Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Otto giorni in una soffitta

204651
Giraud, H. 12 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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È una vera fortuna che tu abbia i capelli tagliati, - dice a Nicoletta. - Coi riccioli sarebbe stato impossibile. - La fanciulletta è pazza dalla gioia. Questa passeggiata di sera, in giardino, assume l' importanza di un'avventura fantastica, d'una spedizione lontana e pericolosa per la quale le precauzioni non sono mai troppe. E i quattro fanciulli attendono, con impazienza, l'ora della cena. Quando risalgono, trovano Nicoletta vestita da ragazzo, ed è per essi, benchè se lo aspettassero, una sorpresa. Il vestito di Maurizio le sta a maraviglia. - Potranno benissimo prenderla per me. - Salvo i capelli, - dice Alano. Poichè, nonostante il taglio di Maurizio, Nicoletta è sempre pettinata da bambina. Il piano è fatto: bisogna metterlo in esecuzione. Intanto è giusto che lascino alla fanciulla il tempo di cenare. Francesco e Nicoletta aspettano che Alano e Maurizio scendano, per vedere se la via è libera. Arrivato in giardino, Maurizio andrà subito a nascondersi e Alano fischierà per dare il segnale che Nicoletta può venire. E infatti tutto procede così. Ma il fischio di Alano sì fa aspettare tanto. Francesco è inquieto e Nicoletta ha paura. Infine, dopo qualche minuto, si sente il segnale. Francesco trascina Nicoletta correndo. Eccoli tutti e quattro riuniti in giardino. - Non potevo fischiare, - dice Alano - perchè Maria era nel vestibolo. Non voleva più andarsene. - A che cosa giochiamo? - domanda Maurizio. - A nascondino, sotto gli alberi; così Nicoletta si divertirà e potremo correre. - Viene in tal modo organizzata una grande partita, e i quattro fanciulli sono così intenti a giocare che dimenticano tutto. Ma Maria non dimentica l'ora, e viene sull' ingresso per chiamare i fanciulli e metterli a letto. Ma siccome essi non la sentono, aspetta un istante e li sente ridere. Guarda in fondo al giardino; è quasi buio e distingue soltanto

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Aveva fatto rizzare una scala per rimettere il vetro del flnestrino che era rotto, e mentre il vetraio era in cucina sono scappata senza che mi abbia vista, sono sallta sul tetto e mi sono nascosta dietro un comignolo. Essa non si è immaginata che fossi là: ho visto che ha chiuso il finestrino. Allora sono venuta camminando carponi, perchè avevo un po' di vertigine, e fortunatamente sono capitata subito davanti al finestrlno buono. - Allora abbiamo il tetto in comune con quella vecchia strega? - Non lo so, - risponde Nicoletta. - Ho dovuto salire un po'.... c' è framezzo un tetto più piccolo. - lo stesso: - dice Maurizio - per essere una bambina è stata coraggiosa a venire per il tetto. - È nostra figlia, - risponde con dlgnità Francesco, come se per questo ne avesse acquisito anticipatamente le virtù. - Bene! - dice Alano. - Allora quella vecchia non verrà a cercarti qui. - Ma intanto, a qualunque costo la difenderemo! - esclama in tono bellicoso Maurizio. - Nicoletta è nostra! - Francesco scuote la testa. - Sì.... ma io penso che sia più prudente nasconderla, perchè, sai.... alle persone grandi, e per di più cattive come mamma Duflet.... - Sì.... ebbene? - Ebbene, anche se hanno torto, tutti danno loro ragione. - È proprio vero, - approva Nicoletta in tono sconsolato. - Intanto, - dice Alano che si dà daffare per mettere insieme la camera di sua figlia - bisogna andare a cercare dei lenzuoli nel guardaroba. Ma blsognerà tenere occupata Maria durante questo tempo, poichè essa è sempre lì. - La terrò occupata io, - risponde Maurizio. - Che cosa farai? - domanda Nicoletta incuriosita. - Fingerò di andare a rubare un po' di dolce nella stanza da pranzo, e lei allora mi seguirà.

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Ma alla fine s' intendono, e i tre babbi, lieti di ritornare fratelli, sono ancora più felici che la mamma abbia accolto così bene Nicoletta. - Sì, - dice la mamma un po' severa - non voglio sciuparvi questa bella giornata sgridandovi, e rattristare Nicoletta, ma sono però molto afflitta di tutte queste menzogne. - L' intenzione era buona, però, - obietta Alano. - Non erano bugie cattive, - aggiunge Maurizio. - Una bugia è sempre cattiva, - riprende la mamma. - Perchè non mi avete scritto? - Francesco riprende la parola: - Avevamo paura di farti interrompere la cura, mamma; ed eri così sofferente, quando partisti! - Infine, - dice la mamma - per oggi non ne parliamo più: è giorno di gioia. - Ma ecco che arriva Maria, la quale non riesce a capire la storia se non dopo molto e molte spiegazioni. La sua

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. - Ed è il solo che ne abbia avuto davvero. I nove anni di Maurizio, gli undici di Alano, non si erano mai resi conto, come si rendeva conto lui, della loro responsabilità. Quanto a Nicoletta, ha avuto sempre fiducia, ma era talvolta un po' sola.... e consente volentieri a divenire la sorella di Francesco, poichè in tal modo ha una mamma che, così le dice il suo cuore, prenderà il posto della sua. E il tenero bacio che essa riceve, coricata nel suo lettino, glielo conferma. FINE

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- Prima che Nicoletta abbia il tempo di rendersi conto di ciò che succede, i tre fanciulli sono scomparsi come fantasmi. La fanciulletta siede sulla graziosa poltroncina un po' zoppa che Alano ha scovato per lei, appoggia la testa bionda sulla spalliera e riflette. Pensa alla sua nuova famiglia, ch'ella stessa si è scelta; pensa che non sarà forse sempre molto piacevole stare rinchiusa in quella soffitta. Ma che importa? Tutto è preferibile a quella mamma Duflet così cattiva. Sente che i suoi nuovi amici le vogliono già bene, e, senza cercare altro, il suo povero cuoricino tenero, bisognoso di affetto, sussulta di felicità. A sette anni non si può riflettere alle conseguenze di un'adozione in una soffitta; e i tredici anni di Francesco non hanno dimostrato di rifletterci di più. C' è un'altra cosa alla quale Francesco non ha pensato e che comincia a impensierire Nicoletta. E quando Maurizio arriva tutto scalmanato porgendole la maravigliosa bambola, che non è affatto un giocattolo, ma un oggetto artistico, Nicoletta può appena esprimere la sua ammirazione. Misteriosamente, a voce bassa, la fanciulletta confida il suo tormento a Maurizio. Questi la prende per la mano e la conduce fuori della soffitta. - Là, - indica il ragazzo, mostrando una porta che dà sulla scala tra la soffitta e il piano inferiore. - Ma non andarci di sera; Maria e Leonia ti sentirebbero. Capisci, è quello delle domestiche.... Ma non fa niente, vero? - chiede con voce ansiosa. E, rassicurato da Nicoletta, egli la riporta dietro il paravento con la sua bambola e se ne va. Quando arriva alla porta un' idea lo trattiene, torna indietro correndo, passa le braccia intorno alle spalle di Nicoletta e la bacia teneramente. - Oh, Maurizio, - dice la fanciulletta, con gli occhi brillanti di lacrime di gioia - come vi voglio bene a tutti e tre! - E Maurizio, convinto, risponde: - Anche noi, sai, Nicoletta; e ti custodiremo bene. - Una bambina!... Se Maria li vedesse! Intanto Nicoletta è in estasi davanti alla bambola. Non ne aveva mai sognata una così bella! È quasi troppo bella! Nicoletta è un po' intimidita:

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Ma la sua contemplazione viene interrotta bruscamente: Maurizio non ha ben richiuso la porta della soffitta, e Nicoletta la vede riaprirsi pian pianino, e prima che essa abbia il tempo di spaventarsi, scorge un superbo gatto nero d'Angora. Nicoletta congiunge le mani in atto di ammirazione. Essa ha tutte le felicità in quel giorno: i suoi tre babbi, la bambola e il bel gatto.... Ma che cosa vorrà da Nicoletta? Immobile, la fanciullina lo guarda. Anche il gatto, immobile, guarda la fanciulla che non conosce.... Misterioso e agile, si avvicina lentamente, gravemente, studia quella sconosciuta. Non bisogna mai fidarsi! « Tiene sulle ginocchia la bambola del salotto.... Allora è di casa?... Andiamo a vedere più da vicino se è proprio la bambola. » Con un balzo leggero, il gatto è sul bracciuolo della poltrona. I grandi occhi turchini di Nicoletta sono la sola cosa vivente. La fanciulla non osa muoversi per paura d' inferocire il suo visitatore. Il gatto avvicina la testa, fiuta la personcina e, soddisfatto dell'esame, lo dichiara. - Mau! - dice. Allora Nicoletta allunga una mano, lo carezza; il gatto fa le fusa. Anche lui ha adottato Nicoletta.... E a poco a poco la bambola ha perduto il suo posto: il gatto è sulle ginocchia della fanciulla. Quando i fanciulli tornano la trovano così. Maurizio porta come una cosa preziosa una bella fetta di pane con la conserva. - Oh! - esclama Francesco. - Matù è venuto a trovare Nicoletta. Sai, Nicoletta, Matù vuol bene soltanto alla mamma; si burla di tutti, non può vedere lo zio Fil e sopporta Maria e Leonia soltanto perchè gli danno da mangiare. - Vorrà bene anche a me, - dice Nicoletta baciando la testa serica del gatto. - Tieni, - dice Maurizio porgendo la fetta di pane. - Ti piace la conserva di albicocche? - È quella che mi piace di più, - risponde Nicoletta. - Ma, è la tua merenda, Maurizio? E tu? - Noi abbiamo già fatto merenda, stai tranquilla: abbiamo avuto ognuno la nostra fetta di pane con la marmellata, e Maria non si è accorta di nulla. - Francesco spiega a Nicoletta che, mentre Maria si voltava indietro, ha tagliato una fetta di pane e lo ha nascosto. Alano poi è riuscito a prendere la marmellata dal vaso, quasi sotto il naso di Maria. - Vedrai, - esclama Maurizio con aria disinvolta - ci sapremo disimpegnare! - Nicoletta è infatti molto tranquilla: ha fiducia nell' iniziativa dei suoi amici. Senza poter esprimere i suoi sentimenti, si rende perfettamente conto che quello che avrà dai suoi tre amici sarà sempre migliore del pan secco e condito di cattiveria della Duflet.

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E prima che Maria, in ginocchio per abbottonare le scarpe ad Alano, abbia avuto il tempo di muoversi, Maurizio le salta addosso, la rovescia all' indietro e le stampa un grosso bacio sulla guancia. - Via, via, signor Maurizio, non fate il matto, - brontola Maria, che, in fondo, è contenta poichè

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È da credere che Maurizio abbia indovinato la noia di Nicoletta, perchè, arrivando come un pazzo, con le braccia cariche di scatole, grida ansante: - Nicoletta, ho ritrovato un mucchio di costruzioni, di figure da ritagliare, e di album da colorire. Ti divertirai? - Nicoletta salta dalla gioia. - Oh, come sono contenta! Cominciavo proprio ad annoiarmi.... un pochino soltanto, sai, - confessa. - Come mi divertirò con tutte queste belle cose! - Ne cercherò ancora, - dice Maurizio. - E poi.... sai per caso cucire? - No, - risponde Nicoletta - so soltanto lavorare all'uncinetto. - Che cosa occorre per questo? - domanda Maurizio. - Un uncinetto, - risponde Nicoletta - e della lana. - Aspetta.... anderò a vedere nella

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. - Arrabbiato, no.... ma credo, sì, credo di esser dispiacente che tu non abbia più i tuoi capelli. - Io, invece, - dice Alano - trovo Nicoletta molto graziosa così. Rassomiglia a Giovanna d'Arco del tuo bel libro, Francesco. - È vero, - mormora Francesco. La somiglianza della fanciulla con la sua cara eroina non lo lascia indifferente, e sorride. - Ebbene, - dice - vado a chiuderli. - Dove? - domanda Alano. - In un cassetto della mamma, dove Maria non andrà a cercarli, - dichiara Francesco. - E la mamma che cosa dirà? - Li toglierò prima che arrivi. Di qui ad allora troveremo un nascondiglio. - Mi par d'esser più leggera, - dice Nicoletta scotendo la testina - e più fresca. Sono noiosi questi capelli, sai, Francesco.... - Francesco prende le ciocche seriche legate con uno spago e se le nasconde in tasca. Nell'andarsene ha un ultimo sguardo rattristato per la testina rotonda, senza il suo bell'ornamento, ma poi pensa a Giovanna d'Arco e se ne va un po' consolato, seguìto da Alano, che, meno sentimentale, dichiara: - Sarà più comodo, dopo, quando giocherà in giardino con noi. Egli è molto contento che lo zio Fil non chieda di vedere ogni giorno i loro compiti delle vacanze; si accorgerebbe, in quei due giorni, di una trascuratezza e di una negligenza inverosimili, poichè anche quella mattina passa senza che i ragazzi abbiano concluso gran che. Francesco, seduto davanti alla piccola biblioteca, che contiene, oltre i loro libri divertenti, anche i primi libri di lettura, cerca gli alfabeti, coi quali darà lezione a Nicoletta. Maria, tranquilla, apparecchia la tavola. La brava vecchia riflette, lavorando, che i tre fanciulli hanno avuto poche distrazioni da quando la loro mamma è partita. Non sono stati mai invitati i loro piccoli amici, non sono mai state fatte grandi passeggiate.... E Maria si propone di fare una bella sorpresa ai suoi padroncini. Va a parlare con Leonia e tutt'e due discutono. - Un bel coscìotto e dell' insalata russa, - dice Leonia. - Sì, - risponde Maria. - Ma in che giorno? - Il cosciotto, bisogna che lo abbia il giorno prima, - dichiara Leonia. - Giovedì prossimo, allora, - risponde Maria. - Andrò a trovarli oggi. - Da chi andrete? - Dai piccoli Aubry e dal piccolo Giovanni Bord che è così gentile. - Non ne portate troppi; - consiglia Leonia - se siete sola, faranno un tal fracasso.... Soltanto ragazzi, soprattutto. - Ohimè! - sospira Maria. - Non c' è mezzo d' invitare una bambina. Diventano insopportabili quando ce n' è una, e così odiosi che c' è da vergognarsene. - Leonia alza le spalle. - È un capriccio, e dovrà ben passare! - Sicuro, - replica Maria, ridendo. - E tuttavia amano tanto la mamma e non pensano che anche lei è stata una bambina. - Via, - conclude Leonia - sono idee da ragazzi viziati. Avrei voluto vedere, in casa nostra, dov'eravamo sei bambine e tre ragazzi, che non fossero stati gentili con noi! Avrebbero ricevuto una di quelle lezioni da far loro passare la voglia di rifarlo. - Bene, - dice Maria, che si rifiuta di ammettere che i suoi padroncini siano viziati, e se ne va ogni volta che entrano in simile argomento. - Vado a finire di preparar la tavola. Non so quello che hanno in questi giorni: divorano. Specialmente Maurizio non riesco a saziarlo. Ieri gli detti due grosse fette di arrosto, e lo inghiottì tutto. Non faccio in tempo a voltarmi, che ha già finito. - Bisogna stare attenti, - replica Leonia - perchè mangiar troppo alla svelta fa male. - E il tramesso, la sera? Eppure li servo abbondantemente. Ebbene, si rifanno daccapo. Non parlo poi del dolce e delle frutta, che fanno come la neve al sole! - Dovreste dare a ognuno la sua parte, - consiglia Leonia. - Potrebbe far loro male, mangiar troppo. - Oh, no! - ribatte Maria. - Preferisco vederli riprendere le pietanze che bere medicine. E poi m' imbrogliano. Ieri, del salame, ne avevo tagliato come sempre; ebbene, me ne mancavano quattro

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Nicoletta, che sta meglio, è anch'essa impaziente, benchè non abbia fame. E l'ora della minestra viene anticipata, poichè nessuno ha più la pazienza d'aspettare. Finalmente il fornello è acceso, e la cazzaruola, piena d'acqua, ci vien messa sopra. Ce n' è per tre Nicolette; ma il senso delle proporzioni non si acquista in una sola volta. - Bisognerà mettere tutto il sacchetto? - domanda Maurizio. Francesco dubita di no e Alano, che ha l' idea di leggere sul pacchetto, vede che un solo cucchiaio deve servire per una persona. È evidente che c' è troppa acqua per così poco semolino, ma forse dev'esser così. Aspettano che l'acqua bolla, e poi Alano versa il semolino, mettendone più di quanto ne occorre; ma il semolino si ostina a rimanere tutto in un mucchio, da una parte. - Bisogna dimenare, - dice Maurizio. Dimenano energicamente, ma l'acqua, nel bollire, sale fino all'orlo della cazzaruola come se fosse latte, e va di fuori, spengendo il fornello. I ragazzi sono costernati. - Bolle troppo forte, - dice Nicoletta. - Bisogna abbassare la fiamma. - Forse è cotto, - aggiunge Maurizio. - No, non è cotto. Guarda com' è diventato brutto, - risponde Alano. Riaccendono il fornello, e ricominciano abbassando la fiamma. Questa volta non vuol più bollire, e quando infìne si decide, non va affatto meglio. Il semolino è tutto un grumo. Credi che sarà buono? - domanda Maurizio. Alano non è ben sicuro, Francesco alza le spalle per far capire che non lo sa. Non c' è che Nicoletta che è già sicura del resultato. - Sarà molto buono, - decide essa. Povera Nicoletta! Quando, alla fine, la minestra è cotta, bisogna che la mangi; ma allora sembra che cambi parere. Comincia col bruciarsi un poco. - È buona? - domanda una voce ansiosa. E Nicoletta risponde, con voce lamentosa: - Sì.... ma credo che non abbiate messo il sale. - Il campo dei cucinieri è costernato. Hanno dimenticato perfino di portarlo, il sale. Maurizio propone di andare a prenderlo. Ma prima propone a Nicoletta di portare dello zucchero al posto del sale. - Sarà più buona, - egli dice. Ma ad ogni modo non potrebbe esser più cattiva. Nicoletta è stoica: mangia la sua minestra. La mattina ha preso una limonata purgativa e un decotto d'erbe, e quella minestra completa la giornata. Quando ha finito, Alano getta un grido: hanno

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Scende a precipizio, prima che Nicoletta, sorpresa, abbia avuto il tempo di raccapezzarsi, ed esce dalla stanza da studio zoppicando un po', per andare incontro ad essi. Maria è molto inquieta sulla sua sorte e perciò sono ritornati più presto. Francesco dice che sta meglio e che Leonia l' ha quasi guarito con l'acqua fredda.... è sicuro che domani non avrà più nulla. Maria è un po' dispiacente perchè il dottore non è venuto. - È sempre meglio, - afferma. Essa s' intenderà fra poco con Leonia che, certamente, le riderà sul naso. I due fratelli cominciano a raccontare a Francesco come hanno passato la giornata. È stata una giornata magnifica. Hanno giocato a nascondino, hanno inventato aggressioni ai viaggiatori, hanno trovato un albero dove potranno giocare al Robinson. Hanno fatto colazione sul margine

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. - La fanciulla ride: - Non so se abbia tutti questi nomi. So che la mamma la chiamava «mamma Duflet». Fintanto che è vissuta mia madre, mamma Duflet era gentile, mi chiamava signorina Nicoletta e mi preparava delle pietanzine speciali. Ma quando la mamma non e' è stata più, è diventata così cattiva!... Stamattina mi ha picchiata.... Guardate! - Nicoletta solleva la manica e mostra un braccino tutto livido. - Oh! - I ragazzi sono indignati. - Gliela faremo pagare.... La picchieremo, la graffieremo, - propone Maurizio. - Oh, non potrete! - dice Nicoletta. - Non si può farle nulla. Io credo che sia una vecchia strega. Oggi non mi ha dato che pane, per desinare, e mi ha detto che stasera non avrei avuto che acqua.... e Allora ho detto che me ne andavo, e lei mi ha risposto che sarebbe un impiccio di meno.... Allora io ho detto che volevo prendere le mie robe e andarmene subito, e lei mi ha risposto che se partivo bisognava che non mi vedesse e che non mi ritrovasse, perchè altrimenti l'avrei pagata cara.... Allora ho risposto che il babbo sarebbe andato in collera con lei, quando fosse ritornato, e lei ha detto.... ha detto.... - riprende Nicoletta, tutta commossa a questo ricordo - che un babbo che parte così, non ritorna più. - E Nicoletta non resiste più e si mette a piangere e a singhiozzare da far pietà. I suoi tre amici cercano di consolarla. Maurizio ha passato un braccio intorno al suo collo, e tutti la baciano e cercano di farle dimenticare le cattive parole della Duflet. - È una megera, - dice Francesco - non sa quello che dice. - Dov' è andato il tuo babbo? - domanda Alano. - In America, - risponde Nicoletta tra due singhiozzi - per guadagnare molti soldi.... E la mamma doveva rimanere a Versailles.... E poi, un giorno, la mamma disse che in provincia, da mamma - Duflet, che era stata cuoca dal mio nonno, avremmo speso meno. E quando la mamma morì, quella brutta vecchia mise tutto sossopra e trovò

Pagina Frontespizio

Il giovinetto campagnuolo II - Agricoltura

205911
Garelli, Felice 7 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Pagina 103

Abbia il fondo, se non lastricato, almeno in terra argillosa, ben battuta, e resa impermeabile, affinchè il sugo del letame non si perda, per infiltrazione, nel terreno. Questo fondo sia leggermente inclinato da una parte; e nel punto più basso si costruisca una cisterna, o, se il terreno è impermeabile, si scavi una fossa, la quale raccolga il sugo nero, condottovi da un canaletto che gira intorno la concimaia. Si circondi di un arginello di terra che impedisca la dispersione del sugo, e la invasione delle acque esterne. DOMANDE: 1. Che cosa occorre fare per la buona conservazione del letame? 2. Qual è il miglior posto della concimaia? - Come si ripara dal sole, e dalla pioggia? - Quale ampiezza le si dà? - Come dev'esserne il fondo, per impedire la dispersione del sugo, e l'invasione delle acque esterne?

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Io suppongo che tu abbia un ettaro di terra coltivato a frumento, alla solita maniera. La spesa di coltivazione non si discosta guari dalle cifre seguenti: Affitto, o interesse del valore del terreno e imposte . . . . . . . . . . . . . . . . L.135 Semente . . . . . . . . . . . . . . . . » 50 Lavori del terreno, mietitura e battit. . » 60 Concime . . . . . . . . . . . . . . . . » 50 -- Spesa totale L. 295 Il prodotto sarà approssimativamente di 11 ettolitri di grano, e 110 miriagrammi di paglia, che valgono: 11 ettolitri di grano a L. 23 l'ettol. L. 253 110 mir. di paglia a L. 0,50 il mir. . » 55 -- Valore totale del prodotto L. 308 Quale è dunque il benefizio ricavato dalla coltivazione di un ettaro di frumento? Lire 13, ossia la differenza che si ottiene sottraendo dal valore del prodotto che fu di . . . . . . . . . L. 308 le spese fatte per ottenerlo, cioè . . . » 295 -- Benefizio L. 13 Ti sembra poco: e hai ragione. Ma io ti dico che molti coltivatori non guadagnano neppure queste povere 13 lire, e vi perdono, perchè non sanno coltivare. 2. Ora prova un po' a concimare meglio il terreno. Spendi in concime 100 lire in vece di 50. Le altre spese rimangono a un dipresso quelle di prima, o almeno crescono ben poco. Supponiamo che invece di 295 lire tu ne spenda 355. Il prodotto aumenta, e sale per lo meno a 16 ettolitri di grano ed a 150 miriagr. di paglia; onde ricaverai da 16 ettol. a L. 23 L. 368 150 mgr. di paglia a L. 0,50 . . . . » 75 -- Valore totale del prodotto L. 443 In questo caso hai già un benefizio di L. 88. Un altr'anno, aumenta ancora a 150 lire la spesa del concime. Portiamo pure le spese di coltivazione a L. 420. Il raccolto non sarà inferiore a 22 ettolitri di grano, e a 200 mgr. di paglia che, ai prezzi sopra indicati, ti daranno un prodotto di L. 606; e quindi avrai un benefizio netto di 186 lire. Da questi esempi tu vedi che quanto più si spende in concime, tanto più si guadagna. Se fai una spesa doppia, o tripla in concime, ne ricavi un guadagno dieci, quindici volte maggiore. Ho dunque ragione di ripetere che nel concime si ha tutto. Esso dà il grano, la paglia, il fieno, e ogni altro prodotto. Quindi chi ingrassa la terra, conosce il fatto suo, e fa fortuna. Chi smunge la terra, smunge la sua borsa. DOMANDE: 1. È vero che la terra rende in proporzione di quel che riceve? - Dimostra, con un esempio pratico, che non coltiva con beneficio chi concima scarsamente il terreno. 2. Prova con altro esempio che raccoglie molto chi concima bene.

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Ma in questo caso occorre che il guardiano abbia cura di spandere gli escrementi, per dare una concimazione uguale a tutto il terreno. DOMANDE: 1. Quale è il grado di bontà del concime ovino? - Come si suole utilizzare? 2. Si può anche concimare sopra luogo con altri animali? - Con quale avvertenza?

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Spesso accade che un terreno argilloso, o sabbioso, poco profondo, abbia un sottosuolo di natura contraria. In questo caso, con lieve spesa; lo si può correggere, a poco a poco, con lavori profondi, i quali intacchino il sottosuolo, e ne portino su, ogni volta, una falda sottile a mischiarsi con lo strato superficiale. 2. Pei terreni argillosi è un correttivo comodo, e di poca spesa, la torrefazione, o bruciamento, dell'argilla stessa. Si taglia la terra a fette, che si dispongono a mucchi vuoti internamente; questi si riempiono di legna, e vi si prolunga il fuoco, moderandolo, e aggiungendo zolle al mucchio, per turare i buchi, da cui esce la fiamma. L'argilla va bruciata umida, perchè si polverizzi facilmente; bruciandola secca, s'indurisce, e fa mattone. La polvere che si ottiene si spande sul terreno, e vi si incorpora senza fatica. Essa lo rende più permeabile, e sano. DOMANDE: 1. Come si può correggere il suolo per mezzo del sottosuolo? 2. Un terreno argilloso come si può correggere da sè? - Che cosa è, e come si eseguisce, la torrefazione?

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Ma badi che un aratro, qualunque forma abbia, deve essere semplice nella sua costruzione; saldo nelle parti che lo compongono; facile al tiro; e obbediente a chi lo guida.

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Suppongo che tu abbia smossa la terra profondamente, rivoltandola bene, rompendone le zolle, ragguagliandone la superficie. Tu avrai così preparato alle piante un'abitazione sana, comoda, e pulita. Suppongo ancora che al magazzino di viveri tu abbia aggiunto concime, per accrescere la fertilità del terreno. Dopo ciò hai seminato. Or bene: per assicurare la buona raccolta, non ti resta più nulla a fare? A questa domanda molti coltivatori rispondono: «più nulla», e lasciano i seminati alla guardia di Dio. Ma tu, che vuoi essere un buon coltivatore, devi rispondere ed operare diversamente. Tu penserai che chi ha fatto il più, deve fare anche il meno, per prevenire i danni che possono colpire la raccolta. Ricorda il proverbio: all'agricoltore trascurato i porci mangiano il seminato. Quindi nell'autunno, e a principio dell'inverno, nei campi seminati sarà tua cura di nettare gli acquai, ossia i solchi che hai aperti, per dare sfogo all'acqua delle pioggie, e delle nevi: altrimenti questa ristagna sul terreno, e fa morire le piante. Nell'inverno la terra gela, e si gonfia; e, a primavera, le pianticelle giovani rimangono quasi scalzate; onde molte si perderebbero, se tu non comprimessi il terreno, per riavvicinarlo alle radici. La terra smossa in breve si assoda; indurita dalla pioggia, fa una crosta spessa, e forte, che minaccia di strozzare le tenere piante, se tu non la rompi con una leggera erpicatura. Giova nell'estate rincalzare la terra attorno al piede di alcune piante, come il granturco, la patata, la barbabietola ecc. E giova, sia per conservar loro un po' di freschezza in tempo secco, sia per difenderle, in tempo piovoso, da soverchio umidore alle radici. 3. Infine c'è da stare in guardia da certi ladri che ti mangiano la raccolta in erba. Questi ladri pericolosi sono le piante cattive che, senza permesso, s'introducono nel tuo campo. Se non vi badi, ti fan più danno che i ladri di due gambe, i quali tentano di rubarti la raccolta, quando è matura. Tu le devi combattere, e sterminare. DOMANDE: 1. Dopo gettate le sementi, non ti resta più nulla a fare, per assicurarti una buona raccolta? 2. Che cosa farai, prima dell'inverno, nei campi seminati? - Come riparerai lo scalzamento delle piante prodotto dal gelo? - Lascierai la crosta dura che s'è fatta intorno ad esse? - Quali piante giova rincalzare nell'estate? 3. Non caccerai le malerbe che infestano i seminati?

