Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbattimento

Numero di risultati: 3 in 1 pagine

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Rivoluzione e ricostruzione

398712
Sturzo, Luigi 1 occorrenze
  • 1922
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 264-308.
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Certo il parlamento del novembre non era lo stesso e nel potere e nella forza del parlamento del luglio; e la concessione dei pieni poteri non ha avuto il significato di una delega tecnica, come per la riforma dei codici o come per gli omnibus finanziari; la partecipazione sia pure morale e indiretta dell'esercito per l'avvento fascista, il rapido consenso regio, contro la proposta di stato d'assedio, al governo di Mussolini, e l'aspettativa del paese per generali riforme, delle quali si sente la possibilità senza valutarne la portata, dànno alla vita politica di oggi un clima forzato, un'aspettativa nervosa, un senso di trasformazione, che deve sboccare ancora in un tentativo di abbattimento e di ricostruzione statale.

Pagina 270

La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi

400198
Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1907
  • Murri, La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi, Roma, Società Nazionale di Cultura, 1907, 1-297.
  • Politica
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Essa porta a veder l'uomo soffrire, non come corpo fisico, ma come uomo; a dolersi dello stato d'animo (abbattimento, umiliazione, ansia dei beni fisici, desiderio di distrazioni violente e colpevoli, abbrutimento graduale) che accompagna la miseria e trae l'uomo al bruto, quasi soffocando le mirabili facoltà di elevazione spirituale e di vita morale che pur sono in ogni uomo; ad andare con l'aiuto più oltre del male fisico presente, raggiunger l'animo del sofferente e risvegliarvi le sopite energie spirituali. La povertà non angusta, serena, confidente, che ha quanto è necessario per la nettezza dell'umile casa, pel vestito decente e pel vitto, non è male nel cristianesimo: molti, anzi, al lume di questo hanno imparato ad amarla e se la son procurata volontariamente. Io ho pietà del marito che ha un salario insufficiente, perché percuoterà la sua donna, trascurerà i figli e passerà le sere all'osteria; ho pietà della fanciulla di genitori miseri, perché so che essa è quasi sicuramente votata al disonore ed all'infermità; ho pietà del bambino che cresce abbandonato sulla via, perché so che egli sarà un pessimo uomo; ed ho pietà del cencioso, dell'affamato, del derelitto, perché so che in tali stati alla miseria esterna si accompagna la depressione dello spirito e quindi l'abbrutimento. La pietà cristiana non può arrestarsi a lenire i mali fisici; per essere realmente pietà cristiana essa deve sempre mirare alla rigenerazione morale e spirituale del beneficato; l'elemosina gettata passando a un ignoto è solo scusabile quando altre e più adatte forme di beneficenza non appariscano possibili. Con ciò essa mostrerà anche di vedere nel beneficato un uguale, un essere che essa aiuta a riconquistare il suo posto nella società, e farà grato il dono che, altrimenti, provocherebbe dispetto ed odio.

Pagina 84

Il Mezzogiorno e la politica italiana

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Sturzo, Luigi 1 occorrenze
  • 1923
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 309-353.
  • Politica
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La lotta insinuata fra nord e sud non è, né può essere guardata come una lotta di egemonia politica ed economica; anche perché il sud non può dirsi che abbia lottato; ha mormorato, ha protestato, ha scritto libri ed opuscoli, ha fatto discorsi; manca in tutto ciò la sostanza e il terreno della lotta. C'è stato invece un naturale assorbimento di forze; dico «naturale», perché non saprei altrimenti definire questa azione di flusso economico verso il nord. Infatti, tutto lo sviluppo della economia europea, dall'epoca napoleonica in poi — sotto l'influenza della trasformazione della industria piccola e domestica in grande industria manifatturiera, dopo l'apertura di grandi traffici e la invenzione di mezzi rapidi e potenti di comunicazione — prima nella concezione liberista di marca inglese, e poi nel regime protezionista — superato il periodo di assestamento europeo con l'unificazione italiana e la costituzione dell'impero germanico, nella pace che seguì la guerra del ʼ70, lo sviluppo economico industriale e l'attività commerciale erano di fatto centro-europei. L'Italia, con il suo porto di Genova e l'hinterland lombardo, con le nuove comunicazioni rapide con la Francia, la Svizzera e la Germania; l'Austria-Ungheria con Trieste e Fiume e il vasto hinterland commerciale dell'ex-impero, formavano i campi di attrazione e trasformazione industriale e commerciale, verso cui doveva gravitare gran parte della economia del nostro paese. Era quindi naturale che in alta Italia si intensificassero i trasporti, che la rete ferroviaria fosse più densa, che le industrie fiorissero e che la popolazione, già favorita dalle migliori condizioni del suolo e dell'abitato, in un ritmo più accelerato del giro del danaro, potesse con minori difficoltà (che del resto non furono poche) superare la crisi del nuovo regno — nell'abbattimento di vecchie barriere e nella trasformazione dell'antico artigianato — conquistare una competenza tecnica, vincere nella lotta e divenire i forti industriali, i commercianti audaci, i finanzieri coraggiosi della nuova Italia. Sventura volle che alle iniziative sane si unissero quelle non sane, le parassite, e che queste divenissero centro di speculazioni politiche attorno al governo che mancava di una visione complessiva esatta, sia nella valutazione delle nostre materie prime, sia nel coordinamento di una politica economica nostrana con la politica estera. Qui sta il perno della crisi meridionale. Nel rigoglio di queste nuove forze e nel bisogno di protezione e di danaro, l'economia del nord, cioè tutta l'economia industriale dell'Italia, non poteva che rivolgersi al governo e alle banche, e, a mezzo di queste, esercitare la funzione (naturale anch'essa) di assorbire le energie minori, di utilizzare a proprio vantaggio altre forze, di orientare a sé il resto del proprio mondo; e come si comprava con i migliori salari la «connivenza» (non sempre nel senso buono) delle classi lavoratrici, orientate verso il socialismo, così si conquistava con i «premi politici» (dico così per pudico eufemismo) il consenso di «sfruttamento» (senza fini cattivi, anzi spesso senza averne la coscienza), dico, di sfruttamento delle energie e delle condizioni del mezzogiorno. Non vi fu perciò lotta egemonica, ma lento assorbimento, depauperamento, disintegrazione, irrigidimento nel campo dell'amministrazione locale e della ripercussione politico-parlamentare, nel campo dello sviluppo industriale ed agricolo. Le forze del mezzogiorno perdettero o meglio non acquistarono mai l'iniziativa politica — non ostante avessero avuto uomini validi al governo da Bonghi a Gianturco — e non ostante che per alcun tempo meridionali fossero a capo del governo, sopra tutti Crispi, che, pure tra grandi difetti {{323}}e avversioni, ebbe almeno una concezione meridionale che fu insieme italiana. Infatti voi avete il diritto di domandarmi: c'era una concezione economico-politica meridionale che potesse coesistere con lo sviluppo industriale dell'alta Italia, sviluppo naturale, e perciò non sopprimibile ne coercibile, al quale opportunamente, logicamente, si volsero le altre forze politiche e finanziarie del paese?

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