che vuole fare il controcorrente e inchioda a tutti i costi appena vede qualcuno anche solo avvicinarsi vagamente alle strisce, ancora indeciso se attraversare o no. Il secondo è quello del pedone che si lancia sulle strisce con la boria attaccabrighe di chi si appropria di un diritto troppo spesso negato, procedendo a una lentezza esasperante con occhio di sfida pronto a reagire in modo bellicoso a una qualunque rimostranza. In entrambi i casi, fate meno. È più utile alla causa. ✓ La velocità di crociera. Tra il superare i limiti imposti dalla legge e l'eccesso di zelo nel rispettarli, rimanendo una quarantina di chilometri l'ora sotto ogni possibilità, esiste una via di mezzo che si chiama normalità. Se amate andare particolarmente piano, se non siete sicuri della vostra guida, cercate di stare il più possibile a destra (non in Inghilterra) e non meravigliatevi se ogni tanto qualcuno vi strombazza. Detto questo, se siete in ritardissimo tutti andranno troppo piano ai vostri occhi, dunque calma e sangue freddo. Impiegate semmai il tempo a inventarvi qualche scusa decente. ✓ Anche i ciclisti occupano un volume. Minore rispetto a quello di un'auto, vero, ma pur sempre uno spessore di rispetto. Questo vale per gli automobilisti che tendono a dimenticarsi della loro esistenza, spalancando portiere all'improvviso o stringendoli contro il muro mentre procedono con loro accanto, ma anche per i ciclisti stessi, che spesso e volentieri bucano stop e precedenze pensando di essere sottili come fogli di carta, regalando invece scompensi cardiaci e brusche frenate a chi sta in macchina, oppure si muovono amabilmente affiancati a due o addirittura a tre, gustandosi il paesaggio e commentandolo con i compagni di giro mentre dietro di loro si creano chilometri di coda peggio che al casello di Milano sud il primo di agosto. ✓ Il parcheggio. È in questa occasione che emerge maggiormente l'inciviltà recondita (neanche troppo) e il menefreghismo dell'uomo urbano. L'atrofizzazione dei muscoli delle gambe del nostro genere è ormai a uno stadio tale che al confronto i polli volano come falchi. Dunque è necessario per ogni essere umano dotato di automobile arrivare a parcheggiare la medesima esattamente di fronte al luogo in cui si devono recare, per una distanza massima di passi due. Ciò causa inevitabilmente dei disagi notevoli per gli altri automobilisti che devono solo passare, senza contare i più penalizzati in assoluto: le persone in carrozzella e le mamme con i bimbi piccoli. Cercando di smuovere il proprio egoismo pensando almeno a loro, ricordiamo che: ✓ non si parcheggia sulle strisce pedonali; ✓ non si parcheggia sui marciapiedi; ✓ non si parcheggia davanti alle discese dei marciapiedi; ✓ non si parcheggia in curva; ✓ non si parcheggia in doppia o tripla fila (e ci fermiamo qui per decenza); ✓ non si parcheggia sopra o troppo vicino ai binari del tram. Le città sono sempre più piccole per la quantità di auto in movimento, il traffico in costante aumento, eppure le dimensioni delle automobili sono sempre maggiori. Sembra che l'invidia del pene freudiana si sia trasferita sull'automezzo di casa. In particolare, tanto inferiore è il numero di bambini da caricare su un'auto, tanto maggiori saranno le dimensioni della stessa. Il massimo viene raggiunto dalle donne giovani senza figli né cani, perennemente fuori a cena, orgogliose proprietarie di sovradimensionate station wagon/fuoristrada. Tali furgoni sono particolarmente difficili da parcheggiare, e dunque o vengono abbandonati dove capita con quattro frecce, o vengono parcheggiati "a orecchio" (sulla base cioè del rumore di lamiera). Se si lascia l'auto con quattro frecce in posizione irregolare - occasione che dovrebbe verificarsi raramente in un anno - ricordarsi di prestare attenzione ed essere pronti allo scatto per spostarla. Ricordate sempre che gli altri possono avere urgenza di muoversi. ✓ I principianti. Si sa, le macchine dell'autoscuola fanno al massimo i quindici all'ora. Ognuno di noi ne è consapevole, ognuno è rassegnato quando se ne trova una davanti. Del resto ci siamo passati tutti, forse anche Schumacher. Ma esiste una forma di principiante non dichiarato che è capace di infastidire anche il più pacato degli automobilisti. È legittimo non saper guidare ancora tanto bene, prudente e consigliabile andare piano. Ma almeno che si metta una bella P dietro, così tutti gli altri si possono regolare. ✓ Gli abbaglianti. Si usano in montagna, nelle stradine buie di campagna, nelle notti senza luna e in mancanza di illuminazione sufficiente. NON sono uno strumento per intimorire il prossimo mentre gli si piomba alle spalle in autostrada con un bolide da sbruffoni a un centinaio di chilometri circa oltre il limite. ✓ Il telefono. O vi comprate l'auricolare, oppure subite gli auguri peggiori che vi rifila quello dietro perché state cambiando più lenti di un'era geologica. Comunque non si sta al telefono a chiacchierare, mentre si guida, perché la disattenzione è assicurata. ✓ Ultimo caso di vistosa maleducazione al volante, il finestrino. Se abbassato, serve per far entrare aria fresca, per asciugare i capelli lavati di corsa o per annusare il profumo di primavera quando si attraversa la campagna in maggio. Entrare. Tendenzialmente non dovrebbe fuoriuscirne nulla. Tantomeno cartacce e spazzatura varia. In ordine di maleducazione, i fumatori vincono di gran lunga la competizione: con la precisione metodica con cui un ecologista ricicla ogni cosa, essi sono in grado di gettare dall'auto in corsa ogni parte inutile che riguardi la propria passione, dalla plastica trasparente che avvolge il pacchetto alla cenere accumulata nel posacenere (che fosse solo quella... ), dal filtro all'intero pacchetto vuoto e accartocciato. Professionisti della zozzura, non hanno ben capito che il resto del mondo che sta fuori dall'abitacolo non è esattamente un enorme cassonetto. Anche gli habitué della gomma da masticare salgono sul podio, con lanci articolati onde evitare il ritorno in cabina della pallina disgustosa, seguiti da presso dai parenti stretti, gli scartatori di caramelle, che naturalmente non immaginano che si possa buttare la carta che avvolge il confetto nel posacenere dell'auto. A tutti costoro ricordiamo che usare le strade come immondezzaio comune è pratica medievale e altamente cafona.

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. ✓ Abbiate rispetto di chi soffre, se voi invece avete problemi meno dolorosi, e offrite per quanto vi è possibile la vostra compagnia per fare quattro chiacchiere, in modo da distrarvi entrambi, pur senza diventare invadenti. Cercate di non parlare solo di malattie e cure, anche se l'ambiente vi sollecita in tal senso, e rifornitevi di libri e riviste. ✓ Se la televisione in camera è ammessa, tenetela a un volume basso, ma se possibile offrite di condividere la visione con i vicini di letto. ✓ La musica va sempre ascoltata in cuffia. ✓ Fate in modo di indossare camicie da notte o pigiami dignitosi, portatevi delle calzine leggere e numerosi cambi in modo da essere sempre in ordine. ✓ Non intrattenete inutilmente il medico al capezzale, ma esigete risposte chiare e precise, soprattutto in occasione di cambiamenti che non vi spiegate. il tipico simbolo della medicina ✓ Quando finalmente potrete tornare a casa, salutate tutti cordialmente e se possibile lasciate un piccolo omaggio per il personale (una pianta, dei cioccolatini, dei fiori).

Pagina 219

Dei doveri di civiltà ad uso delle fanciulle

188255
Pietro Touhar 2 occorrenze
  • 1880
  • Felice Paggi Libraio-Editore
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Se v'imbattete in letterati o in artisti, ricordatevi che l'ingegno ambisce d'essere conosciuto; non isfuggite di tener discorso delle loro opere, qualora ne abbiate avuta sufficiente contezza; lodate francamente ciò che vi è parso meritevole di lode, e serbate il silenzio sui difetti che vi è sembrato di riscontrare; chè se si tratta di persone ormai reputatissime, non hanno d'uopo del vostro giudizio, e sarebbe lo stesso che offenderle senza pro di usare in critica per attenuarne l'elogio. Ma in ogni caso astenetevi piuttosto dal parlarne ove non siate sicure della retta estimazione delle cose; imperocchè uno scrittore e un artista male sopporterebbero di sentirsi lodati, per ignoranza, dal lato debole delle loro opere; e l'elogio che ne venisse dopo, ancorchè fosse fatto più a proposito, pure scaderebbe di pregio. Se pei vostri studii avete fatto acquisto di qualche sapere nelle lettere e nelle arti, siate pur nonostante caute e discrete nel conversare coi letterati o con gli artisti; e le vostre osservazioni sulle loro opere siano sempre esposte a modo di dubbio; chè cosi piegherete a favor vostro l'animo loro, ed essi accoglieranno od almeno non sdegneranno la vostra critica; e fors'anco vi paleseranno quei segreti dell'arte che altrimenti operando avreste sempre ignorato. I sentenziosi Sentenziosi, coloro che nel parlare usano continuamente sentenze o che giudicano di tutto, anche non richiesti. tanta sapienza addimostrano, che niuno si cura di porger loro qualche utile notizia. Infine badate bene di non apparire mai sprezzanti verso coloro che non hanno potuto ancora conseguire coi loro sforzi qualche splendida palma; incoraggite il genio nascente; e proteggetelo, se la fortuna vi ha dato modo di farlo degnamente; poichè quanto maggiore sarà il vostro sapere, tanto più conoscerete che cosa costi l'acquistarlo. Sonovi certe professioni che più delle altre devono far capitale della gentilezza d'animo che usar dobbiamo verso chi le esercita, studiandoci di non ci lasciar vincere nè dal dolore nè dalla scontentezza. Tra esse dobbiamo annoverare quelle di medico e d'avvocato. Quanto al primo non potrà mai essere bastante la vostra riconoscenza per le cure che avrà usato a pro vostro o delle persone che più, vi son care; od ove tali cure non avessero raggiunto l'effetto desiderato, sarebbe ingiustizia assoggettarlo anco al sospetto di qualche rimprovero. Conviene supporre che abbia usato ogni maggiore sforzo per vincere la malattia; e il vostro rammarico su di ciò varrebbe quanto lo imputarlo d'ignoranza. L'avvocato abile e onesto ha da affrontare non meno gravi ostacoli: postosi nell'obbligo di difendere clienti persuasi tutti della bontà dello loro cause, deve spesso trovarsi angustiato dalla costernazione che la perdita di una lite produce. Che se ciò a voi avvenisse, non vi lasciate indurre ad operare contro civiltà; non vi abbandonate a inutili lagnanze ed ingiusti rimproveri. Anzitutto convien sapere esporre con chiarezza e con precisione il fatto vostro; poi non lo dovete impacciare con inutili perditempi; e saria indizio di goffaggine incolparlo della cattiva riuscita della causa, subito che avendolo scelto a vostro difensore l'avete giudicato meritevole della vostra fiducia. V'è da osservare qualche cosa anche intorno alle persone che stanno alla mercatura, professione onorata al pari d'ogni altra. Talchè sarebbe atto di biasimevole orgoglio il non fare buon viso alle garbatezze che vi dimostrano. Quanto più sono costrette a soddisfare alle richieste spesso indiscrete dei compratori, tanto più dovete con urbanità corrispondere alle loro premure, mostrando che fate conto della pazienza da esse usata. Non dovete pagar loro il tempo e la fatica necessari alla scelta che far volete con ogni ponderazione, ed è giusto che ringraziate chiunque s'è mostrato cortese nel dar pascolo alla vostra curiosità. Questo capitolo potrebbe certamente comprendere molte altre avvertenze, ed estendersi a più minute ricerche; ma il già detto deve bastare per far conoscere la necessità della buona creanza in ogni parte del civile consorzio. Dobbiamo: usare moderazione nei rimproveri ancorchè siano giusti e spetti a noi il farli al nostro simile; discretezza nelle amichevoli corrispondenze; cortesia verso chiunque, in particolare molta gentilezza d'animo verso chi ci dà l'opera sua, il suo ingegno, il suo tempo. Non dobbiamo: Mostrare troppa dimestichezza coi superiori, nè tampoco servilità; non albagia con gli eguali o con gl'inferiori; nè fare sfoggio d'ingegno o di sapere studiandoci d'offuscare o di umiliare gli altri; nè fare onta alla fiducia da noi riposta in chi la merita.