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Angiola Maria

207428
Carcano, Giulio 16 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
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Ma fattasi l'ora tarda: « Pensiamo a voi; » disse don Carlo. « Voi siete stanco, rotto dal viaggio; qui nel paese non c'è locanda di sorte, chè altri non vi capita se non qualche vagabondo, o al più due volte l' anno qualcuno che abbia perduta la strada. Se v' accontentate, vi cedo il mio letto; già lo sapete, siete sotto il tetto d'un povero romito.... » Ma negando l'altro in ogni maniera: « Bene, » soggiunse il prete, « il mio Bernardo (è un buon cristiano di questi monti che m'aiuta e mi serve) vi preparerà alla meglio un lettuccio sul canapè ch'è nell'altra stanza. Scusatemi, amico; v' accorgerete stanotte di non essere nelle belle case, e nei buoni letti della vostra Londra. Ora addio, e buona notte! » Arnoldo si coricò; ma alle stanche membra non concede- vano riposo l' ardore e l' inquietudine della mente combattuta da cento pensieri più strani delle larve d'un cattivo sogno. Vegliava dunque, e dopo qualche tempo s' accorgeva che nella stanza vicina il prete era pur desto; poiché la lucerna mandava ancora, per alcune fessure dell'uscio, il sottile suo raggio. Dapprima non gli giungeva all'orecchio nè voce nè respiro; poi intese come il muover lento e grave d'un passo che misurasse chetamente la stanza. Il giovine si traeva sotto le coltri, cercando dormire, ma invano.... Origliava, non fiatava; passò un' ora, ne passò un' altra: e sempre sentiva il prete andare e venire su e giù lentamente per la camera. Tutto ad un tratto lo riscosse uno strepito, come lo scricchiolar d'una seggiola sotto il peso di persona che sopra vi s' abbandoni; in quella, gli parve d'udire un affannoso sospiro, e poi queste parole: - Mio Dio!... dammi forza e costanza!... Allora, vinto da non so che terrore, stava per balzar dal letto, quando s' accòrse che la lucerna era spenta, e che tutto era silenzio. Alla mattina, Arnoldo pensava di chiedere al prete, in nome dell'amicizia, la spiegazione di quel mistero, la causa della preoccupazione grave e dolorosa in cui l'aveva trovato. Nondimeno, quando se lo vide venire incontro, con aspetto serio ma tranquillo, per fargli nuove scuse di quella sua meschina ospitalità, e s'accorse ch'esso troncava ogn'inchiesta, la quale a lui riguardasse, pensò che doveva essere un segreto geloso e profondo, uno di que' segreti che si trema di confidare anche al cuor dell'amico, e tacque. Con involontario turbamento Arnoldo ricevette la lettera che il vicecurato aveva scritta in risposta a quella di Maria. Quando, preso commiato e salito in sella, il giovine ripetè un saluto, il prete gli s'avvicinò, e strettagli forte la destra: « Arnoldo, » disse « voi siete un uomo onesto, e il cuor vostro è buono e generoso. Voi siete abbastanza felice, ma io non ho più nessuno quaggiù!... Il futuro c' incalza e trascina, Dio solamente lo conosce: se dunque a Lui piacesse che non ci avessimo a incontrar più su la terra, e se mai l'avvenire vi menasse di nuovo in quest'Italia, non dimenticate mia madre e mia sorella. Confortate, l'una, proteggete l'alba.... Fortunato voi, se avrete questa consolazione di poter dire: - C'è alcuno. che mi ama e mi bene- dice: - Addio! Arnoldo si sentì commosso fino alle lagrime, ma fattosi forza: « Addio! » rispose « virtuoso amico. State di buon animo; spero che ci rivedremo ben presto. Addio! » E, dato di sprone al cavallo, s'allontanò. Due giorni appresso, la famiglia de' Leslie era partita dalla villa, e Maria aveva abbandonato la natale sua terra. La man della fanciulla aveva tremato nell' aprir la lettera di suo fratello; erano poche linee che dicevano: - « Chi deve avere maggiore pena che tu parta di qui, mia cara Maria, è la nostra buona mamma. S' ella dunque vuol farlo questo sacrifizio, e tu segni la tua volontà. La famiglia, nel cui seno ti ritrovi è raro esempio di nobiltà vera e onesta. Ma non ti scordar mai, sorella, chi tu sia! Conserva il tuo cuore; pensa che un cuore come il tuo è una gemma, la quale, perduta una volta, non si ritrova mai più. lo spero, peraltro, che la tua lontananza non sarà lunga: quando ritornerai,fa di trovare ancora nella tua povera casa, sotto il cielo che il Signore t'ha dato, quegli stessi pensieri e quella stessa vita che ora vi lasci. E se mai temi che non sia per essere così, oh! non abbandonare, te ne scongiuro, la tua povertà e il silenzio dell'oscurità nella quale sei nata. Addio, mia sorella! Che il Signore t'accompagni! « CARLO » Caterina pianse nel leggere questa lettera così semplice, ma non ebbe cuore di stornar la figliuola dalla proposta partenza. Maria mise insieme le sue poche robe; e la mattina, nell'andare dall'una all'altra stanza, le pareva che quell'abbandono le pesasse sul cuore, e quel breve viaggio le fosse imposto come una penitenza. La buona madre anch'essa, venuto il momento di staccarsi dalla sua Maria, sentì un segreto dispiacere, quasi un pentimento d'avere accondisceso all'impensata a quella partenza; e le tornarono in mente le parole che ripeteva un tempo il suo pover uomo, quando la signora contessa volle tenere con sè la fanciulletta: - Verrà un.-giorno che ve ne pentirete, e non vi sarà più rimedio! - Ma non disse nulla, e le cacciò via quelle parole, come un tristo pensiero. Nel tragittare il lago, per raggiungere le carrozze del lord, le quali stavano aspettando su l' opposta riva, Maria non potè nascondere l' angoscia che la stringeva, benché non piangesse. Dilungandosi dalla sponda, guardava la madre sua e la vecchia Maria, che dalla soglia della casa le mandavano ancora baci d'amore; guardava la sua finestretta e la pergola del cortile. E certamente, se non era la presenza del vecchio signore, che quantunque buono e carezzevole con lei, pure la teneva nell' imbarazzo della suggezione, avrebbe lasciato libero sfogo alle lagrime. Elisa, guardandola con mestizia, la compativa; Vittorina l'abbracciava, ripetendole le più liete cose che siensi dette mai, per consolare chi abbandona la prima volta i luoghi a cui una vita serena di molt' anni donò tanta e così vera bellezza. Nel tempo di quel tragitto, un giovane barcaiuolo accompagnava il lento batter del remo nell' acqua cori una semplice canzone del suo paese, su andar della seguente: IL COMMIATO. CANZONE DEL BARCAIUOLO.

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« O Maria, tu sei la creatura più santa ch'io abbia trovata sulla terra! Perchè non vuoi credere al tuo cuore, perchè non a me stesso? Io non ho mentito mai: non temere.... Non mi rispondi? non mi guardi nemmeno? Maria si coperse colle mani il viso. In quel momento rientrarono le due sorelle, tutte festevoli, recando ciascuna un bell' abito di velo trapunto, ch' erano destinati pel ballo del dì appresso. Corsero verso Maria, e le mostrarono que' graziosi vestiti: e mentr' essa gli ammirava, nascondendo il suo turbamento sotto un menzognero sorriso, Arnoldo fissò in lei uno sguardo ardente, uno sguardo che voleva di re tutta la sua speranza d'amore; e come gli parve averlo la fanciulla compreso, s'allontanò. Quel giorno, Maria non fu più veduta, nè all'ora consueta del pranzo, nè a quella del tè. Ella s'era chiusa nella sua camera. Dopo lunghi pensieri e lungo affannarsi, aveva scritto una lettera, come se in quel foglio fosse l'ultimo consiglio della sua povera vita perduta; lo suggellò, e sopra vi mise il nome di suo fratello. Poi, di nascosto, sola e frettolosa, era uscita. Essa volle, non veduta da nessuno, portar quella lettera, quasi temendo che qualunque altro, a cui l'affidasse, avrebbe indovinato ciò che v'era scritto. Attraversò alla ventura due o tre vie, dubitando al volgere d'ogni contrada, tutta paurosa, benchè fosse coperta nel suo velo e quasi nascosta in esso. Più d'una volta pensò d'arrestare qualche passeggiero, perchè le indicasse dov'era la posta delle lettere; ma si pentiva e seguitava innanzi. Alla fine, avvenutasi in un vecchio, che aveva veduto levarsi il cappello, nel passare sotto un'immagine della Madfonna, gli s'accostò, e confusa gli fece la sua domanda; il galantuomo la guardò con un certo atto di maraviglia, poi sorrise e le insegnò la via. Ed ella vi corse quasi volando, e lasciata cadere la lettera nella cassetta della posta, tornò a casa, con più rapido passo e col cuore più tremante di prima.

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Tu non sai nè puoi immaginare quanto bene m' abbia fatto il conoscerti, l'esserti vicino.... » « Oh cosa dice mai? » ardi rispondere allora, con accento languido, la giovinetta. « Non profferisca queste parole! Noi siamo in faccia al Signore, in chiesa. Almeno, abbia compassione di me.... Anche lei ha una religione, anche lei ha bisogno di Dio! » « Ascoltami, Maria! sto per metterti a parte d'un grave segreto; la tua anima pura sarà la prima che lo riceva, la sola che, per ora, possa saperlo. Verrà tempo, e forse non è lontano, che si farà noto a tutti questo mistero, la cui conoscenza adesso sarebbe causa della mia e della tua perdita. » Maria non replicò, ma levando il capo rivolse al giovine un'occhiata, in cui appariva tutta l'angoscia del dubbio e del sospetto. « Io sono cattolico, o Maria, » riprese Arnoldo con voce grave e commossa; « la tua religione è la mia! ho conosciuto errori antichi e fatali, e ormai sento d'esser rinato a una nuova vita. Dio, che t'ha fatta bella come l'anima tua, Egli che ha voluto ch'io ti donassi ogni mio pensiero, ebbe finalmente pietà delle battaglie sofferte dal mio cuore, delle inutili speranze che mi agitarono per tanto tempo! Chi, se non Egli, mandò sul mio cammino, incontro a me, quell'anima forte e credente del fratel tuo? Chi, se non Egli, da tanti anni, mi tormenta con questa smania che provo di riposare in una fede, in una verità, che non mi riuscì di trovare mai in nessuna cosa mortale?... Tu, colla pura affezione dell' anima, hai cominciata l' opera pietosa della mia conversione; tuo fratello, in quel tempo d'una felice e tranquilla amicizia, la indirizzò; un altro giusto, un uomo oscuro e sapiente da me conosciuto in questa stessa città, or fan tre anni, e che adesso mi rivide e m'accolse come un suo figlio perduto, ha persuasa la mia mente, ha vinto e mutato il mio cuore. » Queste parole penetravano fino al fondo l'anima di Maria. Un turbamento sconosciuto, misterioso, la commosse; fissò incerta il giovine, con uno sguardo impossibile a dirsi: egli si tacque, e prostratosi a canto di lei, stette per qualche tempo in mesta meditazione. Poi si levò, e in atto più rispettoso e sicuro ripigliò: « Maria, ora lo vedi: non può essere che io t'abbandoni; ora sai quanto sia grande il bene che m'hai fatto, e conosci che il Signore non vorrà punirmi, se venni qui ad aprirti il mio cuore, se qui, innanzi a Lui, son pronto a giurarti.... » « No! non dica di più! » la fanciulla l'interruppe, sostenuta da un' occulta forza della sua virtù. « Io benedico il Signore, perchè ha esaudita la più viva delle mie preghiere; ma altro non posso fare che questo... No, no da qui innanzi non pensi più a me.... Io sono abbastanza felice! » « Di che parli tu mai? la tua virtù, la tua innocenza meritano ben altro premio, e maggiore di quello ch'io ti posso dare. Ma forse dubiti ancora, pensi che io non ti dica la verità!... Oh credilo, Maria, non potrei mentire con te! la sola cosa che m' affanni, è il dovere aspettar tanto ancora a far palese a tutti la mia conversione. Tu non conosci il mondo e le sue opinioni, più dure d' ogni legge; e io non ne ho mai sentito il peso, come in questo momento: mi è forza tacere e nascondere a tutti, e più che ad ogni altri a mio padre, questo segreto che confidai a te sola. Qual ch'essa sia la mente d'un padre, dev'essere venerata, temuta: e io non avrei la forza adesso di andare incontro a tutto il suo sdegno, e più che allo sdegno, al suo dolore; ma presto verrà il momento propizio per rivelargli ogni cosa.... Tu vedesti, Maria, com'egli pensa, come vive: ma non sai che una risoluzione come la mia è per lui un delitto, una vergogna da non esser perdonata mai più a un uomo; tu non sai ch'egli potrebbe fors'anche arrivare a maledirmi! » « Oh! che dura prova le toccherà di sostenere » rispondeva la fanciulla, con atto pietoso. « Ma Dio le ha fatto conoscere la verità. Egli le donerà anche la sua grazia. » « Se tu lo preghi per me, o Maria, Egli lo farà!... Ma intanto non costringere il tuo cuore a rifiutarmi! » « No, no! sento ch' è impossibile.... Devo abbandonarla, devo tornare presso a mia madre. » « Giammai, giammai!... Consòlati, o Maria, e spera! » In quel mezzo entravano alcuni buoni fedeli. Arnoldo s'allontanò dalla fanciulla, e maravigliando quasi di quel severo senso di rispetto ch' essa, con le sue poche parole, aveva saputo destargli nel cuore, turbato e incerto, uscì della chiesa. Maria restava tuttavia inginocchiata. S'udì il secondo, poi il terzo tocco della campana; il sagrestano ricomparve, e accese le lampade e i ceri dell'altare. Il piccolo tempio, a poco a poco, s'affollò di modesta e buona gente, venuta dalle soffitte, dalle botteghe, dalle cure casalinghe, dal lavoro a ringraziare il Signore; anime contente e semplici, a cui la fede non manca mai, perch'è necessaria alla loro vita, come la fatica delle braccia. Echeggiò la volta della chiesa delle sacre litanie , e il fumo dell' incenso avvolse con l' odorosa sua nube I' altare. Il popolo era d' ogni parte divotamente inginocchiato sul nudo terreno; la sua orazione fu breve e rozza, ma incera; e il sacerdote la benedisse in nome del Signore. Tutti se n' andarono; la chiesa tornò vòta e oscura; e Maria era ancora prostrata in umile, fervida preghiera. L'anima sua, nella pace di quelle sante pareti, abbandonò la memoria de' giorni dolorosi da lei passati, e quella stessa timida e vereconda speranza che faceva l'unico suo bene su questa terra; domandò a Dio di vivere pura e senza rimorso com' era stata fin allora, e nelle sue mani pose la propria vita e tutti gli affanni che a Lui fosse piaciuto di mandarle. Poi disse le sue orazioni della sera, con quell'ardente affetto, con che le ripeteva ne' primi anni della sua fanciullezza; e non dimenticò il nome della madre lontana, nè l'anima benedetta del padre suo. Una fiducia mesta, ma pur soave, e una consolazione che non era di questa terra, furono quasi benefica rugiada al cordoglio della sua vita debole e combattuta; la sollevarono, e la fecero ritornare alla pace della sua mansueta virtù. Quando si rilevò, s'accòrse d'esser sola nella chiesa; e in quella, il sagrestano le s'accostò, per avvertirla che l'ora di chiudere le porte era venuta. - Uscì chetamente, ma appena trovossi in mezzo della via, in quell'ora insolita, e intese il noioso frastono ch' empie le strade al cominciar della notte, smarrita tra l' ombre fitte che le pareva di vedere agitarsi, e tra lo smorto chiarore delle lanterne che tremolava in mezzo alla nebbia, quasi non sapeva a qual parte indirizzarsi. Per buona ventura, la casa non era lontana, e si sforzò di raddoppiare i passi e il coraggio. Ma il giovine amante, che poco lontano l'aspettava, appena la scòrse uscire della chiesa, le si mise dietro a breve distanza, e la accompagnò fino a casa. Nè Maria se n' avvide; tutta ricreata de' suoi nuovi e tranquilli pensieri, e nella sua gioia nascosta, ella confidava di poter essere ancora felice.

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» « Se pensate che sir Arnoldo abbia macchiato il vostro nome, parlatene con lui.... Egli vi saprà rispondere, vi metterà in calma.... Io, per me, non ho altro a dirvi. » « Ch' io parli con lui?... No mai, mai! Una volta avevo pur creduto all'onestà, alla grandezza del suo cuore: povero ingannato ch'io era! Non l'ho cercato, nol vedrò più: la mia coscienza e questo abito stesso, non mi farebbero forse dimenticare ch' io son uomo! Ma.... venni a voi, perchè siete padre e vecchio: pensavo che almeno una parola di giustizia, una lagrima di compassione, non me l' avreste negate. Voi pure mi schernite?... Ma no! non siete voi, è il Signore che volle umiliarmi. S' adempiano i suoi giudizi! » « Adesso parlate come si deve! e mi dispiace di non potere far nulla per voi. Vorreste forse che comandassi a sir Arnoldo Leslie di sposar vostra sorella? il rimedio sarebbe nuovo e opportuno.... » « Non giova che vi pigliate giuoco di me, signore; io nulla domando a voi! Volesse egli anche togliermi la creatura che mio padre m' ha consegnata, vi dichiaro che la vedrei, più volentieri morire, che sposarsi a tal uomo. » « Oh! in ciò siamo d'accordo: vorrei lo stesso anch' io. Una contadina, raccolta per compassione.... Ma, in verità, più ci penso, e più credo che tutto questo sia un vostro sogno; è impossibile che sir Arnoldo.... » « Basta così: io son venuto per condur via da questa casa infelice, e nessuno me lo può vietare!... Il pane, ch'essa ha mangiato nella vostra famiglia, lo piangerà per tutta la vita a lagrime cocenti: così il cielo perdoni a voi la vostra durezza, come a lei la sua colpa! Di ciò solo vi prego, che vogliate dire a vostro figlio, ch'egli ci ha rapito tutto, e ch'io gli ho perdonato! Si, lo sappia, ma si guardi bene dal cercar me, dal cercare la sua vittima; essa è morta per lui! Che se così non fosse, guai a lui e a me! forse non sarei più quello che sono adesso, e il tradimento potrebbe fruttare la vendetta! » Benchè lord Leslie avesse dato orecchio alle parole del prete con fredd' alterigia e con l' ironia d' un esteriore disprezzo, pure il tremito involontario delle sue labbra, e l'attenzione delle pupille sotto le ciglia ristrette torvamente, dimostravano l'interno sdegno. Mentre il vicecurato parlò, anche la fronte del superbo Inglese si fece scura; e chi avesse potuto leggere nell' animo suo avrebbe conosciuto che cento diversi e rapidi sospetti gli passavano innanzi, come nuvole sinistre. - Possibile, domandò a sè stesso, che mio figlio si sia perduto in un amore così indegno di lui? Eh via, sarà stato il solletico d'un momento, e forse tra sè ne ride a quest'ora.... Ma se veramente avesse perduto il senno, se avesse promesso di sposarla.... Che importa? son promesse che legano come giuramenti d' ubbriaco! Pure, Arnoldo non posso credere che Arnoldo.... Egli, che s'era fatto circospetto e severo, egli che sapeva d' avere a dar ragione a un fratello così sdegnoso e audace.... È impossibile! O fu un giuoco da parte sua, o una strana seduzione della fanciulla. Ma in ogni modo, il miglior partito è ch'essa vada subito al suo malanno, e che noi torniamo in patria.... Sì, sì, è tempo, e sia. Il momento è buono, l'orizzonte po- litico si rischiara per noi, e l'ora di far qualche cosa è venuta; bisogna che sir Arnoldo esca in iscena una volta.... altro che perdersi dietro a sogni puerili. - Eran questi press'a poco i pensieri che volgeva in mente il vecchio signore, all' udire i lamenti di don Carlo. Ma intanto, qual' era l' agitazione della compassionevole Elisa?... Ella si teneva cara Maria, e da qualche tempo, turbata da un sospetto della benevolenza d'Arnoldo per lei, la vedeva soffrire, senza poter confortarla. Sentì dunque stringersi il cuore, impallidì, quando intese le parole del prete, quando vide due lagrime agghiacciate su le ardenti sue guance, e pensò all'avvenire infelicissimo di Maria: più d'una volta volle gettarsi a' piedi del padre, pregarlo di non disprezzare la sventura, di perdonare a un' ira giusta: ma l'interno terrore la contenne, e rimase muta e sbigottita, testimonio innocente di quella scena. « Or via, » riprese il lord alzandosi, « andate, andate, e conducete con voi vostra sorella.... Ch'io più non la vegga. e sopratutto che sir Arnoldo non ne sappia nulla! Diceste anche troppo, mi pare, e la mia pazienza.... » « Non temete, signore. Noi lasciamo questa casa, senza maledirla; noi andiamo a nascondere nella solitudine la nostra disgrazia, a cercare alla misericordia di Colui, che ha in mano il passato e l'avvenire, il perdono del male che qui ci fu fatto! Così, e premendo la destra sul cuore, in cui il dolore e lo sdegno si facevano guerra ancora, levò al cielo, con sublime rassegnazione, gli occhi; poi chinandoli di nuovo, li rivolse senza senso all' intorno, e si mosse per uscire. « Aspettate, se vi piace, » soggiunse il lord, richiamandolo d'un cenno. « Ricevete questo piccolo compenso che vi offro, e scordatevi per sempre di noi! » E così dicendo, trasse fuori dalla cassetta della tavola una borsa, e gliela mise innanzi. Il vicecurato, alla vista di quell' oro, arse di rossore, poi divenne smorto, e sentì scorrere tutto il sangue al cuore: « Ripigliate il vostro danaro! L'oro può pagare l'infamia, non comprare la dimenticanza di quello ch' è stato! Voi potete disonorarmi per sempre; farmi vile mai! Che questa viltà ricada sul capo vostro, o piuttosto.... che Dio abbia compassione di voi! » Il prete era uscito, e lord Leslie l' accompagnava con un' occhiata indifferente, e con un sorriso sardonico; poi quando la porta fu richiusa, tentennò il capo e susurrò - Non so come durassi a star cheto con quell' uomo ardito e superbo. E, tutto pensato, mi persuado sempre più che la cosa non sia vera, o non sia com' egli dice. Bisogna che mio figlio mi scopra.... Si cerchi subito di lui: intanto è meglio partire prima che avvenga peggio.... - Poi, rivolto a Elisa: « Lascio a te di disporre che tutto sia preparato per la nostra partenza fra pochi giorni: torneremo a Londra; è il tempo delle elezioni, la stagione delle brighe; è necessario non perder terreno. Dunque, hai inteso. Ma, per ora, non farne parola con alcuno.... Voglio così. » Intanto don Carlo, chiesto a un servo dove fosse la camera di Maria, entrava in quella. La fanciulla, al vederlo così d' improvviso, proruppe in un grido soffocato; era un grido di gioia vera, ma repressa da occulto terrore. E balzò per corrergli incontro, per gittarsi nelle sue braccia; ma egli, ritraendosi d'un passo, volse la testa e stese risoluto la destra, quasi per respingerla dal seno. Allora l' infelice si lasciò cadere sopra una seggiola, e nascondendosi il viso cominciò a singhiozzare. Il fratello la guardava e taceva. « Gran Dio! dunque è vero?... » proruppe egli, dopo un momento; e le s' avvicinò, le prese affettuosamente la mano, e fissando sovr' essa un compassionevole sguardo: « Maria! che cos' avete mai fatto?... Noi siamo stati incauti, è vero, ma voi, voi siete perduta per sempre!... Abbandoniamo questa casa disgraziata; oh così non v' aveste mai messo piede! Non piangete, è tardi, è inutile!... venite, venite con me! Che vostra madre almeno non sappia mai quel ch' è succeduto, ch' ella possa almeno morire in pace!... Perché tremate?... perchè mi guardate così?... « Oh come parlate, Carlo? non sono forse più vostra sorella? » « Sì! lo siete ancora; se non fosse per questo verrei a cercarvi? » rispondeva il prete, con amarezza. « Ah! perchè non vi siete ricordata di me, quand' era tempo!... Io v'amo anche adesso, perchè siete infelice, e voi.... Oh sì , piangete pure, e sperate che il Signore avrà misericordia di voi.... » « Oh mio Dio! » rispose con debole voce la fanciulla. « Io sono innocente, ve lo giuro, sono innocente!... Ah, conducetemi, conducetemi da mia madre! » « Sì?.. tu lo dici?... Ah ripetimi che sei ancora virtuosa e pura, ripetilo, perché ho di crederlo!... dimmi ch' è proprio vero!... » « Si, Carlo, sono innocente, ne chiamo in testimonio l' anima di nostro padre. » « Dio, te ne ringrazio » La sua fronte si serenò, e un lampo d' indicibile gioia gli balenò negli occhi. Allora la sollevò pietosamente, e con la destra abbracciandole la persona, spinto dal grande affetto, la baciò sulla fronte, e: « Vieni, » le disse con forza, « finchè il cielo ti permette d'uscir di qui ancora onesta! Ritorniamo all'asilo della nostra montagna, alla nostra povera casa. Tua madre t' abbraccerà, con quanta contentezza! e potrai ritrovare presso di lei la tua consolazione, e non l'abbandonerai più. Vieni, o mia povera sorella! tu non eri fatta per il romore della città, per i vizi del bel mondo, per i piaceri d' un giorno di questi giovani eroi!... non te ne rammaricare, ma benedici il tuo buon angelo, che a tempo ti salva!... Pochi dì ancora, e il tuo cuore sicuro e perdonato racquisterà la pace di prima; pochi dì ancora, e questi sogni, che hanno turbata la tua vita e i tuoi verecondi pensieri, saranno svaniti. Non teme; no, di soffrire! ma scaccia dall' anima un amore che t' avrebbe renduta per sempre infelice.... Credilo a me! il dolore nasce accanto al piacere, e dove adesso più si gode, è là che un' ora dopo si piangerà più forte.... Oh! diamo col cuor sereno un addio a questi luoghi d' amara ricordanza.... alla miseria di queste gioie, alla voluttà di questi vili trionfi! un addio alle lucide pompe della città, a' suoi canti notturni, alle sue superbe case, alle sue povere officine, un addio a chi tripudia e s'inebbria, un addio, una lagrima a chi si martira e piange! » Racconsolata da queste amorose parole, la giovinetta sollevò le pupille, e riguardando il fratello, con una viva confidenza espressa nel viso, con tenere parole di gratitudine, parole di soavità non terrena, ma celeste, « Oh verrò con te, » gli rispose « verrò con te, o Carlo, che m'hai vata!... quando ti scrissi quella lettera, fu un' ispirazione del cielo! O mio fratello, mio padre, guidami tu! Fa che io riveda presto nostra madre, ch' io possa posare la mia testa sul suo seno, stare con lei sempre, sempre!... » Così alternando parole e lagrime, Maria fece un involto del poco ch' era suo; benchè le fosse amaro di partire, senza dar un ultimo saluto alle due buone giovinette, pure non fece motto, e seguitò i passi del fratello. Ma, innanzi abbandonare la stanza bella e modesta, dov' essa aveva per la prima volta sognata la speranza e l'amore, non potè a meno di volgere ancora un mesto sguardo a quelle care pareti, a quegli arredi, a quei pochi libri che lasciava sopra la tavola.... L' addio della fanciulla non fu che un profondo e doloroso sospiro; ma con esso Maria accompagnava una muta preghiera dell' anima, una preghiera per l' uomo che le aveva per sempre rapito la pace.

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Essa leggeva, e l' incerto raggio del lume che ardevale vicino, sembrava quasi circondare la sua candida fronte di quell' aureola, che si suol vedere dipinta intorno alle teste de' santi. » Non si turbi dunque il tuo cuore, e non abbia paura. » Abbi fede in me, e nella mia misericordia ti fida. » Quando tu pensi d'essermi più lontano, allora è spesse tolte ch' io ti son più vicino. » Quando tu credi quasi perduta ogni cosa, allora le più volte tu hai in mano maggior materia di merito. » Non è tutto gittato, perchè alcuna cosa ti sia avvenuta sinistramente. » Non dêi tu giudicar delle cose secondo il presente tuo sentimento; nè per alcuna disavventura, onde che ella ti avvenga, scorarti tanto perdutamente, nè in modo riceverla, come se ogni speranza ti fosse tolta di dovertene rilevare mai più. » Non volerti credere derelitto del tutto, se per alcun tempo io ti mandi alcuna tribolazione, oppure io ti ritolga la bramata consolazione; essendo che per tal via si va al regno de cieli.... » Quello che ti ho dato, il mi posso ritogliere, e rendertelo quando mi piaccia. » Quando alcuna cosa ti do, ella è mia; quando me la riprendo, non prendo del tuo; poichè mio è ogni bene e ogni dono perfetto. » Se io ti lascio venire gravezza alcuna o avversità, non isdegnartene, nè cader di animo; io posso rilevartene prestamente, e cambiarti in gaudio ogni noia. » Ma non pertanto io son giusto, e da commendare altamente, quando io fo questo con te!... » La fanciulla leggeva queste schiette e sublimi parole con tanta verità e dolcezza, che parvero alle due donne un consiglio venuto dal cielo. « Mamma! » disse allora Maria, « il libretto che vedete è un dono che m' ha fatto, da poco tempo, il nostro Carlo! E queste parole mi sembrare quasi le sue.... mi ricordo che fu lui che me le fece leggere un giorno, quando venne lassù a visitarci, dopo la morte di nostro padre. E ogni volta che ne rileggo solo una pagina, non so come, mi sento più coraggiosa, più in pace.... Oh! è buono, è un' anima santa, il nostro Carlo, e il Signore avrà pietà di lui e di noi! Caterina abbracciò sua figlia con tenerezza, poi si staccò da lei, per andare a coricarsi. La fanciulla, rimasta sola, riaperse a caso il libro, e le cadde sott' occhio un foglietto, di mano del fratello, e forse dimenticato là entro: eran gli ultimi versi ch' egli aveva scritti. IL CALICE DEL DOLORE.

