Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Nanà a Milano

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Arrighi, Cletto 1 occorrenze

È necessario sapere qual grado di carattere e di probità abbisogni ad un uomo che veste di panno per affrontare e cacciare indietro le idee invadenti, che fanno ressa e rivolta in faccia al senso morale, protestando rabbioso contro la ingiustizia distributiva, contro il sistema sociale, contro tutto ciò che i politici chiamano l'ordine stabilito. Filippo Marliani però non pensava che del suo trovarsi in quell'orrendo disagio aveva colpa lui stesso. Amava meglio prendersela contro l'ordine stabilito. Camminando alla ventura delle ore intere, resistendo all'idea di andar a trovare Nanà, alla quale non voleva presentarsi a mani e a tasche vuote, egli andava facendo, senz'accorgersi, una quantità di ragionamenti nuovi e di piccole operazioni strane, inusate, senza senso comune. Era capace di tener dei quarti d'ora gli occhi a terra, sperando di trovare sul cammino un biglietto da mille, smarrito da qualche banchiere distratto, o un brillante uscito fuori da un orecchino di donna, o una borsetta piena d'oro, perduta da qualche inglese in viaggio. E in quel momento l'idea dell'obbligo di portar queste cose al Municipio, non gli era nemmeno apparsa in ombra. Nella sua testa non sbucciavano che idee malsane, come in un campo sterile e dimenticato non germogliano che male erbaccie. Disperando a un tratto di trovare pe' sassi qualche oggetto di valore, alzò gli occhi a caso e si trovò accanto alla vetrina di un cambiavalute. Si fermò di botto ed ebbe anche la stupidità di credere che questo fosse un buon augurio. Là dinanzi, cogli occhi intenti sulle monete d'oro e sui biglietti di banca sciorinati nell'interno della vetrina, il povero affamato sentì svilupparsi nel capo dei miasmi di cupidigia morbosa, e nel pugno una smania di sferrar un colpo nella lastra di vetro. Cose tutte che non aveva mai provate di sua vita. "Se si potesse far un buco senza che nessuno se ne accorgesse? Lì c'è appunto un biglietto da mille. Andrei a pranzo, poi stasera pagherei il debito, poi cogli altri dugento... chissà!" Guardossi intorno come trasognato. Rinsavì; ebbe vergogna de' proprî pensieri; odiò quelle tentazioni; pure il suo sguardo, tra lo spaventato e il suppligante, pareva dire ancora: Chi mi dà un biglietto da mille? Si staccò da quella vetrina - già, per la intenzione, ladro! - proseguì il suo cammino sempre intontito e in preda al più desolante scoraggiamento. La fame aumentava. Intorno a' suoi pensieri scattavano, ondeggiando come in nebbia opaca, delle fantasticherie di delitto e di rapina. A un certo punto fece anche improvvisa comparsa l'idea del suicidio, ed ei l'accolse di fronte come un ospite che non si attende, ma che fa piacere a vederlo. "No - diss'egli dopo averci pensato su qualche poco - sono sempre in tempo per questo." "E Nanà?" Questo nome ch'egli aveva dimenticato dacchè il pùngolo della fame era incominciato e il suo amor proprio era stato messo a così dura prova dalla necessità di fingere parecchie volte la scena del portamonete dimenticato in tre o quattro restaurants dov'era conosciuto - gli portò al cuore un'angoscia intollerabile. "Ah, bisogna uscirne a ogni costo - pensò. - Io non posso lasciare Nanà. Essa mi abbisogna più che il pane da sfamarmi. Non vivo così! È troppo tormento! È necessario ch'io abbia molto danaro. Essa non mi ama al punto da volermi gratuitamente, per me solo. Essa fu mia ancora... senza interesse... è vero. Ma chissà... per temperamento forse. Ma non vorrei io stesso!" La risultante di tale ragionamento fu questa frase: "È necessario aver danaro." E fra tutte le mariuolerie di cui potesse avere in testa un'idea, andò cercandone qualcuna da metter subito in pratica. Tutt'a un tratto un'idea luminosa lo colpì. Gli tornarono in mente certe parole misteriose che aveva udite per caso, alcuni mesi prima... da un certo tale... parole a cui allora non aveva posto la più piccola attenzione e che ora gli comparivano, come ad un brick che naufraga, l'ancora di salvezza. Fu per lui un momento d'immenso sollievo; la speranza, la meretrice dell'anima, illuminò il suo volto che era divenuto a poco a poco emaciato, e senza pensarci sopra più che tanto, s'avviò. "Chissà che non sia in tempo io stesso a pigliar quel posto" - diceva fra sè. - "Il signor Giacomino me ne saprà dire qualche cosa." Andò difilato in piazza del Duomo. Là cercò l'omnibus per Porta Garibaldi, e tutto infervorato nella sua idea, senza pensare che non teneva in tasca neppur il becco d'un quattrino, vi si cacciò dentro. L'omnibus si mosse e il conduttore gli stese la mano per avere il prezzo della corsa. Fu allora che Marliani si ricordò di non aver danaro. Ma avvezzo ormai a fingere quella manovra del portamonete, mise bravamente la mano destra nella tasca interna dell'abito, poi frugò di qua, frugò di là, fingendo una crescente inquietudine, e finì collo sclamare: - Cristo! M'han rubato il portafogli! - Màghero allora! - disse il conduttore dell'omnibus. - Sicuro. O me l'han rubato o l'ho lasciato in... quella bottega.... Oh povero me! - Scenda, scenda... non importa. Pagherà un'altra