Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbracciavano

Numero di risultati: 11 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Eva Regina

203167
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 1 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Un bel giovane bruno in marsina e una bella giovinetta bionda in abito da sposa si abbracciavano castamente. Enfin seuls! era il titolo del quadro. Finalmente soli, dopo la cerimonia, i ricevimenti, gli auguri, i mille sguardi curiosi e importuni. Finalmente soli per vivere con la loro anima, del loro amore! Nei tempi antichi la sposa era condotta nella camera nuziale preceduta da una fiaccola che si toglievano di mano l' un l' altro gli amici degli sposi. Venivano pure portati nella stanza i simulacri di molti dei affinchè rendessero il matrimonio felice. Poi alcune donne di vita illibata chiamate prònube collocavano la sposa nel letto nuziale. Ora nessuna fanciulla si sentirebbe la forza di sopportare una tortura simile. Già abbastanza la fa soffrire la vista di quella stanza così diversa dalla sua camera di vergine, così uguale a quella della mamma... E qui io vorrei poter scrivere per gli uomini invece che per le signore questa pagina delicata; vorrei raccomandare al giovine marito, per innamorato e impaziente che sia, di rispettare gli ultimi pudori della sua compagna, e non deriderli, e non forzarli in nessuna maniera. Abbia il tatto supremo della discrezione, si allontani, anche, per poco, se occorre, affinchè la sposa non abbia a mutare bruscamente così i suoi atti di riservatezza ; non debba rinunziare ad un tratto alle sue pure abitudini di fanciulla. Io so di una giovinetta che la sera delle nozze s' inginocchiò per recitare la solita preghiera della sera ; ebbene, lo sposo, non pio, non praticante, s' inginocchiò accanto a lei per pregare insieme. Sono tratti di squisitezza di sentimento, di rara intuizione, che possono divenire le basi d'un' unione perfetta, e che una donna non potrà più dimenticare.

Pagina 68

Giovanna la nonna del corsaro nero

205012
Metz, Vittorio 1 occorrenze
  • 1962
  • Rizzoli
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
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Mentre tutti si abbracciavano piangendo di commozione, Raul si avvicinò a Jolanda e la prese per mano. Si rivolse al Corsaro Nero. "Ma allora... Se le cose stanno così," disse "se il Corsaro Verde e il Rosso sono vivi... Io posso sposare Jolanda..." "Oh, questo, no!" esclamò il Corsaro Nero ridiventando serio. "E perché?" gli dette sulla voce Giovanna. "Ci ha salvato la vita tante volte... È un bravo ragazzo!" "E va bene!" disse il Corsaro Nero, tornando a sorridere. "Quello che nonna vuole, Dio lo vuole!" "Avanti, ragazzi," disse Giovanna spingendo i due giovani l'uno nelle braccia dell'altro. "Abbracciatevi e siate felici... Vi sposerete nel mio castello di Ventimiglia! E abiterete con me!" "Viva Giovanna, la nonna del Corsaro Nero!" gridarono tutti, amici e nemici in coro. "E mai più guerra fra i Ventimiglia e i Trencabar" sussurrò dolcemente Jolanda, baciando appassionatamente Raul.

Pagina 211

Una famiglia di topi

205231
Contessa Lara 1 occorrenze
  • 1903
  • R. Bemporad &Figlio
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
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Quando finalmente Vittorio tornava, si faceva festa, una vera festa del cuore; tutti, ridevano, s' abbracciavano, godevano come poche volte si gode nella vita. Quell' anno, quando il piccolo Delpiano lasciò il nonno, sapeva di già, dalle lettere di Nello, della famiglia de' topi; e Dio sa quanto ne aveva fantasticato presso quel vecchio originale, che si professava nemico giurato di qualunque bestiola, e si vantava che in casa sua, di bestie, entravano soltanto le mosche, perchè venivano dalle finestre, senza invito. Quando poi Vittorio vide i sorci indiani, rimase a bocca aperta dall' ammirazione. - Ma è proprio vero, che conoscono il loro nome? - domandava egli a Nello con un sorriso incredulo e curioso. - Guarda! - rispondeva l' altro, cominciando a chiamar i topini, che accorrevano ubbidienti, a uno a uno, come tanti cagnoli. - Pare impossibile! - esclamava Vittorio, rapito.