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Sono sei o sette fanciulle vispe, sollazzevoli, accorte una più dell'altra, che, tra l'agucchiare e il ricamare, lasciano scappar certe loro rapide e loquaci occhiate verso l'entrata; poi sorridendo e guardandosi di nascosto, danno di gomito alla vicina, quando alcuna, arrossendo d'improvviso, abbassi il capo sul lavoro; sia che con la coda dell' occhio abbia veduto passare lungo la via il suo giovine innamorato, o sentito il picchiar del suo bastone su lo scalino della bottega, o distinto, fra il continuo strepito del di fuori, il noto zufolare della sua arietta. Una sola di quelle fanciulle se ne stava modesta e silenziosa, tutta intenta al collaretto già mezzo ricamato che teneva fra le dita; e mentre le testoline irrequiete delle gaie compagne si volgevano di qua, di là, a ogni momento, ne' più leggiadri e furbetti modi, quell'una s' inchinava in atto tranquillo e pensoso, quasi fosse straniera al sommesso cicaleccio dell' altre, a quel sì frequente scoppiar di risa mal trattenute. Se non che gli occhi talvolta riposava, come incantati, sul suo gentile ricamo; allora essa non cuciva più, e la mano che teneva l' ago, posava oziosa su le ginocchia. Bensì, di tanto in tanto, le compagne le dicevano qualche lieta parola, o le facevano qualche malignuzza domanda; ma essa non rispondeva che sollevando i suoi begli occhi, aprendo appena le labbra a un leggero sorriso. E certo le amiche non le avrebbero perdonato questa sua maliconica ritrosia; ma sapevano tutte, che alla poverina non restava più né padre, né madre; e che non aveva saputo ancora trovarsi un innamorato: però la compativano, e la chiamavano Maria la novizia. « Senti, Ghita! » diceva alla sua vicina con segreto susurrio la più tristarella di quel gruppo, una piccola brunetta, con un par d' occhi di fuoco, e le guance paffutelle e colorite come lo spicchio di una melagrana; « senti, ma non dirlo nemmeno all' aria, per carità! è un pezzo che volevo parlarti di una cosa.... perché, devi sapere che sono stufa di non aver nessuno che guardi a me. Tu, Ghita, e Rosina e Stella, l'avete pure il vostro amoroso; e me, non c' è anima che mi cerchi.... » Rideva la Ghita a questa sincera, confessione, e : « Cosa vuoi che ti faccia io? » rispondeva pur sotto voce.... E l'altra: « St! st! ché la maestra ne fa gli occhiacci, ché par quasi ci voglia mangiare. » Pure, di a poco, si chinò ancora all' orecchio della compagna, e ripigliò « Dunque.... tu sei felice, Ghita! tu che la sera; appena fuori di qui, trovi l' Eugenio, lì su' due piedi, che t'aspetta; subito gli dai di braccio, e ve n'andate in santa pace; ma io.... » « Tu sei ancora una ragazzina, Luisa, » rispondeva l'amica: « hai quindici anni appena, e non è più di tre mesi che sei qui con noi. » « Cos' importa mai? se son giovine, tanto meglio! Credo poi di non esser così brutta che m'abbiano a metter in un canto come un cencio; e non sono poi nè smorta come la Maria, nè losca come quella superba di Carlotta.... » « Abbi un po' di pazienza, che la capiterà presto anche per te la fortuna; se non è venuta, vuol dire che non è la tua ora. » « E io sento in vece che l' ora è questa.... Ma ascolta una buona volta, che piacere tu m' hai a fare.... » « Gran segreti fra la Luisa e la Ghita! » disse allora battendo sul tombolo la spoletta del suo ricamo, la Carlotta, che sedeva in faccia a loro. « Niente del tutto! E poi, che ne vuole saper lei, signora pretendente?... » rispose la prima, indispettita. « Oh! oh! come la ti fuma subito! non si può dirti nulla! » soggiunse Stella, la sua vicina. « Lasciatemi un po' stare, » replicò Luisa più corrucciata; e in quella piccola ira, alzava con isgarbo le sue tonde spallucce: le compagne le guardavano di sottecchi, sogghignavan fra loro. « E voglio dire e fare quel che mi piace, » riprese poi, cogliendo il buon punto, che la maestra dai suo banco stava mostrando ad una merciaia del vicinato certi fazzoletti di mussolino. « E se voi altre non mi lascerete stare, ve ne dirò tante da farvi diventar rosse di vergogna, dalla prima all'ultima, da da farvi scappare!... » Tutte ridevano; Maria soltanto, in aria di dolce compassione, levò gli occhi sopra di Luisa; ma costei, ostinata nel suo capriccio, si trasse con la seggioletta più vicino alla fedele Ghita, e continuò: « Ascoltami tu , che sei buona voglio proprio dirti tutto, a marcio dispetto di queste male grazie. Sappi dunque, che stamane ho veduto passare di qui, più di due e tre volte, il tuo Eugenio, in compagnia d'un altro: quest'altro non lo conosco, ma mi ricordo d'averlo veduto, dev' esser suo amico.... Bene, questo bel giovine, perchè è un bel giovine, sai?... mi pareva che mi guardasse ne.... oh anzi, ne son certa! E se tu fossi capace stasera di domandargli, all' Eugenio, chi sia quel suo amico.... Oh! ti vorrei far mille baci. Senti, mi dice il cuore che questo giovine passi di qui proprio per me. È di bella statura, ha una fisonomia così cara, ha certi baffetti biondi.... e poi, un bel fare.... Oh! è sicuro un signore, e muoio della voglia di sapere se è per me.... se è lui.... Oh cara Ghita, lo farai a me questo piacere, di', lo farai?... » « Sì, sì, ma se poi non fosse che uno scaldarti la testa!... » « Oh Ghita! tu non gli hai dato mente, perché guardi sempre il tuo Eugenio; ma io.... Sai? è perchè mia nonna, non contenta di recitare tutto il dì la corona, chè in fine non è lei che m' ha fatto, non vuole mai lasciarmi andar sola per le vie, e manda sempre ad accompagnarmi, innanzi e indietro, quello stupido del mio fratello minore, che fa il copista da un avvocato; se non fosse così, oh me la spasserei bene alle spalle di queste cattive, che adesso ridono di me! Quel bel giovine, che tu sai, m'avrebbe già parlato, e vorrei farne crepar molte dall' invidia.... Oh sì vedi, perchè non son degni di stargli a confronto nè il Colombo, quel malcreato che fa all' amore con la Carlotta, nè il signor Antonio che parla alla Rosalia, e che avrà i suoi buoni cinquant' anni.... No, no, io nol vorrei cambiare il mio amoroso, nè col Pietro della Clarina, proprio degno di lei, un giovine di bottega; nè col contino pitocco di cui si vanta tanto la Stella, nemmeno quasi col tuo Eugenio; sebbene, bisogna dirlo, Eugenio li valga tutti insieme. E io, credilo, io sarò sempre la tua vera amica.... » « Senti, Luisa; » rispondeva la Ghita a quell' inquieto cicaleccio: « di malizie n' hai da vendere, ma tant' è, io ti voglio bene, perchè sei sincera; e gli domanderò.... » « Oh! la è lunga stasera!... » diceva una; e le altre: « Già, lei è sempre la disturbatrice! » « Qualche gran mistero! » « Eh lo sapremo anche noi la Ghita, ne lo dirà. » « Sei pur buona tu, Ghita, a darle ascolto. » « Che si faccia sposa la Luisa? oh, oh!. » « E chi volete che la prenda?... » Queste amare baie ferivano il cuore della Luisa, che girò una lenta e torva occhiata su le compagne. E voleva rispondere, ribatter quelle parole nemiche con più acerbi rimbrotti; ma arrossiva, e le sue mani tremavano: allora, lasciando cadere il collaretto increspato, a cui avrebbe dovuto lavorare, appoggiò stizzita la sua piccola testa su la tavola, e ruppe in un improvviso scoppio di pianto. Maria, che sola era stata sempre silenziosa, sentì pietà della Luisa; e quando questa, non trovando più armi contro la sorda guerra delle pazzerelle amiche, finì a rispondere col pianto, ella s' alzò, le si fece accosto, le strinse con affetto una mano; indi, rivolta alle compagne: « Via, » disse « siate buone! non vedete che vi riuscì di farla piangere? sareste mo contente d' esser ne' suoi panni?... E poi, cosa v' ha fatto mai, poverina? Su dunque lasciatela in pace, e fate vedere che avete buon cuore. E tu, Luisa, non pian- gere! ti vogliamo bene tutte, vedi! è stata una burla; non abbilo per male, o pensa piuttosto che non c'è rosa senza spine, e che tu sei ancora felice di non aver altri guai! No, tu non conosci che si ha a sopportare a questo mondo di ben più grandi travagli! » Ma la buona intenzione di Maria, e le sue miti parole fecero peggio; perchè le fanciulle, dispettose dal sentirsi ammonire da una che poco amavano: « Vedi! » bisbigliarono fra loro, « vedi un po' questa, che vuol far la dottoressa! « E perchè se n' impiccia lei adesso?» « Eh la santarella! sentitela, che fa la dottrina cristiana.... » « Taci, taci, Maria; si conta di belle cose anche di te, e non ci far parlare. » Così la tempesta, che prima minacciava la Luisa, scoppiò invece su la buona Maria; la quale mortificata essa pure, tornava mutola a sedere. Ed essendo in quel punto la crestaia scomparsa dietro l' uscio interno della bottega, per salir alle sue stanze di sopra, quelle mordaci cervelline non si tennero più, e si voltaron tutte contro di Maria. In quella, s' intese il battere delle otto. Allora fu un cinguettio, uno scoppiar di risa e di scherzi, un coro di vocine stridule e gaje, una furia di smettere i lavori alla rinfusa, di gettar su la tavola guancialetti, spole, cuffie disfatte, ricami su' disegni incartocciati, cesoje, ditali. E ciascuna delle fanciulle correva a pigliare il suo cappellino di seta e lo scialle a scacchi o a quadretti, e tutte in una volta assediavano la povera Maria, che sola fra tutte era rimasta al lavoro. Pareva quel confuso cicalio che fanno le passerette d'una colombaja, sul vespro d'un bel dì d'estate. Diceva una: « Senti, Maria! tu, in fondo, non sei una cattiva pasta di ragazza, ma vuoi far la gatta morta, e non ti sta bene. E l'altra: « Non le guardate, è marcia invidia che la fa parlare. » E una terza: « No, no; scommetto che sa fare anche lei il fatto suo, e voi la chiamate la novizia! andate là, povere sciocche!... » Chi diceva così era la Carlotta, la più sguajatella e la più brutta, alla quale tutte si strinsero intorno, pressandola con cento interrogazioni. « Ah sì, dici? anche lei, con quella faccia compunta? Ma contane dunque qualcosetta, se ne sai! » « Ah! ah! son proprio contenta: non l'avrei mai creduto; e come?... e dove?... » « Sì, dilla su, com'è stata? dunque l' ha avuto anche lei il suo bello, eh? altro che prediche, che amor del prossimo! » «Ah! l' ha avuto anche lei l'amoroso? lui l'avrà piantata, e per questo arrabbia che noi ce lo teniamo!... conta, conta su! » « Ma io non so altro.... ma non posso dire.... E poi, io nol fo per vendetta, perchè le voglio bene alla Maria.... » Così, ma inutilmente, rispondeva la maligna Carlotta, mentre tutte eranle dintorno, e chi per un braccio la pigliava, e chi le scoteva un lembo dello scialle, e chi le tirava i nastri del cappellino: pareva giocassero a gatta cieca. Maria rivolse alle compagne uno sguardo, in cui appariva più la preghiera che il compatimento; ma quelle continuavano a ridere, a chiacchierare con gran bisbiglio, nè vi fu che la Luisa, la quale, forse per gratitudine, fattasele vicina, le disse all' orecchio: « Buona Maria, scusami se tutto è per cagion mia! » E le diede un bacio di cuore. Certamente, il giuoco avrebbe preso mala piega, se in quel punto non ricompariva la crestaja. La quale, veduta quella confusione, e intesa quella strana armonia di risa e di voci, si fermò nel bel mezzo della bottega, e girando un' occhiata lunga e severa sul crocchietto delle inquieta alunne, che alla sua presenza s'erano ricomposte in silenzio, umili, quatte e stupite, fece loro tal solenne gridata, che da un pezzo non avevano toccata la compagna; e con questa le congedò una dopo l'altra, ch' esse non vedevano l'ora d'andarsene. La piccola Luisa fu l'ultima: le convenne aspettare caro suo fratello; e n' aveva tanto corruccio che dispettosa batteva i piedi. Ma appena lo vide mettere il capo dentro la porta invetriata della bottega, strisciò una goffa riverenza alla maestra crestaja, e subito scappò via, come un uccello. Chi avesse avuto il capriccio dì tener dietro a quelle

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È possibile che mio padre, mio padre m' abbia maledetto?... Dio! sostieni l' anima mia, dammi la virtù di soffrire, o ch' io mi perdo!... - E gli uomini?... essi che non credono e non vivono che per il fatto, eterni schernitori d'ogni entusiasmo, d'ogni sacrifizio, d'ogni patimento dell'anima, mi volgono le spalle, mi tengono a vile, mi chiamano stolido, fors' anche infame!... No, no io fui, e sono più forte di voi tutti! Sia ciò che vuole, la voce della coscienza, la necessità dell' avvenire, l' infinito desiderio della, verità, gridali più alto di voi; io vi disprezzo. Ho ben già fatto anche di più; a questa immensa speranza della verità ho sacrificato la canizie di mio padre, il pianto delle mie sorelle, il mio nome, la gloria e gli agi che il mondo m' aveva promesso, tutto, la fede stessa della mia famiglia!... Pure, per gli altri, sono un uomo fiacco, uno spirito vile, un imbecille. E qual è la mia colpa? Quella d'aver osato confessare apertamente, in faccia a tutti, di credere!... A che mi valse dunque la lotta lunga, penosa del dubbio? E se fu un martirio, perchè non ne ho io trion- fato ancora?... Io sono cattolico! l ' ho detto, e i miei amici risero; ho creduto alla verità che m' insegnarono la semplice eloquenza d'un santo, l'amicizia d'un angelo; ed essi risero!... Oh sento un' angoscia che, quasi mi fa maledir l' intelletto, e sospirar di finire! - Io aveva tanto bisogno di riposo, eppure sento che nel mio cuore dura ancora una fiera guerra. Se ritorno coll'anima su la vita passata, mi ricordo che a quindici anni io contava già degli amari giorni; che talvolta io veniva meno sotto il peso della noia, e tal' altra la mia mente perdevasi nell' infinito. Ma almeno, allora io poteva piangere.... Oh perchè la povera mia madre mi fu tolta così presto! avrei vissuto dell' amor suo, dell' amor suo, unica virtù di tutta la mia vita! E conce mai mio padre fu sempre così avido di grandezze, e io così indifferente a ciò che si chiama gloria e fortuna ... Se una passione cieca, violenta, m'avesse trascinato, come tant' altri che vidi e conobbi, sarei stato più infelice che adesso non sia. Io non so quale condanna mi s' aggravi sul capo, ma so che ho sofferto, ho veduto piangere e soffrire que' pochi che mi amarono.... No, no! è meglio ch' io discacci questi dolorosi pensieri.... E tornava a passeggiare, e l'anima cupa gli si leggeva su la fronte sdegnosa; più concitati erano i suoi passi, e gli occhi torbidi, irrequieti, segno della tempesta che dentro sopportava. Alla fine rimase per qualche tempo immobile, come se i suoi pensieri tacessero, poi si gettò sopra una seggioia, abbandonò gravemente il capo fra le mani, appoggiandosi alla tavola presso il camino; e di nuovo s' immerse nelle sue scure fantasie. - È impossibile! il mio cuore non ha più che quest' ultima illusione. La buona fanciulla, l'unica ch' io abbia amato coll'anima mia, l'unica che non abbia ardito confidare il suo al mio affetto, e che pure mi amò, anch' essa m'abbandona, non è più qui! Dunque non la vedrò più? E io sperava di trovar vicino a lei una pace che per breve tempo ho pur gustata, in que' pochi giorni fuggitivi, i soli giorni che con dolcezza io richiami!... - Buona e povera Maria! anche tu hai sopportato molto dolore; pure fosti meno sventurata di me. Non sono io sulla terra solo, al pari di te? Ma tu vivi ancora la tua vita pura e tranquilla, non hai il cuore turbato dalle tempeste che agitano il mio; l'affanno t'ha oppressa, ma le tue lagrime sono silenziose e care, sono lagrime di virtù e di rassegnazione: io invece non posso piangere, e se piangessi, non avrei lagrime di conforto, ma di disperazione!... Oh le mie notti! le ore terribili della notte, così gravi e mute, così piene di fantasmi! È allora che la mente va farneticando nelle tenebre, che l'anima si dibatte, come in un mare senza confini. Tenebre dappertutto, nel dì e nella notte, su la terra e nel cielo, tenebre il passato e l' avvenire, la vita e la morte.... O Signora, questa è la fede che m'hai data?... Eppure, io credeva!... e quando pregai d' esser ricevuto nel grembo della tua Chiesa, allora il mio cuore era sincero, era sicuro e forte. Oh! come allora, ponmi al fianco, o Signore, alcuno che mi ami, e mi ricordi sempre che questa fede non è un sogno dell' anima, ma la vera, l' unica consolazione della vita. - Che sarà mai intanto di Maria, di quell' innocente creatura, la quale per l'amor mio è fatta infelice? Io devo cercarla, ridonarle la pace che le ho tolta; e, quantunque non possa più restituirle nè madre nè fratello, saprò almeno, se il cielo consente, e s' ella mi crede ancora, tenere il mio giuramento. E Dio, che l' ha benedetta, benedirà me pure. Di lì a poco, alcuno bussò leggermente all'uscio della stanza. Era un giovine di bell'aspetto e di modi cortesi, un tale che noi conosciamo da poco in qua; era Eugenio, l'amico della graziosa alunna crestaja. Com'egli avesse fatta la conoscenza d'Arnoldo Leslie, e perchè si fossero poi legati d' amicizia, ve lo dirò adesso, se vi piace. Il giovine inglese era tornato in Italia, due mesi innanzi, nell'ottobre; e, come ben lo pensate, col disegno di andare in traccia di Maria, cita a lui stava sempre nel cuore era stato il primo amor suo, il solo anello che ancora lo attaccasse alla vita. Attraversata Francia e Svizzera, poi venuto a Como, s'era fatto tragittare senza indugio al paesello di Maria. La prima gioia che gustasse, dopo tanto tempo, fu al salutare la bella riva, e quella conosciuta e amata dimora: pensava di trovar colà, nella loro pace di prima, Maria e sua madre.... Balzò dalla barca, cercò impaziente con gli occhi la casetta; vide le finestre tutte chiuse; solo semiaperta un' imposta della porticella di strada, e, seduta a capo degli scalini, la vecchia Marta. Essa lo riconobbe; ma quando a lei disse il proprio nome, « Oh santissima Vergine! » esclamò: « che cosa viene a far qui adesso lei? Non sa che non c'è più nessuno? non sa che sono tutti morti?... cioè, la Caterina e don Carlo.... e che di Maria non s' è avuta più nuova nè ambasciata, dopo quella gran disgrazia?... » Arnoldo non ebbe l'animo di chieder di più. Ma il giorno seguente, tornò muto e lento a quella casa deserta; rivide Marta, e domandò e seppe la breve storia della sventurata famiglia, o almeno quel tanto che n' era noto alla vecchia; e pianse con lei. Di là poi s' era recato a Milano. Presentatosi con note commendatizie alla casa di commercio nella quale Eugenio trascinava il suo meschino noviziato, egli s'avvenne in questo giovine, che gli sembrò dabbene e sincero; e com'ebbe in più d'una congiuntura a trattare con lui, quando andava a riscuotere qualche somma di suo credito (perché, per buona o cattiva fortuna, a questo mondo non si vive soltanto d'amore e di fantasie); così non di rado accadeva che se ne tornassero in compagnia, senza essere per questo i più grandi amici del mondo. Arnoldo, d'altro non sollecito che di conoscere la sorte di Maria, aveva inutilmente tentato ogni mezzo di scoprirne traccia. Solitario per costume, divenuto poi più diffidente, non volle aprire a nessuno l'animo suo; ma visse ritirato e malinconico, nell'albergo poco noto, dove aveva preso stanza, e dove altri non capitava a visitarlo fuor d'Eugenio; il quale talvolta, e quasi per forza, lo trascinava seco a diporto, per guarirlo da quella sua cupa tristezza, dicendogli che lo spleen l'avrebbe presto fatto finir tisico. Per questo, Eugenio non conduceva l'amico nè lungo le monotone strade di circonvallazione, nè sotto i castagni già brulli e nudi delle nostre solitarie mura, ma se lo traeva dietro per le corsie più liete e frequenti di popolo; e tenendosi al braccio del compagno, sapeva, in quelle passeggiate, trovar fuori l'ora opportuna di venire verso la nota bottega, dove sedeva a ridere e a lavorare la sua Ghita; e costei ne lo ringraziava con una lunga occhiata, con un sorriso. Ma una volta fra l'altre, mentre al solito passavano appunto appresso l'entrata della bottega, Arnoldo a caso rivolse gli occhi da quella parte, e vide, o gli parve vedere, seduta, occupata al ricamo, vicina alla vetriera della porta, la sua Maria.... Si fermò, la riguardò ancora.... era ben dessa. Poco mancò non gli sfuggisse un grido di gioia improvvisa: ma la fanciulla non s'era distratta dal lavorio, non lo aveva riconosciuto. Egli allora, sforzandosi di parer indifferente, chiese all'amico se fosse stato mai in quella bot- tega; ed Eugenio, pensando che l'altro avesse indovinato il suo segreto, lo guardò sogghignando , e rispose che sì; poi, da buon figliuolo com' era, gli confidò il suo amoretto con la Ghita. Arnoldo l'aveva appena ascoltato; pieno l' animo del contento d'aver riveduta Maria, abbandonavasi alla soavità dell'antico affetto, alla voluttà della speranza adempita. Il suo volto s'era fatto sereno, il suo cuore leggiero e aperto; parlò e rise, ond' Eugenio ne strabiliò, pensò fosse effetto della sua medicina, di darsi un po' di bel tempo; e poco stette che non lo consigliasse allora da bravo amico, a far come lui, e pigliarsi dett' e fatto una bell'amorosa, gaia, alla buona, che certamente gli avrebbe cacciata di dosso lamattana. Ma si pentì, e restò intraddue; quando, prima che si lasciassero, Arnoldo gli strinse forte una mano, dicendogli serio: « Ho un servigio a chiedervi: venite domattina da me; devo confidare al vostro onore una cosa che mi preme. » « Ben fortunato di potervi servire, ». gli aveva risposto Eugenio; « di me potete vivere sicuro; vi stimo troppo, e.... » non finì il complimento, e se n'andò pensando: - Che cosa vorrà mai quest' originale? O ch'egli è matto, o ch' io non ci vedo. La mattina vegnente, non mancò all' ora data; e Arnoldo, con gran mistero, gli scoperse la promessa con che s'era legato alla nostra fanciulla; che per lei soltanto aveva riveduta l' Italia, e che dopo molte vane ricerche, il caso gliela aveva fatta incontrare nella modesta bottega d' una mercantessa; in quella bottega appunto, a cui eran passati dinanzi il giorno prima in compagnia. Eugenio maravigliò e rise, ché gli pareva un sogno; una l'altro prese sul serio la cosa, e fattogli giurare di non dir nulla, volle promessa ch' egli tenterebbe di tutto per dargli modo di parlare alla giovine Maria. Eugenio disse non istimar l'affare molto scabroso; e, prima di sera, aveva già messo a parte del suo segreto l'amica; poichè non sarebbe riuscito a tenerlo intero per sè, ad onta di tutte le promesse del mondo. Ma, saputo ch'ebbe dalla compagna come Maria fosse una giovine un po' diversa dall'altre, e facesse la ritrosa e la santoccia, s'avvide non essere la cosa troppo facile, e non seppe più altro dir nè fare. Fu il giorno appresso che la fanciulla disparve, come già sappiamo. Arnoldo ne disperò quasi, ma Eugenio era là per consolarlo, per dargli buona speranza; l'assicurava esser quello un ghiribizzo, una delle solite furberie delle fanciulle, le quali vogliono vedersi correr dietro quei tapini che abbiano la disgrazia d' innamorarsi di loro. - Pure molti dì passarono, senza che l'uno o l'altro avesse potuto ancora sapere la verità. Ben aveva cercato più volte l'Eugenio di far parlare la crestaja, spacciando grandi promesse a nome dell'amico, ma non n' era venuto a capo: la buona donna fu muta, ostinata a custodire il segreto; quantunque il giovine pensasse ciò essere piuttosto malizia che virtù scrupolosa. Arnoldo, perduta la fiducia di ritrovarla, si rimise alla vita indifferente e monotona di prima, a quella vita tediosa che coli' inerzia del di fuori ricopre l'interno cruccio. Così era venuto il dicembre. « Eugenio! » diceva adunque Arnoldo al suo nuovo amico, quella mattina in cui l'abbiamo trovato che passeggiava nella sala dell'albergo: « Eugenio, sedete qui, accanto a me. Le prove d'amicizia che m'avete dato, il vostro onesto costume, la vostra premura, meritano ch' io metta in voi maggior confidenza. Voi mi conoscete appena, e poco sapendo di me, forse mi giudicate male. È giusto, dunque, che vi spieghi il mistero che a voi ancora mi copre; è giusto che mi conosciate meglio: forse allora, se prima nel cuor vostro avete riso di me, mi compatirete! « Il tono severo di quest'esordio scosse un poco Eugenio: i colloqui serii non erano il suo forte; nondimeno, fatta all'amico una solenne protesta d'osservanza, si pose a giocar distrattamente con le molle fra le ceneri del focolare. E l'altro prese a raccontargli la storia dell'amor suo, meglio che non abbiamo potuto far noi in queste pagine modeste, cosa ben naturale: era l'amante che parlava, e il suo cuore si effoudeva nelle parole, con una verità semplice, poetica. Ma Eugenio intanto pensava che l'amico suo doveva essere un bel pazzo, e che lui, se fosse stato ne' suoi panni, non avrebbe perduto il tempo in codeste malinconie, e a far all'amore alla romantica con una tapinella; mentre invece avrebbe potuto a capriccio fare il mestier del Michelaccio, quel beato mestiere che non s' insegna, e tutti sanno e sapranno sempre. « Dopo quel tempo d'una felicità ch'io quasi non credeva possibile, » così continuava Arnoldo il suo racconto, « dopo quel tempo, vennero per me giorni d'amarezza e di sconforto. Ma qui, bisogna che vi confidi un'altra cosa che ancora non sapete, il vero mio nome. Voi mi conoscete per Arnoldo Randale; questo non è il mio casato, ma quello della famiglia di mia madre; per segrete ragioni lo presi al mio ritorno in. Italia. Mio padre è lord Guglielmo Leslie. » L'amico Eugenio levò gli occhi con gran maraviglia, a quella sonora parola di lord; e poste giù le molle con che giocava, stette con più cheta attenzione ad ascoltarlo. « Mio padre » seguitava Arnoldo « è un uomo severo, superbo del suo nome e dell'antica sua nobiltà, quant' altri mai; i suoi principii sul fatto e su la condizione sociale son quelli d'un vero Inglese, onore, orgoglio e fermezza; il motto dell'arme gentilizia de' Leslie sembrava appunto dettato per lui: Sempre salire!... Ma, fin dagli anni infantili il mio animo s'apva in vece all' incanto delle miti virtù di mia madre, dolcezza e compassione, amicizia e amore. Io, per me, sento di non esser nato per quelle che chiamarsi le grandi virtù del nostro secolo, una politica che si veste del fastoso nome di filantropia, e una civiltà che pesa tutto su le bilance dell'industria. Passai i primi anni dell' adolescenza in casa d'uno zio di mia madre, venerabile vecchio, dal suore giovine e caldo, uomo generoso, soccorrevole e costante: era questi irlandese e cattolico, e aveva perduto il figlio, la nuora e i nipoti, tranne uno solo che formava le delizie dell'abbandonata sua vecchiaia.... Questo giovine cugino fu il mio primo amico. Ma, pochi anni appresso, anch'egli era morto.... » « In quel tempo appunto, » ripigliava Arnoldo dopo una pausa, « nel nostro paese gli spiriti bollivano, in quella famosa guerra d'opinioni e di partiti, che tenne grandemente agitati tutti i giusti e i buoni, la controversia per l'emancipazione de' cattolici. Mio zio metteva in cima de' più cari suoi voti la sospirata legge, e ne procacciò il trionfo, quanto potè e seppe. Parmi ancora vederlo scuotere la sua testa canuta, e volgere al cielo gli occhi accesi d'un insolito ardore di gioventù , dicendomi dover la giustizia trionfare una volta o l'altra anche su questa terra; e nessun sacrifizio esser poco, per guarire la patria d'una piaga che da tre secoli aveva fatto la vergogna della superba nostra civiltà!... Ma, appena mio padre venne a sapere i nobili sforzi del suo parente e il mio entusiasmo a pro di questa causa generosa, mi rivolle presso di sè, caldo sostenitore, com' egli era stato sempre, degli antichi rancori. E mi mandò a viaggiar sul continente, perchè la mia mente perdesse codeste fantasie, ch 'egli chiamava la scorza del fanciullo, e imparasse a conoscere uomini e cose. Ma era tardi. Io aveva già sposata la parte degli oppressi; io amava il culto solenne, maestoso della Chiesa a cui mi guidava fanciullo il mio vecchio zio, e dove univo le mie alle candide orazioni del mio povero cugino; l'arida e corrotta dottrina, e la troppo mutabile fede nel seno della quale io nacqui, non avevano parlato mai al mio cuore. « Nel mio viaggio attraversai, come uomo nuovo, quest'Italia, così degna d'amore e di venerazione; di città in città, vidi le sue basiliche, le sue cupole, le sue chiese, nelle quali mi pareva che l'arte veramente divina traducesse all'anima il mistero della suprema bellezza; vidi i capolavori di Michelangiolo, di Raffaele, di Tiziano, di Guido,

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Mi dissero ancora che, nell' impeto del suo sdegno, egli m' abbia maledetto.... Oh Dio! No, no, io non lo crederò mai; e tu, o Signore, non consenti che un padre maledica il figliuol suo!... Il vero è ch' io son fuggito come un colpevole; che ho abbandonato famiglia, amici, e patria: non avrei potuto vivere, come straniero, vicino alla mia casa, a' miei; e mutai nome e cielo. Poi, qui speravo di trovare quel riposo che sempre fugge dinanzi a me, e qui mi richiamavano una promessa, un affetto.... Ah! si, che almeno io la ritrovi quella virtuosa fanciulla! Essa non mi respingerà più; ora, non sono il giovine ricco e potente, sono il figliuolo diseredato, il povero esigliato che domanda conforto, che ha bisogno di vivere presso alcuno che l'ami ancora. » Oh! » esclamò Eugenio, « vi dico, in coscienza, che di certe cose non ne so uno straccio! Ma se, per la verità, non v'avessi intes' io a raccontare voi stesso la vostra storia, la crederei proprio, come mi dicessero che il Gran Turco s'è fatto eremita. Un giovine come voi, un signore, un uomo d'ingegno, far questa fine.... Scusate, sapete; ma, a me, sono miracoli che poco m'entrano in testa: sebbene, a dirvela, tutto ciò m'abbia imbrogliato un po' l' idee; m'avete tirato giù certe ragioni, certi scrupoli, a cui non ho mai pensato in vita mia. » Arnoldo taceva, e teneva fissi sopra il compagno gli occhi, con un'aria tra mesta e grave. « E vorrei veder adesso, » soggiungeva Eugenio, « che quella fortunata fanciulla volesse far la schizzinosa. È impossibile! e scommetto che il suo nascondersi è furberia bell' e buona, per tirarvi meglio in trappola. » « Non è vero! voi non la conoscete; » rispose sdegnoso Arnoldo. « Sarà, lo dite voi, sarà; però non vorrei che.... » E, con un tal maligno sorriso, Eugenio scoteva il capo. « Ah! voi ridete, ridete come gli altri che mi tengono per uno stolto.... Ma voi non potete vedere quello che passa qui dentro, non sapete quel che si può perdere e sperare! » A tali parole dette con fuoco, l'altro tacque, si strinse nelle spalle, e conchiuse mentalmente: - Non c'è da dire: bisogna persuadersi che pizzichi del matto. - Ma poco di poi, quando Arnoldo gli confidò che al domani partiva per andare in cerca di Maria, al paesello del lago, o nel dintorno, e conchiuse pregandolo in nome dell'amicizia di tentar tutto, durante la sua assenza, per averne egli pure contezza, Eugenio aveva promesso di far l'impossibile: e si lasciarono, buoni amici come prima.

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V' ha ancora pochi angoli della nostra bella e ringiovanita Milano, i quali presentano un aspetto così malandato e tristo, da parer veramente la casa delle streghe; e chi si volesse pigliar lo spasso di cercare quel gruppo d' abituri ch' io descrivo, non aspetti al domani; perchè forse, dov' è la casa del signor Cipriano, troverà un bel palazzetto dalla fronte allegra e linda, dalle verdi gelosie, e invece del rozzo casamento da vicini col marcio fossato al piede, si vedrà sorgere dirimpetto una fabbrica bianca, recente, di cinque piani, da far invidia a chiunque abbia due spanne di terra al sole. Il signor Cipriano era un antico fabbricatore di cioccolatte, il quale, avanzate di buone migliaia di scudi, e non volendo morir sul mestiero, chiusa bottega, si ritirò a godere negli ultimi anni il frutto de' suoi sudori in santa libertà. Egli aveva dunque comperato quella casa a mezzo prezzo; ma poich' era assai taccagno, e aveva spesa sempre la sua lira per venti soldi almeno, si ridusse a menar grama vita in quella topaia cadente, dove una volta aveva sognato di far il signorone. E parevagli di toccare il cielo col dito, allorchè, sdraiato su d'una panchetta accanto al fuoco, col fido suo fiaschetto di vin d' Ossona al fianco, ruminava, tra l'una e l' altra mezzina, il conto degl' interessi de' suoi capitali, all'uno o al due per cento il mese. Quand'egli attraversava la piazzetta, per entrar nella sua porta, andava tronfio, a lento passo, con le mani intrecciate sotto la schiena; e, levando il grosso ventre e il naso bernoccoluto, sbirciava su per le finestre e pe' terrazzini le più tonde e frescoccie comari del contorno: tutti lo conoscevano, e gli facevan di cappello, quasi al bassà del quartiere; perchè tutti supponevano che tenesse un bel morto in cantina. Dal primo all' ultimo de' sessant' anni, a cui toccava allora, egli era stato schivo sempre d'ogni molestia e d'ogni cura; e se non volle mai prender moglie, fu per non avere il pensiero de' figliuoli e l' impaccio della donna, ch' e' soleva chiamare la più spallata mercanzia del mondo. Ma, poco tempo prima, s'era fatta venire in casa la signora Barbara, sua sorella, vedova d'un fallito, e la Savina figlia di lei, le sole che di tutti i parenti gli fossero rimaste, e che s'accontentarono di governare la casa, e pagar la pigione; attaccate all' idea di fare un dì o l'altro una grossa eredità, àncora della loro speranza. In casa però, il signor Cipriano aveva sempre tenuta la mestola a suo modo; ben se lo sapeva quel zotico baccellone di Michele, l' unico famiglio, quando il padrone, dotato d' una memoria spilorcia da far fremere, gli faceva dar conto, ogni dì, della croce dell'ultimo quattrino. Nella casa di questo novello Arpagone, noi troviamo adesso la nostra fanciulla, in qualità di cameriera della signora Barbara; la quale, incapricciata che la sua Savina diventasse una damigella e facesse un bel partito co' fiocchi, non voleva più vederla attendere alle meschine cure della famiglia. Maria vi stava da un mese. Abbandonata ch' ebbe la bottega della crestaia, si gettò nelle braccia dell'unica co- noscente che le restasse, la signora Giuditta; e pianse, raccontando il pericolo che correva, e la scongiurò di allogarla altrove, in qualche casa onesta, dove potesse vivere più sicura, e nascosta a tutti. Appunto alcuni giorni prima, la signora Barbara s' era raccomandata alla Giuditta (da un pezzo si conoscevano) ché facesse di trovarle una brava e savia giovine, la quale, contenta di poco, s' acconciasse presso di lei. Dunque, la cosa fu presto combinata i e Maria, altro non sospirando che un' esistenza casalinga, solitaria, ringraziò il cielo che le avesse conceduto quel ricovero. Ell' era così docile e buona, che la signora Barbara prese a volerle bene: il suo costume, le sue parole, avevano un incanto cosi gentile e dolce, che anche la giovinetta Savina le pose molto amore, e volle subito che tra loro si dessero del tu. Maria le apparecchiava ogni mattina il più fresco e mondo vestito, che pareva sempre del dì delle feste, un candido grembiale coli' orlo a traforo, un bel collare a pieghette, e la cuffietta la più leggiadra, ch'era una grazia a vederla. E la madre si ringalluzziva tutta, non capiva in sè dalla gioja, trovando così bellina e compita d' ogni cosa la figliuola, che tutt' altra sembrava quella di prima. Tutta la casa poi, in quel breve tempo, risentiva già della presenza d'una sollecita regolatrice, a cui il buon ordine e la mondezza sono necessità e abitudine; i vecchi mobili polverosi, muffati, del signor Cipriano, le tende delle finestre e le cortine de' letti luride e cadenti, avevan ripigliata un'aria di giovinezza e di pretensione. Fino quel semplice di Michele, il famiglio, voleva farsi in quattro per ripulire e rassettar le camere, il salotto e la cucina; e lavorava a tutta schiena a rigovernar le pentole, le casseruole, le stoviglie, obbediente come un cagnolino a tutto quel che Maria gli dicesse; perchè glielo diceva con un far così benevolo, ch' egli, usato a ricevere buone lavate di capo dal padrone per cose da nulla, sarebbe per essa ito nel fuoco. L'avaro era il solo che più di frequente brontolasse di coteste novità; nè ci voleva meno di tutto l' accorgimento e di tutta la pazienza della sorella, a persuaderlo che un uomo della sua qualità, con ventimila lire e più di rendita, doveva tenersi in credito, e avere una casa da cristiano; ma la ragione che lo faceva star più cheto, era che non gli toccasse di far vedere la luce a un soldo di più. Dopo che venne in quella casa, Maria non usciva mai, fuorchè là domenica di buon' ora, per andare alla messa nella chiesa più vicina. L' inverno si rabbruscava sempre più; il cielo era quasi sempre rannuvolato, piovoso, e le prime nevi avevano già messo nell' aria quella muta malinconia, che par s'acconci tanto bene a una vita rassegnata e oscura. Sbrigate le faccende di casa, tutta la gioia di Maria era di potersi ritirare nel silenzio della sua camera. E allora, rialzata una cortina del balcone che metteva su la ringhiera sedeva assidua al lavoro, colà presso, sotto la poca luce; e le pianticene d'un vaso di garofani, che teneva su d'un vicino armadietto, lasciavano talvolta caderle in grembo alcune secche fogliette. Quel piccolo vaso, senza un fiore, quell'arida pianticella, quegli steli d'un pallido verde, ricadenti su l' orlo del vaso, bastavano a risvegliarle il dolore del tempo passato, il mesto desiderio d'un avvenire più felice. Si ricordava che nella casa di suo padre, sovra la soglia della sua finestra verso il lago, ella soleva una volta educare una famigliuola de' suoi fiori più amati; e via via, di pensiero in pensiero, il cuore la rapiva.... Essa non era più là, era con sua madre e con la vecchia Marta, era con suo fratello.... e con un altro. E dimenticava tutto, per ricordarsi solamente d' una appassionata canzoncina, che un giorno era tanto piaciuta all'amico suo: ROSA.

