Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Otto giorni in una soffitta

204523
Giraud, H. 13 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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. - Abbiamo cenato e bevuto, come sempre, moderatamente. Allora sarà qualcosa di grave. - Nello stesso istante, Maria, che stava per salire lo scalino precedendo Leonia di qualche passo, manda un'esclamazione sorda, si china e raccatta.... il calzerotto che aveva cominciato la settimana scorsa e che ha tanto cercato. Ma essa tiene in mano quel calzerotto come un carbone ardente e lo contempla con occhi da pazza. Leonia, spaventata, la guarda. - Ebbene, poveretta, che cos'altro vi capita ancora? - Maria si passa una mano sulla fronte e fissa con uno sguardo feroce Leonia. - Allora questa è stregoneria, - dice essa. - Vedete questo? - È un calzerotto per uno dei bambini, - risponde la cuoca, la quale vuol far capire a Maria che quell'oggetto impressionante che tiene con tanto spavento è invece inoffensivo. - Sì, - dice Maria con energia - un calzerotto appena cominciato otto giorni fa. Ne avevo fatti quattro o cinque giri; poi è scomparso senza poterlo ritrovare, e ora eccolo quasi fìnito. Tutto il gomitolo di lana è finito. - Leonia guarda Maria e si domanda ansiosamente se non sia divenuta pazza. - Via, via, - dice - non vi ricordate più che l'avete fatto voi. - Maria scuote la testa. - Lo so che divento vecchia, ma sono sicurissima che ho perduto questo calzerotto, appena cominciato, otto giorni fa. - Non sarà lo stesso, forse. - Non so che cosa sia.... ma quello che succede in questa casa è addirittura diabolico. Credete che sia normale vedere il signor Alano ammalarsi a un tratto, chiedere lui stesso il medico che lo guarisce soltanto a guardarlo, e il signor Francesco che si fa una storta e guarisce con l'acqua fredda? - Ah, ma questo.... - comincia Leonia, pronta a difendere il suo rimedio. Ma l'altra continua senza ascoltarla: - Il signor Fil che fa dei discorsi insensati, il signor Maurizio che stasera si è sdoppiato, e ora il calzerotto.... Ah, è proprio tempo che la signora ritorni! Credo di diventar troppo vecchia.... - Se Maria è sorpresa di ritrovare il calzerotto, Nicoletta è ben più sorpresa di non trovarlo più. E nessuno saprà mai com' è andato a finir là. Forse Matù, giocando col gomitolo, l' ha trascinato in fondo alla scala? Oppure sono stati i ragazzi, senza volere, nel discendere precipitosamente in giardino? Il fatto è che quel calzerotto miracoloso finisce di convincere Maria che la casa è stregata e che lei stessa sta per rimbambire. Leonia pensa semplicemente che forse è stata al sole senza cappello. Da lei» ciò provoca spesso crisi di pazzia!...

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. - Allora abbiamo il tetto in comune con quella vecchia strega? - Non lo so, - risponde Nicoletta. - Ho dovuto salire un po'.... c' è framezzo un tetto più piccolo. - lo stesso: - dice Maurizio - per essere una bambina è stata coraggiosa a venire per il tetto. - È nostra figlia, - risponde con dlgnità Francesco, come se per questo ne avesse acquisito anticipatamente le virtù. - Bene! - dice Alano. - Allora quella vecchia non verrà a cercarti qui. - Ma intanto, a qualunque costo la difenderemo! - esclama in tono bellicoso Maurizio. - Nicoletta è nostra! - Francesco scuote la testa. - Sì.... ma io penso che sia più prudente nasconderla, perchè, sai.... alle persone grandi, e per di più cattive come mamma Duflet.... - Sì.... ebbene? - Ebbene, anche se hanno torto, tutti danno loro ragione. - È proprio vero, - approva Nicoletta in tono sconsolato. - Intanto, - dice Alano che si dà daffare per mettere insieme la camera di sua figlia - bisogna andare a cercare dei lenzuoli nel guardaroba. Ma blsognerà tenere occupata Maria durante questo tempo, poichè essa è sempre lì. - La terrò occupata io, - risponde Maurizio. - Che cosa farai? - domanda Nicoletta incuriosita. - Fingerò di andare a rubare un po' di dolce nella stanza da pranzo, e lei allora mi seguirà.

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. - Allora abbiamo indovinato che eri tu, mammina! - Avevo troppo desiderio di rivedere i miei cari bambini, - dice la signora d'Aufran che ho mandato a spasso il medico e la cura e sono ritornata. - Che felicità! - Orsù, piccini miei, dovete aver molte cose da raccontarmi. Venite a sedervi in camera mia. Ditemi, con tutti i particolari, le vostre monellerie, e dopo, se lo meritate, vi farò vedere i miei regali. - A questo punto arriva Maria. - Mia buona Maria, - dice la signora tendendogli la mano - vi hanno fatto arrabbiare? - Oh, come sono contenta di vedere la signora così in buona salute! Sono stati molto buoni, per dir la verità; ma io.... - Come, come, Maria? Voi non siete stata troppo buona? - Eh, no, signora, non voglio dir questo!... Ma, ahimè, divento vecchia, molto vecchia!... - Ma passerà, Maria, passerà, - dice affettuosamente la giovane signora. Ma la vecchia governante non capisce troppo bene come la sua vecchiaia potrà passare e sospira.- - Ho una bella sorpresa per tutti.... - dice la signora d'Aufran - per tutti quelli che sono stati buoni. - Che cos' è? - domanda Maurizio curioso. - Che cosa direste - riprende la signora d'Aufran abbassando il tono - se vi portassi una sorellina? - Una sorellina! - I tre fanciulli hanno fatto questa esclamazione ad una voce e con lo stesso tono deluso. - Sì, so che non vi piacciono le bambine, ma questa è così carina! - Uhm!... - fa Maurizio. Francesco è atterrito. Alano pure. - Sì, - continua la giovane signora - ho adottato una bambina. - Anche tu! - grida Francesco. La mamma sembra maravigliata. - Come anch' io? Ne hai forse adottata una anche tu? - No, - borbotta Francesco. - Ho detto così per dire.... - Una povera bambina infelice, senza genitori. Ho pensato che vi assocereste alla mia opera buona essendo buoni e gentili con lei. - I tre fanciulli si guardano con un'espressione imbronciata e afflitta. Come sono statì stupidi a non scrivere subito alla mamma la storia di Nicoletta!... Perchè, certamente, non possono adottarne due, ed è quella della mamma che resterà.... E la povera Nicoletta dove andrà? A meno che non provino a non accettare questa qui. E Francesco comincia: - Una bambina.... - Noi non vogliamo bambine, - dichiara Maurizio con energia. - Non quella.... - Perchè non quella? Ne vuoi un'altra? - No, - dice Maurizio - bambine, no. - Ma questa è tanto infelice! Vorreste rimandarla via? - È qui?... - domanda Alano. - Si annoierà con noi, - dice Francesco con un po' d' ipocrisia. - Una bambina con tre ragazzi, capirai, mamma.... - Se fossero due, - comincia Maurizio, il quale pensa che dopo tutto, quanto ad adottare bambini, tutto sta nel cominciare. Perchè non prenderebbero anche Nicoletta, insieme con « quella della mamma »?... - Ah, no! - protesta la mamma. - Io ne voglio soltanto una. Se voi non ne volete nessuna, oppure due, non potremo intenderci. Allora nessuna? Devo rimandar via questa poverina? - I tre fanciulli sono molto imbarazzati. E la mamma chiamava quella una bella sorpresa?! - Ebbene, - dice la signora d'Aufran - andate ad aprire quella porta, e dite voi stessi a quella povera bambina di andarsene. - Poverina! - esclama Francesco. Dopo tutto, se i ragazzì accettano quella fanciulla adottata dalla loro mamma, perchè la mamma alla sua volta non accetterebbe la loro? E tossicchiando per rischiarare la voce, egli prende la parola: - Ebbene, mamma, prendila, ma a una condizione.... - No, no, no! - protesta la mamma mettendosi le mani agli orecchi. - Niente condizioni! E con grande stupore dei ragazzi chiama: - Matù! - Prima che i fanciulli abbiano capito, la porta si apre e.... la loro figlia Nicoletta, fresca e ben vestita, entra. Non vi sono parole che possano descrivere questa scena. Grida, risate, baci, Maurizio che balla vertiginosamente, spiegazioni confuse e sconnesse.... Ma alla fine s' intendono, e i tre babbi, lieti di ritornare fratelli, sono ancora più felici che la mamma abbia accolto così bene Nicoletta. - Sì, - dice la mamma un po' severa - non voglio sciuparvi questa bella giornata sgridandovi, e rattristare Nicoletta, ma sono però molto afflitta di tutte queste menzogne. - L' intenzione era buona, però, - obietta Alano. - Non erano bugie cattive, - aggiunge Maurizio. - Una bugia è sempre cattiva, - riprende la mamma. - Perchè non mi avete scritto? - Francesco riprende la parola: - Avevamo paura di farti interrompere la cura, mamma; ed eri così sofferente, quando partisti! - Infine, - dice la mamma - per oggi non ne parliamo più: è giorno di gioia. - Ma ecco che arriva Maria, la quale non riesce a capire la storia se non dopo molto e molte spiegazioni. La sua

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. - Noi non ne abbiamo, - dice Maurizio tristemente. - La mia, la mia bella Fioretta, è rimasta dalla mamma Duflet. - Se tentassimo di andare a cercarla? - propone Alano. Francesco alza le spalle. - Se le riportassimo anche Nicoletta? - aggiunge con disprezzo. Ma, per calmare Nicoletta, che ha preso quel discorso sul serio, spiega che lo ha fatto per burlarsi di Alano. - C' è la bambola della mamma, - dice Maurizio. - È vero, la bambola della mamma quand'era piccina, - Oppure la bambola del salotto, quella bella grande che è seduta sul cuscino, e che la mamma chiama il suo portafortuna. - Quella che il comandante Grey le regalò per il suo compleanno? - Sì.... Che idea, regalare una bambola a una signora! - Questa sarà adatta per Nicoletta; ma a quell'altra, lo sai, Francesco, la mamma ci tiene troppo e potrebbe inquietarsi se gliela prendessimo. - Sì; - aggiunge Alano - eppoi credo che sia ben rinchiusa. - Quando prenderemo la bambola del salotto? - E chi andrà a prenderla? - Le domande s' incrociano, ma è sempre Francesco, il maggiore, che risponde e decide: - Maurizio, fra poco, all'ora della merenda, si nasconderà, e mentre Maria ci servirà, prenderà la bambola e salirà qui di corsa. Così potrai giocare, - continua, rivolgendosi a Nicoletta - perchè, capirai, non potremo stare sempre con te, altrimenti dubiterebbero di qualche cosa. - Il visino di Nicoletta si oscura. - Ma verrete spesso? - chiede. - Sì, molto spesso. - Troveremo qualche scusa per venire in soffitta,- dice Alano. - Bisogna cercare.... - La voce di Maria, che li chiama disperatamente, li inquieta e li turba. - Scendiamo presto, - dice Francesco - che non salga quassù a cercarci! - Prima che Nicoletta abbia il tempo di rendersi conto di ciò che succede, i tre fanciulli sono scomparsi come fantasmi. La fanciulletta siede sulla graziosa poltroncina un po' zoppa che Alano ha scovato per lei, appoggia la testa bionda sulla spalliera e riflette. Pensa alla sua nuova famiglia, ch'ella stessa si è scelta; pensa che non sarà forse sempre molto piacevole stare rinchiusa in quella soffitta. Ma che importa? Tutto è preferibile a quella mamma Duflet così cattiva. Sente che i suoi nuovi amici le vogliono già bene, e, senza cercare altro, il suo povero cuoricino tenero, bisognoso di affetto, sussulta di felicità. A sette anni non si può riflettere alle conseguenze di un'adozione in una soffitta; e i tredici anni di Francesco non hanno dimostrato di rifletterci di più. C' è un'altra cosa alla quale Francesco non ha pensato e che comincia a impensierire Nicoletta. E quando Maurizio arriva tutto scalmanato porgendole la maravigliosa bambola, che non è affatto un giocattolo, ma un oggetto artistico, Nicoletta può appena esprimere la sua ammirazione. Misteriosamente, a voce bassa, la fanciulletta confida il suo tormento a Maurizio. Questi la prende per la mano e la conduce fuori della soffitta. - Là, - indica il ragazzo, mostrando una porta che dà sulla scala tra la soffitta e il piano inferiore. - Ma non andarci di sera; Maria e Leonia ti sentirebbero. Capisci, è quello delle domestiche.... Ma non fa niente, vero? - chiede con voce ansiosa. E, rassicurato da Nicoletta, egli la riporta dietro il paravento con la sua bambola e se ne va. Quando arriva alla porta un' idea lo trattiene, torna indietro correndo, passa le braccia intorno alle spalle di Nicoletta e la bacia teneramente. - Oh, Maurizio, - dice la fanciulletta, con gli occhi brillanti di lacrime di gioia - come vi voglio bene a tutti e tre! - E Maurizio, convinto, risponde: - Anche noi, sai, Nicoletta; e ti custodiremo bene. - Una bambina!... Se Maria li vedesse! Intanto Nicoletta è in estasi davanti alla bambola. Non ne aveva mai sognata una così bella! È quasi troppo bella! Nicoletta è un po' intimidita:

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- Noi abbiamo già fatto merenda, stai tranquilla: abbiamo avuto ognuno la nostra fetta di pane con la marmellata, e Maria non si è accorta di nulla. - Francesco spiega a Nicoletta che, mentre Maria si voltava indietro, ha tagliato una fetta di pane e lo ha nascosto. Alano poi è riuscito a prendere la marmellata dal vaso, quasi sotto il naso di Maria. - Vedrai, - esclama Maurizio con aria disinvolta - ci sapremo disimpegnare! - Nicoletta è infatti molto tranquilla: ha fiducia nell' iniziativa dei suoi amici. Senza poter esprimere i suoi sentimenti, si rende perfettamente conto che quello che avrà dai suoi tre amici sarà sempre migliore del pan secco e condito di cattiveria della Duflet.

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. - E poi, - aggiunge Maurizio con aria d' importanza - la mattina abbiamo da fare i compiti delle vacanze. - E se Maria non ci vedesse nella nostra stanza a lavorare - dice Francesco - si metterebbe in pensiero e comincerebbe a cercarci. Nel pomeriggio facciamo quello che vogliamo, invece. - E così, - riprende Maurizio - Alano ha nascosto uno dei suoi calzini e Maria lo cerca.... e noi abbiamo messo ognuno la metà del nostro latte nella tazza che Francesco aveva nascosta nel suo studio, poi abbiamo chiesto delle fette di pane. Maria è molto contenta quando abbiamo appetito. - Quando avrai fatto colazione, - dice Francesco - ti farai toelette; poi farò finta di andare a domandar qualcosa allo zio nella biblioteca, qualcosa per lavorare, s' intende, e salirò per pettinarti. Non piangerai, vero, se ti tirerò un po' i capelli? - domanda molto inquieto. - Capirai, non ho mai pettinato dei capelli così lunghi. - Nicoletta scuote la testa. - Se tu sapessi come me li tirava la mamma Duflet! E come gridava, se piangevo! - Sbrighiamoci, Francesco; - dice Maurizio con inquietudine - mi par di sentire la voce di Maria. - I due fanciulli scendono la scala correndo. La voce di Maria si fa udire, infatti, ma per rimproverare Alano d'essersi messo il calzino tanto cercato, nella tasca dei calzoni. - Forse - dice tranquillamente Alano, mettendosi le scarpe - l' avrò preso per un fazzoletto. - Benone! Ditemi che vi ci siete anche soffiato il naso! - esclama Maria furibonda. - Forse lo zio Fil lo avrebbe fatto, - replica Alano. - Il signor Fil fa quello che vuole, - dice Maria spazientita. - Anch' io! - esclama una vocina. - E voglio abbracciarti. E prima che Maria, in ginocchio per abbottonare le scarpe ad Alano, abbia avuto il tempo di muoversi, Maurizio le salta addosso, la rovescia all' indietro e le stampa un grosso bacio sulla guancia. - Via, via, signor Maurizio, non fate il matto, - brontola Maria, che, in fondo, è contenta poichè

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Orsù, abbiamo chiacchierato abbastanza, e m' impedite di fare il mio lavoro. Signor Francesco, siate ragionevole: fate lavorare i vostri fratelli. - È molto difficile fare problemi e analisi quando si hanno delle preoccupazioni, e i tre ragazzi pensano assai più alla loro «figlia» che ai compiti. La « figlia » è molto savia, e Francesco la trova a cantar la ninna-nanna alla bambola. Egli giunge con un pettine, una spazzola e un gran libro. - Qui son descritte le avventure di Beccaccino, - dice. - Ma tu non sai leggere e non ti divertirai tanto. Se vuoi, t' insegnerò a leggere. - Oh, sì! - dice Nicoletta. - La mamma voleva farlo, ma era sempre malata e non aveva la forza di muoversi. - T' insegnerò io, - ripete Francesco. - Intanto ti pettinerò meglio che mi è possibile. - Ahimè, è un terribile compito, quello a cui si accinge, e benchè tanto lui che Nicoletta diano prova di una pazienza angelica, la

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- Ma Francesco non è perfettamente in buona fede quando risponde: - Come vedi, ho fatto bene, poiché ne abbiamo bisogno. - Io, - dice Alano - propongo di far leggere Nicoletta quando

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. - Al primo piano; non abbiamo il tempo di scendere. - Presto, presto, - dice Francesco. - Usciamo dalla soffitta. Non aver paura, Nicoletta. - E, come un. buon capobanda, Francesco ha organizzato, in un batter d'occhio, il suo piano di difesa. Egli tiene in mano il ritratto, e insieme coi suoi due fratelli scende la scala a passi di lupo. Prima che la povera Maria, poco svelta, sia arrivata nello « studio », i tre ragazzi sono seduti su uno scalino a mezza strada tra la soffitta e il piano inferiore. E quando Maria apre la porta e vede, con suo grande stupore, la stanza vuota, ode tre scoppi di risa e tre voci allegre sopra a lei. - Benissimo! - Ti abbiamo sorpresa! Curiosa! - Così imparerai! - La vecchia sale i tre scalini e vede i tre fanciulli. - Oh, mi avete sentito salire? - dice ingenuamente. - Perbacco! - Ti avevo raccomandato di non disturbarmi, - dice Francesco in tono severo. La povera Maria è umiliata. - Io non volevo disturbarvi, signor Francesco. Soltanto, avevq dimenticato di avvertirvi che esco. Tornerò per l' ora della merenda. - Va bene, - risponde Francesco in aria maestosa. - Per questa volta ti

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. - Oggi no, grazie; - risponde Francesco con una cert'aria d' importanza - abbiamo una cosa da fare per il ritorno della mamma e siamo già un po' in ritardo. - Quando ritorna la vostra mamma? - domanda la signora Bord. - Ci scrive che vuol ritornare presto, signora, - dice Francesco - che si annoia, e che sta molto meglio. - Non dice quando ritorna? - No, signora, vuol farci una sorpresa. - E se arrivasse giovedì? - osserva Alano. - Oh, addio passeggiata! - dice Giovanni Bord con aria desolata. - Sarebbe per un'altra volta. Pazienza! - La signora Bord cerca di consolare suo figlio: Maria prende la parola. - Io credo che la signora non ritorni giovedì; le scrissi ieri, e sa che andiamo al bosco proprio giovedì. E poi credo che il suo medico di laggiù non la lasci partire così presto. - Arrivano intanto gli Aubry con la loro istitutrice, poi i piccoli Dumont, e tutti i bambini che giovedì devono andare al bosco delle Fate. E allora si parla soltanto della passeggiata e delle belle partite che si faranno in quel giorno. I tre babbi hanno quasi dimenticato la loro figlia! Quella domenica è una giornata molte tranquilla per Nicoletta, poichè dopo il desinare Maria e Leonia vanno al vespro, poi Leonia ritorna a casa, e Maria, che ha preparato la merenda prima di andarsene, non ritorna che dopo le sei. I ragazzi hanno il tempo di divertirsi, di gridare e anche d' incominciare a giocare a nascondino nelle due soffitte. Ma devono smettere subito perchè il passo pesante di Leonia fa rintronare la scala ed essa viene a vedere perchè fanno tanto fracasso; ma crede di aver sognato quando trova Francesco nello «studio» che dipinge, e Alano e Maurizio che posano. Essa non si accorge come la mano di Francesco tremi, nè come Alano sia tutto trafelato e Maurizio tutto rosso; e non vede neppure, dietro le imposte della finestra che si muove, la fanciulletta, il cui cuore batte precipitosamente. Sarà ricondotta dalla Duflet, se Leonia la scuopre? No, Leonia non si accorge di nulla e se ne va dicendo: - È strano, come di giù si senta un gran rumore. Dev'essere nella casa accanto. - Se ne va tranquilla, e, in fondo, piena di ammirazione per quei tre ragazzì «buonì come bambine ». - Ah, che paura ho avuto! - esclama Nicoletta uscendo di dietro all' imposta. - Anch' io, - confessa Maurizio. - Non avrei mai immaginato che si sentisse il rumore di giù, - dice Francesco. - Perchè anche Leonia non va a passeggio la domenica? - Temono per noi, - risponde Francesco. Infatti i ragazzi hanno più d' un malestro sulla coscienza, e i giorni in cui sono stati abbandonati a se stessi, sono segnati sul calendario di casa come giorni nefasti. La giornata finisce tranquillamente, i ragazzi sacrificano a Nicoletta la loro partita di calcio; la faranno più tardi, quando Maria sarà rìtornata, o dopo cena, se sarà ancora abbastanza giorno. Per divertire Nicoletta organizzano una grande partita di steeplechase, lo steeple su tappeto verde regalato dal comandante Grey ai tre fanciulli. E Nicoletta è così estasiata nel vedere il suo cavallo arrivare il primo al palo, attraverso i mille ostacoli del giuoco, e ride con tanto gusto nel vedere Maurizio e Alano sempre perdenti, che i ragazzi non si sono mai divertiti tanto col loro steeple. Soltanto lunedì Francesco, a sua volta, ha una idea e la espone ai suoi fratelli, nel giardino, sotto l'albero grande, dove sono soliti tenere i loro conciliaboli. - Ecco, - spiega - non è necessario che stiamo a casa tutti e tre. Basterà che resti uno di noi.... e propongo che quello faccia tante monellerie da qui a giovedì, che Maria sia obbligata a punirlo privandolo della passeggiata. - I due fratelli sono convinti, una volta di più, che il loro fratello maggiore è proprio un «tipo geniale», come dice Mano. - Bastava pensarci, - dice modestamente Francesco. - Chi di noi? - domanda Maurizio. A questo punto la situazione si complica sempre Maurizio che ha l'abitudine di fare più monellerie degli altri, ma è anche il più piccolo e il beniamino di Maria, e i due più grandi lo sanno. Perchè c' è il caso che Maria gli perdoni tutto per non privarlo del divertimento. - E poi, - aggiunge Francesco - a Maurizio dispiacerà di più di non andare al bosco delle Fate. Per me, invece, fa lo stesso, se rimango in casa. - Anche per me. - Anche per me.... Voglio fare quante più monellerie potrò; - dice Maurizio - ma avevo proprio voglia d'esser buono in questi giorni, ed è molto difficile esser cattivi, quando ce lo dicono.... - Ti occorre qualche ispirazione? - domanda Francesco, serio. - Proprio, - risponde Maurizio, che sdegna l' ironia. - Vuoi che tiriamo a sorte per vedere chi dovrà farsi punire?

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. - Questa è un' idea luminosa, - dice - è la migliore idea che abbiamo avuta. Va' subito a vedere Nicoletta e fatti dire con precisione tutto ciò che ha. - Pochi istanti più tardi, Maria, entrando nella stanza da studio, trova Alano appoggiato sulla tavola, con aria sofferente e gemendo.

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Abbiamo una lunga giornata di tranquillità davanti a noi e ci divertiremo, vedrai. - Come sono contenta, come sono contenta! - esclama Nicoletta saltando dalla gioia e battendo le mani. - Cercherò di farti vedere la casa.... Leonia non si muove mai dalla sua cucina, e credo che sarà facile. - Questo mi farà un gran piacere! - dice la fanciulletta. - Ma lo zio Fil? - Ah, lui non lascia mai la biblioteca! Credo che potremmo entrarvi pian pianino senza che lui se ne accorgesse. - Francesco non può rimanere molto con Nicoletta; teme che Leonia venga a vedere come sta e non vuol far dire d'esser guarito prima del desinare. Torna dunque a mettersi nella sua poltrona, e infatti Leonia non sta molto a venire. - Non è gonfiato? - domanda, parlando del piede malato. - No, Leonia. Guardate! - Com' è naturale, il piede di Francesco è perfettamente normale, ma Leonia, suggestionata, è disposta a trovarlo un po' più grosso dell'altro. - In casa mia, - dice essa - vi guarirebbero, signor Francesco, mettendovi il piede nell'acqua fredda. Volete provare?... - Ma, certo, Francesco vuol provare e con gran docilità si lascia curare da Leonia, che ha la soddisfazione di sentirlo dire, poco dopo, che va molto meglio e che quell'acqua fredda lo ha quasi guarito. - Guardate, Leonia; posso posare il piede in terra. - Allora, non c' è più bisogno del medico! - dice Leonia, rapita. - Ah, Maria mi fa ridere! Per un nonnulla correrebbe dal medico.... Da noi, delle buone tisane, acqua fredda per le enfiagioni.... e si guarisce senza tante spese. I medici, li ha inventati la gente di città. - E Leonia, orgogliosa della sua cura, ritorna ai fornelli, mentre Francesco, lieto di poter considerarsi guarito attribuendone il merito alla cuoca, sale da Nicoletta. Per i due fanciulli è davvero una bella giornata. Dopo il desinare Nicoletta prende la lezione di lettura, nella quale fa molti progressi.