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Abbiate dunque benevolo e caritatevole rispetto per ogni specie d'infermità; e badate che per cagion vostra non addivengano più manifeste in coloro che le sopportano. Se, per esempio, vi trovate in compagnia d'una persona affetta di sordità, non occorre che vi poniate ad urlare nelle sue orecchie, e basterà alzar la voce e scolpir bene le parole in modo da farvi intendere, senza darle a conoscere la cura che vi ponete, senza lasciarvi scappare le risa per gli equivoci a cui può andar soggetta a cagione del suo incomodo e facendola anzi con accortezza ritornar subito sull'argomento del quale trattate. Riguardo a chi ha la sventura della cecità, mostratevi non meno attente, e non vi venga mai fatto di vantare i benefizi della luce con chi non ne può godere; e se si tratta soltanto di una persona di vista debole, usate ogni precauzione per non farle provare la differenza che passa tra la sua e la vostra; talchè se dovesse esaminare con voi alcun che, fate di accostarglielo quanto occorre, ma senza affettazione, e non mostrate rammarico, impazienza, maraviglia, se per la debolezza del suo organo della vista ella non può scorgere le parti più minute, le raffinatezze del lavoro, o che so io. Qui non occorrerà certamente ricordare quanta rozzezza, sconvenienza, inumanità vi sarebbe a fare oggetto di beffe le imperfezioni che la natura o le malattie talvolta lasciano sulle persone. Se avete personale svelto, gambe buone, se potete fare uso delle vostre braccia, tanto meglio per voi; godete come si conviene di questi benefizi; ma non ne menate vanto con coloro che hanno il corpo contraffatto, che zoppicano, che sono monchi. Diremo eziandio qualche cosa intorno ai doveri che la civiltà prescrive in fatto di malattia; e questi è tanto più necessario osservare, in quanto che la persona che soffre è viepiù sensibile alla dimenticanza dei riguardi e alla mancanza delle attenzioni che ha diritto di aspettarsi da chi le fa visita o compagnia. Quando una persona di vostra conoscenza si ammala, dovete subito, potendo, andar da voi ad informarvi del suo stato, affinchè abbia manifesta prova della vostra premura per lei. Se si tratta di leggiero incomodo, potranno bastare due o tre visite a convenienti intervalli; ma se il male divenisse più grave, le vostre premure cresceranno, e manderete spesso, anco due volte il giorno, a chieder notizie del malato. Di quando in quando gli farete dimandare se la vostra presenza potesse essergli gradita o utile, e quando vi faccia sapere che avrebbe caro di vedervi, non indugiate un istante, affinchè non abbia a dubitare che le vostre offerte fossero poco sincere e mal celassero un'indifferenza che gli riuscirebbe dolorosa. Queste specie di visite, che possono appartenere alla categoria dei doveri, vogliono molte cautele. Quando entrate nella camera d'una persona giacente sul letto del dolore, dovete camminare senza strepito e parlare sommessamente. Il vostro aspetto, benchè naturalmente esprima il pensiero che vi date per la persona che soffre, non deve per altro addimostrare tanta apprensione da indurla a credersi in molto pericolo. Se è molto tempo che non l'avete veduta, sappiate liberarvi dall'improvvisa e dispiacente sorpresa che in voi cagionar potrebbe l'alterazione dei suoi lineamenti; sappiate scegliere e moderare quelle parole di conforto che giudicherete doverle dirigere; e badate soprattutto di non obbligarla a darvi qualche risposta che possa riuscirle faticosa o rincrescente. Poi rivolgete la parola ai parenti ed alle persone che la custodiscono, ed ogni vostro ragionamento avrà per oggetto di attestare alla malata la premura e la speranza che avete della sua guarigione. Tali visite per lo più devono esser corte; ma potrebbero addivenire più lunghe, qualora la malata, manifestando il piacere che ha di vedervi, facesse anche ben conoscere il desiderio di godere più a lungo della vostra compagnia. Quando la convalescenza è incominciata, non sono più necessarie le stesse precauzioni, e la vostra parte diviene meno difficile. Allora nel presentarvi alla persona visitata, le mostrerete tutta la vostra contentezza, vi congratulerete con lei del suo miglioramento, userete maggiore festività nel colloquio, le parlerete con compiacenza dei progetti che va formando pel tempo in cui avrà recuperata appieno la sua salute, procurerete di farle conoscere la speranza che questo tempo sia per essere vicino, farete insomma di tutto per invigorire le sue speranze, e talora potrà anche giovarle di sentir lusingare le sue illusioni; imperocchè la serenità dell'animo suol essere efficacissima a corroborare la sanità del corpo. Tutte queste cure minute che, a dir vero, in certe circostanze riescono difficili, sono tuttavia necessarie per mantenere l'accordo nella società. Ed è bene rammentarci sempre che se la cortesia e la garbatezza sono giovevoli verso chi è in auge e chi gode di buona salute, addivengono dovere non solo di civiltà ma anche d'umanità verso chi è caduto in disgrazia o verso chi soffre. Dobbiamo: Badar bene di non offendere l'amor proprio e la sensibilità delle persone colpite da qualche sventura, e rispettare qualsivoglia infermità; cercar notizia premurosamente dello stato delle amiche malate; visitarle quando lo bramano; usar molte cautele in questa specie di visite. Non dobbiamo: Allontanarci dalle amiche allorchè siano divenute infelici; nè peccare d'incuria verso di loro quando sono malate.

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IL nuovo bon ton a tavola e l'arte di conoscere gli altri

190624
Schira Roberta 2 occorrenze
  • 2013
  • Salani
  • Milano
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La sua preoccupazione principale è che ve ne andiate da casa sua senza sentirvi sazi e così vi ingozza di cibo, di oggetti, di parole e possibilmente anche di qualche «schiscetta» per il viaggio, nel caso abbiate ancora un languorino. Si preoccupa per la vostra salute fisica e morale e in genere utilizza, in pieno stile materno, il ricatto come modalità relazionale: «Se non torni entro una settimana, potrebbe venirmi quell'eritema di origine psicosomatica», «Se non finisci le lasagne le getterò tutte nella spazzatura: è davvero un peccato». E, prima di congedarvi, un «Trovati un/una fidanzato/a, è ora che tu metta la testa a posto» non ve lo toglie nessuno. L'ospite oculato, ossia taccagno. Se siete riusciti a farvi invitare da un autentico taccagno siete bravissimi. Lui non ha mai con sé il portafogli, come un mio amico di Torino, gira sempre con una banconota da cento euro in tasca evitando così le piccole spese come offrire aperitivi, caffè o pagare il taxi. Al ristorante vuole sempre fare alla romana, segnandosi le sue portate. Se viene invitato difficilmente porta qualcosa, ma se lo fa probabilmente è un regalo riciclato: occhio alla scadenza. Però dopo il vostro ennesimo invito decide di ricambiare: state pronti. Non c'è nulla che non va, se non nelle porzioni e nella qualità degli ingredienti: porzioni ridotte e ingredienti scadenti. Ma quello che denuncia irrevocabilmente l'anfitrione tirchio è la scelta del vino: se volete bere decentemente conviene che ve lo portiate da casa.

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Insomma, quando apparecchiate o siete al ristorante pensate sempre che il coperto, cioè l'insieme delle stoviglie (posate, piatti, bicchieri), ha la funzione fondamentale di delimitare il vostro territorio, quindi non varcate i confini a meno che non abbiate intenzioni ben precise.

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La giovinetta educata alla morale ed istruita nei lavori femminili, nella economia domestica e nelle cose più convenienti al suo stato

192699
Tonar, Gozzi, Taterna, Carrer, Lambruschini, ecc. ecc. 3 occorrenze
  • 1888
  • Libreria G. B. Petrini
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
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Le patate in luogo freddo gelano, in luogo caldo germogliano, in luogo umido marciscono, epperciò vanno conservate in luogo asciutto, che non sia nè caldo nè freddo: abbiate cura, se il monte è un po' grosso, di disporle a strati frammischiandole di rami secchi e di paglia, in modo che esalino. Le patate immature od alterate dal gelo sono molto nocive non solamente all'uomo, ma ancora agli animali. In Edimburgo una famiglia intiera dovette perire per l'uso esclusivo fatto per lo spazio di sei settimane di pomi di terra, cioè patate gelate. Le patate cotte sotto la cenere od in forno, e quindi condite per vivanda, sono molto più saporite che allessate nell'acqua, ove perdono assai di loro qualità. Le rape si conservano per tutto l'inverno, quando sieno raccolte sul finire dell'autunno e lasciate per tre o quattro giorni all'aria libera; si sratificano con sabbia asciutta nelle cantine, in modo che una radice non tocchi l'altra; nello stesso modo si conservano le barbabietole, i ramolacci ed anche i porri. L'aglio e la cipolla si conservano meglio in reste che altrimenti, appese in luoghi temperati, dopo che furono asciugate al sole. Alle sostanze alimentari soglionsi aggiungere i condimenti; migliore fra tutti è il sale marino, che dà grazia ai cibi e prepara lo stomaco alla digestione. Dei condimenti aromatici, come sarebbero il pepe, la cannella, i garofani, la noce muschiata, conviene far assai parco uso per non offendere il ventricolo. Giova eziandio avvertire che gli alimenti, in ispecial modo acidi e grassi, non devono conservarsi in vasi di rame o di piombo ; comodissime ed innocue sono le stoviglie bene inverniciate.

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Quando date la salda alla biancheria, non accendete, onde riscaldare i ferri per istirarla, il carbone del fornelletto a porte e finestre chiuse, ma su ballatoi od almeno sotto il camino, tenendo o l'uscio od una finestra aperta; abbiate anche questa precauzione in cucina quando dovete servirvi del carbone per cucinare, perché il gas acido carbonico, esalando in abbondanza dal medesimo, potrebbe soffocarvi improvvisamente; per la stessa ragione non servitevi di esso per mettere nei caldani onde riscaldare le stanze; non fidatevi neppure della così detta carbonina, perché se meno ne esala, ne esala ciò non ostante ; guardatevi ancora nel comprare, che invece della medesima non vi vendano tritume di carbone che produrrebbe gli stessi tristi effetti che il medesimo produce. Il gas acido Carbonico si forma anche in sale chiuse dove è radunata molta gente e sonvi molte lumiere accese, nelle stufe, e può cagionare gravissimi accidenti. State adunque all'erta; se voi uscirete di quando in quando da simili luoghi e poi rientrerete, sarà facile l'accorgervi dallo stato d'aria ed allora spalancate porte e finestre ; sara meglio soffrire un po' di freddo, che mettersi a pericolo di soffocare. 3. Non abitate a dilungo ed al chiuso in compagnia di molte persone senza rinnovare l'aria di quando in quando, perché, respirando noi gas ossigeno, ed espirando gas acido carbonico, può accadere, massime in luogo angusto, che l'ossigeno venga diminuito in modo che veniate dagli altri due gas soffocati, imperciocchè se il gas acido carbonico soffoca quando forma la quinta parte dell'aria atmosferica, il gas azoto produce lo stesso effetto quando la medesima ne contiene due terzi di più dell'ordiiario ; si dica lo stesso del dormire più individui in istanze basse e strette. Il perché non abbiate paura di arieggiare i luoghi dove dimorate, e massimamente dove dormite, perché l'aria pura è quella sola che vi conserverà la sanità e la vita. 4. Le piante consumano pure l'ossigeno e producono gas acido carbonico ed azoto, quando le loro parti verdeggianti non sono percosse dalla luce del sole, ed operano appunto il contrario quando ne son percosse, cioè assorbono tutto ciò che nuoce alla respirazione degli animali, e dànno in cambio aria respirabile, ossigeno. Le piante adunque corrompono l'aria nel primo caso e la purificano nel secondo. Dovete perciò guardarvi dal dormire in camere dove vi sieno vegetali, dal lasciare aperte la sera le finestre che dànno sui viali e dallo starvi di notte in boschetti, sotto pergolati, ed anche di giorno sotto piante in cortili che non prendono mai i raggi del sole. E poi sempre nocivo il tenere fiori nelle stanze, massime nelle cubiculari, perchè essi non sono come lo piante; imperciocchè tanto di giorno che di notte assorbono l'ossigeno ed esalano gas acido carbonico, ed inoltre le emanazioni odorose che vengono dai loro petali possono essere causa d'altri inconvenienti, come dolor di capo e convulsioni.

Pagina 303

Oh, le mie ragazze, siate adunque temperanti, perchè non lo abbiate a provare.

Pagina 314

Donnine a modo

193997
Camilla Buffoni Zappa 2 occorrenze
  • 1897
  • Enrico Trevisini - Editore
  • Milano
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Nell'occupare il vostro posto abbiate cura di non fare chiasso per non disturbare i fedeli; lasciate passare i vostri maggiori, e se la chiesa fosse gremita e vedeste una signora in piedi offrite con bei modi il vostro posto. Vi è anche permesso offrirlo ad un uomo, ma solo allora che si trattasse di un vecchio cadente. 55. Vi accadrà qualche volta di accompagnare alcuno che in una chiesa si reca soltanto per visitarvi un dipinto, o una statua. Non per questo vi è lecito dimenticare che siete in un lungo sacro; la riverenza entrando è indispensabile, e farete bene inginocchiandovi un momento per dire una breve preghiera. 56. A proposito: in chiesa si deve evitare di dire le preghiere o di leggere a mezza voce; dite le orazioni col cuore e leggete mentalmente, i vicini ve ne saranno grati. 57. Non lasciate sbattere la porta, e se dietro a voi avete qualche persona di riguardo tenetela aperta fin ch'essa vi sia passata. 58. Se assistete alla SS. Messa rimanete inginocchiate almeno al Sanctus, all'Elevazione, alla Comunione e alla Benedizione finale. 59. È inutile vi dica che in Chiesa non si deve parlare, nè chiamarsi, nè ridere, nè additare i presenti, nè restare con gli occhi inchiodati al soffitto, nè occuparsi del come sono vestite le signore e le signorine. 60. Se vi accostate alla SS. Mensa siate raccolte, serie, composte, come si conviene al grande Mistero. 61. Se vi unite al coro che canta le laudi non strillate come pazze, accompagnate invece il canto a mezza voce, anche se aveste una voce deliziosa. C. BUFFONI-ZAPPA 3 62. Vi potrebbe succedere di dover entrare in una chiesa di una religione diversa dalla vostra: mi raccomando, comportatevi come nei vostri templi, ma osservate le mosse dei fedeli che vi si trovano e fate come essi. 63. Ma torniamo al collegio: la campana vi chiama in classe; anche qui dovete recarvi in fila, e sebbene sia concesso di parlare, consiglio di farlo sottovoce. 64. In ricreazione siate pure allegre, sguajate mai. 65. Quando la campana invita al riposo non girondolate pei corridoi, non fate lunghe sedute laddove bello tacere, per il gusto di far aspettare le altre. 66. Quando la solita campana dice il silenzio, obbeditela; niente di più scorretto che parlare dopo questi rintocchi. 67. Del resto mettetevi bene in mente che il collegio è una grande famiglia; portatevi tutti i buoni insegnamenti che riceveste nella vostra, dimenticate tutto ciò che se è compatibile a casa, diviene assurdo in una comunità. Le compagne siano vostre sorelle ma senza distinzione, evitando le preferenze che generano screzi. 68. Nei collegi si fa lo studio camerale, cioè si studiano le lezioni in comune. Quasi ogni fanciulla mi dirà che non può mandar a memoria che ciò che studia ad alta voce. Sotto questa scusa le classi, si presentano in certe ore, come le bolgie infernali delle quali più tardi imparerete dal divino Poeta. Vi consiglio di riunirvi in piccoli gruppi, tre, quattro, cinque al massimo, e studiare insieme sotto voce provandovi man mano il periodo studiato. Con questo sistema vi disturberete meno reciprocamente, e non insordirete quelle povere insegnanti che vi sorvegliano. 69. Se vi occorrono schiarimenti rivolgetevi all' insegnante, ma non liticate tra voi, per carità. 70. Se dovete escire di classe chiedetene il permesso a chi vi sorveglia, e fatelo senza chiasso. 71. Nelle giornate di escita non siate tempestose come il cielo di marzo, e da casa non portate nulla che non siate sicuri di poter mostrare senza paura ai vostri superiori; libri, denaro e qualsiasi altra cosa sia consegnata da voi nelle loro mani. 72. Il parlatorio dove in dati giorni potete vedere i vostri genitori, è un altro luogo dove si giudica della vostra educazione. Quindi il fissare o lo squadrare da capo a piedi i parenti delle vostre compagne, il ridere, il parlare a voce bassissima dopo averli guardati, sono tutte scorrettezze che dovete evitare. 73. Nè farete bene a criticare i congiunti di qualche vostra compagna, quando, finito il parlatorio, rientrate in classe. 74.È regola d'ogni collegio di permettere a certe epoche fisse, l'escita, per una o più giornate, alle fanciulle che ospita: la signora direttrice avrà fino dalla vigilia fatte le sue raccomandazioni, e qualche altra delle vostre superiore ve le rinnoverà al momento di escire. Dunque dovrei limitarmi a dirvi ricordatevene per tutto il tempo che rimanete fuori del convitto; ma so purtroppo che per certe cose la vostra memoria è molto labile, sicchè trovo opportuno enumerarvi qualcuna di quelle saggie raccomandazioni. Ve l'ho già detto: vi hanno messo in collegio per sottrarvi al contatto dei domestici che se anche buonissimi, sono sempre persone volgari; ciò legittima la pretesa che nel collegio impariate la vera educazione; e potete per ciò immaginarvi che il giorno dell'escita come un giorno di prova. Quante invece in questo giorno mettono in un cale i saggi avvertimenti, e si lasciano andare al più scorretto procedere. Non mi dite che siete vivaci: siatelo pure, e Dio vi benedica, ma la vivacità è una cosa e la sguaiataggine un'altra. 75. Mettere a soqquadro la casa sotto il pretesto che si è sempre lontane è mancanza di educazione. 76. Far brutto viso alle persone che potessero in tal giorno capitare a visitare la vostra famiglia; frugare nelle carte dei vostri genitori, sono tutte cose che non dimostrano certo il vostro profitto in quanto a buona creanza. Ma procediamo con ordine: 77. Siate pronte per l'ora dell' escita in modo di non far aspettare chi viene a prendervi. 78. Ponete la massima cura nel vestirvi, così da non escire coi guanti scuciti o gli stivaletti sporchi. 79. Non accettate dalle compagne incarichi che potessero essere di disturbo alla vostra famiglia, in urto con i regolamenti del collegio. 80. Nell'uscire salutate senza furia le vostre superiore, e le compagne che restano. 81. Per la via siate correttissime ricordandovi che l'uniforme che indossate vi obbliga a un contegno perfetto. 82. In casa mettete in pratica tutti quei consigli che vi vengo man mano enumerando. 83. Non mangiate di soverchio col pretesto che siete al desinare di famiglia, e sopratutto non dite che l'una o l'altra cosa non vi piace. 84. Non sentenziate su nulla, e non usate quel tono di superiorità che è molto in uso in certi collegi, tanto che le fanciulle se ne impadroniscono in modo da sembrare sia una loro brutta naturale abitudine. 85. Non esponete idee che potrebbero offendere le persone che vi sentono. 86. Siate puntuali all'ora del ritorno, e nell'entrare in collegio dimenticate tutto quello che aveste potuto vedere o sentire a casa vostra; non sciorinate grandezze nè miserie della vostra famiglia, le prime suscitando invidia, e umiliando quelle fra le vostre compagne di condizione inferiore alla vostra, le miserie umiliando voi stesse. 87. Non portate da casa cosa alcuna senza il permesso dei vostri genitori. 88. Il giorno dopo l'uscita avete il dovere di scrivere alla vostra famiglia ringraziandola. 89. Se uscite per le vacanze oltre il ricordarvi sempre che dal vostro contegno si giudica il collegio al quale appartenete, siete obbligate di scrivere ogni quindici giorni alla Direttrice del vostro collegio se è lontana, e di visitarla se si trovasse nella stessa città. 90. Se trovandovi in famiglia qualcuno v'invita a dar saggio di qualche cosa che avete imparato, non vi fate pregare, ma abbiate il buon senso di scegliere sempre le cose più facili che potete. 91. La vostra posizione di scolara in vacanza non vi dispensa dal prestare ajuto in famiglia, non vi autorizza all'ozio.