volta. Filippo non se lo fece dire due volte. Discese, fe' mostra di rifar la strada verso quella bottega, poi, quando l'omnibus fu scomparso, svoltò di nuovo verso Porta Garibaldi. Giunto a un centinaio di passi oltre il teatro Fossati, entrò in una bottega di parrucchiere - che oggi non c'è più - e ad un figuro di vecchietto che stava là seduto su uno sgabello col sedile a vite, ad aspettare forse qualche pratica, disse: - Lei è il signor Giovannino, non è vero? - Per servirla. Vuol fare la barba? - No, per ora. La faremo dopo, in caso. Io sono venuto da lei per vedere se.... Si ricorda lei di avermi veduto, sarà un paio di mesi, col signor Silvestre Bonaventuri? - Mi ricordo. Lei è il signor Filippo Marliani. - Bravo! Allora ella disse al mio amico che non gli era ancora riuscito di trovare un giovine un po' educato e vestito bene, che volesse assumersi quell'incarico, ancorchè avesse offerto cinquecento franchi al mese.... Si ricorda? - Altro che ricordarmi. - Ebbene, l'ha trovato? - domandò il Marliani col cuore in sospeso; giacchè quella risposta poteva forse decidere della sua vita. - No - rispose il signor Giovannino. - Tutti hanno paura di cader in trappola. - Si può sapere di che si tratta? Se si tratta di avere del coraggio, sono qua. Il signor Giovannino espose la faccenda a Marliani. Questi domandò se si poteva parlare coi signori che proponevano l'affare. - Sicuro che si può. Me ne parlarono giusto anche stamattina. La signora Bibiana sopratutti è scaldata e vorrebbe trovare un giovine come dice lei, che sarebbe certo di far fortuna. - Chi è la signora Bibiana? - È quella che ha il morto. Una vedovona, che ce ne voglion tre di noi per abbracciarla. - Potrei parlare a questi signori? - Lei? È pronto lei ad accettare? - Sì - rispose secco il Marliani. - È giusto l'ora che son riuniti in bottega - soggiunse il parrucchiere. - Andiamoci allora. - Andiamo pure. Cecco, dove sei? Cecco uscì dalla retro-bottega- Io vado un momento con questo signore, e torno subito. Così detto, uscì seguito da Marliani. Dati una ventina di passi parlando fra loro sottovoce, il parrucchiere svoltò dentro in una bottega da rigattiere. Una donnicciuola che se ne stava ebetamente seduta in un canto di quella uggiosa camera all'avvicinarsi dei due sconosciuti allungò il collo e ravvisato il signor Giovannino tornò a raggomitolarsi nella sua cretina immobilità. Il parrucchiere si avvicinò ad un uscio a due battenti socchiusi, che s'apriva nella parte di faccia all'entrata e che metteva in una tetanzuccia o retrobottega e fe' cenno a Marliani di fermarsi. Mise l'occhio allo spiraglio e pronunciò a voce melliflua: - È permesso? - Avanti - s'intese rispondere una voce secca; e sgarbata dal didentro. Il vecchietto si volse al suo compagno gli fè cenno di venir innanzi e schiuse l'uscio. Nella stanza dove erano per entrare il parrucchiere e Filippo Marliani stavano raccolte tre persone due uomini e una donna. Gli uomini erano entrambi in quell'età che non è giovinezza ma che non si potrebbe ancor dire maturità. La donna nei quarant'anni, che vestiva con volgare eleganza e mostrava un viso campagnuolo e rubicondo da farla giudicare per una fittavola o per la moglie d'un pizzicagnolo, era la signora Bibiana. Quelle persone se ne stavano sedute in silenzio a ridosso della luce che entrava da due finestre a vetri smerigliati, a destra e a sinistra d'un altro uscio, che metteva nel cortile. In tal modo i tratti del loro viso restavano in ombra mentre essi avevano il destro di vedere perfettamente rischiarato il volto di chi fosse venuto a parlar con loro. Facevano come certe donne sul tramonto che vogliono nascondere le grinze ai loro visitatori. - Venga avanti signor Giovannino - disse un di coloro al parrucchiere, che aveva domandato licenza di entrare. Questi si fermò accanto all'uscio lasciando il passo a Filippo Marliani. Gli occhi dei radunati si fissarono curiosamente; nelle sembianze del giovane sconosciuto. - La chiuda l'uscio - disse la signora Bibiana al signor Giovannino. - E lei ripigliò volgendosi a Filippo con un sorriso - la tenga pure il suo cappello in capo e s'accomodi. - Comodissimo - rispose questi sedendosi sulla prima sedia che si trovò d'accanto. In questa il parrucchiere domandò licenza di andarsene, ma venne trattenuto dalla donna. - Che fretta! Stia qui un pò anche lei a sentire. Poi voltasi al Marliani: - Lei sarà già informato spero della cosa. - Gli ho spiegato io l'affare all'ingrosso - rispose il signor Giovannino. Egli è pronto a firmare il contratto basta che entro domani gli sieno sborsate due mila lire. - Andiamo adagio - sclamò uno dei tre uomini levando la mano verso il vecchio - una cosa per volta e senza alzar la voce che nessuno qui è sordo. La donna volgendosi allora al giovine riprese. - Capirà anche lei... signor... signor? - Marliani - rispose questi. - Signor Marliani, che prima di stringere un contratto importante come questo, bisogna conoscersi un poco, perchè dove c'è da obbligarsi in faccia ai terzi; le cautele dei galantuomi non sono mai bastanti. - Troppo giusto - disse Marliani piegando il capo in segno di assentimento. Ma i suoi occhi si socchiusero nello stesso tempo con una espressione di