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non siete sicura, vi dico; e il Signore abbia compassione di voi.... » « Oh mio Dio, mio Dio! ma cosa ho a fare? » « Fuggire, fuggir di qui più presto ch'è possibile. Se sapeste, Maria, che lagrime ha fatto versare quell' uomo!... se vi dicessi la storia d'un' altra poveretta.... Domandate la vostra licenza, andate via, credete a me che vi voglio bene, come foste mia figliuola. Voi non potete dormir in pace nel vostro letto! » Maria ascoltava, come istupidita, queste parole, e cogli occhi immobili, e con le labbra gelide e semiaperte, muta e quasi senza senso guardava Michele, aspettando da lui una parola, un' ispirazione. Poi, vinta dal dolore: - « Oh! perchè mai » disse « non m'avete parlato prima? Ora abbiate voi compassione di me, salvatemi voi, fate ch' io fugga subito da questa casa! » « È impossibile! come volete ch' io faccia? è impossibile adesso! dove vorreste andare? Pensateci; e domani, o posdomani, qualche pretesto non vi mancherà. » « No, domani no! adesso, vi dico, adesso.... sono nelle vostre mani, salvatemi, salvatemi! » E piena di raccapriccio e di spavento guatava per il bujo del corridore, come già temesse l'avvicinarsi dell'odioso padrone. « Non sapete » ripigliava Michele « quel ch' arrischio solo per avervi avvisata? il mio pane per tutto il resto della vita; sarei cacciato di qui; e dove trovare chi voglia di me, vecchio e gramo come sono?... » « Anche voi m'abbandonate, buon Michele? Ebbene, Dio mi darà forza; dovessi anche gettarmi dalla finestra, domani non sarò più in questa casa! » « Oh! siete voi che parlate così, Maria? No, no, farò tutto, farò quel che volete. Sentite dunque.... » « Che il cielo vi benedica! ma ch' io fugga sul momento.... Domani, questa notte.... qui sarei già morta! » « Sentite bene! raccogliete quale le cosa del vostro; poi, senza strepito, zitta e lenta, andate a basso, ch' io sarò giù ad aspettarvi appiè della scala.... Per una fortuna del cielo, ho qui una vecchia chiave dello sportello; vi metterò fuori, e se v' accontentate d' un povero cantuccio per questa notte bussate a una porticina qui poco lontano, la seconda, votato il canto: vi stanno una mia sorella e Brigida la mia figliuola, dite che vi mando io; v'apriranno, e sarete la ben venuta: domani poi, all'alba,verrò anch' io; intanto il Signore v' inspirerà che cosa fare. » « Ch' Egli vi dia del bene! non sarà mai che il mio cuore dimentichi un benefizio così grande.... » E stringeva con affetto all'onesto famiglio le mani, su cui cadeva una sua lagrima, una lagrima di riconoscenza. Questo colloquio agitato, sommesso, fu cosa d'un momento. Un momento dopo, Michele era scomparso; e a tentane attraversando la stanza vicina e l'antisala, con gran cautela disserrò I' uscio che rispondeva sul pianerottolo della scala; lasciatolo socchiuso, discese, ponendosi, con animo inquieto, ad aspettare presso la porta di strada. Maria intanto, tutta smarrita e tremante, era rientrata nella sua camera, nè potendo sopportar l'angoscia che le toglieva quasi il respiro, abbandonavasi su d'una seggiola, benchè sentisse bisogno più che mai di riacquistare tutto il suo coraggio. Poi, riscossa da quel breve letargo, al destarsi di nuovo spavento, si racconciò in fretta nella sua semplice vesta, e s'era mossa per uscire, quando le sovvenne di portar con sè il rosario benedetto che sua madre le aveva dato al punto di morte. Tornò indietro, lo cercò fra le cose sue, colà lasciate; e trovatolo, con santo pensiero infantile, nè sapendo quasi più che facesse, se lo pose al collo. In quella, apparve su l'entrata della camera la stupida, esosa figura del signor Cipriano. Egli aveva trovato schiuso l'uscio; nè volle di meglio; chè, vinto il primo passo, si teneva sicuro. S'avanzava pian piano, con un andar rotto, incerto; sul volto acceso gli si leggeva il sinistro ghigno, d'una compiacenza che aveva qualcosa di bestiale. Volendo parlare, balbettò; ma, al primo vederlo, la fanciulla mise un disperato grido, un grido soffogato dal terrore, e corse a nascondersi nel più lontano angolo della stanza. Il vecchio continuava ad avvicinarsi tentennando, sogghignando, e te. neva sovr' essa gli occhi intenti e bramosi. Giunto presso alla debole sbigottita creatura, la quale, rannicchiata sul pavimento, tentava farsi scudo delle braccia, nè osava respirare, come se un respiro avesse potuto perderla, il vile vecchio distese la destra per sollevarla dal terreno, e chinossi lentamente sopra di lei. Allora, inspirata da verginale coraggio, la giovinetta alzò la testa, e con uno sguardo innocente, sublime, ardente di disprezzo e di vergogna, fissò la delirante faccia del vecchio, il quale, colto da involontaria tema, ristette scompigliato, e diede addietro. Essa continuava a guardarlo senza dir parola: quell'aspetto laido, abbominevole, le suscitò tal fremito nell'anima, ch'ella, per salvarsi dall'orrore che sentiva, come dall' apparizione d' un demone, strinse fra le mani la sacra medaglietta del rosario che le pendeva sul seno, e la baciò. Quel bacio fu una preghiera, un voto. Il vecchiardo, il quale, non aspettando quel contrasto, temeva vedersi fuggire di mano la preda, fece i due passi che lo dividevano da lei, e chiamandola a nome, e ringhiando, allungò di nuovo le braccia per afferrarla; ma la fanciulla con un rapido balzo distaccossi da lui, e corse verso l'uscio. Allora, fatto più audace dall'impensata resistenza, il vecchio le attraversò la via, brancicando qua e là, e dando pugni all' aria per trattenerla nella sua fuga: sentendo la poveretta invocar misericordia e soccorso, ruppe in maledizioni, e nell' inseguirla giunse un momento ad afferrarla per le mani; ma, all'impuro tocco, poco mancò che Maria non cadesse svenuta. Egli mischiava intanto preghiere e bestemmie con rauca voce, ripeteva parole insensate, atroci; e co' denti serrati per l' ira, quasi schizzando fuoco dagli occhi grifagni, minacciava, minacciava d'ammazzarla se non tacesse. In quel punto terribile, la fanciulla, raccolta la poca lena che le rimaneva, e sostenuta da virtù sovrumana, superando l'orrore, fece sembiante di cedere alla brutale forza che la trascinava.... Poi, con un' improvvisa stratta, si sciolse dal feroce abbracciamento del vecchio, e sorta di lancio, con impeto, dallo spavento fatto più grande, lo respinse lontano, gridando: - « Lasciatemi, infame! il Signore vi punisca!... lasciatemi! » Il vecchio demente, mezzo ebbro e arrancato com' era, rinculò barcollando, vacillò, e cadde rovescioni sur una tavola; e traendo seco a ridosso la tavola, il lume e ogni altra cosa, stramazzò con un tonfo sul terreno, nè potè rialzarsi: ammaccato e malconcio, andava lamentandosi con un rantolo affogato, interrotto; finchè giacque immobile, riverso nel lurido sfinimento dell' ebbrezza. Maria era fuggita.

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Non è vero che lei non abbia più nessuno a cui pensare.... Suo padre soffre certamente, per la sua lontananza, sospira di rivederla prima di morire, di lasciarle il suo nome e l'onor della famiglia.... E le buone sue sorelle?... e il suo paese che lo chiama, l'aspetta, che ha bisogno di lei?... queste cose, appena lo capisco come sieno, ma pur sento che sono vere. Non posso crederlo che suo padre l' abbia maledetto, non è vero che più nessuno si ricordi di lei! E se anche, al primo momento, lo sdegno l'avesse fatto ingiusto, si sarà pentito poi; perchè padri e madre posson perdere tutto, non i figliuoli.... E se un tempo, per l' onore, ha creduto bene d'abbandonare chi lo disprezzava, adesso è il momento di far vedere a quegli stessi, che la persuasione e non il capriccio l' hanno consigliato, e che ha ancora, lasci ch' io lo dica, lo stesso cuore e la stessa virtù! » « Buon Dio! siete voi che mi parlate così? Chi vi disse tutte queste cose? chi ve le inspira? Io, sì, lo sento il cruccio di star lontano da' miei.... so che le mie povere sorelle piangono e m'aspettano; ma, per me, il domandar perdono sarebbe come rinnegare la verità che ho abbracciata! Nè per questo ho fatto sacrifizio d' ogni cosa; l' ho fatto per ciò che tutti calpestano, per fede e coscienza. Maria, lo vedo, voi non mi amate più! » « Ah! signor Arnoldo, non dica, non pensi così. Io era già morta, e lei mi salvò! La riconoscenza ch'io ne sento basterà oramai essa sola ad occupare tutta la mia vita!... » « Voi parlate .di riconoscenza, ed è amore ch'io vi do- mando. E che? se dovessi anche tornarvi, là nella mia patria, se l'onore mi richiamasse, non andrei superbo di mostrare a tutti qual tesoro io possegga? non benedirei sempre il cielo di poter mettervi a parte d' ogni contentezza della vita, di farvi grande, come siete degna d'essere, più d'ogni altra donna? » « Il suo cuore è giusto e generoso; ma io, quantunque nulla sappia in confronto di lei, sento che questa è un' illusione. Noi so da vero, perché mai abbia preso a voler bene a una poveretta come me; ma so ch' io non lo meritava, e che non ero nata per questa fortuna. Oh non mi guardi così! se ascoltassi soltanto il mio cuore, una cosa così amara non potrei dirla.... E insieme, capisco ch' io le parlo troppo male; pure, al momento in che siamo, bisogna dir tutto com' è. » « Cielo! oltre al non amarmi più, potreste pensare, Maria, che verrebbe tempo ch' io avessi a mancare alla mia fede, all'amore?... » « No! vedo pur troppo che non so spiegarmi, o che lei non m' intende!... E questi suoi rimproveri mi fanno piangere. Ma.... non voglio dire di lei.... Tutti l' hanno amato, e l' ameranno sempre: e come noi dovrebbero, nessuno ardirà disprezzare la fortunata che porti il suo nome. Ma per questa donna felice, se mai fosse d'una condizione diversa dalla sua, una meschina come son io, non ci sarebbe una continua rampogna, un tormento segreto, eterno?... Potrebbe mai credere ad onori che non sono per lei, non arrossire di trovarsi con quelli che mentono con Ia bocca e disprezzano nel cuore, con quelli che tacciono per compassione?... Oh! gli occhi di chi ha molto sofferto leggono in fondo ai cuori, da cui non sono amati, abbastanza per poter piangere ancora. E poi, viene il tempo il più amaro. L'uomo che prima era l' amico, il fratello, il padre suo, il suo tutto, non la guarda più come in quel giorno, in quel giorno felice che nasce una volta sola, e non torna più; non le chiede più di quelle parole che, un tempo, facevano la sua gioia, il suo conforto. Egli è un uomo fatto, un cittadino; ha la gloria che lo chiama, la vita che gli comanda, la società che l'accarezza, il mondo che lo guarda.... Egli non è più solo, come in quel giorno così bello! « Maria, Maria, che cosa dite mai? » « Ah! lasci ch' io sfoghi tante cose che da gran tempo porto nel cuore! Quella poveretta che sente non essergli più necessaria, quella, che quasi un fiore per un giorno gli piacque, non è più la medesima.... Ella tace sempre, piange spesso; ed egli volge indietro la testa, cerca altri fiori più freschi, più belli, perché l'uomo ha sempre bisogno della bellezza.... Oh mio Dio! quest'angoscia non basta sola a farla morire di dolore? E il dubbio che l'accompagna sempre, e il timore di proferire una parola sola che lui dispiaccia, l'affanno segreto di sentirsi così piccola cosa a paragone di lui, e fin la grandezza dell' amore che gli porta, di un amore ch' egli con un solo pensiero può maledir per sempre.... » « Non più, Maria, non più!... Ecco, era una speranza del tutto vana la mia, e voi spezzate quasi l' ultimo anello di mia vita.... Tu, o Maria?.., tu, la più bella, la più santa creatura del Signore, l'unica luce ch' io avessi ancora, puoi abbandonarmi? Abbandonarmi, quand' io, per amarti, ho dimenticato patria, parenti, nome, tutto?... Cielo! dunque la virtù ch' io cercai, altro non era che un delirio, la poesia de' vent' anni, l'incanto d'una primavera? Bisogna che sia così. E ora che farò?... Tornar nei mondo, gettarmi in questo vortice di cose, nell'ebbrezza della passione, nella vita del momento; sì, ridere delle lagrime che si versano da per tutto, e di quelle che farò versare anch' io; e a quanti mi rinfacceranno di non creder più a nulla, nemmeno alla virtù dire: Gli uomini m'han voluto così! peggio per loro. » Maria raccapricciò a codeste strane parole, chinò la fronte e impallidì. Arnoldo la guardava quasi sdegnoso, e levandosi a un tratto, mosse per allontanarsi. « Si fermi, signor Arnoldo, » proruppe la sbigottita fanciulla, « e non mi lasci in questo modo.... Io le ho parlato come una povera giovine onesta, ho fatto il mio dovere. Lei non sa, non vede il mio dolore, ma soffrirei ben di più se non avessi coraggio di parlarle col cuore in mano. La grandezza, la felicità che mi vuol dare, non sono fatte per me: questi due anni della mia vita non saranno stati altro che un sogno, ma il più bello di tutt' i miei sogni!.. Quando penso a queste quattro mura, dove sono nata, dove per tanto tempo sono stata felice anch' io.... quando penso a mio padre, a mia madre, a mio fratello.... Oh se vivessero ancora.... non mi avrebbero certamente benedetta! » « Se que' buoni vivessero ancora, vorrei metter la nostra sorte nelle loro mani. E anche lui, vostro fratello.... » « Il povero Carlo!... Ah se sapesse com'egli pensava e

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L'alpigiano mi condusse lungo la costiera, per certe viottole che facevano giravolta a ogni cinque passi; e calando sempre, si fermò alla fine dinanzi un casolare isolato, dicendomi: « Questa è casa mia. » E battè forte all'uscio. « Nessuno m'aspetta per certo, » ripigliò poi: « la mia vecchia e l'Assunta, la figliuola del mio povero Piero, mi credono ancora laggiù alla fiera di Delebio; e il Sandro, quell'altro disutile che m'hanno lasciato, sarà ancora sull'alpe con le poche bestie, finchè vi abbia pur qualche spanna di terra erbosa; due grame vacche, poveracce! le venderò sulla fiera; perchè ci aspettiamo una trista invernata, e non potendo far vivere le bestie, bisogna pensare a campar noi. » Tornò a battere, e una voce rispose di dentro: poi s'udì uno strepitar di zoccoli accorrenti, e levarsi il travicello che sprangava l'uscio, e due donne in un gruppo comparir nel vano della porta: una d'esse teneva alzata dinanzi agli occhi una fumigante lampanetta, che maggior lume non mandava d'una lucciola estiva. « Oh Madonna santissima!» disse la vecchia, « siete voi?» « O caro il mio nonno! » soggiunse la fanciulla, che, vedendo uno straniero, ardiva appena far capolino dietro la spalla della vecchia. « Che il Signore vi benedica! Ben lo diceva io, non poteva esser altri che voi. » Entrammo nel casolare Il messere col quale, camminando di conserva, avevo fatto più ampia conoscenza, e in cui veramente vedevo uno di que' patriarchi di montagna

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Per questo forse la scissura fatta dalla riforma luterana fu origine d'una delle più lunghe, sanguinose e feroci rivoluzioni che l' Europa abbia veduto mai. - Un dabben montanaro m'additava, non ha molto, sull'alta cupola della chiesa della Madonna a Tirano, la bruna statua di san Michele, colla spada in pugno, e: « Vede lei, » dicevami nell' atto di farsi il segno della croce, » vede, è quello là il santo che tenne lontano da questo paese la peste de' luterani!... » Io nulla risposi, ma andava pensando nell' anima mia alle molte e triste cagioni che hanno fatto d'ogni lembo di terra cotante patrie diverse. 27 d'ottobre. Io mi proposi d'adoperare il tempo che mi avanza, dopo compiuti gli obblighi sacri del ministero, nell' andar cercando di sito in sito, fin dove mi sia concesso inoltrare colle quotidiane e solitarie mie peregrinazioni, le reliquie de' secoli passati, le tradizioni antichissime vive tuttora nelle povere capanne del mandriano e del carbonajo, sugli altipiani e ne' diroccati casolari de' paeselli; nell' andar racco- gliendo le semplici cantilene delle fanciulle montanine, le pie leggende delle vecchie filatrici; nel visitare gli avanzi rovinosi e pittoreschi di qualche feudale castello di cui più nessuno sappia il nome; gli abbandonati cimiteri e le lapide votive, ma più di tutto nello studiar quelle antiche patriarcali costumanze, che sono come simbolo di giustizia nelle famiglie, religione vera del passato. Dacchè incominciai, senz'alcuna pretensione di sapienza antiquaria, queste utili e studiose ricerche, la mia vita ben più occupata e operosa che prima non fosse, assorta nel meditare e nello scrivere, invogliata dalle prime scoperte a novelli e più forti studi, si ricompone in una temperanza equanime di volontà e di sentimento, che parmi la miglior medicina delle avverse cose. Son quasi corsi due secoli dalle terribili guerre, che, per furore di politica ricoperta del manto della religione, disertarono queste contrade, e la memoria della rivolta qui sopravvive ancora; qui suona ancora sul labbro de' fieri Valtellini la bestemmia antica contro il luterano; qui l'odio rugginoso verso le tre Leghe Grigie, alimentate dalla contesa proprietà del territorio, non è spento del tutto: mentre nessuno più si ricorda della tirannide spagnuola, che, sotto colore di protezione, soffiava alimento a' dissidii, e col pretesto della fede calpestata e della santa causa della religione, rinfocava le moltitudini alla riscossa. E guai, allorchè un popolo si solleva in nome della fede de' padri suoi!... 15 di novembre. In questa solitudine, altro non desidero che la fedele compagnia d'un amico, il quale riceva nel suo cuore la pienezza del mio, meco divida il segreto del dolore e della speranza, e mi riconforti e sostenga ov' io ricada, come pur troppo avviene qualche volta, negli antichi terrori, in quelle fatali malinconie che m' avvelenarono l' anima non ancora del tutto guarita. Ohimè! basta un giorno di dubbio e di fiacchezza, un'ora sola d' interiore viltà per ripiombarmi in

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- Chi sa, dissi fra me, ch'egli stesso, il buon prete, non abbia insegnato a quella montanina codesti semplici versi, modulati su qualche poetica tradizione dell' Alpi! E il mio pensiero, raffigurando la sembianza dell'Assunta, ricordò ancora la fine della povera Angiola Maria, alla quale parevami quasi compiangere quel malinconico canto.

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« Sentite dunque, » disse don Carlo alle due donne. « Poichè il mio parroco me l'ha consentito, resterò qui con voi, tre o quattro settimane, finchè abbia fatto quel che c'è a fare in queste triste congiunture. Messo che avrò in ordine i nostri pochi interessi, tornerò al mio romitorio. Io per me rinuncio alla parte che mi può toccare, e voglio che quel poco che abbiamo, non è vero, mamma? serva per voi, e per te, Maria, per te, quando troverai qualche onesto partito. E in appresso, se il Signore farà ch' io possa divenir parroco in qualche paese meno triste e più vicino a voi, per esempio, qui sul lago.... allora v'aprirò la mia casa, vi aprirò le mie braccia, e dirò a tutt'e due: Venite a star con me, a consolarmi la vita. Oh allora sì, che mi parrà ancora d'esser felice! » Caterina e Maria furono commosse e persuase; guardavano con tacita tenerezza il prete, che oramai era l'unico loro angelo protettore. E il prete, levatosi e fattosi vicino alla madre, strinse tra le sue mani la destra della buona vecchia che piangeva, e la baciò con verecondo rispetto. Poi la sorella gli stese la sua; ed egli, stringendola del pari, se la pose sul cuore, con una forza d'affetto che non può dirsi. Indi a poco uscì dalla casetta.

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Crederò che il vostro cuore abbia per sempre trovato, come lo dite, quel riposo, quella rassegnazione, incredibile virtù, per cui la fede divien coscienza in voi? » « O amico » rispose l' altro, « fin adesso noi non abbiamo mai seriamente discorso intorno a così gravi cose; ma io ben conobbi tutta la vostra vita dal primo giorno che mi sono incontrato con voi; ho penetrato il vostro cuore e la sua piaga... Lasciate che la scopra a voi stesso; è la mancanza d'una fede!- Povero giovine, vi compiango! » « Oh sì! » proruppe l' altro, dopo una solenne pausa, « compiangetemi! Non so dire che tumulto s'agiti qui dentro talvolta! Non so dir con quale ardore cercassi anch' io questa che voi chiamate virtù, certezza e verità, la fede! Ma non la trovai. Tutto calpestato, tutto disseccato e morto! Ond' io penso che questa lede non sia che il rifugio dell' anime semplici, ingenue, fiacche: in quanto a me, non la vidi che in una povera chiesa di montagna, in un' officina, in un tugurio.... e, anche là, fu un mistero per me! Ma voi.... ma chi ha dubitato una volta, chi ha pianto per la sete dalla scienza, chi ha numerato in un cuore i battiti della virtù, e le convulsioni del delitto.... Oh vi credeva di tempra più forte e disdegnosa! » « Uomo ingannato! tu non sai quanto ti costi la tua illusione, o che debolezza sia questa che tu stimi forza! Tu non vedi con quell' occhio di pace con che io guardo uomini e cose, per ascendere fino a Colui che gli uni e l' altre ha fatto. Ma forse, verrà qualche momento nella tua vita.... » « Via, lasciamo un proposito, del quale non possiam convenire, nè per questo si turbi la nostra amicizia.... Ma l'ora è tarda, e non vorrei che il cattivo tempo ne cogliesse. Seguitiamo per quella via, se vi piace, e torniamo a casa dalla parte di terra. » L' altro si mosse senza far nuove parole; ma nel resto del cammino, fin al paese, il loro ragionare fu contegnoso e più cauto del solito.

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La giovinetta campagnuola

207997
Garelli, Felice 8 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Ricòrdati, giovinetta, che val più un desinare di legumi condito dall'amorevolezza, che non un bue grasso il quale abbia odio per condimento. Bada ancora che i pasti non si facciano aspettare I lavoratori che vengono dai campi portano molto appetito, e poca pazienza. Pensa altresì che la gente che lavora ha bisogno di mangiare bene, per sostenere le forze, e la salute. Quindi quel che la famiglia può spendere, senza scapito dei suoi interessi, è meglio spenderlo in mangiare un po' bene. La troppa economia, fatta a spese del corpo, non profitta, e non dura. Il mulino, se ha poca acqua, macina poco. La gente, mal nutrita, non può resistere alla fatica: e chi sa ancora che si converta in medicine quel che tu avrai negato allo stomaco! Persuàditi dunque che un qualche po' di carne in settimana, del pane ben cotto, e un po' di vino è tanto di guadagnato per la salute, e pel lavoro di tutta la famiglia.

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Così si conservano bene, e piacciono molto alle vacche; quantunque la fermentazione le abbia fatte un pochino acide. Anche il fieno bruno, ossia lasciato fermentare, come è uso in molti luoghi, diventa più saporito, nutritivo, di facile digestione, sia per le vacche lattaie, e pei buoi destinati all'impinguamento, sia pei cavalli.

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Così, senza uscire dall'aia, e quasi senza fatica, avrai più ingrasso per l'orto, che non ne abbia il letamaio pei campi, e con esso otterrai legumi più che ne abbisognino alla famiglia.

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Per quanto si abbia una tempra robusta, come si può vivere sani in luoghi sì fatti? A dormire in camere umide, scure, c'è, pei ragazzi specialmente, da perdere la salute per sempre. Quasi tutte le malattie dei contadini, le febbri, le infiammazioni, i dolori nelle articolazioni, sono cagionate dalle abitazioni malsane. Nella casa di Gian Pietro si ammalarono tutti, un dopo l'altro, dello stesso male; e due ragazzi ne morirono. Il medico dichiarò la malattia essere un tifo, e ne diede la causa all'acqua del pozzo, guasta dalle infiltrazioni del vicino letamaio: e infatti l'acqua di quel pozzo, lasciata per un giorno in un bicchiere, puzzava di marcio. Oh che! Ci vuol tanto a fare il letamaio lontano dal pozzo, e dietro casa?

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Il cuore fa festa, e vuole che tutto abbia un aspetto più gaio. Si vestono gli abiti più belli per andare a messa ed a vespro: per via, e sul piazzale della chiesa, è un ricambiarsi continuo di saluti amichevoli. Sembra che in questo giorno tutti si voglian più bene; si rammentano i cari lontani, e anche i trapassati; si scrive al figliolo, o al fratello che andò soldato; si legge qualche pagina di un libro istruttivo, o morale, e vi si ragiona sopra. Così le ore fuggono, come fossero minuti. Ma la giornata non finisce senza una qualche opera buona: si ricorda qualche vecchia ammalata priva di tutto, e le si porta anche solo un po' di pane; ma le si reca insieme una parola di conforto, che le giova più del pane. Così si santifica la festa nelle buone famiglie campagnuole. Così la santifichi tu pure, che sei una brava giovinetta.

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Governati in questa maniera i vitelli, li vedrai crescere a vista d'occhio, e valere molto più che non abbia costato il loro mantenimento.

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Quindi si eseguisce la stregghiatura del bestiame; dopo la quale distendi nuovamente la lettiera in tutta la posta, perchè il bestiame abbia comodo di riposare. Al mezzogiorno, e alla sera, si ripetono i pasti nella stessa maniera; abbeveri ogni volta il bestiame; lo pulisci, se occorre; porti fuori gli escrementi; distendi la lettiera, e ne aggiungi dell'altra. Governato con queste cure, il bestiame cresce, produce, e diviene una sorgente di guadagno.

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Ne fa la compra, se ha il danaro che ci vuole; altrimenti la ritarda, fino a che abbia il mezzo di pagarla. Essa sa che col danaro contante si provvede roba migliore, e a meno prezzo. Eppoi: è mille volte meglio aver poca roba, ma tutta nostra, che averne molta, pagata col danaro altrui. Essa ha paura dei debiti, e con ragione, perchè sa che, a fare un debito, si lega una corda al collo, e dà il capo della corda in mano al creditore. Quindi fa qualunque sacrifizio, prima di contrarre un debito, anche piccolo. Per solito i debiti cominciano col poco, e finiscono col molto: precisamente come la valanga, che comincia dall'alto con una pallottola di neve, e, rotolando a valle, si ingrossa come una montagna. Guai a fare il prima debito! A pagarlo, se ne fa un altro più grosso; il secondo ne tira un terzo. Per chiudere un buco, si apre una finestra; per chiudere una finestra, si apre una porta..... e così si va dritti alla malora. Per ciò la buona massaia non fa il passo più lungo della gamba, e limita le spese secondo le entrate. Se poi la necessità vuole che essa faccia un debito, pensa continuamente al modo di pagarlo; e ogni giorno, vendendo uova, galline, legumi, mette a parte qualche cosa, per levarsi quel peso dalle spalle il più presto possibile.