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Ridi ridì

206249
Piumini, Roberto 1 occorrenze
  • 1997
  • RCS
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Prima di Roberto Piumini non abbiamo propriamente avuto un altro come lui, o forse non è bene cercarlo nella storia della letteratura per l'infanzia. Infatti l'immagine che aiuta meglio a comprenderlo non proviene dai seri scaffali di una Biblioteca per ragazzi, ma da un film di Fellini, quello in cui si vede Federico bambino che spia ciò che avviene entro it tendone di un piccolo Circo. Si sente bene che Roberto ama e ha amato l'Avanspettacolo, il Teatro dei Burattini, la Rivista, la comicità di strada, il Cabaret, le canzoni improvvisamente scaturite da un juke box mentre in un pomeriggio d'estate era lì che corteggiava una ragazza e quel suggerimento l'ha anche molto aiutato. Non ci sono l'Alto e il Basso nei giochi linguistici di Roberto, c'è, invece, una grande battaglia perenne tra l'Autentico e l'inautentico, dove Roberto scompiglia le carte, cattura una rima, scompagina l'alfabeto. In questo nostro Maestro, così ricco di trame, di idee, di intrecci, di descrizioni, di parole, noi troviamo un tesoro che oggi ci è tremendamente necessario. Contro lo Stereotipo, contro la lingua pigra, sordida, avara e volgare, ecco le alchimie di un giocoliere sempre spassoso e sempre civile. La storia meno recente della letteratura per l'infanzia è fatta di oneste zie che ammonivano in nipoti annoiandoli fino alla disperazione, come fa la zia in treno nel Narratore di storie di Saki. La storia attuale è fatta di frequenti depositi di rifiuti da cui scaturiscono escrementi e immondizie già utilizzati nell'Isola dei famosi e in Affari tuoi. Roberto ritrova invece l'antica saggezza di Sancio, riscopre l'intatta sapienza di Bonaventura, le peripezie di Pampurio, gli sberleffi di Bibù e Bibò, la poesia lieve delle Noccioline, la sconvolgente musicalità dei proverbi popolari, le sapienti proposte dei lunatici di paese. E va avanti a produrre, a studiare, a inventare, per nostra e vostra fortuna. ANTONIO FAETI

Angiola Maria

207066
Carcano, Giulio 5 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Una sera, la settimana susseguente al giorno che abbiamo descritto, sedevano appunto a circolo, nella bottega dello speziale, il signor curato, l'agente comunale e il vecchio signorotto. Era costui uno di que' piccoli nabab del lago, specie di persone affatto particolari del paese; uno di quelli che, partiti in gioventù col bastone e il fardelletto del merciajolo sulle spalle (nel contado li chiamano barometta), vanno pellegrinando per Francia e per Inghilterra; e fatto un po' di fortuna tornano alla casupola in cui nacquero, la fanno rifabbricare più alta d' un piano, poi intonacare di bianco, e ivi riposano il resto della vita, facendosi dar del signore, e raccontando mirabilia di tutto quel che han fatto o veduto. Il curato poi era un uomo sui sessant'anni, di fisonomia benevola, di persona ritonda e soda, in somma una buona pasta di vecchiotto, che pareva fatto per vivere in santa pace ì suoi cent'anni: di costume era piacente, purchè non gli mettessero la mattana addosso, com'era non di rado, la fiocaggine d' una infreddatura toccata nel quotidiano passeggio sulla bass' ora, o la noja d' una stentata digestione, dopo un desinare d' etichetta, presso alcuno dei signorazzi che villeggiasse nella contrada. Il curato dunque, il quale, al suo solito, stavasene a grande agio sdrajato in un seggiolone, che il signor Samuele aveva collocato nel miglior cantuccio della stanza, proprio per il signor curato exclusive (così egli soleva dire), leggeva al lume di una fumosa candela, la gazzetta arrivata allor allora per il procaccio del distretto. I tre circostanti pendevano da quella lettura, come la gente del buon tempo antico dalle parole dell'Oracolo: solamente il signor Gaspero (quest'era il nome del vecchio signorotto) dimenava qualche volta il capo, in atto di dissentimento, o sogghignava con un cotale suo vezzo lasciando vedere due file di denti lisci e ben saldati. Lo speziale e l' agente, a bocca aperta, stavano intenti alle parole del curato, che leggendo piaceva si di framezzare quelle politiche novità d'alcune sue chiose e considerazioni; giudicate voi se fossero profonde! - « Il ministero Inglese, se si deve prestar fede ai rumori che corrono, sta per mutarsi. » - « L'ho detto io, che la doveva finir così! Era impossibile durarla!... Non c'è stato buon sangue mai, mai, tra que' signori delle Camere e i ministri! La è curiosa da vero, voler governare loro signori, e non esser d' accordo mai nel darla la legge! eh! eh!... » « Proprio tal quale nel nostro convocato, dove ognuno vuol dire il suo sproposito! » commentò l' agente del Comune. « Sì! sì! ma, zitto! badate. » - « Dicesi che lord*** voglia dare la sua dimissione. Jeri mattina, Sua Grazia s' è recato dal Re; e si pretende che quanto prima il nobile lord deporrà nelle mani di S. M. il portafogli. » Ma bravo! così avrei fatto anch'io! deporre il portafogli! bravo il mio lord***! » « Se la crisi si verificasse, e se così di subito il ministero fosse disciolto, il partito de' whigs ne scapiterebbe, perchè, attesa la chiusura delle Camere, le notevoli riforme, che stavansi maturando dai radicali, sarebbero aggiornate fino alla nuova sessione; e la buona riuscita ne diventerebbe più ardua. » - « Conseguenza chiara come il sole! » « Il partito dei whigs? Cos' è questo whigs? » saltò su a domandare, con una smorfia innocente, l'agente comunale. « E i radicali?... Cosa voglion dire? » chiese anch'egli il signor Samuele. « I whigs? i radicali? » rispose il curato, con un' aria di compassione. « Cosa sono?... Se nol sanno nemmen loro cosa sieno! I whigs sono un partito, i radicali sono un altro partito; e voi sapete che i partiti, non si domanda cosa sieno: gente nemica di altra gente! Ma i galantuomini non sono di nessun partito; perchè galantuomo è chi vive in pace con tutto il mondo.... Oh, andiamo innanzi. » « Adagio, adagio! » prese a dire allora, con un far d'importanza, il signor Gaspero, che fra coloro era tenuto in conto d'uomo di gran criterio, perchè aveva veduto al mondo più che Ulisse, al suo tempo, dopo la caduta di Troia. Egli, intanto che il curato parlava, aveva sorriso fra sè e sè con una compiacenza segreta. « Se volete, vel dirò io cosa sono i whigs inglesi! Dovete sapere che là, come dappertutto, i signori e i poveri diavoli si guardan di traverso, per gelosia, per invidia, per prepotenza, che so io.... e cercano sempre di farsela gli uni agli altri.... perchè nel mondo, vedete, la cammina così! I primi dunque si chiamano i whigs, gli altri i tories, mi pare.... o viceversa: ch' è poi lo stesso, perchè non è il nome che fa la cosa. Avete capito? Adesso continui pure, signor curato. » - « La compagnia delle Indie Orientali tenne nella » passata settimana una sessione, alla quale sono interve- nuti, eccetera.... » - « Salto questo paragrafo e questa filza di nomi indiavolati, perchè non la mi pare notizia di peso. » « Ma però, mi dicar di grazia, » tornò a domandare lo speziale: « che compagnia è questa? l'ho udita menzionar le tante volte nella gazzetta. » « Dev' essere » rispondeva ancora il curato « una società d'uomini dotti, filosofi, letterati e simil gente, i quali da lungo tempo hanno mandato in que' paesi a cercarvi le Antichità; con che fine poi, non so. » « Oh! oh! ma lei s' inganna, caro signor curato! » lo interruppe un'altra volta il signor Gaspero, col suo risolino. « La compagnia delle Indie è una società di negozianti, tutti ricconi sfondolati: altro che letterati! altro che dotti! » « Ohibò! questa poi non me la bevo, » replicava il curato, stizzito per quella nuova interruzione, e punto sul vivo. « So ben che lei mi canzona! Cosa devon fare de' negozianti in que' paesi di barbarie, di miseria? Ma solamente la spesa del viaggio!... E poi, là.... con quelle belle usanze d'impalare e bruciar vivi!... Se lo sanno i poveri missionarii, a cui tocca di portare un poco di vita cristiana fra quei diavoli incarnati d'Indiani!... Negozianti? oh! oh! » « Ma io l'ho veduta l'Inghilterra, sa lei, signor curato? l'ho girata in lungo e in largo; e di questi Marc'Antonii, che parlan di milioni, come noi di scudi, io n' ho veduti e conosciuti parecchi, come conosco lei. E a me bisogna credere, chè de' paesi n'ho attraversati tanti, che quasi non me ne ricordo più i nomi. » « Sarà un' altra compagnia; ma questa non può essere.... » « Eppure, caro signor curato, questa volta.... » « Scommetto che non è una compagnia di mercanti.... » « Che la fosse una compagnia comica?.... » domandò, per vedere d'accomodar le partite, l'agente comunale. « Eh! tacete voi!... » - E qui il povero curato, che in tutto il tempo di sua vita non aveva mai viaggiato più in giù di Como e più in su di Colico, sentiva scaldarsi il sangue, e fissando il suo contraddittore:« Questa volta, dice? eh! mi pare anche a me d'aver letta la mia parte di buoni libri, e ciò val tanto quanto il suo aver viaggiato, perchè quelli che scrivono han sempre ragione, e ne sanno un po' più di me e di.... dunque, per dincibacco! mio caro signor Gaspero, posso aver ragione io, e lei torto!... » « Ma la si quieti, signor don Gioachino, e mi badi.... » « Eh le zucche! » continuava l' altro, gettando sulla tavola la gazzetta, con una stizza da non dire. « Lei l' ha sempre con me; gli è un peno che me ne sono accorto. » « Io?... » « Sempre contraddirmi, sempre! tutto! È cosa incredibile! Scommetto che, se dico che adesso è notte, lei sosterrà ch'è giorno chiaro! È proprio un dispetto! » « Ma, caro signor curato, la si calmi!... » « Ma lei ha ragione! ma sarà come vuole.... » E, così dicendo, lo speziale e l'agente a stento lo trattenevano nel suo seggiolone, che già stava per alzarsi sdegnosamente, e aveva ripigliato la canna e il cappello per andarsene. Nè poco ci volle per farlo rimanere: andava borbottando che già s'era fatto troppo tardi, e ch'egli aveva la testa a ben altre cose che a quelle bazzecole: così, mulinando fra sè stesso, tirava fuori a ogni momento dal taschino il suo grosso oriuolo d'argento, e studiava le ore e i minuti. Il signor Gaspero, che dal canto suo ben sapeva d'aver ragione, trascinandosi la seggiola dietro, aveva voltate le spalle al curato, e susurrava anch'egli: « Che ignorante ostinato! Sicuro, quest'oggi ha fatto una cattiva digestione. » E forse la cosa non sarebbe finita così, se in quel momento non foss'entrato nella bottega, con un far frettoloso, straordinario, e con una ciera tutta nuova, il signor dottore. « Gran novità, signori! una cosa che non m'è capitata mai: indovinate mo, signor Samuele, donde vengo! « Che so io? Da un'avventura galante. » « Eh! non ho di questi belli spassi! E lei, signor Gaspero? » « Ma.... non saprei! forse da una vincita a' tarocchi? » « Eh via tutt'altro. » « Ma dunque da che? » domandarono a una volta l'agente e lo speziale. E il dottore con voce seria, bassa, come rivelasse un mistero: « Torno in questo punto dalla villa*** , dove fui chiamato per visitar quel signore inglese , quel lord, ch' è venuto a starvi due mesi fa, e che adesso minaccia dì lasciar qui le ossa! » « Oh !... » sciamarono in coro lo speziale, l' agente, il curato e il signor Gaspero. « Se la è così » soggiunse poi il primo d'essi, « voi gli avrete dunque parlato a quest' uomo così ricco e così arrabbiato, che nessuno ancora ha veduto, ch' è tampoco, perchè se ne sta sempre chiuso laggiù nel palazzotto, come l'orso nella sua tana. » « Dite, l'avete veduto? » « Veduto? no; veduto veramente, no! » « Come? bravo dottore! » disse ridendo sonoramente il signor Gaspero. « Ma che razza di visita gli avete fatto? » « Dirò, ecco qui la cosa. Io me n' andava stasera, solo e quieto a casa mia, al batter delle nove, e stavo per metter la chiave nella toppa, quando mi si fa incontro, e mi ferma, tagliando l'aria con un gesto, un uomo alto, vestito di nero, meglio ch' io non sia. Domando che cosa voglia; non risponde, toglie fuor di tasca una letterina e me la consegna. Io non poteva leggerla al chiaror di luna; dunque entro in casa, e invitato colui a salire, gli domando se aspetti risposta; mi fa segno col capo di no, e si pianta ritto, là, presso la porta. Salgo le scale, chiamo mia sorella Cecilia, che corra col lume: era al buio ancora, la stordita! Basta, quando Dio volle, essa comparve col candeliere, e io, che moriva dalla voglia d'uscir di dubbio, apersi la lettera; era linda, lucida, scritta d'un caratterino d'amore, bello da baciare.... » « O dottore, lei torna giovine di vent' anni! » disse il signor Gaspero. « Eh! confesso che alla prima la credetti una dichiarazione amorosa.... Era firmata Elisa Leslie.... ma letto ch' ebbi, altro non diceva, se non che subito, in segreto, dovessi andare alla villa, dietro il latore del biglietto, per la premura d'un malato. Discesi dunque, e detto: - Son qua, - seguitai l'uomo nero e muto, che poi seppi essere un cameriere del lord. Mi fece entrar nel palazzo per una porta nascosta, e per un andito nella cucina: di là, salita una scaletta torta e buia, mi mise dentro uri salotto, dove mi disse d'aspettare, e mi piantò solo. Alla fine, comparve una bella giovine, una delle figliuole del lord.... Non vi ricordate d'averle vedute talvolta a diporto giù per il lago?.... Bene, era la più grande, la più smorta delle due; essa mi salutò con grazia e, tutta affannosa, mi pregò di non parlare con anima viva; che l'ammalato era suo padre; che da lungo tempo una tetra malinconia lo travagliava, e che, pochi giorni innanzi, al ricevere non so quali cattive notizie d' Inghilterra, aveva avuto un accesso di forti convulsioni, per cui gli s'era risvegliata una tosse sanguigna; che nella mattina poi, le convulsioni e la tosse avevano spiegata una spaventosa violenza. La povera giovinetta parlava e insieme piangeva, e mi scongiurava le salvassi suo padre. Fu allora che, fatto un passo, domandai di veder l'ammalato; e la fanciulla: - Oh gli è impossibile, disse trattenendomi; mio padre non vuoi vedere nessuno, nessuno fuor di me e di mia sorella; l'ha giurato! nè, per quanto noi lo pregassimo , non ci permise di chiamare un medico; non fa che ripetere di voler morire!... - E bene, cosa avrei dovuto fare? come vedere, conoscere, ponderare?... Avevo un bel replicare: Senza la diagnosi, come si fa? - la fanciulla tornava da capo a pregare, a piangere. Era un impiccio nuovo per me!... Pensai, studiai, diedi un' occhiata mentale a tutta la mia teoria, perchè pratica sui lord non ne ho mai fatta.... infine, scrissi queste pozioni e quest'empiastro, che faranno o no, come Dio vuole. E ora, a voi signor Samuele! spedite le ricette; premura e attenzione chè ci avrete il vostro conto! » E gittò sulla tavola dello speziale due lunghe indicifrabili scritture, che preparavano, sa il cielo, quali nuove misture! Il signor Samuele si piantò gli occhiali sulla gobba del naso, e si mise a studiarle. « Ora viene il buono » continuava il dottore; « io aveva raccomandato alla signorina una rigorosa cura morale e uno scrupoloso trattamento dietetico dell'ammalato, e lei mi congedava col miglior garbo del mondo, ringraziandomi mille volte - manco male! Partita appena, tornò il cameriere, e cavandosi con atto di singolar rispetto il cappello, mi mise nelle mani un cartoccetto, e m' accompagnò fino alla porticina. Io presi la via verso il paese; e cammin facendo, il raggio della luna, che stasera è sì bella e tonda, mi fece naturalmente pensare di guardar nella cartolina: l'apersi, guardai.... mi pareva e non mi pareva una moneta piccola, gialla.... oh! oh! fosse oro! Il cuore mi battè subito; e qui giunto, entrai nel primo uscio, dove vidi lume.... dite mo? era un luigi d'oro, un buon luigi doppio, perché gl'Inglesi non contan che luigi e ghinee.... Ecco qui! » - e tolse fuori la moneta ancora incartocciata - « non è vero, signor Gaspero, lei che n'avrà vedute di questa razza, non è genuino, di peso?... Che bel curare i lord! La è un'avventura questa? vi pare?... Qui non ci son baie. » « Ma bravo dottore! queste sono visite di nuova stampa per voi, » disse il signor Gaspero. « Oh sì! proprio.... nè sarà l'ultima, spero. » « Bravo, bravo! ma quel lord! chi sa mai quel che ci cova qui sotto? » soggiunse l'agente. Lo speziale intanto aveva messo sossopra la sua officina, e ingombrata la tavola d'una folla di bocce, vasi e fiaschetti. Rimboccate le maniche della giubba fino al gomito, stava stemperando e mescolando ungenti, siroppi e giulebbi, con uno scrupolo di scienza, degno di que' due barbuti figuroni, onde un vecchio pittore comasco aveva istoriate le grosse imposte della sua bottega, che volean dire Ippocrate e Galeno.

Era densa, la comare Caterina, venuta a Milano in compagnia del signor Gaspero, quel vecchio possidente che abbiamo incontrato più d' una volta, in questa storia nostra semplice e nostrale. Costui, ricevuta una lettera del procuratore, al quale la signora Giuditta s'era raccomandata, e inteso di che si trattasse, senz' indugio aveva persuaso alla Caterina quel piccolo viaggio; condottala con sè Como, di là noleggiata una vettura, accompagnò egli stesso a Milano, dove per abitudine capitava sempre una volta all' anno. Maria era accorsa alla finestrina del cortile. Ella guardò, vide di lontano la madre congedarsi dal suo compagno di viaggio, ne intese la voce, dimenticò tutto. Pochi momenti appresso, Caterina stringeva tra le braccia la sua povera figlia, e Maria nascondeva sul seno materno il viso, che solo per un istante si tinse ancora del suo vivo colore. Senza piangere, senza parlare, stettero così in quel dolce e prolungato abbracciamento: pareva che la fanciulla non volesse distaccarsene più. « Maria, mia buona e cara figliuola, » disse alla fine la madre. « Perchè m' hai tu abbandonata? questi sei mesi sono stati sei anni per me! Oh Madonna santa! come ti sei cambiata, povera tosa! non ti riconosco più!... Ma com' è mai che ti trovo qui? non sei più nella casa di quel signore inglese?... E voi, signora Giuditta, e mio figlio.... è qui don Carlo? ma perchè non ho io saputo niente fin adesso?... M' hanno detto ch' è ammalato.... voglio vederlo! dov' è?... ditelo, non mi fate penare!...» Queste molte domande, che alla misera suggeriva tutte in un punto il materno affetto, posero in un bel guaio la vedova; la quale s' era bene accorta come la vecchia comare fosse al buio di tutto. Maria non aveva coraggio di proferire parola; guardava, guardava la madre, senza togliere mai gli occhi da quell'amato volto, in cui la solitu- dine e il dolore avevano in poco tempo solcate più profonde le rughe dell'età. Ma, atteggiata com'era, in muta e affannosa comteplazione, la sua sembianza suscitava nell'anima di sua madre una pietà mista a terrore. Alla fine la Giuditta, fatto un po' di faccia tosta e di cuor duro, pensò: - Qui è meglio parlare; un momento o l'altro, bisogna pur ch' ella sappia tutto.... « Cara la mia Caterina, » prese dunque a 'dire, « non vi crucciate così; fatevi un po' di coraggio. » « Oh misericordia! che altro male c' è?... » « Già lo sapete, a questo mondo i cattivi sono anche troppi, e son sempre gli stracci che vanno all' aria, come dice il proverbio.... Così tocca sempre ai buoni a portare la pena dei tristi.... » « Oh santa pazienzai parlate, non mi tenete qui su le spine.... » « Eh! ognuno ha la sua croce, e c'è chi deve portarla anche per gli altri... E già si sa, bisogna star preparati a tutto.... « A che? ma dite su una volta! parla tu, Maria; che in questo modo ben più mi spaventate, mi fate morire; mio figlio sta forse male? forse.... » « No, no, sta bene, ma.... » « Signore, datemi cuore! ma che?... » Per tutta risposta, Maria non fece che gettarsi un'altra volta nelle braccia di sua madre. E la vedova raccontò tutto quel che sapeva, tacendone però la supposta cagione, per la pietà di Maria. La povera donna non volle credere a nulla; il colpo fu troppo forte, e l' anima sua semplice e piena d'amore non lo sostenne; nè pensò nemmeno a chiedere il perchè di tanta disgrazia: non poteva dubitare che il figlio non fosse innocente; il nome di suo figlio era sempre stato per lei come quello d' un santo. Stanca degli anni e sola, metteva in lui tutto il suo cuore, tutto il suo tenero orgoglio di madre; aveva speranza e vita nell' unico amato, il quale, dopo la morte del suo pover' uomo, com' essa diceva, doveva essere il padre della sua Maria. La buona donna, nella solitudine della sua dimora, che un tempo rallegravano la presenza e l' affetto de' suoi cari, e poi rimasta vôta, deserta, come un sepolcro, si consolava pascendosi dell' idea, che l' uno o l' altra avrebbero sortito modesta e onorevole condizione su la terra, e che un giorno forse, ne' suoi più tardi anni, l'avrebbero circondata di cure d' amore, e a larga mano compensata de' sacrifizii fatti, della vita tediosa che trascinava. Non si rammaricava mai di non aver altra compagnia che la vecchia Marta, perchè, conoscendo il cuore de' figli suoi, le pareva quasi d' abitar con loro, di vivere con loro, quantunque lontani; l'unico desiderio che nutrisse, era di poterli di tanto in tanto rivedere; e ogni giorno si teneva più certa di presto abbracciarli, in questa certezza essendo tutta la sua gioja. Seduta sovente al tepido sole delle mattine d' inverno, sotto la nuda pergola della casa, con la conocchia fedele, pensava alla povertà, alla pace, raccontava la storia d'altri anni, raccontava quella dell' avvenire; felice abbastanza quando parlava della sua bella Maria, o del suo curato, alla Marta che le sedeva rimpetto, pettinando le matassine del lino. E allora, senz' avvedersene, le due comari s'arrestavano dal, lavoro; all'una spezzavasi il filo della conocchia o cadeva di mano il fuso, all'altra si perdeva il lino nelle punte del pettine. Ma entrambe, in que' momenti, sollevavano al cielo gli occhi e il cuore, con un pensiero più santo d'ogni preghiera, del pari benedetto. Ma ora che diversi pensieri, che mutamento La mamma Caterina, per tutto quel dì, e per molt'altri ancora, non volle ascoltar ragione, nè consolazione, nè speranza, non domandava che suo figlio, non voleva che vederlo. Anch'essa, come prima aveva fatto Maria, figurandosi alla mente angustie e spaventi, s'abbandonava a' più tristi presagi, non porgeva più orecchio a nulla, nemmeno al piangere della figliuola. Fu allora che l'amorosa fanciulla, la quale innanzi alla venuta della madre credeva di non poter sostenere l' affanno di que' giorni, si sentì tutta invigorire. Una virtù, ignota a lei fino allora, la costanza del patimento, le raddoppiò il debole coraggio; ma la sua fermezza, la calma delle parole e degli atti, avrebbero dimostrato più crudele il martirio dell'anima a chi avesse potuto vedere il suo segreto. Soffogava le lagrime; e ne' momenti di maggior dolore, la sua voce si faceva più sicura e più affettuosa: l' avresti veduta sorridere; era un riso malinconico il suo, ma celeste. In que' giorni, sempre da uno stesso travaglio misurati, che fanno parer eterna la vita, così Maria con l' amor suo procacciava d' ingannare alla madre le ore contate dall' afflizione; ragionandole di tante cose passate, della loro casa, della vigna su la costa, della vecchia Marta, degli altri amici del paese. E ringraziava il cielo con tutta l' anima, solo che vedesse le sue parole avere temperata per poco l' amarezza della sciagura presente. Così ella nascose nel fondo del cuore tutta la sua parte d' affanni; così comprese e tolse sopra di sè quel dolore inesprimibile, che solamente al cuor delle madri non è un mistero; quell' angoscia, la quale non trova parole, nè lagrime, perchè ha de' segreti che a umano orecchio non possono confidarsi e che il cuore altrui non ha mai conosciuto. Non, v' è piaga quaggiù che il tempo non sani; l' abitudine stessa del soffrire può talvolta diventar quasi cara e necessaria; l' amore, l' ambizione, la vendetta, il rimorso lasceranno pur una volta in pace l' anima di cui han fatto strazio; ma la ferita ché porta il cuor d'una madre per a mai e de' figli suoi, non v' ha balsamo che la medichi, non felicità nè tempo che vi spargano sopra la mesta consolazione dell' obblio. Così, abbandonate, e senza saper nulla mai di quel loro caro, Caterina e Maria trascinavano giorni e settimane, in casa della vedova; la quale, dal canto suo, non aveva potuto far di meno di tenerle con sè qualche tempo ancora, quand' esse, deliberate d' aspettare che fosse decisa la sorte del prete, ne la pregarono, a patto di pagarle trenta soldi al giòrno, per le spese. Ciò veramente andava poco a' versi alla Giuditta, causa la paura di cert' altre visite della specie di quella prima, da lei non ancora dimenticata; ma poi, per amor di bene, non seppe dir di no. Una mattina, erano uscite di buon' ora le due donne per andare insieme a vendere a qualche mercante di mode un velo nero trapunto, in que' dì solitari e mesti, dalla Maria: poichè era essa, che col lavoro delle sue mani sosteneva anche la madre. A caso capitate presso la piccola chiesa di san ***, la Caterina, la quale non lasciava passar giorno che non andasse a pregare il Signore per il suo povero figliuolo e per sè, si rivolse a quella parte, e fece per entrar nella chiesa. Ma d' improvviso la fanciulla, tutta compresa dal terrore d' una funesta ricordanza, le s' era stretta al braccio, trattenendola, e con voce bassa e supplichevole: « Oh no! madre mia, non andiamo in questa chiesa; non devo, non posso entrarvi più. » « Perchè, Maria, perchè?... Cos' hai? tu tremi, diventi smorta! ti senti male? » « No! mamma, è un segreto.... un segreto che nessuno doveva conoscere! se sapeste che in questa chiesa.... O mio Dio, toglietene per sempre dal mio cuore la memoria! » « Maria, che mistero è questo? parla, dimmi.... » « Qui no, no, cara madre.... torniamo a casa, ve ne prego, e vi dirò tutto. Oh povera me, povero mio fratello! » E tornarono a casa. In quel giorno Maria non trovò parola che potesse spargere un po' di serenità su l' addolorata fronte della madre. Attendeva taciturna a' suoi lavori,

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E l'altro prese a raccontargli la storia dell'amor suo, meglio che non abbiamo potuto far noi in queste pagine modeste, cosa ben naturale: era l'amante che parlava, e il suo cuore si effoudeva nelle parole, con una verità semplice, poetica. Ma Eugenio intanto pensava che l'amico suo doveva essere un bel pazzo, e che lui, se fosse stato ne' suoi panni, non avrebbe perduto il tempo in codeste malinconie, e a far all'amore alla romantica con una tapinella; mentre invece avrebbe potuto a capriccio fare il mestier del Michelaccio, quel beato mestiere che non s' insegna, e tutti sanno e sapranno sempre. « Dopo quel tempo d'una felicità ch'io quasi non credeva possibile, » così continuava Arnoldo il suo racconto, « dopo quel tempo, vennero per me giorni d'amarezza e di sconforto. Ma qui, bisogna che vi confidi un'altra cosa che ancora non sapete, il vero mio nome. Voi mi conoscete per Arnoldo Randale; questo non è il mio casato, ma quello della famiglia di mia madre; per segrete ragioni lo presi al mio ritorno in. Italia. Mio padre è lord Guglielmo Leslie. » L'amico Eugenio levò gli occhi con gran maraviglia, a quella sonora parola di lord; e poste giù le molle con che giocava, stette con più cheta attenzione ad ascoltarlo. « Mio padre » seguitava Arnoldo « è un uomo severo, superbo del suo nome e dell'antica sua nobiltà, quant' altri mai; i suoi principii sul fatto e su la condizione sociale son quelli d'un vero Inglese, onore, orgoglio e fermezza; il motto dell'arme gentilizia de' Leslie sembrava appunto dettato per lui: Sempre salire!... Ma, fin dagli anni infantili il mio animo s'apva in vece all' incanto delle miti virtù di mia madre, dolcezza e compassione, amicizia e amore. Io, per me, sento di non esser nato per quelle che chiamarsi le grandi virtù del nostro secolo, una politica che si veste del fastoso nome di filantropia, e una civiltà che pesa tutto su le bilance dell'industria. Passai i primi anni dell' adolescenza in casa d'uno zio di mia madre, venerabile vecchio, dal suore giovine e caldo, uomo generoso, soccorrevole e costante: era questi irlandese e cattolico, e aveva perduto il figlio, la nuora e i nipoti, tranne uno solo che formava le delizie dell'abbandonata sua vecchiaia.... Questo giovine cugino fu il mio primo amico. Ma, pochi anni appresso, anch'egli era morto.... » « In quel tempo appunto, » ripigliava Arnoldo dopo una pausa, « nel nostro paese gli spiriti bollivano, in quella famosa guerra d'opinioni e di partiti, che tenne grandemente agitati tutti i giusti e i buoni, la controversia per l'emancipazione de' cattolici. Mio zio metteva in cima de' più cari suoi voti la sospirata legge, e ne procacciò il trionfo, quanto potè e seppe. Parmi ancora vederlo scuotere la sua testa canuta, e volgere al cielo gli occhi accesi d'un insolito ardore di gioventù , dicendomi dover la giustizia trionfare una volta o l'altra anche su questa terra; e nessun sacrifizio esser poco, per guarire la patria d'una piaga che da tre secoli aveva fatto la vergogna della superba nostra civiltà!... Ma, appena mio padre venne a sapere i nobili sforzi del suo parente e il mio entusiasmo a pro di questa causa generosa, mi rivolle presso di sè, caldo sostenitore, com' egli era stato sempre, degli antichi rancori. E mi mandò a viaggiar sul continente, perchè la mia mente perdesse codeste fantasie, ch 'egli chiamava la scorza del fanciullo, e imparasse a conoscere uomini e cose. Ma era tardi. Io aveva già sposata la parte degli oppressi; io amava il culto solenne, maestoso della Chiesa a cui mi guidava fanciullo il mio vecchio zio, e dove univo le mie alle candide orazioni del mio povero cugino; l'arida e corrotta dottrina, e la troppo mutabile fede nel seno della quale io nacqui, non avevano parlato mai al mio cuore. « Nel mio viaggio attraversai, come uomo nuovo, quest'Italia, così degna d'amore e di venerazione; di città in città, vidi le sue basiliche, le sue cupole, le sue chiese, nelle quali mi pareva che l'arte veramente divina traducesse all'anima il mistero della suprema bellezza; vidi i capolavori di Michelangiolo, di Raffaele, di Tiziano, di Guido,

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Io per me rinuncio alla parte che mi può toccare, e voglio che quel poco che abbiamo, non è vero, mamma? serva per voi, e per te, Maria, per te, quando troverai qualche onesto partito. E in appresso, se il Signore farà ch' io possa divenir parroco in qualche paese meno triste e più vicino a voi, per esempio, qui sul lago.... allora v'aprirò la mia casa, vi aprirò le mie braccia, e dirò a tutt'e due: Venite a star con me, a consolarmi la vita. Oh allora sì, che mi parrà ancora d'esser felice! » Caterina e Maria furono commosse e persuase; guardavano con tacita tenerezza il prete, che oramai era l'unico loro angelo protettore. E il prete, levatosi e fattosi vicino alla madre, strinse tra le sue mani la destra della buona vecchia che piangeva, e la baciò con verecondo rispetto. Poi la sorella gli stese la sua; ed egli, stringendola del pari, se la pose sul cuore, con una forza d'affetto che non può dirsi. Indi a poco uscì dalla casetta.

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» « O amico » rispose l' altro, « fin adesso noi non abbiamo mai seriamente discorso intorno a così gravi cose; ma io ben conobbi tutta la vostra vita dal primo giorno che mi sono incontrato con voi; ho penetrato il vostro cuore e la sua piaga... Lasciate che la scopra a voi stesso; è la mancanza d'una fede!- Povero giovine, vi compiango! » « Oh sì! » proruppe l' altro, dopo una solenne pausa, « compiangetemi! Non so dire che tumulto s'agiti qui dentro talvolta! Non so dir con quale ardore cercassi anch' io questa che voi chiamate virtù, certezza e verità, la fede! Ma non la trovai. Tutto calpestato, tutto disseccato e morto! Ond' io penso che questa lede non sia che il rifugio dell' anime semplici, ingenue, fiacche: in quanto a me, non la vidi che in una povera chiesa di montagna, in un' officina, in un tugurio.... e, anche là, fu un mistero per me! Ma voi.... ma chi ha dubitato una volta, chi ha pianto per la sete dalla scienza, chi ha numerato in un cuore i battiti della virtù, e le convulsioni del delitto.... Oh vi credeva di tempra più forte e disdegnosa! » « Uomo ingannato! tu non sai quanto ti costi la tua illusione, o che debolezza sia questa che tu stimi forza! Tu non vedi con quell' occhio di pace con che io guardo uomini e cose, per ascendere fino a Colui che gli uni e l' altre ha fatto. Ma forse, verrà qualche momento nella tua vita.... » « Via, lasciamo un proposito, del quale non possiam convenire, nè per questo si turbi la nostra amicizia.... Ma l'ora è tarda, e non vorrei che il cattivo tempo ne cogliesse. Seguitiamo per quella via, se vi piace, e torniamo a casa dalla parte di terra. » L' altro si mosse senza far nuove parole; ma nel resto del cammino, fin al paese, il loro ragionare fu contegnoso e più cauto del solito.