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A questo proposito mi ricordo un casetto avvenuto nel collegio ove fui educata, e che vi voglio narrare perchè abbiate una idea di quali dolorose conseguenze può essere causa uno scherzo. Il regolamento permetteva, che nelle rigide sere dell'inverno la preghiera della sera venisse fatta nelle rispettive classi anzichè nella cappella comune. Una sera eravamo tutte inginocchiate nel mezzo della scuola, e le nostre personcine projettavano le loro ombre sulle pareti debolmente illuminate. Una delle mie compagne la più mattacchiona, si trovava, per caso, vicina alla fanciulla più sensibile e più fantastica del collegio, la quale usava portare intorno al capo un nastrino di velluto nero annodato nel mezzo. Sulla parete i capi di quella gala s'allungavano in modo da rappresentare delle lunghe corna sovrastanti la testa della fanciulla. La ragazza mattacchiona osserva la strana ondeggiatura, urta del gomito alla compagna e: guarda, le dice, hai messe le corna! Quella si volge, guarda getta un grido angoscioso, e cade svenuta. Erano le otto di sera, a mezzanotte la giovinetta aveva una febbre a 40 gradi, e il delirio. La malattia fu violenta, lunghissima la convalescenza, e infine il suo sistema nervoso risentì per anni di quella scossa. Vedete adunque che danni può recare il più innocente degli scherzi! Non ne fate mai, mai, perchè se spesso non hanno conseguenza di sorta, potrebbero accadervi qualche volta, fatti dolorosi come quello che vi ho esposto. 13. Se una delle vostre compagne manca da qualche giorno da scuola e sapete che sia malata pregate la mamma che vi permetta di mandare a sentire come sta. Se vi ci recate poi anche voi non insistete per vederla se la sua famiglia mostra desiderio ch'ella resti tranquilla, o se la sapete malata di malattia contagiosa. Una vera prova d'amicizia e di benevolenza fra compagne di scuola, quando una è malata, è quella di tenerla al corrente delle lezioni ricevute in classe, s'intende bene che ciò si fa nel caso che la malattia sia cosa leggera. 14. Ammesse nella stanza di una persona malata state tranquille, silenziose, e la vostra visita sia breve. Non direte la vostra opinione sullo stato dell'inferma, non farete apprezzamenti, non tedierete le persone col racconto di malattie e cure consimili che abbiate potuto vedere nella vostra famiglia. 15. Come v'ho pregate di non parlar di morte davanti ai vecchi, così vi raccomando di evitare simili discorsi nella camera di un malato. 16. Potrete qualche volta essere ammalate voi stesse, e ricevere alcuna visita. II galateo degli ammalati è poco esigente, chi non lo sa? ma non bisogna poi trascendere in tale libertà; distinguiamo: non vi sentite voglia di parlare nè di sentir parlare? in questo caso ci è permesso senza venir meno alla buona educazione dire a chi vi visita: «scusa sai, ma mi sento un po' stanca» se invece subiste questa compagnia, che non vi gradisce, precisamente perchè non state bene, con sbadigli, dimenandovi per il letto, sospirando, ecc. commettereste un atto che nemmeno il vostro stato di malata scuserebbe. 17. Se avete bisogno di qualche cosa potete chiederlo anche in presenza di terze persone, ma non è bello approfittare della compagnia di chi ci visita per prendere medicine, farsi aggiustare i guanciali, e così via. 18. Non parlate molto dei vostri mali, non vogliate mostrarli se si trattasse di ferite, ustioni od altro che può far ribrezzo. 19. Non insistete perchè chi è venuto a trovarvi prolunghi la sua visita, anche se tale compagnia vi fosse graditissima: ricordatevi che il visitare gli ammalati fa parte delle opere di misericordia, cioè è cosa più meritoria che piacevole. 20. Non seminate nè fomentate discordie fra le vostre compagne, ma cercate di metter fra loro la pace. 21. Non accettate doni dalle compagne, e non ne fate senza il permesso dei reciproci genitori. 22. Brutta abitudine quella di chiedere a prestito oggetti dalle compagne; ma qualche volta questo potrà accadere; in tal caso conservate con diligenza l'oggetto che non vi appartiene e cercate di restituirlo in buono stato come vi fu dato. 23. Se vi prestano un libro abbiatene gran cura, e cominciate col ricoprirlo subito di una fodera di carta; quest'ultima pratica sarebbe villana se invece del libro che ricevete in prestito, ricopriste quello che a prestito date a qualcuno, poichè gli direste chiaramente che non vi fidate del suo ordine. 24. Non offrite mai a prestito cosa alcuna per pentirvene poi e fingere di non ricordare la vostra offerta; e se qualcuno usa in tal modo con voi, non ricordategli quanto ha promesso, non vi ostinate a voler mantenuta una parola da chi si studia di dimenticarla. 25. Le fanciulle hanno mille modi di rendersi reciproci servigi sia coll'insegnarsi l'una l'altra lavoretti C. BUFFONI-ZAPPA 4 graziosi, col prestarsene i campioni; offriteli alle vostre compagne, ma non chiedeteli se appena potete pensare che vi sarebbero dati a malincuore.

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Galateo morale

196668
Giacinto Gallenga 1 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
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Lasciate i posti d'angolo, come i più comodi, nelle vetture alle donne, e non obbligatele, quand'anche abbiate su esse il diritto di precedenza nell'interno, ad arrampicarsi sull'imperiale.- Oh diamine! se non volete farlo per gentilezza, fatelo per decenza! Vi sono dei begli spiriti che si divertono a spaventare i compagni di viaggio col dire che la strada è pericolosa, che è infestata dagli assassini, che il corriere suole far ribaltare il legno: mandateli con Dio. Cani e gatti ed altri animali sono assolutamente fuori di posto in vettura. Oltre alla puzza che tramandano, oltre al fastidio che arreca il loro guaire, il loro miagolare, non tutti possono aver simpatia, per quelle bestie, a rallegrarsi del pericolo di rimanerne insudiciati o di vedersene morsicati. Non pacchi enormi che ingombrino, né materie puzzolenti che ammorbino l'ambiente del veicolo. Il fumare è vietato dai regolamenti: quando non lo fosse da questi, lo sarebbe dalla civiltà, dalla cortesia. Il russare, il dondolarsi a destra ed a sinistra, il gettarsi su questa o su quello sono atti così sgarbati che non occorre il farne parola. Guardatevi dai profumi sulla persona: ciò potrebbe dar fondamento a sospettare che vogliate con tal mezzo neutralizzare gli odori ingrati del corpo; senza considerare che l'impressione prodotta sui nervi di alcune persone dal patchoulì, dal muschio ed altre essenze può cagionar delle nausee e delle convulsioni. Lo aprire gli sportelli per dar passaggio alle correnti dell'aria con pericolo di procacciare altrui delle infreddature e delle punte è un attentato alla salute, contro il quale ognuno è in diritto di protestare. Ma nemmeno si avrebbe ragione di pretendere che altri soffocasse col tener chiuso ermeticamente il veicolo, quando il calore eccede certi limiti e l'afa diventa, intollerabile. Chi vuole, viaggiando, godere tutti i suoi comodi, soddisfare tutte le sue voglie deve munirsi di tutto l'occorrente (confortable) e spendere quanto è d'uopo per mantenere al proprio corpo la posizione e la temperatura che gli par conveniente. Ma già! se una non ha vettura propria, bisogna che si rassegni a fare anche un poco a modo altrui, e che studii, nei ritagli di tempo, la teoria delle reciproche transazioni. E pare che dopo aver pagato il tuo posto nelle ferrovie, negli omnibus, ti competerebbe il diritto di viaggiare umanamente. Così non la pensano certe società, corti concessionari che non hanno lo stimolo della concorrenza: le une per risparmio di carbone, gli altri per economia di cavalli limitano il numero dei vagoni, la capacità dei veicoli in modo, da costringere i viaggiatori a starsene coma le acciughe. La comodità degli orari, la precisione nell'osservarli sono, a parer mio, subordinate troppo esclusivamente agli interessi ed ai capricci delle società, e della imprese. Mi pare che il pubblico che concorro a pagare le garanzie e i dividendi dovrebbe venir ammesso qualche volta a far sentire la sua voce, a far pesare il suo voto sulle determinazioni regolamentarie del servizio: ma per ciò converrebbe dapprima definire la questione: se le ferrovie sieno state fatte pel paese, ovvero se sia lui, il paese che venne creato per la ferrovie. Questione intricatissima, a sciogliere la quale si dichiararono finora incompetenti gli stessi ministri. Figuriamoci noi! I filetti in oro ed argento ai berretti ed ai cappotti, le monture più o meno guerresche dei capi, dei sottocapi e degli applicati ed annessi di qualunque grado fanno dimenticare, cred'io talvolta, a questi funzionari che essi appartengono al ceto degli impiegati civili, al punto che qualche viaggiatore dopo essere stato duramente rimbeccato da un inserviente, o da una guardia poco urbana, non osa più, guardando in faccia i superiori di questa, richiamarsi presso i medesimi dei torti, degli affronti subiti dai loro dipendenti. Avvien pure che tu ti senta, nel cuor della state, arroventare il cervello dalle volte incandescenti dei vagoni che si lasciarono per lungo tempo esposti all'azione della sferza solare; o che di essi l'ambiente ti sollevi lo stomaco pel sudiciume che non venne rimosso dai pavimenti, o che tu venga molestato dalla polvere raccolta nei sedili, cacciatavisi dagli aperti sportelli. Se tu viaggi negli omnibus puoi quasi essere certo che le tende non sono mai al completo o son fatte a brandelli, o non iscorrono sui regoli, per cui se'costretto a ricevere in pieno sulla faccia o sulla nuca i raggi di Febo; o che almeno un paio di cristalli infranti lasciano liberamente passare il freddo e la polvere a sciuparti abiti, occhi e polmoni. Se hai in pregio il pudore e l'innocenza ti asterrai, ispecie nei luoghi pubblici, dagli sconci parlari: quindi anche in vettura, particolarmente se vi si trovino giovanetti o donne, che non possono, per le condizioni del luogo allontanarsi e preservare i loro orecchi dall'udir simili lordure. E peggio sarebbe se quei discorsi si rivolgessero direttamente a quelle persone cui è debito sacrosanto di rispettare. L'impudenza in simili casi diventerebbe misfatto.

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Come si fa e come non si fa. Manuale moderno di galateo

200509
Simonetta Malaspina 6 occorrenze
  • 1970
  • Milano
  • Giovanni de Vecchio Editore
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Supponendo che abbiate un'automobile di gran prestigio e un autista impeccabile, eccovi qualche raccomandazione. Anzitutto non vestite un autista come un domatore, con strane uniformi piene di bottoni dorati e luccicanti. Le divise degli autisti sono diventate molto più sobrie e ragionevoli. Resta il cappello, naturalmente: un cappello a visiera che l'autista terrà quando guida e si toglierà invece quando aiuta le persone a scendere dalla macchina e a salirvi. Il proprietario sieda dietro, lasciando l'autista solo davanti. Questi parlerà soltanto se interrogato e in ogni caso sara discretissimo.