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Donnina forte

208662
Bisi Albini, Sofia 1 occorrenze
  • 1920
  • R. Bemporad & figlio
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Credo sia per questo, che non avendo la mamma nè una sorella a cui confidarle, io abbia quella gran passione di scrivere. Essendo poi quasi sempre sola, perché il babbo, deputato, sta molto a Roma, e non avendo la smania dei divertimenti, io lavoro molto coll' immaginazione, e su una parola, su una persona intravveduta dal finestrino della mia carrozza, su un nonnulla, mi creo tutta una storia interessante, commovente o umoristica, che poi mi vien la voglia di scrivere. E scrivo: avrei anche quella di dar alle stampe, ma.... non ci sono ancora riuscita. Lo vorrei: prima di tutto perché quello che scrivo non mi sembra orribile, e ha uno scopo morale, quindi male non farebbe di certo. Mi ricordo delle parole di Massimo d'Azeglio: " un lavoro letterario può valer poco sotto l'aspetto artistico, ma può valer molto sotto un altro, pur che serva a uno scopo utile". C' é poi la voglia di provare una nuova emozione; di affrontare il pubblico sconosciuto e conosciuto, e.... sono cattiva! di metter sottosopra e scandalizzare.... molta gente. Donna Conny nelle vetrine de' librai e su per le cantonate! C' è da perder la testa!! * * * Oh la fruttaiola è uscita a dar un' occhiata sulla strada: mancano gli avventori, pare: ed è la vigilia di Natale! Poveretti: domani non potranno fare un po' d' allegria.... Quella donna è vestita maluccio: ma è però pulita, col suo fazzoletto bianco al collo.... e anche il bimbo é ravviato. Che bel visino! pare una mela. Oh, ecco uno spazzacamino: che avven-tore! ha comprato una manciata di castagne. La donna sorride.... Oh, ma io lo conosco quel sorriso! Chi può essere? Io sono curiosa, molto curiosa! pare impossibile, non é vero? perché di solito la gente curiosa è pettegola ed io non lo sono punto. Misi il dito sul bottone del campanello elettrico: Giacomo entrò correndo. - Va' giù dalla fruttaiola - gli dissi - - e compra tre o quattro lire di frutta: ma non star lì a scegliere: prendi quel che ti capita, anche quelle un po' guaste, non importa.... E intanto chiacchiera con quella donna e trova modo di domandarle il suo nome da ragazza.... Ma fa' per benino, veh! - E le frutta? - mi disse con un mezzo sorriso Giacomo. - Non le porto in cucina sa, perchè il cuoco oggi a le lune!... - Dàlle ai bambini del portinaio - risposi. - Ma fa' presto, e bene! - Egli uscì: lo vidi attraversar la strada ed entrare: poi scegliere nelle ceste le frutta.... guaste. Risi pensando ai bimbi del portinaio. A un tratto vidi Giacomo voltarsi quasi spaventato, far il fagotto in furia, buttar là i denari, e correre verso casa a gambe levate. Si era fermata una carrozza: certo quella della zia. Infatti sentii la campana del portinaio. Quella benedetta campana che fa star lì tre minuti in una sospensione ridicola. So che alcune signore se ne approfittano per mettersi ancora un'altra po' di cipria sul viso e per accomodarsi i capelli sulla fronte, e altre per allungarsi sul divano e sprofondarsi nella lettura di un romanzo inglese. (Il vocabolario arrivano in tempo a nasconderlo dietro il cuscino). Io, invece, per il pensiero istintivo di mettere un po' in ordine i capelli, finisco col buttarli all'aria di più: e per quello di contentare almeno una volta la zia (ma in realtà per evitare delle domande che mi seccano e delle questioni che mi irritano) nascondo in fretta e in furia i miei scartafacci e i miei libri e corro all' uscio. Ma la vigilia di Natale tutto era chiuso serio e ordinato. Soltanto miss Jane scomparve colla sua Bibbia. La porta si aperse, ed entrò mia zia con mio cugino, il marchese Gian Carlo***. Non lo conoscete? è quel giovane biondo, colla caramella all' occhio, che quest' anno ha quel cappotto chiaro, lungo stretto alla vita come l'abito di una signora.... Oh, è impossibile che non lo conosciate, almeno di vista. Mi salutò stringendomi la mano con energia e con serietà, come se facesse una solenne promessa, e inchinandosi senza parlare. Mio cugino é un giovane di spirito.... dicono; io non saprei dire se è vero, perchè con le signorine non si degna di far dello spirito. Dio mio! Cosa c' é di più insignificante a questo mondo di una signorina! una creatura senza carattere e senza opinioni che si lascia rimpastare in una forma nuova dalle diverse circostanze e dalle diverse conoscenze.... - Non mi leggete che voi, care compagne, e possiamo farci delle confessioni. Sentite: é un fatto che molte signorine si studiano di non dire mai quello che pensano, come se fosse, che so io un' indecenza, e soffocano tutte le idee gentili che il cuore suggerisce, affettando in società una ritenutezza ridicola. A me pare che quell'astenersi dal dire quel che pensiamo, quel nascondere paurose e diffidenti la propria opinione, quello sfuggire qualunque discussione sopra cose o sopra azioni, il più delle volte non é timidezza, é... lasciatemelo dire, un eccesso di amor proprio; è la paura di sbagliare o anche di non essere comprese e di incontrare un' opposizione. Ma forse è sempre timidezza. È il Leopardi che ha detto, se ben lo ricordo, " che i timidi si guardano dal pungere gli altri per evitare d' essere punti essi stessi: perché il loro amor proprio é grande come quello degli arroganti, o meglio, più sensitivo". In ogni modo, credete, che quell' incertezza del dire e non dire tiene come in sospeso la mente e toglie al cuore tutta la sua spontaneità. Non é forse vero?! Dunque.... non ha torto mio cugino?! No, no: ha sempre torto perché fa del difetto di alcune una regola generale. Egli guarda anche me con indifferenza attraverso la sua caramella, e quando mi ascolta par che dica: - Parla, parla! non mi diverto: ma non importa: a questo mondo dobbiamo aver tutti il nostro quarto d'ora di seccature. - Da molto tempo non vedevo il mio amabile cugino, e lo trovai ancora più annoiato: evidentemente gli seccava quel pranzo di famiglia. Si sdraiò in una poltrona con una gamba a cavalcioni sull' altra, e prese un giornale. La zia non mi aveva salutato: si sedette anche lei e mi disse con un'aria solenne: - Scusami cara; ma nella tua casa regna un disordine scandaloso. Tu hai bisogno.... - Di un' istitutrice di polso? - No, no: l' istitutrice di polso finisce col diventar lei la padrona. No: volevo dire di un po' di sommissione. Làsciati guidare da chi ne sa, cara Conny; da chi come tua zia, ha una casa che è l'ammirazione di tutti! - Siamo stati cinque minuti sul pianerottolo ad aspettare che il servitore salisse ad aprirci. - Si degnò di dire mio cugino. - Ah, sicuro: Giacomo l' avevo mandato via.... - Tu! - esclamò la zia. - Ma sapevi bene che noi si doveva venire! - La Conny ama le originalità, - disse Gian Carlo, o Carletto, com' io mi ostino a chiamarlo. - I servitori stanno in anticamera di solito; dunque il suo deve star sulle scale. - lo risi. - Tu ridi sempre: - disse la zia - é una cosa che finisce con l' irritare, sai? - Oh, mi scusi: non riderò più. - E risi ancora. Intanto entrò mia cugina col marito, il conte Filippo che rideva col suo vocione grosso. Conny, come stai? - mi disse l' Elisa abbracciandomi. - Lasciami ridere: ah, ah! dopo ti conterò! - Il servitore vi ha lasciato sulle scale dieci minuti? - dimandò Carletto. - Ed é salito quattro scalini alla volta ad aprirvi l'uscio? - aggiunsi io. - No, no: - disse Filippo, il cui largo viso era ridiventato serio. lo gli porsi tutt' e due le mani come faccio sempre, e gli dissi: mi racconti, che cosa é stato? - C' é stato, cara figliuola, che sparse sull' uscio del portinaio c' era un' infinità di mele, e che quattro o cinque bambini erano in terra come tanti gatti, e facevano a chi ne raccoglieva di più. Ma quando la portinaia ci vide, venne colla scopa a spazzar via in tutta furia, mele e bambini! - Ma dovresti dirle di tener i figliuoli di sopra! - interruppe la zia. - In quel bugigattolo?!... Di solito sono all'Asilo; ma oggi è la vigilia di Natale, e hanno diritto di far un po' di chiasso anche loro. - E di seminar le mele per la terra? - È stato Giacomo; che nella furia di salire ad aprirvi le ha buttate là.... - Ma entrò il babbo e tirai un sospirone. *** Mio padre non par fratello della zia: ha un carattere serio, fermo: un bello e grande carattere infine. La sua alta persona, e soprattutto quella sua stupenda testa, attirano gli occhi di tutti: e quando parla.... ma chi di voi, mie amiche, non conosce don Emanuele! In società, però, è molto diverso di quel ch'egli sia in casa: ha certi sorrisi, e sa parlare con tanta disinvoltura di cose frivole con le signore, che io non so rico-noscerlo e lo ascolto attonita. Egli è al suo posto, quando nelle nostre tranquille serate discute coi suoi amici di politica, di economia o di filosofia: nella sua parola calma, convincente e severa c'è allora l' uomo studioso e utile come egli è, non il gentiluomo elegante come non è mai stato. Egli fa una vita laboriosissima, e quand' io ritorno dal teatro, dove vado con mia zia o con mia cugina, egli é ancora nel suo studio a scrivere: ma il più delle volte quell' uscio é chiuso, e non appare la luce di sotto la fessura, e io penso al babbo che é a Roma. Una volta avevo molta confidenza con lui ma ora viviamo così separati! e finisco col dir tutto a Filippo, che si diverte delle mie osservazioni e dei miei giudizi. Una sera mi disse: - Io ho sempre creduto che chi osserva, studia e analizza tutto, finisse collo sciupare la poesia della vita: ma vedo che non é vero. Non c'é nessuna donna io credo, più anatomista di te; eppure sei quella che ha la più grande e vera poesia! - Vedete come m' adora mio cugino?.... Non spalancate gli occhi: ha cinquant'anni ed é brutto come un orco. - Ma che cosa stavo dicendo? Ah, mi ricordo.... che entrò il babbo il quale ebbe per l' Elisa e per sua sorella un sorriso cosi gentile, che la loro attenzione si concentrò tutta in lui. Io ne approfittai per scappar da Giacomo. - E cosi? - Era figliuola di un calzolaio: un certo Mosca, che stava in via santo Spirito. - Mosca? ah! - e rientrai in sala. - Mosca! - ripetei affacciandomi alla finestra. - Ma sì! il Moscerino! il mio Moscerino! - La ricordo; come mi voleva bene! Un giorno ho voluto accompagnarla a casa, e mi sono divertita a veder quella bottega con quel deschetto e tutti quei ferri.... Il suo babbo e la sua mamma erano giovani e belli, ma il babbo era magrissimo, e aveva certi occhi grandi, neri, infossati e una voce sottile e velata. Il mio domestico mi disse, uscendo, che quell' uomo era tisico, ed io quella notte sognai che lo conducevo insieme a sua moglie e alla sua figliuola a Nervi perché guarisse. - Che cosa guardi, Conny? - mi domandò Filippo, passandomi un braccio in-torno alla vita. - Niente - gli risposi, e andai incontro a miss Jane che rientrava, mi sedetti vicino a lei; ma ero inquieta e mi alzai. - Oh babbo! - esclamai. - Pensa che la fruttaiola è il Moscerino, quel tal Moscerino! - Tutti si misero a ridere. - Ma che cosa dice? - lo mi sedetti sul bracciolo della poltrona del babbo e gli misi un braccio intorno al collo. - Ti ricordi di una mia compagna della Scuola comunale? la figliuola di un calzolaio: la più brava.... che tu lodavi sempre quando venivi a visitar la Scuola? Si chiamava Giovannina Mosca: ma noi la chiamavamo moscerino perché era piccola e magra. Ti ricordi babbo? - Mi pare.... sì. - Ebbene, è la fruttaiola che sta qui difaccia. Lasciami andare a farle una visita babbo! appena un momento! Sentii un mormorio di disapprovazione. Alzai la testa: non avevo più pensato che c'era lì tutta quella gente. - Che posizione!... - mormorò mia zia. Avevo una gamba sul bracciolo e credo si vedesse l'altra un pochino. C' era da vergognarsi? Forse si; ma io non me ne vergognai! Cinque anni fa avevo la veste corta, e tutti si credevano in dovere di ammirare le mie gambe.... visto forse che il viso non aveva nulla di particolare. E poi mi ricordai che mia zia pochi giorni prima, mi aveva consigliato di comprar le calze assortite agli abiti perché quando si sale in carrozza, chi è dall'altra parte della via ci vede la gamba fino al ginocchio.... Ed ora.... Non vi pare che io abbia ragione di ridere? - Non lasciarla andare, Manolo! non ci mancherebbe che questa! - esclamò spaventata la zia. - A Natale non si rifiuta niente ai bambini, - rispose il babbo accarezzandomi. lo baciai quella mano che mi passò sulle labbra e mi alzai. - Sentite - dissi - vi racconterò una storiella, e se non vi convertite, peggio per voi! Ero dunque alla Scuola comunale.... - Lo sappiamo, pur troppo! - mormorò la zia con un sospiro. Io continuai: - Perché ero la figlia del soprintendente scolastico, di don Emanuele, misi sulle prime in soggezione compagne e maestre. Ma sapete come sono io.... - Entri in confidenza con tutto il mondo - interruppe mia cugina. - Purchè non sia nobile.... - aggiunse la zia. Ero allegra, ero un folletto, - continuai - e diventai il beniamino di tutte. Due giorni dopo io non avevo più soggezione di nessuno e nessuno aveva soggezione di me. Nell'ora di ricreazione le com- pagne si rubavano il mio braccio destro e il mio braccio sinistro.... - Perché eri la figlia del sopraintendente! donna.... - Oh, zia! è crudele ! Perché non vuole - che mi si possa amare per me, per me sola...? C' era un' unica ragazzina, la più brava e la più povera, che non mi si avvicinava mai; era il Moscerino. Mi faceva un dispetto! non capivo quella ritrosia e credevo che fosse invidia. Un giorno si discuteva chi di noi avrebbe avuto il premio. - Il Moscerino - dissi io e molte altre. - Oh, no: l'hai tu, Conny! di sicuro! - esclamarono due o tre. - Io? ma che! prima di me c' è la tale e la tal altra.... Oh, ma tu sei la figlia del soprintendente! - rispose una, che si chiamava Lisetta. lo mi sentii un colpo nel cuore: tutte le mie compagne si misero a gridare. - Che sciocca! che c' entra questo? la nostra maestra non fa le ingiustizie! - E una vocina gridò più forte con un tono indignato: - Come sei ineducata! - e mi sentii passar un braccio intorno alla vita. - Era il Moscerino. Mi chinai a baciarla: ella mi tirò in disparte e mi disse seria come una donnina: - Studia, Conny! fa' degli splen- didi esami: la Lisetta rimarrà confusa e sarà obbligata di dire che il premio è tuo perché sei la più brava! - Io le risposi: - Si vedrai! - E mi misi a studiare con ardore. Il Moscerino era diventata la mia amica più cara: ella mi diceva: - Non voglio volerti; tu sei ricca, sei nobile: dopo la scuola non ci vedremo più.... - Io, però, le volevo un così gran bene ch' ella non resistette altro. Ma un giorno pensai con spavento: - Se io ho il premio, non l' ha il Moscerino che ha studiato tutto l'anno..., - ma poi dissi: - Rinuncerò al premio! - Quando si è ragazzi piacciono i colpi di scena e non si sognano che sacrifici. Rinuncierò per lei! pensavo tutto il giorno; e studiavo con entusiasmo. Ma un giorno.... il babbo è cosi curioso! A furia di domandarmi: cosa fai? cosa pensi? mi strappò anche quel mio segreto.... - Non farai gli esami - mi disse. - La settimana ventura ti condurrò ai bagni. - Il mio castello si rovesciò: ne piansi il primo giorno, ma poi pensai: - Il Moscerino avrà il premio e la Lisetta la sua lezione - e partii felice per Nervi. E tutto questo di che ci deve convincere? - domandò sorridendo mio cu- gino Gian Carlo. - Che il Moscerino ha un carattere simpatico - rispose Filippo. - E che non c'è da vergognarsi nel farle una visita.... - aggiunsi io. - Una visita a una fruttaiola! - esclamò con irritazione la zia. - Bisogna esser matti! - Babbo, ci vado? - Va'. - Non sola, veh? dove s' è cacciata miss Jane? - gridò la zia. - È qui vicino a me! - disse serio il babbo, sedendosi accanto a miss Jane, che era diventata rossa come una brace. Io uscii e un minuto dopo, indossata in furia la giacchetta e messomi il cappellino, scendevo con Giacomo. Attraversai la strada e vidi là, dietro i vetri della sala, quei cinque visi: quelli del babbo e di Filippo sorridenti e curiosi: quelli de' miei cugini pieni di ironica compassione, e quello di mia zia irritato fino alla collera. Lasciai Giacomo fuori, ed entrai nella bottega. Era uno stanzone grande che non riceveva luce che dalla porticina a vetri, diviso da un paravento su cui erano impastate delle pagine di giornali illustrati: là dietro si vedeva un letto grande, una culla e una tavola. Davanti c'era un caminetto e sopra due scalini di legno i cesti pieni di verdure che sgocciolavano, di frutta e di polli mezzi pelati. La fruttaiola era seduta vicino al fuoco col libro delle preghiere, e il suo bambino, su uno sgabello, aveva le mani e le gambine sotto la gonnella di lei per iscaldarsi al veggio. Si alzò arrossendo come una brace, e venendomi incontro lentamente mi dimandò senza guardarmi: - Che cosa desidera la signora? - Desidero di salutarti, Giovannina. - Ella sollevò gli occhi, ma li riabbassò subito. - Non mi conosci? - le dissi: ma avevo capito che mi aveva riconosciuto. - Sono la Conny: la tua compagna della Scuola comunale. Sto qui di faccia: ti ho riconosciuta un momento fa dalla finestra e sono scesa a augurarti le buone feste. - Oh, grazie.... - mormorò diventando ancora più rossa; e si chinò confusa ad accarezzare la testina del suo bambino. Io le facevo soggezione. Perchè?... per il mio vestito di velluto e per le mie pellicce. Ed ella faceva soggezione a me per l'aria grave che aveva sul viso, ma soprattutto per il bambino che le si aggrappava alle ginocchia. - Non mi riconosci? - ripetei. - Oh sì!... l' ho riconosciuta fin dal primo giorno che sono venuta ad abitar qui.... - Ah davvero? e sei stata contenta di rivedermi? - Ella sorrise tristamente e disse: - Si e no: contenta di veder che sta bene.... che è diventata bella; ma nello stesso tempo m' ha seccato.... Mi scusi, sa? perchè vederla e non poterla salutare è un tormento. - Perchè non potermi salutare? - Vuol ch' io la saluti in faccia alla gente? - Che male c' è? - Per me è un onore; ma per lei.... Oh è giusto! anche a me secca se qualcuno più basso di me mi saluta. - Più basso di lei! Chi poteva essere più povero di lei che abitava quella bottega che spirava miseria un miglio lontano? Non potei a meno di domandarglielo. - Chi.... per esempio ?... - Per esempio.... la Lisetta: se ne ricorda? quella figliuola del carbonaio che sta laggiù al Naviglio. S' era messa a far la sarta poi.... poi ha finito male. Ora è vestita come una signora, ma quando l' incontro sono io che ho vergogna a salutar lei. - Io le presi la mano. Era sempre il mio Moscerino con quel bel carattere onesto e altero. Che cosa avrei dato perchè quelli là che ci guardavano dalla finestra l'avessero sentita! - Tu sei sempre buona come una volta, - le dissi - ti ricordi quando ti chiamavo il mio Moscerino? - Se me ne ricordo! Che bei tempi! Beata lei che può studiare ancora! - Io mi chinai a baciare il bambino. - Com' è bello! - dissi. - Somiglia al suo babbo. - Che cosa fa tuo marito? - La mattina va a vendere sul Verziere, poi gira colle perecotte e le castegne arrosto, e quando non c' è altro, colle cipolle. E tu stai in bottega? - Sì: lavoravo anche di bianco, ma ho dovuto smettere. Vede, la bottega è buia, e poi le mani non posso tenerle pulite. Faccio scatole per gli zolfanelli da cucina, quando ho tempo. - Mi avanzai dietro il paravento. Mi permetti? - Oh guardi, guardi pure. Siamo poveri, ma si fa di tutto per tener pulito. - Infatti il letto aveva le federe candidissime e la coperta gialla che pareva nuova. Vidi sul cassettone dei libri: ah! i Promessi sposi; i Racconti di Giulio Carcano quelli del Thouar per i fanciulli: la Storia Patria del Ricotti e il Vangelo del Barni.... - I nostri libri di scuola - disse. - Si ricorda, signora Conny? - Perchè mi dici signora? non siamo compagne? - Sì: ma lei è sempre la figliuola di don Emanuele, ed io del calzolaio. Non insista è giusto ch'ella dia del tu a me ed io del lei....a lei.... lo le voglio bene ugualmente, sa ? - e sorrise arrossendo. Brava : allora mi contento. - Scusi, - mi disse - giacchè ella è così buona con me, le vorrei chiedere un favore. So che del Thouar ci sono altri racconti popolari: uno deve essere intitolato Le Tessitore, se non isbaglio.... - Li vuoi? - Oh, se me li volesse prestare, mi farebbe un gran piacere! Sono degli anni che ho questo desiderio! - Degli anni! e ci voleva cosi poco a soddisfarla, poverina! - Te li mando giù subito: infatti sono bellissimi - le dissi. - E morali! - aggiunse ella seria. - Ora mi pare che non ne scrivano più di quei libri cosi buoni. Le ragazze leggono certi romanzi che scaldano il sangue e rovinano il cuore. Per noi povera gente ci vogliono storie di poveri, storie di buoni, per darci un po' di coraggio a sopportare le nostre miserie. - Poi si mise a ridere. - Veda che stu-pida sono mai! A volte mi figuro di scrivere io un libro!... - ma si interruppe. Li ha visti? - mi dimandò indicandomi due ritratti appiccicati ai muro, l' uno accanto all'altro. Guardai: oh! il Manzoni e il suo amico Rossari! - Si ricorda - mi disse - quando il povero professor Rossari veniva a visitare le scuole? Com' era buono! come parlava, povero vecchietto! Io ho una sua lettera: lo sa? - No: non lo sapevo: la pregai di farmela vedere. La fruttaiola aperse un cassetto: prese una scatola da torrone e ne levò una lettera. Oh si; era la sua scrittura minuta, tremante, ma chiara. " Mio buon Moscerino, - diceva la lettera "lasci che la chiami anch' io come la chiamano le sue compagne, - e la lodava de' suoi profitti nello studio, e le diceva che il sapere è un conforto nella vita, qualunque sia la posizione nella società. La fruttaiola mormorò: - Aveva proprio ragione! - Io riposi quella lettera nella sua scatola da torrone, e abbracciai il mio buon Moscerino. Ella, immobile, mi lasciò fare; ma poi tutta commossa sollevò il bambino e gli disse: - Da' un bacio alla signora per me. - E i labbruzzi umidi del piccino si posarono sulla mia guancia e scoccarono un gran bacio. Uscii da quella bottega col viso rosso e portando nel cuore una contentezza che non avevo mai provato. I miei cugini, dietro i vetri, ridevano. lo dissi tra me: - poveri grulli! - e credo che in quel momento avrei avuto il coraggio di dirglielo anche sul viso. Mi accolsero tutti, meno la zia che s'era chiusa in un silenzio pieno di disprezzo, con un gran chiasso. - Ah, ah! racconta! racconta! - E Filippo mi condusse vicino a una poltrona. Io mi sedetti, mi soffiai il naso, tossii, poi dissi: - Non racconto niente! perchè non voglio che si rida di quello che per me è commovente. - E mi alzai. - Ha avuto una disillusione.... mormorò Carletto. Frattanto annunciarono che era in tavola. Mio cugino mi offerse il braccio. - Scusami, - gli dissi - c' è miss Jane. E lo piantai. *** Non so rendermi ragione del come, quella sera, a tavola, fui tanto allegra: credo, anzi d'aver fatto dello spirito, perchè mio cugino si occupò di me e si degnò di mo-strarmi il suo. - Hai fatto un gran mutamento, Conny! - mi disse. - Ho l'abito lungo, non hai veduto? E poi questa pettinatura mi dà un carattere serio, non ti pare? - Serio! non me n'ero accorto, - mi rispose ridendo, e aggiunse piano: - M' ero accorto, però, che sei diventata una bella signorina. - Ah, ah! e poi?... ho una passione per i complimenti, lo sai! Dimmene un altro, Carletto, ti prego. - Che tu dici spesso delle cose serie, profonde ma con una cert' aria birichina, e quella tua parola a scoppiettii.... che è originalissima! Davvero! è dunque per questo che quando esprimo una mia opinione, la gente ride e non dice mai: " Brava! tu hai ragione! - È doloroso, sai? Dopo pranzo, sdraiato sul sofà, là di contro a me, Carletto mi guardava con insistenza attraverso il fumo della sigaretta; con tanta insistenza, ch' io saltavo per l' inquietudine sulla seggiola. A un tratto, stufata, mi alzai, e andai a piantarmi dinanzi a lui: - A che specie d'animali appartengo - Uh! - esclamarono tutti. - Ma Conny! - disse ridendo il babbo. - Shoking! Shoking! - esclamò tra i denti miss ,Jane arrossendo. - Sei un bell' originale! ecco cosa sei! - esclamò mio cugino prendendomi tutt' e due le mani. lo mi svincolai. - Non pensi che queste mani hanno strette quelle della fruttaiola? - Oh! e non te le sei lavate dopo? - e si fiutò le sue mani bianche e profumate. - Ah! guarda cosa faccio io invece! - e mi baciai le mie. La zia prese un'aria desolata: l' Elisa arricciò il suo naso petulante e lasciò sfuggire, con un sorriso di compassione, il fumo della sigaretta che avvolse il suo bel visetto. - Oh, che esagerazioni! esclamò. - Quando Carletto smetterà le sue, io smetterò le mie! - risposi, e mi sedetti, pigliando di sul tavolino Il Corriere della Sera. Mio cugino venne a levarmelo di mano. - Manda Giacomo giù in istrada a comprare il Secolo, - disse. - Oh Carletto, no! - esclamai affer- randogli la mano che teneva il giornale. - Vedi! non c' intendiamo! Io non mi vergogno d'esser nobile: sono fiera anzi della mia nobiltà, tanto più che il babbo sa tener così alto il nostro nome. In fatto di politica, se è permesso a una signorina d'aver un' opinione, professo le idee del babbo; ma questo non vuol dire che io debba vergognarmi d'aver frequentato le scuole pubbliche, e di salutare le mie compagne, perchè sono figlie di bottegai. I partiti esclusivi, lo dice anche il babbo, sono quasi sempre ingiusti, perchè le cose di questo mondo sono così confuse, che spesso le più cattive hanno un lato buono e le buone qualche difetto.... - Ma che sciocca, non è vero ? volevo persuader lui, il più aristocratico di tutti i giovanotti di Milano! lui, che aveva sempre trattato le mie idee con tanto disprezzo! Ma perchè non mi rispondeva? e mi guardava fisso in quel modo strano che mi toglie il respiro? Quegli occhi son troppo belli: quello sguardo par che entri fin nell' anima. Parlai ancora, ma non so che cosa dissi: a un tratto, per cercar di liberarmi da quell' oppressione, diedi in una risata. Ah! ah! ha ragione Elisa, ti pare? Una fanciulla più pedante e pesante di me non c' è in tutta Milano! - Egli si volse a cercar una seggiolina bassa e venne a sedersi davanti a me: aveva in tutta la fisonomia un'aria grave che non gli avevo mai veduto. - Sai, - mi disse lentamente e a voce sommessa - che tu confonderesti l'uomo più eloquente e spiritoso del mondo? - Ah, davvero? il che vuol dire, in altre parole, che ho confuso il mio signor cugino Gian Carlo dei marchesi *** ! Oh non c' è bisogno di ringraziamenti: non ho fatto che interpretare la tua frase. - Sei terribile! - Si? - E terribilmente bella. - Ah, questo!... - e mi sentii offesa per davvero. Egli mi sporse uno specchietto che aveva in un taschino. - Guarda che occhi! - Mi guardai: sono grandi e ombreggiati dalle ciglia nerissime e lunghe.... ma sono grigi! - Occhi di gatto! - esclamai. - Sono gli occhi più brillanti, più fieri più profondi, più réveurs.... C' è tutto qui dentro! - E mi guardava fisso fisso. Aveva i gomiti sulle ginocchia e colle mani arrotolava una sigaretta, ne sono ben sicura: pure, quando disse quel: "Qui dentro! - provai una sensazione strana, come se una sua mano si fosse posata sui miei occhi, e senza volerlo, le mie palpebre si chiusero e mi tirai indietro. - Oh, ti prego, Cadetto!... sai che mi sono odiosi i complimenti. - E mi alzai. - Oh, ti prego, Conny, sai che tuo cugino dice sempre e solo, quello che pensa: e che quando c' è stata l'occasione non ha fatto mai complimenti con te.... - Era vero, ma risposi invece: - Non so niente io! quello che so è che tu sei un giovanotto brillante e annoiato, di quelli a cui non si può credere. - E corsi ridendo a sedermi vicino all' Elisa. - Questa è troppo forte! - esclamò, e mi seguì colla sua seggiolina pieghevole. - Birichina! fuori! una confessione! Che cosa pensi di me? - Probabilmente quello che pensano tutte le altre signore - rispose sorridendo l' Elisa. - Ma sai che la Conny.... - Ha lo spirito di contraddizione - interruppi io. - Abbi dunque misericordia di te. - Oh parla pure! san preparato a tutto. So già che la Conny si lascia sempre trasportare dalla passione.... ella che crede d' essere la più ragionevole e calma signorina del mondo! Oh, non spalancar gli occhi a quel modo!... - e mi prese le mani. - un fatto, che tu sentenzi alla prima occhiata che il tale non è buono a nulla o è buono a tutto. - Ma no! - esclamai sorpresa. - Oh, di' che non è vero, se ne hai il coraggio! - aggiunse l' Elisa, ridendo di quel suo riso squillante di bambina. - Lo dico a Gian Carlo, veh!... Senti: ella non ha ancora, si può dire, avvicinato un giovane, non conosce che quelli dei romanzi inglesi, ma ha già dichiarato che siete tutti altrettanti sciocchi.... ha, ha! dei piccoli spiriti, vuoti di tutto fuorchè di amor proprio: che non v' occupate che di cavalli, frivolezze, eccetera, eccetera! Ma ti pare?! - E rise ancora. lo ero diventata di fuoco. - Si; è vero, è vero. - Lo dici con tanta serietà? - chiese Carletto. - Ah, ah! la donnina forte! la fanciulla superiore!... quella che desta i partiti esclusivi! Eccola che giudica di colpo e dà le sue sentenze più delle signore a cui ella rimprovera la maldicenza. - Non è vero! - Zitto! lasciami finire.... E non rifletti su tutte