Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il Galateo

180971
Brunella Gasperini 6 occorrenze
  • 1912
  • Baldini e Castoldi s.r.l.
  • Milano
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I ballerini d'ambo i sessi, sia in locali pubblici sia in case di amici, abbiano poi la compiacenza di: - non fumare ballando; - non masticare gomma; - non sgranocchiare caramelle, cra cra cra, nell'orecchio del partner; - non mangiare aglio, almeno quel giorno; - fare uso abbondante di dental spray e deodoranti, grazie.

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È morto da anni, e speriamo che nel paradiso dei cani gli abbiano assegnato un'automobile. Non lasciate mai il cane nella macchina chiusa al sole: poiché non suda, starà malissimo, avrà crisi di asfissia, e al vostro ritorno potreste trovarlo morto o in agonia. Ricordatevene: prima di lasciarlo, aprite i finestrini di pochi millimetri, gli basterà per respirare. Il gatto. Passeggero molto più difficile del cane, raramente si abitua all'automobile. Se lo lasciate libero nell'abitacolo, balza follemente di qua e di là in cerca di scampo, miagolando cavernosamente, graffiando sedili e gambe, ed è capace di continuare così per tutto il viaggio. Se lo si mette al guinzaglio si spaventa ancora di più, sbava, si aggroviglia, si strozza, ulula, fa impazzire tutti. Se avete questo tipo di gatto (largamente il più diffuso) è meglio metterlo in un cestino o nelle apposite scatole bucate, dove beninteso miagolerà orribilmente per tutto il tempo, ma almeno starà fermo e non metterà in pericolo la sopravvivenza vostra e sua; dentro il cestino (che deve avere chiusure solidissime, essendo il gatto uno scassinatore provetto) mettete un tappetino di cerata e di plastica, perché il gatto rinchiuso spesso vomita l'anima sua: forse per paura, forse per vendetta.

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Non fumate prima che i vostri compagni di tavolo abbiano finito di mangiare. Non discutete il conto. Vagone letto. Prenotate con anticipo. Se siete in cabina singola, non vogliamo sapere quel che ci fate. Se siete in cabina doppia, cedete spontaneamente alla persona più anziana la cuccetta inferiore, più comoda. Spogliatevi e lavatevi senza reciproco spettacolo ma senza esagerati pudori. Se non riuscite a dormire, pazienza: leggete (ovviamente con la lucina piccola a capo della cuccetta), contate le pecore, fate le parole incrociate, ma non continuate a rivoltarvi, a scendere e salire, a muovervi a tentoni nella cabina, a gemere. Non chiamate lo steward durante la notte. Vorrei dirvi: non russate. Ma si sa com'è.

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Eppure chi è portato a osservare il comportamento dei suoi simili scopre che ci sono molte persone, anche tra la gente abusivamente chiamata «bene», cui un semplice buongiorno o un cenno della testa sembra costare moltissimo: quasi che abbiano paura, salutando, di sprecarsi, di sminuirsi. Questa è gente che non ha capito niente. Il saluto oggi non è una forma di omaggio, o di servilismo, o di confidenza: è semplicemente una forma elementare di civiltà. Quindi il non salutare, o salutare gelidamente o con riluttanza, non è segno di riservatezza e distinzione, bensì di brutto carattere, diffidenza, timidezza patologica o altri poco eleganti «disturbi dell'inconscio». Ma non dovrebbe esserci bisogno dello psicanalista anche per imparare a salutare.

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In genere comunque gli invitati dovrebbero capire, in base al buonsenso che si spera abbiano, quando è il momento di andarsene, e in che modo. Guai a chi dice frasi tipo «tolgo il disturbo», «non voglio tediarvi oltre», «la compagnia è bella, ma...». Guai! Dite semplicemente: «S'è fatto tardi, devo andare». I commiati non devono essere precipitosi, ma neanche devono essere tirati a lungo. Un tipo di nostra conoscenza mise in anticamera un quadro con la scritta Saluti brevi: non imitatelo (se è una battuta è fiacca, se è un ordine è scortese) ma ricordatevene.

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Pare che gli imbucati abbiano un fiuto speciale: sentono l'odore di un party a miglia di distanza. Forse esiste una specie di tam-tam clandestino, chissà. I padroni di casa, trovandosi lì uno o più tizi mai visti né conosciuti, in genere prendono sulle prime un'aria interdetta. E subito l'imbucato, con bellissima faccia tosta (tutti gli imbucati ne hanno) dice allegramente: «Come sta, signora? Sono Gigi Torre, non si ricorda? Amico di Pippo Milesi, quello dell'Agenzia Grafica Monzese, ha presente?» La signora non conosce nessun Torre, nessun Milesi, nessuna Agenzia Grafica Monzese, ma l'imbucato ha l'aria così sicura, la signora invece non è sicura affatto della sua memoria, così tende la mano con un sorriso tra incerto e colpevole: «Buonasera, signor Torre... posso darle qualcosa da bere?» E mai saprà, forse, se quel tipo era un imbucato o uno di cui lei s'è dimenticata. La generale mancanza di memoria favorisce la proliferazione degli imbucati. Comunque, anche se i padroni di casa hanno ottima memoria e sanno di non aver mai conosciuto, e sicuramente mai invitato, questo Torre o questo Milesi, non diranno ovviamente: «Ma lei chi la conosce, chi l'ha invitato? Esca immediatamente da questa casa, se ne vada, sciò!» Diranno semplicemente: «Buonasera» e se vogliono punire l'imbucato si limiteranno tuttalpiù a non presentarlo personalmente agli invitati. Tanto, l'imbucato si presenterà a tutti da solo, converserà senza sosta, mangerà come un lupo, berrà come una spugna, tutto con la massima disinvoltura e impudenza: capace di diventare, entro mezz'ora, il re della festa. Con o senza il permesso degli anfitrioni. Gli invitati degli invitati. Un invitato civile, se non è intimissimo, non chiede: «Posso portare un paio di amici?» Né, peggio, li porta senza permesso, creando così la figura a volte patetica dell'imbucato involontario: quello che è stato trascinato lì quasi con la forza da altri amici (invitati, o magari loro stessi imbucati), che gli han detto: «Ma su, ma vieni, ma di cos'hai paura, lì entra chi vuole...» E il poveretto che magari è timido e schivo, ci ha creduto; e adesso, sballottato in una folla di sconosciuti, mollato dagli amici che l'han portato lì, guardato con occhio freddo dai padroni di casa, si aspetta che da un momento all'altro qualcuno gli punti contro il dito dicendo: «Lei cosa fa qui? Pussa via!» E desidera acutamente di essere al centro della terra, su una zattera nell'oceano, ma non lì. La padrona di casa disponibile (la signora moderna deve esserlo) intuirà il suo dramma e verrà in soccorso del tapino portandolo allegramente dai suoi sogni di fuga alla realtà delle tartine e del whisky.

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Le buone usanze

195704
Gina Sobrero 10 occorrenze
  • 1912
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Abbiano cura di non contraddire mai i superiori, e di non fare loro osservazioni davanti ai bambini; a tavola essi hanno diritto al posto d'onore, e nei giorni di ricevimento tocca ai genitori di farsi perdonare, con una cortese parola di scusa, la necessità che li costringe ad allontanarli. Una signora, che esce colla istitutrice delle figliuole, deve presentarla alle conoscenze che incontra; essa è una persona associata alla parte più intima, più elevata della nostra vita, di virtù e di intelligenza superiori, a cui ella affida la più importante e delicata missione; le mostri dunque tutta la deferenza e la stima possibile. Sia molto delicata nel darle il suo stipendio, lo accompagni con una parola di ringraziamento, di incoraggiamento; nei doni cerchi di mostrare l'intenzione di tornarle utile e di farle cosa gradita. Non la congedi, quando arrivano visite; se la istitutrice è una persona molto educata, saprà essa stessa quando deve ritirarsi, dove e quando le occorra tacere, ma non le faccia sentire che è una intrusa nella famiglia; queste piccole attenzioni riescono a rendere meno triste la vita delle poco felici signore. Ai maestri si mandano biglietti d'augurio o di condoglianza nelle circostanze liete o dolorose; conoscendoli bisognosi, si aiutano come si può, sempre con delicatezza, ma non bisogna parlare davanti ai bambini, perchè questi qualche volta sono crudeli nella loro ingenuità e distruggono con una parola il merito di un generoso benefizio.

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Abbiano i còmpiti fatti in ordine, con grazia, abbiano cura di presentarsi in iscuola puliti negli abiti e nelle persone; capisco, è più dovere delle mamme che del bambini, ma se questi fino dai primi giorni in cui cominciano gli studi, si fanno un'idea giusta ed elevata della scuola, dell'importanza dei maestri, del rispetto che loro debbono, useranno verso questi gli stessi riguardi che userebbero in un tempio e verso un sovrano. Non ho mai capito quelle mamme che dicono di un abito dei loro figli: - Questo é sdruscito, servirà per la scuola! - Niente affatto! Sia pur di cotone l'abito, ma senza macchie, decente; siamo in tempi in cui la prima autorità riconosciuta è quella dell'ingegno, e il maestro, che per la sua posizione prova di possedere questa superiorità, ha diritto a tutto il rispetto dei suoi allievi. Nella scuola ci sono i compagni, e un fanciullo ben educato dove a questi gli stessi riguardi che egli ha verso i fratelli e le sorelle: protezioni verso i piu piccoli e una certa deferenza ai maggiori. Se la natura gli ha dato l'inapprezzabile dono d'una bella intelligenza, è fuori posto che prenda delle arie di superiorità coi compagni meno favoriti da natura, come è insopportabile vedere questi ultimi farsi umili e servili verso i piccoli trionfatori. Molti fanciulli hanno un orribile vizio: spiare i compagni e riferirne le poco lodevoli azioni ai maestri; per sistema io punirei sempre l'accusatore prima dell'accusato. Ha base in questo difetto infantile il mal vezzo del pettegoleggiare, che è in rovina della società. È assai di cattivo gusto l'abitudine che hanno bimbi e fanciullette di contare a scuola le ricchezze, la nobiltà delle loro famiglie; nella scuola si è tutti uguali; la sola aristocrazia, il solo bene valevole è il merito personale. In alcune scuole è in uso far regali ai maestri; cattiva abitudine che impone sacrifizi e mortificazioni ai meno ricchi; capisco che a questo dovrebbero provvedere piuttosto i superiori, ma un bimbo finemente educato, piuttosto che imporre un sacrifizio ai suoi genitori, abbia la forza di dire: non posso; si risparmierà così per l'avvenire un mondo di guai che nascono appunto dal non aver il coraggio di confessare la propria posizione anche modesta, il che crea tanti spostati e tanti infelici. Anche verso gli inservienti delle scuole hanno doveri i fanciulli; essi debbono ricordarsi sempre che quanto più in alto ci ha collocati la sorte, tanto maggiormente ci si impone l'obbligo di cortesia e di compiacenza. Non spetta a loro dare ordini, ma costretti a farlo, l'accompagnino sempre con una parola buona; non perdono affatto della loro dignità e sovente con un: per favore, con un: grazie, detti a tempo, si cattivano un'anima degna di affetto e di simpatia. E questo non solamente a scuola, ma anche in casa dove vanno puniti severamente i fanciulli che tiranneggiano i servi, ne spiano gli atti, rendono più misera la vita di quelli che solo un capriccio del caso ha condannato a servirli. Infine il bimbo deve imparare fino dai suoi primi giorni a non dar noia a chi gli sta vicino per necessità o per amore; si trastulli, salti, giuochi, corra, ma pensi che i suoi piccoli fratelli, i suoi piccoli amici, hanno come lui diritto a trastullarsi, correre, saltare; scherzi, canti, rida, ma impari a moderare la sua voce, perchè questa può recar noia al babbo, alla mamma, ai vicini; giuochi pure col gatto, coll' uccelletto, col grillo, ma sappia che i piccoli animali hanno un essere che sente e soffre e ne impari a rispettare il diritto alla vita, alla difesa contro il dolore; impari subito il coraggio delle proprie colpe, l'orrore d'ogni più lieve menzogna: gli si insegni fino dai giorni del grembiulino, dei calzoni corti a vivere per spargere intorno a sè della gioia, della simpatia, che sono appunto lo scopo delle semplici massime che andiamo compilando in questo volume.