Se altre persone attendono abbiate discrezione e comprensione: siate brevi. Chi attende poi abbia un po' di pazienza e non si agiti nervosamente. Parliamo ora delle telefonate in casa di amici. Nessuno vi dirà mai di no, quando voi chiederete con bel garbo il permesso di telefonare. Questo non vi autorizza ad abusare, siate perciò brevi. Non chiudetevi dentro la stanza nella quale eventualmente vi hanno lasciato, per raddoppiare o triplicare il numero delle telefonate (qualcuna magari per teleselezione), e per curiosare nell'agenda telefonica dei padroni di casa. Da parte loro i padroni di casa daranno all'ospite piena libertà. Non rimarranno vicino ad ascoltare quello che dice, ma discretamente lo lasceranno solo. Se questo non è possibile, si occuperanno d'altro nel frattempo magari parlando (a bassa voce per non disturbare) con qualcuno o leggiucchiando qualcosa. Se in casa c'è una riunione di amici o un ricevimento e qualcuno chiama al telefono uno dei presenti chi risponde non dovrà assolutamente chiedere "Chi parla?". Il suo compito è semplicemente quello di avvertire la persona chiamata al telefono. Questa, da parte sua, ringrazierà e si scuserà per il disturbo. La telefonata sarà breve. Se per un motivo o per l'altro vi è necessario fare una telefonata interurbana in casa di amici, chiederete al centralino alla fine della conversazione l'importo esatto: lascerete la somma accanto al telefono e avvertirete più tardi la padrona di casa, ringraziandola. Anche se questa protesterà, non riprendete il denaro. Se si tratta di una telefonata per teleselezione, l'ospite non si regolerà grosso modo né costringerà i padroni di casa a calcolare gli scatti. Sarà molto più garbato da parte sua limitarsi a ringraziare e disobbligarsi l'indomani con un mazzo di fiori. Il telefono non dev'essere nemmeno il mezzo meccanico per fare i compiti. Le ragazzine e i ragazzini non devono accaparrarselo per i loro affari di scuola, per gli ultimi pettegolezzi o per i primi amoretti. Con questo non vi esortiamo a servirvi del telefono come se il microfono scottasse. Troppa fretta a volte può essere scambiata per uno sgarbo! Come sempre, c'è la giusta misura. Non allungate i discorso dopo esservi salutati. È molto riprovevole l'abitudine di tormentare chi telefona dando suggerimenti, prendendo in giro, inserendosi a forza nella conversazione. A telefonata ultimata, fate le vostre eventuali osservazioni. Anche nel telefono bisogna seguire un certo orario: non chiamate nessuno alle ore scomode, e cioè durante i pasti, al mattino presto e la sera tardi, anche se siete in rapporti di stretta amicizia. Se proprio la comunicazione è urgente, limitatevi a una breve telefonata con le scuse d'obbligo. Se siete voi a essere chiamati a un'ora insolita, non siate troppo bruschi e non fate capire troppo chiaramente che vi hanno disturbato. Se chi vi ha chiamato è un amico, potete sempre dirgli che lo chiamerete pia tardi; altrimenti dovete fare buon viso a cattiva sorte. Ricordate che è educazione richiamare le persone che hanno telefonato in vostra assenza: non attendete che telefonino nuovamente. E nel chiamarle scusatevi di non aver potuto rispondere subito alla prima chiamata. Come si telefona? Anzitutto mai esordire con un "Pronto, chi parla?", ma presentarsi subito, com'è logico. Quindi chiedete di parlare con chi vi interessa, se questi non è venuto direttamente a rispondere all'apparecchio. Non declinate titoli professionali quando telefonate a persone amiche, ma usateli pure per telefonate di lavoro o di affari. Quando ricevete una comunicazione interurbana dovete tenere in debito conto il passare dei minuti. Se chi chiama accenna a concludere la conversazione, non trattenetelo con altri argomenti o interminabili saluti. Ed ora parliamo degli sbagli telefonici. Può capitare a tutti di comporre un numero sbagliato: poiché avete disturbato la persona che ha risposto, scusatevi con lei. Quando si verifica un contatto di cui non siete responsabili e vi trovate a richiamare più volte la stessa persona, non imprecate come se lo sconosciuto fosse colpevole del disguido, ma spiegate che l'errore non è vostro e dimostratevi spiacenti di continuare a disturbare. Se invece siete voi a rispondere a una persona che ha sbagliato, siate comprensivi. E se, per un contatto, la persona continuasse a rifare il vostro numero, lasciate per qualche minuto il microfono staccato: il contatto non si ripeterà e l'interessato potrà finalmente chiamare il numero desiderato. Se vi capitasse di ascoltare una conversazione tra persone sconosciute, non indugiate nell'ascolto ma riappendete subito il microfono. Ascoltare fatti che non vi riguardano è riprovevole, e lo è ancora di più interloquire nella conversazione con frasi che vi sembrano magari spiritose ma che sono soltanto indice di estrema maleducazione. Non usate il telefono per fare scherzi. L'anonimato dietro il quale siete trincerati aumenta la vostra colpa. Uno scherzo telefonico equivale in un certo senso a una lettera anonima. Se siete voi la vittima di questo scherzo, limitatevi a rispondere con tono risoluto e abbassate il microfono. Nel caso lo scherzo inopportuno continuasse a molestarvi, potete chiedere all'azienda telefonica di mettere sotto controllo il vostro apparecchio, in modo da poter registrare le telefonate in arrivo e il luogo di provenienza, il che spesso porta a individuare il colpevole maleducato.

Abbiate anche l'accortezza di mettere sotto la tovaglia un soffice mollettone: non c'è niente di meglio per far ricadere la tovaglia morbidamente e far risaltare il vasellame e l'argenteria. Inoltre il mollettone impedirà che il legno del tavolo si trovi direttamente a contatto con i piatti freddi o caldi e che di conseguenza si rovini. A nostro parere una tovaglia è sempre più bella del servizio all'americana, che consiste praticamente in tante strisce di tessuto sottopiatto quanti sono i coperti, più una striscia centrale per i piatti di portata. Un servizio all'americana non è adatto alla tradizionale mensa italiana dove i pasti vengono consumati con calma e con gusto; esso dà un'impressione di fretta e di provvisorietà, in contrasto con l'atmosfera serena e distesa di un pranzo in famiglia o con invitati. Ciò non toglie che ci siano servizi all'americana molto belli, che possono offrire a una giovane padrona di casa, di abitudini moderne, una piacevole alternativa alla classica tovaglia. Ricordate comunque che il servizio all'americana è tollerabile soltanto per una colazione, e mai per un pranzo, salvo per certe occasioni all'insegna della rapidità e della praticità. In tal caso si cercherà di dare ugualmente alla tavola un aspetto raffinato, facendo in modo che le posate e i piatti s'intonino almeno nel colore e nello stile a quello dei sottocoperti. Ricordate che una tovaglia ricamata o a disegni fantasia esige un servizio di piatti intonato nei colori o addirittura nel disegno (potete farvi ricamare, o ricamare voi stesse, una tovaglia che riprenda i disegni dei piatti). Per una tovaglia semplice, per esempio a quadrettoni, non sceglierete un servizio di porcellana finissima, così come su un'elegante tovaglia adorna di pizzi non dovrete assolutamente porre un'allegra serie di piatti di ceramica. È molto meglio apparecchiare la tavola semplicemente piuttosto che unire elementi così diversi tra loro: se ne otterrebbe un risultato sgradevole e disordinato. E adesso vediamo come vanno disposti piatti, posate e bicchieri. Davanti ad ogni commensale mettete un piatto piano (eventualmente anche un piano foredo) sul quale andrà disposto il tovagliolo piegato a rettangolo o a quadrato (secondo la sua misura e il suo formato). Non commettete l'errore di metterlo "dritto" sul piatto, quasi "in piedi", come si usa in certe trattorie. Non sbaglierete, inoltre, se metterete il tovagliolo, anziché sul piano, alla sinistra dello stesso. Se disponete di un servizio di piatti d'argento, apparecchiate la tavola mettendo un piatto al posto di ogni commensale: questo piano verrà poi tolto dal cameriere quando servirà la prima portata e sostituito con un normale piano di porcellana. Questo caso è naturalmente contemplato soltanto per pranzi estremamente eleganti, serviti da camerieri impeccabili. A destra del piatto mettete il coltello da carne, il coltello da pesce, il cucchiaio per la minestra, ed eventualmente la forchetta per le ostriche. A sinistra mettete la forchetta da carne e la forchetta da pesce. Ricordate poi che la lama dei coltelli deve sempre essere dalla parte del piatto e che le forchette devono avere le punte in su. Anni fa si usava il contrario: mettere le forchette e i cucchiai rovesciati affinché si potesse vedere lo stemma o la sigla incisa sul retro. Quando manca una persona che serva a tavola, le posate per il dessert (cucchiaino, forchettina, coltellino) devono essere messe orizzontalmente tra il piatto e i bicchieri posti davanti al coperto. In pranzi di riguardo, le posatine del dessert vengono portate dal cameriere o dalla cameriera e messe accanto ad ogni commensale insieme con il piatto. Soltanto in occasioni eleganti, cioè quando il pranzo viene servito da personale, i bicchieri sono più di due (da acqua e da vino) e vanno messi in ordine decrescente, un po'spostati a destra del commensale. Ciascun bicchiere sarà usato per ogni diverso tipo di vino servito durante il pasto. Al centro della tavola potete mettere una decorazione di fiori più o meno vistosa secondo la circostanza, il numero degli invitati e anche della tavola (tonda, ovale, rettangolare, quadrata): in ogni caso sono sempre adattissime le composizioni basse perché i fiori non impediscano ai commensali di vedersi. Il vasetto di cristallo con due garofani o la rosa rossa è di cattivo gusto su una tavola di casa privata: è ammesso soltanto sui tavoli di un albergo o di un ristorante. I centri-tavola con candelabri sono consigliati soltanto per occasioni, diciamo così, eccezionali: il "lume di candela" per un pranzetto tra amici può essere veramente ridicolo. Il piattino per il burro, con il coltellino a spatola, deve essere messo alla sinistra del piatto, un po' in alto: in Italia lo vedrete molto raramente, e vedendolo vi verrà spontaneo pensare a uno snobismo più che a una reale necessità. Il piatto per l'insalata, rotondo o a falce di luna, viene portato in un secondo tempo dalla persona che serve a tavola, e messo a sinistra, vicino al piatto di carne (è noto che l'insalata non va mai messa nel piatto insieme con gli altri contorni). Gli sciacquadita, con acqua tiepida e una fetta di limone (o petali di rosa), sono rari sulla tavola oggigiorno, e più che altro sono una raffinatezza superflua. Ma se proprio volete metterli sulla vostra mensa, non dimenticate che si portano a tavola a fine pasto e sopra un vassoio. Si mettono alla sinistra di ogni persona. Ciascuna coppetta deve avere un sottocoppa o un centrino. L'invitato (è sperabile) si guarderà bene dallo scambiare lo sciacquadita per la coppetta in cui lavare la frutta (che è portata a tavola già perfettamente lavata). Sulla tavola non fate mai rimanere né la caraffa dell'acqua né la bottiglia del vino. In un pranzo importante è il cameriere (o la cameriera) che serve i commensali; in un pranzo in famiglia, caraffa e bottiglia rimangono sul carrello accanto alla padrona di casa che provvederà a riempire i bicchieri (o si farà aiutare da un familiare). Quanto al carrello, indispensabile "servo muto" di ogni padrona di casa senza aiuti domestici, ricordatevi che esso non deve avere un aspetto trascurato, ma essere ricoperto da un bel centrino, possibilmente intonato alla tovaglia. Sul ripiano superiore ci saranno soltanto quegli oggetti che per più motivi non devono rimanere sulla tavola: le bottiglie dell'acqua e del vino, il cestino del pane, il piatto di portata, l'insalatiera, la formaggiera (dopo l'uso, essa sarà posta sul piano inferiore), ecc. Sul ripiano inferiore andranno sistemati i piatti sporchi, tolti in fretta dalla tavola, e quegli oggetti che a mano a mano non servono più sulla mensa. La padrona di casa senza cameriera dovrà sempre tenere accanto a sé il provvidenziale carrello, che le impedirà di alzarsi continuamente per andare in cucina; si alzerà soltanto quando è proprio indispensabile (per esempio, per andare a prendere una portata tenuta al caldo nel forno). Altrimenti, per quanto è possibile in relazione alla capacità del carrello, sistemerà sullo stesso tutto quanto potrà occorrere a lei e ai suoi ospiti. Quanto al pane, ogni persona deve avere accanto a sé un panino, dei grissini o dei cracker (di solito su un piattino, posto a sinistra del commensale), e verrà rifornita dalla cameriera o dalla padrona di casa non appena li avrà terminati. Sulla tavola, fino al dessert, rimarranno invece lo spargipepe o lo spargisale: ancora meglio le graziose saliere col cucchiaino. Quello che invece non deve mai comparire sulla tavola è il vasetto per gli stuzzicadenti; anzi, gli stuzzicadenti vanno aboliti del tutto per norma d'igiene e d'educazione.

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Abbiate sempre cura della vostra persona: anti, abbiatene ancora più del solito. Il sentirsi sempre freschi e puliti contribuisce ad alleviare un po' le sofferenze di una malattia e la noia della convalescenza. Molto spesso la gente si crede in obbligo di andare a trovare un malato per tenergli compagnia a lungo. Niente di più sbagliato. Una persona malata non sempre ha piacere di parlare e di ascoltare, cose che spesso sono una vera fatica. Sappiate dosare le visite, e limitate, gli argomenti a quelli che in qualche modo possano distrarre il malato. Mai insistere nel chiedere notizie sulla sua malattia: nel parlare di sé stesso, egli si sentirebbe probabilmente peggio. Naturalmente tutto dipende dal tipo di male. Una persona costretta a letto da una ingessatura alla gamba può essere contenta di avere compagnia, mentre magari chi è a letto con l'influenza e la febbre non chiede di meglio che restare solo. I fiori sono graditi a un malato (soprattutto se donna), ma non lo sarebbero sicuramente in caso di malattia molto grave e con pericolo di morte. Non fumate quando andate a trovare un malato. Non portategli dolci se non siete più che certi che possa mangiarli. Nelle cliniche e negli ospedali, i pazienti seguono una dieta prestabilita che non deve essere alterata senza il permesso del medico. Ci sono anche i malati immaginari, quelli che non sanno vivere senza enumerare malanni anche se nella maggior parte dei casi questi sono frutto della loro fantasia. Sono persone convinte in permanenza di star male: basta che leggano su un giornale una notizia riguardante una determinata malattia per convincersi rapidamente di averne i sintomi. E guai a contraddirle: sono talmente convinte dei propri malanni, che finiscono con il sentirsi male davvero. Non sorridete delle loro fisime: se solo sospettassero che voi non li prendete sul serio, finirebbero con il detestarvi. Un'altra cosa: quando una persona vi dice di non sentirsi bene, non ditele subito che anche voi vi sentite male. Questa delicatezza rientra nelle buone maniere: bisogna saper comprendere quelle debolezze degli altri che un giorno potrebbero diventare le nostre.