Cipí

206598
Lodi, Mario 2 occorrenze
  • 1995
  • Edizioni E. Elle
  • Trieste
  • paraletteratura-ragazzi
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Intanto la guerra divampava: cannonate da ogni parte, assalti, comandi rabbiosi, nuvole disfatte gridavano con la camicia strappata, altre, impazzite, abbracciavano le nemiche credendole amiche, altre si scioglievano in pianto. La guerra durò tutta la mattina e solo nel tardo pomeriggio Palla di fuoco riuscí a mettere un poco di ordine nel cielo devastato. — Ecco che cosa capita a chi si azzuffa! Guardate come siete ridotte! — esclamò disperdendo le ultime nuvole. Poi allungò le sue calde braccia nel cortile, nel bosco e sui prati a tirar su la testolina dei fiori e a carezzare pietosamente i corpi freddi dei passeri uccisi. Infine, alzò le sue lance dorate in un arco di meravigliosi colori che abbracciava tutta la terra in segno di pace. Allora gli uccelli uscirono dai rifugi e ripresero la vita interrotta dalla guerra. — Chi ha vinto la lotta? — si domandavano. — Nessuno. — Anche le altre volte? — Sempre. — E perché la fanno? — Chi lo sa?!

I passeri si abbracciavano e si baciavano e per tutto il vicinato si sparse il chiasso dei festeggiamenti in onore di Cipí e della sua compagna. Allora Mamí, commossa, si fece largo per avvicinarsi al figliolo che tanto bene aveva fatto alla piccola patria del tetto, e senza pronunciare una parola se lo strinse affettuosamente al petto come quando, dentro al nido, gli narrava che cosa c'era nel mondo. — Mia cara Mamí! — disse Cipí raggiante di felicità, — sei contenta ora? — Si... sí... tanto... — ripeté Mamí singhiozzando di piacere, — tu sei davvero il piú caro... il piú buono... il piú grande dei miei nati! — Anche se t'ho fatto tanto arrabbiare? Mamí a questa domanda non rispose perché le mamme non ricordano i sacrifici compiuti per i figli, ma disse: — Io sono fiera di te. Promettimi che resterai sempre cosí, buono con tutti, generoso, vivace e nient'affatto superbo! — Prometto! — disse Cipí. E passarono i giorni, passarono le stagioni e gli anni: dai monti e dal mare arrivarono ancora i venti a radunare le ingenue nubi e a scatenarle le une contro le altre; il grande amico continuò il suo pacifico viaggio nel cielo; le margherite e gli altri fiorellini ascoltarono curiose come prima le storie incantevoli dell'acqua del fiume; gli alberi indossarono i fulgidi abiti nuovi ad ogni stagione; e i passeri del tetto proseguirono la loro dura vita. Ma ora il sacrificio non pesava piú perché essi avevano il cuore felice e cantavano la loro letizia al sole, all'acqua, ai fiori, alle creature del cielo e della terra, dalla nuvoletta che frenava la corsa impigliandosi alla punta del parafulmine per starsene un poco ad ascoltarli, alle ranocchie che per la gioia saltavano selvaggiamente nelle pozzanghere urlando: gra gra. Anche Cipí e Passerì conobbero la felicità ed ebbero tanti figli ai quali insegnarono le cose imparate nella vita: ad essere laboriosi per mantenersi onesti, ad essere buoni per poter essere amati, ad aprire bene gli occhi per distinguere il vero dal falso, ad essere coraggiosi per difendere la libertà.

Pagina 112

Il libro della terza classe elementare

210838
Deledda, Grazia 2 occorrenze
  • 1930
  • La Libreria dello Stato
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
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E tutti si abbracciavano, si baciavano, piangevano, nella gioia della riconquistata libertà. Indimenticabile spettacolo! Ricordate i bellissimi versi di Alessandro Manzoni?

Pagina 228

Da per tutto le popolazioni liberate coprivano di fiori, abbracciavano, baciavano quei prodi. La vittoria italiana provocò in Austria lo scoppio della rivoluzione: fu abbattuto l'Impero, ed i vari popoli che prima ne facevano parte formarono altrettanti Stati indipendenti.

