Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandonato

Numero di risultati: 21 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Le belle maniere

180222
Francesca Fiorentina 1 occorrenze
  • 1918
  • Libreria editrice internazionale
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
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In séguito, non solo non risi più, ma neppure mi stupii vedendo un vecchio, un deforme, un abbandonato rannicchiarsi nella compagnia d'una bestia come in un asilo sicuro, dimostrare alla semplice creatura, con mille cure che a prima vista parrebbero ridicole, la riconoscenza per la sua fedeltà, per la sua lealtà, per la sua piena fiducia, per queste virtù che solo può apprezzare, sia pure in una bestia, chi ha conosciuto l'ingiustizia, l'inganno, l'abbandono di esseri umani. Non dovete dunque, figliole mie, schernire la vecchia che ripone il suo ultimo conforto in un gatto, lo sciancato che ha l'amico più fedele in un cane:come non schernireste chi, avendo mozzata una gamba, adopera le grucce, o, essendo muto, si serve de'gesti per farsi capire. Riprovate, invece, in cuor vostro, chi tratta le bestie meglio che i cristiani, e a questi rifiuta villanamente ciò che a quelle dà in abbondanza. Ricordate?

Pagina 253

L'angelo in famiglia

183246
Albini Crosta Maddalena 3 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Che ne sarebbe di te se tutto gli avessi abbandonato il tuo cuore? Un fatto si può dir giornaliero, e che tu stessa potrai constatare se addentri un momento lo sguardo nelle famiglie che ti circondano, si è che sono più strette e più invidiabili quelle unioni le quali non sono state iniziate con pazzie amorose. E ciò è ben naturale, se consideriamo che appunto chi è facile una volta a donare il suo cuore, senza ritegno nè precauzione di sorta, non saprà poi infrenarlo allorchè sarà consacrato irrevocabilmente al compagno ricevuto da Dio. I divorzj, le guerre delle famiglie, quelle guerre intestine che ne rovinano gli animi e gl'interessi, quei blasoni caduti nel fango, le discordie d'ogni maniera, se risaliamo all'origine, non la troviamo forse sempre in un amore mal collocato, intempestivo o colpevole? Se tu mi dicessi che ti è fatica porre la briglia al cuore, io ti risponderei che neppur io la credo agevole cosa; ma la credo bensì possibile, possibilissima coil'ajuto di Dio, se conscia della tua fiacchezza ed impotenza ti rivolgerai a Lui per essere sorretta e guidata. Sì, tieni la briglia del tuo cuore in modo che sia sempre in tua mano il dirigerne e regolarne gli affetti, tel ripeto, e qualunque sia lo stato al quale ti chiamerà la Provvidenza, sarai sempre contenta e fortunata, se potrai dire; il mio cuore l'ho custodito gelosamente. Non ti fidare per pietà di te stessa, di chi ti guarda, ti ammira, ti adora! Pensa che Dio solo è degno delle nostre adorazioni: Lui adora, Lui ama, a Lui cerca dirigere sempre il tuo cuore; a Lui pensa prima di donarlo a chicchessia, fosse pure un angelo sceso dal cielo, fosse... A Dio, a Dio il tuo cuore! non lasciarne la briglia a nessuno se non a Colui che te lo ha donato così ricco di affetti, di buone inclinazioni. No, non te lo lasciar rapire: guardati dai ladri!