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Abbiate rispetto del riposo altrui e tenete d'occhio i vostri bambini. Uno spuntino sulla spiaggia è concesso, a condizione di non seminare bucce di frutta o involucri di stagnola, magari cercando di nasconderli malamente tra la sabbia: i resti siano doverosamente buttati nel cestino dei rifiuti (che non manca in nessuna spiaggia). Nel caso improbabile che non lo trovaste, raccogliete i resti in un sacchetto e portateli via, per gettarli appena possibile nel giusto posto. Nel tornare sulla spiaggia dopo il bagno in mare, evitate di scrollarvi dal corpo le goccioline come un cagnolino: potreste inavvertitamente bagnare le persone che sono stese a prendere il sole. Guerra ai rumori, sulle spiagge: già ce ne sono troppi. La radiolina transistor, per esempio, può essere una compagnia per i proprietari ma spesso è un intollerabile fastidio per i vicini di ombrellone: se proprio volete sentire un po' di musica, usate gli appositi auricolari. Niente mangiadischi sulla spiaggia, niente juke-box. E se proprio volete giocare a pallone o a tamburello, cercate uno spiazzo vuoto, per troppe ovvie ragioni. Se non sapete nuotare non compiacetevi troppo della vostra incapacità, esibendovi come bambini nell'acqua. Inoltre evitate di prendere il largo su barche e pattini in compagnia di chi invece nuota benissimo e sarebbe responsabile di voi in caso d'infortunio. Se proprio volete satire su una barca prendete con voi un salvagente o infilatevi un giubbotto galleggiante: questi attrezzi sono stati creati per essere usati. Se volete lezioni di nuoto, rivolgetevi al bagnino: e non commettete imprudenze se non siete sicuri di aver imparato bene. Se viceversa siete abili nuotatori, non approfittatene a svantaggio degli altri. Non fate scherzi: è probabile che siamo scherzi innocui, ma chi ne fa le spese non è disposto a crederli tali. Come comportarsi con il bagnino? Con cordialità ma anche tenendo presente che egli non disdegna una mancia ogni tanto e qualche pacchetto di sigarette. I costumi da bagno devono adattarsi al corpo di chi li indossa. Quando superano una certa età, uomini e donne, anche se hanno un personale ancora snello e agile, devono rinunciare a costumi audaci. Una ragazza di buon gusto non approfitterà del fatto di essere giovane e carina per esibire troppa pelle. Il limite tra moda e cattivo gusto è molto più sottile di quanto comunemente si creda, e non bisogna dare spettacolo per amore di una male intesa disinvoltura. Neppure i bambini, per quanto graziosi e innocenti, vanno esposti nudi al sole: a parte il fatto che qualunque medico sconsiglierebbe un'elioterapia così drastica, non siamo d'accordo su questo nudismo infantile. La misura e il buon gusto non hanno età. In strada uomini e donne possono adottare una tenuta disinvolta (camicie sportive, pantaloni lunghi o corti, sandali) ma non andranno in giro in costume da bagno. Entrando in chiesa, non si deve dimenticare la santità del luogo, adeguando il proprio abbigliamento. Al mare fioriscono facilmente le simpatie sentimentali. Le ragazze non si illudano troppo: gli amori nati così rapidamente sono destinati a spegnersi altrettanto rapidamente. Gli uomini, da parte loro, evitino di recitare la solita sciocca parte di pappagalli o di latin lover. Anche le amicizie fatte d'estate finiscono presto: spesso l'arrivederci equivale a un addio.

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Abbiate il coraggio delle vostre azioni, giuste o sbagliate che siano, e non approfittate delle circostanze favorevoli per non assumervi una responsabilità che invece è soltanto vostra. Se volete essere trattati con educazione, trattate tutti con educazione e gentilezza. Cercate, in qualche circostanza, di dominare i nervi. Se qualcuno è un po' sgarbato, sappiate essere generosi e non risentitevi: è probabile che la persona abbia qualche grattacapo per conto suo e non ce l'abbia con voi. Certo non si comporta bene: ma non giudicatela con troppa severità. Il vostro nervosismo, aggiunto al suo, potrebbe provocare una lite evitabilissima. Se siete legati al vostro superiore da un rapporto di amicizia precedente a quello di lavoro, dimenticatelo. La vostra situazione privilegiata non deve pesare su quella dei colleghi: non avete il diritto di approfittame a vostro vantaggio. Cercate anzi di tenere questa amicizia nei limiti di un'affettuosa discrezione. Non scambiate l'ufficio per casa vostra. Nei cassetti della scrivania non tenete oggetti che non riguardano il vostro lavoro. Non approfittate dei momenti liberi per scrivere lettere personali o per telefonare a casa. Dovete essere leali anche nelle piccole cose: rubare tempo è rubare denaro. Se sapete che un vostro collega ha commesso uno sbaglio, non mettetelo in evidenza. Se lo faceste (gli altri superiori compresi), vi giudicherebbero nel peggiore dei modi. La solerzia e la buona volontà non hanno niente a che vedere con un simile atto. Non offendetevi se il vostro lavoro non è apprezzato come dovrebbe essere. Di solito i superiori non sono molto prodighi di lodi e danno per scontato che il lavoro debba essere fatto bene. È quando il lavoro è mal fatto che si ricordano di dare un apprezzamento: e in questo caso è negativo. Se avete qualcuno alle vostre dipendenze non cadete negli stessi errori che rimproverate ai vostri superiori. Non trattate le persone con sufficienza, siate gentili, siate indulgenti. Allo stesso tempo, però, non siate eccessivamente cordiali. La cordialità non deve mai precipitare nella confidenza. Per comandare e guidare ci vuole sempre un po' di energia. Ma non usate mai le "frecciate": molto meglio un rimprovero schietto che una battuta sarcastica. Non cercate di rendervi simpatici a ogni costo ai vostri colleghi. Dimenticate subito il vostro repertorio di barzellette, e non distribuite sorrisi a destra e a sinistra fin dal primo giorno. È sufficiente che siate cortesi con tutti. Se un collega vi chiede un favore non rifiutateglielo, purché non siate costretti ad abbandonare il vostro lavoro. Non criticate i vostri superiori non appena questi vi voltano le spalle. Inutile aggiungere che dovete essere sempre puntuali: in molti uffici c'è un orologio che controlla le entrate e le uscite, ma in altri gli orari sono affidati al vostro senso di responsabilità. Molto spesso i capufficio sono esigenti nel pretendere la puntualità all'entrata ma non altrettanto nel fare uscire gli impiegati all'ora stabilita. I supereroi devono rendersi conto che le persone hanno anche una vita privata e di conseguenza impegni diversi da quelli di lavoro. Gli impiegati spesso non sanno difendere quello che è un loro preciso diritto. Da una parte e dall'altra ci vuole comprensione. Il capufficio non pretenda che i suoi impiegati facciano più di quanto il loro stipendio e il loro contratto di lavoro li obbliga a fare, e gli impiegati non si sentano sempre vittime indifese. Un chiaro dialogo può eliminare certe scontentezze e organizzare meglio il lavoro. Consigli speciali per le donne che lavorano in ufficio. Anzitutto essere gentili ma diffidenti, cordiali ma prudenti. Astenersi dai pettegolezzi (nei quali sono più pronte a cadere), dal fare telefonate personali, distinguere la propria vita privata da quella di lavoro. Le ragazze non vadano in ufficio per trovare marito: lascino in pace gli scapoli e soprattutto i mariti delle altre, e scoraggino i primi tentativi di corte. Se accettano un passaggio in macchina dal superiore, non lo interpretino come una proposta di matrimonio o peggio. Una segretaria troppo cortese e troppo elegante può essere criticabile come una segretaria sgarbata e trasandata. Non tutte le segretarie sono in buona fede quando si dimostrano troppo solerti o scambiano l'ufficio per una sfilata di moda. In ufficio si deve andare soltanto per lavorare: la vita privata deve rimanere quanto più possibile al di fuori. Ne consegue che anche le donne (anzi, soprattutto loro) hanno il dovere di scoraggiare l'intrusione altrui nelle proprie questioni familiari e sentimentali. Se un collega comincia a essere troppo galante e servizievole, siate prudenti nell'accettare le sue attenzioni. È vero che molti matrimoni sono nati in ufficio, ma è anche vero che molti altri ci sono morti. Come vestirsi in ufficio? Con sobria eleganza e proprietà. Se siete uomini, barba fatta, camicia perfetta, impeccabile nodo alla cravatta. Siate sempre in ordine, e non disdegnate l'uso del deodorante che non serve soltanto alle donne. Se siete donne, vestite con semplicità, eliminando minigonne, scollature eccessive, bigiotteria vistosa, abiti troppo aderenti. Un po' d'acqua di colonia andrà bene, purché discreta; non mettete profumi, inadatti a un ambiente di lavoro. Potete truccarvi? Certo, anzi è necessario, entro certi limiti un trucco giovane e sobrio che dia un po' di colore alla pelle e alle labbra. Unghie curate, di giusta lunghezza. Anche per voi è necessario il deodorante. Nel cassetto della scrivania tenete magari un paio di calze di ricambio, nel caso le vostre si dovessero sfilare, e l'occorrente per riattaccare un bottone o rifare un orlo.

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Le buone maniere

202597
Caterina Pigorini-Beri 1 occorrenze
  • 1908
  • Torino
  • F. Casanova e C.ia, Editori Librai di S. M. il re d'Italia
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Tutt'al più se il padrone di casa è tale da non mostrare un tatto fine e doveroso, per dirla alla francese, di assortire i proprii ospiti e convitati, abbiate voi quello di sopportarlo, abbreviando il vostro soggiorno con un mezzo termine che non può mai mancare ad una persona di spirito e bene educata. In caso contrario non rimane che rassegnarsi e guardarsene per un'altra volta. Accade ancora che un ospite avvezzo alla vita della capitale si trova a disagio, almeno pei primi momenti, in una piccola città di cui ignora le prammatiche e le consuetudini. Come non si dice mai male del padrone di casa, così non si biasimano usi e costumi d'un luogo in presenza almeno de' suoi abitatori. Gli abitanti d'una piccola città o d'un paesetto di provincia, vedono il loro luogo nativo sotto una luce ben diversa da chi ci va ad abitare, e naturalmente trovano ammirabili cose che a molti sembrano grottesche, ad altri esilaranti, ad altri ancora a dirittura insopportabili. Se è un cattivo segreto pel ben vivere il dir male d'un luogo che siamo costretti ad abitare, tanto più è nocivo e pernicioso, anzi è colpevole e prova la mancanza di cortesia il deriderne o il biasimarne i costumi o l'accesso, o l'architettura e per fino la postura naturale, Per chi deve abitarvi pochi giorni soltanto. A questo riguardo il non stare sopra di sè stesso e il non padroneggiare le proprie impressioni, sono assolutamente un attentato alla buona creanza e all'urbanità. Se durante il vostro soggiorno in una famiglia accade qualche rovescio, una persona bennata annuncierà la partenza e la effettuerà senza indugio. Certamente la cordiale ospitalità cercherà sempre di impedirla; ma è facile comprendere che partendo arrecherete al vostro ospite un grande sollievo, a meno che non siate così intimo che i vostri ospiti non possano pensare ad alta voce con voi, cosa altrettanto rara quanto desiderabile. E generalmente fissata la partenza guardate bene di non ritardarla neppure d'un'ora. Quell'ora potrebbe volgere in assenzio tutto il miele del vostro felice soggiorno; potrebbe essere un incomodo pei progetti dei vostri ospiti, potrebbe forzarli a insistere di fermarvi ancora in casa loro; e questa gentilezza non si sa quale seguito di sazietà e di disgusto importerebbe. Partiti che siate, telegrafate il vostro arrivo con espressioni di gratitudine e entro gli otto giorni scrivete per ringraziare e per rendere più espressivi i vostri sentimenti per le gentilezze ricevute, anche se effettivamente tali gentilezze non ci fossero state, il che qualche volta accade nel mondo.