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Donnina forte

208662
Bisi Albini, Sofia 1 occorrenze
  • 1920
  • R. Bemporad & figlio
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Abbiamo forse finora parlato per ridere? - Egli mi prese una mano: - Conny, Conny: non tentar di scherzare quando non ne hai voglia! Tu non sei buona di fingere. Mi vuoi ascoltare? - Ma si figuri! - Vi fu un momento di silenzio. Conny, - disse finalmente - il tuo babbo è lontano, ed io mi credo quasi in dovere di pigliare il suo posto: io, il solo, ricordatelo! il solo e vero amico che tu abbia. Oh, ti prego, non buttarti anche tu in quella vita leggiera che ha per iscopo gli abbigliamenti e le feste. È un pericolo, sai! Una donna è raro che si conservi buona in società. Si vede ammirata, corteggiata e finisce per concentrar tutto in sè, per non occuparsi che di sè, e la sua mente si rimpiccolisce e il suo cuore si raffredda. - Oh, a me pare che saprò essere sempre buona, Filippo! - dissi. - Eh, eh! sicura come sarai di piacere, non penserai ad amare. La tua bellezza e i tuoi successi ti terranno luogo di tutte le gioie più sante e più care! - Io sollevai la testa: tutto il sangue m' era salito al viso. - Filippo! - dissi con una voce che tremava di sdegno e di dolore. - La mia vita tranquilla fra il babbo e lei, in mezzo ai miei libri, è stata troppo bella perchè io vi voglia rinunciare. Voi mi avete detto e ripetuto troppo che sono buona, che sono colta, che sono una donnina forte, perchè io lo possa dimenticare, per il piacere di sentirmi dire che sono bella! Lei poi, Filippo, ha fatto di tutto per instillar qui dentro delle idee sode e serie, e un briciolo di quel buon senso che in tanti casi della vita, dicono, val più dell' ingegno.... Filippo, Filippo! se c' è una persona che non deve dubitare di me, è lei! - mi copersi il viso colle mani dando in uno scoppio di pianto. Vi fu un po' di silenzio: la mano larga di Filippo passò e ripassò sulla mia testa, e finalmente mi disse colla voce tremante: - Guarda, figliuola! non puoi credere che piacere è per me questo tuo scoppio di sdegno. Mi fidavo di te: sapevo che nessuno al mondo avrebbe potuto mutare quel tuo cuore così lealmente buono: ma avevo bisogno che tu me lo dicessi: e se t' ho offesa è stato per provocare questo sfogo più che per altro, Conny. Per te io metterei la mano sul fuoco: ma non vorrei che tu, per esser brava, dovessi soffrire e far sacrifici. Vorrei vederti amata come lo meriti, da un uomo serio, buono, che conoscesse tutta la tua anima come la conosciamo tuo padre ed io.... Tu, cara Conny col tuo spirito d'osservazione e la tua superiorità, riesci sempre a scoprire tutte le debolezze delle persone che ti circondano: ma sei ancora troppo giovane, e il tuo cuore è troppo buono e la tua mente è troppo serena, perchè tu non possa nemmeno sospettare certe colpe e certe ipocrisie. Povera la mia donnina! tu mi guardi spaventata.... Oh, ma verrà pur troppo il giorno in cui conoscerai che cos' è la società, e diventerai scettica anche tu. - Si alzò. Io singhiozzai. - Le mie parole ti hanno fatto male figliuola, - mi disse accarezzandomi i capelli - ma ti faranno pensare, ed è quello ch' io voglio. Non t' ho detto tutto, ma tu capirai anche quello che ho taciuto.... Oh, credi! è bene che una parola seria venga a scotere in mezzo agli svaghi e alle emozioni dei giorni felici.... - Quando alzai la testa ero sola nel mio salotto. Provai come uno spavento.... - Oh, si: è bene: ma è però doloroso! - esclamai con un singhiozzo. *** C' era stato l'ultimo ballo di carnevale, m'ero alzata tardi, stavo pensando che cosa avrei dovuto fare in quella giornata, quando entrò mia cugina. - Buon giorno Conny, come stai ? Sei Stanca ? Dio mio, che freddo! - Tirò una poltrona vicino alla bocca del calorifero e vi si rannicchiò mettendosi il manicotto sul viso. - Sono venuta a piedi, lo sai? Che gelo! - e picchiava i piedi sul pavimento. - Pensa! il mio cocchiere stanotte s' è pigliato un raffreddore! Dica quel che vuole mio marito, ma un cocchiere che ha il petto delicato più di una signora io non lo tengo! - Gli hai detto di venire a prenderci alle tre, e invece siam rimaste fino alle sei. Ne avrà certo pigliato del freddo! - dissi io. - Non si va a fare il cocchiere quando non si può sopportarlo. Ma vuoi ridere, Conny?... Figurati che Filippo avrebbe voluto che si mettesse la pelliccia come il servitore! Il cocchiere che è stato là sotto la pioggia tutte quelle ore. Dio sa come l'avrebbe conciata! " O tutt' e due o nessuno; - mi diceva. Lui non pensa che Gaetano deve venir nell' anticamera ad accompagnarci e a prenderci. Che bella figura avrebbe fatto senza pelliccia, in mezzo alle stupende pellegrine di martora di casa Turati e di casa Ponti! - Ah! ma vedi, Elisa! Filippo ha delle ingenuità strane: lui credeva che le pellicce fossero fatte per tener caldo, e che il cocchiere, che doveva star fuori allo scoperto tre ore ad una temperatura di otto gradi sotto lo zero, ne avesse bisogno più del domestico. - L' Elisa mi guardava con un'aria desolata. - Oh, Conny! ti prego.... - supplicò colla sua voce dolce di bambina. - Non ridiventare quella brutta e antipatica Conny di una volta ! - balzò in piedi, e mi buttò un braccio al collo. lo risi e la baciai sulla punta del suo nasino che pareva si fosse voltata in su allora allora, per guardarmi anch' essa e dirmi: -Son carina, non è vero? - Elisa, tu mi hai affascinata: finirai col farmi diventare una donna indolente.... e poco seria come te! - Poco seria! - esclamò scandalizzata. - Conny! come sei cattiva! Vedi, mi vuoi far credere che sono io che t' ho affascinata! ma sei invece tu, più alta, più istruita, e, via.... più seria di me, che colle tue dita lunghe mi avvoltoli e mi fai girare e mi strapazzi come ti piace. Oh, non ti guardo più, va'! - E tornò a sedere nella sua poltrona coi piedi contro la bocca della stufa. - Io presi una seggiola e mi sedetti dietro di lei, voltandole le spalle. - Eppure - dissi calma calma - scommetterei qualunque cosa che ora tu mi fai attaccar i cavalli per forza, e mi conduci dove tu vuoi. - Una risatina allegra e un colpetto della sua testa contro la mia, accolse le mie parole: poi ella arrovesciò le braccia e mi prese per gli orecchi. - Ah, sei la più furba, la più intelligente creatura del mondo! Sei un tesoro, ecco! - Grazie, grazie! ma mi fai male! - Ella rideva ch' era un piacere a sentirla, poi si volse, s' inginocchiò sulla sua poltrona e mi arrovesciò la testa. - Li fai attaccare, non è vero! - mi chiese con una voce supplichevole. - Che cosa ? - I cavalli. Sì, sì! falli attaccare, andiamo insieme a far tre o quattro visite che so già di non trovare; poi andiamo sui bastioni. Mettiti il tuo vestitino corto: dopo scendiamo e facciamo un giro a piedi. Va bene, Conny? dimmi di sì dunque! - E s' io volessi dir di no? Non sei buona. - Eppure.... - Oh Conny, Conny! non essere scortese! - e mi stampò un gran bacio sulla fronte. Chi avrebbe resistito? Ordinai che attaccassero. Mentre mi vestivo, l' Elisa, seduta alla mia toeletta si accomadava il cappellino. - Sai ? - diceva - la mamma stamattina è venuta a trovarmi. Era ansiosa di sapere com' era andata la festa: aveva però incontrato l'Antonietta e sapeva già di quel cotillon così poco spiritoso. Le ho detto dell' orribile abito dell' Emma! N' è rimasta sorpresa anche lei.... Ti pare che mi stia bene questo cappellino, Conny?.... Senti: le ho detto del tuo successone: ne è stata felicissima: se non isbaglio s' è riconciliata con te. Non te ne sei accorta? - lo stavo per rispondere, ma ella continuò: - Ah, sai? Gian Carlo mi ha tormentata per sapere dove si andava; non volevo dirglielo: finii col dargli ad intendere che si andrà sui bastioni nell'ora che non c' è nessuno, poi si sarebbe finite al Cova a mangiare una tartina. Ma scommetto che riesce a trovarci ugualmente quel matto: vedrai! - Conny! - mi dimandò a un tratto mentre si strappava un pelo che le spuntava ostinato da un piccolo nèo, e arricciava il naso per il dolore. - Ahi! che peccato! mi s' è rotto senza strapparsi: Senti dunque.... Che cosa ti dicevo? - Nulla. - Ma sì: ti ho domandato se ti piace mio fratello. - Mi provai a ridere, ma non ci riuscii. - Che domanda originale! - dissi. - Oh Dio mio! che cosa c' è? Ti fa la corte, tutti se ne sono accorti: e niente di più naturale che egli ti sia simpatico. Che occhi, non è vero? e poi quei denti! È tutto bello!... Ma che creatura fredda, Dio mio! mi fai stizza, Conny! Di' dunque ti piace? - Non so. - Non lo sai ?! - e picchiò il piede sul pavimento con stizza. - Non lo meriti davvero. Se non credessi di dargli un dispiacere, glielo direi, guarda! - Ah! ah! dispiacere? - e misi in furia la veletta sul viso perchè ella non potesse vedere come avevo arrossito. - Ma sì; non ho mai visto mio fratello così entusiasta di una signorina. Una volta non si degnava nemmeno di guardarle.... Oh ecco un altro pelo! qua! ma t'assicuro, Conny, che mi vien la barba! - Diedi in una risata più rumorosa e prolungata di quel che fosse necessario, sperando di concentrare tutta la sua attenzione nella barba. - Dirò a Filippo di far un baraccone a Porta Genova e di farti vedere al pubblico. Avanti, avanti signori! qui si vede una donna non mai veduta! che ha la barba vera come un uomo! A chi non ci vuol credere è permesso di tirarla! - Eravamo già in carrozza e si rideva ancora come due bambine. *** Si andò a far tre visite : cioè a lasciare i nostri biglietti, perchè non c' era nessuno in casa; ma donna Beppina c' era e ne fui contenta perchè la stimo tanto. Entrammo quasi insieme con una bella signora elegantissima, grassotta, che aveva un viso aperto e due grandi occhi chiari pieni di sincerità e di allegria. - Chi è? - domandai all' Elisa. - Non lo so - mi rispose; e visto che non è più di moda far le presentazioni, dovetti tenermi la mia curiosità. V' erano altre signore, ed esaurito il discorso del teatro, del ballo di casa S*** e del concerto del Quartetto; quella signora disse: - Hai sentito Beppina, della povera Clara? - La sua fisonomia era così serena, anzi così gioconda, che quella povera Clara non impietosì nessuno. Ma vidi donna Beppina farsi subitamente seria, e mi colpì il tono un po' asciutto della sua risposta, come se quel discorso non le andasse a genio. - Sì, disse - è venuta a salutarmi ieri. Povera Clara, oggi ha trovato un conforto. - E si alzò dicendo: Fa un po' caldo, qui dentro. Non è vero? - e andò a chiudere la bocca della stufa; poi chiamò l' Elisa per mostrarle dei ritratti che c'erano sul tavolino. Intanto il discorso della povera Clara continuava intorno a me. - Che colpo è stato per me! - diceva una signora piccolina, tutta esclamazioni tragiche. È venuta la settimana passata a farmi visita con sua madre; aveva un abito che le stava a pennello.... chi avrebbe detto che tre giorni dopo si sarebbe fatta monaca! Che bella monaca col sóggolo bianco! - disse tranquillamente una terza signora. - In che convento è entrata? È partita per Troyes per fare il noviziato fra le Soeurs du Bon Secours. - Oh Dio mio! per curar malati poveri: e i feriti nelle guerre! ma possono mandarla nel Tonchino! - esclamò la signora piccolina, spalancando gli occhioni con terrore e stringendosi con un brivido le mani nel manicotto. Povera creatura! - disse con un sospiro la signora grassotta. - Oramai la sua vita era un tale tormento, che qualunque fatica materiale le riuscirà indifferente. Povera, povera Clara! - Ma perchè? - dimandò una terza signora - non si tratta di vocazione? - Oh signora! è tutto un triste dramma facile a indovinarsi. Non c' era proprio altra liberazione per lei, che d' andare a farsi monaca. Ma che rimorso oggi per sua sorella! - Come! Lucia Marenzi?! - Ma certo! non sapeva...? - lo ebbi un sussulto. Parlavano forse della signorina De Lami? In quel momento la padrona di casa tornò a noi con Elisa e si sedette di nuovo chiedendo con vivacità se sapevamo del fidanzamento di Paola Varenna. - Che! la Varenna? Ah era tempo! ormai come signorina era un po' matura, ma che bella marchesa sarà! eclisserà sua cugina. - Tutte s'interessarono di sapere come la cosa era accaduta, e la povera Clara era già dimenticata. Ma io non riuscivo a strappare il mio pensiero da lei. L'avevo vista una volta sola la sera di Santo Stefano alla Scala, ed era strano come fin d'allora mi aveva interessata quella pallida, altera figura che mi era parso, a ragione, che nascondesse un dolore. Provavo un' emozione che mi toglieva il respiro, pensando che mai più nella vita l'avrei incontrata, ch' ella era partita per il vasto mondo dove non avrebbe udito che lamenti e gemiti, dove non avrebbe visto che lagrime e piaghe, lei vissuta fino allora in mezzo alle agiatezze e alle eleganze. Mi pungeva una curiosità non mai pro-vata, di saperne di più, di conoscere tutta la storia di lei, e un momento che l' Elisa e le altre signore parlavano fra loro, con gran vivacità, del matrimonio di Paola, io dimandai alla signora grassotta che mi era vicina: - Scusi, signora, mi vuol dire se parlavano della signorina De Lami? - Precisamente. Non la conosce? - La conoscevo di vista, e mi era tanto simpatica. - Oh lo credo! se l'avesse poi conosciuta da vicino! un carattere, sa! colta, seria e nello stesso tempo così semplice nel suo modo di fare, e così piena d'entusiasmi e di fede! troppa fede! fu la sua disgrazia. Certe brutture le parevano impossibili fra persone educate. C' è chi dice ch' è stata una bimba e una sciocca a illudersi, ma noi amici abbiamo visto come ha saputo lui insinuarsi nel suo cuore. Io badavo ad aprir gli occhi a sua madre: " Voi non conoscete il marchese, - le dicevo " diffidate. - Ma erano appena venuti a Milano non avevano un' idea di questi sfaccendati eleganti, che non credono a nulla, non rispettano nulla e si stimano padroni del mondo. Il fatto è ch' ella fu presa per lui da una di quelle affezioni che sono la vita di una donna. E quando più supponeva d'essere amata e sua madre s'aspettava da un momento all'altro che egli le chiedessse di potersi dire fidanzato che è, che non è, la luce si fa, per lei prima che per gli altri; la sorella, quella maritata Marenzi.... Una brutta storia insomma! - Orribile.... - mormorai rabbrividendo. - Antonietta! - chiamò in quel momento la padrona di casa - permetti che faccia le presentazioni che ho dimenticate la contessa Elisa di*** che, sai, è figliuola della marchesa*** e sua cugina, donna Conny***. - Poi disse a noi. - La signora Gemmi, moglie del Senatore, una delle mie più buone amiche, una patronessa preziosa dei nostri Asili. - E sorrise respirando liberamente, ma non capì che non era arrivata a tempo. La signora Gemmi mi fissò co' suoi grandi occhi grigi, con un turbamento così visibile da accrescere il senso di malessere che quella triste storia mi aveva dato; poi a un tratto, non so come, fui colpita come un fulmine dalla percezione viva della verità, come se la cosa io l'avessi sempre sospettata, come se tutto fosse stato detto, come se un nome fosse stato pronunziato. Impallidii? non lo so: so che Elisa mi guardava con inquietudine. Dopo un minuto la Signora Gemmi si alzò e nel salutarmi mi strinse forte la mano guardandomi negli occhi; poi mi disse con una voce piena di bontà e quasi commossa: - Cara signorina, permetta che la baci. - E mi abbracciò stretta. Non ricordo come io sia uscita di là; so che mi trovai in carrozza cogli occhi sbarrati che non vedevano nulla. I polsi mi battevano, le orecchie mi sibillavano, un sudore freddo mi inumidiva il viso, e mi pareva che qualcosa si fosse spezzato in me. Una risatina di Elisa mi fece trasalire con uno spasimo. - Ah ah, se si dovesse credere a tutte le ciarle che si fanno in società! Tu non hai sentito Conny, quanti commenti e quante supposizioni buttate là con la sicurezza di fatti veri, a proposito del matrimonio di Paola Varenna! E tu, Conny, di che discorrevi con quella signora.... Oh Dio, ma come sei pallida, che cos'hai?... Era molto stupida quella signora.... come si chiama? non mi ricordo più. Dev' essere la moglie di un bottegaio arricchito, lo scommetterei! Un dolore intenso, improvviso ai cuore mi tolse il respiro e mi fece chiudere gli occhi. L'Elisa mi afferrò una mano spaventata. - Ma Conny, non capisco! si direbbe che ti sei turbata per la storia di quella Clara, come se.... Ah brava, mi avevi spaventata!... Senti dunque, cara: tu che ti dài le arie di donna forte, ti commovi di tutto. Mi fa ridere: scommetto che quella signora Gemma o Diamante, che sia, ti avrà raccontato che la Clara si fa monaca per una disillusione d'amore. Com' è poetico!... ma non è più di moda! Par il titolo di un romanzo di quarant'anni fa. L'ingenua tradita!... ah ah! Ma già, ha ragione mio fratello.... - Che cosa dice? - domandai colla voce dura. - Dice.... cioè diceva che le signorine come voi sono tante grullerelle, perché pigliate sul serio la cortesia più comune, e come una dichiarazione di amore una parola gentile. Vedete subito grande il doppio ogni cosa.... - Ah!... - In quel momento la carrozza si fermò: eravamo sui bastioni. - Che c' è?... - dimandò l' Elisa. - Il signor marchese - rispose il domestico. E allo sportello della carrozza apparve la figura elegante e bella di mio cugino. Il suo volto era raggiante di allegrezza. - Ah, ah! vi ci ho preso! Ma che cos'hai Conny? ti senti male!... Che cosa è accaduto? - disse spaventato, e tutta la sua fisonomia si rannuvolò. Mi pareva d'essere impietrita: immobile nel fondo della carrozza, con gli occhi fissi in quelli di lui, avrei voluto penetrare con lo sguardo fino in fondo alla sua anima. Egli passò dalla parte mia e mi prese le mani; io le ritirai con ispavento: - No! - dissi con voce rauca. - Ma che cos' hai? Conny! parla, oh parla! Mi vuoi far morire?! - il suo viso si era coperto di pallore. - Scendiamo, scendiamo! - disse con impazienza l' Elisa saltando a terra. - Egli ha qui il phaeton, non è vero? - dissi. - Potresti tornare a casa con lui. Conny.... scendi.... ti prego! - Perchè quella voce esercitava su me un fa- scino così irresistibile ? Perchè mi lasciai prendere le mani e scesi di carrozza e lasciai che mi guardasse negli occhi, e mi dicesse con quella sua voce sommessa e dolce che mi fa tremare: - Grazie! - Era una giornata fredda e nebbiosa dei primi di febbraio: sui bastioni non c' era anima viva. L' Elisa volle passare sul viale che guarda giù nella strada di circonvallazione per vedere il tranvai. lo camminavo come trasognata: Carletto mi prese la mano.... un brivido mi corse dalla testa ai piedi.... se la posò sul suo braccio. Egli rispondeva a tutte le domande curiose della sorella; e il suo braccio si stringeva sempre più al suo petto, come quella sera di Santo Stefano. Si arrivò sul ponte della barriera Principe Umberto: nessuno parlava; poco lontano scalpitavano i nostri cavalli: i tranvai e le vetture passavano rumorosamente sotto di noi, e nella stazione fischiavano e sbuffavano le locomotive. Tutto questo mi rimbombava nella testa dolorosamente. Carletto si appoggiò alla sbarra del ponte e mise una mano sulla mia perchè non la ritirassi; poi rivolse il viso verso di me, ch' ero rimasta ritta e immobile accanto a lui. Oh, no, no! non volevo guardarlo, non volevo essere guardata a quel modo! Mi parve di veder rizzarsi accanto a noi, cogli occhi neri e cupi la povera Clara e mi sfuggì un grido d'angoscia. - Non guardarmi così! ti odio! Conny! mia Conny! abbi pietà di me!... - E le sue labbra di fuoco si posarono sul polso gelato della mia mano. Non so che cosa sia accaduto. Mi ricordo solo, come in un sogno, che ero in carrozza e che mia cugina parlava, parlava, e io ascoltavo senza capire; due cavalli ci rasentarono come un fulmine ed io pensai: perché i miei cavalli non corrono? e mi prese un'ansietà, un' inquietudine affannosa, avrei voluto precipitarmi giù, per correre a casa a piedi, sola! Finalmente la carrozza entrò in casa; scesi e dissi al domestico: - Riconducete la signora Contessa a casa sua, - ed io salii lentamente la scala, entrai in casa, apersi l' uscio del mio salotto e trasalii. Egli era là, ritto davanti a me, pallido e serio. S' inchinò e mi stese tutt' e due le mani. lo m'appoggiai colle spalle al muro: non avevo più un filo di forza né di fiato. - Conny.... sono qui: dimmi perché mi odii. lo ti dirò poi, perché ti adoro. - Mi copersi il viso con le mani e singhiozzai senza piangere. - Oh, non posso, Carletto!... non posso! è una cosa così orribile!... Morirei se la dicessi! Va', va,! per amor di Dio!... Abbi pietà di te stesso se non vuoi averla di me.... Va'! ti risparmio una vergogna. - E rialzai la testa con disprezzo. L' uscio si aperse e entrò miss Jane che si fermò cogli occhi spalancati di spavento. lo le corsi incontro. Ella mi disse: - Don Emanuele è arrivato, lo sapete? m' ha fatto chiamare nello studio perché venissi a dirvi che desidera di par- larvi. - Mi volsi e dissi freddamente: - Addio Gian Carlo. - Egli s' inchinò ed uscì. *** Era uscito; era partito per sempre, lui! l' unico uomo che m'aveva parlato d'amore; quegli che mi adorava! Avevo io il diritto di condannare lui e me al dolore, senza una spiegazione, senza lasciargli modo di giustificarsi?... Dio! Dio! che cosa avevo fatto? In società si raccontano tante cose che non son vere: da cosa mi veniva la certezza che si trattasse di lui? Nessuno aveva pronunziato il suo nome. Oh no, non era possibile, non poteva esser vero! Mi lasciai cadere sul sofà, piangendo di disperazione. Chi mi salvava ora? Nessuno; nessuno avrebbe potuto restituirmi il suo amore, perchè io lo avevo insultato! e un uomo come lui non perdona un insulto! Lady Conny, che avete? - mi domandò miss Jane piangendo. - Nulla, sono una pazza, ecco cosa sono! - e mi alzai, mi asciugai gli occhi e mi guardai nello specchio. - Avete detto che è arrivato il babbo? - Sì, e vi cercava. - Ella corse a pigliare il fiocchetto della cipria: me lo passò sugli occhi e fece scomparire la traccia delle lacrime. - Ecco, milady: potete andare. - Entrai nello studio del babbo, ma mi fermai sulla soglia dell' uscio. Egli non era solo: ritto accanto a lui, davanti al camino, c' era il conte Rinaldi. Il babbo mi venne incontro: io gli buttai le braccia al collo e lo baciai con una commozione e una tenerezza tutta nuova: anch'egli m'accarezzò e mi baciò commosso, come se leggesse nella mia anima desolata. Ma poi il suo viso si illuminò di gioia. Mi prese per mano e mi disse con un sorriso: - È vero, Conny, che hai piacere che Rinaldi rimanga a pranzo da noi? Immagina ch'egli temeva di non essere nelle tue simpatie; gli riferii una certa conversazione del giorno di Natale. Conny disprezza i giovani ammodo, ma apprezza molto i giovani seri come Rinaldi. Non è forse vero? - Io lo ascoltavo trasognata, non trovando parole per rispondere. - Conny, il conte Rinaldi è venuto a prendermi a Roma: siamo ritornati un'ora fa insieme. - Credo che ne' miei occhi sia apparso come uno spavento, perché il babbo si chetò, guardandomi inquieto. Lui, il conte, ritto dietro una seggiola colle mani aggrappate alla spalliera, mi guardava col viso contratto d' emozione. Non sapevo bene perché, ma io fui presa da un tremito: non ancora rimessa dal profondo turbamento di pochi minuti prima, tentavo inutilmente di sorridere, di trovar la voce per parlare, di lottare contro un penoso presentimento che le parole del babbo e il contegno di Rinaldi mi avevano fatto sorgere nell' animo. - Conny, non ti senti bene? che cos'hai? - Ho preso freddo.... sui bastioni. Infatti non sto affatto bene, - e mi passai una mano sulla fronte, perché mi pareva che tutto girasse intorno a me. Rinaldi mi spinse una poltrona dietro. - Su, riscaldati un poco vicino al fuoco - Disse il babbo - vuoi che chiami miss Jane? - No, ti prego, sto bene qui. - Alzai il viso verso il Rinaldi ritto accanto a me, e ci guardammo. Lesse egli ne' miei occhi spauriti e supplichevoli? io lessi ne' suoi, pieni di un desolato dolore.... Restò a desinare con noi. Il babbo credette tutta la sera che io mi sentissi male, ma era assorto in una gran beatitudine, povero babbo, per le attenzioni affettuose di Rinaldi, che, senza mai guardarmi negli occhi, mai.... non si occupò di me, accorgendosi che non mangiavo, che ero presa da brividi: mi fece portare uno scialle, mi versò un bicchierino di bordeau insistendo perché lo bevessi, e poco dopo aver preso il caffè si alzò per andarsene, dicendo che io avevo bisogno di riposo. Si chinò sul sofà sul quale mi aveva fatto distendere: io gli ubbidivo colla docilità di una bambina: una bambina colpe-vole che ha molto da farsi perdonare. - Buona sera donna Conny, - mi disse forte; io gli stesi tutt' e due le mani, egli le prese, esitò, poi le baciò. - Mi perdoni, - mormorò pian piano con voce soffocata - il mio sogno era stato forse troppo ardito.... Non tèma: non ci tornerò più. - Io gli sfiorai colla punta delle dita i capelli, dicendo con filo di voce: - Che Dio la benedica! - Ed egli partì. *** Erano passati alcuni giorni: la zia e l' Elisa avevano chiesto di vedermi, ma io mi chiusi in camera, e miss Jane ebbe l'ordine di dire sempre a tutti che avevo un forte mal di capo e dormivo. Filippo non era mai venuto. Sapevo che la zia aveva avuto dei lunghi e vivaci colloqui col babbo, ma egli non mi diceva nulla, ed io, che il primo giorno gli avevo promesso di parlargli, ora non ne trovavo più il coraggio. Era una domenica, e uscii con lui per andare alla Messa. Sulla bottega della fruttaiola c' era il bambino: mi fermai a baciarlo. Era un pezzo che non lo salutavo più.... ora volevo tornare a tutte le abitudini di una volta. - Dove andiamo, babbo? non a San Francesco veh! c' è uno sfoggio di cappellini eleganti, e di libri da messa colle cifre.... non ci si prega bene. - Dove vuoi andare? - In cerca di qualche chiesina fuor di mano: dove non ci sia che qualche povera donnetta, e dove il prete abbia una pianeta scolorita da cui escano i fili d' oro! - Il babbo passò il mio braccio sotto il suo, e disse, incamminandosi a passo lesto verso il corso di Porta Venezia: - Brava la mia Conny, torna allegra come una volta: e intanto che siamo soli.... vuoi tu dirmi quel che mi avevi promesso? Vuoi tu spiegarmi.... - Si rannuvolò, e la sua voce divenne seria quando aggiunse: - È stato per me un gran dolore, non te lo posso nascondere, lo scoprire che il tuo cuore non aveva scelto Rinaldi, che mi pareva fatto per te; ma forse a ragione mia sorella: è un giovine troppo vecchio. Tu sei espansiva, allegra, ardente, e hai bisogno di un uomo che, non solo ti voglia bene, ma te lo dica.... Conny, non vuoi proprio confidarmi nulla? - Io respiravo a fatica: avevo un nodo alla gola, che m' impediva di parlare. Si camminò un poco in silenzio: il Corso era quasi deserto. Sperai che si entrasse nella chiesa di San Babila, ma invece si andò innanzi. - Conny, ieri sera sono andata da mia sorella: lo sai? - No, non me lo avevi detto. - Ho dovuto andar io.... perché c' era qualcuno che non voleva venir da me. - Mi sentii un colpo nel cuore. Perché il babbo me ne parlava? Non capiva che soffrivo? Egli continuò: - Qualcuno che non vuol rimettere il piede in casa nostra senza il permesso della signorina Conny: ma che ti prega, ti supplica, in nome di quello che hai di più caro, di dargli questo permesso: egli vuole una spiegazione.... di che? né io né sua madre siamo riusciti a saperlo. Dice che è un vostro segreto. Io mi fido di te, Conny... e di Carletto: per questo non ho insistito perchè tu parlassi. - Io mi ero accostato il manicotto sulla bocca per soffocare i singhiozzi. - Dio mio! perchè mi diceva tutte quelle cose, nella strada, in mezzo alla gente? Non sentiva che mi trascinavo a fatica, e che il respiro mi si faceva sempre più breve? - Conny: di' la verità: vi amate: di questo non ne dubito: vi siete bisticciati per qualche sciocchezza.... e a quest' ora tu sei pentita, povera la mia bambina!... Dunque appena ritornati a casa, gli scrivo che la signorina Conny permette al marchese Gian Carlo di venire a vederla. Che! piangi? - Sì, piangevo: piangevo perché avevo bisogno di sfogare tutto il dolore che mi aveva empito il cuore in quei giorni.... Che era accaduto? dunque una parola sola, la speranza del suo ritorno bastavano a fugare tutto il disprezzo ch' io avevo provato per lui? Come lo amavo! come lo amavo se mi avvilivo al punto da non credere a ciò che avevo sentito, e da esultare perch' egli mi amava. Sollevai la testa e sorrisi perché nel mio cuore non era rimasta che una gioia immensa che mi pareva un sogno. Eravamo arrivati quasi a Porta Venezia. - Ma dove si va, babbo? Qui non ci son più chiese! Se fossimo ai tempi dei Promessi Sposi direi che si va alla chiesa de' Cappuccini! Ma si svoltò in una via deserta, chiusa in fondo dal bastione, in via Borghetto. - Vedi quella porticina a destra?... - mi disse il babbo. Quella è una chiesina proprio come la vuoi tu: nuda e stretta. Vedrai che pulpito! par troppo piccolo per un uomo. - In quella, una voce allegra, ma che parlava un dialetto sguaiato, mi fece alzar la testa. Una ragazza elegante scendeva a salti dalla stradetta a zig-zag del bastione, e dietro a lei.... Sentii una imprecazione soffocata del babbo, e il suo braccio strinse il mio come per sostenermi. Tutti i miei nervi avevano sussultato con spasimo: ma fu un lampo: la testa mi si rizzò, e mi sembrò di essere diventata più alta e che tutta la mia anima si fosse ad un tratto mutata.... Dietro a lei scendeva, ridendo e chiacchierando, un bel giovane biondo, con un lungo cappotto chiaro. Ci vide, e il suo viso si coperse di pallore, poi diventò rosso come di fuoco: il mio sguardo tagliente come una lama gli deve essere penetrato fino in fondo al cuore. Il babbo spinse la porticina della chiesa: io lo seguii, ma prima di richiuderla mi voltai. La ragazza s' era appoggiata al braccio di lui, e mi passarono davanti: mio cugino si guardava la punta degli stivali. Ciao, Conny! - gridò ad un tratto la fanciulla. Mi sentii un tuffo nel sangue e la guardai cogli occhi scintillanti di sdegno e di ribrezzo. Era la Lisetta; quella mia compagna di scuola di cui mi aveva parlato la fruttaiuola. Mi parve che mio cugino trasalisse stupito, e certo respinse il braccio di lei. Ma ella vi s'aggrappò di nuovo dicendo forte: - Che stupida quella Conny! Siamo state compagne di scuola e finge di non conoscermi. - La porta si richiuse dietro di me e mi trovai in chiesa. M' inginocchiai: i miei occhi erano fissi a una candela che ardeva sull'altare, e quella fiammella agitandosi mi pareva che s'allargasse e formasse delle grandi stelle che m'abbagliavano: ma non pensai di guardar altrove. Una povera donna, inginocchiata vicino a me, diceva al suo bambino: - Di': Buon Dio, beneditemi, fatemi diventare un bravo giovane, sincero e onesto. - E nelle orecchie mi si ripeteva: " un bravo giovine sincero e onesto.... - E nella mente, fisso, questo pensiero: L'ho amato! l'ho amato! e mi chiusi il viso nelle mani con un senso doloroso di vergogna. *** Quando fui sulla soglia del mio salotto mi passai una mano sulla fronte. Non mi pareva vero d'esserci arrivata; mi pareva un gran pezzo ch'ero assente da casa mia, che non vivevo la mia vita tranquilla e felice. Filippo era seduto nella mia paltroncina rossa colla Revue fra le mani; si alzò spalancò serio e compassato, ma poi mi guardò, gli occhi e aperse le braccia. lo mi vi buttai singhiozzando. - Finalmente! - disse. - Ringrazia Iddio che ti sei svegliata in tempo.... domani sarebbe troppo tardi.... Povera figliuola! hai avuto il tuo momento di vertigine anche tu, forte e ragionevole. Era forse necessario: hai fatto la tua esperienza. - Io m'aggrappai stretta e convulsa al suo collo. - Non è stato a tempo Filippo; - disse il babbo con una voce soffocata dall'emozione - l' altro giorno ha rifiutato Rinaldi. Rinaldi! - esclamò Filippo con sorpresa, e le sue braccia mi strinsero, quasi con tremito. - Era il mio sogno - mormorò. - L' unico uomo che ti meritava. Emanuele, - disse poi con una voce ferma e forte, - ti giuro che io ho fatto di tutto per evitare alla tua figliuola questo dolore: ma non ho potuto! Nessuna donna sa resistere al fascino del suo sguardo; è lui stesso che lo ha detto una sera: l' ho sentito io, e so che ha fatto l'esperienza su parecchie signore della nostra società. Questa volta, è vero, aveva tutta l' intenzione di finire al municipio: il mese scorso ha perduto al gioco non so quanto, e aveva bisogno di rifarsi.... - Abbi pietà di questa povera creatura! - gridò risentito il babbo. - Oh! non conosci la tua figliuola; ella ha bisogno di veder chiaro in tutto, di non essere ingannata: non è vero Conny? Vedi, io mi ero detto: Conny è buona e seria. Conny conosce il mondo - e sorrise con amarezza. - Conny, che ha letto i filosofi e i metafisici, analizza, capisce tutto, e sa che cosa bisogna fare per resi- stere alle vanità e alle seduzioni di quella brutta bestiaccia che si chiama società. Conny ha vissuto finora in mezzo a libri sani e a vecchi onesti, ma sa istintivamente quante leggerezze, quante slealtà e quante colpe si trovano nella giovane società: e saprà capire, studiare e rimaner sempre in alto, sopra a tutti, la donnina forte! Questo mi ero detto, cara figliuola; e questo voleva dire: non c' è bisogno di metterla in guardia: non sa ancora che cosa sia l'amore, ma ella saprà distinguere il falso dal vero, il complimento dalla dichiarazione, la parola dal sentimento, la leggerezza dalla serietà. - Tacque. lo tenevo il viso nascosto contro il suo petto e piangevo in silenzio. A un tratto alzai la testa, mi guardai, attorno, e dissi: - Filippo, non ne parliamo più, la prego! - e gli stesi la mano: egli me la baciò ed uscì. - Babbo, staremo sempre insieme! mi condurrai a Roma con te, non è vero? - Sì, cara figliuola; mi asciugò gli occhi, poi mi baciò con tenerezza. - L' indomani mi svegliai pallida ma calma. C' era nel mio sguardo una luce nuova profonda, cupa, e un lampo pieno d'alterezza e qualche volta di sarcasmo, che credo mi durerà tutta la vita. FINE