le circostanze, e non capisci che il più delle volte quel che ti colpisce come frivolo, studiato bene ha il suo scopo serio. Eliminar della vita tutto ciò che è gaio vorrebbe dire spogliarlo d'ogni poesia. Ma.... - Gian Carlo ha ragione. - Che c' è! mio marito che dà torto alla Conny - esclamò con sorriso l'Elisa, sollevando il suo visino color di rosa. - E ragione a me! questa è più strana ancora! - aggiunse ridendo Carletto. - Ma va' avanti; - disse Filippo - - ero curioso di sentire che cosa volevi dire con quel ma. - Che ma! Davvero non so più che cosa stavo dicendo. - Se non ho capito male, volevi dire alla Conny che quel che la abbaglia e desta la sua ammirazione, non ha spesso altro movente che qualche desiderio ambizioso o cattivo. Non volevi dir questo? - Veramente volevo dire il contrario, ma è lo stesso, - rispose Carletto con un' aria seccata. Io ero confusa, credo per la prina volta; non sapevo più come rispondere, e l'avevo con Carletto: soprattutto con que' suoi occhi che mi guardavano sempre. - Conny! ti sei lasciata sopraffare? - mi dimandò Filippo. Io non potei rispondere, perchè mi prese un colpo di tosse. - Scusate, - dissi poi ridendo - ci avevo qui tanto dispetto, che ho dovuto tossire se no mi soffocava. Ora è passato. Dunque? parlo chiaro anch'io? È verissimo che non vedevo in voialtri, profumati ed eleganti, che tanti ragazzi leggieri e vuoti. - Ma perchè Carletto sorrise con tanta dolcezza? - Vedevo! - esclamò Filippo. - È già un gran passo! Gian Carlo ringraziala! - Che! ho detto vedevo? No, no: vedo! vedo! - e abbassai lo sguardo con un sorriso di compassione a quel colletto che gI' infilzava il mento, giù giù, fino alla calza di seta azzurra e alla scarpetta lucida. - Che petulante! - esclamò Carletto con un sorriso: ma in verità punto sul serio. - Tu non puoi negare - gli dissi - che la maggior parte de' tuoi compagni sono dei poveri grulli. Li ho visti e li ho sentiti abbastanza anche quelli che si danno delle arie tanto gravi, da parer che dispensin parcamente il loro spirito. Il Sanmarano informi.... L' Elisa spalancò tanto d' occhi. - Vorresti dire che non è simpatico? che è un grullo, lui! - esclamò. - Oh, è allegro, lo ammetto;... è disinvolto: è l'anima della società: quando lui non c' è, la serata è morta. Manca il direttore del cotillon e delle quadriglie: mancano i bons mots.... non è vero, Elisa? - Sei insopportabile, Conny, questa sera! - disse ella, indispettita sul serio. Suo marito rideva. - Già! hai imparato da Filippo a far l'originale per progetto!... Ma che cosa te ne pare. Gian Carlo? Trovar da ridire persino sul Sanmarano che è uno dei giovani più ammodo della nostra società! - Ammodo! esclamai. - Ci vuol così poco per essere ammodo al giorno d'oggi? Basta occuparsi molto di cavalli e essere molto annoiato di tutto il resto. Basta allungarsi con indolenza sul canapè; mandar in aria con grazia il fumo della sigaretta.... accavallar le gambe e mettere in mostra le scarpette lucide e le calze di seta? In quella vidi dondolare davanti a me il piede di Carletto e tacqui arrossendo. Ma egli mi disse con quel suo bellissimo sorriso: - Avanti, avanti, Conny! - Ho finito - risposi. - Ma! - esclamò Filippo. - Hai dimenticato che un giovane ammodo deve avere anche certe risatine improvvise, e certi improvvisi silenzi che turbano e fanno pensare, e certe lunghe occhiate insultanti, scusate! volevo dire insinuanti, e parlar a enimmi, a giochi di parole.... e la sua parola deve scoppiettare e scintillare come un razzo.... - Ma Filippo, Filippo! - supplicò l' Elisa. - .... di un fuoco d'artifizio. Un giovane serio e timido che si siede ritto su una sedia e fa un discorso pieno di buon senso, quello non è ammodo, e vi fa l'effetto d'una doccia d'acqua gelata: non è forse vero Elisa? - Io battei le mani ridendo. Mia cugina si alzò indignata: Carletto, con una gamba sopra l'altra, si dondolava mandando in aria con grazia il fumo della sigaretta. È un orrore! - esclamò l' Elisa. - Credete di far dello spirito, e non capite che vi rendete ridicoli col vostro puritanismo. È un'affettazione!... Dammi un po' di fuoco, Carletto.... - e si chinò su lui ad accendere la sigaretta. - Di un gio-vane disinvolto e spigliato che accavalla le gambe perchè così gli piace, voi me ne avete fatto uno sciocco, tutto affettazioni e tutto pose! Dio mio! ora non si bada più a certe stupide etichette! - Carletto rideva con indolenza. - Mi piace di veder con che calore te la pigli! Si direbbe che tu sia un giovane ammodo. Impara da me, cara Elisa: non vedi come son tranquillo? Ho visto partire la sassata e sono rimasto fermo al mio posto. - Filippo se n'andò nell'altro angolo della sala a discorrere con miss Jane. - M' ha fatto dispetto, ecco! - conti-nuò l' Elisa stizzita come una bambina. - Per me, lo confesso un giovane come il suo giovane ammodo mi piace! Lo trovo franco, svelto: sono sicura che il suo carattere è pieno di slancio e di sincerità. Mi par che tutti dovrebbero essere così, in questi tempi di libertà. Sbaglio? ma un giovane come quella doccia di Filippo...! - Ah, ah! quella doccia! - esclamò Carletto. - Non t' è parso di veder il Rinaldi col suo fare stecchito? - È vero! - rispose l' Elisa. - Conny, ammetterai almeno che il Rinaldi è terribilmente pesante! - Ha però un bel carattere - dissi. - Che cosa importa, quando non sa essere piacevole? - Mi pare che sia un gentiluomo per- fetto, Elisa! Per me t'assicuro che preferisco mille volte Rinaldi al Sanmarano. Con Sanmarano ci si diverte forse per dieci minuti, ma non interessa punto. In ogni suo discorso c' entra l'io, e questo benedetto io dice e fa le più strane cose; tutte le avventure più curiose accadono a lui, egli sa sempre tutte le novità più palpitanti come dice la zia. È un uomo fortunato, via! - Carletto si mise a ridere. - Non gli si può negare, - disse - che non abbia un' immaginazione fervidissima e una loquacità sorprendente. Ho una gran paura, però, che quelle storielle abbiano già fatto il giro del Fliegende Blätter e del Mondo umoristico. - E quelle freddure che una non aspetta l'altra! Mi par che delle parole succeda nella sua testa come dei bussolotti nelle mani di un prestidigitatore. Voi gli date un anello ed egli vi restituisce un ovo. È una cosa che stupisce e che fa ridere, non c' è che dire! Conclusione, - aggiunse Filippo riavvicinandosi - egli è un amabile chiacchierone, che tutti accolgono con festa e colmano di cortesie. - Non tutti, non tutti; - corressi io sorridendo - vi è chi rimpiange che il coraggio di trovar un secondo fine a una buona azione ci sia sempre, ma non quello di svergognare uno sciocco orgoglioso. - Elisa, allungata in una poltrona, disse con aria stanca: - Come si capisce benino che stai molto con mio marito. Hai preso tutto il suo fare di predicatore. - Davvero? me ne vanto! - esclamai allegramente, e corsi a fare il tè. In quella Carletto si alzò, dicendo che aveva un appuntamento al Club e salutò tutti: poi si avvicinò a me, ch' ero ritta accanto alla tavola, poco lontana dall' uscio. - Non pigli una tazza di tè ? - gli dissi. Grazie; no, - mi rispose serio, troppo serio e mi stese la mano senza parlare, guardandomi fisso negli occhi, con un' espressione strana. - Buona sera - dissi un po' confusa. Egli s' inchinò, fece un passo verso l' uscio, poi tornò; mi prese di nuovo la mano e disse a voce bassa, serio, quasi severo: - Conny, tu sei ancora una bambina. Non t'offendere.... Aspetta a giudicare la società: vivi ancora un pochino. Di qui a qualche anno ci riparleremo: allora le tue teorie saranno meno contraddicenti: allora mi dirai che i partiti eclusivi sono ingiusti, ma mi mostrerai anche col fatto che sai quello che dici. Allora ti sarai persuasa cara Conny, che a questo mondo non c' è nessuno che sia buono sotto tutti i rapporti, nè completamente cattivo. Credimi: serietà e leggerezza sono confuse più o meno insieme, e spesso le debolezze e i piccoli difetti non sono che una nebbia che nascondono le grandi e belle qualità. Mi credi?... lo tentai di parlare, ma non ci riuscii: un senso indefinito di soggezione m' invase tutta. Soggezione di mio cugino Carletto? di lui al quale avevo parlato con tanta arditezza, e che avevo guardato anche un momento prima con tanto disprezzo! No, no: sollevai la testa, sorrisi: ma le labbra mi tremavano e non potei staccare gli occhi dalla sua cravatta. - Mi credi? - ripetè egli con quella sua voce lenta, sommessa e dolce. Il suo alito caldo mi passava sulla fronte: la sua mano morbida stringeva la mia. Un brivido mi corse da capo a piedi. - Si, si! mi pareva che mi si ripetesse in fondo all' anima. Ma alzai gli occhi, li fissai in quelli di lui.... - No, - risposi, e risi: ma la risata mi si strozzò in gola. ............... Quando presentai la tazza di tè a Filippo, non lo guardai, ma sentivo fissi su me quei suoi occhi rotondi e sporgenti. - Conny, lascia che veda, - mi disse. - Che cosa - dimandai alzando la testa. - Ho già visto - mi rispose. - Ma che? non capisco, Filippo. - Il primo sintomo di una malattia: ma non mi spavento: sei robusta, sei forte. Son di quelle malattie che risanano una costituzione come la tua. - Tentai di sorridere. - Ma se sto bellone! l'assicuro! - Davvero? sei proprio la Conny di cinque minuti fa? calma, allegra.... - Ma si, Filippo; sono sempre la sua donnina forte! - E sollevai il viso; ma vidi nello specchio di contro ch' esso era pallido di inquietudine. *** La sera di Santo Stefano l' Elisa doveva passare a prendermi colla carrozza per andare alla Scala. Perchè ero così inquieta e mi occupavo tanto di quella benedetta camelia bianca che mi faceva un corno sulla testa? Non ero io la Conny? la famosa Conny che ha suscitato, - me lo ha detto la zia - una discussione in casa T*** per decidere se sia coquette o ingenua: se nel suo modo di vestire semplice e severo ci sia dello studio e una posa di classicismo, o invece mancanza di vanità? Davvero, che se dovessi rispondere io, sarei un pochino imbarazzata. Vanità? Che cos'è? Mi par che in questo caso s' intenda una puerile preoccupazione di ornarsi di fronzoli; la parola stessa lo dice, e un ricorrere a cose vuote e leggiere per piacere altrui. No, no, io non sono vanitosa. Quando mi vesto io non penso agli altri: non faccio che contentare il mio occhio, e siccome a me piacciono i contorni decisi, le linee nette, non ho mai sopra di me nè tulle, nè nastri. Certe testoline tutte fiori e spilloni, mi han qualcosa di raffazzonato, di non ben definito che (sono io forse un'originale) mi fa dubitare del carattere della signora. È barocco infine, e il barocco in arte non mi piace. Sentii una scampanellata. - She here is - e miss Jane mi buttò sulle spalle il mantello. Sull'uscio m' incontrai in Carletto; come fui sciocca di arrossire! - Addio, Conny, - mi disse respirando a fatica per la corsa fatta su per le scale: il suo viso era pallido e negli occhi grandi, castani e profondi, v'era un velo di tristezza. È un fatto ch'egli è uno dei più bei giovani ch' io conosca: in quella sera la sua testa piccola e bionda risaltava stupendamente su quel largo bavero di lontra. M'offerse il braccio senza parlare, e scendemmo. - Sei troppo gentile, dissi tentando di dar alla mia voce un tono di ironia. - Incomodarsi per una signorina! Egli si volse a guardarmi, poi posò la mano sulla mia ch'era appoggiata al suo braccio, e disse con un suono di voce che mi turbò: - Conny, io mi sono riconciliato colla signorina; ora tu, buona e intelligente, non devi ostinarti, per puntiglio, nella tua.... via! nella tua antipatia per il giovane.... ammodo. Ma in quella la vocina allegra dell' Elisa l' interruppe. - Siete qui? che cosa hai detto, Conny? - Non è strano...? - continuò mentre salivo in carrozza - Gian Carlo che di solito se ne sta al caffè Cova ad aspettarci, e viene per compiacenza nell'atrio del teatro quando ci vede arrivare.... - e rideva. Sprofondata nell'angolo oscuro della carrozza, io vedevo brillare davanti a me gli occhi di Carletto, che cercavano i miei. Si entrò al teatro: lo spettacolo era già incominciato e la musica assorbi tutta la mia attenzione: non vedevo e non sentivo altro; nemmeno le chiacchiere incensanti di mia cugina. Quando l' atto finì, battei le mani. - Cara Conny, non usa più di star così attente allo spettacolo, - disse l'Elisa ridendo. - Lo so; ma sai che io non bado a ciò che usa. Sono venuta in teatro per il Don Carlo, non.... - Per don Carletto? - domandò il conte Rinaldi con la sua imperturbabile serietà, e si alzò per salutarmi. Non l' avevo veduto nè sentito entrare. Mia cugina rise: e Carletto mi guardò con un' espressione seria. Io arrossii, ma dissi stendendo la mano al Rinaldi: - Oh! non per don Carletto. - In quel punto mi sentii fissata, e mi voltai istintivamente. Era una signorina nel palco di casa Borromeo la quale abbassò subito il canocchiale, e due grandi occhi neri si fissarono ne' miei con un' espressione cupa e nello stesso tempo così fredda, che mi strinse il cuore. Era bruna, pallida, bellissima: vestiva un abito di crespo bianco scollato senz'altro ornamento che una crocetta d' oro ap-pesa a una catenella. Mi domandai perchè aveva quella posizione strana; pareva che colle spalle si puntasse allo schienale della sedia: il suo seno si sollevava e s'abbassava, e le braccia allungate, colle mani unite che tenevano stretto il binoccolo, sembravano rigide come di marmo. - Carletto, - dissi - chi c' è nel palco di casa Borromeo? - Non li conosco - mi rispose senza guardare, e stava per avviare un discorso con Rinaidi, ma questi disse forte rispondendo alla domanda fatta da me a mio cugino: - È la signorina De Lami con sua madre e suo fratello. - Ah, è vero! - disse Carletto - non li avevo riconosciuti. - I De Lami di Piacenza? - chiesi io. - Sì, - mi rispose il Rinaldi - ma da poco più di un anno stabiliti a Milano, perchè vi hanno qui la figliuola maggiore che ha sposato il Marenzi. - È quella bella signorina di cui tu, Elisa, mi hai parlato con tanto entusiasmo quest' estate? - Io?... è vero; ma ha un' espressione antipatica. C' è qualcosa di maligno in quegli occhi scuri, non è vero Rinaldi? - Non mi pare - rispose egli serio. - Ci trovo solo una grande alterezza, - dissi io. - Gira intorno gli occhi in un modo che par che dica: " Mi degno !... - Ma nello stesso tempo più la guardo, e più mi piace. Sai che effetto mi fa? che abbia un gran dolore e che voglia nasconderlo. - Carletto si alzò ridendo. - Badate, Rinaldi! - esclamò - mia cugina vede romanzi dappertutto. Dimandatele che cosa pensa di voi: sentirete che intreccio! - Poi s' inchinò ed aggiunse: - Se permettete, vado a far una visitina a donna Giulia, - e usci ridendo sempre. Sul viso lungo e sbiadito del conte Rinaldi non apparve un sorriso, e disse lentamente, con serietà: - Questa volta io credo che donna Conny abbia ragione. La signorina De Lami pare anche a me una bella statua del dolore. Ah, ah! mi fate ridere! - esclamò l' Elisa allegramente. - Peccato che Gian Carlo sia andato via: lui vi può dire com'è simpatica la vostra signorina De Lami! E poi bisogna esser ciechi, caro Rinaldi. Mi pare che le si veda chiaro negli occhi ch' ella ha un' anima cattiva. Gian Carlo mi diceva che di tutte le cose ella vede subito il lato brutto. Guarda Conny come è pettinata male la Maria. Dunque dicevo che piglia tutto in cattiva parte, e vede in ogni azione un secondo fine: insomma è invidiosa e permalosa peggio di una zittellona. - Ella la conosce intimamente, contessa? - dimandò il Rinaldi. Mi trovai coi De Lami la scorsa estate a San Bernardino, e quindi posso dire di conoscerla appena di vista, ma mio fratello è amico dei Marenzi, e credo che abbia conosciuto in casa loro la signorina De Lami, la quale è sorella di Lucia Marenzi. - Oh! Carletto ha frequentato molto anche la casa della signorina.... - replicò il Rinaldi. Davvero che quel suo tono di voce sempre uguale, e quel suo viso freddo e immobile, cominciava a irritarmi anche me. Ella mi diede un' occhiata che voleva dire: - Dio mio: com' è pedante! - Ma intanto entrò il tenente Alfieri, e il Rinaldi venne a sedersi vicino a me. Cominciò il secondo atto: i miei occhi si fissarono sulla scena, e per quanto mi sforzassi non riuscii a concentrare la mia attenzione nella musica. Vedevo laggiù il viso pallido e severo della signorina De Lami, poi fra mia cugina e il tenente s'era intavolata una di quelle conversazioni leggiere, maldicenti e pettegole, che mi seccano tanto e mi metton i nervi sottosopra. Mi par una viltà indegna di persone che pretendono di essere educate e oneste. Mia cugina è di quelle che giudicano in bene o in male secondo ciò che sentono raccontare o riferire in società, fra un piccolo gruppo di conoscenti, e non pensano che quasi sempre il male che si dice è una calunnia, o, per lo meno, un' esagerazione. lo mi misi a discorrere col conte Rinaldi. Egli non è punto bello, è troppo alto e troppo angoloso. La sua lunga figura, quando appare nel vano di un uscio, mi par un ritratto antico nella sua cornice: e, non so perchè, quando l' ho vicino mi par di sentire quell'odore di carte vecchie e di muffa che c'è nella nostra biblioteca di campagna. Io credo ch' egli viva fuori di questo mondo, in un mondo tutto ideale; è un originale, e forse, anzi, certo per questo, mi piace. Parla poco e lento, ma la sua parola è sempre gentile, convincente e utile come dice ridendo l'Elisa. È letterato e archeologo, e scrive qualche volta dei serii articoli nella Nuova Antologia o nella Rassegna Nazionale che tutte le signore leggono, ma non capiscono, e di cui, naturalmente, gli fanno le congratulazioni e gli elogi più intelligenti. Il suo babbo è membro della Consulta Archeologica, non c' è da stupirsi quindi ch' io abbia una spruzzatura storico-artistica nella mia testa, che mi vien buona nelle mie conversazioni col conte Rinaldi. Ho detto conversazioni, ma veramente, io, così chiacchierona nell' intimità, in società parlo pochissimo, ed è uno de' miei più grandi piaceri quello di trovarmi a quattr' occhi con chi ne sa più di me per poter ascoltare senza che nessuno interrompa, e abbandonarmi al godimento d' imparar cose nuove, e molte volte anche a quello, un po' maligno, di scrutare e tentar di toccare il fondo alla coltura degli altri. Ma non era a quella di Rinaldi che si potesse veder facilmente il fondo. Quella sera egli era insolitamente eloquente, e descrivendomi certi oggetti scoperti negli scavi delle antiche mura di Milano m' interessò tanto da farmi dimenticare la musica. Ma a un tratto s' interruppe chiedendone scusa. - Lei ascolta in un modo da dar l' illusione che si stia raccontandole cose molto interessanti - disse inchinandosi senza guardarmi. lo l' assicurai che m' aveva realmente divertita ed egli rispose sempre senza guardarmi: - Che ella sia una signorina un po' diversa dalle altre è facile a capirsi, ma che si debba divertire a questi studi, via, sarebbe troppo.... originale. - Non me Io ripeta, conte, perchè forse sarebbe il modo d' invogliarmi a mettermici sul serio, sa? - Egli alzò gli occhi finalmente, e disse colla voce più piana: - Se fosse vero, che si potesse avere ancora la dama colta e seria! l' antica gentildonna che ha l' orgoglio della propria onestà e del proprio nome, che mette la famiglia e gli studi avanti a tutto, e riunisce intorno al marito e ai figliuoli tutto ciò che la coltura, la cortesia, l'onestà, ha di più eletto! Di queste signore - aggiunse - io ne ho trovate parecchie in provincia: ne conosco a Ferrara, a Ravenna, a Bologna, a Perugia, nel Friuli... Ma nelle grandi città com' è difficile d' incontrarne! La signora è portata via, di voglia o controvoglia, dal turbine delle occupazioni mondane, e non ha più tempo di esser seria. - E meno egoista.... - dissi io ridendo. - Da noi le signore si prodigano e non hanno tempo di pensare a sè. Bisogna aver pietà di loro, conte. - In quel frattempo mia cugina si alzò. - Aspetta un momento, - disse Carletto ch' era rientrato in quel punto. - Conny desidera certo di rimanere sino alla fine. - Oh no, andiamo, andiamo pure - risposi. Mentre Carletto mi metteva sulle spalle il mantello, vidi che nel palco di casa Borromeo non c' era più nessuno. - Vorrei incontrarmi sulle scale con lei - pensai, e uscimmo. Arrivate nel corridoio della prima fila vidi venire verso di noi la signorina. Alta, portava la testa con fierezza, e dietro a lei una signora attempata camminava adagio, sostenuta da un giovinotto. Mio cugino, che mi dava il braccio, si fermò bruscamente, voltandosi a dimandare a sua sorella se voleva passare dal Cova per prendere un tè. lo guardavo la famiglia De Lami. Vidi il giovane rialzare la fronte, e sopra le nostre teste, passò, come una palla di fucile, il lampo orgoglioso dei suoi grandi occhi neri. La signorina ci passò dinanzi e scese lentamente cogli occhi fissi avanti a sè, bianca e fredda come una statua di marmo. Mi voltai al conte Rinaldi che mi era vicino e gli dissi piano: - Forse hanno ragione i miei cugini. C'è in lei qualcosa che allontana. Non le pare? - No: mi pare invece che dovrebbe avere tutta la simpatia di una persona come lei. - Perchè? - Non so se Rinaldi rispose: un senso indefinibile di tristezza m' invase all' improvviso; Carletto a cui davo il braccio, chiacchierava con sua sorella e col tenente, ma sentivo il suo braccio avvicinarsi sempre più al suo petto e mi sembrò di sentir battere il suo cuore sotto la mia mano. Un momento che fummo sospinti dalla folla nell'atrio, la sua mano carezzò la mia, e la sua voce mi chiese sommesso, con un' inflessione dolcissima come se dicesse parole affettuose: - Sei stanca ? - Le idee mi turbinarono, e il cuore, non so perchè, mi battè con violenza. Feci cenno di no, senza guardarlo. Si arrivò alla carrozza, io salii e mia cugina dopo di me. Carletto si scusò, dolente di non poterci accompagnare. - Ma dove hai la testa, Conny? mi disse l' Elisa. - Non senti che il Rinaldi ti saluta?- lo sporsi la mano dallo sportello e soltanto quando me la sentii stretta dalla mano lunga e magra del conte, mi riscossi e mi risvegliai come se avessi sognato. *** Non ho mai capito perché Filippo abbia sposata mia cugina Elisa. Lui ha cinquant'anni e lei trenta: lui è brutto e lei bellissima. Lui ama.... veramente non so che cosa ami: fa insomma una vita quieta, regolata: la casa e il Cova: il Cova e la casa: la Perseveranza e la Revue de deux Mondes, la Revue e la Perseveranza, e sempre così. Cioè, mi dimenticavo di mettere, dopo il Cova, la mia poltroncina rossa. Lei è elegantissima, vivacissima, e per star bene, dice, ha bisogno di moto, di visite, di teatri e di balli. Marito e moglie non si vedono dunque che a tavola. Ma è ammodo anche questo, lo sapete. Dunque Filippo viene spesso da me: soprattutto quando il babbo è a Roma. Egli.... ha! ecco trovato chi ama! Ama me! in un modo un po' brusco, ma che, forse appunto per questo, mi piace, mi commove e m' ispira tutta la fiducia. Credo che abbia ragione l' Elisa, la quale dice che un po' del mio carattere sincero.... e del mio fare franco I' ho preso da lui; il mondo lo conosco perchè lui me l' ha descritto, e siccome lui, in fatto di società, è molto scettico, io... ma voi sapete già come la penso io. Filippo dice che non c' è nessun angolo di salotto più simpatico e comodo del mio: ed io ogni tanto gli facevo la sorpresa di una nuova comodità: oggi era il tavolino da fumare accanto alla sua poltroncina rossa: domani era un paralume, un' altra volta un libro uscito di fresco. Le prime volte quasi si offendeva : mi diceva che lo avvezzavo male, che lui voleva servir me e non esser servito, che lui è de' tempi passati, quando era una villania il fumar sul viso alle signore e lo sdraiarsi nelle poltrone.... Da due settimane non lo vedevo. Una mattina, verso mezzogiorno, egli entrò nel mio salotto: io mi ero appena alzata, perchè avevo ballato tutta la notte in casa S***. Non so perché rimasi confusa a vederlo e non trovassi modo di avviare un discorso. Egli fece i suoi inchini forse con maggior gravità del solito: aspettò che gli dicessi di sedere, ringraziò, si sedette e mi fece i suoi complimenti per il furore che avevo destato in casa S***. Glielo aveva detto sua moglie, e un amico che aveva trovato quella mattina al caffè Cova. Ma ad un tratto mi domandò: - Sei in collera Conny? - In collera! no; - risposi - perché dovrei essere in collera? - e sorrisi. - Davvero?... È però molto tempo che non ci vediamo: lo sai? - Oh certo! ma di chi è la colpa se non di chi non viene a trovarmi? - Egli si chinò per guardarmi negli occhi. Perché io non li alzai, non gli lasciai leggere che cosa passava nel mio sguardo? - Senti, cara ragazza: parliamo un pochino sul serio, eh? Abbiamo forse finora parlato per ridere? - Egli mi prese una mano: - Conny, Conny: non tentar di scherzare quando non ne hai voglia! Tu non sei buona di fingere. Mi vuoi ascoltare? - Ma si figuri! - Vi fu un momento di silenzio. Conny, - disse finalmente - il tuo babbo è lontano, ed io mi credo quasi in dovere di pigliare il suo posto: io, il solo, ricordatelo! il solo e vero amico che tu abbia. Oh, ti prego, non buttarti anche tu in quella vita leggiera che ha per iscopo gli abbigliamenti e le feste. È un pericolo, sai! Una donna è raro che si conservi buona in società. Si vede ammirata, corteggiata e finisce per concentrar tutto in sè, per non occuparsi che di sè, e la sua mente si rimpiccolisce e il suo cuore si raffredda. - Oh, a me pare che saprò essere sempre buona, Filippo! - dissi. - Eh, eh! sicura come sarai di piacere, non penserai ad amare. La tua bellezza e i tuoi successi ti terranno luogo di tutte le gioie più sante e più care! - Io sollevai la testa: tutto il sangue m' era salito al viso. - Filippo! - dissi con una voce che tremava di sdegno e di dolore. - La mia vita tranquilla fra il babbo e lei, in mezzo ai miei libri, è stata troppo bella perchè io vi voglia rinunciare. Voi mi avete detto e ripetuto troppo che sono buona, che sono colta, che sono una donnina forte, perchè io lo possa dimenticare, per il piacere di sentirmi dire che sono bella! Lei poi, Filippo, ha fatto di tutto per instillar qui dentro delle idee sode e serie, e un briciolo di quel buon senso che in tanti casi della vita, dicono, val più dell' ingegno.... Filippo, Filippo! se c' è una persona che non deve dubitare di me, è lei! - mi copersi il viso colle mani dando in uno scoppio di pianto. Vi fu un po' di silenzio: la mano larga di Filippo passò e ripassò sulla mia testa, e finalmente mi disse colla voce tremante: - Guarda, figliuola! non puoi credere che piacere è per me questo tuo scoppio di sdegno. Mi fidavo di te: sapevo che nessuno al mondo avrebbe potuto mutare quel tuo cuore così lealmente buono: ma avevo bisogno che tu me lo dicessi: e se t' ho offesa è stato per provocare questo sfogo più che per altro, Conny. Per te io metterei la mano sul fuoco: ma non vorrei che tu, per esser brava, dovessi soffrire e far sacrifici. Vorrei vederti amata come lo meriti, da un uomo serio, buono, che conoscesse tutta la tua anima come la conosciamo tuo padre ed io.... Tu, cara Conny col tuo spirito d'osservazione e la tua superiorità, riesci sempre a scoprire tutte le debolezze delle persone che ti circondano: ma sei ancora troppo giovane, e il tuo cuore è troppo buono e la tua mente è troppo serena, perchè tu non possa nemmeno sospettare certe colpe e certe ipocrisie. Povera la mia donnina! tu mi guardi spaventata.... Oh, ma verrà pur troppo il giorno in cui conoscerai che cos' è la società, e diventerai scettica anche tu. - Si alzò. Io singhiozzai. - Le mie parole ti hanno fatto male figliuola, - mi disse accarezzandomi i capelli - ma ti faranno pensare, ed è quello ch' io voglio. Non t' ho detto tutto, ma tu capirai anche quello che ho taciuto.... Oh, credi! è bene che una parola seria venga a scotere in mezzo agli svaghi e alle emozioni dei giorni felici.... - Quando alzai la testa ero sola nel mio salotto. Provai come uno spavento.... - Oh, si: è bene: ma è però doloroso! - esclamai con un singhiozzo. *** C' era stato l'ultimo ballo di carnevale, m'ero alzata tardi, stavo pensando che cosa avrei dovuto fare in quella giornata, quando entrò mia cugina. - Buon giorno Conny, come stai ? Sei Stanca ? Dio mio, che freddo! - Tirò una poltrona vicino alla bocca del calorifero e vi si rannicchiò mettendosi il manicotto sul viso. - Sono venuta a piedi, lo sai? Che gelo! - e picchiava i piedi sul pavimento. - Pensa! il mio cocchiere stanotte s' è pigliato un raffreddore! Dica quel che vuole mio marito, ma un cocchiere che ha il petto delicato più di una signora io non lo tengo! - Gli hai detto di venire a prenderci alle tre, e invece siam rimaste fino alle sei. Ne avrà certo pigliato del freddo! - dissi io. - Non si va a fare il cocchiere quando non si può sopportarlo. Ma vuoi ridere, Conny?... Figurati che Filippo avrebbe voluto che si mettesse la pelliccia come il servitore! Il cocchiere che è stato là sotto la pioggia tutte quelle ore. Dio sa come l'avrebbe conciata! " O tutt' e due o nessuno; - mi diceva. Lui non pensa che Gaetano deve venir nell' anticamera ad accompagnarci e a prenderci. Che bella figura avrebbe fatto senza pelliccia, in mezzo alle stupende pellegrine di martora di casa Turati e di casa Ponti! - Ah! ma