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Otto giorni in una soffitta

204595
Giraud, H. 2 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
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Abbiate pietà, di noi, mio buon signore!... - Allora ci faranno prendere Bugubù o Carletto, e saremo costretti a lasciare Nicoletta. - E Maria, che potrebbe aver visto Nicoletta in casa della mamma Dufiet, la riporterà da quella strega. - E anche se non la riconoscesse, non potremmo mai più far ritornare Nicoletta nella soffitta, ammettendo che avessimo potuto farla uscire senza incontrare Maria o Leonia. - Vedi bene, - conclude Maurizio, senza rancore - la tua idea può andare a far compagnia alla mia. L'uscita di Nicoletta e la mia pioggia si equivalgono. A Francesco, ora!... - Ma Francesco, scoraggiato, si volge verso i suoi fratelli. Alano insiste nel suo piano, che trova eccellente. - Chi ti dice che Maria acconsentirebbe a portare con noi un ragazzo trovato sulla strada? - finisce col dire Francesco, irritato. I tre ragazzi stanno per bisticciarsi, quando arriva Maria. - È una buona preparazione per andare a pregare il buon Dio, - dice essa. - Che cosa succede? - È Alano che.... che ha letto una storia, - spiega Maurizio - e vuole che facciamo come nella storia. - Quale storia, signor Alano? - - Una bellissima storia, Maria. Alcuni bambini che vanno a fare una passeggiata e una colazione all'aperto come noi, e si sono ripromessi, essendo molto felici, di condurre con loro il primo ragazzo che incontrerebbero perchè anche lui possa esser contento. E così hanno fatto. - E Alano vorrebbe fare come loro, - strilla Maurizio. Maria scuote la testa. - Queste cose vanno bene nei libri, - dice - ma nella vita non sempre sono possibili. Un ragazzo bene educato non se ne va solo solo per la strada. Non vi troveremo che uno sbarazzino, forse sudicio e sgarbato.... Oppure - (e Maria ride a quest' idea) - volete vedere che sarebbe una bambina? No, no, signor Alano, queste sono storie da briganti. Quella gente scrive nei libri non sapendo che cosa inventare per far confondere il cervello. - E, con questa immagine ardita, Maria conduce in chiesa i ragazzi, che dimenticano per un momento la loro grave preoccupazione. All'uscita della messa, Maria propone a Francesco d' invitare alcuni loro amici per il pomeriggio, o di accettare l' invito di recarsi a casa di uno di loro. Francesco protesta con energia: - No, no, Maria; oggi voglio assolutamente lavorare al ritratto per la mamma. - Ma è domenica, - protesta Maria. - Quello non è un lavoro vero e proprio, - risponde Francesco - e ci diverte più di ogni altra cosa. - Questa è la ragione migliore. Maria si arrende e vien declinato l' invito di Giovanni Bord d'andare a far merenda in casa sua. - Oggi no, grazie; - risponde Francesco con una cert'aria d' importanza - abbiamo una cosa da fare per il ritorno della mamma e siamo già un po' in ritardo. - Quando ritorna la vostra mamma? - domanda la signora Bord. - Ci scrive che vuol ritornare presto, signora, - dice Francesco - che si annoia, e che sta molto meglio. - Non dice quando ritorna? - No, signora, vuol farci una sorpresa. - E se arrivasse giovedì? - osserva Alano. - Oh, addio passeggiata! - dice Giovanni Bord con aria desolata. - Sarebbe per un'altra volta. Pazienza! - La signora Bord cerca di consolare suo figlio: Maria prende la parola. - Io credo che la signora non ritorni giovedì; le scrissi ieri, e sa che andiamo al bosco proprio giovedì. E poi credo che il suo medico di laggiù non la lasci partire così presto. - Arrivano intanto gli Aubry con la loro istitutrice, poi i piccoli Dumont, e tutti i bambini che giovedì devono andare al bosco delle Fate. E allora si parla soltanto della passeggiata e delle belle partite che si faranno in quel giorno. I tre babbi hanno quasi dimenticato la loro figlia! Quella domenica è una giornata molte tranquilla per Nicoletta, poichè dopo il desinare Maria e Leonia vanno al vespro, poi Leonia ritorna a casa, e Maria, che ha preparato la merenda prima di andarsene, non ritorna che dopo le sei. I ragazzi hanno il tempo di divertirsi, di gridare e anche d' incominciare a giocare a nascondino nelle due soffitte. Ma devono smettere subito perchè il passo pesante di Leonia fa rintronare la scala ed essa viene a vedere perchè fanno tanto fracasso; ma crede di aver sognato quando trova Francesco nello «studio» che dipinge, e Alano e Maurizio che posano. Essa non si accorge come la mano di Francesco tremi, nè come Alano sia tutto trafelato e Maurizio tutto rosso; e non vede neppure, dietro le imposte della finestra che si muove, la fanciulletta, il cui cuore batte precipitosamente. Sarà ricondotta dalla Duflet, se Leonia la scuopre? No, Leonia non si accorge di nulla e se ne va dicendo: - È strano, come di giù si senta un gran rumore. Dev'essere nella casa accanto. - Se ne va tranquilla, e, in fondo, piena di ammirazione per quei tre ragazzì «buonì come bambine ». - Ah, che paura ho avuto! - esclama Nicoletta uscendo di dietro all' imposta. - Anch' io, - confessa Maurizio. - Non avrei mai immaginato che si sentisse il rumore di giù, - dice Francesco. - Perchè anche Leonia non va a passeggio la domenica? - Temono per noi, - risponde Francesco. Infatti i ragazzi hanno più d' un malestro sulla coscienza, e i giorni in cui sono stati abbandonati a se stessi, sono segnati sul calendario di casa come giorni nefasti. La giornata finisce tranquillamente, i ragazzi sacrificano a Nicoletta la loro partita di calcio; la faranno più tardi, quando Maria sarà rìtornata, o dopo cena, se sarà ancora abbastanza giorno. Per divertire Nicoletta organizzano una grande partita di steeplechase, lo steeple su tappeto verde regalato dal comandante Grey ai tre fanciulli. E Nicoletta è così estasiata nel vedere il suo cavallo arrivare il primo al palo, attraverso i mille ostacoli del giuoco, e ride con tanto gusto nel vedere Maurizio e Alano sempre perdenti, che i ragazzi non si sono mai divertiti tanto col loro steeple. Soltanto lunedì Francesco, a sua volta, ha una idea e la espone ai suoi fratelli, nel giardino, sotto l'albero grande, dove sono soliti tenere i loro conciliaboli. - Ecco, - spiega - non è necessario che stiamo a casa tutti e tre. Basterà che resti uno di noi.... e propongo che quello faccia tante monellerie da qui a giovedì, che Maria sia obbligata a punirlo privandolo della passeggiata. - I due fratelli sono convinti, una volta di più, che il loro fratello maggiore è proprio un «tipo geniale», come dice Mano. - Bastava pensarci, - dice modestamente Francesco. - Chi di noi? - domanda Maurizio. A questo punto la situazione si complica sempre Maurizio che ha l'abitudine di fare più monellerie degli altri, ma è anche il più piccolo e il beniamino di Maria, e i due più grandi lo sanno. Perchè c' è il caso che Maria gli perdoni tutto per non privarlo del divertimento. - E poi, - aggiunge Francesco - a Maurizio dispiacerà di più di non andare al bosco delle Fate. Per me, invece, fa lo stesso, se rimango in casa. - Anche per me. - Anche per me.... Voglio fare quante più monellerie potrò; - dice Maurizio - ma avevo proprio voglia d'esser buono in questi giorni, ed è molto difficile esser cattivi, quando ce lo dicono.... - Ti occorre qualche ispirazione? - domanda Francesco, serio. - Proprio, - risponde Maurizio, che sdegna l' ironia. - Vuoi che tiriamo a sorte per vedere chi dovrà farsi punire?

Pagina 65

E Nicoletta risponde, con voce lamentosa: - Sì.... ma credo che non abbiate messo il sale. - Il campo dei cucinieri è costernato. Hanno dimenticato perfino di portarlo, il sale. Maurizio propone di andare a prenderlo. Ma prima propone a Nicoletta di portare dello zucchero al posto del sale. - Sarà più buona, - egli dice. Ma ad ogni modo non potrebbe esser più cattiva. Nicoletta è stoica: mangia la sua minestra. La mattina ha preso una limonata purgativa e un decotto d'erbe, e quella minestra completa la giornata. Quando ha finito, Alano getta un grido: hanno

Pagina 83

Angiola Maria

207086
Carcano, Giulio 2 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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Non abbiate soggezione di noi: la vostra fisonomia è tanto dolce e bella! » « Non mi mortificate, sono una povera fanciulla, e voi... » « Noi » riprese ,l' Elisa « siamo ben liete di conoscervi; e se vostra madre è così buona da non dirci di no, torneremo domani, per condurvi alla villa; sarà una giornata di contentezza. » « E vi mostreremo » aggiunse Vittorina « cento belle cose; i nostri anelli, gli smanigli, le collane, le ciarpette e tant' altri vezzi, che sono una maraviglia a vederli. E ne daremo anche a voi, pensate! devono starvi pur bene, avete il collo così sottile e bianco! » « Tu se' proprio uno spiritello! » disse Arnoldo, mentre Maria, alle parole della giovinetta, chinava la faccia sul seno e di nuovo arrossiva. Allora Vittorina, in atto di tenerezza infantile, l'abbracciò e col suo pronto sorriso: « Perdonami, o Maria! ho creduto di farti piacere col dirti che sei bella! » « Tu verrai , Maria, » aggiunse Elisa; « non è vero? dillo! vogliam raccontarci tante cose! Perchè, sai, adesso noi possiamo goderlo in pace questo tempo così allegro, questo cielo così bello! Adesso non tremiamo più per la vita di nostro padre: egli fu ammalato, ammalato assai, ma dopo che Arnoldo tornò, sta molto meglio. » « Buona Caterina, riprese Arnoldo, «fu appunto per causa di mio padre che non venni prima a trovarvi; ma son con- tento, chè vi veggo di buona cera e serena. » « Graziadio! » rispose la vecchia. « Avrete pensato ch' io v' avessi dimenticata? » « Nemmen per sogno! » E Caterina fu pronta a consentire alla graziosa premura che le due damigelle le avevano fatta. Era un grand'onore per lei vedere la figliuola cercata da due signorine tanto leggiadre e buone, il suo amor proprio non essendone poco lusingato; perchè, pensava, in ogni maniera non potrebbe riuscire che una fortuna quella conoscenza. Ben presto le tre giovinette divennero amiche, come se già da un anno si fossero conosciute. E quasi ogni giorno Elisa e Vittorina venivano a cercare Maria, e con lei dividevano l'allegrezza di tutte l' ore. Bene spesso le avresti vedute sedere in crocchio sul terrazzo della villa, intese allo studio de' loro disegni e lavori, al canto di care e semplici melodie, o abbandonate a fanciulleschi e sinceri colloqui. Talvolta anche il vecchio lord, oramai convalescente, stando nel suo seggiolone in un angolo del terrazzo, contemplava con segreta gioia quelle tre testoline giovani e aeree, le vedeva chinarsi e levarsi con un tripudio irrequieto, con un sorriso più eloquente d'ogni parola; e l'ampio foglio del Times, che stavagli spiegato sotto gli occhi, cadeva allora dimenticato su le sue ginocchia; e nel cuore l'arida politica cedeva il luogo alla dolcezza d' un senso affatto nuovo. Più spesso le fanciulle andavano a diporto per i paesi

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Io non vi rivedrò finché non abbiate fatto miglior senno. » - E ogni ragione fu inutile. Ma Arnoldo non rinunciò alla sua affettuosa speranza. Prese a pigione una piccola casa, che non era a più d'un miglio di quella villa; abbastanza contento, se gli avvenisse d'incontrare le sue buone sorelle o sul lago, o sui sentieri della montagna. Con loro, egli ingannava molte ore, ragionando di tante cose, di tante memorie che portava nel cuore. La storia di codesta vicenda famigliare potrà, cred'io, spiegare la sdegnosa tristezza del lord, e l'amorevole preghiera delle due fanciulle, in quella mattina.

Pagina 33

La freccia d'argento

212171
Reding, Josef 1 occorrenze
  • 1956
  • Fabbri Editori
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
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Pagina 52

Tutti per una

214893
Lavatelli, Anna 1 occorrenze
  • 1997
  • Piemme Junior
  • Casale Monferrato (AL)
  • paraletteratura-ragazzi
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Non abbiate timore, povere creature! Fatevi avanti, da bravi! Sono io, Melchiorre. Il vecchio Melchiorre che vi vuole tanto bene... Coraggio! Per primi arrivarono gli uccelli. Ghiandaie, cincie, scriccioli, colombi e piccioni. Cinguettavano, zampettavano, beccuzzavano, sempre inquieti e sospettosi. C'era da domandarsi com'è che non gli andasse tutto di traverso, con quella frenesia di movimenti: non stavano fermi un solo minuto e volavano via appena in possesso della preda. Poi si fecero avanti i gatti randagi, occhi famelici e corpi segnati dalle battaglie. Si avvicinavano cauti, tra mille esitazioni e ripensamenti, fermandosi a ogni momento per guardare in giro, come fossero indifferenti agli stimoli della fame. Poi, con uno scatto, afferravano un po' di cibo e si nascondevano tra i cespugli, miagolando sordamente per tener alla larga i concorrenti. Ultimi vennero i cani. Cani tristi di solitudine. Afflitti e stanchi nell'incedere, il corpo raccolto a parare i colpi della vita, la coda tra le gambe, l'occhio guardingo e pensoso. Prima di consumare la loro parte, andavano a mendicare qualche carezza dal vecchio Melchiorre. E lui aveva per tutti una buona parola. Passo a passo, si avvicinò anche il professore. - Ma da dove arrivano i cani? - chiese. - Da un buco nel muro di cinta, laggiù in fondo. Vedi? Dove c'è quel frassino. Il professor Zambelli si sentì rimescolare il sangue nelle vene. Cercando di controllare la voce che gli tremava in gola, chiese: - Non è che ieri sera hai visto un bastardino alto all'incirca così, rossiccio, con un collare grigio? - Fammi pensare... Ma sì, sicuro, ora ricordo. Continuava ad abbaiare, poveretto. Sembrava disperato. - È il mio Argo! - esclamò il professore, senza sapere se gioire o preoccuparsi. Domande senza risposta si affollavano trepide nella sua mente. Perché Argo non era rimasto con il giornalaio cui l'aveva affidato? Era fuggito per venire a cercarlo? Qualcuno l'aveva trattato male? O era stato addirittura cacciato via, abbandonato per strada? - Ah, è tuo - fece Melchiorre, dopo un lungo silenzio. - Argo... è il nome di un cane fedele. - Tornerà? - disse il professore. Ma non era propriamente una domanda. Era un pensiero detto ad alta voce. - Tornerà. Gli animali mi conoscono bene, professore, e io conosco bene loro. Il tuo cane aveva lo sguardo di quelli che tornano. Il professore guardò davanti a sé, oltre il muro di cinta del parco, e fece un sospiro profondo. - Pensi che sono un po' matto? Pensalo pure, non m'importa. A Villa Felice è un vantaggio: i matti hanno molta più libertà.