L'uccellino azzurro

212594
Maeterlink, Maurice 11 occorrenze
  • 1926
  • Felice Le Monnier, Editore
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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Ah quante avventure abbiamo avute!... LA MAMMA Come, Mytyl?... Che cosa dici?... TYLTYL Era con me.... E abbiamo riveduto i nonni.... LA MAMMA (sempre più sbalordita) I nonni?... TYLTYL Sì, nel Paese del Ricordo.... Era proprio lì sulla nostra strada.... Sono morti, ma però stanno bene.... La nonnina ci ha preparato una bella torta di susine.... E poi abbiamo anche visto i fratellini, Roberto, Giovanni, la sua trottola, Maddalena e Pierina, Paolina, e poi anche Richetta.... MYTYL Sai, mamma, Richetta cammina sempre carponi!... TYLTYL E Paolina ha sempre quella bolla sul naso.... MYTYL Ti abbiamo vista anche ieri sera.... LA MAMMA Ieri sera? Ma di certo, poichè ti ho messa a letto! TYLTYL No, no, noi qui; nel giardino della Felicità; eri tanto più bella, ma però ti somigliavi.... LA MAMMA Il giardino della Felicità?... Non ne ho mai sentito parlare.... TYLTYL (la guarda a lungo, poi, abbracciandola) Sì, eri più bella; però mi piaci di più così.... MYTYL (abbracciandola anch'essa) Anche a me, anche a me, mi piaci di più così.... LA MAMMA Dio mio! Ma che cosa hanno?... Ah, moriranno anche loro, come sono morti gli altri... (Spaventata chiama): Babbo! Babbo!... Vieni, presto!... I bambini stanno male!... (Entra Babbo Tyl, tranquillo, con in mano la scure). IL BABBO Che cosa c'è?... TYLTYL e MYTYL (correndogli gioiosamente incontro per abbracciarlo) Guarda, il babbo!... È il babbo?... Buongiorno, babbo !... Hai lavorato molto quest'anno?... È stata un'annata buona?... IL BABBO Ebbene, che cosa c'è?... Non hanno davvero l'aria di star poco bene; hanno bonissimo aspetto.... LA MAMMA (con gli occhi pieni di lacrime) Non c'è da fidarsi..... Succederà lo stesso a loro come agli altri.... Anche gli altri, fino all'ultimo, avevano buon aspetto; e poi Dio ce li ha presi.... Non so capire che cosa abbiano.... Li avevo messi a letto ieri sera, quieti quieti; e stamane si svegliano, e non mi raccapezzo più.... Non sanno quel che dicono; parlano di non so che viaggio.... Hanno veduto la Luce, il nonnino, la nonnina; dicono che sono morti ma che stanno bene.... TYLTYL Il nonnino però ha sempre la gamba di legno.... MYTYL E la nonnina, i reumi.... LA MAMMA Li senti?... Corri a chiamare il dottore!... IL BABBO Ma che, ma che!... Non sono mica morti, ancora.... Su, vediamo un po'.... (Bussano alla porta di casa). Avanti!... (Entra la Vicina, una vecchietta che assomiglia alla Fata del primo atto. Cammina appoggiandosi al bastone). LA VICINA Buongiorno, e buone feste a tutti!... TYLTYL La fata Beriluna! LA VICINA Vengo a chiedervi un po' di fuoco per la pentola.... Fa freschino, stamani.... Buongiorno, bambini, come va?... TYLTYL Signora Fata Beriluna, non l'ho mica trovato, sa, l'Uccellino Azzurro.... LA VICINA Che cosa dice?... LA MAMMA Oh, stia zitta, signora Berlingot!... Non sanno più quel che dicono.... Fanno così da quando si sono svegliati.... Devono aver mangiato qualcosa di cattivo.... LA VICINA Come, Tyltyl, non riconosci più la comare Berlingot, la tua vicina di casa?... TYLTYL Sì, signora.... Lei è la Fata Beriluna.... Non è mica in collera con noi, spero?... LA VICINA Beri.... come?... TYLTYL Beriluna.... LA VICINA Berlingot, vuoi dire, Berlingot.... TYLTYL Beriluna, Berlingot, come vuol lei, signora.... Ma Mytyl sa benissimo che.... LA MAMMA Questo è il male, che anche Mytyl.... IL BABBO Via, via!... Passerà. Ora ci penso io, con qualche buon scapaccione.... LA VICINA Lasciate andare, non vale la pena.... Me ne intendo, io: si tratta di un sognaccio.... Avranno dormito sotto un raggio di luna.... Anche la mia bambina, che è tanto malata, spesso è così ... LA MAMMA A proposito, come sta la vostra bambina?... LA VICINA Così così.... Non può alzarsi dal letto.... Il dottore dice che sonò i nervi.... Ma io lo so, che cosa la farebbe guarire.... Me Io chiedeva anche questa mattina, per regalo di Natale; è una sua idea fissa.... LA MAMMA Sì, lo so, vorrebbe l'uccellino di Tyltyl.... Ebbene, Tyltyl, non vuoi proprio deciderti a regalarlo a quella povera piccina?... TYLTYL Che cosa, mamma?... LA MAMMA Il tuo uccellino.... Per quello che te ne fai.... Non lo guardi nemmeno più.... E lei da tanto tempo si strugge dalla voglia di averlo!... TYLTYL Già, è vero, il mio uccellino.... Dov'è?... Ah, ecco la gabbia!... Vedi la gabbia, Mytyl?... È quella che teneva in mano il Pane.... Sì, sì, è proprio quella; ma dentro c'è un uccellino solo.... E l'altro?... Che l'abbia mangiato il Pane?... Guarda, guarda!... È azzurro!.... Ma è proprio la mia tortorella!... Oh, come mai è tanto più azzurra di quello che era prima che partissi?... Ma è l'Uccellino Azzurro, Mytyl! È l'Uccellino Azzurro che abbiamo tanto cercato!... Siamo andati tanto lontani, e invece era qui!... Che cosa strana!... Mytyl, lo vedi, MAURICE MAETERLINK. - L'Uccellino Azzurro. 16 l'uccellino? Chi sa che casa direbbe la Luce!... Voglio tirar giù la gabbia.... (Sale su di una sedia, e, staccata la gabbia dal chiodo, la porge alla Vicina). Ecco, prenda, signora, Berlingot.... Non è ancora proprio tutto azzurra; ma diventerà, vedrà.... Lo porti, lo porti subito alla sua bambina.— LA VICINA Come?... Davvero?... Me lo, dài, così a un tratto, e per nulla?... Dio, come sarà felice la mia bambina!... (Baciando Tyltyl). Ecco un bacio.... Scappo!... Scappo subito dalla mia bambina!... TYLTYL Sì, si, vada, presto; non vorrei che nel frattempo mutasse di colore.... LA VICINA Tornerò a raccontarti quel che avrà detto.... (Esce). TYLTYL (dopo essersi guardato lungamente intorno) Babbo, mamma; ma che cosa avete fatto, alla casa?... È la stessa di prima, sì; ma è tanto più bella.... IL BABBO Come, più bella?... TYLTYL Sì.... Avete ridato il colore da per tutto, rimesso tutto a nuovo; non vedete come tutto è pulito, ora, e lucido?... Non era mica così, l'anno passato.... IL BABBO L'anno passato?... TYLTYL (affacciandosi alla finestra) E la forestal... Com'è grande, com'è bella!... Non sembra più la stessa.... Ah, come si sta bene, qui!... (Aprendo la madia). Dov'è il Pane?... Curiosa! come se ne sta quieto quieto, ora, il Pane.... Ah, ecco Tylô!... Buongiorno, Tylô!... Bravo, ti sei battuto bene!... Ti ricordi, Tylô, nella foresta?... MYTYL E Tylette?... Guarda: mi riconosce, vedi? Ma non parla più.... TYLTYL Senta, signor Pane.... (Toccandosi la fronte). Oh bella, e il Diamante?... Non l'ho più... Chi mi ha preso il mio cappellino verde?... Poco male; non ne ho più bisogno.... Ah, ecco il Fuoco!... È buono, il Fuoco!... Crepita e ride per far arrabbiare l'Acqua.... (Correndo verso la fontanella). E l'Acqua?... Buongiorno, Acqua!... Che cosa dice?... Parla ancora, come prima, ma non mi riesce più di capire che cosa dice.... MYTYL E lo Zucchero? Non c'è più.... TYLTYL Dio, Come sono felice, felice, felice!... MYTYL Anch'io! Anch'io.... LA MAMMA Ma perchè vanno intorno a questo modo come due trottole?... IL BABBO Lascia stare, non preoccupartene. Giuocano a essere felici.... TYLTYL Io volevo bene alla Luce più che a tutti.... Dov'è la sua lampada?... Posso accenderla?... (Guardandosi ancora intorno). Dio, come è bella ogni cosa qua dentro, e come sono contento! (Bussano alla porta). IL BABBO Avanti! (Entra la Vicina, tenendo per la mano una bambina maravigliosamente bionda e bella, che stringe fra le braccia la tortorella di Tyltyl). LA VICINA Guardate che miracolo!... LA MAMMA Ma come!... Cammina?... LA VICINA Sì, cammina!... Anzi corre, balla, vola!... Appena ha veduto l'uccello è corsa in un balzo alla finestra per assicurarsi, alla luce, se fosse veramente la tortorella di Tyltyl.... E poi giù come un razzo, nella strada?... Volava che pareva un angelo.... Potevo appena tenerle dietro.... TYLTYL (avvicinandosi, meravigliato) Oh, come somiglia alla Luce!... MYTYL È molto più piccola, però.... TYLTYL È vero!... Ma crescerà.... LA VICINA Che cosa dicono?... Non stanno ancora bene, a quanto pare?... LA MAMMA Stanno meglio, ora passerà.... Quando avranno mangiato, saranno belle guariti.... LA VICINA (spingendo la piccina fra le braccia di Tyltyl) Va', dunque, piccina mia, va' a dire grazie a Tyltyl.... (Tyltyl, improvvisamente intimidito, si ritrae). LA MAMMA Perchè, Tyltyl? Che hai?... Hai paura della bambina?... Via, dalle un bacio.... Un bacio grosso grosso.... Non così.... Sei tanto ardito per solito!.. Ancora un altro, via.... Ma che hai?... Sei lì li per piangere.... (Tyltyl, dopo aver baciato goffamente la piccina, rimane un momento ritto dinanzi a lei, e i due bambini si guardano senza dirsi nulla. Poi Tyltyl, accarezzando l'uccellino): TYLTYL Ti pare che sia abbastanza azzurro?... LA BAMBINA Si, sì, sono tanto contenta.... TYLTYL Io però ne ho veduti di quelli molto più azzurri.... Ma quelli che sono proprio azzurri, sai, per quanto si faccia, non si riesce a prenderli.... LA BAMBINA Non importa; questo qui è molto bello.... TYLTYL Gli hai dato da mangiare?... LA BAMBINA Non ancora.... Che cosa mangia?... TYLTYL Mangiai di tutto: grano, pane, orzo, cicale.... LA BAMBINA E come fa, dimmi, a mangiare?... TYLTYL Mangia col becco. Guarda, ora ti faccio vedere.... (sta per prendere l'uccello dalle mani della bambina; questa si oppone, istintivamente, e la tortorella, approfittando di quel momento, si libera dalla stretta e vola via). LA BAMBINA (gettando un grido disperato) Mamma ! Mamma! È fuggito via!... (Scoppia in singhiozzi). TYLTYL Non è niente.... Non piangere.... Lo riacchiapperò.... (Andando verso la ribalta e indirizzandosi al pubblico). Se qualcuno trovasse per caso l' Uccellino Azzurro, vorrebbe far il piacere di rendercelo?... Ne avremo bisogno un giorno per poter essere felici.... CALA LA TELA. FINE.

Ma da che la vita, brutale e materiale ha assopito in noi la voce della poesia, ha chiuso i nostri occhi agli aspetti della bellezza, ha consumato in una vana ed affannosa lotta terrestre e quotidiana i nostri spiriti e i nostri istinti migliori, noi abbiamo disimparato a riconoscere l'anima delle cose che ci sono più vicine, la poesia del creato che è a portata della nostra mano, ed anche quando siamo pronti a sognare e ad invocare i più lontani paradisi, sembriamo ignorare i profumi del nostro giardino e chiuder l'orecchio all'amore che mormora più presso al nostro cuore. «Come son curiosi gli uomini! - dice Maeterlinck - Da quando le fate son morte essi non ci vedono più affatto e non se ne accorgono nemmeno!» Noi siamo infatti dei ciechi, per il poeta, noi che non sappiamo più vedere l'anima delle cose e riconoscere la bellezza e lo spirito in ogni cosa. Ogni cosa della vita, sembri pure informe o inanimata - egli ci dice invece - ha una voce, ha un' anima ed una bellezza, che bisogna imparare a discernere e ad intendere, che bisogna apprendere a personificare. Ecco qui nell'Oiseau bleu, personificata l'anima della luce, del pane, del fuoco, dell'acqua, degli alberi, degli animali. Tutto parla, tutto si muove, tutto s'appassiona e deve appassionare nel mondo. Non ci sono pietre preziose e pietre non preziose. «Tutte le pietre sono simili, tutte le pietre sono preziose». Dove parla lo spirito dell'uomo, la natura, animale o vegetale, parla intorno a lui, parla a lui. Che l'uomo si volga intorno e interroghi, e il mondo risponderà. Batta a tutte le porte, anche alle più ignote, tenebrose, spaventose e gli sarà aperto. Chieda la luce e, poichè la luce s'è fatta compagna dell'uomo, si è posta dalla parte dell'uomo, la luce sarà. Anche la più tenebrosa e spaventosa porta della Notte s'apre, infine, sul più meraviglioso dei giardini, sul giardino in cui gli uccellini azzurri, a miriadi, formano quasi un velario di luce azzurra, volando di raggio di luna in raggio di luna. Che dite? La morte? Il tenebrore e l'orrore freddo della morte? Ma non ci sono morti, non esiste la morte, tutto è vivo al di là come al di qua. Chi può mai parlare, chi ha mai parlato di morte? Tyltyl e Mytyl s'accorgono presto che i morti sono vivi, sono sempre vivi. Basta che qualcuno pensi a loro, basta che qualcuno li ricordi, perchè essi tornino a vivere felici. - Che cosa vuol mai dire la morte? - chiedono i morti. «Ogni volta che pensate a noi ci risvegliamo e vi rivediamo!» Quando si aprono le tombe nel freddo cimitero del regno di Tyltyl e di Mytyl, i fanciulli vedono uscirne, invece di gelidi e grami spettri, una luminosa e musicale fioritura di esseri vivi. «Dove sono i morti? - si domandano l'un l'altro. - Non ci sono morti!» L'Oiseau bleu è la fiaba della realtà che è poetica quanto il sogno e bella quanto il sogno, è la fiaba dell'ottimismo maeterlinckiano. Eppure questo uccellino azzurro, che è il segreto della felicità e delle cose, Tyltyl e Mytyl non lo trovano in nessun regno, in nessun cielo, in nessuna foresta, in nessun cimitero. L'uccellino azzurro non esiste, non esiste o cambia di colore e muore quando lo si è trovato e imprigionato in una gabbia. L'ideale dunque, la felicità dunque, non sono di questo mondo e neppure dell'altro mondo. Si ha voglia di viaggiare per paradisi ed inferni, anche dietro alle fate più miracolose, anche muniti dei talismani più preziosi; il nostro più bel sogno non si avvera mai, balena per sfuggirci, s'illumina per adeguarsi al nostro più triste e quotidiano orizzonte, per morire tra le nostre mani ghiacce dopo aver aleggiato per un tratto fuori dalla nostra calda fantasia. È vero, ma fino ad un certo punto. Riaccompagnate a casa, nella loro povera casa paterna, nitida e pura, Tyltyl e Mytyl. Come è più bella, ai loro occhi, la loro casa, dopo che essi hanno aperto il cuore al loro gran sogno ed han tanto peregrinato per le vie dell'ideale! Il babbo e la mamma sono più giovani e più buoni, le pareti sono più lucide e accoglienti, i mobili più belli e più lustri. Sono gli stessi, ma sono così diversi! Tutto è lo stesso e tutto è così diverso e l'uccellino azzurro è lì, dentro casa. Sono andati a cercarlo così lontano, in mezzo a tanti miracoli, a tanti prodigi, a tante paure e tante lotte e l'avevano lì in casa, era la tortora di casa, così azzurra, perchè, insomma, la felicità è vicina a noi, è dentro di noi, la felicità è nel contentarci di quello che abbiamo, nel saper vedere il bello e il buono di quello che la provvidenza ci ha dato, nel saper tenere gli occhi e il cuore aperti ad accogliere la bontà e la bellezza di tutte le cose, nel mettere la nostra poesia in tutte le cose. è proprio questa l'ottimismo dell'Oiseau bleu ed è un tale ottimismo, la morale e l'insegnamento, di questa favola così vera.

Abbiamo ben altro e di meglio da fare.... Non manca più che il Pane. Dove sarà?... IL CANE Non la finiva più di far storie nello scegliere il suo costume.... IL Fuoco Vale la pena davvero, con quell'aria idiota, e quel pancione!... IL CANE Finalmente si è deciso per un costume alla turca, guarnito di pietre preziose, con scimitarra e turbante.... LA GATTA Eccolo!... Si è messo il più bel vestito di Barbablu.... (Entra il Pane, nel costume ora descritto. Il vestito di seta si chiude a fatica sul ventre enorme. Tiene la destra sull'impugnatura, della scimitarra infilata nella cintura, e con la sinistra regge la gabbia destinata all'Uccellino Azzurro). IL PANE (pavoneggiandosi) Dunque?... Che ve ne pare?... IL CANE (saltellando intorno al Pane) Com'è bello! Com'è sciocco! Com'è bello! Com'è bello!... LA GATTA (al Pane) I bambini sono vestiti?... IL PANE Sì. Il signorino Tyltyl si è messa la giubba rossa, le calze bianche e i calzoncini celesti di Puccettino. La signorina, Mytil, il vestito di Grethel e le babbucce di Cenerentola.... Ma la cosa più difficile è stata di vestire la Luce !... LA GATTA Perchè?... IL PANE Perchè la Fata diceva che, così bella come era, si sciupava a vestirla!... Allora io ho protestato in nome della nostra dignità di elementi essenziali ed altamente rispettabili; e ho finito per dichiarare che se non si vestiva mi sarei rifiutato di uscir con lei. IL Fuoco Bisognava comprarle un paralume!... LA GATTA E la Fata, che cosa ha risposto?... IL PANE Mi ha dato delle bastonate sulla testa e sul ventre.... LA GATTA E allora?... MAURICE MAETERLINK. - L'Uccellino Azzurro. 4 IL PANE Allora, mi son lasciato subito persuadere. Ma all'ultimo momento la Luce si è decisa per il vestito «color di luna» che era in fondo al cofano che contiene i tesori di Pelle d'Asino.... LA GATTA Via! Abbiamo chiacchierato abbastanza; il tempo stringe.... Si tratta del nostro avvenire.... Avete sentito quel che ha detto la Fata? La fine di questo viaggio segnerà pure la fine della nostra esistenza.... Bisogna dunque prolungarlo il più possibile e con ogni mezzo.... Ma non basta dobbiamo pensare alla sorte della nostra razza e al destino dei nostri figli.... IL PANE Bene! Bene!... La Gatta ha ragione!... LA GATTA Ascoltatemi.... Noi tutti qui presenti, animali, cose ed elementi, possediamo un'anima che l'uomo non conosce ancora. Per questo conserviamo tuttora un resto d'indipendenza; ma se egli riesce a trovare l'Uccellino Azzurro, saprà tutto, vedrà tutto, e saremo completamente in sua balìa.... La mia vecchia amica la Notte, che è al tempo stesso la custode dei misteri della Vita, me lo diceva poco fa.... Dobbiamo dunque impedire in ogni modo che si trovi l'Uccellino Azzurro, a costo anche della vita dei bambini.... IL CANE (indignato) Che cosa dice?... Ripetile, che non ho sentito bene! IL PANE Silenzio!... Non avete la parola!... Presiedo io l'Assemblea.... IL Fuoco Chi vi ha nominato Presidente?... L'ACQUA (al Fuoco) Silenzio!... Di che cosa v'immischiate?... IL Fuoco Io faccio il mio dovere.... Non voglio osservazioni da voi.... Lo ZUCCHERO (in tono conciliante) Permettete.... Non bisticciamoci.... L'ora è grave. Dobbiamo anzitutto metterci d'accordo sulle decisioni da prendere.... IL PANE Sono interamente del parere dello Zucchero e della Gatta.... IL CANE Che sciocchezze!... L'Uomo è l'Uomo, e basta! ... Dobbiamo obbedirgli e fare tutto quello che vuole!... Questa è la sola verità?... Io non conosco che lui!... Viva l'Uomo!.. Per la vita, per la morte, tutto per l'Uomo!... L'Uomo è dio!... IL PANE Sono in tutto d'accordo col Cane. LA GATTA (al Cane) Ma bisogna dare delle buone ragioni.... IL CANE Non ci sono ragioni! Amo l'Uomo, e basta!... E se osate congiurare contro di lui, prima vi strozzerò, e poi gli rivelerò ogni cosa.... Lo ZUCCHERO (con dolcezza) Scusate.... Non inveleniamo la discussione.... Da un certo punto di vista avete ragione tutti e due.... C'è il prò e il contro.... IL PANE Sono interamente d'accordo con lo Zucchero!... LA GATTA Non siamo forse noi tutti, Acqua, Fuoco, e anche voi, Pane e Zucchero, vittime di una tirannia senza, nome?... Ricordate il tempo in cui, prima della venuta del despota, potevamo liberamente vagabondare sulla faccia della, Terra?... L'Acqua e il Fuoco erano i soli padroni del mondo; e ora, guardate come sono ridotti!... In quanto a noi, meschini discendenti dei grandi animali da preda.... Zitti!... Facciamo finta di nulla.... vedo avvicinarsi, la Fata e la Luce... La Luce si è posta dalla parte dell' Uomo: è la nostra peggiore nemica.... Eccole.... (Entrano da destra la Fata e la Luce, seguite da Tyltyl e Mytyl). LA FATA Ebbene?... Che c' è di nuovo?... Che cosa fate lì in quel cantuccio?... Sembrate tanti cospiratori.... È ora di mettersi in cammino.... La Luce sarà la vostra guida.... Voi obbedirete a lei come obbedireste a me; e a lei affido la mia bacchetta.... I bambini andranno stasera a trovare i nonni morti.... Voi, per discretezza, non li accompagnerete.... Passeranno la serata in seno alla loro famiglia defunta.... Nel frattempo preparerete tutto quanto occorre per la tappa di domani, che sarà lunga.... Su, in piedi; andiamo, e ognuno al proprio posto!... LA GATTA (con ipocrisia) Stavo dicendo per l'appunto questo, signora Fata.... Li esortavo a compiere coscienziosamente e coraggiosamente il loro dovere. Ma il Cane purtroppo m'interrompeva sempre.... IL CANE Che cosa dice?... Aspetta, aspetta!... (sta per slanciarsi sulla Gatta, ma Tyltyl, che se n' è accorto, lo ferma con un gesto minaccioso). TYLTYL A cuccia, Tylô!... Bada: se osi un'altra volta sola di.... IL CANE Mio piccolo dio, tu non sai; è lei che.... TYLTYL (minaccioso) Zitto!.. LA FATA Via, finiamola!... Il Pane, stasera, consegnerà la gabbia a Tyltyl.... Potrebb'essere che l'Uccellino Azzurro si nascondesse nel Passato, dai nonni.... In ogni modo conviene cercare anche là... Ebbene, Pane, dov'è la gabbia? IL PANE (con solennità) Un momento, prego, signora Fata.... (Col tono di un oratore che prende la parola). Voi tutti siete testimoni che questa gabbia d'argento, che mi fu affidata da.... LA FATA (interrompendolo) Basta!... Non facciamo frasi.... Usciremo da questa parte, mentre i bambini usciranno da quell'altra.... TYLTYL (con inquietudine) Andremo soli?... MYTYL Ho fame!... TYLTYL Anch'io!... LA FATA (al Pane) Apri un pro' il tuo vestito alla Turca, e dài loro una fetta del tuo buon ventre.... (Il Pane si apre il vestito, sfodera la scimitarra, e taglia dal suo pancione due fette di pane che offre ai, bambini). Lo ZUCCHERO (avvicinandosi ai bambini) Permettetemi di offrirvi un po' di zucchero filato.... (spezza l'una dopo l'altra le cinque dita della sua mano sinistra, e le offre ai bambini). MYTYL Che cosa fa?... Si rompe tutte le dita!... Lo ZUCCHERO (modestamente) Assaggiatele, sono squisite.... Dei veri zuccherini!... MYTYL (succhiando uno dei diti) Dio, com'è buono!... Ne hai molti?... Lo ZUCCHERO (c. s.) Sì, quanti ne voglio.... MYTYL Senti molto male a spezzarti le dita così?... Lo ZUCCHERO No, affatto.... Anzi, è una gran bella cosa; rispuntano subito, é così ho sempre le dita pulite e nuove.... LA FATA Via, bambini, non mangiate troppo zucchero.... Ricordatevi che fra poco cenerete dai nonni.... TYLTYL Son qui, i nonni?... LA FATA Li vedrete or ora.... TYLTYL Come faremo a vederli, se sono morti?... LA FATA Ti par possibile che sieno morti veramente, se vivono così nel vostro ricordo?... Gli uomini non conoscono questo segreto, perchè conoscono ben poche cose!... Tu invece, grazie al Diamante, vedrai fra poco che i morti dei quali serbiamo il ricordo vivono felici come se non fossero morti.... TYLTYL La Luce viene con noi?... LA LUCE No, è meglio che siate in famiglia, senza nessun altro.... Io vi aspetterò qui vicino, per non aver l'aria d'essere indiscreta.... Non sono stata invitata.... TYLTYL Da che parte andiamo?... LA FATA Di qua.... Eccovi sulla soglia del Paese del Ricordo. Appena avrai girato il Diamante, vedrai un cartello attaccato al tronco di un albero molto alto e capirai che sei arrivato.... Ma non dimenticate che dovete esser di ritorno tutti e due alle otto e tre quarti... è una cosa molto importante.... Mi raccomando, siate puntuali.... Andrebbe a monte ogni cosa, se tardaste.... A rivederci presto.... (Chiamando la Gatta, il Cane, la Luce, ecc.). Passate di qua, voi.... E i bambini di là (Esce da destra con la Luce; gli animali, ecc. mentre i bambini escono da sinistra). CALA LA TELA.