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Marta in Milano; ma travolta come molte altre signore dalle idee volteriane, aveva abbandonato ogni principio, e quindi ogni pratica di religione. Quando di ritorno da Parigi, dov'era stata col proprio figlio parecchi anni, per combinazione, come dicono taluni, (mentre io penso invece che ciò fosse per disegno della Provvidenza), passò dalla piazza di S. Marta e vide... dite un po' che cosa? Vide che il monastero, dove aveva passato i primi anni di sua giovinezza era quasi interamente atterrato, e poco mancava che i muratori dessero di martello in una Madonna dipinta sul muro, in quella Madonna appunto davanti alla quale erano state use radunarsi le educande a recitare le loro preghiere. La dama incredula, ma che, com'ebbe a confessare dipoi, per una forza superiore alla sua volontà, non aveva lasciato di dire tratto tratto a Maria un qualche Ave, si sentì stringere il cuore a quella vista; corse al municipio e, influente com'era, chiese ed ottenne di staccare quel dipinto, di trasportarlo in una casa sua di campagna, e precisamente ' a Brusuglio. In quei giorni appunto, il figlio suo enciclopedista ed incredulo, appena ventenne, s'imbattè in quel diplomatico che gli disse:Voi non siete già incredulo, ma ignorante; ed era vero, poichè egli come tutti coloro che negano la nostra religione, tutto conosceva fuorchè la religione che si compiaceva di deridere! Ne fu scosso; studiò la religione, l'abbracciò, ne divenne un valoroso campione. La madre rientrò ben presto essa pure nella via retta, e negli ultimi anni di sua vita fu udita dire ad alta voce alla Madonna del suo convento:Infine voi non mi potete negare le grazie che Vi chiedo, perchè sono io che Vi ho salvata, ed era vero; essa l'aveva salvata quando era in demolizione, ed in premio n'era stata mondata dalla peste dell'incredulità. Vedi potenza della Madonnina del collegio! Tu, salutandola, nel lasciarlo, avrai pianto di tenerezza, e chi sa quante belle promesse le avrai fatte! Chi sa che un giorno tocchi alla Madonnina del collegio fare a te delle grazie segnalate, come alla madre di Manzoni! Avrai pianto, avrai pianto... ma tant'è; nel trovarti in casa tua, in seno ai parenti carissimi, senza tutti i vincoli dell'educatorio, avrai provato un senso nuovo, ed avrai esclamato: oh! che gioja! Sì, hai ragione, figliuola buona, di' pure, oh! che gioja! stringiti attorno alla mamma tua, al caro babbo, alla sorella, ai fratelli, ai parenti, e godi in pace quel bene che Dio ti accorda ma! (sempre c'è il ma, quel benedetto ma che guasta ogni cosa!) Ma, non ti abbandonare soverchiamente al tripudio, poichè se puoi e devi fidarti degli ottimi tuoi parenti, non puoi nè devi fidarti troppo spesso di te, poichè tu ed io siamo facili a commettere molti spropositi, ad inciampare e cadere... Ma no, che nè tu, nè io cadremo, se non ci fideremo punto punto di noi, e baderemo sempre dove poggiamo il piede. Oh! cara mia giovinetta, io non voglio serrarti il cuore, non voglio vedere mesto quel viso che sta sì bene sorridente e gajo come la primavera che tu rappresenti, e che è la tua immagine; no, non voglio soffocare le effusioni gioconde dell'animo tuo. Di' pure, oh! che gioja! e goditi i doni di Dio. Ma, per carità, per ben tuo, te ne prego, sta in guardia, bene in guardia, perchè la tua gioja sia duratura, e non si muti in dolore in... Tu lo sai, lo devi sapere, il mondo non è buono, ma forse neppur tanto cattivo quanto lo dipingono alcuni veristi, i quali per una delle innumerevoli incongruenze alle quali vanno soggetti, o te ne fanno un paradiso o addirittura un inferno. Però, credilo, figliuola mia, il mondo è pur abbastanza cattivo, e dirò meglio, insidioso per te: dopo d'averti festeggiata appena t'ha veduta in mezzo a lui, e d'aver lodato tutte le tue qualità, anche le meno lodevoli, cercherà di toglierti dal tuo cantuccio, di levarti la vernice di collegiale, di farti spigliata, di farti insomma tutt'un'altra da quella che sei, da quello che vuoi, e che devi essere. Poverina! tu fanciulla ancora inesperta, tal fiata ti vergognerai perfino della tua modestia e delle tue migliori qualità, e ti sforzerai di ostentare un brio, una galanteria di cui prima non conoscevi che il nome. Per