ironica malizia. Quel sorriso non isfuggì all'occhio della donna la quale dissimulando riprese. - Dica dunque lei le sue intenzioni su quello che già le comunicò il signor Giovannino. - Il signor Giovannino mi propose di entrare come socio e col mio nome in una ditta commerciale senza esposizione da parte mia di alcun capitale - rispose Marliani. - Va bene - rispose la signora Bibiana. - I signori che lei vede qui riuniti sarebbero appunto i soci fondatori di una casa in pannine, di cui ella assumerebbe la gerenza alle condizioni che forse già conosce. - Le condizioni sarebbero di firmare col mio nome le cambiali della ditta. - Primo. - Nel caso di fallimento ch'io sia pronto a subire tutte le conseguenze conservando il massimo segreto sugli affari della casa. - Va bene. - Che in caso fosse necessario per salvare la ditta di far in prigione l'anno ed il giorno, io debbo esser pronto a prestarmi, e nel caso invece che la ditta credesse meglio, ch'io sia pronto a fuggire. Il giovine si fermò per avere un segno di assentimento. Le tre persone che gli stavano di contro erano immobili come cariatidi. - Non credo si esigano da me altri sacrifizi - rispose il giovine con una espressione di mal celata amarezza. Uno dei due uomini che non aveva ancora aperta bocca, alla nuova intonazione con cui il Marliani aveva pronunciate le ultime parole gli ficcò in viso gli occhi e disse: - Non sono sagrifizî codesti; sono condizioni naturalissime in chiunque si assume obblighi di questa specie. Non c'è nulla che sia fuori del consueto, anzi non faceva neppur bisogno di parlarne, giacchè poi si spera di non aver bisogno di fallire o di andar in prigione o di scappare. - Ho voluto enumerarli! - rispose il Marliani per mostrare a loro signori che io conosco le eventualità a cui posso andare incontro mettendomi in questo affare e per togliere loro il sospetto che io possa essere un novizio o un guastamestiere. - Ora parliamo delle condizioni in favore - disse la signora Bibiana. - Il signor Giovannino ha parlato di due mila lire subito. - Mi sono indispensabili. - Due mila lire è una bella somma - sclamò uno dei tre - ci vorrebbe una piccola garanzia. Marliani si alzò in piedi. - Cari signori - disse - se avessi una garanzia non sarei venuto a esporre il mio nome ai pericoli d'una gerenza commerciale di cui non dovrò tenere la cassa, nè avere neppure una piccola parte nell'amministrazione. Se avessi una garanzia andrei a levar i denari al dieci o al dodici per cento dal primo onesto banchiere che passa in strada, e il signor Giovannino non sarebbe venuto ad offrirmi di fare il prestanome. - Lei s'inganna - rispose la signora Bibiana con voce insinuante. - Io le dirò che prima di tutto non è vero che lei dovrà servire soltanto di prestanome perchè invece dovrà trattare in persona con me gli affari della ditta, far qualche viaggio e avere la sua brava parte di utili nei dividendi. - Se ce ne saranno - osservò uno dei tre. - Sicuro già, se ce ne saranno! - sclamò la donna stizzosamente. - In secondo luogo lei s'inganna se al giorno d'oggi crede di poter trovar danaro al dieci o al dodici per cento, a mena che non porga la garanzia di un proprietario. - Vedo insomma che lor signori non sono disposti a sborsarmi le duemila lire di cui ho bisogno - disse il Marliani. - Caro signore - rispose la donna sempre più dolce. - Il commercio è arenato. Per vivere col decoro che porterà la di lei posizione di rappresentante la ditta Marliani e C. bisognerà che noi le fissiamo anche una bella mesata. Vede bene che farle oggi una anticipazione di due mila lire ci sarebbe impossibile. - Di quanto sarebbe questa mesata? - domandò il Marliani. - Di trecento franchi - rispose la donna. Marliani si alzò e mosse un passo verso la porta lisciando il pelo del suo cappello a tuba e disse: - Siccome i patti non sono quelli che m'aveva lasciato sperare il signor Giovannino, che mi parlò di cinquecento franchi al mese, così mi duole di non poter accettare, e mi tocca di rivolgermi ad altre offerte. - A un'altra volta - rispose uno dei due uomini. - E nel caso che la ditta si risolvesse a fare maggiori sacrifizî il signor Giovannino lo avviserà. Marliani uscì lasciando l'uscio socchiuso. Si capiva che la signora Bibiana era desolata. Un bel giovine di quella fatta! - La chiuda quell'uscio, Giovannino - disse ella. Poi voltasi ai compagni proruppe: - Non bisogna lasciarlo scappare. Sembra fatto a posta pel nostro affare. - Ritornerà. Scommettiamo che ritorna da sè senza mandarlo a chiamare? - Ora una notizia - riprese la signora Bibiana. Sapete che in casa O'Stiary ci ho messo il Giacomo come palafreniere. Egli mi ha dato nuove informazioni sullo stato delle sostanze del conte Enrico suo padrone, che ha firmata ieri un'altra cambiale di diecimila a fine novembre. - Sono buone queste notizie? - Eccellenti. I fondi valgono circa mezzo milione, il palazzo trecentomila, la rendita altri duecentomila. Con Bonaventuri a tutt'oggi è compromesso per quattrocentomila franchi, dei quali fatto il calcolo, gliene avremo sborsati a dir molto duecento. Egli ha poi perduto molto al giuoco dalla Luisa! È sfortunato! In casa della Luisa de' suoi danari ne saranno rimasti per circa cinquantamila. A