Pagina 308

Sempronio e Sempronella

214656
Ambrosini, Luigi 1 occorrenze
  • 1922
  • G. B. Paravia e C.
  • Torino - Milano - Padova - Firenze - Roma - Napoli - Palermo
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Il musco baciava loro i piedi, le erbe abbracciavano le ginocchia e i fiori accarezzavano le mani. Gli arbusti e le siepi sfioravano gentilmente le guance, le altre piante salutavano con le braccia immerse nell'azzurro del cielo. Gli uccellini curiosavano e cantavano il meglio che sapevano, saltellavano e svolazzavano vispi sui rami; i fiorellini di bosco gareggiavano in bellezza, un soave profumo giungeva al cuore. La natura era in festa e i due fanciulli si sentivano pieni di gioia. Sedettero, e quasi pensavano di prendere dimora fra quella moltitudine di piante e di creature liete. Essi pensavano all'erica e al musco che vivono contenti coi loro numerosi amici e vicini, in pace e buona armonia, sotto la rugiada e le ombre protettrici dei grandi alberi. Pensavano ai fiori per quali è sempre una festa quando il sole li tocca, e li scuote il venticello. Il maestro, disteso anch'egli sull'erba, con la lunga barba bianca, li guardava contento. Si sentiva cantare il cucù.