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Dei matrimoni delle vedove ho già parlato; tuttavia le norme che devono regolarli si possono riassumere in questa frase: non abbiano pompa. Una vedova e un vedovo che hanno contratto seconde nozze, hanno verso i figli del compagno gli stessi doveri che verso i propri, anzi forse maggiori; quei fanciulli hanno già sofferto, sebbene forse ancora incoscienti, la maggiore delle sventure, ed un'anima fine non iscorda la triste circostanza. Manca assolutamente di riguardo il vedovo o la vedova che ha contratto nuovi legami, se al primo leggero urto ricorda la virtù ed i meriti del defunto o della defunta: se nutriva un così tenero affetto, doveva rimanervi fedele, e non ha il diritto di affliggere il nuovo coniuge coll'evocazione continua di quel pallido spettro. Parlando del defunto una vedova rimaritata non dice più: mio marito, ma lo chiama col suo nome o col titolo; sui biglietti da visita mette il nome di fanciulla ed il nuovo che ha accettato. Un vedovo non offre alla donna di cui ha ottenuto la mano, i doni che hanno appartenuto alla prima moglie; se si tratta di gioielli, li fa smontare e rimontare con una nuova disposizione. Se ha figli, ne sono essi i possessori, e quindi non è delicato darli, come in usufrutto, alla loro matrigna. Ora è in uso che una vedova riprenda il suo nome di fanciulla; non so proprio approvarla, e se ha figli mi pare che essa manchi di riguardo, a loro e alla memoria del marito. Ho osservato, forse malignamente, che commettono questa sconvenienza, specialmente le signore che maritandosi perdettero il diritto al titolo nobiliare della famiglia d'origine. Evidentemente è un uso creato dalla pura vanità, quindi sconsigliabile.

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Non si scrive mai una cartolina ad un superiore, nè ad una persona colla quale si abbiano semplici relazioni di società; un uomo non lo scrive mai ad una signora. La cartolina deve contenere in breve l'oggetto, che interessa, non vi si mettono frasi d'affetto, non vi si trattano questioni che possano compromettere chi la riceve; siffatte missive passano per cento mani prima di giungere a destinazione, in ogni frase che scriviamo è un lembo della nostra anima, ed a chiunque sente finemente, non può far piacere il sapersi in balìa degli indifferenti. Si può scrivere una cartolina ad un negoziante per dargli una ordinazione, ad un servo per annunziare il nostro arrivo: ma in complesso essa è un mezzo troppo economico, ed occupa tra i vari generi di lettere il posto che occupa la tranvia tra i veicoli: mezzo di locomozione che tutti abbiamo adottato per economia e comodità, ma di cui non si servirà mai una gran dama che ha la fortuna di possedere una vettura propria. Il telegramma è una lettera nervosa che dobbiamo usare il meno possibile per non far sentire agli altri le conseguenze dei nostri nervi. I telegrammi devono essere scritti con chiarezza quando si consegnano all'impiegato telegrafico e debbono rappresentare esattamente il nostro pensiero, per non costringere chi li riceve a torturarsi il cervello nell'interpretazione. I baci, le carezze, le espressioni troppo affettuose non debbono trovar luogo in un telegramma per la ragione che ho detto prima. Bisogna aver riguardo di spedirli in ore tali da non suscitare inutilmente in chi li riceve spavento od emozioni. Questo naturalmente quando non si tratta di casi urgenti.

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Gli uomini si permettono in questo senso molta più libertà; abbiano però riguardo alla vernice che adoperano per la loro calzatura: alle volte è assai poco profumata ed essi debbono sapere che inferiori forse a loro in molte cose, noi donne abbiamo però il senso dell'odorato assai più sviluppato. Per casa è raffinato tenere scarpe speciali; chi non ha la vettura non può trovar piacevole di tenere indosso oggetti che hanno raccolto la polvere della strada, e calpestato i detriti della vita cittadina. Le inglesi, che nella strada vediamo così mostruosamente calzate, in casa portano minuscole scarpette dette slippers, che le fanno parere graziose ed eleganti. Le pantofole sono incompatibili fuori dalla stanza da letto; nè un uomo, nè una donna fine si fanno vedere, nemmeno dalla famiglia, in questa troppo comoda calzatura. Le galoches, o scarpe di gomma per ripararsi dall'umido, sono tollerate, ma niente di più; si lasciano in anticamera e si rimettono all'uscita: sarebbe sconveniente fare con esse una visita.

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I servi in genere non ammettono, per pigrizia, questa mattutina operazione: è bene dunque che la padrona di casa prenda essa stessa l'abitudine, appena alzata, di tirar giù le lenzuola e rialzare i materassi, affinchè sia più facile il rivoltarli; una piccolissima fatica e impedisce che le stanze dove si dorme abbiano quell'odore speciale che chiamiamo appunto poco poeticamente: odor di stanza da letto. Specialmente negli alberghi questa è una cura che non bisogna mai dimenticare, altrimenti corresi il rischio di dormire per quindici notti sullo stesso lato del materasso. I materassi e i cuscini di crine vegetale sono giudicati i più sani, ma sono però poco comodi; vi si può rimediare almeno in parte, con un piccolo cuscino di piume che trova posto nella più piccola valigia e che impedisce di svegliarsi col mal di capo per la durezza del letto di cui il corpo non soffre. Si sono volute introdurre le lenzuola di damasco, di seta, ma sono un lusso ridicolo e sudicio. Le lenzuola vanno mutate almeno una volta per settimana: ora difficile che anche la più grande ricchezza possa far fronte ad una spesa simile; si guarniscano di trine, si ricamino pure, ma siano sempre di tela bianca, che dica col suo candore la frequenza del bucato. Le fodere non si ricamano più nel centro; era infatti poco comoda la ruvidità dell'iniziale sotto la testa: con più ragionevolezza, e da chi non nasconde il letto sotto una coperta bianca o colorata si usano rettangoli guerniti di trine su cui sono ricamate le iniziali della famiglia e che vengono tolti poi alla sera. È innegabile che una buona notte, un placido riposo ci predispongono ad affrontare con maggior filosofia le contrarietà della giornata, mantengono la salute, e sono fonte di bellezza e di buon umore. Sarebbe dunque addirittura trascurata quella donna che non attendesse con tutte le cure a questo mobile della casa, che non procurasse a sè, alla sua famiglia, ed agli ospiti, se ne ha, la maggiore comodità per le ore della notte. Agli ammalati, anche per lieve indisposizione, vanno cambiate lenzuola e fodere tutti i giorni, purchè il medico lo permetta: la nettezza è la prima medicina: non l'avrò ripetuto mai abbastanza. Per conservare la camicia da notte sono assai graziosi quei sacchi in cui la fantasia e l'arte di una signora trovano tanto campo a sbizzarrirsi. È poco pulito far passare il lenzuolo superiore al posto dell'inferiore, è la nostra pelle che, cogli umori che segrega, insudicia la biancheria; ora non so perchè il triste privilegio dovrebbe essere riservato ad un solo dei panni che ci avvolgono durante il riposo. Per aver caldo è meglio servirsi di coperte soffici e leggere; i piedi molto caldi impediscono che nel sonno il sangue si porti alla testa. Bisogna dormire colla testa fuori delle coperte, se vogliamo svegliarci col volto fresco e riposato. Chi, viaggiando in mare o in ferrovia, si corica, perchè deve percorrere lunghi tratti di strada, fa bene a provvedersi di una lunga camicia di flanellina leggera colorata da soprapporre a quella di tela; evita così i reumatismi e si trova pronto e decente per ogni evenienza.

Pagina 150

Si possono menzionare in tal caso fatti che abbiano illustrato la storia navale delle rispettive nazioni; e si termina coll'invito a bere alla prosperità della Marina cui i convitati appartengono, e dei suoi insigni rappresentanti. Bisogna essere molto prudenti nel fare allusioni politiche, e nell'esprimere la speranza di combattere uniti, ecc. Si possono benissimo trovare argomenti di risposta esprimendo, per esempio, il pensiero che rimarrà perpetuo ricordo dei giorni passati in così piacevole compagnia, la gratitudine per l'ospitalità goduta, il piacere di aver visitato una città, ecc. Infine nel marinaio ci deve essere un po' del diplomatico, egli deve mostrare più tatto che un ospite qualunque, che il più cortese dei padroni di casa.