vedi, Elisa! Filippo ha delle ingenuità strane: lui credeva che le pellicce fossero fatte per tener caldo, e che il cocchiere, che doveva star fuori allo scoperto tre ore ad una temperatura di otto gradi sotto lo zero, ne avesse bisogno più del domestico. - L' Elisa mi guardava con un'aria desolata. - Oh, Conny! ti prego.... - supplicò colla sua voce dolce di bambina. - Non ridiventare quella brutta e antipatica Conny di una volta ! - balzò in piedi, e mi buttò un braccio al collo. lo risi e la baciai sulla punta del suo nasino che pareva si fosse voltata in su allora allora, per guardarmi anch' essa e dirmi: -Son carina, non è vero? - Elisa, tu mi hai affascinata: finirai col farmi diventare una donna indolente.... e poco seria come te! - Poco seria! - esclamò scandalizzata. - Conny! come sei cattiva! Vedi, mi vuoi far credere che sono io che t' ho affascinata! ma sei invece tu, più alta, più istruita, e, via.... più seria di me, che colle tue dita lunghe mi avvoltoli e mi fai girare e mi strapazzi come ti piace. Oh, non ti guardo più, va'! - E tornò a sedere nella sua poltrona coi piedi contro la bocca della stufa. - Io presi una seggiola e mi sedetti dietro di lei, voltandole le spalle. - Eppure - dissi calma calma - scommetterei qualunque cosa che ora tu mi fai attaccar i cavalli per forza, e mi conduci dove tu vuoi. - Una risatina allegra e un colpetto della sua testa contro la mia, accolse le mie parole: poi ella arrovesciò le braccia e mi prese per gli orecchi. - Ah, sei la più furba, la più intelligente creatura del mondo! Sei un tesoro, ecco! - Grazie, grazie! ma mi fai male! - Ella rideva ch' era un piacere a sentirla, poi si volse, s' inginocchiò sulla sua poltrona e mi arrovesciò la testa. - Li fai attaccare, non è vero! - mi chiese con una voce supplichevole. - Che cosa ? - I cavalli. Sì, sì! falli attaccare, andiamo insieme a far tre o quattro visite che so già di non trovare; poi andiamo sui bastioni. Mettiti il tuo vestitino corto: dopo scendiamo e facciamo un giro a piedi. Va bene, Conny? dimmi di sì dunque! - E s' io volessi dir di no? Non sei buona. - Eppure.... - Oh Conny, Conny! non essere scortese! - e mi stampò un gran bacio sulla fronte. Chi avrebbe resistito? Ordinai che attaccassero. Mentre mi vestivo, l' Elisa, seduta alla mia toeletta si accomadava il cappellino. - Sai ? - diceva - la mamma stamattina è venuta a trovarmi. Era ansiosa di sapere com' era andata la festa: aveva però incontrato l'Antonietta e sapeva già di quel cotillon così poco spiritoso. Le ho detto dell' orribile abito dell' Emma! N' è rimasta sorpresa anche lei.... Ti pare che mi stia bene questo cappellino, Conny?.... Senti: le ho detto del tuo successone: ne è stata felicissima: se non isbaglio s' è riconciliata con te. Non te ne sei accorta? - lo stavo per rispondere, ma ella continuò: - Ah, sai? Gian Carlo mi ha tormentata per sapere dove si andava; non volevo dirglielo: finii col dargli ad intendere che si andrà sui bastioni nell'ora che non c' è nessuno, poi si sarebbe finite al Cova a mangiare una tartina. Ma scommetto che riesce a trovarci ugualmente quel matto: vedrai! - Conny! - mi dimandò a un tratto mentre si strappava un pelo che le spuntava ostinato da un piccolo nèo, e arricciava il naso per il dolore. - Ahi! che peccato! mi s' è rotto senza strapparsi: Senti dunque.... Che cosa ti dicevo? - Nulla. - Ma sì: ti ho domandato se ti piace mio fratello. - Mi provai a ridere, ma non ci riuscii. - Che domanda originale! - dissi. - Oh Dio mio! che cosa c' è? Ti fa la corte, tutti se ne sono accorti: e niente di più naturale che egli ti sia simpatico. Che occhi, non è vero? e poi quei denti! È tutto bello!... Ma che creatura fredda, Dio mio! mi fai stizza, Conny! Di' dunque ti piace? - Non so. - Non lo sai ?! - e picchiò il piede sul pavimento con stizza. - Non lo meriti davvero. Se non credessi di dargli un dispiacere, glielo direi, guarda! - Ah! ah! dispiacere? - e misi in furia la veletta sul viso perchè ella non potesse vedere come avevo arrossito. - Ma sì; non ho mai visto mio fratello così entusiasta di una signorina. Una volta non si degnava nemmeno di guardarle.... Oh ecco un altro pelo! qua! ma t'assicuro, Conny, che mi vien la barba! - Diedi in una risata più rumorosa e prolungata di quel che fosse necessario, sperando di concentrare tutta la sua attenzione nella barba. - Dirò a Filippo di far un baraccone a Porta Genova e di farti vedere al pubblico. Avanti, avanti signori! qui si vede una donna non mai veduta! che ha la barba vera come un uomo! A chi non ci vuol credere è permesso di tirarla! - Eravamo già in carrozza e si rideva ancora come due bambine. *** Si andò a far tre visite : cioè a lasciare i nostri biglietti, perchè non c' era nessuno in casa; ma donna Beppina c' era e ne fui contenta perchè la stimo tanto. Entrammo quasi insieme con una bella signora elegantissima, grassotta, che aveva un viso aperto e due grandi occhi chiari pieni di sincerità e di allegria. - Chi è? - domandai all' Elisa. - Non lo so - mi rispose; e visto che non è più di moda far le presentazioni, dovetti tenermi la mia curiosità. V' erano altre signore, ed esaurito il discorso del teatro, del ballo di casa S*** e del concerto del Quartetto; quella signora disse: - Hai sentito Beppina, della povera Clara? - La sua fisonomia era così serena, anzi così gioconda, che quella povera Clara non impietosì nessuno. Ma vidi donna Beppina farsi subitamente seria, e mi colpì il tono un po' asciutto della sua risposta, come se quel discorso non le andasse a genio. - Sì, disse - è venuta a salutarmi ieri. Povera Clara, oggi ha trovato un conforto. - E si alzò dicendo: Fa un po' caldo, qui dentro. Non è vero? - e andò a chiudere la bocca della stufa; poi chiamò l' Elisa per mostrarle dei ritratti che c'erano sul tavolino. Intanto il discorso della povera Clara continuava intorno a me. - Che colpo è stato per me! - diceva una signora piccolina, tutta esclamazioni tragiche. È venuta la settimana passata a farmi visita con sua madre; aveva un abito che le stava a pennello.... chi avrebbe detto che tre giorni dopo si sarebbe fatta monaca! Che bella monaca col sóggolo bianco! - disse tranquillamente una terza signora. - In che convento è entrata? È partita per Troyes per fare il noviziato fra le Soeurs du Bon Secours. - Oh Dio mio! per curar malati poveri: e i feriti nelle guerre! ma possono mandarla nel Tonchino! - esclamò la signora piccolina, spalancando gli occhioni con terrore e stringendosi con un brivido le mani nel manicotto. Povera creatura! - disse con un sospiro la signora grassotta. - Oramai la sua vita era un tale tormento, che qualunque fatica materiale le riuscirà indifferente. Povera, povera Clara! - Ma perchè? - dimandò una terza signora - non si tratta di vocazione? - Oh signora! è tutto un triste dramma facile a indovinarsi. Non c' era proprio altra liberazione per lei, che d' andare a farsi monaca. Ma che rimorso oggi per sua sorella! - Come! Lucia Marenzi?! - Ma certo! non sapeva...? - lo ebbi un sussulto. Parlavano forse della signorina De Lami? In quel momento la padrona di casa tornò a noi con Elisa e si sedette di nuovo chiedendo con vivacità se sapevamo del fidanzamento di Paola Varenna. - Che! la Varenna? Ah era tempo! ormai come signorina era un po' matura, ma che bella marchesa sarà! eclisserà sua cugina. - Tutte s'interessarono di sapere come la cosa era accaduta, e la povera Clara era già dimenticata. Ma io non riuscivo a strappare il mio pensiero da lei. L'avevo vista una volta sola la sera di Santo Stefano alla Scala, ed era strano come fin d'allora mi aveva interessata quella pallida, altera figura che mi era parso, a ragione, che nascondesse un dolore. Provavo un' emozione che mi toglieva il respiro, pensando che mai più nella vita l'avrei incontrata, ch' ella era partita per il vasto mondo dove non avrebbe udito che lamenti e gemiti, dove non avrebbe visto che lagrime e piaghe, lei vissuta fino allora in mezzo alle agiatezze e alle eleganze. Mi pungeva una curiosità non mai pro-vata, di saperne di più, di conoscere tutta la storia di lei, e un momento che l' Elisa e le altre signore parlavano fra loro, con gran vivacità, del matrimonio di Paola, io dimandai alla signora grassotta che mi era vicina: - Scusi, signora, mi vuol dire se parlavano della signorina De Lami? - Precisamente. Non la conosce? - La conoscevo di vista, e mi era tanto simpatica. - Oh lo credo! se l'avesse poi conosciuta da vicino! un carattere, sa! colta, seria e nello stesso tempo così semplice nel suo modo di fare, e così piena d'entusiasmi e di fede! troppa fede! fu la sua disgrazia. Certe brutture le parevano impossibili fra persone educate. C' è chi dice ch' è stata una bimba e una sciocca a illudersi, ma noi amici abbiamo visto come ha saputo lui insinuarsi nel suo cuore. Io badavo ad aprir gli occhi a sua madre: " Voi non conoscete il marchese, - le dicevo " diffidate. - Ma erano appena venuti a Milano non avevano un' idea di questi sfaccendati eleganti, che non credono a nulla, non rispettano nulla e si stimano padroni del mondo. Il fatto è ch' ella fu presa per lui da una di quelle affezioni che sono la vita di una donna. E quando più supponeva d'essere amata e sua madre s'aspettava da un momento all'altro che egli le chiedessse di potersi dire fidanzato che è, che non è, la luce si fa, per lei prima che per gli altri; la sorella, quella maritata Marenzi.... Una brutta storia insomma! - Orribile.... - mormorai rabbrividendo. - Antonietta! - chiamò in quel momento la padrona di casa - permetti che faccia le presentazioni che ho dimenticate la contessa Elisa di*** che, sai, è figliuola della marchesa*** e sua cugina, donna Conny***. - Poi disse a noi. - La signora Gemmi, moglie del Senatore, una delle mie più buone amiche, una patronessa preziosa dei nostri Asili. - E sorrise respirando liberamente, ma non capì che non era arrivata a tempo. La signora Gemmi mi fissò co' suoi grandi occhi grigi, con un turbamento così visibile da accrescere il senso di malessere che quella triste storia mi aveva dato; poi a un tratto, non so come, fui colpita come un fulmine dalla percezione viva della verità, come se la cosa io l'avessi sempre sospettata, come se tutto fosse stato detto, come se un nome fosse stato pronunziato. Impallidii? non lo so: so che Elisa mi guardava con inquietudine. Dopo un minuto la Signora Gemmi si alzò e nel salutarmi mi strinse forte la mano guardandomi negli occhi; poi mi disse con una voce piena di bontà e quasi commossa: - Cara signorina, permetta che la baci. - E mi abbracciò stretta. Non ricordo come io sia uscita di là; so che mi trovai in carrozza cogli occhi sbarrati che non vedevano nulla. I polsi mi battevano, le orecchie mi sibillavano, un sudore freddo mi inumidiva il viso, e mi pareva che qualcosa si fosse spezzato in me. Una risatina di Elisa mi fece trasalire con uno spasimo. - Ah ah, se si dovesse credere a tutte le ciarle che si fanno in società! Tu non hai sentito Conny, quanti commenti e quante supposizioni buttate là con la sicurezza di fatti veri, a proposito del matrimonio di Paola Varenna! E tu, Conny, di che discorrevi con quella signora.... Oh Dio, ma come sei pallida, che cos'hai?... Era molto stupida quella signora.... come si chiama? non mi ricordo più. Dev' essere la moglie di un bottegaio arricchito, lo scommetterei! Un dolore intenso, improvviso ai cuore mi tolse il respiro e mi fece chiudere gli occhi. L'Elisa mi afferrò una mano spaventata. - Ma Conny, non capisco! si direbbe che ti sei turbata per la storia di quella Clara, come se.... Ah brava, mi avevi spaventata!... Senti dunque, cara: tu che ti dài le arie di donna forte, ti commovi di tutto. Mi fa ridere: scommetto che quella signora Gemma o Diamante, che sia, ti avrà raccontato che la Clara si fa monaca per una disillusione d'amore. Com' è poetico!... ma non è più di moda! Par il titolo di un romanzo di quarant'anni fa. L'ingenua tradita!... ah ah! Ma già, ha ragione mio fratello.... - Che cosa dice? - domandai colla voce dura. - Dice.... cioè diceva che le signorine come voi sono tante grullerelle, perché pigliate sul serio la cortesia più comune, e come una dichiarazione di amore una parola gentile. Vedete subito grande il doppio ogni cosa.... - Ah!... - In quel momento la carrozza si fermò: eravamo sui bastioni. - Che c' è?... - dimandò l' Elisa. - Il signor marchese - rispose il domestico. E allo sportello della carrozza apparve la figura elegante e bella di mio cugino. Il suo volto era raggiante di allegrezza. - Ah, ah! vi ci ho preso! Ma che cos'hai Conny? ti senti male!... Che cosa è accaduto? - disse spaventato, e tutta la sua fisonomia si rannuvolò. Mi pareva d'essere impietrita: immobile nel fondo della carrozza, con gli occhi fissi in quelli di lui, avrei voluto penetrare con lo sguardo fino in fondo alla sua anima. Egli passò dalla parte mia e mi prese le mani; io le ritirai con ispavento: - No! - dissi con voce rauca. - Ma che cos' hai? Conny! parla, oh parla! Mi vuoi far morire?! - il suo viso si era coperto di pallore. - Scendiamo, scendiamo! - disse con impazienza l' Elisa saltando a terra. - Egli ha qui il phaeton, non è vero? - dissi. - Potresti tornare a casa con lui. Conny.... scendi.... ti prego! - Perchè quella voce esercitava su me un fa- scino così irresistibile ? Perchè mi lasciai prendere le mani e scesi di carrozza e lasciai che mi guardasse negli occhi, e mi dicesse con quella sua voce sommessa e dolce che mi fa tremare: - Grazie! - Era una giornata fredda e nebbiosa dei primi di febbraio: sui bastioni non c' era anima viva. L' Elisa volle passare sul viale che guarda giù nella strada di circonvallazione per vedere il tranvai. lo camminavo come trasognata: Carletto mi prese la mano.... un brivido mi corse dalla testa ai piedi.... se la posò sul suo braccio. Egli rispondeva a tutte le domande curiose della sorella; e il suo braccio si stringeva sempre più al suo petto, come quella sera di Santo Stefano. Si arrivò sul ponte della barriera Principe Umberto: nessuno parlava; poco lontano scalpitavano i nostri cavalli: i tranvai e le vetture passavano rumorosamente sotto di noi, e nella stazione fischiavano e sbuffavano le locomotive. Tutto questo mi rimbombava nella testa dolorosamente. Carletto si appoggiò alla sbarra del ponte e mise una mano sulla mia perchè non la ritirassi; poi rivolse il viso verso di me, ch' ero rimasta ritta e immobile accanto a lui. Oh, no, no! non volevo guardarlo, non volevo essere guardata a quel modo! Mi parve di veder rizzarsi accanto a noi, cogli occhi neri e cupi la povera Clara e mi sfuggì un grido d'angoscia. - Non guardarmi così! ti odio! Conny! mia Conny! abbi pietà di me!... - E le sue labbra di fuoco si posarono sul polso gelato della mia mano. Non so che cosa sia accaduto. Mi ricordo solo, come in un sogno, che ero in carrozza e che mia cugina parlava, parlava, e io ascoltavo senza capire; due cavalli ci rasentarono come un fulmine ed io pensai: perché i miei cavalli non corrono? e mi prese un'ansietà, un' inquietudine affannosa, avrei voluto precipitarmi giù, per correre a casa a piedi, sola! Finalmente la carrozza entrò in casa; scesi e dissi al domestico: - Riconducete la signora Contessa a casa sua, - ed io salii lentamente la scala, entrai in casa, apersi l' uscio del mio salotto e trasalii. Egli era là, ritto davanti a me, pallido e serio. S' inchinò e mi stese tutt' e due le mani. lo m'appoggiai colle spalle al muro: non avevo più un filo di forza né di fiato. - Conny.... sono qui: dimmi perché mi odii. lo ti dirò poi, perché ti adoro. - Mi copersi il viso con le mani e singhiozzai senza piangere. - Oh, non posso, Carletto!... non posso! è una cosa così orribile!... Morirei se la dicessi! Va', va,! per amor di Dio!... Abbi pietà di te stesso se non vuoi averla di me.... Va'! ti risparmio una vergogna. - E rialzai la testa con disprezzo. L' uscio si aperse e entrò miss Jane che si fermò cogli occhi spalancati di spavento. lo le corsi incontro. Ella mi disse: - Don Emanuele è arrivato, lo sapete? m' ha fatto chiamare nello studio perché venissi a dirvi che desidera di par- larvi. - Mi volsi e dissi freddamente: - Addio Gian Carlo. - Egli s' inchinò ed uscì. *** Era uscito; era partito per sempre, lui! l' unico uomo che m'aveva parlato d'amore; quegli che mi adorava! Avevo io il diritto di condannare lui e me al dolore, senza una spiegazione, senza lasciargli modo di giustificarsi?... Dio! Dio! che cosa avevo fatto? In società si raccontano tante cose che non son vere: da cosa mi veniva la certezza che si trattasse di lui? Nessuno aveva pronunziato il suo nome. Oh no, non era possibile, non poteva esser vero! Mi lasciai cadere sul sofà, piangendo di disperazione. Chi mi salvava ora? Nessuno; nessuno avrebbe potuto restituirmi il suo amore, perchè io lo avevo insultato! e un uomo come lui non perdona un insulto! Lady Conny, che avete? - mi domandò miss Jane piangendo. - Nulla, sono una pazza, ecco cosa sono! - e mi alzai, mi asciugai gli occhi e mi guardai nello specchio. - Avete detto che è arrivato il babbo? - Sì, e vi cercava. - Ella corse a pigliare il fiocchetto della cipria: me lo passò sugli occhi e fece scomparire la traccia delle lacrime. - Ecco, milady: potete andare. - Entrai nello studio del babbo, ma mi fermai sulla soglia dell' uscio. Egli non era solo: ritto accanto a lui, davanti al camino, c' era il conte Rinaldi. Il babbo mi venne incontro: io gli buttai le braccia al collo e lo baciai con una commozione e una tenerezza tutta nuova: anch'egli m'accarezzò e mi baciò commosso, come se leggesse nella mia anima desolata. Ma poi il suo viso si illuminò di gioia. Mi prese per mano e mi disse con un sorriso: - È vero, Conny, che hai piacere che Rinaldi rimanga a pranzo da noi? Immagina ch'egli temeva di non essere nelle tue simpatie; gli riferii una certa conversazione del giorno di Natale. Conny disprezza i giovani ammodo, ma apprezza molto i giovani seri come Rinaldi. Non è forse vero? - Io lo ascoltavo trasognata, non trovando parole per rispondere. - Conny, il conte Rinaldi è venuto a prendermi a Roma: siamo ritornati un'ora fa insieme. - Credo che ne' miei occhi sia apparso come uno spavento, perché il babbo si chetò, guardandomi inquieto. Lui, il conte, ritto dietro una seggiola colle mani aggrappate alla spalliera, mi guardava col viso contratto d' emozione. Non sapevo bene perché, ma io fui presa da un tremito: non ancora rimessa dal profondo turbamento di pochi minuti prima, tentavo inutilmente di sorridere, di trovar la voce per parlare, di lottare contro un penoso presentimento che le parole del babbo e il contegno di Rinaldi mi avevano fatto sorgere nell' animo. - Conny, non ti senti bene? che cos'hai? - Ho preso freddo.... sui bastioni. Infatti non sto affatto bene, - e mi passai una mano sulla fronte, perché mi pareva che tutto girasse intorno a me. Rinaldi mi spinse una poltrona dietro. - Su, riscaldati un poco vicino al fuoco - Disse il babbo - vuoi che chiami miss Jane? - No, ti prego, sto bene qui. - Alzai il viso verso il Rinaldi ritto accanto a me, e ci guardammo. Lesse egli ne' miei occhi spauriti e supplichevoli? io lessi ne' suoi, pieni di un desolato dolore.... Restò a desinare con noi. Il babbo credette tutta la sera che io mi sentissi male, ma era assorto in una gran beatitudine, povero babbo, per le attenzioni affettuose di Rinaldi, che, senza mai guardarmi negli occhi, mai.... non si occupò di me, accorgendosi che non mangiavo, che ero presa da brividi: mi fece portare uno scialle, mi versò un bicchierino di bordeau insistendo perché lo bevessi, e poco dopo aver preso il caffè si alzò per andarsene, dicendo che io avevo bisogno di riposo. Si chinò sul sofà sul quale mi aveva fatto distendere: io gli ubbidivo colla docilità di una bambina: una bambina colpe-vole che ha molto da farsi perdonare. - Buona sera donna Conny, - mi disse forte; io gli stesi tutt' e due le mani, egli le prese, esitò, poi le baciò. - Mi perdoni, - mormorò pian piano con voce soffocata - il mio sogno era stato forse troppo ardito.... Non tèma: non ci tornerò più. - Io gli sfiorai colla punta delle dita i capelli, dicendo con filo di voce: - Che Dio la benedica! - Ed egli partì. *** Erano passati alcuni giorni: la zia e l' Elisa avevano chiesto di vedermi, ma io mi chiusi in camera, e miss Jane ebbe l'ordine di dire sempre a tutti che avevo un forte mal di capo e dormivo. Filippo non era mai venuto. Sapevo che la zia aveva avuto dei lunghi e vivaci colloqui col babbo, ma egli non mi diceva nulla, ed io, che il primo giorno gli avevo promesso di parlargli, ora non ne trovavo più il coraggio. Era una domenica, e uscii con lui per andare alla Messa. Sulla bottega della fruttaiola c' era il bambino: mi fermai a baciarlo. Era un pezzo che non lo salutavo più.... ora volevo tornare a tutte le abitudini di una volta. - Dove andiamo, babbo? non a San Francesco veh! c' è uno sfoggio di cappellini eleganti, e di libri da messa colle cifre.... non ci si prega bene. - Dove vuoi andare? - In cerca di qualche chiesina fuor di mano: dove non ci sia che qualche povera donnetta, e dove il prete abbia una pianeta scolorita da cui escano i fili d' oro! - Il babbo passò il mio braccio sotto il suo, e disse, incamminandosi a passo lesto verso il corso di Porta Venezia: - Brava la mia Conny, torna allegra come una volta: e intanto che siamo soli.... vuoi tu dirmi quel che mi avevi promesso? Vuoi tu spiegarmi.... - Si rannuvolò, e la sua voce divenne seria quando aggiunse: - È stato per me un gran dolore, non te lo posso nascondere, lo scoprire che il tuo cuore non aveva scelto Rinaldi, che mi pareva fatto per te; ma forse a ragione mia sorella: è un giovine troppo vecchio. Tu sei espansiva, allegra, ardente, e hai bisogno di un uomo che, non solo ti voglia bene, ma te lo dica.... Conny, non vuoi proprio confidarmi nulla? - Io respiravo a fatica: avevo un nodo alla gola, che m' impediva di parlare. Si camminò un poco in silenzio: il Corso era quasi deserto. Sperai che si entrasse nella chiesa di San Babila, ma invece si andò innanzi. - Conny, ieri sera sono andata da mia sorella: lo sai? - No, non me lo avevi detto. - Ho dovuto andar io.... perché c' era qualcuno che non voleva venir da me. - Mi sentii un colpo nel cuore. Perché il babbo me ne parlava? Non capiva che soffrivo? Egli continuò: - Qualcuno che non vuol rimettere il piede in casa nostra senza il permesso della signorina Conny: ma che ti prega, ti supplica, in nome di quello che hai di più caro, di dargli questo permesso: egli vuole una spiegazione.... di che? né io né sua madre siamo riusciti a saperlo. Dice che è un vostro segreto. Io mi fido di te, Conny... e di Carletto: per questo non ho insistito perchè tu parlassi. - Io mi ero accostato il manicotto sulla bocca per soffocare i singhiozzi. - Dio mio! perchè mi diceva tutte quelle cose, nella strada, in mezzo alla gente? Non sentiva che mi trascinavo a fatica, e che il respiro mi si faceva sempre più breve? - Conny: di' la verità: vi amate: di questo non ne dubito: vi siete bisticciati per qualche sciocchezza.... e a quest' ora tu sei pentita, povera la mia bambina!... Dunque appena ritornati a casa, gli scrivo che la signorina Conny permette al marchese Gian Carlo di venire a vederla. Che! piangi? - Sì, piangevo: piangevo perché avevo bisogno di sfogare tutto il dolore che mi aveva empito il cuore in quei giorni.... Che era accaduto? dunque una parola sola, la speranza del suo ritorno bastavano a fugare tutto il disprezzo ch' io avevo provato per lui? Come lo amavo! come lo amavo se mi avvilivo al punto da non credere a ciò che avevo sentito, e da esultare perch' egli mi amava. Sollevai la testa e sorrisi perché nel mio cuore non era rimasta che una gioia immensa che mi pareva un sogno. Eravamo arrivati quasi a Porta Venezia. - Ma dove si va, babbo? Qui non ci son più chiese! Se fossimo ai tempi dei Promessi Sposi direi che si va alla chiesa de' Cappuccini! Ma si svoltò in una via deserta, chiusa in fondo dal bastione, in via Borghetto. - Vedi quella porticina a destra?... - mi disse il babbo. Quella è una chiesina proprio come la vuoi tu: nuda e stretta. Vedrai che pulpito! par troppo piccolo per un uomo. - In quella, una voce allegra, ma che parlava un dialetto sguaiato, mi fece alzar la testa. Una ragazza elegante scendeva a salti dalla stradetta a zig-zag del bastione, e dietro a lei.... Sentii una imprecazione soffocata del babbo, e il suo braccio strinse il mio come per sostenermi. Tutti i miei nervi avevano sussultato con spasimo: ma fu un lampo: la testa mi si rizzò, e mi sembrò di essere diventata più alta e che tutta la mia anima si fosse ad un tratto mutata.... Dietro a lei scendeva, ridendo e chiacchierando, un bel giovane biondo, con un lungo cappotto chiaro. Ci vide, e il suo viso si coperse di pallore, poi diventò rosso come di fuoco: il mio sguardo tagliente come una lama gli deve essere penetrato fino in fondo al cuore. Il babbo spinse la porticina della chiesa: io lo seguii, ma prima di richiuderla mi voltai. La ragazza s' era appoggiata al braccio di lui, e mi passarono davanti: mio cugino si guardava la punta degli stivali. Ciao, Conny! - gridò ad un tratto la fanciulla. Mi sentii un tuffo nel sangue e la guardai cogli occhi scintillanti di sdegno e di ribrezzo. Era la Lisetta; quella mia compagna di scuola di cui mi aveva parlato la fruttaiuola. Mi parve che mio cugino trasalisse stupito, e certo respinse il braccio di lei. Ma ella vi s'aggrappò di nuovo dicendo forte: - Che stupida quella Conny! Siamo state compagne di scuola e finge di non conoscermi. - La porta si richiuse dietro di me e mi trovai in chiesa. M' inginocchiai: i miei occhi erano fissi a una candela che ardeva sull'altare, e quella fiammella agitandosi mi pareva che s'allargasse e formasse delle grandi stelle che m'abbagliavano: ma non pensai di guardar altrove. Una povera donna, inginocchiata vicino a me, diceva al suo bambino: - Di': Buon Dio, beneditemi, fatemi diventare un bravo giovane, sincero e onesto. - E nelle orecchie mi si ripeteva: " un bravo giovine sincero e onesto.... - E nella mente, fisso, questo pensiero: L'ho amato! l'ho amato! e mi chiusi il viso nelle mani con un senso doloroso di vergogna. *** Quando fui sulla soglia del mio salotto mi passai una mano sulla fronte. Non mi pareva vero d'esserci arrivata; mi pareva un gran pezzo ch'ero assente da casa mia, che non vivevo la mia vita tranquilla e felice. Filippo era seduto nella mia paltroncina rossa colla Revue fra le mani; si alzò spalancò serio e compassato, ma poi mi guardò, gli occhi e aperse le braccia. lo mi vi buttai singhiozzando. - Finalmente! - disse. - Ringrazia Iddio che ti sei svegliata in tempo.... domani sarebbe troppo tardi.... Povera figliuola! hai avuto il tuo momento di vertigine anche tu, forte e ragionevole. Era forse necessario: hai fatto la tua esperienza. - Io m'aggrappai stretta e convulsa al suo collo. - Non è stato a tempo Filippo; - disse il babbo con una voce soffocata dall'emozione - l' altro giorno ha rifiutato Rinaldi. Rinaldi! - esclamò Filippo con sorpresa, e le sue braccia mi strinsero, quasi con tremito. - Era il mio sogno - mormorò. - L' unico uomo che ti meritava. Emanuele, - disse poi con una voce ferma e forte, - ti giuro che io ho fatto di tutto per evitare alla tua figliuola questo dolore: ma non ho potuto! Nessuna donna sa resistere al fascino del suo sguardo; è lui stesso che lo ha detto una sera: l' ho sentito io, e so che ha fatto l'esperienza su parecchie signore della nostra società. Questa volta, è vero, aveva tutta l' intenzione di finire al municipio: il mese scorso ha perduto al gioco non so quanto, e aveva bisogno di rifarsi.... - Abbi pietà di questa povera creatura! - gridò risentito il babbo. - Oh! non conosci la tua figliuola; ella ha bisogno di veder chiaro in tutto, di non essere ingannata: non è vero Conny? Vedi, io mi ero detto: Conny è buona e seria. Conny conosce il mondo - e sorrise con amarezza. - Conny, che ha letto i filosofi e i metafisici, analizza, capisce tutto, e sa che cosa bisogna fare per resi- stere alle vanità e alle seduzioni di quella brutta bestiaccia che si chiama società. Conny ha vissuto finora in mezzo a libri sani e a vecchi onesti, ma sa istintivamente quante leggerezze, quante slealtà e quante colpe si trovano nella giovane società: e saprà capire, studiare e rimaner sempre in alto, sopra a tutti, la donnina forte! Questo mi ero detto, cara figliuola; e questo voleva dire: non c' è bisogno di metterla in guardia: non sa ancora che cosa sia l'amore, ma ella saprà distinguere il falso dal vero, il complimento dalla dichiarazione, la parola dal sentimento, la leggerezza dalla serietà. - Tacque. lo tenevo il viso nascosto contro il suo petto e piangevo in silenzio. A un tratto alzai la testa, mi guardai, attorno, e dissi: - Filippo, non ne parliamo più, la prego! - e gli stesi la mano: egli me la baciò ed uscì. - Babbo, staremo sempre insieme! mi condurrai a Roma con te, non è vero? - Sì, cara figliuola; mi asciugò gli occhi, poi mi baciò con tenerezza. - L' indomani mi svegliai pallida ma calma. C' era nel mio sguardo una luce nuova profonda, cupa, e un lampo pieno d'alterezza e qualche volta di sarcasmo, che credo mi durerà tutta la vita. FINE