noi di questi è toccata la metà, dunque bisogna detrarla dai duecento mila. Restano centosettantacinquemila. Sono dunque duecento venticinquemila lire nette in tre anni! Faccio il calcolo che in un paio d'anni ancora, lavorando con prudenza e con disinvoltura potremo portargli via il milione netto come il pomo di Tell. - Tanto meglio. - Ecco dunque il da farsi per domani. Lei Giovannino la cerchi di rivedere il signor Marliani e di indurlo ad accettare la rappresentanza della ditta. Gli dica che ci ha persuasi di portare la cifra della mesata a quattrocento. Gli dica anche che per garanzia della sua riputazione commerciale la ditta è pronta a depositare presso la Banca nazionale o presso la Banca Spagliardi una trentina di mila lire. Lei, signor Bonaventuri - continuò volgendosi ad uno dei due seduti - domani andrà a combinar l'affare con questa signora francese, che chiede cinquemila franchi a tre mesi. Si faccia mostrare le gioie, e se può cerchi di far il pegno. Lei, signor Paolino - ripigliò la signora Bibiana volgendosi all'altro, un uomo sui trentacinque anni, anche lui bene in arnese, con anelli di brillanti al dito mignolo e un catenone d'oro al farsetto - lei, stasera, come siamo intesi, andrà in conversazione dalla Luisa, dove so che ci deve essere anche il conte O'Stiary e comincerà a parlare della vincita fatta in Borsa dal Marliani, e della sua intenzione di mettersi in commercio. Per ora non ho altro a dire. Io debbo andarmene. A domani qui, verso le due. Al domani il signor Giovannino andò a trovare il Marliani che si lasciò persuadere a tornar nel luogo infetto. La signora Bibiana, facendogli già l'occhio pio, trasse di tasca un foglio e cominciò a leggerlo sottovoce al giovane e a' suoi compagni. Era il contratto per la fondazione della società di commercio sotto la ditta Marliani e C.. C..Poi mise sul tavolo un biglietto da mille e una cambiale che il Marliani firmò. Furono fatte poche parole. Quando anche l'atto fu approvato e sottoscritto colla più grande serietà, come se fosse il più regolare e santo contratto del mondo, il signore dai brillanti in dito riprese la parola. - Andremo poi dal notaio per le altre formalità di legge. Prima però la permetta che le esponga qualche cosa. Lei non è un ragazzo e deve avere una certa pratica di mondo; sapere perciò che le parole sono parole e i fatti sono fatti. Noi facciamo sagrifizio di lire mille e le presentiamo inoltre un avvenire. Naturalmente la cambiale è in nostre mani e sarà rinnovata alla scadenza fino a che a lei non piaccia di pagarla... e basta così. Marliani strinse le labbra. - Dal canto suo lei dovrà informarsi alle nostre istruzioni. Prima di tutto ella dovrà sempre andar vestito all'ultima moda, come si conviene al gerente della ditta Marliani e C., che avrà depositato un capitale di trentamila lire presso la Banca. In secondo luogo è necessario che ella cominci a mettersi in buona vista presso i negozianti e presso i banchieri; e che non dia menomamente a supporre di conoscerci e di essere nostro socio, giacchè siccome, glielo dico francamente, noi tutti qui, qual più, qual meno siamo rimasti sotto a delle disgrazie, così è bene che alla Camera di Commercio e in piazza non si sospettino legami fra noi. - Ma - osservò Marliani - il contratto sottoscritto poc'anzi non deve essere noto? - No signore; questo sarà un contratto inter nos per garantire i nostri reciproci diritti e doveri in caso di contestazioni che speriamo non abbiano a sorgere mai. Per la Camera di Commercio v'è un'altra modula a cui penseremo più tardi; del resto lei deve persuadersi che adesso per fare e per ottenere tutto a questo mondo non c'è che l'apparenza. Per l'apparenza dunque le ripeto, ella ha bisogno di vestirai molto bene, di frequentare le migliori società, e se è possibile, di farsi credere conte, o per lo meno nobile. Marliani è un bel nome. Faccia stampare dei biglietti di visita colla corona di conte. Conte... il suo nome di battesimo è? - Filippo. - Conte Filippo Marliani andrebbe a maraviglia. - Le faccio osservare che io sono già molto conosciuto a Milano. - Bene, abbandoniamo la contea e lasciamo supporre che lei abbia fatta una vincita in lotto. - Ma io non mi presterò mai a gabbare il mondo così - disse il Marliani. - Lei non deve che lasciarlo credere - saltò su la Bibiana. - Ci penseremo noi a propalare la notizia come si deve. Lei non dovrà far altro che dissimulare e non dire di no. Questo è facile. - Manco male! - biascicò il Marliani che di transazione in transazione si lasciava persuadere a diventar un fior di briccone. - Fra quindici giorni esporremo la ditta al pubblico e cominceremo gli affari. Intanto dirameremo al commercio le circolari e scriveremo le lettere firmate da lei a tutti i corrispondenti. Il locale della ditta è già preso. È in via Valpetrosa. Se crede adesso possiamo andarvi insieme a vederlo. Su questo invito della signora Bibiana la congrega si sciolse e Marliani, colla grassona, entrarono in un brougham e a cortine calate si fecero portar in via Valpetrosa. Esaminato il locale, il Marliani corse difilato a pagar il suo debito di giuoco col biglietto da mille, per avere il quale aveva venduta la coscienza di galantuomo.