pietà, amica carissima, per pietà, non fare questo passo falso, o se sventuratamente lo hai fatto, ritirati prontamente, se non vuoi legare il tuo cuore vergine e libero al primo anello di quella catena, che, sotto il nome bugiardo di emancipazione, non è altro invece se non schiavitù e schiavitù abbominevole. Ascoltami, o anima sorella, perchè creata dallo stesso Iddio Padre, dallo stesso Gesù redenta, dallo stesso Spirito Santo illuminata; ascoltami, o cara; io non ti parlo per piacerti, o per dilettarti, io ti parlo solo per farti del bene, per rendere tranquilla e buona la tua vita, la tua morte, la tua eternità, e, lascia che tel ripeta, anche perchè serena ti scorra l'esistenza, e inalterata sia la tua pace. Io, prima di scrivere queste pagine, ho piegato le ginocchia davanti all'Immacolata, le ho chiesto d'inspirarmi quello che debbo dire a te per toglierti ai travagli delle passioni, per ajutarti a combattere e vincere la guerra terribile che il mondo, il demonio e la carne ti faranno, e la Madonna mi ascolterà. Non credere, sai, a quei cotali che ti van ripetendo che i libri di pietà ti renderanno uggiosa, melanconica, egoista: Oh! non creder loro; essi o sono ingannati, o sono ingannatori. Gli è appunto per recare al tuo labbro quel sorriso che tanto ti stupisce sul labbro di quell'anima afflitta, travagliata, ch'io ti parlo come faccio, e cerco di riverberare, sulla tua mente e sul tuo cuore la luce soave e smagliante del Vangelo. Allorchè io mi sento l'animo oppresso, mi reco appiè dell'altare, poi, sai dove vado? vado a ritemprare l'animo mio a fianco di una vecchia inferma che, caduta da condizione civile in bassa fortuna, conserva tra gli stenti e gli acciacchi de' suoi ottantotto anni un'inalterabile serenità. Essa ha trovato il segreto di tutto sopportare non solo coraggiosamente, ma allegramente, e da lei emana come un effluvio di pace che non può a meno di comunicarsi a tutti quanti la circondano. Allorchè esco da quell'umile cameretta mi trovo assai rincorata, ma vergognosa però d'essere tanto da meno di colei che mi ha sovranamente edificata. Sì, credilo, te lo dico in nome di Dio; io desidero vivamente di farti lieta e contenta; e per far ciò debbo metterti sull'avviso, affinchè quel brutto mondo, dal quale sei circondata, non ti prenda di sorpresa, non ti allucini co' suoi falsi splendori e ti rapisca quella cara serenità che ora allieta il vergine tuo cuore. Anche la mia cara inferma è vergine ancora, e pura è stata tutta la sua lunga vita: basta solo vederla per leggerglielo in fronte, in quegli occhi limpidi, in tutta la sua persona. Tempera adesso, mia cara, la foga della tua gioja, e non abusare di quel tanto di libertà che il tuo ritorno alla casa ti ha accordato, per non dover poi pentirtene più tardi. No, no, non abbandonarti soverchiamente alla gioja, se vuoi stare sollevata anche nei giorni tristi, se vuoi tenere un po' d'equilibrio. Sta tanto bene l'uguaglianza di umore, di carattere, che per acquistarla o mantenerla non è soverchio, nè ti deve parer grave alcun sagrificio. Tante e tante sono le cose che vorrei dirti e che mi fanno ressa alla mente, che non so veramente per ora a quale appigliarmi. Temo tu mi sfugga, temo di pesarti troppo addosso, ed io vorrei che la parola mia ti suonasse cara come quella di tua madre, dolce come quella della più cara amica della tua infanzia. Ebbene, non voglio affollarti la testa con troppe considerazioni serie; mi basta per oggi ripeterti di stare in guardia con te stessa, cogli altri, con tutto e con tutti, se non vuoi essere presa incautamente a qualche laccio. Ogni giorno io tornerò probabilmente su questo soggetto, e tu mi ascolterai sempre, n'è vero? Oh! quanto desidero che tu sii felice! ma per essere felice bisogna essere buona, dolce, pia, caritatevole, tollerante, anzi più, indulgente; bisogna insomma che tu sii veramente virtuosa e santa. Io pregherò sempre con gran cuore il buon Dio di renderti tale, e forse in fondo in fondo ci ho anche un po' d'egoismo; mi lusingo che quando la mia parola ajutata, anzi inspirata da Dio stesso, avrà cooperato a renderti virtuosa, allora tu pure pregherai per me, affinchè io divenga un po' buona; e mi dimentichi una volta di me medesima, per non ricordarmi che degli altri.