Mytyl, abbiamo appena il tempo di andare.... NONNA TYL Via, restate ancora un minuto.... Non brucia mica la casa.... Ci vediamo così di rado.... TYLTYL È impossibile.... La Luce è tanto buona.... E le ho promesso.— Andiamo, Mytyl, andiamo.... NONNO TYL Dio, come sono noiosi i Vivi con tutte le loro faccende e le loro agitazioni!... TYLTYL (prendendo la gabbia e abbracciando tutti in gran fretta) Addio, nonnino.... Addio, nonnina.... Addio fratellini, sorelline, Pierino, Roberto, Paolina, Maddalena, Entrichetta!... E addio anche a te Kikì!... Non possiamo proprio trattenerci di più.... Non piangere, nonnina, torneremo spesso.... NONNA TYL Tornate ogni giorno!... TYLTYL Sì, sì !... Torneremo più spesso che sia possibile.... NONNA TYL È la nostra sola gioia, è una festa per noi quando venite a trovarci col vostro pensiero!... NONNO Tu, Non abbiamo altre distrazioni.... TYLTYL Presto, presto!... Datemi la gabbia! NONNO TYL (porgendogli la gabbia) Eccola!... In quanto all'uccello, però, non garantisco nulla: se il colore non è buono.... TYLTYL Addio! Addio!... I FRATELLINI E LE SORELLINE Addio, Tyltyl!... Addio, Mytyl!... Ricordatevi dello zucchero filato!... Addio!.. Tornate!... Tornate presto!... (Tutti agitano i fazzoletti, mentre Tyltyl e Mytyl si allontanano lentamente. Ma già durante le ultime battute la nebbia si era gradatamente fatta più densa, e il suono delle voci si era affievolito: in modo che alla fine della scena tutto sparisce nel fitto della nebbia. Quando sta per calare il sipario, si scorgono ai piedi della quercia soltanto Tyltyl e Mytyl). TYLTYL Passiamo di qua, Mytyl.... MYTYL Dov'è la Luce?... TYLTYL Non lo so.... (guardando l'uccello dentro la gabbia). Oh bella!... L'uccellino non è più azzurro!... È diventato nero!... MYTYL Dàmmi la mano, fratellino.... Ho tanta paura.... Ho tanto freddo.... CALA LA TELA.

TYLTYL Abbiamo dell'erba, si, ma però non canta.... MYTYL Tyltyl ha un uccellino.... TYLTYL Sì: ma non lo posso dare.... LA FATA Perchè?... TYLTYL Perchè è mio. LA FATA È un'ottima, ragione, di certo. E dov'è quest'uccellino?... TYLTYL (additando la gabbia) Nella gabbia.... LA FATA (inforcando le lenti per osservare l'uccello) Non lo voglio; non è abbastanza azzurro. Bisognerà che andiate a cercarmi voi l'uccellino di cui ho bisogno. TYLTYL Ma io non so dov'è.... LA FATA Neppur io. Appunto per questo bisogna andar a cercarlo. Posso, a rigore, fare a meno dell'erba che canta; ma all'Uccellino Azzurro non posso assolutamente rinunziare. Ne ho bisogno per la mia bambina, che è malata. TYLTYL Che cos'ha?... LA FATA Non si capisce bene: vorrebbe essere felice.... TYLTYL Ah!... LA FATA E voi, sapete chi sono io?... TYLTYL Somigliate un poco alla nostra vicina di casa, la signora Berlingot.... LA FATA (sdegnata) Neppure per idea.... Non c'è nessuna somiglianza fra noi due.... Impertinente! Io sono la Fata Beriluna.... TYLTYL Oh! Davvero?... LA FATA Bisognerà partire subito. TYLTYL Verrai con noi, non è vero?... LA FATA No, non posso. Ho messo stamani la pentola al fuoco, e se sto via più di un'ora dà subito di fuori.... (Additando successivamente il soffitto, il focolare e la finestra). Volete uscire di su, di là, o di costà? TYLTYL (mostrando timidamente la porta) Non potrei uscire di lì?... LA FATA (inquietandosi di nuovo) È impossibile! È una bruttissima abitudine. (Accennando alla finestra). Usciremo di là.... Ebbene?... Che cosa aspettate?... Vestitevi subito.... (I bambini obbediscono e si vestono lesti lesti). Aiuterò io Mytyl.... TYLTYL Non abbiamo scarpe.... LA FATA Non importa. Vi darò io un cappellino meraviglioso. Dove sono i vostri genitori?... TYLTYL (mostrando l'uscio a destra) Sono di là; dormono.... LA FATA E i vostri nonni?... TYLTYL Sono morti.... LA FATA E i vostri fratellini e le vostre sorelline?.. Ne avete?... TYLTYL Sì, sì, abbiamo tre fratellini.... MYTYL E quattro sorelline.... LA FATA Dove sono?... TYLTYL Sono morti anche loro.... LA FATA Vi farebbe piacere di rivederli?... TYLTYL Oh sì!... Subito!... Fammeli vedere subito!... LA FATA È facile a dirsi.... Ma guardate che bella combinazione: potrete vederli passando dal Paese del Ricordo, che si trova appunto sulla strada per andare dall'Uccellino Azzurro. Subito a sinistra, dopo il terzo crocicchio. Che cosa stavate facendo quando ho bussato?... TYLTYL Si giocava a mangiare i pasticcini.... LA FATA Avete dei pasticcini?... Dove sono?... TYLTYL Sono nel palazzo dei bambini ricchi.... Vieni a vedere com'è bello!... (Trascina la Fata verso la finestra). LA FATA (guardando dalla finestra) Ma son quegli altri che li mangiano!... TYLTYL È lo stesso, poichè possiamo stare a guardarli.... LA FATA Non sei stizzito con quei bambini?... T YLTYL Perchè?... LA FATA Perchè mangiano tutto loro.... Dovrebbero vergognarsi di non darne un pochino anche a te.... TYLTYL Ma che! È naturale. Loro sono ricchi.... Com'è bella quella casa, non è vero?... LA FATA Non è mica più bella della tua. TYLTYL Oh! Come puoi fare a dirlo!... La nostra è più buia, più piccola, e poi non ci sono dolci.... LA FATA Eppure è eguale a quella lì, ti assicuro. Ma tu non ci vedi bene... TYLTYL Sì, sì, ci vedo benissimo!... Ho gli occhi buoni, io!... Posso distinguere perfino l'ora all'orologio della chiesa, che il babbo non si sogna neanche di vedere.... LA FATA (inquietandosi) E io ti ripeto che non ci vedi!... Sentiamo: come mi vedi, me?... Come sono fatta?... (Tyltyl tace, imbarazzato). Rispondi dunque! Voglio sapere se ci vedi bene.... Sono bella o brutta?... (Tyltyl continua a tacere, sempre più imbarazzato). Non mi vuoi rispondere?... Sono giovane o vecchia?... Ho la pelle rosea o la pelle gialla?... Ti pare forse ch'io abbia la gobba?... TYLTYL (con tono conciliante) No, no, appena appena.... LA FATA Dalla tua espressione si direbbe che ce l'abbia, e molto grossa, anche!... E il naso? Ho forse il naso a uncino, e un occhio solo?... TYLTYL No, non dico questo.... Ma come hai fatto a perdere l'occhio? LA FATA (sempre più stizzita) Non l' ho perduto niente affatto!.. Insolente! Mascalzone!... È anzi più bello dell'altro; più grande, più luminoso, azzurro come il cielo.... E i miei capelli, li vedi bene? Non sono forse biondi come il grano maturo?... Non sembrano oro puro?... La testa mi pesa da tanti che ne ho.... Scappano fuori da tutte le parti.... Non li vedi qui fra le mie mani?... (Mostra due misere ciocche di capelli grigi). TYLTYL Sì, ne vedo infatti qualcuno.... LA FATA (indignata) Qualcuno!... Vuoi dire una massa, un'onda, un fiume d'oro!... Lo so, c'è chi dice che non ne vede punti; ma tu non sei, spero, uno di quei cattivi.... e ciechi? TYLTYL No, no, vedo benissimo tutti quelli che non sono nascosti.... LA FATA Bisogna saper vedere anche gli altri, con lo stesso coraggio!... Curiosi, gli uomini!... Da quando sono morte le fate non ci vedono più, e non se ne accorgono nemmeno.... Fortuna che mi porto sempre dietro tutto quanto occorre per rianimare gli occhi spenti.... Guarda un po' che cosa tiro fuori dalla borsa!... TYLTYL Oh che bel cappellino verde!... Che c' è sulla coccarda, che brilla tanto? LA FATA È il grande diamante che fa vedere..., TYLTYL Ah!... LA FATA Sì: quando ci si mette il cappello in capo, si gira un poco il diamante, da destra a sinistra, per esempio. Così, vedi?... Il diamante preme allora sopra un bernoccolo della testa che nessuno sa di avere, e che fa aprire gli occhi.... TYLTYL Fa male?... LA FATA Ma che!... È fatato.... Allora si vede subito quello che si nasconde dentro alle cose: l'anima del pane, per esempio; del vino, del pepe.... MYTYL Si vede anche l'anima dello zucchero? LA FATA (inquietandosi) Naturalmente!... Perché fai queste domande inutili?... E poi, come se l'anima dello zucchero fosse più interessante di quella del pepe.... Ecco, vi ho dato tutto quello che avevo per aiutarvi a trovare l'Uccellino Azzurro.... Lo so: forse l'Anello-che-rende-invisibile o il Tappeto- Volante vi sarebbero più utili.... Ma ho perduto la chiave dell' armadio nel quale li avevo riposti.... Ah, dimenticavo.... (mostrando il diamante). Vedi: tenendolo così, e facendolo girare un po' più, si rivede il passato..... Un pochino di più ancora, e si vede l'avvenire.... È una cosa curiosa e pratica e non fa punto rumore.... TYLTYL Il babbo me lo prenderà.... LA FATA No, perchè non lo vedrà. Nessuno lo potrà vedere finchè l'avrai sul capo tu.... Vuoi provare ?... (Mette in testa a Tyltyl il cappellino verde). Ora, gira il diamante.... Un giro, e poi.... (Appena Tyltyl gira il diamante, ogni cosa a un tratto si trasforma come per prodigio. La vecchia fata diventa una bellissima principessa; le pietre con le quali sono costruiti i muri della capanna s'illuminano, brillano di una luce azzurrina, diventano trasparenti, scintillano, abbagliano come se fossero pietre preziose. I mobili poverissimi si animano e luccicano. La rozza tavola di legno bianco assume l'aspetto nobile e grave di una tavola di marmo. Il quadrante dell'orologio occhieggia e sorride allegramente, mentre lo sportello della cassa dentro la quale il pendolo oscilla, si schiude per lasciar scappare fuori le ore, che tenendosi per la mano e ridendo pazzamente si mettono a danzare al suono di una musica deliziosa. Naturale sorpresa, mista a spavento, di Tyltyl, il quale, mostrando le Ore, esclama): TYLTYL Chi sono tutte quelle belle signore? LA FATA Non aver paura: sono le ore della tua vita, felici di esser libere e di lasciarsi vedere un momento.... TYLTYL E perchè le pareti sono così lucenti? Sono forse di zucchero oppure di pietre preziose? LA FATA Tutte le pietre sono eguali, tutte le pietre sono preziose. Ma l'uomo ne vede soltanto alcune.... (Nel frattempo la scena magica si svolge completandosi. Le anime dei Pani tondi da quattro libbre, sotto l'aspetto di omìni in maglia color crosta di pane, sbalorditi e infarinati, sbucano fuori dalla madia e si mettono a saltellare intorno alla tavola. Li raggiunge il Fuoco, il quale, guizzato fuori dal focolare con una maglia gialla e rossa, li rincorre torcendosi dalle risa). TYLTYL Chi sono quei brutti omìni? LA FATA Gente da poco. Sono le anime dei Pani Tondi da quattro libbre che approfittano del Regno della Verità per uscir fuori dalla madia dove stavano un po' ristretti.... TYLTYL E quel diavolone rosso che ha cattivo odore?... LA FATA Ssst!... Non ti far sentire. È il Fuoco.... Ha un caratteraccio!... (Durante questo dialogo la scena magica continua a svolgersi. Il Cane e la Gatta, raggomitolati ai piedi dell'armadio, gettano simultaneamente un grido e spariscono in una botola. In loro vece compaiono due personaggi, l'uno dei quali porta una maschera di can mastino e l'altro una testa di gatta. Subito dopo l'omìno dalla maschera di mastino - che d'ora innanzi chiameremo Cane - si precipita su Tyltyl, lo abbraccia violentemente e lo copre di carezze impetuose; mentre la donnina dalla maschera di gatta - che per semplificare chiameremo Gatta - si avvicina a Mytyl, dopo essersi ravviati i capelli, lavate le mani e lisciati i baffi). IL CANE (urlando, saltando, buttando tutto all'aria, dando noia a tutti) Mio piccolo dio!... Buongiorno, buongiorno, mio piccolo dio!... Finalmente, finalmente posso parlare!... Avevo tante cose da dirti!... Avevo un bell'abbaiare e scodinzolare!... Tu non capivi.... Ma ora!... Buongiorno! buongiorno! ... Come ti voglio bene!... Come ti voglio bene!... Vuoi che faccia qualche cosa di straordinario?... Vuoi che mi metta a camminare sulle mani d che balli sulla corda?... TYLTYL (alla Fata) Chi è questo signore con la testa di cane? LA FATA Non vedi? È l'anima di Tylô, da te liberata or ora.... MAURICE MAETERLINK. - L'Uccellino azzurro. 3 LA GATTA (avvicinandosi con prudenza a Mytyl e porgendole cerimoniosamente la mano) Buongiorno, signorina,.... Come siete bella stamani!... MYTYL Buongiorno, signora.... (alla Fata) Chi è?... LA FATA Non indovini?... È l'anima di Tylette che ti porge la mano.... Su, via, dàlle un bacio.... IL CANE (dando uno spintone alla Gatta) Anch'io!... Voglio abbracciare il piccolo dio!... Voglio abbracciare la bimba! Voglio abbracciare tutti! Bene!... Come ci divertiremo!... Voglio far paura a Tylette.... Bau! Bau! Bau!... LA GATTA Signore, non ho il piacere di conoscervi. LA FATA (minacciando il Cane con la sua bacchetta) Sta' fermo, tu; se no ti faccio rientrare nel silenzio fino alla fine dei tempi.... (Nel frattempo la scena magica continua a svolgersi. L'Arcolaio in un angolo si è messo a girare vertiginosamente dipanando dei meravigliosi raggi di luce. Dall'altra parte la Fontanella si mette a cantare con voce acutissima, e, trasformandosi in fontana luminosa, inonda l'acquaio di un torrente di perle e di smeraldi dove si getta l'anima dell'acqua, simile a una fanciulla scapigliata, grondante di pioggia, e tutta in lacrime. Essa si azzuffa subito col Fuoco). TYLTYL E quella signora tutta bagnata?... LA FATA Non temere. È l'Acqua, che scappa fuori dalla cannella.... (Il Bricco del latte si rovescia, cade in terra, si spezza. Dal latte sparso s'inalza una figura alta, bianca e pudica, che ha l'aria di aver paura di tutto). TYLTYL E quella signora in camicia, così spaurita?... LA FATA È il Latte che ha rotto il suo bricco.... (Il Pan di zucchero posato ai piedi dell'armadio cresce a poco a poco e rompe l' involucro di carta, dal quale sbuca fuori un essere sdolcinato e mellifluo, vestito con una cappa mezza bianca e mezza celeste, che sorridendo beatamente si avanza verso Mytyl). MYTYL (impaurita) Chi è?... LA FATA Non vedi? È l'anima dello Zucchero!... MYTYL (rassicurata) Chi sa se avrà lo zucchero filato?... LA FATA Sì, certo; in tasca non ha che zucchero filato, e ogni dito della mano è di zucchero filato.... (La Lampada cade a terra, e appena caduta, la sua fiammella si raddrizza e si trasforma in una vergine luminosa d' incomparabile bellezza. È coperta da lunghi veli trasparenti e abbaglianti, e rimane immobile, come in estasi). TYLTYL È la Regina!... MYTYL È la Madonna!... LA FATA No, bambini miei. È la Luce. (Intanto le cazzeruole sulle mensole si mettono a girare come tante trottole. L'armadio della biancheria spalanca i suoi sportelli, e ne escono fuori stoffe magnifiche color di sole e color di luna, alle quali si uniscono dei cenci e degli stracci dall'aspetto non meno sontuoso, che scendono giù dalla scaletta del granaio. Ma a un tratto si odono tre colpi bruschi alla porta a destra). TYLTYL (spaventato) È il babbo! Ha sentito!... LA FATA Gira il diamante!... Da sinistra a destra.... (Tyltyl gira in fretta il diamante). Non così in fretta! Dio mio! È troppo tardi.... L'hai girato troppo presto.... Non faranno più a, tempo a riprendere il loro posto e avremo delle noie, ho paura.... (La Fata riappare di nuovo sotto l'aspetto di una brutta. vecchia; le pareti della capanna perdono il loro splendore, le Ore ritornano dentro all'orologio, l'Arcolaio si ferma, ecc. Ma nella fretta e nella confusione generale, mentre il Fuoco corre pazzamente intorno alla stanza in cerca del focolare, uno dei Pani Tondi da quattro libbre che non è riuscito a trovar posto nella madia, scoppia in singhiozzi urlando dallo spavento). Che cosa c'è?... IL PANE (piangendo) Non c'è più posto nella madia?... LA FATA (guardando dentro alla madia) Ma sì, ma sì.... (spingendo gli altri Pani che hanno ripreso il loro posto). Via, presto, stringetevi un po'.... (Bussano di nuovo alla porta). IL PANE (smarrito, sforzandosi invano di entrare nella madia) Non c'è rimedio.... Mi mangeranno prima degli altri! IL CANE (saltando intorno a Tyltyl) Mio piccolo dio!... Io son sempre qui!... Posso parlare ancora!... Ancora! ancora! ancora... LA FATA Come, anche tu?... Sei sempre qui?... IL CANE Ho avuto fortuna!... Non sono potuto tornare nel silenzio. La botola si è chiusa troppo presto.... LA GATTA E la mia pure.... Che cosa succederà?... Siamo forse in pericolo?... LA FATA Ecco, debbo dirvi la verità: tutti quelli che accompagneranno i due bambini, moriranno alla fine del viaggio.... LA GATTA E quelli che non li accompagneranno?... LA FATA Sopravviveranno pochi minuti.... LA GATTA (al Cane) Vieni, rientriamo nella botola.... IL CANE No, no, non voglio!... Voglio accompagnare il mio piccolo dio!... Voglio parlargli sempre!... LA GATTA Scimunito!... (Bussano di nuovo alla porta). IL PANE (piangendo a calde lacrime) Non voglio morire alla fine del viaggio!... Voglio tornar subito dentro la madia!... IL Fuoco (che nel frattempo non ha smesso un istante di correre vertiginosamente intorno alla stanza, con sibili d'angoscia) Non trovo più il focolare!... L'ACQUA (tentando invano di rientrare nella cannella) Non mi riesce più di rientrare nella, cannella!... Lo ZUCCHERO (affannandosi intorno all'involucro di carta) Ho lacerato la, carta che m'involtava... IL LATTE (linfatico e pudico) Mi hanno rotto il bricco! LA FATA Che stupidi, Dio mio!... Stupidi e vili.... Preferireste dunque di continuare a vivere in quelle brutte scatole, nelle botole o dentro alle cannelle piuttosto che accompagnare i bambini nella ricerca dell'Uccellino Azzurro?... TUTTI (eccettuati il Cane e la Luce) Sì, sì! Lo preferiamo!... Oh, la mia cannella!... La mia madia!... Il mio focolare!... La mia botola!... LA FATA (alla Luce, che contempla pensosa i resti della sua lampada infranta) E tu, Luce, che cosa ne pensi?... LA LUCE Io accompagnerò i bambini.... IL CANE (abbaiando di gioia) Anch'io!... anch'io!... LA FATA Meno male! È troppo tardi, in ogni modo, per tornare indietro. Non sta più in voi di scegliere; perciò verrete tutti con noi.... Ma tu, Fuoco, abbi cura di non avvicinarti a nessuno; e tu, Cane, non punzecchiare la Gatta e tu, Acqua, procura di star bene diritta e di non sgocciolare dappertutto.... (Si odono novamente dei colpi violenti alla porta di destra) TYLTYL (ascoltando) È il babbo, di nuovo.... Questa volta si è alzato davvero, lo sento camminare.... LA FATA Usciamo dalla finestra.... Verrete tutti a casa mia, e cercherò di vestire come si conviene gli animali e le cose.... (Al Pane) Tu, Pane, prendi la gabbia nella quale metteremo l'Uccellino Azzurro.... L'affido a te.... Presto, presto, non perdiamo tempo.... (La finestra si allunga a un tratto e si trasforma in una porta. Escono tutti, dopo di che la finestra riprende la sua forma primitiva, e si richiude come se nulla fosse. La stanza è ritornata buia, e i due lettini sono immersi nell'ombra. L'uscio a destra si schiude, e attraverso lo spiraglio fanno capolino Babbo Tyl e Mamma Tyl). IL BABBO Non era nulla, te lo dicevo.... è il grillo che canta.... LA MAMMA Li vedi?... IL BABBO Sì. Dòrmono quieti quieti.... LA MAMMA Li sento respirare.... (L'uscio si richiude). CALA LA TELA