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UGO. SCENE DEL SECOLO X - PARTE PRIMA

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Bazzero, Ambrogio 2 occorrenze

Vi è un signore potente, non lontano di qui, il quale abbisogni di scuri per apparecchiare le travi alle macchine di guerra? C'è forse quel signore? E come si chiama?» Oh lo strazio di quella simulazione! A questo punto gli accenti divengono procellosi, - Hai saputo dunque d'Adalberto? di mio padre! - Adalberto è vinto: Oberto è vincitore: Ildebrandino è morto. - Morto? - così domandando, Imilda rompe in uno scoppio di pianto. - Di altri non seppi. So che il mio tormento è grande, e tu piangi. E so che Oberto.... - Ugo ripete astiosamente, quasi aizzato dalle memorie: - Oberto! - Ebbene? - Rizzi il capo a sentire il nome di colui? Oberto è nel mio castello.... signore potentissimo! - Ed Ugo è straziato dalle sante lagrime d'Imilda: - E la sposa? mi domandai. Non ha sposa. O Imilda, s'io non ero il tuo dimonio, tu ora saresti madonna di grande stato, moglie di Oberto, in belle sale, fra gentile corteo di damigelle. Ma sei qui, con me!... Perche ho valicato oggi il Chiusone? - e con forza gioiosa: - Ugo ritorna in me! - Ugo! - rimprovera solennemente la donna:. - Dovevi lasciarmi nel fuoco quel giorno! Non avrei oggi ascoltato questo!... Ugo!... Mio padre! - Questo ti grava? - minaccia tristamente Ugo: poi sogghignando: - E sei serbata ad ascoltare di più! Sappi dunque: che i traditori giungono dappertutto: e Bonello che un dì fu pagato da Adalberto contro di me, contro di noi può essere pagato da Oberto.... - Oh quel valente, no! Voi che dite così non siete cavaliere! - Imilda pavida e sdegnosa dell'immenso pericolo ribatte il dubbio col cuore: - No, no, Ugo! E a quest'altro punto la procella si scatena tremenda, e Ugo si percuote il petto, si rizza furiosissimo, immenso nell'amore e nell'odio. Imilda si spaventa, e più è spaventata, più subisce il fascino di lui. - Ma sono padre!... Perché ho valicato il Chiusone?... Vedete quella cuna? Che c'è, che c'è, Dio mio, nel destino perchè la maledizione debba pesare su quella creatura? e su voi? Tormenta me, se godi di questa atroce potenza: io faccio sacramento di rendere un giorno agli uomini quello che essi mi hanno fatto, col furore addoppiante della vendetta! Ma una donna, una bimba! Ad esse fu dato il cuore per amare, non per odiare! - Ugo, tu bestemmii! Senti: castigo d'Iddio! il vento vuol sfasciare la capanna! O Signore, la mia cuna! - Non temere! Il tristo dono della vita non si ritoglie mai a tempo. Gioisci? Muori. Ti strazii? La morte invocata non VIENE. Tutto è martirio! - Ugo! Ugo, tu piangi? - Se Bonello venisse quassù? - Tu hai la scure: io so pregare Iddio. - Tu non temi l'ira del cielo, perché tu sai che in cielo Dio è l'amore: io temo quella degli uomini, perché in terra Dio è l'oro! - Ti dissi io: «Ugo, fuggiamo! I boscaiuoli già sono tutti al piano: qui temo la bufera, la valanga, la morte» ti dissi? - Ed io devo supplicarti: fuggiamo! Oggi lo seppi, sì; fu scoperto che noi siamo quassù: fu giurato il nostro martirio, lo scempio della tua creaturina, il tuo vitupero, la mia prigionia! Bonello, forse domani, o solo col tradimento, o violentissimo con cento armati, verrà su queste cime, a guadagnare la taglia! Io ho udito il bando e la promessa in oggi stesso! Fuggiamo, Imilda! Imilda è già soggiogata, non si lamenta, non si dibatte, non si stringe ad Ugo, non prega Dio, ma solo geme col sospiro più profondo: - E la nostra poverina? Quel sospiro soffia in un grande inferno: perché Ugo bestemmia: - Sempre un rimorso nella mia preghiera! Ma Imilda se lo stringe a sè. Quando il boscaiuolo era entrato nella capanna era Silverio, ora il cavaliero era Ugo. Con Silverio Imilda amava la pace, con Ugo adorava il passato, il presente, l'avvenire. - No, Ugo! Io ti seguii! Non ti seguii: ma ti volli, ti trascinai, ti inebbriai! Oh com'era il tuo amore? Ch'io non ti abbia poi conosciuto mai in tanti mesi? Che tu non sii forte come me? - Imilda! - Come sarà il tuo amore? - Sarà come adesso! Ardente, santo, santissimo, pronto a tutto!

Solamente il giorno prima, quando aveva passato celeremente il Chiusone, spinto da un sogno inquieto che aveva fatto, quando aveva chiesto: - C'è forse un signore potente, il quale abbisogni di braccia per apparecchiare le travi alle macchine di guerra? - aveva saputo che Adalberto s'armava. Aveva sfuggito ogni casa, pure aveva chiesto, tormentosamente simulando, ad alcuni valligiani le novelle della sua rocca e di quella di Imilda, ma, ingozzandole amare, nulla più aveva potuto né chiedere troppo attento, né ascoltare da quei disattenti. Solo per caso udì, sul piazzaletto di una tavernaccia, un ribaldo bandire una nuova taglia di sei in sei mesi sulla testa di Ugo, per comando di Oberto, promettendo i tre mucchietti d'oro di prammatica. La gente quasi rideva. Ugo? Andatelo a prendere! Dove sarà? Solo il banditore aveva detto: - Bonello ci penserà: sa tutto: domani Bonello giura che guadagna la taglia. Ai monti! - e tant'altre cose. - Ugo era fuggito, aveva rivalicato il Chiusone, s'arrampicava alla capanna. Adalberto s'armava ancora? Contro chi? Certo contro i vassalli ancora. Ugo nulla sapeva: quindi quasi domandò a se stesso: - Alzor? il saraceno? Come? Egli