Pagina 163

Per quanto le nostre usanze abbiano fatto del matrimonio un puro atto legale, ci sono ancora le anime fine che dànno ad esso l'importanza di un sacramento. Ora se la fanciulla si prepara, con una settimana di preghiera, alla prima comunione, tanto più severa deve mostrarsi alla preparazione dell'atto che decide di tutta la sua vita. In molti paesi si esige dagli sposi un biglietto del curato della parrocchia, come prova che essi hanno, prima di stringere il nodo solenne, ricevuto l'assoluzione di tutte le loro colpe. Non sono abbastanza formalista per mettere quest'usanza tra le regole fondamentali, ma sono abbastanza pratica per consigliare di non trasgredirla a chi vuole dimostrarsi compìto in tutte le forme della civiltà. Del resto, come ho già detto, una donna senza religione è un fiore senza profumo, un essere incompleto; essa fa supporre un'assenza di sentimenti che agghiaccia chi l'avvicina, e l'assenza del sentimento una prova di deficienza dell'anima; e mi pare che non vi sia momento della vita, in cui ella debba sentire più forte il bisogno dell'aiuto divinoAvvertiamo che questa recisa affermazione dell'egregia Autrice può considerarsi come puramente soggettiva. (Nota degli Edit.) e della propria forza. Molte spose regalano al fidanzato un anello di ricordo, e, semplice o ricchissimo, lo sposo è tenuto, per riguardo alla sua futura donnina, di portare questo simbolo della tenerezza che li lega. Il fidanzato, in qualche paese, regala la cosidetta corbeille, che rappresenta in certo modo il cofano intagliato o intarsiato che i vassalli dell'antico signore offrivano alla sposa. In molti casi si fa chiedere alla fanciulla quali sono gli oggetti che ella preferisce e crede di maggior utilità; se essa è intelligente saprà adattarsi alle circostanze; quindi se è destinata ad una vita mondana, sceglierà le trine, i velluti, i gioielli, mentre se la sua vita futura le si presenta modesta, preferirà gli abiti di lana, le tele, le fiandre, i solidi merletti destinati a rendere semplicemente elegante la sua casa. La sposa dove assolutamente fare buon viso a questo dono che rappresenta, direi quasi, l'accoglienza fatta a lei nella nuova famiglia. Questo dono collettivo varia anch'esso a seconda dei gusti, delle ricchezze della famiglia dello sposo; deve informarsi al genere di avvenire che attende la famigliuola. Se il matrimonio civile è celebrato il giorno prima di quello religioso, la sposa vi indossa un abito da visita elegantissimo, il più elegante che ha, col cappello intonato; sarebbe ridicolo che si vestisse in bianco o avesse un velo invece del leggiadro chiffon di tulle o di trine. Regolarmente la sposa aspetta in casa lo sposo che venga a prenderla, e quindi ella va al municipio scortata o dalla mamma o da una zia, una sorella maggiore; sale la scala al braccio del padre, del fratello o di un vecchio amico e ascolta con attenzione il discorso, che il sindaco o l'assessore incaricato si credono in dovere di esporle; può anche sedersi, la nostra natura moderna, nervosa e delicata, ammette queste debolezze naturali in un momento di emozioni così forti. I fidanzati escono dalla sala del municipio marito e moglie, davanti al mondo, ma la sposa torna a casa dei suoi genitori; fino a che Dio non ha benedetto il suo amore, ella non ha diritto di seguire il suo compagno. Molte spose non vestono nemmeno per la chiesa l'abito bianco, vi portano l'abito da viaggio reso un pò più gaio da un cappellino maggiormente elegante di quello che deve affrontare la polvere della ferrovia. La sposa entra in chiesa come al municipio, dando cioè il braccio al padre o a chi ne fa le veci; quivi pure la seguono i testimoni, i parenti, gli amici; lo sposo dà il braccio alla sorella della sposa, o alla signora che l'accompagna. Quando il matrimonio si fa con pompa, si adotta anche da noi l'uso delle demoiselles d'honneur, che vestono di chiaro e quasi sempre in modo poco dissimile l'una dall'altra. Per il ritorno a casa, dopo la chiesa, la sposa si appoggia al braccio di quegli che oramai, davanti a Dio non meno che davanti agli uomini, le appartiene per la vita. Salgono nella stessa carrozza e, generalmente, vanno a casa della sposa dove è imbandita la colazione o semplicemente offerto un rinfresco o un lunch. Molti però adesso, e fanno benone, rifuggono da tutte queste cerimonie; le due famiglie vanno al municipio e in chiesa tranquillamente, magari a piedi, vi dànno convegno ai testimoni e compiono senza chiasso la doppia funzione. Se ha luogo il pranzo di nozze, lo sposo siede tra le due madri interessate, la sposa tra i padri; ella è servita per la prima, e se ha adottato la moda inglese del famoso wedding cake, gâteau de noces, è lei che lo taglia e ne distribuisce i pezzetti, che devono portar fortuna alle sue amiche. Per la colazione è vestita da viaggio, porta i suoi gioielli a scelta; è una signora, oramai, e le è permesso lo sfoggio dei suoi tesori. Se fa il viaggio di nozze abbia cura di non portarsi un numero straordinario di toilettes e cartoni; dà subito noie al marito, il quale non può a meno di supporre che ella pensa piuttosto alla propria vanità che non alle nuove gioie; che ama solo il suo piacere non tenendo affatto conto dell'incomodo che recano tanti ingombri. Intorno alla convenienza ed alla estensione del viaggio di nozze esistono mille opinioni; io non ne emetto alcuna; consiglio però, se si fa: molto tatto da una parte e dall'altra, se non si vuol renderlo una fatica noiosa anzichè un diletto. La sposa si uniformi molto ai gusti del marito, non si mostri troppo appassionata dei luoghi che vede, ma non rimanga fredda davanti agli entusiasmi di lui per le bellezze naturali od artistiche. A questo punto, la nobile dama che ha avuto la cortesia di consigliarmi nella revisione di questo libriccino, mi dice: "E perchè mai la sposa deve uniformarsi ai gusti del marito? Perchè deve nascondere, soffocare le proprie impressioni? È desiderabile la repressione di ogni personalità nella giovine sposa? Manifestare entusiasmi e ammirazione che non si sentono, non è forse ipocrisia?,, - In fatti la questione può essere semplificata così: far cosa grata al marito facendolo partecipe dei proprii gusti partecipando ai suoi, in quella misura giusta e naturale, pur serbando, la sposa, intatta la propria personalità. Guai alla donna che da principio rinnega sè stessa, schiava dell'amore o di una falsa edncazione. Quando arriva negli alberghi sappia subito dare un aspetto di abitato alla camera scelta, e a questo scopo abbia cura di porre nel suo baule alcuni di quei gingilli che le sono famigliari, qualche fotografia dei suoi cari, un vasetto per i fiori; lo sposo acquisterà subito una buona idea delle sue qualità di donnina di casa, e sarà felice di trovarsi con lei in quell'ambiente reso meno banale dalle sue piccole attenzioni femminili. Noi Italiani che viaggiamo poco, non conosciamo quest'arte; molte volte il viaggio di nozze è il primo della nostra vita, dunque indispensabile di sapersi regolare per non renderlo un tedio reciproco. La sposa scrive subito alla mamma, parlandole naturalmente della sua felicità; la buona signora attende ansiosa quella lettera forse la prima che riceve dalla figliuola che non visse mai separata da lei. Le partecipazioni del matrimonio compiuto si mandano anche a tutti i più lontani conoscenti: devono essere stampate su carta fina; siano semplici, eleganti e chiare; devono portare dei due domicilii per la restituzione dei biglietti di visita. Sono i parenti che le spediscono il giorno stesso del fausto avvenimento, e sono essi che annunziano le nozze celebrate tra i loro figliuoli, come già ne hanno annunziato il fidanzamento. Qualche volta però, trattandosi di orfani, per esempio, o di una vedova che si rimarita, sono gli stessi sposi che rendono pubblico il fatto. La formula per queste partecipazioni é quasi la stessa che si usa per far note le scambiate promesse. Se la sposa non è più molto giovane, si ricordi di evitare, anche in questa cerimonia finale tutte le pompe; non si vesta di bianco, non metta il candido velo, sono cose che si addicono ai volti freschi e rosei, mentre stuonano con le prime fatali traccie del tempo.