Pagina 40

Il ponte della felicità

219004
Neppi Fanello 2 occorrenze
  • 1950
  • Salani Editore
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
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Allora, con l'accento più dolce che potè trovare, disse al vogatore: - Abbiate la bontà di aspettare un momentino. Questo ponte è di Alvise, e lo toglierà appena si sarà cambiato. Scusate. - Evidentemente la pazienza non era una delle virtù dell'omaccione, che, senza aggiunger parola, si distese quasi supino sulle sue doghe e lasciò che la chiatta andasse alla deriva. Oltrepassata la trave, si rialzò, non senza fatica, poi si rivolse alla fanciulla e le disse, con una voce che pareva venire da cavernose profondità: - Beh, per questa volta è andata così, ma ti avverto che un'altra volta prendo Alvise e il suo ponte e vado a gettarli in mezzo alla laguna! - Afferrò i remi, diede una spinta alla chiatta, volse di nuovo il capo verso Lori e le urlò, tra un lampeggiare di bianco e di nero (bianchi i denti, neri gli occhi grifagni): - Capito? - Sì, sì, Lori aveva capito! E tanto bene, anzi, da temere che quell'orco infuriato tornasse indietro ed eseguisse ipso facto la sua minaccia. Naturalmente, in mancanza di Alvise, il volo nella laguna sarebbe toccato a lei! Rabbrividì dal capo alle piante come se già si trovasse immersa in quel bagno non desiderato; ma la chiatta continuò sicura, sebbene lenta, la sua strada, mentre il lieve sciabordio dell'acqua lungo i fianchi dell'imbarcazione sonava agli orecchi della fanciulla come la musica più soave del mondo! La chiatta era appena svoltata all'imbocco del canale, quando Alvise ricomparve con una bracciata di panni gocciolanti. Per la prima volta da che il fanciullo si serviva di quel passaggio aereo, Lori lo attese senza tremare, tanto la paura dell'omaccione bruno aveva soffocato in lei ogni altra considerazione. - Alvise, - gli gridò - se tu sapessi...! - Che c'è, Lori? - È passata una chiatta. - Alvise non capiva. - Quale chiatta? - Se tu avessi visto che barbaccia e che occhiacci neri! - Il fanciullo si mise a ridere. - Una chiatta con gli occhi e con la barba? - Ma no, non scherzare!... - disse Lori indispettita. - Non c'è proprio niente da ridere. Era un omone, e ha gridato: «Ehi, dico!», poi si è sdraiato sul fondo della barca, è passato sotto alla trave e ha vociato: «Un'altra volta butto nella laguna Alvise e il suo ponte. Capito?», - spiegò la bimba tutto di un fiato. Con la coda dell'occhio Alvise sbirciò il rio. Era di un bel verde lucente, tra i muriccioli rossigni, e il sole, già molto caldo, gli dava un tremolio impercettibile. Ma la bellezza maggiore, almeno agli occhi indagatori del ragazzo, era la sua assoluta tranquillità. Allora, facendosi coraggio, disse a Lori, con aria spavalda: - Non aver paura, via!... Se quell'uomo ritornerà, lo concerò io per le feste! - Ad ogni buon conto, posati sull'erba i suoi panni fradici, si affrettò a togliere là, trave. Non si sa mai!... La balda sicurezza che spirava dalle parole di Alvise aveva dissipato la paura della fanciulla. Poteva infatti non sentirsi tranquilla con un paladino di quel genere?! - Ora andiamo a stendere i tuoi vestiti. - Girarono attorno al gruppetto delle acacie dietro alle quali c'era una radura erbosa, e stesero i panni bagnati agli ardenti raggi del sole di agosto. - Ecco fatto! - disse Lori, soddisfatta. - E ora che si fa? - Giochiamo alla bottega. - Era il divertimento preferito dai due fanciulli: consisteva neI disporre sopra una specie di banco di vendita tanti mucchietti di polveri colorate che Lori prendeva dallo studio del babbo, notissimo pittore; poi fingeva di essere una massaia e veniva a faiie gli acquisti. Quando erano stanchi di «fare alla bottega», si divertivano a mischiare le polveri, rosso, azzurro, giallo, bianco, per vedere quali altre tinte saltavano fuori. Inutile dire che, dopo un'oretta di quei passatempi, mani, vestiti, visi, e perfino i capelli avevano assunto tutte le sfumature dell'iride, con grande disperazione di nonna Bettina e di madonna Lucrezia, madre di Lori. Alvise avrebbe accolto la proposta della fanciulla, con grande entusiasmo, ma si ricordò in tempo che aveva indossato il vestito delle feste, in sostituzione di quello zuppo d'acqua, e che se lo avesse insudiciato la nonna avrebbe avuto doppio motivo di castigarlo. Suggerì dunque un altro giuoco, subito accettato da Lori. E per un bel pezzo, nella quiete dell'orto, sotto l'ombra dei rami fronzuti delle acacie, fu tutto un correre e cicalare dei due fanciulli, all'unisono con il cinguettio degli uccellini che svolazzavano sugli alberi.

Abbiate fiducia in Lui. - Se non nutrissi la certezza del suo aiuto, come potrei vivere ancora? - Madonna Lucrezia, Dio vi ha dato per consolazione la vostra Lori! - Avete ragione, nonna Bettina; mia figlia è un angiolo! - Mentre le due donne chiacchieravano, Loredana era uscita nel minuscolo orticello attiguo alla casa, tenendo sempre infilato nel braccio il paniere che conteneva l'acquarello eseguito all'alba. Voleva attendere lì Alvise, per andare poi con lui, come tutte le mattine, a fare la spesa: ella sostituiva in ciò la madre cieca, e lui, la nonna troppo avanti negli anni. In mezzo all'orto i larghi rami del tiglio, fioriti e olezzanti, si stendevano sul murmure soave del rio che scorreva tra i muriccioli di cotto rossigno. Oltre il secondo muricciolo si stendeva l'altro orto, fremente di sottili acacie col tronco avvinto di vite vergine, come la facciata della casa che s'intravedeva laggiù in fondo, tra l'intrico dei rami. Quanti ricordi le tornavano alla mente rivedendo il luogo dove la sua bella infanzia era trascorsa! Non avrebbe mai potuto dimenticare quel lembo sereno di terra. C'era ancora, lì a sinistra, appoggiata al muricciolo, la trave tutta verde di museo che Alvise gettava come un ponte sul rio per poter passare nel suo orticello dove lei lo attendeva trepidante nel timore di vederlo cadere nell'acqua quieta ma profonda! Ricordava quel lontano giorno d'estate in cui era finalmente accaduto il fattaccio!... Anche adesso risentiva il brivido provato allora al tonfo del corpo che cadeva nell'acqua, e le pareva di rivedere l'orco barbuto che era passato con la chiatta carica di doghe e aveva minacciato (che fosca luce in quegli occhi che si erano voltati a guardarla!), di gettarla in mezzo alla laguna. Tutto, per fortuna, era finito bene, ma Loredana non aveva mai potuto vincere la paura che le faceva quel passaggio da un orto all'altro. E anche ora, che erano trascorsi quattro anni e la casa e l'orto non le appartenevano più, vi ripensava con un tremito per tutta la persona. Chiari mattini di primavera, quando i rami cominciavano a rinverdire e le rondini volavano gioconde, chiamandosi l'un l'altra; lunghi pomeriggi estivi, quando ogni cosa intorno taceva come annientata dalla calura, e gli alberi e le zolle emanavano un profumo che stordiva; malinconiche sere autunnali, punteggiate dai richiami dell'assiolo nascosto chissà dove e dal fruscio delle foglie ingiallite che il vento e l'acqua trascinavano via, come sembravano lontani al ricordo nostalgico di Loredana! Oltre i tronchi delle acacie rivedeva la serena figura del padre, che con lo sguardo rivolto in alto mirava il cielo sconfinato sul quale erravano nuvolette vagabonde. E laggiù, intorno all'aiuola fiorita, non era forse la mamma che si aggirava leggera, cogliendo le rose olezzanti, come era solita fare, per portarle a Gesù? Ahimè, no! Era soltanto un raggio di sole che scherzava tra i rami agitati dalla brezza marina che giungeva dal largo e s'insinuava fra le strette calli con un lieve brusio! - Ebbene, Lori, stai forse contando le foglie degli alberi? - La fanciulla era tanto assorta nel ricordo di quei giorni lontani che non aveva udito l'avvicinarsi dell'amico, e sussultò al suo richiamo. Volse verso di lui il chiaro viso incorniciato dagli aurei capelli, e gli sorrise, festosa. - –.... stai forse contando le foglie.... Alvise aveva ora diciassette anni, ma era alto e robusto come un giovane di venti. Ben fatto, bruno di carnagione e di capelli, con le pupille nere e lucenti, possedeva una innata finezza di modi che lo rendeva simpatico a tutti. Aveva ereditato dal padre, Zuambattista Benedetti, capitano della Santa Cattarina, la passione per la vita di mare, passione che preoccupava la vecchia Bettina, la tenera nonna che gli aveva fatto da madre e lo adorava. Anche Lucrezia Sagredo aveva amato maternamente il piccolo orfano, e Loredana era stata per lui una sorellina affettuosa e piena di premurose attenzioni. La vicinanza delle loro casette aveva favorito quell'atmosfera di familiarità che per l'orfano Alvise era stata di grande aiuto e conforto. A sua volta egli aveva dato molta parte di se stesso alle due Sagredo allorchè la disgrazia le aveva colpite. Avrebbe desiderato perfino di ospitarle nella sua casetta; ma Lucrezia non aveva voluto recare tanto disturbo ai suoi buoni vicini, ben sapendo quanto fosse piccolo il loro nido e quanto modesto il loro tenore di vita. - Oh, Alvise, mi hai fatto paura! - Il giovane capi che Loredana era immersa in malinconiche reminiscenze e volle distoglierla subito con alcune frasi scherzose. - Tornando a casa ho veduto il tuo protetto, anzi i tuoi protetti. Tutti e due erano più eleganti del solito! - Dove erano, Alvise? - chiese Loredana, mentre - gli occhi le brillavano di gioia. - Stavano dietro campo San Barnaba, vicino al rio Malpaga. - E che facevano? - Come al solito, stavano deliziando i timpani dei passanti. Si trattava del vecchio senatore girovago e del suo inseparabile compagno, il cane lupo. La scimmietta era morta da tanto tempo, con grande rimpianto del vecchio che si era trovato privo di una vivace compagnia, nonchè di una fonte di guadagno. Loredana, nonostante le sue crescenti ristrettezze, aveva sempre trovato il modo di venire in soccorso del povero senatore; e questi, che con gli altri era ispido e scontroso al pari del suo cane, aveva per la fanciulla delicatezze veramente commoventi. Quante volte, di ritorno dai suoi giri in terraferma, aveva portato a Loredana fasci di fiori còlti lungo le prode dei fossi o sulle rive del Po, Il fiume superbo che bagna tanta parte di terra Italica! E la fanciulla gradiva molto quel dono, anche se, dopo tante ore di cammino sotto il sole e nella polvere, i fiori del buon vecchio avevano perduto la loro freschezza. - Bravo Alvise! Tu parli del Màuria, - (il sonatore girovago veniva chiamato così dal nome del suo paese di origine, «il Passo della Màuria», l'ampio valico erboso che si estende tra il bacino del Tagliamento e quello del Piave ed è vigilato dalle cime austere delle Marmarole e dell'Antelao), - e non mi dici perchè non venisti da noi, ieri sera. - Un'ombra scese sul viso di Alvise. - Ho bisogno del tuo aiuto, Lori, - disse rapidamente, conducendo la fanciulla nell'angolo più remoto dell'orto. La fece sedere sul muricciolo del rio e le si pose accanto.

Pagina 63

Al tempo dei tempi

219481
Emma Perodi 1 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
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. - Ma questo non accadrà più, - assicurò il Re, e preso penna, carta e calamaio, scrisse una lettera per il Vicerè che doveva esser comunicata ai giudici, la munì del suo reale suggello e consegnandola al fabbro, disse: - Tenete, andate in Sicilia e abbiate fiducia che nessuno oserà più trasgredire agli ordini miei. - Il fabbro, tutto consolato e pieno di speranza tornò a Palermo, consegnò la lettera del Re al Vicerè, fece riaprire la causa, ebbe di nuovo una sentenza contraria e non se ne curò. Però il Principino se ne afflisse molto, e la notte dopo che fu pronunziata la sentenza, non riuscì mai a dormire. Sempre invocava la madre ed esclamava: - Madre mia, ma la giustizia è proprio morta a Palermo? Come, non è rispettata neppure la volontà del Re? Come, dovrò vedere quel perfido abate godersi i beni della mia famiglia e non potrò neppure rimborsare quest'eccellente popolano dei sacrifizi che fa per me? Non vedi, madre mia, che s'è disfatto di tutto quel che possedeva; non vedi che stenta per mantenere tuo figlio? Non credi che questo sia uno strazio per me? - L'infelice, dopo questa invocazione sentì un alito freddo sfiorargli il viso e due labbra gelate si posarono sulle sue, e quindi la solita voce affettuosa pronunziò lentamente queste parole: - Figlio mio, abbi pazienza, costanza e fermezza. Io pregherò per te. - E suggellando la promessa con un lungo bacio, si allontanò. Il fabbro sbraitava per la sentenza dei giudici, e tante ne disse che stavano per arrestarlo; ma il Vicerè non lo permise perchè aveva nelle mani la lettera del Re e temeva qualche guaio serio. Il Principino, intanto, a tutti gli sfoghi del suo benefattore, rispondeva invariabilmente con le parole della madre: - Ci vuol pazienza, costanza e fermezza! - Ma che pazienza! - gridò una volta il fabbro. - Te lo faccio vedere io che cosa ci vuole! - E vende l'ultima casetta che possedeva con la bottega e tutto, e se ne va in Ispagna di nuovo. La moglie, che fino a quel momento non s'era lagnata e le era parso tutto giusto quel che il marito aveva fatto per il Principino, quando vide chiuder la bottega e dovette lasciar la casa, divenne una vipera. - Mio marito è pazzo - diceva a chi non voleva sentirla - è pazzo da legare! S'è mai veduto che un padre dia fondo a tutto quello che ha, riducendo la famiglia alla miseria, per far valere i diritti di uno che non è neppur suo parente? Ecco qui, la nostra Angelina, non per vantarmi, era la ragazza più ricca di tutto il rione, e ora ha appena la camicia! Chi se la piglierà così nuda bruca? Nessuno. Ed ella ci rimprovererà sempre di averla sacrificata. - Non lo farò mai, mamma, - disse la fanciulla. - Io sono felice e non mi dispiace punto di non trovar marito. Sto bene così. Non vi pentite di quel che avete fatto per il Principino; io vorrei col mio lavoro, aiutarlo. - Angelina era abilissima nel fare ricami sulla tela, riproducendovi cacce, cortei reali e tante altre cose, che davano un pregio singolare alla biancheria. Ella si mise a lavorare e lavorava per le nobili dame e guadagnava tanto da campare sè e la madre mentre il fabbro viaggiava per la Spagna. Il Principino s'era rimesso a lavorare pure, e così la moglie del fabbro non mancava di nulla. Ecco che il fabbro sbarca a Barcellona, giunge a Madrid e si presenta al Re. - Maestà, il Vicerè di Sicilia ne fece un bel conto della vostra lettera! - Il Re si turbò. - Che sentenza hanno pronunziato i giudici? - domandò. - Una bella sentenza! Hanno dichiarato che l'abate ha tutto il diritto di valersi dei beni del principe di Cattolica e che il Principino è un truffatore. E l'abate se la gode nel palazzo e il Principino tira il mantice e suda a battere da mane a sera il ferro sull'incudine! - Al Re vennero i brividi nel sentir questo. Poi incominciò a gridare e a battere i piedi. Prese la corona e la scaraventò contro il muro dicendo: - Che mi vale questa corona se non sono Re in Palermo -