Pagina 31

Mitchell, Margaret

221992
Via col vento 2 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Quando udiva l'urlo che annunciava l'avvicinarsi del proiettile, si precipitava in camera di Melania e si gettava sul letto accanto a lei; si abbracciavano strette nascondendo il capo fra i guanciali, gridando. Prissy e Wade fuggivano in cantina, nell'oscurità piena di ragnatele; Prissy urlando con quanta voce aveva in gola, Wade singhiozzando e gemendo. Allo spavento di potere essere squarciata da un obice si aggiungeva il terrore che da un momento all'altro nascesse il bimbo di Melania. Che avrebbe fatto, in questo caso? Sapeva che avrebbe lasciato morire Melania piuttosto che arrischiarsi ad andare a cercare il dottore, con le palle di cannone che cadevano come pioggia d'aprile. E sapeva che Prissy si sarebbe lasciata ammazzare prima di uscir di casa. Che farebbe, dunque? Discuteva di questo sottovoce con Prissy che calmò i suoi timori. - Miss Rossella, non preoccuparti per dottore quando essere momento. Io sapere come fare. Mia mamma essere levatrice, e avermi abituata per fare anche me levatrice. Tu lasciar fare a me. Rossella respirò sollevata; ma nondimeno continuò a desiderare disperatamente che quella prova fosse già passata. Anelante di esser lontana dal rombo del cannone, nella tranquillità di Tara, ogni sera pregò fervidamente perché il bimbo nascesse l'indomani; ella avrebbe allora assolto la sua promessa e potrebbe lasciare Atlanta. Tara le sembrava sicura e lontana da tutti gli spaventi. Smaniava per la sua casa e per la mamma come non aveva mai smaniato per nulla nella vita. Le sembrava che vicino a Elena non avrebbe paura, qualunque cosa accadesse. E ogni sera andava a letto con l'intenzione di dire a Melania, l'indomani, che non poteva piú resistere e che voleva partire per Tara; Melania sarebbe andata in casa della signora Meade. Ma appena coricata, si rivedeva davanti il viso di Ashley mentre, torturato internamente, le diceva con un lieve sorriso: «Avrete cura di Melania, non è vero? Voi siete forte... Promettetemelo.» Ed ella aveva promesso. Ashley era certamente morto, e la vedeva, la costringeva a mantenere la promessa. Rispondendo alle lettere di Elena che la scongiuravano di tornare a casa, ella scrisse diminuendo la gravità del pericolo, spiegando le condizioni di Melania e promettendo di partire subito dopo la nascita del bimbo. Elena, sensibile ai legami di parentela, acconsentí riluttante, ma chiedendo che mandasse immediatamente a casa Wade e Prissy. Quest'idea fu completamente approvata da Prissy, che era ormai ridotta un'idiota che batteva i denti al menomo rumore. Passava tanto tempo in cantina, che le ragazze non avrebbero neanche potuto mangiare, se non vi fosse stata la vecchia Betsy a cucinare qualche cosa. Rossella era anch'essa ansiosa di mandare il piccino lontano da Atlanta, non tanto per la sua salvezza, quanto perché i suoi terrori la irritavano in sommo grado. Wade era talmente impaurito dal fragore delle esplosioni che rimaneva afferrato alle gonne della madre anche durante i momenti di calma, senza neanche poter emettere la voce. Aveva paura di andare a letto la sera, paura del buio, paura di addormentarsi perché gli yankees potevano arrivare e portarlo via; e il suo tremito lieve durante la notte la esasperava. Ella non era meno sbigottita di lui; ma il vedersi ricordata continuamente la sua paura da quel visino atterrito la irritava. Sí; Tara era il luogo adatto per Wade. Prissy ve l'avrebbe portato subito, ritornando senza indugio per trovarsi presente al momento del parto di Melania. Ma prima che Rossella li avesse messi sul treno, giunse notizia che gli yankees si erano avanzati verso il sud e che continue scaramucce si svolgevano lungo la ferrovia fra Atlanta e Jonesboro. Se il treno su cui viaggiavano Prissy e il bimbo fosse catturato... Rossella e Melania impallidirono a questo pensiero, perché le atrocità degli yankees contro i bambini erano ben note. Quindi si rinunciò a mandarlo a Tara, ed egli rimase in casa, silenzioso come lo spettro della paura, sempre attaccato alla sottana di sua madre, come se quella fosse la sola salvezza possibile. L'assedio continuò durante le soffocanti giornate di luglio e la città cominciò ad adattarvisi. Sembrava che ormai il peggio fosse passato, e che non vi fosse altro da temere. La vita poteva riprendere quasi