Pagina 61

L'hanno preparata di comune accordo durante il periodo del fidanzamento, e dove essere l'asilo della loro felicità, forse anche dei loro dolori: è dunque naturale che ne abbiano la massima cura, per trovarvi una gaia cornice nei giorni lieti e un conforto nelle inevitabili tristi vicende della vita. Il giovane che possiede già un palazzo ammobigliato dagli avi, appartamenti per ricevere, domestici, carrozze, gran lusso di casa propria, non ha bisogno di consigli per l'arredo di questa; avrebbe anzi molto torto la sposa che, trasportata nel ricco e forse un po' solenne ambiente, pretendesse di tutto sconvolgervi e mutarvi, per adattarla alle sue idee più moderne. Se nel palazzo vi sono ancora i genitori del marito, avrebbero subito un cattivo concetto del suo spirito rivoluzionario, e anche se ella vi entra sola regina, non darà certo soddisfazione allo sposo, mostrando disprezzo, indifferenza per quegli oggetti che a lui sono famigliari, che gli ricordano la sua infanzia, i suoi cari morti, o lontani. Ma ai nostri giorni i palazzi sono diventati il dominio delle banche, degli uffizi pubblici, e anche i milionari preferiscono il conforto moderno di una villina, o un bell'appartamento ammobiliato con gusto proprio. Però bisogna osservare che, anche avendo molti denari, non è facile, come sembra, ammobigliare finemente ed elegantemente ad un tempo una casa. Per esempio: una stanza da letto con tende bianche, con housses bianche alle poltrone ed alle seggiole è assai più simpatica di un'altra i cui mobili, magari coperti di seta, non armonizzano fra loro o colla tappezzeria. La stanza bianca, ch'io vi consiglio non vi darà noie: un po' di bucato, una brava stiratura ed essa apparirà, sempre graziosa; avrà un'espressione di pulizia e di freschezza da far invidiare i sonni di chi l'abita. L'importante sono i mobili d'uso: un letto comodo, i cassettoni, i comodini, scelti in modo che servano bene al loro scopo, e che non siano solo d'apparenza e d'ingombro. È cosa ardua però il dettar leggi sul modo di accomodarsi una casa. La moglie di un ufficiale; di un impiegato, i quali cambiano dimora secondo i capricci del Ministero della Guerra o degl'Interni, non può facilmente pretendere di avere tutti i comodi, i bibelots che abbelliscono le residenze stabili. Però per tutti è possibile il non commettere certi errori grossolani, quali per esempio collocare un armadio a specchio in sala, o in camera da pranzo quegli orrendi legni scuri scolpiti, a buon mercato e pretensiosi; assai preferibili i legni chiari purchè si tengano perfettamente puliti. Non sono certo del parere di quelli che riuniscono nella stanza destinata ai ricevimenti tutti i migliori mobili della casa trascurando le altre; ma tuttavia dico che, quando si può avere un salotto, è giusto abbellirlo quanto è possibile, per il piacere dei visitatori i quali si sentono subito in un ambiente ospitale e simpatico. Ammiro i gingilli, ma dichiaro di cattivissimo gusto ingombrarne tutti i mobili, sicchè non si sappia dove posare un oggetto qualunque, e trovo detestabile, per soddisfare la mania dell'ornamento, coprire le pareti di vecchi cenci, di litografie, stampe; ritratti sbiaditi così facilmente dal sole, dal calorifero, dalla polvere; mi pare subito di sentirmi in una portineria rispettabile, sì, sotto tutti i lati, ma certo non imitabile per il gusto. Chi possiede mobili di stile, non li confonda con oggetti di fantasia, a meno di avere uno di quei salotti senza pretesa, fatti proprio per viverci secondo l'uso inglese, e in cui è perdonabile l'accozzaglia più disparata di tinte, di forme, di epoche. In questo caso però bisogna avere un altro salotto, anche se minuscolo, destinato proprio agli estranei e dove lo sguardo si riposi sull'armonia più completa dell'insieme. La rivoluzione nel mobilio inglese ha consistito sopratutto in questo: a far sì che ogni oggetto avesse un fine di praticità, fosse appropriato all'uso, avesse insomma ragione d'essere in ogni parte o nell'insieme. È vero che non sempre si raggiunge il bello, ma si evita la demenza di certa nostra mobilia, e si è sulla via dell'arte. C'è un mezzo semplicissimo per rendere bella e attraente qualsiasi abitazione: empirla di fiori; costano poco, si rinnovano, e col loro profumo e con la loro grazia celebrano le lodi della padrona di casa. I fiori stanno bene nel salotto, sulla tavola centrale della sala da pranzo; stuonano nell'entrata, nei corridoi. Per questi luoghi sono più adatte le piante. Si mettano alle finestre o sui balconi, e siano piante scelte, curate, amate; si ricordi che tener le piante in camera, ambiente chiuso che ad esse riesce sempre malsano, non è amarle: è ucciderle. Il disporre i fiori nelle camere è tutta un'arte in cui si rivela la personalità di chi se ne occupa. Scegliere i fiori, tener conto dei loro colori e delle loro varietà nell'avvicinarli, nel dare ad essi un posto piuttosto che un altro, metterli in un vaso od un altro, è per i giapponesi un'arte ed una scienza: e da ciò risulta la bellezza originale dei vasi che ci vengono dal fecondo impero del Sole Levante. In camera da letto, poi, nè fiori nè piante; nuociono alla purezza dell'aria, e l'igiene è in molti casi una forma dell'educazione. Nelle case eleganti, oltre al gabinetto di toeletta, c'è quello destinato al bagno in tutte le forme dell'idroterapia moderna; ma quando quest'ultimo non si possiede, è indispensabile una vasca nel gabinetto di toeletta, che permetta complete e giornaliere abluzioni. Tornerò ancora sull'argomento della pulizia che mi pare indispensabile; intanto dal semplice lato della mobilia dico che giudicherei subito male una casa nella quale in un posto o nell'altro non scorgessi questa vasca, sia essa di metallo, di marmo, o d'altro. Nell'anticamera, se è possibile, si evitino gli armadi, i cassettoni, le casse, tutto ciò che serve per i comodi della vita; a quelli che ci visitano va riservato ciò che soddisfa la vista. Nell'entrata sono indispensabili un attaccapanni, un posa ombrelli (tanto più adesso che se gli uomini vanno in una casa per rimanervi un pezzetto, a pranzo, od in serata, depongono nell'entrata il cappello ed il bastone), un vassoio per posarvi le carte da visita della giornata, qualche bella pianta o qualche sedia. Tutto ciò poi può essere elegante e ricco quanto si vuole, ma deve serbare un carattere di serietà quasi solenne, perchè ne acquisti dal contrasto maggior gaiezza l'appartamento intimo. In molti appartamenti, o per vanità della padrona, il cui volto forse non può più sfidare la luce sfacciata, o per economia, affinchè il sole non sciupi e scolorisca le stoffe, o per seguire la moda, si mantiene una oscurità così completa che i visitatori corrono il rischio di sedersi sulle ginocchia dei primi giunti, d'incespicare, confondersi nel salutare, e rendersi ridicoli e magari scortesi dicendo cosa spiacevole o dolorosa agli altri ospiti non indovinati nelle tenebre eleganti. Le tende sono un bell'ornamento di ogni camera, ma debbono avere per iscopo di velare, non di escludere l'aria e la luce. La biancheria fa parte della mobilia di una casa, e va curata come cosa essenziale. La finezza, il valore, possono essere relativi, adattarsi alle rendite, ma l'abbondanza è indispensabile, perchè la nettezza è la prima delle eleganze, quella alla quale non rinunzia nemmeno il povero che tende la mano all'angolo della via, se ne ha l'istinto. Sarebbe assurdo dettar cifre per il numero dei vari oggetti; bisogna però pensare che nella casa più modesta la tovaglia e i tovaglioli vanno mutati almeno due volte per settimana, salvo il caso di accidenti; che le lenzuola richiedono il cambio almeno ogni otto giorni, che i servi hanno lo stesso diritto, e che la biancheria di cucina deve essere rinnovata soventissimo, se vogliamo pretendere dalla cuoca, o dal cuoco la pulizia piacevole a noi che ci pretendiamo raffinati. Bisogna prevedere i casi di malattia, in cui la più volgare medicina impone il cambio frequente di tutto ciò che avvicina l'infermo; non che i casi di nascite, giacchè nulla è più indispensabile della biancheria netta durante il puerperio. È molto fuori posto destinare la biancheria un pò sciupata per la cucina; sia ruvida e grezza la tela, ma comprata apposta e usata nuova; le vecchie tovaglie lasciano il pelo sugli oggetti che si asciugano, senza accennare che è molto più bello vedere una tovaglia di quella forte tela detta casalinga, che non di quella di fiandra rattoppata e rammendata. Le vecchie lenzuola, le tele liscie tornano utili per preparare i pannilini al bimbo futuro, per i casi di ferite, di piaghe, di scottature; vi sono poi tanti e tanti poveri, tanti ospizi di carità che giornalmente chiedono il nostro aiuto e ai quali possiamo offrire simili vecchiumi; non manca mai il mezzo di sbarazzarsi di tutti quegli ingombri! La cura della biancheria è affidata alla signora; per quanti servi vi siano in una casa, si può essere certi che essa sarà sempre trascurata da questo lato se non vi sopraintende, vigile e intelligente, l'occhio della padrona.