Pagina 20

Il libero pensatore dopo di essersi abbandonato allo sfogo delle passioni, e d'avere con ciò deteriorata la propria sanità, non pensa che se quella è un bene, havvi un bene maggiore di lei; si lascia cadere nell'avvilimento o nella disperazione, diventa vigliacco o temerario, paventando esageratamente una cura, un'operazione difficile, od arrischiandone una imprudente, sotto pretesto che così non vuol vivere; o guarire o morire. Questo fior di sentenza, o guarire o morire, riduce il pover uomo, che si dice libero pensatore, alla più abbominevole schiavitù delle proprie passioni, della propria immaginazione esaltata, fino spesse volte a trascinarlo a violare i più sacri diritti di natura, a troncare una vita datagli per servir Dio, per procurargli una vita eternamente beata, a slanciarsi di propria deliberate volontà in quel baratro da dove non c'è più sortita, nè speranza alcuna... Il cristiano crede fermamente la salute del corpo infinitamente inferiore d'importanza a quella dell'anima, e sa che la prima gli è tolta spesse volte per dargli od accrescergli la seconda; quindi si rassegna volentieri alle sofferenze, avendo dinanzi a sè come in un quadro le promesse fatte da Cristo a coloro i quali sopportano in pace le sventure ed i dolori della vita, come triste retaggio del peccato primo, ed espiazione dovuta alle proprie colpe. Entra, mia cara, entra meco nella camera di un povero incredulo travagliato da una malattia forse poco grave e poco dolorosa; s'egli non è indebolito dalla febbre e gli resta ancora forza a parlare, dalla sua bocca non udirai che lamenti, atroci bestemmie contro un Ente supremo ch'egli pur negando sospetta, contro gli uomini, contro sè stesso, contro tutto e contro tutti. Io stessa ho inteso una morente dire le ultime parole per mormorare e lagnarsi delle persone che l'assistevano con tutta la premura... Buon Dio! abbiate pietà di lei!... È brutto, sì è brutto e straziante quello spettacolo, ed io voglio condurti per la seconda volta presso il letto della vecchia mia inferma, per mostrarti la serenità del suo volto, del suo cuore, in mezzo ai dolori, agli acciacchi della malattia e della vecchiaja, ed alle privazioni della miseria sotto una vernice di proprietà, avanzo unico degli agi d'altra volta. Ma questo non basta: la vecchia zitella desidera bene a tutti, parla bene d'ognuno, e ti racconta con voce intenerita come un ex Garibaldino che abita sotto di lei l'ha protetta e difesa contro gl'insulti di alcuni infelici i quali cercavano di proibirle perfino di recitare ad alta voce il suo Rosario, e la vessavano in ogni maniera. Essa ama con ardente carità cristiana il Maggiore che non conosce, e prega e fa pregare per lui. Egli ammala, e la povera inferma con santa industria invia al suo letto un Sacerdote, il quale non è respinto, ma però tenuto a certa distanza. La malattia aggrava, e la vecchia prega sempre con maggior ardore per lui il buon Dio; i Framassoni circondano il letto dell'infermo cercando di estorcergli un ultimo testamento in cui dichiari di non essere altrimenti cattolico, e di non voler essere avvicinato dal Prete; ma nella camera sovrapposta una donna vecchissima, appoggiata a due grucce dimentica i proprj dolori, i proprj bisogni per non pregare se non per lui. Oh! la grazia non può tardare, verrà!... La grazia è venuta. È il 12 marzo del 1880: l'infermo si solleva sull'origliere, chiede di essere lasciato solo dai compagni, ed all'unico rimasto rivolge la preghiera di correre pel medico, mentre sottovoce supplica con istanza la moglie di mandare pel Sacerdote, il quale viene, lo confessa, riceve l'abjura dei suoi errori, lo assolve, lo benedice, gli amministra l'Estrema unzione e si allontana per indi dalla chiesa recargli il Pane di vita. Arrestati, o Sacerdote! Il pietoso Iddio ti ha prevenuto: già lo sai, l'antico framassone era sparito; su quel letto giace adesso il fervoroso credente, il quale benedice i proprj dolori, le proprie pene; eccolo assorto in Dio rivolgersi a Lui con caldo sospiro; ecco sciogliersi l'anima sua dal corpo di morte, riconciliata col suo Creatore, eccola volare in Cielo a ricevervi una Comunione santa che non avrà fine giammai... I settarj sbuffano, scalpitano alla porta dell' antico loro commilitone; finalmente la porta si apre, ma del povero Chiesa non trovano più che un cadavere!... E chi può