normalmente. Tutti sapevano che si trovavano su un vulcano, ma finché questo non eruttava, non vi era nulla da fare. Perché preoccuparsi, dunque? Chi sa se avrebbe eruttato mai... Hood tratteneva il nemico e la cavalleria difendeva la ferrovia di Macon. No, la città non sarebbe invasa! A poco a poco Rossella riprese coraggio. Certo, continuava a sobbalzare ad ogni cannonata, ma non correva piú a nasconder la testa fra i guanciali di Melania. Si limitava a dire debolmente: - Questa è caduta vicina, vero? Era meno atterrita anche perché la vita ora aveva preso la consistenza di un sogno: troppo tremendo per esser vero. Non era possibile che lei, Rossella O'Hara, si trovasse in continuo pericolo di morte; non era possibile che la loro tranquilla esistenza fosse mutata completamente in cosí breve tempo. Era irreale - grottescamente irreale - che quel cielo cosí azzurro al mattino potesse esser profanato dal fumo dei cannoni che restava sospeso sulla città come nuvole dense; che i caldi meriggi pieni della penetrante dolcezza del caprifoglio e delle rose rampicanti potessero essere cosí spaventosi quando i proiettili scoppiavano nelle strade, lanciando attorno schegge che laceravano uomini e animali. Le sonnolente sieste pomeridiane erano cessate perché - nonostante vi fossero periodi di calma - la Via dell'Albero di Pesco era rumorosa a tutte le ore per lo strepito dei cannoni e delle ambulanze che passavano, il gemito dei feriti che venivano trasportati agli ospedali, il calpestío frettoloso dei reggimenti che passavano, dalle trincee stabilite in un lato della città alle fortificazioni del lato opposto piú minacciate, e la corsa precipitosa dei corrieri che si affrettavano verso il Quartier Generale come se da loro dipendesse il destino della Confederazione. Le notti portavano il silenzio; ma un silenzio sinistro e minaccioso. Era come se le rane, i grilli, i merli fossero troppo spaventati per alzar la voce nel consueto coro delle notti estive. Qua e là la quiete era interrotta dal crepitio di qualche fucilata sparata dalle ultime linee di difesa. Sovente, nelle ultime ore della notte, quando i lumi erano spenti e Melania dormiva, Rossella - che era desta - udiva cigolare il cancello d'entrata e bussare leggermente ma frettolosamente alla porta. Soldati senza volto erano nell'oscurità del porticato e voci sconosciute parlavano. A volte eran voci e modi piú signorili: - Signora, infinite scuse del disturbo: potrei avere un po' d'acqua per me e per il mio cavallo? - A volte erano le voci profonde dei montanari, altre volte quelle nasali dell'estremo Sud, piú raramente la cadenza strascicata della costa che le colpiva il cuore, perché le ricordava la voce di Elena. - Signora, c'è un mio camerata che avevo messo in groppa, ma non può piú reggersi... Potete farlo entrare? - Signora, perdonate l'indiscrezione, ma... posso passare la notte sotto al vostro porticato? Ho visto le rose e ho sentito l'odore del caprifoglio... come a casa mia!... No, quelle notti non erano reali. Erano un incubo e costoro ne facevano parte: uomini senza viso e senza corpo, voci stanche che uscivano dalle tenebre. Dar loro dell'acqua, somministrare cibo, metter guanciali nel porticato, fasciar ferite, sorregger la testa ai moribondi... No, impossibile che questo stesse accadendo a lei! Una notte fu zio Enrico che venne a bussare. Non aveva piú l'ombrello né la valigetta; e anche la sua pancia era scomparsa. La pelle del viso pendeva floscia come quella delle guance di un bull-dog e i suoi lunghi capelli bianchi erano incredibilmente sudici. Era quasi scalzo, formicolante di pidocchi e affamato; ma il suo spirito irascibile non era domo. Lo avevano utilizzato come un giovinotto; ed egli poteva effettivamente competere coi giovani, cosa impossibile al nonno Merriwether, con la sua lombaggine. Il capitano aveva voluto rimandare a casa il vecchio, ma questi si era opposto: preferiva ancora la guerra alla convivenza con la nuora, che brontolava tutto il giorno, per fargli smettere di masticar tabacco e altre cose simili. La visita di zio Enrico fu breve: aveva avuto solo ventiquattro ore di permesso; e la metà di quel tempo occorreva per venire dalle fortificazioni e ritornarvi. - Ragazze, non vi rivedrò per un pezzo - annunciò mentre immergeva voluttuosamente i piedi nel catino d'acqua fresca che Rossella gli aveva posto dinanzi, nella camera da letto di