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Non occorre aspettare per mangiare, che padroni di casa abbiano dato il segnale, ma certo non è una fanciulla, nè un giovinotto quegli che prende l'iniziativa. Noi Italiani stiamo molto male a tavola e gli stranieri hanno la giustificata scortesia di dirci sovente che ci riconoscono a certe cattive abitudini a pranzo. Non si mette in bocca tutto cucchiaio per assorbire il brodo o la minestra: se è solo brodo, si assorbe dalla parte del cucchiaio vicino al manico; se vi è qualche cosa di solido, paste, crostini, ecc., si introducono in bocca dalla punta evitando ogni sorta di rumore. Se manca il cucchiaino per il sale, bisogna badare di non servirsi del proprio coltello se non è perfettamente pulito. Non si inclina il piatto per raccogliere fino l'ultima goccia di minestra; a lavare i piatti pensano i servi. Il pane non si taglia, si spezza; dopo mangiate le uova al guscio, si rompe questo per evitare che rotoli o sulla tovaglia o sul vestito. Il pesce non si tocca col coltello: anzi non si porta mai assolutamente alla bocca questo strumento, bruttissima abitudine pur troppo generalizzata più di quanto possa sembrar vero; le uova non si tagliano col coltello; gli asparagi non si mordono, si tagliano, poi si prendono colla forchetta. Ora si usano le pinze, ma non trovo grazioso staccare la parte verde coi denti. I frutti non si mordono, si pelano tenendoli colla forchetta, si tagliano a pezzetti e si mangiano a piccoli bocconi, come qualunque altro cibo; se hanno noccioli, questi non si sputano nel piatto, nè nella mano, serve a questo scopo il cucchiaio della piccola posata. Il formaggio si taglia col coltello e lo si porta alla bocca colla forchetta. La posata non si prende troppo bassa per non insudiciarsi le mani. Non si rosicchiano le ossa dei volatili; è un'operazione che va lasciata ai cani e ai gatti. Non si parla servendosi; è facile distrarsi e cagionare danni agli abiti dei vicini; non bisognerebbe neppure parlare avendo la bocca piena, ma con un po' di buona grazia si può farlo, evitando di far vedere il prodotto della masticazione. Servendosi non bisogna scegliere il pezzo migliore, bisogna pensare agli altri che vengono dopo; specialmente alle tables d'hôtes degli alberghi, alcuni sembrano voler godere tutta la loro quota senza riguardo degli altri commensali. È inutile empirsi il piatto correndo il rischio di lasciare una parte di cibo; se fanno ridere quelli che hanno la posa di far credere che si nutrono di poesia e di amore, fanno addirittura nausea coloro che non sembrano mai sazî. Un bell'appetito è una cosa invidiabile e simpatica, dà subito l'idea di una persona sana e felice; l'ingordigia, l'avidità ragguagliano l'uomo al bruto. Non si fa mai osservazione sui cibi, sui vini; gli ospiti non debbono avere l'aria di vantare le loro offerte e gli invitati di darvi troppa importanza. Se la padrona di casa ha preparato essa stessa un piatto speciale, si può farne l'elogio: se un proprietario vi offre vini delle sue terre, non é sconveniente lodarli; anche se il donatore è persona rigida osservatrice delle piccole leggi sociali, vi sarà grato dell'apprezzamento. Quando una cosa non piace, o non si confà alla propria salute, si evita di prenderne senza farvi copra i commenti. Non è necessario ringraziare il servo o la cameriera ad ogni piatto che vi portano. Il caffè non si beve nello scodellino; si aspetti che sia freddo e poi si beva nella tazzina. Non si soffia sui cibi per farli raffreddare. Per fortuna l'uso degli stecchini si va perdendo: niente di più disgustoso che quella pulizia fatta a tavola; si eviti anche di far rumore colle labbra o colla lingua per asportare le particelle rimaste fra i denti. Dalla tavola non si porta via niente, tutt'al più la minuta, quando vi è una ragione di ricordo, e i fiori che rallegrarono il vostro posto. Finito il pasto il tovagliolo si depone a sinistra del piatto senza piegarlo, ma con garbo; se il cavaliere vi toglie la sedia, ringraziate; se vi alzate da soli, procurate di non far rumore. Bisogna aver l'abitudine giornaliera di queste piccole finezze, se non vogliamo trovarci imbarazzati nei giorni d'invito. Se è la padrona di casa quella che scalca, bisogna che ne impari l'arte; il miglior pezzo di carne, il pollo più fino sembreranno cattivi se sono presentati senza grazia. Se il piatto è portato in giro da un servo, egli deve alternarne l'ordine di precedenza; bisogna supporre che tutti gli invitati sieno tenuti nella stessa considerazione; sarebbe ad ogni modo scortese dimostrare a tavola le differenze. Una signora dell'alta aristocrazia, forse un po' egoista, ma certo molto elegante, ha stabilito che alla sua tavola deve ella essere sempre la prima servita, gli altri vengono dopo, alternando come ho detto la precedenza. Gli ospiti sanno la sua debolezza e sono sempre soddisfatti. Se si fanno brindisi non bisogna dimenticare la signora che invita; le donne non rispondono, si inchinano e ringraziano poi quando si sono alzate da tavola. Tocca per diritto alla persona più autorevole essere prima a brindare, ma un invitato, per quanto giovane, può dare l'iniziativa, dopo averne avuto con un cenno, l'approvazione dei padroni di casa. A tavola sarebbe meglio non soffiarsi il naso e non sternutire; quindi chi è raffreddato farà bene a rifiutare un invito simile: però come l'educazione non riesce a toglierci certi improvvisi bisogni materiali, se questi fatti noiosi avvengono, bisogna saperli superare con grazia. Il fazzoletto si porta al naso senza spiegarlo, senza voltarsi, con naturalezza, rapidità, e lo si rimette in tasca o nella cintura senza guardarvi dentro. Se cade un coltello, una forchetta, un cucchiaio, se ne chiede uno in ricambio, ma bisogna far di tutto perchè questo non succeda. Non ho bisogno di raccomandare la discrezione nell'uso dei vini e degli alcools in genere; oltre che ciò nuoce alla salute, molte persone si esaltano facilmente ed è allora pericoloso il fare o dire cose sconvenienti. A tavola non si tengono discorsi malinconici; è meglio evitarci le discussioni politiche, religiose, che tanto appassionano gli spiriti; disapprovo altamente coloro che credono leciti alla fine del pranzo facezie un po' troppo libere e discorsi che certo non terrebbero in un salotto per bene. Anche nei pranzi di famiglia mi pare che sarebbe preferibile evitare i rimproveri, le recriminazioni, tutto ciò infine che può scemare l'armonia e la letizia dell'ora. È questione non solo di educazione, ma di igiene. Combinare l'ordine e la natura dei cibi da servire deve essere impegno della padrona di casa, a meno che non vi sia un maggiordomo molto esperto; è impossibile dettar leggi a questo riguardo; un pranzo, una colazione sono più o meno abbondanti e di cibi più o meno fini, secondo la fortuna di cui si dispone. Vi sono però regole generali che tutti possono seguire. Così al pranzo non sono adatte le costolette alla milanese, come per colazione non si gradisce un lesso o un piatto umido. Una volta i pranzi erano interminabili; ora le proporzioni sono diminuite assai, e si preferisce una portata di meno ed un po' d'eleganza di più: badi però l'anfitrione, che di ogni piatto ci sia abbondanza per tutti, affinchè non tocchi, per esempio, ad uno dei suoi ospiti la testa del pesce; ella non sa se ha da fare con un ittiofago, e non a tutti piace questa parte, che certi buongustai ritengono la migliore. Non è necessario offrire primizie, ma chi si permette questo lusso, deve procurare che ce ne sia per tutti, senza che si debba lesinare sul boccone. È meglio evitare di dar pranzi i giorni di magro; è più difficile la combinazione di cibi, senza contare che non si ha il diritto di imporre agli ospiti il sacrificio delle loro opinioni. Nei pranzi in campagna molte cose si semplificano; non sempre si trova tutto il necessario per comporre un pranzo o una colazione secondo le norme stabilite; ma se la padrona di casa è una donnina fine, intelligente, può colle più modeste risorse dare alla sua tavola un aspetto di ricchezza, di benessere, di buon gusto, che tengono luogo di tutte le delizie. L'industria moderna ha trovato modo di conservare nelle scatole tutte le verdure e le carni più fine; io non le ammiro e preferisco sempre un pollo arrosto, una frittata di uova fresche, al salmone, a tutte le golosità conservate; ma con la scienza culinaria si può ottenere un grande aiuto dalle piccole scatole di conserve. Il pesce, il gelato, le fritture, i pasticcini grassi e dolci, il formaggio, vanno posti sopra una piccola tovaglia ricamata, guarnita di trine o di frangie. Ho detto che nei pranzi in campagna lecita una maggior libertà, però anche in una colazione fatta sull'erba, all'ombra fresca, di un boschetto, è obbligo di una donna fina, di un uomo bene educato, il condursi come in casa propria. Qualche volta si fa a meno di posate, ma anche un'ala di pollo può essere presa e tenuta fra le dita con grazia, quando chi la mangia possiede questo preziosissimo fra i doni. Del resto, è tanto facile mettere nel paniere qualche posata, qualche tovagliolo; si evita così di veder le smorfie di qualche raffinato o la grossolanità di altri, che, colla scusa della libertà campestre, si permettono qualunque licenza. Poichè ho parlato di posate, voglio accennare ad un fatto disgustoso che pur troppo accade in molte case: le posate sono male lavate, ed esalano un fetore che par fatto apposta per togliere l'appetito. In Francia, per economia, non cambiano le posate ad ogni portata; e mettono una stanghettina di cristallo, d'argento, o d'un metallo qualunque accanto al piatto di ciascuna persona, sulla quale stanghettina si appoggia la posata dopo essersene serviti, per non macchiare la tovaglia; uso davvero non troppo simpatico, al quale mi pare assai preferibile il nostro di cambiare posate ad ogni portata, non lavando però male e in fretta la posata, ma tenendone in serbo la quantità necessaria, quando è possibile. Nei caffè e nelle trattorie sovente si tengono molto male le posate, ed io non saprei immaginare un fetore più disgustoso ed ingrato di quello come di pesce crudo o d'olio rancido, che esala il metallo mal lavato. Sono ora molto in voga i five o' clock teas, ossia il tea, offerto alle cinque; ci si va in toeletta da visita molto elegante, e anche, se il tea non è che una scusa per fare i quattro salti, si tiene il cappello. La tavola per il tea deve essere presieduta dalla padrona di casa, e messa con tutta la cura possibile, più che mai ornata di graziosi gingilli, di fiori, di buon gusto. Non vi si mettono coperti, ma ognuno deve avere la posatina completa, il piccolo tovagliolo, il piatto. Si mangiano dolci, sandwiches, si beve il tea, il cioccolatte nelle tazze di porcellana fine: se si balla sono necessarie varie qualità di vino bianco, se si può, e rinfreschi in abbondanza. È un lusso esotico, questo ricevimento diurno, e per imitarlo, bisogna adoperare tutta l'eleganza che vi sfoggiano gli stranieri, se non si vuol riuscire ridicoli. Tocca agli uomini occuparsi delle signore, giacchè, molte volte, per dare alla festa un carattere di maggiore intimità, i servi non vi compaiono neppure. A questi ricevimenti si va vestiti come per le visite; gli uomini, in stifelius o frac con cravatta bianca: le signore, eleganti quanto vogliono, ma mai scollate, poichè non debbono deporre il cappello.

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Il galateo del contadino

202989
Miles Agricola 2 occorrenze
  • 1912
  • Casalmonferrato
  • Casa agricola F.lli Ottavi
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È sconveniente anche se tutto provenisse da eccessiva tenerezza, avvinghiarsi troppo strettamente all'amico, baciucchiarlo, sdolcinarsi con lui in eccessivi complimenti appena permessi fra donne che abbiano grande confidenza fra loro. È obbligo di aiutare l'amico in tutte le sue neccessità materiali e morali; è dovere di amicizia rinfrancare l'amico nei suoi affanni e nelle sue miserie, anzi di sussidiarlo del proprio appoggio tanto più quanto più la sorte gli sia avversa: ma in tutte queste sublimi funzioni dell'animo nostro non bisogna mai perdere la misura perchè a questo mondo c'è anche il troppo che nuoce. L'amicizia vera è basata sulla stima e si distingue più dagli atti che dalle parole. Non bisogna mai sparlare dell'amico, anche che se ne riconosca il torto, ma piuttosto ammonirlo amorosamente a correggersi degli errori commessi. Chi non si sente coraggioso a resistere, chi non abbia lena a durare nell'amicizia, chi non si sente forte a sostenere i sacrifici che qualche volta l'amicizia impone, è meglio che rinunzi preventivemente a questo dolce nome, poichè l'amicizia, senza queste sublimi qualità, può convertirsi in odio feroce e può essere seguita da tragici avvenimenti! Certo i contadini, più di tutte le altre classi sociali, abusano spesso dell'amicizia che molte volte per quanto confortata dalla parentela spirituale del compare, si scambia in inimicizie atroci e sanguinose. Torto, torto marcio di questa classe che pure ha nel suo attivo tante altre qualità positive e tante altre virtù!

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I giovani prima di porsi a sedere debbono aspettare che i maggiori abbiano preso i loro posti. Nel mangiare bisogna restare composti, senza muoversi di soverchio, senza poggiare i gomiti sul desco, senza promuovere eccessivo rumore coi piatti e colle posate. Nè si debbono arrotare i denti o battere le labbra, nè, bevendo, rumoreggiare colla bocca. Col tovagliolo, di cui ciascuno sarà provvisto, ci si deve pulire spesso la bocca delicatamente senza farne troppa mostra coi vicini. Nel servirsi bisogna dare sempre la precedenza ai più anziani ed alle donne, ed evitare di sorpassare la tavola colle mani, offrendo il piatto altrui. Durante il pasto è lecita una piacevole conversazione, ma essa dev'essere moderata e non schiamazzosa e sempre subordinata e diretta dal capo o dai capi-famiglia. È sconveniente fare apprezzamenti sulla bontà o meno delle vivande, o rifiutarne qualcuna allegando per motivi di non essere aggradevole, poichè è buona civiltà mangiare tutto quello che ci si presenta. Nel levarsi da tavola bisogna aspettare che la mossa parta dal capo di famiglia o dal padrone o dalla padrona di casa, se siamo invitati in casa altrui. Un proverbio dice: «dimmi come mangi e ti dirò chi sei». Ricordiamocene!