già qui? E l'uomo alla cappelletta: - Mi difesi! Ho sette ferite! All'ultimo m'ebbi mozza la mano. Venni qui a seppellirla in luogo consacrato. Laggiù in oggi ogni misfatto è permesso: è divenuta terra di saracini la nostra. Perché siete fuggito voi, ieri, al momento del supremo pericolo? E la donna: - Fuggite nella valle del Chiusone! Fuggite, se avete un bambino, e se quello è ancora vivo tra le vostre braccia. Io fui madre! Ugo ridomanda: - Ma come? E l'uomo: - Che giorno d'estrema ruina! Ma il sire di Saluzzo e quello di Susa resisteranno ancora! Io sarò con essi! Donna, lasciami! Io voglio essere con essi! E la donna: - O Signore, perchè non mi avete uccisa insieme al mio bambino? Ugo, ancora chiedendo: - Ma come? - e non avendo risposta da quegli impazzati dal dolore, che continuavano a crederlo un fuggitivo, Ugo muove il passo innanzi, dicendo: - V'è battaglia dunque? E l'uomo: - Alzor ci piombò con un lancio da liopardo! O Signore nostro Jesù, per la fede sacratissima del tuo vangelo, ti supplico, ti supplichiamo! Ora ti veggo, o montanaro. Sei pronto tu? Ma non hai la scure neanche tu? Su, istessamente: adopreremo scheggioni di rupi! Su! su, su, tutti alla riscossa, da Susa con messer Oberto capitano e con Adalberto! - e l'uomo si alzò, barcollando. - Oberto? Adalberto? Ancora sono vivi? Non li straziò oggi il saracino? - imprecò terribilmente Ugo. - La Iddio mercè, tanta sventura non è ancora avvenuta! - lamentò l'uomo, e fraintendendolo, s'accese nel furore di Ugo: - Da Susa a Saluzzo cogli altri migliori duci, Taizzone, Agobardo, Fulberto, insomma da Susa a Saluzzo si vuol resistere, per la gloria di Maria santissima! Su, su, su! Una spada!... Se non avessi mozza la destra! Se non avessi la donna che mi trascina alla viltà! E la donna: - Non eravamo rassegnati a morire qui? - E Oberto, Adalberto? - ridomanda Ugo potentemente. E l'uomo: - Sapranno resistere! Oh se sapranno!... - e dopo una tremenda pausa: - Se pure un traditore non schiude al saracino i passi delle valli, girando dietro l'alpi e abbattendo ad una ad una le castella vassalle a quei valorosi! - Ah! - geme Ugo con suono ineffabile. L'uomo si caccia a piangere, lasciandosi andar giù sul terreno fino ad insozzarsi di mota la fronte. Ugo fatale invidia quella posizione di massimo avvilimento, ma i suoi muscoli s'inturgidano, la persona si leva audace: egli è invaso da un tremito spaventoso e inciocca i denti pel ribrezzo della febbre. Succede un momento di terribile ansia. Poi Ugo, guardando giù, oltre la valle, quei fuochi di guerra, interroga cupamente: - Messere, o barone o boscaiuolo, che cercate voi? - Io la vendetta! - esulta l'uomo e rizza la testa. - E la vorreste? - A qualunque costo! - ma l'uomo ricade agonizzando. Ed Ugo con spasimo satanico di gioia: - Sono straziato io più di voi! Io voglio la vendetta, a qualunque costo! Diceste che laggiù in oggi è terra di pagani ed ogni misfatto è permesso? Vi auguro di morire! Morite, qui, subito! Non ascolterete l'atrocissimo delitto! Ugo precipita dalla montagna, e alla bambina famelica dà a suggere le proprie labbra lorde di sangue e di bava....

IL Santo

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Fogazzaro, Antonio 1 occorrenze

Il morente si raccolse alcuni istanti, rispose: "Siate poveri, vivete da poveri, siate perfetti, non compiacetevi né di titoli né di vesti di onore, non dell'autorità personale né dell'autorità collettiva, amate coloro che vi odiano, astenetevi dalle parti, pacificate nel nome di Dio, non accettate uffici civili, non tiranneggiate le anime né vogliate governarle troppo, non fate culture artificiali di sacerdoti, pregate Dio di esser molti ma non temete di esser pochi; non crediate che vi abbisogni molta scienza umana, solo vi abbisogna molto rispetto per la ragione e molta fede nella Verità universale e inscindibile." Ultima si avvicinò Maria Selva. S'inginocchiò a due passi dal letto. L'infermo le sorrise, le fe' cenno di alzarsi. "La ho già benedetta in Suo marito" diss'egli. "Non li so distinguere. Ella è una parte dell'anima sua. Ella è il suo coraggio, lo sia sempre più nelle ore penose che lo aspettano. E siate insieme la poesia dell'amore cristiano fino all'ultimo. Fermatevi ora qui un poco tutt'e due." La luce venne meno rapidamente nella camera mentre i discepoli uscivano. Si udì il rombo del tuono, la suora andò a chiudere la finestra. Prima guardò nel giardino, esclamò: "poverini!" Benedetto udì, volle sapere, apprese che il giardino formicolava di persone venute per vederlo, che una pioggia tempestosa era imminente. Pregò i Selva di attendere e Mayda di far entrare il popolo. Un calpestio pesante suonò sulla scaletta di legno. La porta si aperse, parecchi popolani entrarono adagio in punta di piedi. In un momento la camera fu piena. Una calca di teste scoperte si affacciava alla porta. Nessuno parlava, tutti guardavano Benedetto, smarriti, riverenti. Benedetto salutò colle due mani, a braccia aperte. "Vi ringrazio" diss'egli. "Pregate come certo a qualcuno di voi ho insegnato. E Dio sia con voi, sempre." Un omone grande gli rispose, tutto rosso: "Noi si pregherà ma Lei non more, sa. Lei non creda sta cosa. Però ce benedica." "Sì, ce benedica" suonò da ogni parte. "Ce benedica." Intanto dalla scaletta venivano voci impazienti di