misurare la misericordia di Dio? E chi può comprendere gl'imperscrutabili suoi disegni? Un sentimento di umanità piamente secondato dal valoroso Maggiore che aveva perduto una gamba in battaglia, attirò le benedizioni di Dio, e questi volle addolcire le sue agonie con una ferma speranza, con una forte promessa, accordando a lui quello che fu negato a Voltaire, quando al letto di morte richiesto con forza un Sacerdote, negatogli dagli Enciclopedisti che lo circondavano, moriva disperato divorando le proprie lordure! Mia buona figliuola, e dove t'ho condotta io mai? E perchè ti ho contristata con scene di tanto dolore? Ma se tu pensi alla vecchia quasi nonagenaria, al cinquantenne Garibaldino, il cui passaggio è allietato dal sorriso della fede, la calma ti tornerà al cuore e ti nascerà vivo il bisogno di pregare per i miscredenti più induriti, per tutti quanti gli uomini. Sì, prega, preghiamo per tutti; la preghiera affratella gli animi, li riunisce, li riconcilia con Dio, bene sommo, anzi unico cui può aspirare ed arrivare la creatura più perfetta dell'universo. Preghiamo anche per la salute del corpo, che pure è un gran dono del Signore; ma guardiamoci dal considerarla come bene sommo, poichè essa è un bene fugace e vale solo come mezzo conducente alla salute eterna: guardiamoci dal confondere il mezzo col fine, la via colla meta! Il buon Dio ad avvertirci di ciò, a ricordarcelo, permette che la malattia ci venga 49 a toccare, e forse tu pure, giovane diletta, sarai travagliata da qualche infermità; ma sia lode al Signore! tu sei credente, non basta; tu sei pia, tu sei fervorosa cattolica, tu sei figlia di una Madre addolorata, e le lacrime che ti sgorgheranno dagli occhi, strappate a viva forza dalle sofferenze corporali, rinchiuderanno la dolcezza che viene dalla fede, dalla pietà, dall'amor santo; e a somiglianza della verga colla quale Mosè percosse il monte, i tuoi dolori faranno scaturire un'onda purissima di sante virtù, di elette benedizioni, atte a spargere su tutta la tua vita una tinta benefica e meritoria. Proverai, lo so bone, grandi difficoltà nell' esercizio di una sì santa rassegnazione, poichè la carne si ribella, vuol prendere il sopravvento sullo spirito, e se il domarla ti costerà fatica, sarà altresì sorgente di gaudio e di benedizione non per te soltanto e per coloro che ti circondano, ma per tutti quelli cui sarà rivolta la tua caritatevole preghiera. Una falsa compassione od una fallace speranza potrebbe tener lontano dal mio e dal tuo letto i conforti cristiani nell'ultima nostra ora, ed allora, ahimè! ci saranno tolti gl'ineffabili conforti, le ineffabili consolazioni che speravamo compagni dell'ultimo nostro sospiro! Ma, io e tu, non potremmo fare fin d'ora un patto a noi medesime? Non potremmo fare un patto colla nostra volontà di far chiamare noi stesse il Ministro di Dio non appena ci minacci grave malattia, o ci tormenti una febbre cocente? Oh! sì, facciamolo assieme questo patto, questo fermo proposito, e Dio ce ne terrà conto, io spero, e nell'ultima nostra ora saremo allietate dalla riconciliazione con Lui, che ci verrà a visitare per farsi nostro alimento nel Sacramento dell'amor suo. Oh! Gesù, Ostia purissima di pace e di perdono, siate frequentemente il mio cibo corroborante nella mia mortale carriera; siate il mio conforto, il mio sostegno nei dolori dell'estrema malattia, siate il mio Viatico al grande passaggio! Gesù buono, accordatemi Voi una santa pazienza, cementatela coll'amor vostro purissimo, ed io dimentica di questo corpo di peccato sopporterò coraggiosamente i dolori, le pene, pensando al premio eterno, ineffabile che Voi stesso ci apprestate in Paradiso. Madre mia, Maria Santissima, conducete Voi al mio letto il vostro divin Figliuolo, e, come con esso chiudeste gli occhi al purissimo vostro sposo, chiudete pure gli occhi miei, quando l'anima mia si scioglierà dai lacci corporei. Oh mio caro S. Giuseppe, protettore dei moribondi, io V'invoco adesso che sono nella piena vigoria delle mie facoltà per quegli estremi momenti, e fidente nella promessa che verrà aperto a colui che picchia, e sarà dato a chi chiede, imploro con tutto l'ardore di cui sono capace l'ajuto vostro, ed esclamo dal più profondo del cuore: Gesù mio, misericordia! Madonna, ajutatemi! S. Giuseppe, protettore degli agonizzanti, pensateci Voi, sì, sì, pensateci Voi!