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Eva Regina

203414
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 18 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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I MARITI GIUDICATI DALLE MOGLI Mettete insieme tre donne che abbiano un po' di confidenza fra loro, e troverete che fra una discussione sulla forma dei cappellini e un' altra sul taglio degli abiti, entrano in campo i mariti. E allora, Dio liberi ! sono geremiadi interminabili, sono requisitorie feroci, sono sfoghi drammatici, propositi tragici. Veduti attraverso a simili lenti, questi mariti sembrano mostri d' efferatezza tali che Ezzelino e Barbablù sono agnelli al confronto. Eppure hanno trovato delle donne che acconsentirono a divider con loro la vita, non solo, ma che in un certo periodo ii vagheggiarono come l' ideale, li riguardarono come semidei al confronto degli altri uomini. Perchè? Perchè — rispondono le mogli — allora erano innamorati, fidanzati, ed ora sono mariti. Appena l' uomo diventa marito, entra in una categoria speciale; può essere il più grande scienziato, il poeta più celebre, l' uomo politico più eminente; può compiere atti magnanimi e opere buone; può destare entusiasmi e simpatie, ma non potrà mai e poi mai liberarsi da quelle mende, da quei difetti speciali, inerenti al suo stato di marito, e che ne fanno agli occhi della moglie un essere diverso da quello che appare al mondo. Un marito è sempre impaziente, sempre egoista, sempre avaro : spesso brontolone, prepotente, irragionevole : novantanove volte su cento infedele,più o meno impunemente, e non di rado sospettoso senza motivo, strambo, lunatico, violento. La moglie conosce inoltre le sue piccole fissazioni, le sue piccole debolezze, e quel lato comico, che presta esca al ridicolo che ogni carattere reca in sè. E sovente questo lato è spoetizzante e si è rivelato solo — questo è il peggio ! —all'indomani delle nozze. Così la moglie quando sente tessere l' elogio del marito da chi non lo conosce come lei, e vantarne l' uguaglianza di carattere, la finezza dei modi, la generosità, la bonomia, sorride e tace; e quel sorriso e quel silenzio sono, per chi se ne intende, un commento eloquentissimo. Una mano sulla coscienza, mie care signore. Siete voi ben sicure di essere impeccabili ? Siete proprio certe che quell' impazienza, quell' avarizia, quell'incontentabilità, l'infedeltà stessa, non abbiano in voi, appunto in voi, la lora remota ma sicura origine ? Se fate troppo i vostri santi comodi, se spendete più del possibile, se non vi date briga di uniformarvi ai gusti del vostro compagno d'esistenza, se, infine, non siete più tenera verso di lui come nei primi tempi e con la trascuratezza del vestire o un contegno rilasciato favorite le mancanze di riguardo e gli strappi alla poesia — parliamoci chiaro di chi la colpa? — Almeno almeno metà peruno ! Sebbene in generale si creda il contrario, io ho l' opinione che è la moglie che fa il buono o il cattivo marito. Non è sempre per mala volontà che non vi riesce : qualche volta è per inesperienza, per debolezza, per mancanza di superiorità o d' intuizione, ma tant'è, il principio della disgregazione, dello squilibrio coniugale risiede in lei. Il rimedio? C' è ed è infallibile: si faccia amare ! Il suo ingegno, il suo cuore, il suo fisico, tutto impieghi per questo. E il marito guarirà come per incanto da tutti i suoi difetti.

Un po' di tempo rubato allo specchio, un altro po' alla sarta, un altro poco alle chiacchiere oziose, o alla dolce pigrizia del letto, o agli allettamenti dei negozi di novità, ed ecco la mezz' ora, l' ora, magari le due ore trovate, senza che le cure della famiglia e della casa abbiano a risentirne danno. Vi sono intanto due libri da cui una donna pratica non dovrà mai fare, a meno, e sono: un piccolo trattato d'igiene e d' economia domestica e un buon manuale di cucina. Questi le sono necessari come la bussola al pilota. Tra i libri utili, può entrare anche qualche moderno galateo che la diriga e sciolga i suoi dubbi quando le si presenta un' occasione di agire in società. La sua bibliotechina dovrà in oltre essere fornita di un vocabolario e di una piccola enciclopedia da consultare all' occorrenza. Dia poi il posto d' onore ai quattro poeti classici Dante, Ariosto, Petrarca, Tasso, e vi aggiunga quegli autori di cui una donna, anche mediocremente colta non può ignorare almeno le opere principali : Parini, Foscolo, Manzoni, Leopardi, Alfieri: abbia qualche libro di coltura generale, come una storia dell' arte : qualche vecchio libro educativo che le servirà per fare più vigoroso il suo spirito e a plasmare l' anima dei figliuoli: il Manzoni, il Tommaseo, Massimo d'Azeglio. Nè le manchino due tra i grandi libri consolatori: il Vangelo e l' Imitazione di Cristo, libri d' eterna verità e di severa saggezza, che sono i soli che la mano cerca nell' ora del dolore. Tra i libri moderni preferisca quelli che dànno alla sua mente idee nobili, propositi virtuosi, che afforzano l'anima sua e la forniscono di più agili ali. Siano libri ch' ella non debba nascondere arrossendo se alcuno entra nel suo salotto, e che la ridonino serena e pura anche nel pensiero, alla tenerezza del marito. Se la sua coltura le consente di leggere la produzione letteraria delle nazioni straniere, ne approfitti, ma anche fra quella scelga il fiore che non contiene veleno. Per fortuna di chi può fare una selezione, gli editori ci dànno oggi volumi in tale abbondanza che non è punto difficile prendere l' alimento spirituale che conviene e rifiutare il resto. « Leggere e sognare, l'uno e l'altro è un mondo » scrive il poeta inglese Wordsworth : ed è infinitamente dolce, infinitamente consolante, nelle ore della solitudine, qualche volta della tristezza, poter varcare la soglia di questo regno senza confini che ci fa dimenticare gli affanni della vera vita.

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Infatti è una scienza che bisogna acquistare, che le anime frivole, tutte date alla vita fittizia ed esteriore dell'attimo che passa, non impareranno mai, ma che rinvigorirà, invece, e maturerà altre creature che abbiano nel cuore e nell'intelletto i germi fecondi d' una ricca fioritura di sensibilità e di pensiero. La solitudine insegna a riflettere, insegna a meditare, insegna a bastare a noi stessi, sviluppa tutte le tendenze del nostro ingegno, ci fa più attivi e utili, rende la vita più intima e profonda. Soli, ci apparteniamo di più, la corrente non trascina, la nostra individualità morale si afferma con maggior originalità. Tutte le grandi cose: azioni, opere, sacrifizii, conversioni, furono preparate e compiute nella solitudine. Essa ridona la pace e talvolta la salute, perdute fra gli uomini: insegna a contemplare, ad amare la natura, a vincere le battaglie dell' anima, ad adorare Iddio... Eppure so che la solitudine fa orrore alla maggior parte delle donne. E non la solitudine assoluta ma, per esempio, la vita di famiglia in qualche villetta remota, in qualche villaggio abitato da gente zotica che obbliga all' isolamento. Molte sposine prendono degli atteggiamenti di vittime perché il marito, medico condotto, ingegnere, maestro rurale, o agente di campagna, le rapisce alla città per seppellirle, coi vestiti nuovi del corredo, in qualche landa inospite o in qualche « borgo selvaggio ». E pensare che io, quando ho sognato la felicità, l'ho sognata proprio così : la solitudine in due, fuori dal mondo ! Ma non sentite voi la dolcezza, l' ebbrezza, l'orgoglio di essere tutte al nostro amore, tutte alla nostra opera di felicità? di fare della piccola casa che abitiamo un porto di pace per le fatiche del nostro compagno, un faro di luce per il suo intelletto, un' oasi per il suo cuore? Tenersi vece l' un l' altro di società, di amicizie, di divertimenti, di distrazioni: concentrare tutte le energie fisiche e morali per il nostro ideale di dedizione, per il nostro nido, per la tenera famiglia ch' è già composta o che si comporrà! Beata, beata solitudine, dove l'arte e l'amore brillano, dove le romite passeggiate lasciano le anime espandersi e fondersi, dove nessuno interrompe le lunghe, le soavi intimità, dove insieme si leggono i libri buoni e belli e nessuna corrente malsana, nessuna tentazione perfida turba e disgrega e separa; dove nessun pettegolezzo maligno, nessun esempio pericoloso, avvelenano la nostra pace, dove s' accolgono solo i veri, i fedeli amici che vengono come a un pellegrinaggio e partono con la visione della vera felicità che noi abbiamo lor data — nel cuore...

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Abbiano esse tutte le sue cure e tutto il suo amore, impeperochè gravissima è la sua responsabilità verso Dio che glie le ha date e verso la società che le aspetta da lei temprate all' onore e alla virtù. » Così parlava Rachele Lombardo Indelicato in una sua nobile conferenza sulla missione della donna. Infatti se ogni madre riflettesse sulla severa responsabilità che le incombe, sul merito o la colpa che a lei deriveranno quando la sua creatura divenuta adulta si mostrerà eletta o riprovevole, considererebbe il suo grado sotto un aspetto ben diverso da quello sotto cui lo considera la maggior parte delle donne. Infatti per talune la maternità non è che il gioco della bambola della loro infanzia, ampliato e perfezionato. Avere dei bimbi per vestirli bene, per portarli seco a passeggio coi lunghi riccioli biondi cadenti sulle spalle; per insegnar loro la poesia e il complimento da recitare alle amiche, per divertirsi alle ingenue domande e alle ingenue risposte, per passare il tempo, infine, come col pianoforte, col romanzo, col ricamo. Ecco l'ideale di molte. Per altre, invece, non è che una briga noiosa; un tributo da pagare al matrimonio, una specie d'obbligo sociale che si disimpegna al più presto, per una volta sola, tanto per essere esonerati, poi non ci si pensa più. Nato il bambino c'è la balia, poi la bambinaia, poi la governante e l' istitutrice o il collegio, e la donna ridivenuta libera dopo il puerperio si slancia con più ardore nella vita mondana, riprende le sue abitudini eleganti un momento interrotte e non le lascia più, sino alla vecchiaia. La maternità non fu se non un episodio per lei. Altre, ancora, subiscono la maternità come un castigo, un po' ribellandosi, un po' rassegnandosi, ne parlano con compianto verso sè medesime e le altre, non vedendo più in là del dolore, della fatica materiale, del peso finanziario: limitando l' opera loro verso i figliuoli allo strettamente necessario, allo sviluppo fisico: press'a poco come un operaio poco coscienzioso si sottrae quando può a compiere con esattezza o completamente il lavoro affidatogli dal padrone. Poche, ben poche sono le donne che accolgono un figliuolo con mente e cuore preparati a riceverlo! « Fare un figliuolo — diceva il De Maistre — non è metterlo al mondo, nutrirlo, allevarlo; ma farne un giovine forte che creda in Dio e non abbia paura del cannone. » E qui bisogna confessare una cosa penosa per noi, donne moderne, che amiamo i nostri tempi e vorremmo vedere superiori a quelli andati; ma le madri d' una volta avevano un più alto concetto e più severo della maternità: erano più diligenti e più coscienziose nell'adempimento della loro missione: sentivano, insomma, la maternità come dovere e ne misuravano ampiamente tutta la responsabilità. Ed esse diedero alla patria, infatti, dei forti giovani che credevano in Dio e non ebbero paura del cannone : diedero delle donne tenere e valorose che seppero le abnegazioni più profonde e gli eroici amori. Non lo dimentichiamo!