Mitchell, Margaret

221232
Via col vento 2 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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. - Allora bisogna che abbiate piú cura di voi stessa. Tutto questo correre su e giú non può farvi bene; e certamente danneggia il bambino. Se mi permettete, Mrs. Wilkes, cercherò, attraverso le relazioni che ho a Washington, di sapere qualche cosa di vostro marito. Se è prigioniero, sarà sulle liste dei Federali; e se non lo è... beh, tutto è preferibile all'incertezza. Ma ho bisogno della vostra promessa. Se non avete cura della vostra salute, giuro a Dio che non muoverò dito. - Come siete buono! - esclamò Melania. - Come fanno a dir tanto male di voi? - Quindi, sopraffatta dalla coscienza della spudoratezza dimostrata parlando del proprio stato con un uomo, cominciò a piangere debolmente. E Rossella, che saliva a precipizio le scale con un mattone caldo avvolto in un pezzo di flanella, la trovò con Rhett che le accarezzava una mano. Rhett mantenne la parola. Nessuno seppe mai quali fili egli riuscí a fare agire. Non osarono chiederglielo, per timore che ciò significasse un riconoscimento dei suoi stretti rapporti con gli yankees. Ci volle un mese prima di sapere qualche cosa; e le notizie che dapprima le sollevarono ai sette cieli, crearono nei loro cuori, in un secondo tempo, un'angoscia lacerante. Ashley non era morto! Era stato ferito e preso prigioniero; le informazioni dicevano che si trovava a Rock Island, un campo di prigionieri nell'Illinois. Nel primo impeto di gioia, pensarono solo al fatto che egli era vivo. Ma quando cominciarono a calmarsi, si guardarono sgomente, esclamando: - Rock Island! - come se avessero detto: - All'inferno! - Perché, come Aldersonville era un nome che spaventava quelli del Nord, cosí Rock Island terrorizzava gli abitanti del Sud che avevano qualche parente internato colà. Quando Lincoln rifiutò lo scambio dei prigionieri, credendo che il lasciare alla Confederazione il peso di nutrire e vestire i prigionieri dell'Unione avrebbe affrettato la fine della guerra, migliaia di uomini vestiti d'azzurro furono raccolti ad Aldersonville, in Georgia. I Confederati avevano scarsità di cibo e mancavano di medicinali e di articoli sanitari per i loro ammalati e feriti; avevano perciò ben poco da dividere coi prigionieri. Diedero loro da mangiare quello che davano ai soldati: grasso di porco e piselli secchi; e a questa dieta gli yankees morivano come le mosche; a volte piú di cento in un giorno. Inferocito da queste notizie, il Nord rese piú aspro il trattamento usato ai prigionieri confederati; e il luogo dove tale trattamento era peggiore era Rock Island. Il cibo era insufficiente; vi era una coperta ogni tre uomini; e le stragi prodotte dal vaiuolo, dalla polmonite e dal tifo fecero ritenere quel luogo come un lazzaretto. Tre quarti di coloro che vi eran mandati non ne uscivano vivi. E Ashley stava in quel luogo orrendo! Vivo, ma ferito; e a Rock Island la neve cadeva ininterrottamente. Era morto per le ferite, dopo che Rhett aveva avuto le informazioni? Era stato colpito dal vaiolo o delirava per la polmonite senza una coperta che lo riparasse? - Oh capitano Butler, non v'è modo... Non potete fare uso della vostra influenza per ottenere che venga scambiato? - esclamò Melania. - Mr. Lincoln, l'uomo giusto e pietoso che piange dirottamente sui cinque figliuoli di Mrs. Bixby, non ha lagrime per le migliaia di uomini che muoiono a Andersonville - rispose Rhett torcendo la bocca. - Non gl'importa nulla della loro morte. L'ordine è perentorio. Niente scambi. Non... non ve lo avevo detto prima, Mrs. Wilkes, ma a vostro marito è stata offerta la possibilità di uscirne e l'ha rifiutata. - No! - gridò Melania desolata. - Vi dico di sí. Gli yankees stanno reclutando uomini per il servizio di frontiera onde combattere contro gli Indiani; e li reclutano tra i prigionieri. Chiunque vuol prestare giuramento di fedeltà e arruolarsi nel reggimento che va contro gli indiani, vien liberato ed inviato in Occidente. Mr. Wilkes ha rifiutato. - Ma perché? - esclamò Rossella. - Perché non ha prestato giuramento per poi disertare e tornare a casa appena libero? Melania si volse a lei come una piccola furia. - Come puoi supporre che egli avrebbe fatto una cosa simile? Tradire la propria Confederazione prestando un abietto giuramento e poi mancare al giuramento stesso! Preferirei saperlo morto a Rock Island piuttosto che saperlo traditore. Sarei fiera di lui se morisse in prigione. Ma se facesse quello... non potrei piú guardarlo in faccia. Mai! È naturale che abbia rifiutato. Quando Rossella accompagnò Rhett alla porta, gli chiese, indignata: - Se foste stato voi, non vi sareste arruolato con loro, per evitare di morire in quel luogo, e non avreste poi disertato? - Senza dubbio - rispose Rhett, facendo brillare i suoi denti bianchi sotto ai baffetti neri. - E allora perché Ashley non l'ha fatto? - Perché è un gentiluomo. E Rossella si chiese come fosse possibile mettere in quella parola rispettosa tanto cinismo e tanto disprezzo.

Pagina 302

. - Mi sembra che abbiate un certo buon senso; quindi risparmiatemi i rossori inutili. Non voglio piú sentir parlare di viaggi per Melly. Temo che non resisterebbe. Avrà un parto difficile, anche nella migliore delle ipotesi... È stretta di bacino e probabilmente avremo bisogno del forcipe; perciò non voglio che càpiti nelle mani di qualche ignorante levatrice negra. Le donne come lei non dovrebbero aver bambini, ma... Ad ogni modo, fate i bauli di miss Pitty e mandatela a Macon. È cosí spaventata che non è una buona compagnia per sua nipote. Quanto a voi - proseguí fissandola coi suoi occhi penetranti - non voglio sentir dire che andate a casa. Rimarrete qui fino alla nascita del piccino. Non avete paura, spero? - Oh no! - mentí Rossella. - Brava figliuola. Mia moglie vi farà da accompagnatrice sempre che ne avrete bisogno, e vi manderò la vecchia Betsy per farvi la cucina, perché miss Pitty vuol portare con sé i suoi servi. Sarà per poco. Il bimbo dovrebbe nascere tra cinque settimane, circa; ma con le primipare non si può mai esser sicuri. Può anche anticipare. Zia Pitty partí per Macon, piangendo a calde lagrime, portando con sé zio Pietro e la cuoca. Regalò all'ospedale la carrozza e il cavallo, in uno slancio di patriottismo di cui si pentí immediatamente. E Rossella e Melania rimasero sole con Wade e Prissy in una casa che era adesso assai piú tranquilla, malgrado il cannoneggiamento continuo.

Pagina 342

Passa l'amore. Novelle

241657
Luigi Capuana 2 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
  • UNICT
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Non vi biasimo, non dico che abbiate avuto torto operando così. La scelta fa onore alla vostra intelligenza; siete uno dei miei migliori discepoli, anzi l'unico; non vi adulo. Ma, se la filosofia vi è entrata un po' nella mente, non vi ha ancora invasato tutto. Voi potete fare tant'altre cose che con la filosofia hanno poco o niente da vedere. Io, no; non posso far altro che arzigogolare, come dicono i burloni, e frullare l'astratto. Potrei affermare che il mondo non esiste per me, tanto sono scarsi i miei bisogni che mi fanno accorgere della sua realtà. Neppure il mondo s' accorge di me? Che me n'importa!... E così, dunque, la vostra carica a fondo contro la filosofia positiva, a che stato si trova? Filosofia.... positiva! Quasi la filosofia potesse essere altra cosa!... Quasi non fosse la cosa più positiva del mondo! Quasi.... Io andavo a trovarlo appunto per godermi le sue improvvisazioni, che spesso valevano più delle sue lezioni all'Università davanti a tre, quattro, cinque studenti, non sempre gli stessi, che lo mettevano di malumore più per mancato rispetto alla scienza che per offeso amor proprio di professore.

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Abbiate pazienza. Pagherò io anche per conto vostro. Non accadrà più. Coi superiori si fa peggio tentando di scusarsi.... - Ma la multa?... - Qualche spia di collega.... Quella carogna.... - Chi? - M'intendo io. - E tu, - egli disse rivolto alla moglie, - tu non ti sei mai accorta di niente? - Hai inteso: l'isolatore.... Ormai.... giacchè pagherà lui.... - Non voglio elemosine da nessuno! - Che hai in questi giorni? Non ti si può dire una parola.... Hai dunque perduto troppo.... col farmacista? - Io? Io non perdo mai, per tua norma.... Ma con lui non giocherò più, mai più, mai più!... Bara!... Gli ho stracciato le carte in faccia. Nino Pace mi guardava le carte e gli faceva dei segni.... Me ne sono accorto.... Mai più, mai più, mai più!... Si erano interposti parecchi amici. Nino Pace aveva giurato che non era vero ch'egli facesse dei segni strizzando un occhio, arricciando il naso, stringendo le labbra.... per indicare gli assi, i tre, i re.... al farmacista.... Ma il terrore, ma le torture provate dalla signora Dea in quei giorni erano stati tali, che ella, tornata a restar sola nell'ufficio, non aveva avuto il coraggio di rispondere al tic-tac di colui neppure per dire: - Basta, smettiamo. Le venivano le lacrime agli occhi, a quell'invito persistente. Qualcosa ella sentiva morirsi nel cuore, un sogno, meno di un sogno, un po' di luce, un po' di profumo che dileguavano via dalla sua vita, dolorosamente, silenziosamente. E più tardi, ricordando, rassegnata, trasalendo a ogni tic-tac, le sembrava di esser vissuta soltanto in quei tre mesi e mezzo. Di così poco certe anime sono condannate a contentarsi!

Pagina 230

Documenti umani

244735
Federico De Roberto 1 occorrenze
  • 1889
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • verismo
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La vita ha le sue esigenze; ed io non sono così ingenua o così presuntuosa, da supporre che in questi dieci anni voi abbiate potuto pensare a quello che fummo. So, del resto, che vi siete divertito; e chissà quante altre imagini si saranno sovrapposte a quella che io ho temuto di ripresentarvi dinanzi! Guardate: divento indiscreta!! Perdonatemi anche questo e vogliate credermi a ogni modo, con rinnovate scuse ed anticipati ringraziamenti, cordialmente vostra: Anna Solari. - Fiesole, lunedì." Il servo stava di nuovo sull'uscio, interdetto, chiedendosi se il suo padrone non fosse ammattito, perchè all'annunzio che la zuppa era in tavola, lo aveva guardato con occhi stralunati, come uno cascato dalle nuvole. - È in tavola?... Va bene, va bene.... Sul punto di passare di là, Carlo Landlni si stropicciava gli occhi. Credeva di aver sognato, tanto quella lettera era incredibile, tanto egli era rimasto male! Che grossolana illusione era stata la sua!... Gli anni erano davvero passati, se quella donna era così mutata, se scriveva di quelle lettere, se domandava una consultazione legale, - a lui! - se profanava il ricordo del loro amore con quella freddezza studiata, con quel tono di filosofica rassegnazione, con quelle allusioni indiscrete... E non un accenno alla enimmatica rottura che lo aveva mortalmente ferito; non una spiegazione - nè data, nè chiesta!... E diceva di temere che egli non avrebbe riconosciuto il carattere di lei, mentre, appena scorta la lettera, gli era mancato il respiro! E diceva di sapere che egli si era divertito, mentre quell'imagine gli era stata sempre inchiodata nel cuore, come un rimpianto, come un rimorso, come l'aspirazione di tutta la sua vita!... Ma, dunque, era realmente mutata quella donna, o era stata sempre ad un modo e soltanto la sua fantasia di innamorato ne aveva fatto un ideale?... Carlo Landini scrollò le spalle, sedendo a tavola. Il suo romanzo era finito, definitivamente; e quella lettera ne rappresentava l'epilogo prosaico e volgare. - Un romanziere non avrebbe nessun partito da trarne! - si diceva egli mentalmente, e non pensava che i romanzi veri, i romanzi fatti nella vita e non ideati per amore dell'arte, finiscono quasi sempre così.

Pagina 307

In Toscana e in Sicilia

245737
Giselda Fojanesi Rapisardi 2 occorrenze
  • 1914
  • Cav. Niccolò Giannotta, Editore
  • Catania
  • Verismo
  • UNICT
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. - Bisogna pure che vi risolviate, gli andava dicendo la mamma della Gegia; tanto, a questa disgraziata, non le potete far nulla; è nelle mani di Dio e state certo, se sarà destinato che vi abbiate da sposare, guarirà. Andiamo, fatevi un cuor risoluto, o che volete? mangiare, o poco o assai, s'ha da mangiare, e a noi poveri se non si lavora, non ci vien nulla giù dal cielo col panierino. Bisognò bene che si determinasse a partire, e fu un vere strazio di dover lasciare quella poveretta che probabilmente non avrebbe più ritrovata. - Almeno fatemi aver notizie, se qualche paesano vien laggiù, disse Bista con le lagrime agli occhi e il fardello infilato nella vanga, nel dividersi dalla vecchia dando, un'ultima occhiata a quel misero letto.

Pagina 13

. - Non abbiate paura, che non sarà niente; gli diceva lei per tranquillarlo; ma in cuor suo si struggeva. Dopo che aveva avuto il vaiuolo da piccina, era questa la prima volta che non si levava col sole, e Dio sa quel che gliene sarebbe - venuto. Bista dovette andarsene a lavorare e lei provò un grande sgomento nel trovarsi sola in quella stanzona quasi buia, buttata su quel pancaccio duro duro, che le tribbiava le ossa. O che ci sarebbe morta come un cane? Questo pensiero le faceva venir le lagrime agli occhi. Egli veniva di tanto in tanto, di corsa, a domandarle se avesse bisogno di nulla e la trovava col viso sempre più infiammato e colle labbra aride aride: il capo poi pareva proprio che le si spezzasse. Le bagnava la bocca riarsa, le accomodava il pastrano sui piedi e ritornava via al lavoro. Passò quel giorno e il giorno dopo e l'ammalata peggiorava: la febbre era sempre più gagliarda e a momenti le dava anche il delirio: lì intanto non ci era un cane che potesse custodirla. Allora Bista si fece un animo risoluto e deliberò di riportarla al suo paese; almeno sarebbe morta, se il Signore la voleva, nel su' letto, custodita dalla sua mamma, e lui non avrebbe avuto rimorsi all'anima. E nonostante lo sconsigliassero perchè il viaggio era lungo, egli la prese, la rinvoltò ben bene nei vestiti e nel suo cappotto, senza che lei facesse resistenza, più di là che di qua, se la caricò sulle spalle e coraggiosamente riprese la via della Chiana, accompagnato dalle esclamazioni di maraviglia dei suoi compagni.

Pagina 8