gente che voleva e non poteva salire. Benedetto disse qualche cosa, piano, a don Clemente. Don Clemente ordinò che i presenti sfilassero davanti al letto uscendo poi dalla camera perché potessero sfilare anche gli altri. A uno a uno passarono tutti. Erano genterella del Testaccio, operai, garzoni di negozio, venditrici di frutta, piccoli merciaiuoli, accattoni. Benedetto andava ripetendo di tanto in tanto, con voce stanca, parole di congedo. - Addio. - Pregate per me. - A rivederci in paradiso. - Chi passando davanti lui piegava il ginocchio in silenzio, chi toccava il letto e si faceva il segno della croce, chi gli raccomandava sé o persone care, chi gli diceva benedizioni. Uno gli domandò perdono di aver creduto ai suoi calunniatori. Fu allora una sequela di "anche a me, anche a me." Passò la gobbina di via della Marmorata, cominciò a raccontargli piangendo che il suo vecchio prete si era confessato e avrebbe voluto dirgli tutta la sua gratitudine. Chi seguiva la spinse via ed ella passò per sempre dagli occhi di lui. Tanti così gli passarono davanti l'ultima volta e piangendo si allontanarono da lui per sempre, ch'egli aveva consolati nello spirito e nel corpo. Molti ne riconobbe e salutò col gesto. Quelli giravano via pure girando il volto lagrimoso continuamente a lui. La fila che scendeva sfiorando sulla scaletta la fila che saliva, le antecipava le impressioni della camera dolorosa. - Ah che viso! - Ah che voce! - Dio, muore! - È un angelo di Dio! -Vedrete! - Ci ha il paradiso negli occhi! - E non pochi mormoravano maledizioni agi'infamacci che lo avevano calunniato, non pochi parlavano, fremendo, di veleno e di assassinio. Dio, portato via dai questurini, ritornava così! Un lugubre tuonare continuo e il gran pianto uguale della pioggia coprivano i sussurri pietosi e irosi. Finito di scolare il fiume del popolo, Mayda fece aprire la finestra perché l'aria si era viziata. Benedetto pregò che gli alzassero un poco il capo, desiderando vedere il gran pino inclinato al Celio. La verde livida corona dell'ombrello tagliava obliqua il cielo tempestoso. La guardò a lungo. Riadagiato il capo sul guanciale, accennò a don Clemente di piegarsi verso di lui, gli disse, quasi all'orecchio: "Sa, quando mi hanno portato qua dalla villa, ho sentito un fortissimo impulso a pregare che mi portassero sotto il pino che si vede dalla finestra, per morire lì. Ma ho anche pensato subito ch'era una cosa troppo voluta, e che non era buona. E poi - soggiunse sorridendo - sarebbe sempre mancato l'abito." Un lieve moto delle labbra di don Clemente gli rivelò ch'egli aveva recato l'abito con sé da Subiaco. N'ebbe un assalto di commozione intensa. Giunte le mani, stette in silenzio fino a che durò la lotta interna fra il desiderio che la Visione si compiesse e la coscienza che non si sarebbe compiuta naturalmente. Si raccolse in un atto di abbandono alla Divina Volontà. "Il Signore vuole che io muoia qui" diss'egli. "Però mi permette di avere almeno l'abito sul letto prima di morire." Don Clemente si chinò sopra di lui e lo baciò in fronte. Intanto i Selva attendevano in disparte. Benedetto li chiamò a sé, disse loro che avrebbe ricevuto la signora Dessalle fra mezz'ora, ma che la pregava di non venire sola. Poteva venire con loro. Insieme ai Selva uscì anche Mayda. La suora dormicchiava. Allora Benedetto pregò don Clemente di recarsi poi dal Pontefice, di dirgli come la fine della Visione non si fosse avverata, come quindi tutto l'apparente miracoloso della sua Vita svanisse, come finalmente egli avesse sentita con grande dolcezza, prima di morire, la benedizione del Papa. "E gli dica" finì "che spero di poter parlare ancora nel suo cuore." L'ambascia era diminuita ma la voce si affiochiva, le forze venivano mancando colla febbre. Don Clemente gli prese e tenne a lungo il polso. Poi si alzò. "Lei va a prendere l'abito?" mormorò Benedetto con un sorriso dolcissimo. Il bel viso del Padre si coperse di rossore. Egli vinse presto il sentimento umano che gli consigliava di simulare, e rispose: "Sì, caro. Credo che sia il tempo." "Che ore sono?" "Le cinque e mezzo." "Lei crede alle sette? Alle otto?" "No, non così presto, ma desidero che tu abbia questa consolazione subito." In un salottino della villa, Giovanni Selva, guardato l'orologio, disse a sua moglie: "Andate." L'intelligenza era che con Jeanne andassero da Benedetto Maria e Noemi. Questa stese le mani a suo cognato. "Sai" diss'ella, tutta tremante " vado a dargli una notizia che riguarda l'anima mia. Non ti offendere se la do a lui prima che a te." Jeanne intuì la notizia che Noemi avrebbe portato al morente: la sua prossima conversione al Cattolicismo. Tutta la forza ch'ell'aveva raccolto in sé per il momento supremo l'abbandonò. Abbracciò Noemi e scoppiò in lagrime. I Selva le fecero animo, ingannandosi circa quel pianto. Ella pregò, fra i singhiozzi, che andassero, che andassero; a lei era impossibile di venire. Noemi sola intese. Jeanne non voleva venire perché aveva indovinato e non poteva fare quanto avrebbe fatto lei. La supplicò, la scongiurò, le mormorò tenendola abbracciata: "perché non cedi, in questo momento?" Jeanne rispose solamente, singhiozzando: "Oh tu mi capisci!" E perché Noemi protestava di non voler più andare, la supplicò alla sua volta di andare, di andare