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Se ricchi, i vostri figliuoli abbiano un salvadenaro per i loro piccoli protetti, e le bimbe imparino a confezionare le calze e gli abitini per essi: siano ascritti a qualche opera di patronato per i fanciulli poveri della quale spiegherete loro l' intento e l'utilità. Se in condizione modesta, fate che i bambini si privino qualche volta d'un giocattolo, d'un indumento per darlo al bisognoso, fate che lo dia da sè, a costo del sacrificio, combattendo con ingegnosa cautela ogni possibile spunto di egoismo o d'indifferenza : due cattivi germi non infrequenti di cui vediamo purtroppo fra gli uomini lo sviluppo rovinoso. Sarebbe così bello e così proficuo che ogni mamma dedicasse un' ora alla settimana a qualche visita di carità fatta coi suoi figliuoli ! Che li avvezzasse a veder da vicino miserie che neppur sospettano e senza troppa paura della loro tristezza! I piccoli cuori, puri ancora e impressionabili, si stringerebbero, sì; le tenere menti aperte istintivamente alla giustizia avrebbero, forse, un senso di ribellione contro le leggi supreme ed incomprensibili; ma dalla pietà e dallo sdegno non germinerebbe uno zelo di compensare, di riparare, che porterebbe il suo frutto nelle età mature? « Quando un bambino fa l'elemosina, — dice il gran poeta dei fanciulli, il De Amicis — è come se dalla sua mano cadesse insieme un obolo e un fiore ». È una gentilezza infatti, una visione così pia, così pura, così spirante tenerezza e bontà, che invita a inginocchiarsi per pregare.

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Ogni mamma dovrà dunque assolutamente impedire che davanti ai bambini si tengano certi discorsi, si inizino certe discussioni, si scenda a certi scherzi, non solo, ma vigilerà assai sui domestici, onde le loro parole e i loro atti nulla abbiano di sconveniente, e la vanità, la dissolutezza, la disonestà non si rivelino in azione ai fanciulli con la terribile efficacia dell' esempio. Io ho conosciuto madri di condotta immoralissima, ma che pure erano riuscite a farsi credere dai loro figliuoli modelli di virtù, perchè osservavano scrupolosamente che in loro presenza nessun atto, nessuna parola sfuggisse rivelando il contrario. E sebbene colpevoli, quelle madri dimostravano però col loro rispetto all'infanzia di onorare le purezza e il bene.

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Purchè, s'intende, abbiano l' età del discernimento e possano sfidare qualche piccolo strapazzo senza risentirne danno, acquisteranno più cognizioni in un viaggio e le riterranno meglio che non con lo studio di cento libri imparati a memoria. Certo che bisogna, al solito, sacrificare il nostro al loro piacere ; guardare che non si stanchino, che la loro mente non affastelli troppe imagini ; procurare che ricordino con ordine, con chiarezza : metterci in grado di fornir loro spiegazioni esatte e adatte alle loro intelligenze. Durante il viaggio faremo osservare ai bambini, anche a quelli di minor età, se un caso qualunque vuole che li portiamo da un luogo all' altro, le regole del galateo: giacchè nulla di più insopportabile, nei vagoni, dei bambini male abituati, che saltano adosso, che pestano gli abiti, che non stanno fermi un momento e hanno mille bisogni e mille esigenze. Per questo bisogna che l' educazione abbia un po' di fondo spartano : che i bambini sappiano sopportare la sete, la fame, e reagire contro il sonno e la stanchezza. Incoraggiamoli a queste piccole vittorie sulla parte materiale del loro organismo, facciamone veder loro la bellezza e l' utilità.

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Infine procuri che i figliuoletti anche in campagna abbiano le loro ore di riposo e di esercizio intellettuale; che alla mensa si presentino sempre in modo conveniente onde la vita rurale non li faccia diventar rozzi, sgarbati e trasandati.

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I collegi, per quanto abbiano procurato di evolversi, d' uniformarsi alle necessità dei nostri tempi, sono sempre il prodotto pedagogico di un' età passata, quindi inferiori a quanto oggi si richiede e si può ottenere per la formazione dell'uomo e della donna avvenire.

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La tavola sia ricoperta di marmo, e credenze, scaffali, abbiano nitide coperte di cotone bianco da rinnovare spessissimo. Sia provvista largamente di stoviglie e d' arnesi : meglio il ferro smaltato e la terraglia resistente che il rame riconosciuto oramai generalmente dannoso anche se rivestito di stagna. Il ferro nelle posate e nei recipienti dà facilmente cattivo sapore ; di pessimo uso il piombo, lo zinco e gli altri metalli composti di leghe inferiori. La cucina ideale non dovrebbe comporsi che di ceramiche e di cristalli. Una buona cucina deve essere fornita d' un acquaio in marmo — meglio se in uno stanzino attiguo : — di una ghiacciaia, di un piccolo forno. Le finestre siano fornite di un telaio a rete fittissima per impedire il passaggio alle mosche ; abbia un buon lume a gaz o a petrolio, e un orologio a muro per esigere l'esattezza dalla cuoca : sia provvista in abbondanza di strofinacci e di asciugamani, e si sostituiscano di frequente. Utile può essere in cucina un termometro, un calendario e una piccola lavagna per annotazioni.

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Provveda che ognuno dopo il ballo trovi da rinfrescarsi o da rifocillarsi : faccia star pronta la cameriera nel gabinetto di toilette o in qualche stanza attigua, nel caso che alle danzatrici abbisognasse il suo aiuto: non si mostri stanca nemmeno se è esausta, e trattenga per dieci minuti gli invitati a sera finita perchè abbiano modo di rimettersi se accaldati, prima d'uscire nella via. Vegli che ogni signora abbia quanto le occorre e l' accompagni sino all' anticamera.

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Oh, non formano una classe speciale come le artiste, come le interpreti, e non è indispensabile che abbiano caratteri comuni ed essenziali come la bellezza e la giovinezza. Molte donne dal corpo statuario, molte giovinette sul cui volto ride la primavera, non hanno ispirato nessuno : e invece qualche vecchierella curva sotto un fastello di legna giù per un sentiero campestre ; qualche fanciullina che accendeva una lampada a un rustico altare ; un' esile donna dolorosa vestita a bruno, una florida madre felice, possono aver fatto a loro insaputa il dono prezioso, il dono regale dell'Idea. Raffaello copiò l'atteggiamento tranquillo e tenero della sua famosa Madonna della seggiola, da una donna del popolo che vide seduta innanzi alla sua umile dimora con un bambino fra le braccia: Dante, fra le formose e argute gentildonne che ebbe intorno fu ispirato dalla più modesta, dalla più silenziosa, da colei che meno lo amava e meno apprezzava il suo ingegno : Leonora d' Este, ispiratrice del Tasso, era disavvenente, malaticcia e non più giovane : Vittoria Colonna che Michelangelo vagheggiò viva e onorò morta, non possedeva quella perfezione plastica di forme che a noi parrebbe avesse dovuto essere necessaria per commuovere quel sovrano della scultura. Qualche volta l' ispiratrice fu una madre dai capelli bianchi, una figliuoletta dai ricci d' oro, una dolce sposa mite e devota. Ricordate la triste e geniale commedia di Roberto Bracco : La piccola fonte ? L' artista, sposo a una donnina semplice, si lagnava della sua solitudine spirituale e credette trovare una musa e una compagna degna in una donna intellettuale, elegante e bizzarra. Ma quando la moglie con un ultimo supremo atto d' abnegazione e d' amore si allontana da lui per lasciarlo libero, e nella fiera prova impazza, allora egli si avvede che la musa vera, la piccola ma limpida e indispensabile fonte della sua ispirazione, della sua vita di artista era proprio lei, la donnina mite e semplice e buona. Però, molte volte, le ispiratrici non sono le più degne. No, purtroppo. L' artista è un creatore di bellezza, e spesso si ferma all' apparenza che più sollecitamente attrae la sua fantasia e la sua ammirazione. La donna più elegante, anche se è una cortigiana ; la donna più graziosa anche se è una leggera e una colpevole ; la giovinetta più fresca anche se è una civettuola, possono accendere nel suo intelletto la divina scintilla d'un'opera imperitura « Sois charmante et tais-toi » comincia un madrigale alla sua amante Baudelaire : mentre Rivarol non chiedeva alla sua che d'aver spirito come... una rosa. E nella Chanson pour elle canta il più delicato poeta francese, il Verlaine :

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Passano, e la gioventù, l'unica primavera della vita, declina senza ch'esse abbiano colto un fiore per loro, respirando il profumo di tutti i fiori. Quando la fanciulla affidata alle loro cure si marita, se non ha sorelle passano in un' altra casa a ricominciare il loro còmpito severo, e così finchè la vecchiezza le respinge nel loro paese, oltre le Alpi, con la sola prospettiva di consumare lentamente le magre economie raggranellate e morire nella solitudine...