Pagina 763

Galateo popolare

183576
Revel Cesare 1 occorrenze
  • 1879
  • Vinciguerra
  • Torino
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Se l'orfanello abbandonato, la vedova derelitta e il vecchio curvo sotto il peso degli anni e delle infermità, ci stendono le braccia scarnate dalla miseria, non chiudiamo le orecchie ai gemiti della povertà dicendo come molti usano: Chè non vanno al ricovero? Ricordiamoci piuttosto che vivendo in Società non possiamo esimerci dall'obbligo della carità, che nessuno è così povero che non vi possa soddisfare. La carità, dirò con GIULIANO, è la prima delle virtù che rendono gli uomini somiglianti agli dei: « Il genio della « carità ha sempre ispirato il cuore degli italiani anche nei foschi tempi in cui « parvero da ogni altro genio abbandonati. » La vita e l'anima dell'Italia, disse MOREAU CRISTOPHE, stanno nei suoi istituti di beneficenza. Se un uomo è da altri accusato, non siamo troppo pronti a giudicarlo, senza sentirne la difesa; se è veramente colpevole, usiamogli la carità di ammonirlo e procuriamo d'indirizzarlo nella via della virtù. Se è dubbioso o ignorante, siamogli cortesi dei nostri consigli; se è brutto o difettoso di corpo, apprezziamo i pregi del suo spirito, e compatiamo i difetti della natura. Pur troppo tutti i giorni vediamo, deridere e disprezzare un tale, perchè gobbo, altri perchè di deforme o misera apparenza; ecco un contegno degno di biasimo e che nota in chi lo fa povertà di spirito e la più completa ignoranza del come si debba stare in società, perfetta mancanza di galateo. Così pure veniamo meno a noi stessi ogni volta che cerchiamo per noi soli i comodi della vita, quando gelosi del nostro bene serriamo nel nostro cuore la gioia, e invidiosi del bene altrui, ci affatichiamo di turbare la pace del nostro prossimo.

Pagina 40

Come devo comportarmi. Le buone usanze

185184
Lydia (Diana di Santafiora) 2 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
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Quest'uso è preferibile all'altro, più antico e ormai quasi abbandonato, del pranzo di nozze. Una lunga seduta a tavola male si addice a persone, quali gli sposi e i loro genitori, che hanno passato una mattinata piena di emozioni dolci ma gravi, e che hanno in cuore il pensiero doloroso del prossimo distacco. Una colazione richiede tempo e fatica minori, e si svolge con più comodità. Essa si fa generalmente nella casa della sposa; ma oggi si usa anche farla in un locale pubblico, in un albergo o in un ristorante; e bisogna convenire che un tale uso, per quanto poco simpatico, offre vantaggi non trascurabili, togliendo ai parenti della sposa, affaticati e preoccupati da tante altre cose, una causa di nuove e non lievi fatiche e preoccupazioni.