subito, di non tardare a dargli questa consolazione. Ella non poteva, non poteva, non poteva! Non ci fu verso di smuoverla. Un domestico venne a chiamare Selva. Maria e Noemi uscirono. Rimasta sola, Jeanne ebbe un momento l'idea di raggiungerle, di arrendersi, di andargli a dire ella pure una parola di gioia. Cadde ginocchioni, stese le braccia, quasi a lui che le stesse davanti, singhiozzò: "caro, caro, come ti potrei ingannare?" Aveva lottato più volte col proprio scetticismo imperioso e sempre invano. Uno slancio di dedizione alla fede, lo sapeva, non sarebbe stato durevole. "Perché non mi vuoi sola?" gemette ancora, sempre ginocchioni. "Perché non mi vuoi sola? Perché le coscienze pie non si offendano? Perché la mia disperazione non ti turbi? Perché non mi vuoi sola? Posso io dire davanti a loro quello che ho dentro di me? Tu che sei buono come il tuo Signore Gesù, perché non mi vuoi sola? Oh!" Ella scattò in piedi, convinta che se Piero la udisse risponderebbe "sì, vieni." Stette un attimo come impietrata, colle mani alle tempie; e mosse poi lentamente, simile a una sonnambula, uscì del salotto, attraversò il vestibolo, scese in giardino. Pioveva tanto dirottamente, il cielo, corso tuttora di tempo in tempo dal tuono, era tanto fosco che prima delle sei, quella sera di febbraio, pareva già quasi notte. Jeanne entrò come stava, a capo scoperto, nella pioggia fitta e fredda, prese, senz'affrettar il passo, non il viale degli aranci a destra ma il sentiero che scende a sinistra fra due righe di grandi agavi a un boschetto di lauri, di cipressi e di ulivi cui si aggrappano rose. Passò dal gran pino che guarda il Celio e girando al basso verso destra per un lungo arco di via, si condusse alla fonte che un avello antico raccoglie nel pendìo ripido fra una cintura di mirti, pochi passi più giù che la casina del giardiniere. Ivi si fermò. Una finestra della casina luceva; certo la finestra di Piero. Vi passò un'ombra; forse Noemi!Jeanne sedette sull'orlo marmoreo della vasca. Era possibile di affogare lì dentro? Avrebbe cercato di morire se non ci fosse Carlino? Pensieri vani; non vi si trattenne. Attese, attese, sotto la pioggia fredda, con gli occhi e l'anima fermi alla finestra lucente. Altre ombre. Partono, adesso? Sì, forse partono Maria e Noemi ma non lasceranno Piero solo. Ci sarà Mayda, ci sarà il benedettino, ci sarà la suora. Ebbene, ella tenterà. Un passo frettoloso nel viale degli aranci; qualcuno che si avvia alla casina. Jeanne, che si era alzata, torna a sedere. Ecco, quell'ignoto è entrato. Movimento di ombre alla finestra. Due persone escono parlando vivacemente; le voci del professore e di Giovanni Selva. Pare che parlino di qualcuno venuto a prendere notizie. Altre persone escono, l'acqua delle grondaie mormora sugli ombrelli. Devono esser loro, Maria e Noemi. Jeanne si alza da capo, si avvia. Passa l'uscio della casina, vede gente nella cucina del giardiniere, prega una ragazza di salire a vedere presso l'ammalato, chi ci sta. Quella esita, cerca schermirsi, ma poi va, scende subito. Ci stanno il prete e la suora. Jeanne domanda un po' di carta, una matita, un lume. Comincia a scrivere: "Padre - Mi rivolgo ..." S'interrompe, sta in ascolto. Qualcuno scende la scaletta di legno. Un passo d'uomo; dunque il Padre. Allora gli parlerà. Butta via la matita, gli va incontro sulla scaletta. È scuro, don Clemente la scambia per Maria Selva. "È quieto" dice, prima ch'ell'apra bocca. "Pare che dorma. Gli ha fatto tanto bene quello che Sua sorella gli ha detto. Il professore crede che passerà la notte. Faccia venire anche l'altra signora. L'ha domandata. Credevo che fossero andate a prenderla." Jeanne tace, si fa da banda. Egli dice "permesso" e passa senza guardarla, va in cucina per avere un po' di pane e un po' d'acqua, digiuno com'è dalla sera precedente. Jeanne trema come una foglia. Egli l'ha domandata! Queste parole, il favore del caso le danno le vertigini. Sale piano piano, spinge l'uscio piano piano. La suora la vede, fa per alzarsi. Ella le accenna, col dito alla bocca, di non si muovere, si accosta piano piano al letto, vede una lunga cosa nera distesa sulle coltri, si arresta esterrefatta, non comprende. Ode un lievissimo gemito. Il giacente alza la mano destra con un gesto vago, come se cercasse qualche cosa. La suora si alza ma Jeanne, più pronta, è di slancio al guanciale, si china su Piero che ha ripreso a gemere, ad agitar la mano. Jeanne lo interroga affannosa, egli non risponde, geme, guarda qualche cosa accanto al letto e Jeanne offre un bicchiere d'acqua, gli vede scotere il capo, si dispera di non capire. Ah, il Crocifisso, il Crocifisso! La suora alza il lume da terra, Jeanne porge il Crocifisso a Piero che gli affligge le labbra e la guarda, la guarda con gli occhi grandi, vitrei, dov'è la morte. La suora getta un grido, corre a chiamare il Padre. Piero guarda Jeanne, guarda Jeanne, si sforza di prendere il Crocifisso a due mani, di alzarlo verso lei, le sue labbra si agitano, si agitano, non ne esce suono. Jeanne si raccoglie nelle proprie le mani di Piero, bacia il Crocifisso di un bacio appassionato. Egli chiude allora gli occhi, il suo volto s'irradia di un sorriso, si piega un poco sulla spalla destra, non si move più. FINE.

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