L'uccellino azzurro

212895
Maeterlink, Maurice 3 occorrenze
  • 1926
  • Felice Le Monnier, Editore
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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IL PANE (battendo i denti dalla paura) Non ch'io abbia paura; ma non credi che sarebbe più prudente contentarci di guardare dal buco della serratura?... TYLTYL Non ti ho chiesto il tuo parere.... MYTYL (scoppiando a un tratto in un pianto) Ho paura!... Dov'è lo Zucchero?... Voglio tornare a casa!... Lo ZUCCHERO (premuroso e ossequioso) Eccomi qua, cara signorina, eccomi qua.... Non piangete.... Ora mi spezzerò un dito e vi offrirò un po' di zucchero filato.... TYLTYL Finiamola!... (Gira la chiave e schiude la porta con prudenza. Scappano subito fuori cinque o sei Spettri di forme strane e diverse, che se ne vanno di qua e di là. Il Pane, spaventato, getta via la gabbia e va a nascondersi in fondo alla sala, mentre la Notte, rincorrendo gli Spettri, grida a Tyltyl): LA NOTTE Presto! Presto!... Chiudi la porta, se no scappano tutti, e non si riacchiappano più!... Da quando l'Uomo non li prende più sul serio, si annoiano.... (Rincorre gli Spettri, sforzandosi, con una frusta fatta di serpenti, di riportarli verso la porta della prigione). Aiutatemi!... Venite qua!... Venite qua!... TYLTYL (al Cane) Aiutala, Tylô, va', corri!... IL CANE (balzando su e abbaiando) Sì, sì, sì!... TYLTYL E il Pane, dov'è?... IL PANE (dal fondo della sala) Sono qui.... Sto vicino alla porta per impedir loro di uscire.... (Ma poi che uno degli Spettri si avanza da quella parte, il Pane fugge via a gambe levate urlando dallo spavento). LA NOTTE (acciuffando tre degli Spettri) Venite qua, voi....(a Tyltyl) E tu, socchiudi appena la porta.... (spinge gli Spettri nella caverna). Ecco, così va bene.... (Il Cane ne riconduce altri due). Dentro anche questi.... Su, presto, tornate a casa vostra.... Lo sapete che fino a Ognissanti non dovete uscire.... (Richiude la porta). TYLTYL (andando verso un'altra porta) E dietro a questi, che cosa c'è?... LA NOTTE Perchè vuoi saperlo?... Te l'ho già detto, l'Uccellino Azzurro non è mai venuto dai queste parti.... Ma fai come vuoi.... Apri pure la porta, se ti fa piacere.... Là dentro ci sono le Malattie.... TYLTYL (mettendo la chiave nella serratura) necessario usare molta prudenza nell'aprire?... LA NOTTE No, non è il caso.... Se ne stanno là, dentro quiete quiete, povere figliuole.... Son poco fortunate, ora. L'Uomo, da qualche tempo, fa loro una guerra spietata.... Specialmente dopo la scoperta dei microbii.... Apri e vedrai.... (Tyltyl spalanca la porta. Non vien fuori nessuno). TYLTYL Perchè non vengono fuori?... LA NOTTE Te l'ho detto, sono quasi tutte sofferenti e scoraggite.... I medici sono poco garbati con loro.... Entra un momento, e vedrai.... (Tyltyl entra nella caverna, e ne esce quasi subito). TYLTYL L'Uccellino Azzurro non c'è.... Hanno l'aria molto malata le vostre malattie!... Non hanno neppure alzato il capo quando sono entrato.... (Una Malattia piccina piccina, in pantofole, veste da camera e cuffia da notte, scappa fuori dalla caverna e si mette a saltellare). Guarda! Una piccina che scappa!... Chi è?... LA NOTTE Nessuno d'importante.... È la più piccola di tutte, è il Raffreddore di naso.... È la meno perseguitata, e perciò sta meglio di tutte in salute.... (Chiamando il Raffreddore). Vieni qui, piccina.... Sei uscita troppo presto: bisogna aspettare l'inverno.... (Il Raffreddore tossisce, sternuta, si soffia il naso, e rientra nella caverna di cui Tyltyl chiude la porta). TYLTYL (avviandosi verso la porta accanto) Guardiamo un po' che cosa c'è qua dentro.... LA NOTTE Bada, là dentro ci sono le Guerre.... Sono più che mai terribili e potenti.... Dio sa che cosa succederebbe se una di esse scappasse fuori!... Per fortuna il riposo le ha fatte ingrassare e si muovono a fatica.... Ma teniamoci pronti tutti a far forza contro la porta, mentre tu getterai uno sguardo là dentro.... (TYLTYL, con molta prudenza, socchiude appena la porta, in modo da lasciare soltanto uno spiraglio attraverso il quale getta un'occhiata nella caverna. Ma tosto si ritrae gridando): TYLTYL Presto! Presto!... Richiudete!... Mi hanno veduto!... Vengono fuori tutte!... Aprono la porta.... LA NOTTE Venite qua, tutti!... Fate forza!.. Che fai tu costì, Pane?... Spingete, spingete!... Sono così forti, loro!... Ecco, ci siamo.... Cedono.... Era ora!... Hai visto?... TYLTYL Sì, sì!... Sono enormi, spaventevoli!.. No, non credo che l'Uccellino Azzurro sia là dentro.... LA NOTTE E Come potrebbe fare a starci?... Lo mangerebbero subito.... in un boccone.... Ebbene, ne hai abbastanza, ormai?... Come vedi, qui non c'è nulla da fare.... TYLTYL Io devo veder tutto.... La Luce vuole.... LA NOTTE La Luce vuole così!... è facile a dirsi per chi ha paura e resta a casa!... TYLTYL Andiamo verso quest'altra porta. Che cosa c'è là dentro?... LA NOTTE Qua dentro stanno rinchiuse le Tenebre e i Terrori.... TYLTYL Si può aprire?... LA NOTTE Sì, certo.... Anch'essi, come le Malattie, sono tranquilli, ormai.... TYLTYL (schiudendo la porta con una certa diffidenza, e gettando uno sguardo nella caverna) Non c'è nessuno.... LA NOTTE (guardando essa pure dentro alla caverna) Ebbene, Tenebre, che cosa state facendo? Uscite per un momento: vi farà bene, vi scioglierà i muscoli.... E anche voi, Terrori.... Non abbiate paura.... (Alcune Tenebre e alcuni Terrori, sotto l'aspetto di persone velate, quelle con veli neri, questi con veli verdognoli, arrischiano timidamente qualche passo fuori della caverna; ma a un gesto appena abbozzato di Tyltyl, rientrano precipitosamente). Su, coraggio!... Non vedete che è un bambino?... Che male può farvi?... (A Tyltyl). Sono diventati costì timidi, tutti, meno i più grandi, quelli laggiù in fondo.... TYLTYL (guardando in fondo alla caverna) Dio! Mettono spavento a guardarli... LA NOTTE Sono incatenati.... Essi soli non hanno paura dell'Uomo.... Ma ora chiudi la porta; se no si arrabbiano.... TYLTYL (andando verso la porta appresso) Guarda!... Questa qui è ancora più cupa. Che cosa c'è qua dentro?... LA NOTTE Dietro a questa porta ci sono molti Segreti.... Se proprio ci tieni, puoi aprirla.... Ma ti consiglio di non entrare.... Sii prudente; e noi, teniamoci pronti a richiuderla presto, come abbiamo fatto per le Guerre.... TYLTYL (schiudendo la porta con infinita precauzione, e inoltrando timidamente il capo attraverso lo spiraglio) Oh!... Che freddo?... Mi frizzano gli occhi!.... Presto, chiudete!... Spingete forte!... Fanno forza dal di dentro contro la porta... (La, Notte, il Cane, la Gatta e lo Zucchero chiudono a forza la porta). Oh che cosa ho visto!... LA NOTTE Che cosa? TYLTYL (sconvolto) Non so, ma metteva spavento!... Stavano lì seduti come tanti mostri senza occhi.... Chi era il gigante che voleva acciuffarmi?... LA NOTTE Probabilmente era, il Silenzio; ce l' ha lui in custodia questa porta.... Ma era dunque tanto spaventoso a vedersi?... Sei ancora pallido e tremi tutto.... TYLTYL Sì. Non avrei mai creduto.... Ho le mani gelate.... LA NOTTE Vedrai qualcosa di ancora più terribile se ti ostini a voler andare avanti.... TYLTYL (andando alla porta accanto) E dietro a questa?... Ci sarà qualcosa altrettanto orribile?... LA NOTTE No.... Qui c'è un po' di tutto.... Ci metto le Stelle disoccupate, i miei profumi personali, alcune Luci di mia particolare proprietà, come i Fuochi fatui, le Lucciole.... Ci rinchiudo dentro anche la Rugiada e il Canto degli Usignoli.... TYLTYL Ah, le Stelle, il Canto degli Usignoli!... Dev'essere proprio questa.... LA NOTTE Apri, apri pure, se vuoi.... Tutte cose innocue.... (Tyltyl spalanca la porta. Le Stelle, sotto l'aspetto di belle giovinette velate da luci multicolori, fuggono subito fuori dalla loro prigione; corrono qua e là per la sala e formano sui gradini e intorno alle colonne dei graziosi girotondi rischiarati da una specie di penombra luminosa. I Profumi della Notte, quasi invisibili, i Fuochi fatui, le Lucciole, la Rugiada trasparente si uniscono ad esse, mentre il Canto degli Usignoli, uscendo a fiotti dalla caverna, inonda il palazzo della Notte). MYTYL (entusiasmata, battendo le mani) Oh! Che belle signore!... TYLTYL E come ballano bene!... MYTYL E come sono profumate!... MAURICE MAETERLINK. - L'Uccellino Azzurro. 7 TYLTYL E come cantano bene!... MYTYL Chi sono quelli laggiù che si vedono appena?... LA NOTTE Sono i Profumi della mia ombra.... TYLTYL E quegli altri che sembrano fatti di vetro filato?... LA NOTTE Sono le Rugiade delle foreste e delle pianure.... Ma ora basta. Non la smetterebbero più!... Se sapeste che fatica ai farli rientrare là dentro, se fanno tanto di cominciare a ballare!... (Battendo insieme le mani). Via, presto, voialtre Stelle!... Non è il momento, ora, di ballare.... Il cielo è coperto, grossi nuvoloni appaiono qua e là.... Via, sbrigatevi, rientrate tutte, altrimenti chiamo un raggio di sole.... (Le Stelle, i Profumi, ecc. fuggono via spaventati e si precipitano nella caverna la cui porta si richiude dietro di loro. Intanto cessa anche il Canto degli Usignoli). TYLTYL (andando verso la porta di fondo) Eccoci al grande portone centrale.... LA NOTTE (con accento solenne) Non aprirlo!... TYLTYL Perchè?... LA NOTTE Perchè è proibito. TYLTYL Allora è segno che là dentro c'è l'Uccellino Azzurro.... La Luce me l'aveva detto.... LA NOTTE (maternamente) Ascoltami, bambino mio.... Sono stata finora buona e compiacente.... Ho fatto per te quello che non avevo mai fatto per nessuno.... Ti ho rivelato tutti i miei segreti.... Ti voglio bene, sento pietà per la tua giovinezza, per la tua innocenza, e ti parlo come ti parlerebbe una madre.... Ascoltami, dàmmi retta, bambino mio; rinunziaci, non andare più oltre, non tentare il Destino, non aprire quella porta!... TYLTYL (un poco scosso) Ma perchè?... LA NOTTE Perchè voglio salvarti.... Perchè nessuno, intendi, nessuno di coloro che hanno osato di socchiuderla, appena appena, foss'anche per lo spessore di un capello, è ritornato vivo alla luce del giorno.... Perchè tutto quello che si può imaginare di più spaventoso, tutte le peggiori angoscie, tutti gli orrori di cui si parla nel mondo, sono un nulla in paragone a ciò che di meno terribile assale l'uomo non appena il suo sguardo si affissa sull'orlo di quell'abisso al quale nessuno osa dare un nome.... Tanto che io stessa, vedi, se tu nonostante tutto ti ostinassi a voler aprire quella porta, io stessa dovrei pregarti di aspettare finchè io fossi al riparo dentro alla mia torre senza finestre.... E ora rifletti, decidi tu.... (Mytyl, tutta in lacrime, getta urli di terrore cercando di trascinare via con sè Tyltyl). IL PANE (battendo i denti dalla paura) Non aprite, non aprite, padroncino caro! (Gettandosi in ginocchio). Abbiate pietà di noi!... Ve lo chiedo in ginocchio.... La Notte ha ragione.... LA GATTA State per sacrificare la vita di noi tutti.... TYLTYL È inutile.... Debbo aprire quella porta!... MYTYL (singhiozzando e pestando i piedi) Non voglio!... Non voglio!... TYLTYL Voi, Zucchero e Pane, prendete Mytyl per la mano e scappate con lei.... Ora apro LA NOTTE Si salvi chi può!... Presto!... Presto!... (Fugge). IL PANE (fuggendo smarrito) Aspettate almeno finchè siamo arrivati in fondo alla sala.... LA GATTA (fuggendo anch'essa) Aspettate! Aspettate!... (Si nascondono entrambi dietro alle colonne, dalla parte opposta della sala. Tyltyl resta solo col Cane, presso la porta monumentale). IL CANE (affannosamente, pieno di terrore contenuto) Io rimango.... rimango con te.... Non ho paura, io.... Io rimango!... Rimango vicino al mio piccolo dio.... Io rimango! Io rimango!... TYLTYL (accarezzando il Cane) Bravo, Tylô, bravo.... Qua, un bacio.... Siamo in due.... E ora, in guardia!... (Introduce la chiave nella serratura. Un urlo di terrore parte dal punto opposto della sala, dove si sono rifugiati quelli che sono fuggiti. Non appena la chiave ha toccato la porta, i grandi battenti si aprono nel mezzo, scorrono lateralmente e spariscono a destra e a sinistra, nella grossezza del muro, scoprendo a un tratto, immerso nella luce notturna, un maraviglioso, irreale, sconfinato giardino di sogno nel quale, fra le stelle e i pianeti, dei fantastici uccellini azzurri, illuminando tutto ciò che toccano, volando senza posa di pietra in pietra, da un raggio di luna all'altro, fanno perpetue armoniose evoluzioni fino agli estremi confini dell'orizzonte. Sono innumerevoli, e paiono essi il soffio, l'azzurra atmosfera, l'essenza stessa del giardino maraviglioso. Tyltyl, abbagliato, sperduto, immerso nella luce che emana dal giardino). Oh!... il cielo!... (volgendosi agli altri che erano fuggiti). Venite!... Venite!... Eccoli!... Son loro! Son loro! Son loro!... Finalmente!... Migliaia di uccellini azzurri!... Milioni!... Miliardi!... Troppi!... Vieni, Mytyl!... Vieni, Tylô! Venite tutti!... Aiutatemi! (Gettandosi fra gli uccellini). Si possono prendere con le mani!... Non sono selvatici, no.... Non hanno paura di noi!... Venite qua! Venite qua!... (Mytyl e gli altri accorrono. Entrano tutti, meno la Notte e la Gatta, nel giardino maraviglioso). Guardateli!.... Son troppi.... Vengono sulle mani!... Guardate, si nutrono di raggi di luna?... Dove sei, Mytyl?... Ci sono tante ali azzurre, tante piume in giro, che non ci si vede più.... Non morderli, Tylô!... Non far loro male!... Prendili piano piano.... MYTYL (tutta circondata da uccellini azzurri) Ne ho già presi sette!... Oh, come sbattono le ali!... Non posso, teneteli.... TYLTYL Nè anch'io!... Ne ho troppi!... Volano via!.. Tornano!... Anche Tylô ne ha presi!... Ci portano in alto con loro.... Ci portano in cielo!... Vieni, usciamo da questa parte!... La Luce ci aspetta.... Come sarà contentai... Venite di qua, di qua.... (Fuggono via dal giardino, le mani piene d'uccellini che si dibattono, e attraversando la sala in una confusione di ali azzurre escono a destra, da dov'erano prima entrati, seguìti dal Pane e dallo Zucchero i quali, soli fra tutti, non hanno preso neanche un uccellino. La Notte e la Gatta, rimaste sole, risalgono verso il fondo, guardando ansiosamente verso il giardino). LA NOTTE Non l'hanno mica preso, spero?... LA GATTA No, lo vedo lassù, su quel raggio di luna.... Non hanno potuto raggiungere, era troppo in alto.... (Cala la tela. Subito dopo, davanti al sipario calato, entrano simultaneamente, da destra la Luce, e da sinistra Tyltyl, Mytyl e il Cane, tutti quasi nascosti sotto gli uccellini che hanno preso. Ma questi appaiono giù inanimati, e, il capo penzoloni e le ali spezzate, non sono più nelle loro mani se non delle spoglie inerti). LA LUCE Dunque, lo avete preso?... TYLTYL Sì, Sì ! E non uno solo!... Ce n'erano a migliaia!... Eccoli!... Guarda!... (Guarda gli uccellini, nell'atto di porgerli alla Luce, e si accorge che sono morti). O Dio! Sono morti.... Come mai?... Anche i tuoi, Mytyl?... Anche quelli che ha, preso Tylô!... (Gettando con collera in terra i cadaveri degli uccellini). Ah no, è una cosa terribile!... Chi li hai uccisi?... Oh, come sono infelice!... (Si nasconde la testa col braccio, e scoppia in singhiozzi). LA LUCE (stringendolo maternamente fra le braccia) Non piangere, bambino mio.... Tu, non avevi preso l'uccellino che può vivere alla luce del giorno.... Quello era volato via, chi sa dove.... Ma lo ritroveremo!... IL CANE (guardando gli uccellini morti) Mi permetti di mangiarli?... (Escono tutti da sinistra).

Ti pare forse ch'io abbia la gobba?... TYLTYL (con tono conciliante) No, no, appena appena.... LA FATA Dalla tua espressione si direbbe che ce l'abbia, e molto grossa, anche!... E il naso? Ho forse il naso a uncino, e un occhio solo?... TYLTYL No, non dico questo.... Ma come hai fatto a perdere l'occhio? LA FATA (sempre più stizzita) Non l' ho perduto niente affatto!.. Insolente! Mascalzone!... È anzi più bello dell'altro; più grande, più luminoso, azzurro come il cielo.... E i miei capelli, li vedi bene? Non sono forse biondi come il grano maturo?... Non sembrano oro puro?... La testa mi pesa da tanti che ne ho.... Scappano fuori da tutte le parti.... Non li vedi qui fra le mie mani?... (Mostra due misere ciocche di capelli grigi). TYLTYL Sì, ne vedo infatti qualcuno.... LA FATA (indignata) Qualcuno!... Vuoi dire una massa, un'onda, un fiume d'oro!... Lo so, c'è chi dice che non ne vede punti; ma tu non sei, spero, uno di quei cattivi.... e ciechi? TYLTYL No, no, vedo benissimo tutti quelli che non sono nascosti.... LA FATA Bisogna saper vedere anche gli altri, con lo stesso coraggio!... Curiosi, gli uomini!... Da quando sono morte le fate non ci vedono più, e non se ne accorgono nemmeno.... Fortuna che mi porto sempre dietro tutto quanto occorre per rianimare gli occhi spenti.... Guarda un po' che cosa tiro fuori dalla borsa!... TYLTYL Oh che bel cappellino verde!... Che c' è sulla coccarda, che brilla tanto? LA FATA È il grande diamante che fa vedere..., TYLTYL Ah!... LA FATA Sì: quando ci si mette il cappello in capo, si gira un poco il diamante, da destra a sinistra, per esempio. Così, vedi?... Il diamante preme allora sopra un bernoccolo della testa che nessuno sa di avere, e che fa aprire gli occhi.... TYLTYL Fa male?... LA FATA Ma che!... È fatato.... Allora si vede subito quello che si nasconde dentro alle cose: l'anima del pane, per esempio; del vino, del pepe.... MYTYL Si vede anche l'anima dello zucchero? LA FATA (inquietandosi) Naturalmente!... Perché fai queste domande inutili?... E poi, come se l'anima dello zucchero fosse più interessante di quella del pepe.... Ecco, vi ho dato tutto quello che avevo per aiutarvi a trovare l'Uccellino Azzurro.... Lo so: forse l'Anello-che-rende-invisibile o il Tappeto- Volante vi sarebbero più utili.... Ma ho perduto la chiave dell' armadio nel quale li avevo riposti.... Ah, dimenticavo.... (mostrando il diamante). Vedi: tenendolo così, e facendolo girare un po' più, si rivede il passato..... Un pochino di più ancora, e si vede l'avvenire.... È una cosa curiosa e pratica e non fa punto rumore.... TYLTYL Il babbo me lo prenderà.... LA FATA No, perchè non lo vedrà. Nessuno lo potrà vedere finchè l'avrai sul capo tu.... Vuoi provare ?... (Mette in testa a Tyltyl il cappellino verde). Ora, gira il diamante.... Un giro, e poi.... (Appena Tyltyl gira il diamante, ogni cosa a un tratto si trasforma come per prodigio. La vecchia fata diventa una bellissima principessa; le pietre con le quali sono costruiti i muri della capanna s'illuminano, brillano di una luce azzurrina, diventano trasparenti, scintillano, abbagliano come se fossero pietre preziose. I mobili poverissimi si animano e luccicano. La rozza tavola di legno bianco assume l'aspetto nobile e grave di una tavola di marmo. Il quadrante dell'orologio occhieggia e sorride allegramente, mentre lo sportello della cassa dentro la quale il pendolo oscilla, si schiude per lasciar scappare fuori le ore, che tenendosi per la mano e ridendo pazzamente si mettono a danzare al suono di una musica deliziosa. Naturale sorpresa, mista a spavento, di Tyltyl, il quale, mostrando le Ore, esclama): TYLTYL Chi sono tutte quelle belle signore? LA FATA Non aver paura: sono le ore della tua vita, felici di esser libere e di lasciarsi vedere un momento.... TYLTYL E perchè le pareti sono così lucenti? Sono forse di zucchero oppure di pietre preziose? LA FATA Tutte le pietre sono eguali, tutte le pietre sono preziose. Ma l'uomo ne vede soltanto alcune.... (Nel frattempo la scena magica si svolge completandosi. Le anime dei Pani tondi da quattro libbre, sotto l'aspetto di omìni in maglia color crosta di pane, sbalorditi e infarinati, sbucano fuori dalla madia e si mettono a saltellare intorno alla tavola. Li raggiunge il Fuoco, il quale, guizzato fuori dal focolare con una maglia gialla e rossa, li rincorre torcendosi dalle risa). TYLTYL Chi sono quei brutti omìni? LA FATA Gente da poco. Sono le anime dei Pani Tondi da quattro libbre che approfittano del Regno della Verità per uscir fuori dalla madia dove stavano un po' ristretti.... TYLTYL E quel diavolone rosso che ha cattivo odore?... LA FATA Ssst!... Non ti far sentire. È il Fuoco.... Ha un caratteraccio!... (Durante questo dialogo la scena magica continua a svolgersi. Il Cane e la Gatta, raggomitolati ai piedi dell'armadio, gettano simultaneamente un grido e spariscono in una botola. In loro vece compaiono due personaggi, l'uno dei quali porta una maschera di can mastino e l'altro una testa di gatta. Subito dopo l'omìno dalla maschera di mastino - che d'ora innanzi chiameremo Cane - si precipita su Tyltyl, lo abbraccia violentemente e lo copre di carezze impetuose; mentre la donnina dalla maschera di gatta - che per semplificare chiameremo Gatta - si avvicina a Mytyl, dopo essersi ravviati i capelli, lavate le mani e lisciati i baffi). IL CANE (urlando, saltando, buttando tutto all'aria, dando noia a tutti) Mio piccolo dio!... Buongiorno, buongiorno, mio piccolo dio!... Finalmente, finalmente posso parlare!... Avevo tante cose da dirti!... Avevo un bell'abbaiare e scodinzolare!... Tu non capivi.... Ma ora!... Buongiorno! buongiorno! ... Come ti voglio bene!... Come ti voglio bene!... Vuoi che faccia qualche cosa di straordinario?... Vuoi che mi metta a camminare sulle mani d che balli sulla corda?... TYLTYL (alla Fata) Chi è questo signore con la testa di cane? LA FATA Non vedi? È l'anima di Tylô, da te liberata or ora.... MAURICE MAETERLINK. - L'Uccellino azzurro. 3 LA GATTA (avvicinandosi con prudenza a Mytyl e porgendole cerimoniosamente la mano) Buongiorno, signorina,.... Come siete bella stamani!... MYTYL Buongiorno, signora.... (alla Fata) Chi è?... LA FATA Non indovini?... È l'anima di Tylette che ti porge la mano.... Su, via, dàlle un bacio.... IL CANE (dando uno spintone alla Gatta) Anch'io!... Voglio abbracciare il piccolo dio!... Voglio abbracciare la bimba! Voglio abbracciare tutti! Bene!... Come ci divertiremo!... Voglio far paura a Tylette.... Bau! Bau! Bau!... LA GATTA Signore, non ho il piacere di conoscervi. LA FATA (minacciando il Cane con la sua bacchetta) Sta' fermo, tu; se no ti faccio rientrare nel silenzio fino alla fine dei tempi.... (Nel frattempo la scena magica continua a svolgersi. L'Arcolaio in un angolo si è messo a girare vertiginosamente dipanando dei meravigliosi raggi di luce. Dall'altra parte la Fontanella si mette a cantare con voce acutissima, e, trasformandosi in fontana luminosa, inonda l'acquaio di un torrente di perle e di smeraldi dove si getta l'anima dell'acqua, simile a una fanciulla scapigliata, grondante di pioggia, e tutta in lacrime. Essa si azzuffa subito col Fuoco). TYLTYL E quella signora tutta bagnata?... LA FATA Non temere. È l'Acqua, che scappa fuori dalla cannella.... (Il Bricco del latte si rovescia, cade in terra, si spezza. Dal latte sparso s'inalza una figura alta, bianca e pudica, che ha l'aria di aver paura di tutto). TYLTYL E quella signora in camicia, così spaurita?... LA FATA È il Latte che ha rotto il suo bricco.... (Il Pan di zucchero posato ai piedi dell'armadio cresce a poco a poco e rompe l' involucro di carta, dal quale sbuca fuori un essere sdolcinato e mellifluo, vestito con una cappa mezza bianca e mezza celeste, che sorridendo beatamente si avanza verso Mytyl). MYTYL (impaurita) Chi è?... LA FATA Non vedi? È l'anima dello Zucchero!... MYTYL (rassicurata) Chi sa se avrà lo zucchero filato?... LA FATA Sì, certo; in tasca non ha che zucchero filato, e ogni dito della mano è di zucchero filato.... (La Lampada cade a terra, e appena caduta, la sua fiammella si raddrizza e si trasforma in una vergine luminosa d' incomparabile bellezza. È coperta da lunghi veli trasparenti e abbaglianti, e rimane immobile, come in estasi). TYLTYL È la Regina!... MYTYL È la Madonna!... LA FATA No, bambini miei. È la Luce. (Intanto le cazzeruole sulle mensole si mettono a girare come tante trottole. L'armadio della biancheria spalanca i suoi sportelli, e ne escono fuori stoffe magnifiche color di sole e color di luna, alle quali si uniscono dei cenci e degli stracci dall'aspetto non meno sontuoso, che scendono giù dalla scaletta del granaio. Ma a un tratto si odono tre colpi bruschi alla porta a destra). TYLTYL (spaventato) È il babbo! Ha sentito!... LA FATA Gira il diamante!... Da sinistra a destra.... (Tyltyl gira in fretta il diamante). Non così in fretta! Dio mio! È troppo tardi.... L'hai girato troppo presto.... Non faranno più a, tempo a riprendere il loro posto e avremo delle noie, ho paura.... (La Fata riappare di nuovo sotto l'aspetto di una brutta. vecchia; le pareti della capanna perdono il loro splendore, le Ore ritornano dentro all'orologio, l'Arcolaio si ferma, ecc. Ma nella fretta e nella confusione generale, mentre il Fuoco corre pazzamente intorno alla stanza in cerca del focolare, uno dei Pani Tondi da quattro libbre che non è riuscito a trovar posto nella madia, scoppia in singhiozzi urlando dallo spavento). Che cosa c'è?... IL PANE (piangendo) Non c'è più posto nella madia?... LA FATA (guardando dentro alla madia) Ma sì, ma sì.... (spingendo gli altri Pani che hanno ripreso il loro posto). Via, presto, stringetevi un po'.... (Bussano di nuovo alla porta). IL PANE (smarrito, sforzandosi invano di entrare nella madia) Non c'è rimedio.... Mi mangeranno prima degli altri! IL CANE (saltando intorno a Tyltyl) Mio piccolo dio!... Io son sempre qui!... Posso parlare ancora!... Ancora! ancora! ancora... LA FATA Come, anche tu?... Sei sempre qui?... IL CANE Ho avuto fortuna!... Non sono potuto tornare nel silenzio. La botola si è chiusa troppo presto.... LA GATTA E la mia pure.... Che cosa succederà?... Siamo forse in pericolo?... LA FATA Ecco, debbo dirvi la verità: tutti quelli che accompagneranno i due bambini, moriranno alla fine del viaggio.... LA GATTA E quelli che non li accompagneranno?... LA FATA Sopravviveranno pochi minuti.... LA GATTA (al Cane) Vieni, rientriamo nella botola.... IL CANE No, no, non voglio!... Voglio accompagnare il mio piccolo dio!... Voglio parlargli sempre!... LA GATTA Scimunito!... (Bussano di nuovo alla porta). IL PANE (piangendo a calde lacrime) Non voglio morire alla fine del viaggio!... Voglio tornar subito dentro la madia!... IL Fuoco (che nel frattempo non ha smesso un istante di correre vertiginosamente intorno alla stanza, con sibili d'angoscia) Non trovo più il focolare!... L'ACQUA (tentando invano di rientrare nella cannella) Non mi riesce più di rientrare nella, cannella!... Lo ZUCCHERO (affannandosi intorno all'involucro di carta) Ho lacerato la, carta che m'involtava... IL LATTE (linfatico e pudico) Mi hanno rotto il bricco! LA FATA Che stupidi, Dio mio!... Stupidi e vili.... Preferireste dunque di continuare a vivere in quelle brutte scatole, nelle botole o dentro alle cannelle piuttosto che accompagnare i bambini nella ricerca dell'Uccellino Azzurro?... TUTTI (eccettuati il Cane e la Luce) Sì, sì! Lo preferiamo!... Oh, la mia cannella!... La mia madia!... Il mio focolare!... La mia botola!... LA FATA (alla Luce, che contempla pensosa i resti della sua lampada infranta) E tu, Luce, che cosa ne pensi?... LA LUCE Io accompagnerò i bambini.... IL CANE (abbaiando di gioia) Anch'io!... anch'io!... LA FATA Meno male! È troppo tardi, in ogni modo, per tornare indietro. Non sta più in voi di scegliere; perciò verrete tutti con noi.... Ma tu, Fuoco, abbi cura di non avvicinarti a nessuno; e tu, Cane, non punzecchiare la Gatta e tu, Acqua, procura di star bene diritta e di non sgocciolare dappertutto.... (Si odono novamente dei colpi violenti alla porta di destra) TYLTYL (ascoltando) È il babbo, di nuovo.... Questa volta si è alzato davvero, lo sento camminare.... LA FATA Usciamo dalla finestra.... Verrete tutti a casa mia, e cercherò di vestire come si conviene gli animali e le cose.... (Al Pane) Tu, Pane, prendi la gabbia nella quale metteremo l'Uccellino Azzurro.... L'affido a te.... Presto, presto, non perdiamo tempo.... (La finestra si allunga a un tratto e si trasforma in una porta. Escono tutti, dopo di che la finestra riprende la sua forma primitiva, e si richiude come se nulla fosse. La stanza è ritornata buia, e i due lettini sono immersi nell'ombra. L'uscio a destra si schiude, e attraverso lo spiraglio fanno capolino Babbo Tyl e Mamma Tyl). IL BABBO Non era nulla, te lo dicevo.... è il grillo che canta.... LA MAMMA Li vedi?... IL BABBO Sì. Dòrmono quieti quieti.... LA MAMMA Li sento respirare.... (L'uscio si richiude). CALA LA TELA

Quell'estate al castello

213712
Solinas Donghi, Beatrice 2 occorrenze
  • 1996
  • Edizioni EL - Einaudi Ragazzi
  • Trieste
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Pagina 103

Non mi tornava giusto che una figlia nel ricevere una lettera di suo padre dovesse fare quella faccia derelitta, tanto che mi scappò detto ancora: - Non sei contenta che ti abbia scritto? - Ma sí, ma sí. Lui però scrive abbastanza sovente. Invece da mia madre è un po' che... Insomma, speravo che fosse di mia madre, ecco tutto. - Magari avrà messo il suo foglio nella stessa busta, - dico io, ottimista. - Guardaci, vedrai che è cosí - . A me pareva la cosa piú normale da farsi. Lei mi guardò con l'occhio freddo che in certi momenti era la sua specialità. - Impossibile, - fa, secca secca. - Non lo sai che non stanno insieme? Sono separati da piú di tre anni; anzi, adesso sono anche divorziati. - Ma non si può, - dissi, sorpresa. - Non c'è mica il divorzio in Italia - . Difatti allora non c'era. - E con questo? Loro stanno all'estero. Già: non ci avevo pensato. Se era cosí, la cosa prendeva tutt'un altro aspetto, molto ma molto piú serio. Non sapevo piú cosa dire, un po' come se Ippolita mi avesse confessato di punto in bianco di essere in realtà un'orfana o una trovatella, o di avere qualche grave malattia. A quei tempi il divorzio, quando non era un'americanata da ridere, pareva una roba dell'altro mondo, da rimanerci molto male a scoprire che fosse successa tra i genitori della propria migliore amica. - Che faccia fai, - disse la migliore amica, con una risatina spavalda. - Son cose che capitano, sai. Io mi sentii in obbligo di domandare: - Com'è successo? - sempre un po' sul tono catastrofico, come domandassi i particolari di uno scontro con morti e feriti. - Vieni su, - fa lei allora, rispondendo a pera, - ti faccio vedere com'è la mia mamma. Mentre le andavo dietro su per lo scalone riflettevo che, infatti, mentre Ippolita teneva il ritratto di suo padre sullo scrittoio dove faceva i compiti, quello di sua madre io non l'avevo mai visto. In camera andò a rovistare sotto la biancheria nel cassetto in alto del comò: dunque lo teneva nascosto, cosí come io nascondevo - e precisamente nel cassetto della biancheria - le foto degli artisti del cine, per paura delle prese in giro dei miei fratelli. Ma chi mai prenderebbe in giro una figlia perché tiene caro un ritratto della propria madre? Era un ingrandimento di fotografia, di quelli belli grandi, in una cornice d'argento. Lo sembrava proprio una diva del cine, lí dentro, la mamma di Ippolita. Aveva un gran colletto di pelo chiaro, volpe azzurra immagino, che le faceva come una nuvola intorno alla faccia, e un cappellino inclinato su un occhio, come andava di moda. L'occhio che si vedeva bene era scuro, lucente e un po' misterioso. - E molto bella, - dissi, - molto elegante. Nel dirlo mi passò per la mente che forse la mia mamma invece non era affatto bella e magari nemmeno elegante, anche se l'ultimo vestito che si era fatto, quello con le rose nere e gialle, a me sembrava una sciccheria; e che non me ne importava un fico. Voglio dire, non che non mi importasse della mamma: non mi importava un fico che non fosse bella. Ippolita sembrò contenta dell'effetto che mi aveva fatto la fotografia. - Apposta ho voluto fartela vedere, - disse, - cosí adesso puoi capire meglio. Ma renditi conto! ti sembra possibile che una donna come lei, non solo bella, anche brillante, interessante, che ha sempre avuto un gran successo in società... E tra parentesi, questo ai miei zii non andava proprio giú, non sono mai stati capaci di perdonarglielo. - Ma come mai? C'era forse qualcosa di male? Non so perché mi venisse in mente di domandarle questo. È che della vita di società non ne sapevo un'acca, di signore brillanti e interessanti io non ne conoscevo, perciò navigavo nella nebbia. Cosa voleva dire, che una signora avesse successo in società? Forse che aveva molti ammiratori? Ma Ippolita a quella mia domanda era diventata un galletto. - Macché male! Non dire stupidaggini! Se dici una parola contro la mia mamma, io... - Avevo quasi paura che mi beccasse gli occhi. - Allora vuol dire che non capisci proprio niente! - Poi per fortuna incominciò a spiegarsi. - Non è affatto questo, è che... Insomma, l'hai ben visto, no, come sono gli zii. Due gran noiosi. E apposta ti dicevo, come vuoi che potessero andar d'accordo con una donna come lei? Infatti sono sempre stati suoi nemici. Non c'è da meravigliarsi allora che non li potesse soffrire. Certo era per questo che teneva nascosto il ritratto di sua madre: non poteva farle piacere che lo guardassero, coi loro occhi di nemici. Cominciavo a capirci

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I miei amici di Villa Castelli

214307
Ciarlantini, Franco 1 occorrenze
  • 1929
  • Fr. Bemporad & F.°- Editori
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Gennaio caldo, Dio ci abbia in misericordia. Quando gennaio mette erba, se tu hai grano, e tu lo serba. Gennaio secco, villan ricco. Gennaio mite, primavera tarda.

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