Melania. - La nostra compagnia si mette in moto domattina. - Per andar dove? - chiese Melania afferrandogli il braccio. - Non mi toccate! Sono pieno di pidocchi. La guerra sarebbe un divertimento, se non vi fossero i pidocchi e la dissenteria. Dove andiamo? Non me l'hanno detto, ma mi pare di aver capito che si va verso il Sud, verso Jonesboro. - E perché? - Perché ci sarà da combattere in quella zona, cara figliuola. Gli yankees tentano di impadronirsi della ferrovia. E se la prendono, buona notte Atlanta! - Dio, Dio, zio Enrico, credi che vi riusciranno? - Silenzio, ragazze! Come volete che la prendano, se ci sono io? - Zio Enrico sorrise del loro spavento; poi tornando serio: - Sarà una dura battaglia, figliuole. Dobbiamo vincerla. Sapete che gli yankees hanno in mano tutte le ferrovie, eccetto quella di Macon; ma oltre a questo - forse voialtre lo ignorate - sono padroni di tutte le strade, eccetto quella di McDonough. Atlanta è in un culdisacco, e i cordoni di questo sono a Jonesboro. Se gli yankees prendono quella ferrovia, possono tirare la corda e prenderci come un topo in trappola. Ecco perché non bisogna che la prendano... Vado, ragazze. Sono venuto soltanto per salutarvi e per vedere se Rossella era ancora con te, Melania. - È naturale che è con me - rispose Melania affettuosamente. - Non ti preoccupare per noi, zio, e bada a te stesso. Lo zio si asciugò i piedi; quindi, infilandosi le sue scarpe a brandelli, emise un gemito. - Bisogna che vada - disse poi. - Ho da percorrere cinque miglia. Rossella, trovami qualche cosa da mangiare, da portar via. Qualunque cosa. Dopo avere abbracciato Melania, scese in cucina dove Rossella stava avvolgendo in un tovagliolo una focaccia di granoturco e qualche mela. - Zio... è davvero una cosa tanto seria? - Seria! Sicuro, perbacco. Sono le nostre ultime difese. - E credete... che arriveranno a Tara? - Che diamine... - cominciò zio Enrico, irritato di quella mentalità femminile che pensava solo a ciò che la interessava personalmente. Quindi, vedendo il suo volto atterrito, si raddolcí. - Certo no. Tara è a cinque miglia dalla ferrovia, e gli yankees non mirano che a questa. Hai il cervello di un passerotto. - Si interruppe bruscamente. Poi riprese: - Non ho fatto tutta questa strada stasera soltanto per salutarvi. Ho delle cattive notizie da comunicare a Melania, ma quando è stato il momento di dirglielo, me n'è mancato il coraggio. Quindi lascio l'incarico a te. - Ashley... avete saputo... che è morto? - Come vuoi che sappia qualche cosa di Ashley, in fondo a una trincea? No. Si tratta di suo padre. John Wilkes è morto. Rossella sedette di colpo, tenendo in mano il fardelletto non ancora annodato. - Volevo dirlo a Melania... ma non ho potuto. Glielo dirai tu. E dàlle questi. Trasse di tasca un pesante orologio d'oro da cui pendevano dei suggelli, una piccola miniatura della defunta signora Wilkes e un paio di grossi bottoni da polso. Fu soltanto nel vedere l'orologio che tante volte aveva scorto fra le mani del vecchio Wilkes, che Rossella comprese veramente che il padre di Ashley era morto. E fu troppo colpita per piangere. Lo zio tossicchiò senza guardarla, temendo delle lagrime che lo avrebbero sconvolto. - Era un uomo coraggioso, Rossella. Dillo a Melly. E dille che lo scriva alle figlie. Ed è stato un ottimo soldato, malgrado la sua età. Una granata lo ha squarciato ed ha ferito anche il cavallo, che ho poi finito io stesso. Era una bella giumenta. Sarà bene che tu scriva anche alla signora Tarleton per informarla. Teneva moltissimo alla sua cavallina. Dammi quel fardello, bambina, debbo andare. E non prendertela tanto. Non è una bella morte, per un vecchio, finire come un giovine? - No, non doveva morire! Non doveva andare alla guerra... Doveva vivere per veder crescere il suo nipotino e poi morire tranquillamente nel suo letto. Oh, perché è andato? Non credeva alla secessione e odiava la guerra... - Molti di noi la pensano cosí, ma a che serve? Credi che mi diverta servir da bersaglio, alla mia età, ai tiratori yankee? Ma non vi è altra scelta, in questi momenti, per un gentiluomo. Abbracciami, bambina, e non stare in pensiero per me. Uscirò da questa guerra sano e salvo. Rossella lo abbracciò e ascoltò i suoi passi nel buio; udí aprirsi e richiudersi il cancello. Rimase un attimo a guardare gli oggetti che aveva in mano. Poi salí le scale per andare da Melania.