Abbiamo molta fretta ; stiamo cercando l'Uccellino Azzurro.... Per caso, non sapreste dirci dove si è nascosto? IL GRASSO PIACERE L'Uccellino Azzurro?... Aspettate un momento.... Sì, sì, mi ricordo.... Ne ho sentito parlare molto tempo fa.... Dev'essere un uccello non commestibile.... Certo, non l'ho mai visto sulla, nostra tavola: il che significa che non è tenuto in gran conto.... Ma che ve ne importa? Abbiamo mille altre cose molto migliori.... Parteciperete alla nostra vita, vedrete tutto quello che stiamo facendo. TYLTYL Che cosa fate? IL GRASSO PIACERE Siamo sempre occupatissimi a non far nulla.... Non abbiamo un minuto di riposo.... Dobbiamo bere, dobbiamo mangiare, dobbiamo dormire.... Tutto questo ci porta via tutto il tempo disponibile.... TYLTYL È una cosa divertente ? IL GRASSO PIACERE Sì, certo.... D'altra parte, poichè non c'è altro da fare su questa Terra.... LA LUCE Ne siete, sicuri?... IL GRASSO PIACERE (indicando la Luce, a bassa voce a Tyltyl) Chi è quella giovane così maleducata?... (Durante questo dialogo, una folla di Grassi Piaceri secondari si è fatta intorno al Cane, allo Zucchero e al Pane, e li ha trascinati con sè nell'orgia. Tyltyl li scorge a un tratto fraternamente seduti a tavola con i loro ospiti, intenti a mangiare e a bere dimenandosi pazzamente). TYLTYL Ma guarda un po', Luce!... Si sono seduti a tavola!... LA LUCE Chiamali! Altrimenti andrà a finir male.... TYLTYL Tylô!... Qua, Tylô! Qua subito, hai capito?... E voi laggiù, Zucchero e Pane, chi vi ha dato il permesso di lasciarmi?... Che cosa state facendo costì, senza la mia, autorizzazione? IL PANE (con la bocca piena) Non potresti parlarci con più cortesia?... TYLTYL Come! Il Pane si permette di darmi del tu?... Ma che cosa ti passa per la testa?... E tu, Tylô?... Così si obbedisce? Svelto, qua subito, a cuccia, a cuccial... Subito, hai inteso?... IL CANE (sottovoce, dal capo della tavola) Io, quando mangio, non ci sono per nessuno, non ho orecchi per niente e per nessuno.... Lo ZUCCHERO (con tono mellifluo) Scusatemi, ma come potremmo lasciare a un tratto, senza offenderli, degli ospiti tanto cortesi?... MAURICE MAETERLINK. - L'Uccellino azzurro. 11 IL GRASSO PIACERE Vedi?... Ti danno il buon esempio.... Vieni, ti aspettano.... Non ammettiamo scuse.... Ti faremo dolce violenza.... Avanti, voi tutti, Grassi Piaceri, aiutatemi.... Spingiamoli per forza verso la tavola, per obbligarli ad essere felici contro la loro stessa volontà!... (Tutti i Grassi Piaceri, con salti e grida di gioia, trascinano i bambini che tentano di divincolarsi, mentre il Riso-Sciocco afferra arditamente la Luce per la vita). LA LUCE Gira il Diamante, presto. È ora!... (Tyltyl obbedisce all'ordine della Luce, e la scena s'illumina tosto di una luce purissima, divinamente rosea, armoniosa e leggera. Gli ornamenti massicci del primo piano, i pesanti drappeggi rossi cadono e scompaiono. Al loro posto appare un fantastico e dolce giardino di sogno pieno di pace e di serenità. Qualche cosa che somiglia a un palazzo di verzura dalle armoniche prospettive nel quale tutto, dalla magnificenza del fogliame lussureggiante e luminoso, esuberante e nondimeno composto, all'ebrezza virginale dei fiori, alla fresca gaiezza delle acque scorrenti e zampillanti per ogni dove, sembra portare fino agli estremi confini dell'orizzonte l'immagine stessa della felicità. La tavola dell'orgia sprofonda nel terreno senza lasciare traccia. Al soffio luminoso che invade la scena, i velluti, i broccati, le corone dei Grassi Piaceri, nonchè le loro maschere ilari, si lacerano e cadono ai piedi dei convitati stupefatti. I quali rapidamente sgonfiano a guisa di vesciche scoppiate, si guardano l'un l'altro sbattendo gli occhi offesi dai raggi a loro ignoti; finchè, vedendosi quali sono in realtà, cioè nudi, flosci, ributtanti e compassionevoli, si mettono a urlare dallo spavento e dalla vergogna. Tra questi urli si distinguono nettamente quelli del Riso-Sciocco, che dominano tutti gli altri. Solo il Piacere-di-non- capir-nulla rimane perfettamente calmo, mentre i suoi colleghi si agitano disperatamente tentando di fuggire, di nascondersi in qualche angolo oscuro. Ma nel giardino abbagliante di luce non c'è ombra. Perciò, disperati, i più si decidono a oltrepassare il sipario minaccioso che a destra, in un angolo, chiude la caverna delle Sventure. E ogni volta che uno di essi, preso dal panico, solleva un lembo di quella tenda, dal fondo dell'antro si eleva una tempesta d'ingiurie, d'imprecazioni e di maledizioni. Il Pane, il Cane e lo Zucchero, avviliti, raggiungono il gruppo dei bambini cercando, pieni di vergogna, di nascondersi dietro di loro). TYLTYL (guardando i Grassi Piaceri che fuggono) Dio mio! Come son brutti!... Dove vanno?... LA LUCE Hanno perduto la testa, a quanto pare.... Vanno a rifugiarsi presso le Sventure, e vi rimarranno, temo, per sempre.... TYLTYL (guardandosi attorno, estatico) Oh che bel giardino! Che bel giardino!... Dove siamo?... LA LUCE Siamo sempre nello stesso luogo. Ma ora i tuoi occhi vedono oltre la cerchia consueta.... Vediamo ora la verità qual'è; e fra poco scorgeremo le anime dei Piaceri che possono sopportare la luce del Diamante. TYLTYL Com'è bello!... E che bel tempo!.. Par d'essere in estate.... Guarda! Si direbbe che qualcheduno si avvicina a noi per parlarci.... (Infatti i giardini cominciano a popolarsi di forme angeliche che sembrano uscire da un lunghissimo sonno e che scivolano graziosamente tra gli alberi. Portano vesti luminose dalle sfumature dolcissime e soavi: risveglio di rosa, sorriso d'acqua, azzurro di aurora, rugiada d'ambra, ecc.). LA LUCE Vedi? Ecco dei Piaceri amabili e singolari, dai quali potremo sapere tante cose.... TYLTYL Li conosci?... LA LUCE Sì, li conosco tutti; spesso vengo a trovarli senza che sappiano chi io sia.... TYLTYL Quanti!... Quanti!... Sbucano fuori da tutte le parti.... LA LUCE Una volta ce n'erano molti di più. Sono stati assai danneggiati dai Grassi Piaceri. TYLTYL Non importa, ne rimangono sempre abbastanza.... LA LUCE E ne vedrai tanti altri, a mano a mano che si spargerà nei giardini l'influsso del Diamante.... Vi sono sulla Terra molti più Piaceri di quel che non si creda; ma la maggior parte degli Uomini non sa scoprirli.... TYLTYL Eccone alcuni piccolini che vengono verso di noi.... Andiamo loro incontro.... LA LUCE È inutile. Quelli che più c'interessano passeranno di qui. Ci manca, il tempo di conoscere anche tutti gli altri. (Una brigata di Piaceri piccolini, ridendo e saltellando, arriva, di corsa dal fondo verdeggiante e si mette a ballare un girotondo intorno ai due bambini). TYLTYL Come sono bellini!... Chi sono? Di dove vengono?... LA LUCE Sono i Piaceri dei bambini.... TYLTYL Posso parlare con loro?... LA LUCE È inutile. Cantano, ballano, ridono, ma non sanno ancora parlare.... TYLTYL (saltellando) Buongiorno! Buongiorno! Guarda quel grassone lì, come ride!... Che belle gotine che hanno!... E come sono ben vestiti!... Sono forse tutti ricchi qui?... LA LUCE No, no. Qui, come dappertutto, sono molti più i poveri che i ricchi.... TYLTYL E dove sono i poveri?... LA LUCE Non si possono distinguere gli uni dagli altri.... Il Piacere di un bambino è sempre rivestito da ciò che di più bello esiste sulla terra e nei cieli. TYLTYL (eccitato ) Vorrei ballare con loro.... LA LUCE No, caro, non è possibile; ci manca il tempo.... Ho già visito che l'Uccellino Azzurro non e' è neanche qui.... E del resto, vedi, hanno fretta, son già scomparsi.... Non hanno tempo da perdere neanch'essi: l'infanzia è breve..... (Un'altra brigatella di Piaceri, un po' più grandi dei precedenti, si precipita nel giardino cantando a squarciagola: «Eccoli! Eccoli! Ci hanno visto! Ci hanno visto!» e si mettono a ballare intorno ai due bambini un'allegra faràndola. Quando questa è finita, colui che sembra il capo della piccola schiera si avvicina a Tyltyl porgendogli la mano). IL PIACERE Buongiorno, Tyltyl!... TYLTYL E anche lui mi conosce!... (alla Luce) Tutti mi conoscono, un po' per volta—. Chi sei?... IL PIACERE Non mi riconosci? Scommetto che non riconosci nessuno dei miei compagni?... TYLTYL (un po' imbarazzato) No... Non so, non mi ricordo di avervi mai visto.... IL PIACERE Avete sentito?.. Ne ero sicuro?... Non ci ha mai visto!... (Tutti i Piaceri scoppiano in una risata). E io invece ti dico, mio caro Tyltyl, che ci conosci, e molto bene anche!... Siamo sempre intorno a te!.. Con te mangiamo, beviamo, ci destiamo, respiriamo, viviamo!... TYLTYL Si, si, va bene, lo so.... Mi ricordo.... Ma vorrei sapere come vi chiamate. IL PIACERE E io invece capisco benissimo che non sai nulla.... Sono il capo dei Piaceri-della-tua, casa; e questi che vedi, sono tutti gli altri Piaceri che vi abitano con te. TYLTYL Come! Ci sono dunque dei piaceri a casa mia ?. (Tutti i Piaceri scoppiano in una risata). IL PIACERE Avete sentito?... Chiede se ci sono dei Piaceri a casa sua!... Ma, povero scioccherello, la tua casa ne rigurgita!... Noi ridiamo, noi cantiamo, noi sappiamo creare tanta gioia da buttar all'aria i muri, da scoperchiare il tetto. Ma è inutile. Tu non vedi niente, tu non senti niente.... Spero però che d'ora innanzi metterai giudizio.... E intanto, ora saluterai i più autorevoli.... Così, quando sarai tornato a casa, ti sarà più facile riconoscerli e potrai, al chiudersi di una bella giornata, incoraggiarli con un sorriso, ringraziarli con una parola, cortese. Perchè, credilo, fanno il possibile per renderti facile e piacevole la vita.... E io, per il primo, il servitor tuo, il Piacere-di-essere- in-buona-salute—. Non sono il più bello, ma sono il più serio. Saprai riconoscermi? Ed ecco qua il Piacere-dell'aria-pura, che è quasi trasparente.... Ecco il Piacere-di-voler bene-ai-propri-genitori, vestito di grigio e sempre un po' triste perchè nessuno lo guarda mai.... Ecco il Piacere-del-cielo-azzurro, vestito naturalmente di azzurro; e il Piacere-della- foresta, non meno naturalmente vestito di verde, e che rivedrai ogni volta che ti affaccerai alla finestra.... Ed ecco anche il buon Piacere- delle-ore-soleggiate, color di diamante, e il Piacere-della-Primavera color di smeraldo.... TYLTYL E tutti i giorni siete belli così?... IL PIACERE Sì; quando gli occhi si aprono, ogni giorno è giorno di festa, in ogni casa.... E poi, quando vien la sera, ecco il Piacere-dei-Tramonti, più bello di tutti i re della terra, seguìto dal Piacere-di- veder-spuntar-le-stelle, dorato come un dio del tempo antico.... Poi, quando viene la cattiva stagione, ecco che arriva il Piacere- della-pioggia coperto di perle, e il Piacere-del- fuoco-invernale che schiude alle manine gelate il sue bel mantello di porpora.... E non ti parlo del migliore di tutti noi, del più luminoso, del Piacere-dei-pensieri-innocenti, perchè è quasi fratello delle Grandi Gioie limpide che vedrai fra poco.... E poi, ecco, anche.... Ma no, son troppi davvero!... Non si finirebbe più, e devo invece avvertire le Grandi Gioie che sono lassù, in fondo, presso la porta del cielo, e che nulla sanno ancora del vostro arrivo.... Manderò incontro a loro il Piacere-di-correre- a-piedi-nudi-sulla-rugiada, che è il più svelto di tutti.... (Al Piacere or ora nominato, e che si avvicina facendo delle capriole). Va' ! Corri!... (In questo punto una specie di diavoletto in maglia nera, gettando grida inarticolate e dando spinte a destra e a sinistra, si avvicina a Tyltyl e saltellando pazzamente intorno a lui lo carica di calci, di scappellotti e di motteggi). TYLTYL (stupito e indignatissimo) Chi è questo selvaggio?... IL PIACERE Ma guarda un po'!... è il Piacere-d'essere- insopportabile, fuggito un'altra volta, dalla caverna delle Sventure! Non si sa più dove rinchiuderlo. Riesce sempre a svignarsela, tanto che le stesse Sventure non vogliono più saperne di tenerlo con loro. (Il Diavoletto continua a tormentare Tyltyl, che cerca inutilmente di difendersi; poi, a un tratto, con una gran risata, scompare come era venuto, senza che si sappia il perchè). TYLTYL Ma che ha? È pazzo? LA LUCE Non lo so. Dicono che somiglia a te quando sei cattivo.... Ma ora bisognerebbe pensare all'Uccellino Azzurro.... Potrebb'essere che il capo dei Piaceri-della-casa! sapesse dov'è.... TYLTYL (al Capo dei Piaceri) Dov'è?... IL PIACERE Non sa dov'è l'Uccellino Azzurro!... (I Piaceri-della-casa scoppiano tutti in una risata). TYLTYL (seccato) No, non lo so.... Non mi pare che ci sia nulla da ridere. (Nuovi scoppi di risa). IL PIACERE Via.. non te la prendere a male.... E noi, siamo seri.... Se non lo sa, non vuol dire che sia per questo più sciocco e più ridicolo della maggior parte degli Uomini.... Oh ecco le Grandi Gioie che si avvicinano a noi, chiamate dal Piacere-di-correre-a-piedi-nudi-sullar rugiada!... (Infatti alcune alte e belle figure angeliche, coperte di vesti luminose, si avvicinano lentamente). TYLTYL Come sono belle!... Ma perchè non ridono?... Non sono forse felici?... LA LUCE Non è già quando si ride che si è più felici.... TYLTYL Chi sono?... IL PIACERE Sono le Grandi Gioie.... TYLTYL Come si chiamano? Lo sai?... IL PIACERE Certo; giochiamo spesso insieme.... Ecco, innanzi a tutte, la Grande-Gioia-d'esser- giusta, la quale, ogni volta che si ripara a un'ingiustizia sorride. Io son troppo giovane e non l'ho mai vista sorridere.... Dietro di lei, la Gioia-d'esser-buona, che è la più felice, ma anche la più melanconica: e alla quale è difficile impedire di andar a trovare le Sventure, ch'essa vorrebbe. consolare. A destra, ecco la Gioia-del-lavoro-compiuto, e accanto a lei, la Gioia-di-pensare. Poi la Gioia-di-comprendere, che cerca sempre suo fratello, il Piacere-di- non-capir-nulla.... TYLTYL Ma io l'ho veduto, questo suo fratello!... E andato dalle Sventure insieme coi Grassi- Piaceri.... IL PIACERE Lo prevedevo!... Ha preso una cattiva piega, i cattivi compagni l'hanno corrotto.... Ma non parlare di lui con sua sorella. Potrebbe venirle la voglia di andare a cercarlo, e noi perderemmo una delle gioie più belle.... Ecco anche, fra le più grandi, la Gioia-di-veder-ciò- che-è-bello, che ogni giorno aggiunge qualche raggio alla luce che regna in questo luogo.... TYLTYL E quella laggiù, lontano lontano, fra le nuvole d'oro, che riesco appena a vedere rizzandomi sulla, punta dei piedi?... IL PIACERE È la Grande-Gioia-di-amare.... Ma per quanto tu faccia, non la potrai veder tutta. Sei troppo piccola... TYLTYL E quelle laggiù, in fondo, tutte velate e che non si avvicinano a noi?... IL PIACERE Sono le Gioie che gli Uomini non conoscono ancora.... TYLTYL E le altre, che cosa fanno?... Perchè si tirano in disparte?... IL PIACERE Fanno largo alla nuova Gioia che si avanza, forse la più pura fra tutte quelle che si trovano qui.... TYLTYL Chi è? IL PIACERE Non l'hai ancora riconosciuta?... Guarda meglio, apri i tuoi occhi fino al fondo dell'anima!... Ti ha veduto, ti ha veduto!!... E ti corre incontro a braccia aperte!... È la Gioia di tua madre, è la Gioia-incomparabile-dell'amor-materno!... (Le altre Gioie, accorse da ogni parte, dopo averla accolta con acclamazioni, si traggono silenziosamente in disparte). L'AMOR MATERNO Tyltyl!... E c'è anche Mytyl!... Ma come, voi, voi ritrovo quassù!... Non me lo sarei aspettato davvero!... Mi sentivo così sola a casa, ed ecco che tutti e due siete saliti fino al cielo dove l'anima di tutte le madri sfavilla di gioia!... Ma datemi prima tanti baci, tanti tanti.... Venite tutti e due fra le mie braccia; che cosa può dare al mondo maggior felicità?... Tyltyl, non ridi?... E neanche tu, Mytyl?... Non riconoscete dunque l'amore della vostra mamma?... Ma guardatemi bene!... Non sono questi i miei occhi, le mie labbra, le mie braccia?... TYLTYL Sì, sì, riconosco tutto, ma non sapevo.... Somigli, sì, alla mamma, ma sei molto più bella.... L'AMOR MATERNO È naturale! Io non invecchio più.... E ogni giorno che passa mi dà nuova forza, nuova gioventù, nuova felicità.... Ogni tuo sorriso mi toglie un anno.... A casa, tutto questo non si vede. Ma qui shi vede tutto, e la verità è questa.... TYLTYL (meravigliato, guardandola e abbracciandola alternativamente). E codesto bel vestito, di che cosa è fatto?... Di seta, d'argento o di perle?... L'AMOR MATERNO No. È fatto di baci, di sguardi, di carezze.... Ogni bacio aggiunge un raggio di luna oppure un raggio di sole.... TYLTYL Curiosa! Non avrei mai creduto che tu fossi tanto ricca.... Dove la nascondevi, la tua ricchezza?... Forse in quell'armadio che il babbo tiene chiuso a chiave?... L'AMOR MATERNO No no, non la nascondo, ma non si vede perchè nulla si vede quando gli occhi son chiusi.... Tutte le madri sono ricche quando amano i loro figli.... E non esiste al mondo una madre povera, una madre brutta, una madre vecchia.... Il loro amore è sempre la più bella fra tutte le Gioie!... E sei talvolta sembrano tristi, basta un bacio dato o ricevuto perchè tutte le lacrime si trasformino dentro ai loro occhi in stelle.... MAURICE MAETERLINK. - L'Uccellino azzurro. 12 TYLTYL (guardandola con stupore) Ma già, è vero?... I tuoi occhi son pieni, di stelle. Sono, sì, i tuoi occhi, ma, tanto più belli.... E riconosco anche la tua, mano, con l'anellino al dito.... C'è sempre il segno di quella bruciatura che ti facesti una sera accendendo il lume.... Ma, è più bianca, e la, pelle così trasparente?... Sembra quasi di vederci scorrer dentro la luce.... Questa, mano lavora meno, non è vero, della mano di casa?... L'AMOR MATERNO è sempre la stessa mano. Non t'eri mai accorto che diventa bianca, bianca e si riempie di luce quando ti carezza?... TYLTYL E poi non capisco, mamma.... Riconosco, sì, la tua voce; ma parli tanto meglio che a casa L'AMOR MATERNO A casa c'è troppo da fare e il tempo manca.... Ma dentro al cuore si sente tutto quello, che non si dice.... E ora che mi hai veduta, mi riconoscerai sotto la mia veste logora quando tornerai domani nella nostra capanna?... TYLTYL Non voglio tornarci.... Poichè sei qui anche tu, voglio rimanere qui, finchè ci stai tu.... L'AMOR MATERNO Ma non vedi che è la, stessa cosa abito laggiù, abitiamo tutti laggiù.... Quassù sei venuto soltanto per comprendere e per imparare finalmente a saper vedermi quando siamo laggiù.... Capisici, Tyltyl mio?... Tu credi d'essere in cielo; ma, il cielo è dovunque noi possiamo darci un bacio.... Non si possono avere due madri, e tu hai me sola.... Ogni bambino ne ha una sola, sempre la stessa, e sempre la, più bella di tutte. Ma bisogna conoscerla, e saper guardare bene.... Ma tu come hai fatto ad arrivare fin quassù e a trovare una strada che gli Uomini stanno cercando da quando sono scesi sulla terra?... TYLTYL (additando la Luce che, per discretezza, si è allontanata) Ci ha, condotti lei.... L'AMOR MATERNO Chi è?... TYLTYL La Luce.... L'AMOR MATERNO Non l'ho mai veduta.... Sapevo che vi voleva bene e che era tanto buona.... Ma perchè si nasconde?... Perchè non mostra mai il suo volto?.... TYLTYL Sì.... ma teme che i Piaceri si spaventino se ci vedono troppo chiaro.... L'AMOR MATERNO Ma non sa dunque che l'aspettiamo ansiosamente!... (chiamando le altre Grandi Gioie) Venite, venite, sorelle! Venite, accorrete tutte, la Luce viene finalmente da noi!... (Fremito di commozione fra le Grandi Gioie che si avvicinano gridando: «La Luce è venuta?... La Luce !... La Luce...»). LA GIOIA-DI-COMPRENDERE (scostando le altre Gioie per andare ad abbracciare la Luce). Sei la Luce e noi non lo sapevamo!... Sono anni ed anni che ti aspettiamo. Mi riconosci?... Sono la Gioia-di- comprendere.... Ti cerco da tanto tempo.... Siamo felici, sì, ma non possiamo veder di là dal nostro essere.... LA GIOIA-D'ESSER-GIUSTA (abbracciando alla sua volta la Luce) Mi riconosci?... Sono la Gioia-d'esser-giusta, che ti aveva tanto pregata di venire..... Siamo felici, sì, ma non possiamo vedere di là dalle nostre ombre.... LA GIOIA-DI-VEDERE-CIò-CHE-È-BELLO (abbracciandola anch'essa) E me, mi riconosci?... Sono la Gioia-della- bellezza, che ti ha sempre voluto bene.... Siamo felici, sì, ma non possiamo vedere di là dai nostri sogni.... LA GIOIA-DI-COMPRENDERE Via; via, sorella cara, non farci più a lungo aspettare.... Siamo abbastanza forti, abbastanza pure.... Scosta dunque questi veli che ci nascondono ancora le ultime verità e le ultime felicità.... Guarda, le mie sorelle s'inginocchiano tutte ai tuoi piedi.... Sei la nostra regina e la nostra ricompensa.... LA LUCE (avvolgendosi più, ancora nei suoi veli). Sorelle, sorelle mie belle, io obbedisco al mio Signore... L'ora non è ancora venuta, ma forse scoccherà presto: e allora, tornerò senza timori e senza ombre.— Addio, rialzatevi, abbracciamoci ancora come sorelle che si ritrovano, in attesa del giorno che spunterà ben presto.... L'AMOR MATERNO (abbracciando la Luce). Siete stata così buona verso i miei poveri piccini.... LA LUCE Sarò sempre buona verso coloro che si amano.... LA GIOIA-DI-COMPRENDERE Che il tuo ultimo bacio si posi sulla mia fronte.... (Si baciano lungamente: quando si staccano l'una dall'altra, i loro occhi sono pieni di lacrime). TYLTYL (sorpreso) Perchè piangete?... (guardando le altre Gioie) Oh bella! Anche voi piangete.... Ma perchè tutti gli occhi sono pieni di lacrime?... LA LUCE Zitto, bambino mio.... CALA LA TELA

LA LUCE Abbiamo fatto tutto quello ch'era in noi.... Bisogna dunque concludere che l'Uccellino Azzurro non esiste; oppure che muta colore quando si mette in gabbia.... TYLTYL E la gabbia, dov'è?... IL PANE È qui, padroncino.... Essa fu affidata alle mie cure durante questo lungo e pericoloso viaggio; oggi che la mia missione è compiuta, ve la restituisco, intatta e ben chiusa, tale e quale la ebbi in consegna.... (Col tono di un oratore che sta per incominciare un discorso): E ora, in nome di tutti, mi sia con cesso di aggiungere poche parole.... IL Fuoco Non ha la parola!... L'ACQUA Silenzio!... IL PANE Le malevoli interruzioni di un nemico disprezzabile, di un rivale invidioso.... (Alzando la voce) non m'impediranno di compiere fino alla fine il mio dovere.... In nome di tutti dunque.... IL Fuoco Non in nome mio!... Ho la lingua, se mai, per parlare!... IL PANE .... In nome di tutti dunque, e con una commozione contenuta, ma sincera e profonda, io mi congedo da questi due predestinati bambini, la cui alta missione è oggi compiuta. E nel dare loro l'addio con tutta la tristezza e tutta la tenerezza che la vicendevole stima.... TYLTYL Come?... Ci dici addio? Ci lasci dunque anche tu?... IL PANE Ahimè, è così.... Vi lascio, sì, ma la separazione sarà soltanto apparente: voi non udrete più la mia voce, è vero, ma.... IL Fuoco Non sarà un gran male!... L'ACQUA Silenzio!.. IL PANE (con molta dignità) Questi volgari insulti non mi toccano.... Io dunque dicevo: non udrete più la mia voce, non mi vedrete più sotto questa mia forma animata.... I vostri occhi stanno per chiudersi alla vita invisibile delle cose; ma questo non v'impedirà di trovarmi, come prima, dentro alla madia, sull'asse, sulla tavola, accanto alla minestra: io che sono, posso dirlo, il più fedele commensale e il più vecchio amico dell'Uomo, non vi abbandonerò mai.... IL Fuoco E io dunque?... LA LUCE Su, via, il tempo passa, sta per scoccare l'ora nella quale dovremo rientrare nel silenzio.... Presto, abbracciate i bambini.... IL Fuoco (precipitandosi innanzi) Prima io, prima io.... (Abbraccia con violenza i bambini). Addio, Tyltyl, addio, Mytyl!... Addio, cari bambini.... Ricordatevi di me se per caso avete bisogno di qualcuno per appiccare il fuoco in qualche luogo.... MYTYL Ahi! Ahi!....Mi brucia!... TYLTYL Ahi! Ahi!... Mi brucia il naso!... LA LUCE Via, Fuoco, modera un po' la tua foga.... Non hai mica che fare col tuo focolare.... L' ACQUA Che sciocco!... IL PANE Si può essere più maleducato di così?... L'ACQUA (avvicinandosi ai bambini) Io vi abbraccerò teneramente, bambini miei, senza farvi male.... IL Fuoco Attenti, vi bagna!.. L'ACQUA Sono tenera e dolce: sono buona con gli Uomini.... IL FUOCO Anche con gli annegati?... L' ACQUA Vogliate bene alle Fontane, bambini; ascoltate i Ruscelli.... perchè io abito là.... IL Fuoco Ha inondato ogni cosa!... L'ACQUA Quando vi riposerete, la sera, vicino alle sorgenti, - ce ne sono tante, qui, nella foresta - sforzatevi di comprendere quello ch'esse cercheranno di dire.... Io non posso più.... le lacrime mi soffocano.... m'impediscono di parlare.... IL Fuoco Non si direbbe!... L'ACQUA Quando vedrete la boccia dell'acqua ricordatevi di me.... Mi troverete anche nella brocca, nell'annaffiatoio, nella cisterna e nella fontanella.... Lo ZUCCHERO (ipocrita e dolciastro) Se c'è ancora un posticino vuoto nella vostra memoria, ricordate qualche volta che la mia presenza fu Alce un giorno per voi.... Non posso aggiungere altro.... Le lacrime non si confanno al mio carattere, e quando mi cadono sui piedi mi fanno un gran male.... IL PANE Gesuita!... IL Fuoco (mugolando) Zucchero d'orzo!... Caramella!... TYLTYL Ma dove sone andati Tylette e Tylô?... Che cosa fanno?... (Si odono intanto le grida acute della Gatta). MYTYL (allarmata) È Tylette che piange!... Qualcuno certo le ha fatto male!... (La Gatta entra correndo con i peli irti, spettinata, con la veste strappata, premendosi il fazzoletto sulla guancia, come se avesse mal di denti, e gemendo rabbiosamente; mentre il Cane la rincorre dandole pugni, calci e testate). IL CANE (picchiando forte la Gatta) Tieni!... Ne hai abbastanza?... Ne vuoi ancora?... To', to'!... LA LUCE, TYLTYL e MYTYL (precipitandosi per separarli) Tylô!... Sei impazzito?... Che diavolo fai?... Giù, a cuccia!... Finiscila!... S'è mai vista una cosa simile?... Aspetta!... Aspetta!... (Separano con energia i due contendenti). LA LUCE Che c'è? Che succede?... LA GATTA (piagnucolando e asciugandosi gli occhi) La colpa è del Cane, signora Luce.... Mi ha ingiuriata, mi ha messo dei chiodi nella minestra, m'ha tirato la coda, m'ha picchiata, mentre io non avevo fatto nulla, proprio nulla, ecco!... IL CANE (rifacendole il verso) Proprio nulla, proprio nulla? (A bassa voce, facendole una sberleffa). Non importa; ne hai toccate, ne hai toccate, e di quelle buone e ne avrai dell'altre!... MYTYL (stringendo la Gatta fra le braccia) Dove ti ha fatto male, mia povera Tylette? Ora mi metto a piangere anch'io.... LA LUCE (al Cane, con accento severo) La tua condotta è tanto più riprovevole in quanto che hai scelto, per darci questo triste spettacolo, il momento, già, tanto penoso per se stesso, in cui stiamo per separarci da questi poveri bimbi.... IL CANE (la cui ira svanisce a un tratto) Stiamo per separarci da, questi poveri bimbi?... LA LUCE Sì, sta, per scoccare quella tale ora che già, sapete.... Fra poco rientreremo nel regno del Silenzio.... Non potremo più rivolgere loro la parola.... IL CANE (urlando a un tratto disperatamente e gettandosi sui Bambini, che copre di carezze violente e tumultuose) No, no!... Non voglio!... Non voglio!... Io parlerò sempre!... D'ora innanzi mi comprenderai, non è vero mio piccolo dio?... Sì, sì, sì!... E ci diremo sempre tutto, tutto, tutto!... Sarò buono, vedrai.... Imparerò a leggere, a scrivere e a giocare a domino!... E mi terrò sempre pulito.... E non andrò più a rubare in cucina.... Vuoi che faccia qualche cosa di eccezionale?... Vuoi che abbracci la Gatta?... MYTYL (alla Gatta) E tu, Tylette?... Non ci dici nulla?... LA GATTA (fredda, enigmatica) Io vi voglio bene a tutti e due, secondo i vostri meriti.... LA LUCE E ora, bambini miei, tocca a ma di darvi l'ultimo bacio.... TYLTYL e MYTYL (aggrappandosi alle vesti della Luce) No, no, no, non andartene, cara Luce!... Rimani qui con noi!... Il babbo non dirà nulla, vedrai.... Diremo alla mamma che sei stata tanto buona con noi.... LA LUCE Non è possibile, purtroppo.... A noi non è concesso di oltrepassare quella porta, e debbo TYLTYL E dove andrai, così sola sola?... LA LUCE Non andrò molto lontano, cari bambini: vado laggiù, nel paese del Silenzio delle cose. TYLTYL No, no, non voglio!.... Veniamo con te.... Dirò alla mamma.... LA LUCE Non piangete, cari piccini.... Io non ho la voce, come l'Acqua; ho soltanto il mio splendore, che l'Uomo non sa vedere.... Ma veglierò lo stesso su di lui fino alla fine del mondo.... E a voi parlerò da ogni raggio di luna che si diffonde all'intorno; sarò in ogni stella che vi sorriderà, in ogni aurora che si alzerà nel cielo, in ogni lampada che si accenderà, in ogni pensiero buono e luminoso che sboccerà nella vostra anima.... (Suonano le otto, dietro il muro). Sentite!.. Scocca l'ora.... Addio! La porta si apre!... Entrate, entrate, entrate!... (Spinge i bambini nel vano della porticina che si è aperta, e che ora si richiude dietro di loro. Il Pane si asciuga una lacrima furtiva: lo Zucchero, l'Acqua, tutta in lacrime, e gli altri fuggono a precipizio e spariscono a destra e a sinistra, fra le quinte. Urla del Cane, da un angolo. La scena rimane per un istante vuota; poi il fondo, che rappresenta il muro entro il quale si trova la porticina, si apre nel mezzi. e scopre l'ultimo quadro).