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Per quanti poeti, per quanti filosofi abbiano celebrata la virtù risanatrice dell' amicizia, essa resterà sempre superiore a qualunque elogio. Come la gioia divisa si raddoppia, l' affanno diviso diminuisce, o almeno se ne tempera assai l'amarezza. E le più forti e fedeli amicizie furono sempre fondate più sul dolore che nella letizia. « Il piacere — scrive il Mantegazza — avvicina spesso gli uomini, ma, pur troppo, molte volte essi sono felici di dimenticare d' essersi trovati insieme. Quando invece è il dolore che ci affratella e ci stringe gli uni accanto agli altri, non si dimenticano più le calde strette di mano e i teneri amplessi : e la memoria di aver fatto del bene rimane tesoro imperituro nei palinsesti della vita. » - 502 - Sì, poichè l' amicizia ha questo di soave : che rende immediatamente il benefizio che dà. I conforti dati all' amico sventurato ci tornano in un'onda di dolcezza nel cuore insieme alla gratitudine, alla coscienza del sollievo che possiamo procurare. E a ciascuno è concesso di divenire un buono e fedele amico, poichè non occorre nè ricchezza, nè molto ingegno, nè coltura. Si può essere la creatura più diseredata della terra, più umile, più sola, ma questo tesoro inuguagliabile è a portata della mano : anzi bisogna pensare che, il più delle volte, i ricchi e gli avventurati non possono acquistarlo perché la fortuna fa ciechi e non vedono dove si trova, e sono troppo egoisti per procurarlo ad altrui. No ; l' amicizia è il fiore dell' ombra e delle cime : è l' ideale compenso di chi soffre, di chi opera, di chi crede. L' 'unione nello sforzo fa la vittoria, e nel dolore, la difesa. Alleatevi, o voi che piangete, o voi che le tribolazioni hanno accasciato, e colmerete la vostra anima, e, forse, la risanerete. « Coloro che non hanno sofferto insieme, non conoscono i legami più potenti del cuore. »

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Ma per valicare distanze in campagna, o in città che non abbiano il vantaggio dei tram, mi pare anche per la donna un mezzo convenientissimo, se lo userà con disinvoltura e riservatezza insieme. Per concludere riferirò le parole di un medico che riguardano il ciclismo femminile e che possono servire di norma alle mamme o alle signorine non bene decise ancora intorno a questo argomento. « L' uso della bicicletta — egli scrive — deve variare secondo le circostanze, età, sesso, stato di salute, resistenza, attitudine respiratoria. La bicicletta è utile nell' anemia, nel linfatismo, nella gotta, nel reumatismo, nella predisposizione alla tisi. Tuttavia l'eccesso produce o aggrava l'anemia. La fatica, la mancanza di sonno, la perdita dell'appetito, costituiscono gli indizi essenziali dell'eccesso. Bisogna respirare col naso, oppure, in caso di abitudine, inspirare col naso ed espirare con la bocca : arrestarsi o rallentare ai primi segni d' affanno. Respirare profondamente. Evitare l'andatura troppo rapida, le bevande in caso di traspirazione, astenersi dall'alcool. Tra pasti, acqua zuccherata, caffè zuccherato, limonata, birra. Un riposo di un'ora o due dopo il pasto è necessario. L'appetito prova che non vi fu eccesso nella corsa, pure tuttavia apparisce dopo le frizioni e il riposo. Non è consigliabile la bicicletta ai ragazzi minori di dieci anni e alle persone attempate che non sono abituate agli esercizi dello sport : la consigliamo invece all' adolescente, all' adulto, alle signore e alle signorine. La sella deve essere oggetto della maggiore attenzione e non deve essere posta nè troppo alta, nè troppo bassa. La bicicletta sviluppa tutto il sistema muscolare e contribuisce a dare all' adolescente uno sviluppo armonico. »

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È raro che le sopraciglia non abbiano lo stesso colore dei capelli; ma quando sono diverse hanno una gradazione più oscura, mai più chiara. Così le bionde dalle sopraciglia brune sono bellissime, per il contrasto del volto bianco e dei capelli d'oro. Oh bei capelli femminili, degni « di poema magnifico e di storia » ! Come l'uomo ha l' ambizione dei suoi baffi e della sua barba, segnali di virilità, la donna ha l' ambizione dei suoi lunghi capelli, dolce prerogativa della femminilità. Chiome nere, folte, lucide come velluto, dai riflessi d' acciaio; chiome bionde, leggere come un nimbo d'oro ; capelli del candido e fosco colore delle foglie autunnali, ondulati come la sabbia del mare dopo il passaggio dell'onda: capelli fulvi come la fiamma e attorti in capricciose volute com' essa; pallidi capelli color del lino cadenti in treccie languide; capigliature riunite in tutte le gradazioni del bruno, sfuggenti ai piccoli pettini di gemme e d'argento: voi passaste certo nell'ultimo sogno del vecchio don Giovanni come uno dei più acuti rimpianti. Sarebbe uno studio poetico e gentile quello delle capigliature femminili che lasciarono ricordo di sè: dai prolissi capelli di Eva bionda che coprirono come un manto la sua nudità non più casta, alle chiome che i nostri poeti moderni celebrarono in rima nel ricordo delle loro amanti. E non bisognerebbe dimenticare nè i capelli biondi di Maddalena che asciugarono i piedi di Gesù, nè la chioma fulva delle eroine delle cronache cavalleresche, nascoste sotto l'elmo guerriero, nè i lunghi capelli che protessero il pudore di Lady Godiva quando il marito brutale le ingiunse di attraversare ignuda a cavallo la città di pieno mezzogiorno, nè i riccioli della sventurata amica di Maria Antonietta :

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A capo a un certo tempo si pregherebbe l' amica di non ridere più.... » Ho sempre rammentato questo frammento quando mi sono trovata con certe signore che pare non abbiano altro modo di manifestare i loro sentimenti e le loro emozioni che ridendo. Per un po' quella loro vivacità pare freschezza di spirito e solleva e distrae, ma a lungo stucca e tradisce la superficialità e il vuoto della loro anima. «Le rire est le son de l' esprit» disse Goncourt. Dopo un poco ci sembra che quelle donne non possano amare nè sentire amicizia sul serio. L'amore per esse deve essere una scherma gaia e spiritosa, un tuffo rapido nel piacere, una follia passeggera che non lascia traccia. L'amicizia una lieta alleanza, una cordiale intesa da compagnoni che hanno interesse a favorirsi uno coll'altro, che sono contenti d' essere insieme per divertirsi meglio, per meglio dimenticare le malinconie della vita. Così finiremo per mettere in un mazzo queste persone con tutte le cose ridenti e superflue, buone soltanto per le ore di buon umore, inutili e moleste nei giorni in cui si ha bisogno d' un vero conforto, di un aiuto efficace per vivere. Il sorriso è invece suprema arte, suprema bellezza, suprema bontà femminea. Vi sono dei coraggiosi sorrisi che toccano l'eroismo; vi sono dei sorrisi malinconici che esprimono più d' un severo rimprovero ; vi sono dei sorrisi fulgidi che cantano un poema di gloria e di felicità. Per negare il suo sorriso, una donna deve avere un forte motivo, e quella privazione può riuscire più amara di qualunque castigo. Ben lo seppe il giovine Dante quando Betrice gli tolse col suo sorriso dolcissimo la sua « beatitudine ». Giacchè la donna, o bella o buona, non è avara dei suoi sorrisi conoscendone la benefica virtù. Le donne intelligenti, dallo spirito critico, hanno dei sorrisi arguti che tagliano come lame e sgomentano l' avversario più pugnace: le donne amorose hanno sorrisi così dolci da vincere ghiacci del polo, da disarmare la collera più fiera. Anche il sorriso femminile, quante volte fu cantato dai poeti e afferrato dai romanzieri per tramarvi tutto intorno una rete di psicologia! L' enigmatico sorriso della Gioconda di Leonardo ha fatto delirare centinaia d' artisti per analizzarlo. Un sorriso sulle labbra d' una donna può essere salvezza suprema o suprema rovina....

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Infatti certi veli pare non abbiano altro ufficio: per esempio quelli così detti « illusione » per sapiente antonomasia, perchè come le illusioni si lacerano subito, e attraverso ai quali il viso acquista una delicatezza gentile, una freschezza nuova, specie se lo avvolgono in una nube vaporosa. Anche i veli a rete contesti di fili fini come quelli che si vedono luccicare sui campi di grano nelle asciutte giornate estive, non riparano molto, ma dànno al volto morbidezza e leggiadria. E i tulle punteggiati di palline bianche come minuscoli bioccoli di neve, o neri come i capricciosi nèi settecenteschi che si posano all' angolo delle labbra, sulla guancia, sulla fronte, pieni di malizia e di suggestione ?... Vi sono anche le foltissime garze o i fittissimi tulle ricamati di cotone, lavabili, che proteggono la faccia, come una maschera lasciandone soltanto indovinare in modo vago i lineamenti. Ho notato che sono questi i veli che più attirano gli sguardi maschili, forse per il mistero, grande o piccino, che sembrano nascondere. Vi sono le garze di tutti i colori : rosso per le brune e pallide; celeste per le rosee e bionde; violetto per chi ha una carnagione di cardenia; rosa per le giovanissime, giallino e bianco per tutte. Vi sono i fini veli con la trina intorno da ricacciare indietro sul cappello, l'estate, e i lunghi veli da automobile nei quali così poeticamente s' avvolgono le belle signore acquistando una vaga somiglianza con le odalische che passano lente sul Bosforo nei bei tramonti di giugno. Vi sono delle donne che non vogliono o non sanno portare la veletta. Le prime hanno torto, giacchè se la veletta copre un poco il cappello e non lo lascia esposto in tutta la sua pompa all' ammirazione del pubblico, la veletta lo armonizza meglio col viso, tiene a posto la pettinatura, lo spiritualizza, quasi, lo fa più personale. Un cappello posato sui capelli senz' altro, ha sempre un po' l' aria di appartenere più alla modista che alla legittima proprietaria. Ma alcune — è vero — non sanno mettere il velo; lo annodano troppo lungo, troppo corto, gli fanno fare delle pieghe false, riuniscono i lembi in un grosso viluppo che toglie l' armonia delle linee al cappellino. Giacchè l' arte di mettersi la veletta è tutt' altro che facile e richiede assai più tempo e maggior attenzione che puntare il cappello. Il velo é una poesia della femminilità. Conserviamolo. Esprime modestia e dà agli occhi un più vivo splendore, attenua le offese del tempo, del dolore, delle sofferenze fisiche; spiritualizza la giovinezza, cancella pietosamente la vecchiaia, finalmente dona il fàscino di ciò che s'intravede, tanto più squisito della cruda esposizione. Anche i poeti hanno cantato il velo. Ricordate il noto verso:

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