Pagina 345

I cittadini affollarono le strade: gli uomini ridevano e si stringevano la mano rallegrandosi, le donne si abbracciavano e piangevano. Tutti diedero dei ricevimenti per solennizzare l'avvenimento; e i pompieri ebbero molto da fare a spegnere le fiamme suscitate dai fuochi di gioia accesi dai ragazzini giubilanti. Certamente, anche il facente funzione di governatore era un repubblicano; ma in decembre vi sarebbero le elezioni e il risultato non era dubbio. E difatti, malgrado gli sforzi frenetici dei repubblicani, le elezioni diedero alla Georgia un governatore democratico. Anche allora la città fu piena di gioia; ma era un eccitamento diverso da quello che si era diffuso quando Bullock aveva levato il tacco. Era una gioia piú profondamente sentita, un senso di riconoscenza; le chiese erano piene, mentre i ministri porgevano al Signore azioni di grazie per la liberazione dello Stato. E vi era anche un senso d'orgoglio, all'idea che il paese fosse nuovamente fra le mani della sua gente, malgrado tutte le disposizioni del governo di Washington, malgrado l'esercito, i «Carpetbaggers» e i rinnegati. Sette volte il Congresso aveva votato leggi opprimenti contro lo Stato, a fine di tenerlo nelle condizioni di terra di conquista; tre volte l'esercito aveva governato con la legge militare. I negri avevano folleggiato col Parlamento, avidi stranieri erano stati al governo, individui privati si erano arricchiti coi fondi pubblici. La Georgia era stata tormentata, ingannata, depressa. Ma ora, malgrado tutto ciò, essa risorgeva e tornava ad appartenere al suo popolo. L'improvviso rovesciamento dei repubblicani non rallegrò in egual modo tutti quanti. Nelle file dei «Carpetbaggers» e dei rinnegati vi fu una viva costernazione. I Gelert e gli Hundon, evidentemente informati della partenza di Bullock prima che questa fosse di pubblica ragione, lasciarono la città improvvisamente, scomparendo nel nulla da cui erano venuti. Gli altri rimasero incerti, sgomenti, e si riunirono fra loro per darsi coraggio, temendo che l'inchiesta gettasse la luce anche sulle loro marachelle. Non erano piú insolenti; erano sbalorditi e spaventati. E le signore che andavano a far visita a Rossella continuavano a ripetere: - Chi avrebbe supposto che sarebbe andata cosí? Credevamo che il governatore fosse onnipotente. Credevamo che non sarebbe mai andato via. Credevamo... Rossella era ugualmente stupita dalla piega degli avvenimenti, benché fosse stata avvertita da Rhett. Non che le dispiacesse la partenza di Bullock e il ritorno dei democratici. Anzi era tristemente felice - benché nessuno lo credesse - che il governo degli yankees fosse finito. Ricordava troppo vivamente le sue lotte nei primi giorni della Ricostruzione, la paura che le venisse confiscato il suo denaro e la sua proprietà. Ricordava il suo smarrimento, il suo panico, il suo odio per gli yankees; e non aveva mai cessato di odiarli. Ma cercando di mettersi al sicuro, aveva finito con lo schierarsi dalla parte dei conquistatori. Per quanto le fossero antipatici, si era circondata di quegli individui, staccandosi dai vecchi amici e dal vecchio sistema di vita. Ed ora il potere dei conquistatori era crollato. Ella aveva giocato sulla continuazione del regime di Bullock e aveva perduto. Guardandosi attorno, in quel Natale del 1871, il Natale piú lieto che lo Stato avesse conosciuto da dieci anni in qua, Rossella si sentí agitata. Non poteva fare a meno di vedere che Rhett, uno degli uomini che erano stati piú odiati, era adesso uno dei piú popolari, poiché aveva umilmente abiurato alle sue eresie repubblicane e dato tempo, denaro, fatiche perché la Georgia potesse risollevarsi. Quando egli attraversava le strade a cavallo, sorridendo, togliendosi il cappello, con un fagottino azzurro che era Diletta sul davanti della sua sella, tutti rispondevano al suo sorriso, parlavano con entusiasmo della piccina e la guardavano con affetto. E intanto lei, Rossella...

Pagina 986

L'indomani

246319
Neera 1 occorrenze
  • 1889
  • Libreria editrice Galli
  • Milano
  • Verismo
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Spezzato un filo gettava l'altro, e un altro ancora e ancora, sempre avanti, la tela prendeva proporzioni gigantesche, i fili abbracciavano tutto il creato, salivano ad altezze vertiginose, toccavano il cielo. Era la vasta tela della vita umana, il lavoro ogni giorno rinnovato di chi soffre e combatte; il lavoro temerario che poggia nel vuoto guardando arditamente la luce; lo sforzo immane di milioni di esseri, intelligenze torturate, cuori spasimanti, schiavi in pena, tutti sorgenti dalle loro catene, tutti lanciando il loro filo d'argento al misterioso Ignoto. E i fili si spezzano, e la tela si strappa e la felicità dondola sempre sospesa all'impalpabile bava di un aracnide. Che importa? Tutto muore, tutto nasce, tutto cambia, tutto si rinnova, le tombe scoperchiate servono di culla, i cuori insanguinati e piangenti danno nuovo sangue e nuove lagrime alla vita. Avanti, coraggio! FINE.

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