Il giorno in cui gli Uomini sapranno che abbiamo messo in atto quanto decideremo or ora di fare, si vendicheranno ferocemente... Bisogna dunque esser tutti d'accordo nell'azione, ora; e dopo, nel mantenere su di essa, il silenzio più assoluto.... L'ABETE (guardando al disopra degli altri alberi) Ecco, vengono gli animali!... Il Coniglio è alla testa.... Ecco l'anima del Cavallo, del Toro, del Bove, della Vacca, del Lupo, del Montone, del Porco, del Gallo, della Capra, dell'Asino e dell'Orso.... (Le anime degli animali, via via che l'Abete le nomina, si avanzano e si mettono a sedere fra gli alberi, meno l'anima della Capra che continua a vagabondare qua e là, e quella del Porco, che si mette a grufolare fra le radici). LA QUERCIA Ci sono tutti?... IL CONIGLIO La Gallina non ha potuto lasciare le sue uova; la Lepre sta facendo alle corse; il Cervo ha male alle corna; la Volpe è indisposta qua c'è il certificato medico --; l'Oca non ha capito di dover venire, e il Tacchino è andato in collera.... LA QUERCIA Queste assenze sono deplorevoli.... Però siamo in numero sufficiente.... Voi sapete già fratelli miei, di che si tratta.... Questo bambino, grazie a un talismano carpito alle potenze della Terra, ha il potere d' impadronirsi del nostro Uccellino Azzurro, e strapparci così il segreto che custodiamo fino dall'origine della Vita.... Ora, conosciamo abbastanza l'Uomo; per non dubitare della sorte che ci sarà riservata quand'egli sarà in possesso del nostro segreto.... Ogni esitazione da parte nostra sarebbe dunque, oltre che stupida, delittuosa. Il momento è grave; bisogna far sparire il bambino, prima che sia troppo tardi.... Che cosa dice?... IL CANE (gironzolando intorno alla Quercia e mostrando i denti) Li vedi i miei denti, brutta vecchiaccia?... IL FAGGIO (con indignazione) Osa insultare la Quercia!... LA QUERCIA È il Cane?... Cacciatelo via!... Non dobbiamo tollerare la presenza fra noi di un traditore!... LA GATTA (piano a Tyltyl) Mandate via il Cane.... C'è un malinteso.... Lasciate fare a me, accomoderò io la faccenda.... Ma intanto mandatelo via subito.... TYLTYL (al Cane) Vattene: hai capito?... IL CANE Permettimi prima di strapparle le pantofole di muschio, a quella vecchia gottosa!... Voglio ridere un po'!... TYLTYL Zitto!... Via di qua!... Ma vattene dunque una buona volta, brutta bestiaccia!... IL CANE Va bene, va bene, me ne andrò, sì.... Tornerò quando avrai bisogno di me.... LA GATTA (a bassa voce, a Tyltyl) Sarebbe più prudente metterlo a catena, altrimenti farà qualche sciocchezza.... Gli Alberi andranno in collera e chi sa che cosa, succederà. TYLTYL Non so come fare, ho perduto il guinzaglio.... LA GATTA Ecco l'Edera che si avvicina: porta con se dei solidi lacci.... IL CANE (brontolando) Ma tornerò, tornerò, non dubitiate!.. Gottosa!... Vecchia catarrosa!... Siete una massa di rammolliti, di radici decrepite.... È la Gatta che mena la faccendal... Ma, me la pagherà?... Cosa' vai borbottando, tu, Giuda! Tigre! Traditrice!... Bau! Bau! Bau!... LA GATTA Sentite, e insulta tutti quanti.... TYLTYL È vero, è insopportabile, non si può più Signora Edera, vorrebbe avere la cortesia di legarlo ?... L' EDERA (avvicinandosi timorosa al Cane) Ma non morderà?.... IL CANE (ringhioso) Anzi, anzi!... Ti abbraccerà!... Aspetta, aspetta, ora vedrai... Vieni, vieni avanti, ammasso di vecchie cordacce!... TYLTYL (minacciandolo col bastone) Bada, Tylô!... IL CANE (strisciando ai piedi di Tyltyl e agitando la coda) Che cosa devo fare, mio piccolo dio?... TYLTYL A cuccia!... Obbedisci all'Edera. Lasciati legare: se no.... IL CANE (borbottando fra i denti, mentre l'Edera lo lega strettamente) Corda da impiccati!... Laccio da vitelli!... Catena da porci!... Guarda, guarda che cosa mi fa, mio piccolo dio.... Mi taglia le gambe.... Mi strozza!... TYLTYL Peggio per te!... L' hai voluta: ben ti sta. Zitto lì, quieto!... Sei insopportabile!.. IL CANE Va, bene: però t'inganni, sai, sul loro conto.... Hanno delle cattive intenzioni.... Guàrdati, mio piccolo dio!... Ah, mi chiude la bocca.... Non posso più parlare!... L'EDERA (dopo aver legato solidamente il Cane) Dove devo portarlo?... L' ho imbavagliato ben bene.... Non può più muoversi.... LA QUERCIA Legalo stretto qua sotto, dietro al mio tronco, alle mie radici.... Vedremo poi che cosa converrà di fare.... (L'Edera, aiutata dal Pioppo, porta il Cane dietro al tronco della Quercia). L'avete legato?... Ebbene, ora che ci siamo liberati da questo testimonio fastidioso, da questo rinnegato, deliberiamo secondo la nostra giustizia e la nostra verità..... Non ve lo nascondo: sono profondamente, penosamente commossa.... Per la prima volta ci è dato di giudicare l'Uomo e di fargli sentire la, nostra, potenza. Dopo tutto il male che ci ha fatto, dopo le mostruose ingiustizie patite, non rimane il minimo dubbio, credo, sulla, sentenza che sarà pronunziata... (Tutti gli Alberi e tutti gli Animali, in coro) No, no, no!... Nessun dubbio!... L'impiccagione!... La morte!... C'è troppa ingiustizia! L'Uomo ha abusato troppo di noi!... E da troppo tempo ormai!... Schiacciarlo, bisogna! Divorarlo!... Subito!... Subito!... TYLTYL (alla Gatta) Perchè gridano così?... Che cosa vogliono?... LA GATTA Non ci badare.... Sono un po' arrabbiati perchè la Primavera è in ritardo.... Lascia fare a me, accomoderò tutto io.... LA QUERCIA Questa unanimità era prevedibile.... Ora si tratta di sapere, per evitare ogni rappresaglia, quale sarà, il supplizio più pratico, più facile, più spiccio e sicuro; che lascerà, dietro di sè minori tracce accusatrici, quando gli Uomini ritroveranno il piccolo cadavere nella foresta TYLTYL Che cosa significa tutto questo? A che cosa mirano?... Comincio ad essere seccato. La Quercia deve darmi l'Uccellino Azzurro, poichè ce l' ha: e basta.. IL TORO (avanzandosi) Il sistema più pratico e più sicuro è una buona cornata nello stomaco. Volete che mi butti addosso a lui?... LA QUERCIA Chi parla?... LA GATTA Il Toro. LA VACCA Farebbe meglio a starsene tranquillo.... Io, Per esempio, mi guardo bene dall'immischiarmi in questa faccenda.... Devo mangiare tutta l'erba di quel prato che si vede laggiù, illuminato dalla, luna.... Ho abbastanza da fare.... IL BOVE Anch'io. In ogni modo, approvo tutto fino da ora.... IL FAGGIO In quanto a me, offro il mio più alto ramo per impiccarli.... L'EDERA E io il nodo scorsoio.... L'ABETE E io le quattro assi per la piccola bara.... IL CIPRESSO E io la concessione perpetua.... IL SALICE Il mezzo più semplice sarebbe di affogarli in uno dei miei fiumi.... Me ne incarico io.... IL TIGLIO (in tono conciliante) Via, via, è proprio necessario giungere a questi estremi?... Sono così giovani ancora!... Basterebbe semplicemente impedir loro di nuocere, imprigionandoli in un recinto chiuso che m'incaricherei di costruire io stesso piantandomi tutt'intorno.... LA QUERCIA Chi parla così?... Mi par di riconoscere la voce melata del Tiglio.... L'ABETE Infatti.... LA QUERCIA C'è dunque un rinnegato fra noi, come fra gli Animali?... Non avevamo da deplorare finora se non la defezione degli Alberi fruttiferi ; ma essi non sono veri Alberi.... IL PORCO (girando intorno gli occhi ingordi) Io dico che bisogna prima di tutto mangiare la bambina.... Dev'essere così tenera?... TYLTYL Che dice quello là?... Aspetta, aspetta, canaglia!.... LA GATTA Non capisco con chi ce l'abbiano, ma mi pare che la faccenda prenda una cattiva piega.... LA QUERCIA Silenzio! Bisogna sapere chi di noi infliggerà il primo colpo; chi distoglierà dalle nostre cime il più grande pericolo che abbiamo mai corso dopo la nascita dell'Uomo.... L'ABETE Quest'onore tocca a voi, regina nostra e signora.... LA QUERCIA È l'Abete che parla?... Ahimè, sono troppo vecchia!... Sono cieca, inferma, e le mie braccia intorpidite non mi obbediscono più.... La gloria di compiere il nobile gesto della nostra liberazione spetta a voi, fratello mio, sempre verde, sempre dritto: a voi che vedeste nascere la maggior parte di questi alberi.... L'ABETE Vi ringrazio, madre mia venerata.... Ma siccome avrò già l'onore di seppellire le due vittime, temerei, accettando, di destare la giusta gelosia dei miei colleghi... Credo che, dopo di noi due, il Faggio sia il più antico e il più degno, quello che possiede la clava più potente..., IL FAGGIO Sono tutto imporrito, lo sapete, e la mia clava, non è punto sicura.... L'Olmo e il Cipresso, piuttosto, hanno delle armi potenti.... L' OLMO Non chiederei di meglio: ma posso appena reggermi in piedi.... Una talpa, questa notte, mi ha storto il pollice del piede.... IL CIPRESSO In quanto a me, son pronto a tutto.... Ma anch' io, come il mio buon fratello Abete, avrò, se non il privilegio di seppellirli, quello almeno di piangere sulla loro tomba.... Accumulerei illegittimamente troppi onori.... Domandate piuttosto al Pioppo.... IL PIOPPO A me? Dite sul serio?... Ma se il mio legno è più tenero delle carni di un bambino!... poi, non so che cosa io abbia, oggi.... Tremo dalla febbre.... Guardate le mie foglie.... Forse ho preso freddo stamani, al levar del sole. LA QUERCIA (con uno scoppio d' indignazione) Avete paura dell' Uomo, questa è la verità!... Perfino questi due bambini, soli e senza armi, v'incutono il terrore misterioso che fece sempre di noi gli schiavi che siamo!... Ebbene, no!... Basta!... Poichè è così, e d'altra parte l' occasione è unica, andrò io, sola, vecchia, rattrappita, tremante, cieca come sono, contro il nemico ereditario!... Dov'è?... (Si avanza a tastoni, appoggiandosi al bastone, incontro a Tyltyl). TYLTYL (estraendo di tasca il coltello) Ce l' ha con me quella vecchiaccia, col bastone?... (Alla vista del coltello tutti gli Alberi, con un urlo di terrore s'intromettono fra i due trattenendo la Quercia). GLI ALBERI Ha il coltello!... Badate!... Ha il coltello!.., LA QUERCIA (dibattendosi) Lasciatemi!... Che m' importa del coltello o dell'ascia!... Chi mi trattiene?... Come!... 128 Siete qui tutti?... Come, voi tutti volete.... (Gettando via il bastone). Ebbene, sia!.... Vergogna!... Lasciamo dunque agli animali il còmpito di liberarci!... IL TORO SI!... Me ne incarico io!... E con una sola cornata!... IL BOVE e la VACCA (trattenendolo per la coda) Di che cosa t' immischi, tu?... Non fare sciocchezze!... È un affare sballato!... Andrà a finir male.... Riderà bene chi riderà l'ultimo!... Lascia andare.... Tocca agli Animali selvatici.... IL TORO No, no!... Tocca a me!... Aspettate!... Ma tenetemi, fermo, dunque, se no succede qualche guaio!... TYLTYL (a Mytyl, che getta acute grida) Non temere!... Mettiti qua, dietro a me... Ho il coltello.... IL GALLO Èspavaldo il piccino!... TYLTYL Dunque, è proprio vero, ce l'hanno con me?... L'ASINO Ma certo, piccino mio. Ce n'è voluto, perchè tu capissi!... IL PORCO Puoi dire le tue preghiere; è giunta la tua ultima ora.... Ma non cercare di nascondere la piccina.... Voglio godermela intanto con gli occhi.... La mangerò per la prima.... TYLTYL Che cosa vi ho fatto dunque?... IL MONTONE Nulla, piccino mio.... Hai soltanto mangiato il mio fratellino, le mie due sorelle, i miei tre zii, mia zia, il nonno, la nonna.... Aspetta, aspetta che ti buttino in terra, e ti accorgerai se ho denti anch'io.... L'ASINO E io buoni zoccoli!... IL CAVALLO (scalpitando con fierezza) Vedrete.... quello che vedrete!... Preferite che lo dilanii coi denti o che l'abbatta a forza di calci?... (Si avanza fieramente verso Tyltyl, che si difende mostrando il coltello. Ma a un tratto, preso da panico, il Cavallo volta il dorso MAURICE MAETERLINK. L'Uccellino Azzurro. 9 e fugge a gambe levate). Ah, cosi no!... Non è giusto!... Non è buon giuoco!... Si difende.... IL GALLO (che non può nascondere la sua ammirazione) È coraggioso, però, il piccino!... IL PORCO (all'Orso e al Lupo) Precipitiamoci su di loro tutti insieme.... Io vi sosterrò per di dietro.... Li getteremo a terra, e allora ci divideremo fra tutti la piccina.... IL LUPO Attirateli da quella parte.... Io, intanto faccio una manovra avvolgente.... (Gira dietro a Tyltyl, lo investe e lo getta quasi lungo disteso per terra). TYLTYL Giuda!... (Si rialza a mezzo, sorreggendosi su un ginocchio; indi, brandendo il coltello, copre, come può, col proprio corpo la sorellina la quale, atterrita, urla disperatamente. Vedendolo quasi a terra, tutti gli Animali e gli Alberi si precipitano su di lui tentando di colpirlo. Tyltyl invoca aiuto, gridando). A me!... A me!... Tylô! Tylô!... Dov'è la Gatta?... Tylô!... Tylette! Tylette!... Venite! Venite qua!... LA GATTA (in disparte, ipocritamente) Non posso.... M'hanno schiacciata una zampa.... TYLTYL (parando i colpi e difendendosi come può) A me!... Tylô! Tylô!... Non ne posso più!... Sono troppi!.. C'è l'Orso! Il Porco! Il Lupo! L'Asino! L'Abete! Il Faggio!... Tylô! Tylô! Tylô!... (Il Cane, trascinando con sè i lacci spezzati, balza, fuori di dietro al tronco della Quercia, e sgominando Alberi e Animali si getta davanti a Tyltyl, e lo difende rabbiosamente). IL CANE (dando morsi a destra e a sinistra) Eccomi, eccomi, mio piccolo dio!... Non aver paura! Forza!... Ho buoni denti, io!... Tieni, questo è per te, Orso, nel tuo grosso deretano!... Su, chi ne vuole ancora?... Questo è per te, Porco, e. questo per te, Cavallo, e questo per la tua coda, Toro! Ecco! Ho dilaniato i calzoni del Faggio e la sottana della Quercia!... L'Abete se la dà a gambe.... Che fatica, però .. TYLTYL (accasciato) Non ne posso più!... Il Cipresso m'ha dato un gran colpo sulla testa.... IL CANE Ahi!... Questo è un colpo del Salice.... Mi ha, rotto una gamba!... TYLTYL Tornano alla carica, tutti quanti!... Questa volta, li guida il Lupo.... IL CANE Aspetta, aspetta che lo stritolo! IL LUPO Imbecille !... Sei nostro fratello!... I suoi genitori hanno affogato i tuoi cuccioli!... IL CANE Hanno fatto bene!.... Tanto meglio!... Perchè somigliavano a te ! TUTTI GLI ALBERI E TUTTI GLI ANIMALI Rinnegato!... Sciocco!... Traditore! Fellone! Balordo!... Giuda!... Lascialo! A morte! A noi! IL CANE (ebro di ardore e di abnegazione) No, no!... Solo contro tutti!... No, no!... Fedele al mio piccolo dio! al migliore! al più grande!... (A Tyltyl) Attento, ecco l'Orso!... Diffida del Toro.... ora gli salto al collo.... Ahi!... Che calcio!... L'Asino m' ha spezzato due denti.... TYLTYL Non ne posso più, Tylô.... Ahi!... Il Pioppo mi ha colpito.... Guarda, mi sanguina la mano... È stato il Lupo, o il Porco.... IL CANE Aspetta, mio piccolo dio.... Lascia che ti baci.... Qua, una buona leccata.... Ti guarirà.... Sta' qui dietro di me.... Non osano più avvicinarsi.... Sì! Eccoli, tornano!... Ora la faccenda si fa seria!... Teniamo duro!... TYLTYL (lasciandosi cadere a terra) No, non ne posso più.... IL CANE Vien qualcuno!... Lo sento all'odore.... TYLTYL Di dove?... Chi?... IL CANE Di laggiù!... Ah, è la Luce!... Ci ha ritrovati!... Siamo salvi, mio piccolo re!... Abbracciami!... Salvi!... Guarda!... Si mettono in guardia.... Si scostano.... Hanno paura!... TYLTYL La Luce!... La Luce!... Vieni dunque!... Presto!... Si sono ribellati!... Tutti contro di noi!... (Entra la Luce; via via che s'inoltra, l'Aurora si alza sulla foresta, che ne è tutta illuminata). LA LUCE Che cosa succede? Che cos'è? Ma, disgraziato, non lo sapevi?... Gira il Diamante! Rientreranno così nel Silenzio; e nell'Oscurità: e tu non vedrai più i loro sentimenti.... (Tyltyl gira il Diamante. Ed ecco, tutte le anime degli Alberi si precipitano nei rispettivi tronchi, che tosto si richiudono. Anche le anime degli Animali spariscono; e si vedono, lontano, una Vacca e un Montone pascolare tranquillamente. La foresta riprende il suo aspetto innocente. Stupito, Tyltyl guarda intorno a sè). TYLTYL Dove sono andati?... Che cosa avevano?... Erano forse pazzi?... LA LUCE No, no, Sono sempre così: ma noi non lo sappiamo perchè non possiamo vedere dentro di loro.... Te l'avevo detto: è pericoloso destarli nella mia assenza.... TYLTYL (asciugando il coltello) Non c'è che dire: se non ci fosse stato il Cane, e se io non avessi avuto il coltello.... Ah, non avrei mai creduto che fossero così cattivi!... LA LUCE Come vedi, l'Uomo è solo contro tutti, nel mondo.... IL CANE Non ti sei fatto mica troppo male, mio piccolo dio?... TYLTYL Niente di grave.... In quanto a Mytyl, non l' hanno nè anche toccata.... Ma tu, piuttosto, mio povero Tylô!... Hai la bocca insanguinata, la zampa rotta.... IL CANE Non vale la pena di parlarne.... Domani non si vedrà più nulla.... Ma è stato un affar serio!... LA GATTA (sbucando fuori zoppicando, dal fitto di un cespuglio) Altro che serio!... Il Bove m'ha dato una cornata nel ventre.... Non si vede il segno, ma mi fa tanto male.... E la Quercia m'ha rotto una zampa.... IL CANE Quale? Mi piacerebbe di saperlo!... MYTYL (accarezzando la Gatta) Povera la mia Tylette!... Davvero?... Ma dov'eri?... Non ti ho vista.... LA GATTA (con ipocrisia) Sono rimasta ferita subito, mammina cara, mentre assalivo il Porco che voleva mangiarti.... La Quercia mi assestò allora quel colpo tremendo che m' ha stordita.... IL CANE (alla Gatta, fra i denti) In quanto a te, sai, ho da dirti due paroline.... Mai non perdi niente ad aspettare!... LA GATTA (con accento lamentoso a Mytyl) Mammina, lo senti? M'insulta.... Vuol farmi male.... MYTYL (al Cane) Vuoi o non vuoi lasciarla stare, bestiaccia?.... (Escono tutti). CALA LA TELA.

Sii prudente; e noi, teniamoci pronti a richiuderla presto, come abbiamo fatto per le Guerre.... TYLTYL (schiudendo la porta con infinita precauzione, e inoltrando timidamente il capo attraverso lo spiraglio) Oh!... Che freddo?... Mi frizzano gli occhi!.... Presto, chiudete!... Spingete forte!... Fanno forza dal di dentro contro la porta... (La, Notte, il Cane, la Gatta e lo Zucchero chiudono a forza la porta). Oh che cosa ho visto!... LA NOTTE Che cosa? TYLTYL (sconvolto) Non so, ma metteva spavento!... Stavano lì seduti come tanti mostri senza occhi.... Chi era il gigante che voleva acciuffarmi?... LA NOTTE Probabilmente era, il Silenzio; ce l' ha lui in custodia questa porta.... Ma era dunque tanto spaventoso a vedersi?... Sei ancora pallido e tremi tutto.... TYLTYL Sì. Non avrei mai creduto.... Ho le mani gelate.... LA NOTTE Vedrai qualcosa di ancora più terribile se ti ostini a voler andare avanti.... TYLTYL (andando alla porta accanto) E dietro a questa?... Ci sarà qualcosa altrettanto orribile?... LA NOTTE No.... Qui c'è un po' di tutto.... Ci metto le Stelle disoccupate, i miei profumi personali, alcune Luci di mia particolare proprietà, come i Fuochi fatui, le Lucciole.... Ci rinchiudo dentro anche la Rugiada e il Canto degli Usignoli.... TYLTYL Ah, le Stelle, il Canto degli Usignoli!... Dev'essere proprio questa.... LA NOTTE Apri, apri pure, se vuoi.... Tutte cose innocue.... (Tyltyl spalanca la porta. Le Stelle, sotto l'aspetto di belle giovinette velate da luci multicolori, fuggono subito fuori dalla loro prigione; corrono qua e là per la sala e formano sui gradini e intorno alle colonne dei graziosi girotondi rischiarati da una specie di penombra luminosa. I Profumi della Notte, quasi invisibili, i Fuochi fatui, le Lucciole, la Rugiada trasparente si uniscono ad esse, mentre il Canto degli Usignoli, uscendo a fiotti dalla caverna, inonda il palazzo della Notte). MYTYL (entusiasmata, battendo le mani) Oh! Che belle signore!... TYLTYL E come ballano bene!... MYTYL E come sono profumate!... MAURICE MAETERLINK. - L'Uccellino Azzurro. 7 TYLTYL E come cantano bene!... MYTYL Chi sono quelli laggiù che si vedono appena?... LA NOTTE Sono i Profumi della mia ombra.... TYLTYL E quegli altri che sembrano fatti di vetro filato?... LA NOTTE Sono le Rugiade delle foreste e delle pianure.... Ma ora basta. Non la smetterebbero più!... Se sapeste che fatica ai farli rientrare là dentro, se fanno tanto di cominciare a ballare!... (Battendo insieme le mani). Via, presto, voialtre Stelle!... Non è il momento, ora, di ballare.... Il cielo è coperto, grossi nuvoloni appaiono qua e là.... Via, sbrigatevi, rientrate tutte, altrimenti chiamo un raggio di sole.... (Le Stelle, i Profumi, ecc. fuggono via spaventati e si precipitano nella caverna la cui porta si richiude dietro di loro. Intanto cessa anche il Canto degli Usignoli). TYLTYL (andando verso la porta di fondo) Eccoci al grande portone centrale.... LA NOTTE (con accento solenne) Non aprirlo!... TYLTYL Perchè?... LA NOTTE Perchè è proibito. TYLTYL Allora è segno che là dentro c'è l'Uccellino Azzurro.... La Luce me l'aveva detto.... LA NOTTE (maternamente) Ascoltami, bambino mio.... Sono stata finora buona e compiacente.... Ho fatto per te quello che non avevo mai fatto per nessuno.... Ti ho rivelato tutti i miei segreti.... Ti voglio bene, sento pietà per la tua giovinezza, per la tua innocenza, e ti parlo come ti parlerebbe una madre.... Ascoltami, dàmmi retta, bambino mio; rinunziaci, non andare più oltre, non tentare il Destino, non aprire quella porta!... TYLTYL (un poco scosso) Ma perchè?... LA NOTTE Perchè voglio salvarti.... Perchè nessuno, intendi, nessuno di coloro che hanno osato di socchiuderla, appena appena, foss'anche per lo spessore di un capello, è ritornato vivo alla luce del giorno.... Perchè tutto quello che si può imaginare di più spaventoso, tutte le peggiori angoscie, tutti gli orrori di cui si parla nel mondo, sono un nulla in paragone a ciò che di meno terribile assale l'uomo non appena il suo sguardo si affissa sull'orlo di quell'abisso al quale nessuno osa dare un nome.... Tanto che io stessa, vedi, se tu nonostante tutto ti ostinassi a voler aprire quella porta, io stessa dovrei pregarti di aspettare finchè io fossi al riparo dentro alla mia torre senza finestre.... E ora rifletti, decidi tu.... (Mytyl, tutta in lacrime, getta urli di terrore cercando di trascinare via con sè Tyltyl). IL PANE (battendo i denti dalla paura) Non aprite, non aprite, padroncino caro! (Gettandosi in ginocchio). Abbiate pietà di noi!... Ve lo chiedo in ginocchio.... La Notte ha ragione.... LA GATTA State per sacrificare la vita di noi tutti.... TYLTYL È inutile.... Debbo aprire quella porta!... MYTYL (singhiozzando e pestando i piedi) Non voglio!... Non voglio!... TYLTYL Voi, Zucchero e Pane, prendete Mytyl per la mano e scappate con lei.... Ora apro LA NOTTE Si salvi chi può!... Presto!... Presto!... (Fugge). IL PANE (fuggendo smarrito) Aspettate almeno finchè siamo arrivati in fondo alla sala.... LA GATTA (fuggendo anch'essa) Aspettate! Aspettate!... (Si nascondono entrambi dietro alle colonne, dalla parte opposta della sala. Tyltyl resta solo col Cane, presso la porta monumentale). IL CANE (affannosamente, pieno di terrore contenuto) Io rimango.... rimango con te.... Non ho paura, io.... Io rimango!... Rimango vicino al mio piccolo dio.... Io rimango! Io rimango!... TYLTYL (accarezzando il Cane) Bravo, Tylô, bravo.... Qua, un bacio.... Siamo in due.... E ora, in guardia!... (Introduce la chiave nella serratura. Un urlo di terrore parte dal punto opposto della sala, dove si sono rifugiati quelli che sono fuggiti. Non appena la chiave ha toccato la porta, i grandi battenti si aprono nel mezzo, scorrono lateralmente e spariscono a destra e a sinistra, nella grossezza del muro, scoprendo a un tratto, immerso nella luce notturna, un maraviglioso, irreale, sconfinato giardino di sogno nel quale, fra le stelle e i pianeti, dei fantastici uccellini azzurri, illuminando tutto ciò che toccano, volando senza posa di pietra in pietra, da un raggio di luna all'altro, fanno perpetue armoniose evoluzioni fino agli estremi confini dell'orizzonte. Sono innumerevoli, e paiono essi il soffio, l'azzurra atmosfera, l'essenza stessa del giardino maraviglioso. Tyltyl, abbagliato, sperduto, immerso nella luce che emana dal giardino). Oh!... il cielo!... (volgendosi agli altri che erano fuggiti). Venite!... Venite!... Eccoli!... Son loro! Son loro! Son loro!... Finalmente!... Migliaia di uccellini azzurri!... Milioni!... Miliardi!... Troppi!... Vieni, Mytyl!... Vieni, Tylô! Venite tutti!... Aiutatemi! (Gettandosi fra gli uccellini). Si possono prendere con le mani!... Non sono selvatici, no.... Non hanno paura di noi!... Venite qua! Venite qua!... (Mytyl e gli altri accorrono. Entrano tutti, meno la Notte e la Gatta, nel giardino maraviglioso). Guardateli!.... Son troppi.... Vengono sulle mani!... Guardate, si nutrono di raggi di luna?... Dove sei, Mytyl?... Ci sono tante ali azzurre, tante piume in giro, che non ci si vede più.... Non morderli, Tylô!... Non far loro male!... Prendili piano piano.... MYTYL (tutta circondata da uccellini azzurri) Ne ho già presi sette!... Oh, come sbattono le ali!... Non posso, teneteli.... TYLTYL Nè anch'io!... Ne ho troppi!... Volano via!.. Tornano!... Anche Tylô ne ha presi!... Ci portano in alto con loro.... Ci portano in cielo!... Vieni, usciamo da questa parte!... La Luce ci aspetta.... Come sarà contentai... Venite di qua, di qua.... (Fuggono via dal giardino, le mani piene d'uccellini che si dibattono, e attraversando la sala in una confusione di ali azzurre escono a destra, da dov'erano prima entrati, seguìti dal Pane e dallo Zucchero i quali, soli fra tutti, non hanno preso neanche un uccellino. La Notte e la Gatta, rimaste sole, risalgono verso il fondo, guardando ansiosamente verso il giardino). LA NOTTE Non l'hanno mica preso, spero?... LA GATTA No, lo vedo lassù, su quel raggio di luna.... Non hanno potuto raggiungere, era troppo in alto.... (Cala la tela. Subito dopo, davanti al sipario calato, entrano simultaneamente, da destra la Luce, e da sinistra Tyltyl, Mytyl e il Cane, tutti quasi nascosti sotto gli uccellini che hanno preso. Ma questi appaiono giù inanimati, e, il capo penzoloni e le ali spezzate, non sono più nelle loro mani se non delle spoglie inerti). LA LUCE Dunque, lo avete preso?... TYLTYL Sì, Sì ! E non uno solo!... Ce n'erano a migliaia!... Eccoli!... Guarda!... (Guarda gli uccellini, nell'atto di porgerli alla Luce, e si accorge che sono morti). O Dio! Sono morti.... Come mai?... Anche i tuoi, Mytyl?... Anche quelli che ha, preso Tylô!... (Gettando con collera in terra i cadaveri degli uccellini). Ah no, è una cosa terribile!... Chi li hai uccisi?... Oh, come sono infelice!... (Si nasconde la testa col braccio, e scoppia in singhiozzi). LA LUCE (stringendolo maternamente fra le braccia) Non piangere, bambino mio.... Tu, non avevi preso l'uccellino che può vivere alla luce del giorno.... Quello era volato via, chi sa dove.... Ma lo ritroveremo!... IL CANE (guardando gli uccellini morti) Mi permetti di mangiarli?... (Escono tutti da sinistra).

Non si ammettono reclami: non abbiamo tempio da perdere.... IL PICCINO (sospinto dagli altri) No, no!... Non Voglio andar via!... Piuttosto preferisco non nascere!... Preferisco restar qui!... IL TEMPO Non si tratta di volere o non volere.... Quando l'ora è sonata bisogna Obbedire!... Su, via, avanti!... UN BAMBINO (facendosi avanti) Oh lasciatemi passare!... Prenderò io il sino posto!... Dicono che i miei genitori sono vecchi e mi aspettano da tanto tempo!... IL TEMPO Niente affatto.... L'ora è l'ora e il tempo è il tempo. A dar retta a voi, non si finirebbe più.... L'uno vuole, l'altro non vuole, è troppo presto, è troppo tardi.... (Scostando alcuni bambini che avevano invasa la soglia). Fatevi più in là, piccini.... Indietro i curiosi.... Quelli che non partono non devono guardar fuori.... Ora avete fretta di andarvene; ma giunto che sia il vostro turno, avrete paura e vi trarrete indietro.... Guardate, eccone qui quattro che tremano come foglie.... (A un bambino che sul punto di varcare la soglia torna bruscamente indietro). Ebbene, che fai? Che cosa c'è?... IL BAMBINO Ho dimenticato la scatola che contiene i due delitti che dovrò commettere.... UN ALTRO BAMBINO E io, il pentolino con dentro l'idea per illuminare le folle.... TERZO BAMBINO E io ho dimenticato l'innesto della mia pera più bella!... IL TEMPO Presto, correte a prenderli.... Non avete che seicento dodici secondi a vostra disposizione.... La galera, dell'Aurora agitai già le vele per far capire che è pronta ed aspetta.... Arriverete in ritardo e non potrete più nascere.... Su, presto, imbarcatevi!... (Afferrando un bambino che tenta di sgusciargli fra le gambe per raggiungere la riva). Ah, tu, no davvero!... È la terza volta che tenti di nascere prima che sia la tua ora.... Se ti colgo un'altra volta, bada, dovrai aspettare in eterno presso mia sorella l'Eternità: e non è una cosa divertente, lo sai.... Dunque, siamo pronti?... Siete tutti a posto?... (Passando in rivista con lo sguardo i Bambini riuniti sulla riva, o già seduti nella galera). Ne manca ancora uno.... Ha un bel nascondersi, lo scorgo tra la, folla.... Me non mi s'inganna.... Su via, tu, piccino che ti chiami l'Amante: di' addio alla tua bella.... (I due piccini che gli altri chiamano «gli Amanti», teneramente avvinti, pallidi in volto per la disperazione si avanzano verso il Tempo e s'inginocchiano ai suoi piedi). IL PRIMO BAMBINO Signor Tempo, mi lasci partire con lui!... IL SECONDO BAMBINO Signor Tempo, mi lasci restare qui con lei!... IL TEMPO impossibile!... Non ci restano più che trecentonovantaquattro secondi..... IL PRIMO BAMBINO Preferisco non nascere affatto!... IL TEMPO La scelta non sta in voi.... IL SECONDO BAMBINO (con accento supplichevole) Signor Tempo, arriverò troppo tardi!... IL PRIMO BAMBINO Quando essa scenderà sulla Terra, io non ci sarò più!... IL SECONDO BAMBINO Non lo vedrò più!... IL PRIMO BAMBINO Saremo soli, nel mondo!... IL TEMPO Questo non mi riguarda.... Andate a reclamare presso la Vita.... In quanto a me, io unisco, io divido, secondo le istruzioni che mi vengono impartite.... (Afferrando uno dei bambini). Vieni!.... IL PRIMO BAMBINO (dibattendosi) No, no, no!... Deve venire anche lei!... IL SECONDO BAMBINO (aggrappandosi alle vesti del primo) Lasciatelo qui!... Lasciatelo qui!... IL TEMPO Ma che cos'è questa storia?... Si tratta di andare a vivere, insomma: non mica a morire.... o dunque? (Trascinando con sè il primo bambino). Vieni, ti dica! IL SECONDO BAMBINO (tendendo disperatamente le braccia verso l'altro bambino) Un segno!... Dàmmi un segno!... Un segno per ritrovarti!... IL PRIMO BAMBINO Ti amerò sempre!.... IL SECONDO BAMBINO Io sarò la più triste di tutte!... Mi riconoscerai a questo segno!... (Cade a terra e rimane stesa al suolo, immobile). IL TEMPO Perchè non sperare che un giorno...? E ora, siamo pronti finalmente.... (Consultando la clessidra). Non ci restano che sessantatrè secondi.... (Ultima violenta agitazione fra i bambini che partono e quelli che rimangono. Scambio di addii precipitosi: «Addio, Pietro!... Addio, Giovanni.... - Hai preso tutto quel che ti occorre?... Annunzia laggiù il mio pensiero!... - Hai preso il nuovo carburatore ?... - Parla dei miei poponi!... - Non hai dimenticato nulla?... - Cerca di riconoscermi!... - Ti ritroverò!... - Non perder le tue idee!... - Non sporgerti troppo sullo Spazio!... Dàmmi notizie!... - Dicono che non è permesso!... Sì, sì!... In ogni modo, tenta!... - Procura di farci sapere se è bello, il Mondo! Ti verrò incontro - Io nascerò sopra un Trono!... ecc., ecc.» ). IL TEMPO (agitando le chiavi e la falce) Basta! Bastal... L'àncora è levata!... (Passano le vele della galera, e spariscono. Le grida dei bambini dentro alla galera si fanno sempre più lontane: «Terra!.. Terra!... Io la vedo!... Com'è bella!... Com'è grande!... Com'è luminosa!...». Poi, come se uscisse dal fondo dell'abisso, si ode, lontano lontano, un canto di allegrezza e di attesa). TYLTYL (alla Luce) Che cos'è?... Non son loro che cantano così.... Si direbbero altre voci.... LA LUCE Sì, è il canto delle Madri che vanno loro incontro.... (Il Tempo frattanto chiude le porte opaline. Poi si volta, getta un ultimo sguardo nella sala, e scorge a un tratto Tyltyl, Mytyl e la Luce). IL TEMPO (stupefatto e furibondo) Che cosa fate qui?... Chi siete?... Perchè non siete azzurri come gli altri?... Di dove siete entrati?... (Si avanza verso di loro minacciandoli con la falce). LA LUCE (a Tyltyl) Non rispondere!... Ho preso l'Uccellino Azzurro.... Lo tengo nascosto sotto il mio mantello.... Scappiamo.... Gira il Diamante, così perderà le nostre tracce.... (Sgusciano via da sinistra, fra le colonna del primo piano). CALA LA TELA.

Oggi come non mai abbiamo bisogno non solo di consolarci con moralità leggendarie, ma di raccoglierci in noi stessi, di dimenticare le lotte incomposte e cruente in cui gli odi, le invidie, gli appetiti degli umani hanno gettato il mondo e di evadere dal crudo ricordo e dalla tremenda eredità della guerra per risalire, su dall'abisso, alla contemplazione dell'eterno e al culto delle idee. Non ci farà dunque male oggi, percorrere con Maeterlinck gli ardui e nascosti «sentieri della montagna» e magari, se non vogliamo dimenticare la guerra, ripensarla, sulle orme del poeta confortatore. Egli, almeno, ci persuaderà a riflettere che anche dal flagello che abbiamo attraversato ci può venire un qualche bene spirituale. Ci persuaderà a credere che i nostri morti, invece di risvegliare in noi pensieri di vendetta, vivranno ancora, nelle nostre case e che ogni morto di guerra spanderà sul cerchio memore dei superstiti familiari la luce del suo sacrificio e del suo esempio. Se le nostre forze sono ancora dissipate, turbate, sconvolte e tumultuanti, se la crisi terribile per la quale siamo passati ha posto lo scompiglio nei nostri pensieri e nelle nostre tendenze e ci ha fatto dubitare dei beni più sacri che credevamo nostri e acquisiti per sempre, della giustizia, della carità, della bontà, dietro le orme del poeta belga noi possiamo ricoltivare e raccogliere i fiori che la tempesta non ha definitivamente distrutti ed avulsi dalla terra. Questo poeta non ci insegna la debolezza, lo smarrimento, l'annientamento, come alcuno talvolta ha voluto far credere. L'uomo capace di meditare è un forte, l'uomo capace di sostare su i suoi pensieri e su i suoi sentieri non è detto che sosti sempre vinto dal dubbio, dalla stanchezza e dallo scoraggiamento; può sostare, come Maeterlinck, per riprendere e rinvigorire le forze. L'uomo che si curva sul fiore leva il capo a studiare e a cantare il volo nuziale delle api non è intento all'effimero della vita; ma a quello che nella vita è più essenziale e più eterno. La meditazione, maeterlinekiana non è quella del vinto, dell'inetto dell'ozioso; ma del sitibondo di conoscenza e di poesia ed oggi più che mai noi abbiamo necessità di conoscenza e di poesia, di metterci in contatto coi valori dello spirito, di ricuperare il senso del mistero, di utilizzare la nostra intelligenza incitandola a ridonare al mondo la sua purità e la sua bellezza. Non ci crediamo, troppo piccoli e troppo poveri per riuscire ad imitar l'esempio del poeta. Maeterlinck stesso ha cantato i tesori degli umili, Maeterlinck stesso ha detto una volta che «nessuna idea s'illumina sulle cime senza che vi contribuiscano le innumerevoli ed uniformi piccole idee delle pianure». Ognuno di noi, quale che sia la sua condizione, la sua cultura, il suo carattere, il suo passato, può lavorare all'avvento del regno della poesia e aiutare i grandi che compiono i più alti destini. «Che intorno a costoro le abitudini siano un po' meno basse, le speranze più disinteressate; che le inquietudini, le passioni, i piaceri, gli amori si rischiarino d'un raggio di grazia, di spensieratezza, di fervore immateriale, ecco ch'essi respirano liberamente, si sentono sostenuti, non han più da lottare contro il loro istinto, e le loro forze si alleviano e si concentrano. Il contadino che, la domenica, invece di ubbriacarsi all'osteria, resta pacificamente a leggere sotto gli alberi del suo orto; il piccolo borghese che sacrifica ad un nobile spettacolo, o semplicemente ad un pomeriggio silenzioso, le emozioni e le vociferazioni d'un campo di corse; operaio che, piuttosto di riempir la strada di canti osceni o idioti, va a fare una passeggiata in campagna o a contemplare un tramonto di sole su i bastioni, si può dire che portino un aiuto anonimo e incosciente, ma considerevole, al trionfo della grande fiamma umana». Cosi ha detto Maeterlinck. Non si spaventino le giovani lettrici dell'Oiseau bleu. Appunto dalla lettura dell'Oiseau bleu, esse si accorgeranno che il moralismo di Maurizio Maeterlinck non ha nulla di pesante, di scolastico, di retorico. Nell'Oiseau bleu la morale ha mille luci diverse, è piena di sorprese e di trovate, e procede per brillanti incantesimi scenici; ma anche nei volumi di meditazioni e di introspezioni maeterlinckiane - ch' io m'auguro questa fiaba invogli a cercare - la morale del poeta è una morale di poeta e se la vena della poesia talvolta sembra scorrere troppo lene e placida, troppo lenta e monotona, pure s' insinua in una così vasta distesa di argomenti e di ragionamenti, per così fiorite aiuole d'immagini e di sogni, che il loro animo ne sarà pervaso di compiacimento e di riconoscenza. E del resto al «trionfo della grande fiamma umana» non dovrebbero, specialmente oggi, contribuire anche le donne? Chi meglio di loro dovrebbe e potrebbe diffondere il senso della poesia e del raccoglimento? Chi meglio di loro potrebbe e dovrebbe restituire al mondo la sua ghirlanda di dolcezza e di grazia? Non è forse indiscreto, a questo proposito, ricordare alle lettrici dell'Oiseau bleu che Maeterlinck stesso, il poeta della piccola Mytyl e di Melisenda, di Joyzelle e di Monna Vanna, di Ariana e di Maria Maddalena, ha subito il fascino dell'eterno femminino e ha riconosciuto di dovere ad una donna, che fu sua interprete e inspiratrice, molti dei pensieri e molte delle certezze e delle speranze che gli rasserenarono l'animo e gli aprirono il cuore alla chiarezza della vita. È Aglavaine che porta al poeta - com'egli stesso confessa - «una atmosfera nuova, una volontà di felicità, una forza di speranza». Nella donna, amica virile e piena d'amore, la cui ragione è illuminata dalla grazia, la cui coscienza è naturale e pronta, nella donna che ricerca la sofferenza, non per espiare e purificarsi, ma per risparmiarla a coloro che ama, nella donna che sa nascondere le più giuste lacrime sotto il sorriso ed è di coloro che credono sempre di aver torto quando si è ingiusti verso di loro, Maeterlinck ha tracciato, nel Double jardin, il ritratto della sua eroina, della sua musa, della consolatrice e dell'ausiliatrice perfetta per lui. Certo Amelia Rosselli che oggi dona alle giovani italiane L'Oiseau bleu s'augura che molte di loro sappiano procurare di riconoscersi un giorno in questo ritratto. Sarebbe questo il più bel premio alla sua fatica e l'omaggio più squisito, prezioso e durevole all'opera luminosa del poeta di Gand. ALDO SORANI.

Pagina XIX

Quell'estate al castello

213740
Solinas Donghi, Beatrice 8 occorrenze
  • 1996
  • Edizioni EL - Einaudi Ragazzi
  • Trieste
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Abbiamo fatto un altro po' di passi nella nuova direzione che la galleria aveva preso, cioè, come si capí poi, tornando verso la prima grotta, ma dentro il muraglione invece che fuori. Stop di nuovo. - E adesso perché ti fermi? - C'è un muro, non si può proseguire. - Siamo arrivate in fondo, allora! - No, è aperto. Cioè, il muro mi arriva solo alla vita. Aspetta, ora ci guardo. Alzai il raggio della pila, muovendola con precauzione qua e là, mentre Ippolita per la curiosità dimenticava gli idem come sopra e si faceva avanti anche lei. Cosí abbiamo visto insieme e siamo rimaste senza fiato tutt'e due. Al di là di quel muretto la galleria si allargava formando come una stanza, una sala col soffitto a volta, tutta piena d'acqua. Acqua ferma come un olio, nera come il catrame; il cerchiolino di luce della pila ci

Però al trovatore e alla dama non abbiamo piú giocato, dopo quel primo giorno.

In quel preciso momento tutt'e due abbiamo capito che cosa poteva, anzi doveva succedere poi. Stavamo anche per dirlo a voce, aprendo la bocca assieme, quando... BOM! BOM! BOM! BOM! Niente paura, non è che fosse scoppiata la guerra mondiale. Era solo Remigio che suonava il gong per annunciare che il pranzo era pronto. Mi son dimenticata di dirlo prima che avevano quest'uso; era una cosa stilé ma anche molto pratica, perché gli risparmiava di venirci a cercare uno per uno in tutto il castello. - Uh, il gong! - strillò Ippolita e mi piantò lí per scappare in bagno a mettersi in ordine prima di scendere. In queste cose era precisa come un soldatino, l'avevano abituata cosí, e poi oggi aveva da darsi anche una bella rinfrescata alla faccia, se non voleva che gli zii capissero subito che c'era qualcosa. In quanto a me, scappavo già come una lepre verso camera mia. Avevo ancora troppa soggezione di loro per presentarmi a tavola senza aver fatto un po' di toeletta, non parliamo poi di farli aspettare, fosse pure un minutino solo. Dunque il discorso restò a metà e cosí lo lascio anch'io. La continuazione al prossimo capitolo.

. - Se le abbiamo cercate e non si sono trovate, vuol dire che qualcuno le ha fatte sparire. Proseguì spiegando che questa casa, ai tempi dello zio Pio, era un porto di mare, con tutte le visite che lui riceveva. Era rimasto in contatto con i suoi confratelli missionari, che oltre a scrivergli mucchi di lettere da tutti i paesi del mondo gli mandavano anche in continuo questo o quello, e mica solo per portare i saluti. C'era chi veniva a farsi dare un consiglio, chi voleva una raccomandazione o delle ripetizioni di latino. Il prozio (era un omettino secco secco; io me lo ricordavo piú che altro dalle fotografie) sbuffava, ma accontentava tutti. Per le ripetizioni poi c'era un viavai, pare che avesse un metodo suo per far entrare il latino in tutte le teste. Ebbene, diceva mamma, tra tante persone sconosciute poteva ben esserci stata quella disonesta. Le rincresceva di pensar male del prossimo, ma non c'era altra spiegazione. Ippolita si appassionò a questa storia. Si ha un bell'essere di famiglia ricca e passare l'estate in un castello, l'idea delle monete d'oro fa sempre un certo effetto. Incominciò a parlarne sovente, quando non c'erano nelle vicinanze Franco o Robi a prendere in giro. Per esempio avrebbe voluto sapere dove le tenesse le monete questo mio prozio. Messe via in una pentola, come nelle favole? - Ma no, non credo, - rispondevo io. - Nel doppio fondo di un cassetto, piuttosto. - Hanno il doppio fondo, i vostri cassetti? - Non lo so. Io non l'ho mai trovato. Dico cosí, perché altrimenti la mia nonna avrebbe visto le monete, quando metteva in ordine. - Ma scusa, se erano in un doppio fondo, come ha fatto il ladro a sapere che c'erano? La sua idea, lo capii un po' alla volta, era che le monete esistevano, ma forse non esisteva il ladro. Secondo lei poteva darsi che non si fossero trovate solo perché erano nascoste molto bene. E in questo caso, naturalmente, dovevano esserci ancora. A me veniva da ridere a figurarmi un tesoro nascosto tra la nostra roba solita di tutti i giorni, magari proprio nella camera che in tempo di vacanze passava a me e Isa (e quindi anche a Ippolita, adesso) ma che prima era stata dello zio Pio. Lei però ci sperava, credo anche per aver da pensare a qualcosa di piú allegro di tutto quel che aveva avuto da pensare in quegli ultimi tempi. Batteva sul muro con le nocche, toc toc. - Qui suona vuoto, non ti pare? Se fosse una nicchia murata, il nascondiglio? Oppure si metteva a girare intorno al seggiolone, un affare alto di legno scuro, col sedile imbottito, che pure quello era stato dello zio. - Ci hanno mai guardato, i tuoi, dentro l'imbottitura? Purtroppo però la nicchia nel muro, che c'era stata davvero, l'aveva murata mio papà appena due estati fa, dato che non serviva piú a niente (ai tempi andati, diceva mamma, ci tenevano i lumi). Dell'imbottitura non sapevo niente, allora siamo andate a domandare a mia nonna e lei si ricordava benissimo che, altro che guardarci dentro, l'avevano addirittura buttata all'aria, cosí che poi si era dovuta rifare. Dopo queste due delusioni ci fu una pausa. Giocavamo all'ometto nero coi miei fratelli, andavamo per funghi, senza trovarne (non era un'annata da funghi). Ma Ippolita si vede che continuava a pensarci. Di punto in bianco, un giorno, mi esce fuori con questa domanda: - Perché dovrebbero essere proprio monete d'oro? - Mah, dicono cosí. - Però hai detto che tua nonna non le ha mai viste. - Infatti; e nemmeno nessun altro. Giustappunto mio papà dice che non sono mai esistite. - Allora da dove è uscita fuori l'idea che ci fossero? Già, da dove? Non me lo ero mai domandato. Cercai una spiegazione. - Avran pensato che dovessero esserci per forza, quando si è visto che d'altro denaro ne aveva lasciato proprio poco. - Ah sí? proprio poco? - Be', cosa vuoi che possa guadagnare un ex missionario che dà ripetizioni di latino? - Allora vuol dire che il tesoro non può esserci! - Il mio prozio però diceva che c'era. Ed era una persona seria, mica un bugiardo, la nonna me l'ha detto tante volte. Ci siamo guardate. Stavamo toccando il nodo del mistero. Stava proprio qui, in questa stranezza del tesoro che non poteva esistere, eppure (per un altro verso) non poteva non esistere. Pensai che anche questo a modo suo era una specie di giallo e da quel momento anch'io cominciai a riprenderci un po' di passione. - Dicevo cosí, delle monete, - riprese Ippolita, - perché se il tesoro fosse invece - mettiamo - in banconote, sarebbe stato piú facile nasconderlo. Quelle stanno dappertutto; tra i fogli dei libri, oppure, non so, nelle lettere. Non riceveva tantissime lettere, il tuo prozio? - Pare di sí. - Idea! forse i suoi amici, confratelli, quello che erano, avevano l'abitudine di infilare del denaro nella busta. Questo spiegherebbe tutto, non ti pare? Non mi pareva, a dir la verità, ma intanto un brividino di eccitazione aveva cominciato a solleticarmi dentro, in quel punto dietro le costole dove non ho mai capito bene se ci stia la punta del cuore oppure il principio dello stomaco. Forse stavamo davvero facendo qualche passo avanti, ancora alla cieca, verso la spiegazione del vecchio mistero di famiglia. - Sarebbe interessante vederle, le lettere, - continuava Ippolita, dandosi un tono da detective. - Perché? Anche se, metti caso, le banconote c'erano davvero, non c'era mica motivo che zio Pio le lasciasse lí dentro. Se le sarebbe spese, o le avrebbe nascoste da un'altra parte. Lei avrebbe persino fatto i salti mortali, credo, pur di non abbandonare quell'idea che le piaceva tanto, perciò disse subito: - Non è detto. Anche le lettere potevano essere un buon nascondiglio - . Qui le scappò un sorriso: - Ma tanto è inutile discuterne; certo a quest'ora le avran buttate via. - Per quello puoi star tranquilla, la mia nonna non butta mai via niente. Mamma la sgrida per questo, ma qui è in casa sua e fa come vuole. Cosí la prossima mossa fu di tornare di nuovo a consultare la nonna. Lei non domandava di meglio: da tanto che era contenta e lusingata le vennero in mezzo alle guance come due roselline color del corallo, in tinta coi suoi orecchini all'antica. E dunque disse che sí, le lettere esistevano ancora. Quando era mancato il povero Pio le aveva messe via lei personalmente in un baule, su in solaio: nessun altro le aveva toccate e nemmeno ci aveva pensato, insomma non erano sembrate importami a nessuno. Erano ancora lassú, se ci faceva piacere vederle. Eccoci dunque ripartite in esplorazione, come ai bei tempi, però in su invece che in giù, verso il solaio polveroso invece che nei sotterranei del castello. Il mio solletico dietro le costole era sempre piú forte. Sentivo odore di avventura. Il baule era di ferro, di quelli che usavano una volta: per metter via la roba, io credo, piú che per viaggiare. Non era chiuso a chiave, bastava tirare su il coperchio. Nell'aprirsi fece uno gnau lamentoso. Mi ricordai del suono che aveva fatto la botola dello scheletro, quando Remigio l'aveva tirata su e si era visto che sotto non c'era niente. Qui c'erano le lettere, una quantità. Nessun topo era arrivato a rosicchiarle, lí dentro il metallo, però erano parecchio sbiadite. Sulle buste l'indirizzo era diventato marroncino, oppure lilla quando era stato scritto con l'inchiostro violetto. - Quante! - disse Ippolita, tutta felice. - Ce ne vorrà, a passarle tutte! Si lasciò andare senz'altro in ginocchio sulle assi polverose e cominciò a tirar su una lettera dopo l'altra, allargando con due dita ogni busta e guardando anche in mezzo ai fogli piegati, caso mai ci fosse la banconota. Allora mi ci misi anch'io, un po' piú al ral - lentatore perché non ero tanto convinta. Leggevo qualche parola, dove mi cadeva l'occhio e dove la calligrafia si capiva. Caro e Reverendo Amico, tutto con le maiuscole. Due righe di scrittura inclinata dove si dava la notizia di un'invasione di cavallette che aveva portato molto danno ai campi della Missione; la data di un certo giorno di un anno lontano. C'era un odore di scartoffie vecchie che mi metteva tristezza. Quello dell'avventura non lo sentivo piú. Ero sempre meno convinta, cosí dissi: - Mah! per me stiamo facendo un lavoro inutile. I missionari, se avevano dei soldi, li avranno spesi per le loro Missioni, ti pare? Perché dovevano mandarli proprio al prozio Pio? Lei rispose solo: - Sarà, ma lasciami finir di guardare. Lo sapevo com'era fatta: quando si appassionava per qualcosa non era tanto facile smuoverla. Io invece mi ero stufata. Pian piano mi allontanai, girellando qua e là a guardare negli angoli piú scuri se anche quest'anno c'erano i pipistrelli. Ne trovai due, piccolini, appesi a testa in giú dietro a una trave. Nel sonno muovevano continuamente il muso in una maniera molto buffa. Gli idem-come- sopra. Pensare che mi avevano fatto paura, nelle catacombe! Per cambiare, andai a guardar fuori dall'unico finestrino che c'era. Si vedeva la strada, il pergolato, la casa del vicino, l'orto con le prime macchie gialle, tutto un po' diverso, almeno mi pareva, di quando lo guardavo dalle finestre di gíú. Non era più la solita roba che vedevo tutti i giorni, ma un quadretto lucido, un po' rimpicciolito. Bello. Forse era cosí che lo vedeva Ippolita, dal suo punto dí vista di persona venuta di fuori: ecco perché le piaceva tanto. - Gina, - disse in quel momento, con una voce strana. Mi voltai. Era seduta sui talloni, con le mani aperte ai lati del corpo e cinque o sei di quelle lettere sparse in grembo. Le guardava senza nessuna espressione particolare, eppure mi sembrò di vedere, sospesa sulla sua testa, la lampadina accesa, con scritto IDEA!!, del detective che ha capito tutto. - Hai, hai trovato qualcosa? - Vieni un po' qua. Andai là. - Avevi ragione, sai. È un lavoro inutile guardar dentro a queste lettere. Bastava guardarle di fuori. - Come sarebbe, di fuori? - Le buste, polla che sei! Ti dicono niente le buste? Le guardai; e non mi dicevano niente. Un po' gialle di vecchiaia, con l'indirizzo sbiadito. Spiccavano, in confronto, i colori dei francobolli, tanto píú che c'erano rappresentati uccelli esotici e fiori strani e altre cose

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Poi abbiamo le grotte in fondo al parco. Anche quelle sono sotterranee, almeno in parte, e antiche. Appartenevano ai giardini della villa. Pensai che allora forse valeva la pena di esplorarle, prima o poi. Ero di nuovo molto su col morale. Prima di tutto ero arrivata bene o male alla fine del maledetto sufflé, e poi adesso sapevo di sicuro che il castello non era tutto finto. Qualcosa di vero c'era, c'erano grotte e antiche fondamenta e cantine e ripostigli, tutta roba che sarebbe stato molto divertente scoprire. Incominciavano a divertirmi anche gli andirivieni dignitosi di Remigio con i piatti e persino l'erre moscia della contessa e il fatto che dicesse «pavdòn» invece di scusa o prego, come un'artista buffa con l'occhialino in una pellicola che avevo visto quell'inverno. All'idea dell'artista buffa per poco non mi veniva la ridarella, ma per fortuna riuscii a mandarla giú e il resto del pranzo passò senza incidenti. Dopo mangiato Ippolita mi portò a prendere il fresco nel parco. Stavamo sotto gli abeti, o forse erano pini, non ho mica mai i capito la differenza, insomma certi alberi scuri scuri che facevano una bell'ombra, ma Ippolita si lamentava lo stesso del caldo. Era irrequieta; dopo un po' eccola che salta su e dice che vuole andare in camera a prendere il grammofono portatile (non si chiamava ancora giradischi, allora). Tornammo in su verso il castello. Sbucando nel piazzale tra le ortensie, feci caso per la prima volta a due figure dipinte sulla facciata, ai lati del balcone: qua un giovane con un chitarrone lungo lungo, dall'altra parte una signora con le trecce fino ai piedi e veli fluttuanti. Erano tutt'e due un bel po' sbiaditini dal sole e dalla pioggia, per questo non li avevo visti prima. - Chi sono quei due lí? - Due tizi finti-medioevali, il trovatore e la sua dama. Mi misi a cantare:

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Lí anzi successe ancora meno, non abbiamo neppure cantato né riso, però fu ugualmente avventuroso, in un altro modo. Erano i posti, che erano avventurosi; misteriosi, ecco. La prima grotta magari non tanto; a proposito, anche le grotte erano due, come le cantine. Stavano in fondo al parco. A reggere il fondo del parco, con gli alberi e tutto,

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Cosí abbiamo proseguito nella solita formazione di tutte le passeggiate, noi due insieme e la zia per conto suo, piú avanti o piú indietro non aveva importanza. Fu una passeggiata barbosa. Non potevamo parlare di quel che piú importava, caso mai ci sentisse, cosí non dicevamo niente. Si sentiva solo lo sguisc sguisc dei nostri stivali di gomma (la contessa aveva le galosce). Alla curva da dove si cominciava a vedere il paese, disse che adesso potevamo anche tornare indietro. Forse si era stufata di camminare nel bagnato con due tipe col muso lungo, in stivali di gomma che facevano sguisc. A me però mi venne in mente una cosa un po' strana, cioè che al paese in fondo non ci si arrivava quasi mai. Appena qualche volta per far compere, e la domenica per la messa, si sa. Ma Ippolita non frequentava nessuno, in paese: questo volevo dire. Erano gli zii, chiaro, che la tenevano isolata, perché cosí potevano fare e disfare, nasconderle le lettere, anche chiuderla a chiave per delle settimane, se volevano! e nessuno ci avrebbe fatto caso, nessuno si sarebbe sognato di mettere il becco! Ma c'ero io. Ippolita non era del tutto abbandonata. Io potevo e dovevo fare qualcosa per impedire questa marcia ingiustizia che le facevano: alla faccia degli zii conti e del loro contorno di complici e carcerieri! Era un pensiero molto coraggioso, cosí coraggioso che mi mise paura. Quando mi trovai di nuovo sola con la mia amica mi era quasi passata la voglia di dirglielo. Tanto parlò lei, subito: - Te lo ricordi cosa dicevamo, prima che suonasse il gong? - Ma sí. Parlavamo della busta crema. Insomma della lettera che tua madre ha scritto a tua zia. E a proposito, perché lo avrà fatto? Se dici che ce l'ha antipatica... - Le avrà domandato dove sono finite le sue lettere, no? Da quel che le scrivo io deve averlo capito per forza che non mi sono arrivate. - Scrollò forte la testa, come se le avessi fatto perdere il filo. - Cosa c'entra questo, adesso! Sta' a sentire: quando ha suonato il gong io dicevo che se avessi saputo che la mamma era abbastanza vicina - a Parigi, mica piú in America - sarei andata

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Sempronio e Sempronella

214715
Ambrosini, Luigi 2 occorrenze
  • 1922
  • G. B. Paravia e C.
  • Torino - Milano - Padova - Firenze - Roma - Napoli - Palermo
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Allora disse Sempronio: - Non abbiamo pensato che oggi è domenica, e anche il mulinaro riposa. Dolenti essi stavano per andarsene, quando abbaiò loro incontro il cane, e poco dipoi comparve compare Festo, tendendo le braccia in segno di affettuosa accoglienza. Tutto vestito a festa, con una cravatta azzurra sotto il mento, un largo cappello calcato sulla fronte, egli era più allegro del solito. - Bravi, bravi! M'avete fatto un regalone. La domenica, sapete, non si lavora; un giorno di riposo su sette ci vuole. Fa bene al corpo, fa bene all'anima. Io chiudo il mulino, e dò la via all'acqua: quella non si ferma mai, non ha domenica, quella! Io, invece, ho bisogno di un po' di svago, e sapete quale? - Quale, quale? - domandarono i ragazzi. - La pesca ai gamberi!

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. - Abbiamo pescato in compagnia di compare Festo. - Oh i bei gamberi! - esclama il maestro, che ne è ghiotto. - Bisogna cuocerli subito. - Li coceremo. Ho la mia ricetta. E la brava bambina si mette subito a sfaccendare in cucina. Ella vuole ammannire un buon piatto pel suo caro maestro. Che cosa non farebbe per lui! Ella è chinata sul paiolo e guarda. I gamberi mutano colore, mettono su una veste rossa. È segno che sono cotti. Entra Sempronio e dice: - Ho preparato la tavola. Sono pronti cotesti gamberi? - Pronti! - esclama la cuoca, sollevando il paiolo. Di lì a poco i gamberi fumano sotto la lampada accesa.

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