Pagina 220

Non di rado si legge di giovinetti di dodici o quattordici anni, i quali, montatasi la testa coi romanzi d'avventure, hanno improvvisamente abbandonato le loro famiglie e si sono messi a correre il mondo per imitare i protagonisti dei loro libri prediletti; e ci fu un tempo in cui la lettura delle Ultime lettere di Iacopo Ortis, romanzo d'amore che finisce con un suicidio, fu causa della rovina di molte giovani vite. Sorvegliate adunque le letture dei vostri figliuoli, scegliete i libri che si adattano alla loro indole, e se non potrete sempre impedire che leggano certi libri un po' fantastici, che sono la loro passione, sappiate almeno porger loro un contravveleno, invitandoli a leggere anche libri d'altro genere e soprattutto aiutandoli, con la parola e con l'esempio, a separare la fantasia dalla realtà, a riconoscere tutta l'esagerazione di ciò che leggono. Se si deve essere severi e oculati nella scelta dei libri, severità e oculatezza anche maggiori saranno necessarie nella scelta degli amici. Non permettete mai che il vostro figliuolo si accompagni con ragazzi della sua età o maggiori di lui, se non li conoscete in modo da esser sicuri della loro moralità. Non è esagerazione dire che i cattivi compagni sono quel che di peggio possa capitare a un ragazzo, tanto essi influiscono sul suo carattere, sulla sua indole, sulle sue idee. E badate che, in generale, non è per malizia che i giovinetti stringono amicizie equivoche: quasi sempre essi credono ingenuamente d'aver trovato la perla degli amici; e solo più tardi, e insensibilmente, prendono il fare, i modi, le abitudini del cattivo compagno. Siate dunque, in questo, severissimi e sorvegliate anche voi stessi, perchè non accada che, in un eccesso di fiducia, non abbiate ad accogliere in casa vostra chi non è degno della vostra confidenza.

Pagina 82

Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

189091
Pitigrilli (Dino Segre) 4 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
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Lascia alle signorinette analfabete che hanno abbandonato la scuola Berlitz dopo la prima lezione, le espressioni «one, two, three». 4°: La carta chiamala carta, e non «cartolina» o «Carolina», e non abbandonarti alle ilari forme di goffaggine dei giocatori di bassa lega nel quarto d'ora di fortuna. Contro la volgarità: 1°: Conserva la tua impassibilità quando perdi e non arrabbiarti contro chi vince. 2°: Quando sei in vincita, non avere un tono canzonatorio verso chi perde. 3°: Durante la serie sfavorevole, non sbattere rabbiosamente le carte. Le carte sono irresponsabili, e il più delle volte le ha pagate il padrone di casa. 4°: Alla resa dei conti non intascare trionfalmente il denaro vinto come se gli altri avessero cercato di derubarti e tu avessi sventato la congiura; se hai perso, non buttare al vincente il denaro come gli antichi principi buttavano la borsa di zecchini al sicario. 5°: In tutte le circostanze del gioco rimani imperturbabile, tanto se ti propongono di continuare, quanto se ti propongono di sospendere. Non agitarti per andartene quando sei in vincita, non mercanteggiare i minuti nella suprema speranza di rifarti. 6°: Non fare gesti cabalistici contro la iettatura. Non attribuire, con vaghe allusioni, la tua « guigne » all'influenza malefica di questo o di quel partner. 7°: Se un bluff ti è riuscito, non mostrare orgogliosamente le tue carte: questo atto significa: «vedete come sono furbo? Io non avevo niente e voi, pusillanimi, ci siete cascati». 8°: Se il bluff non ti è riuscito, non arrabbiarti con gli altri, perchè questo li farebbe ridere, né con te stesso, perchè ciò aumenta pericolosamente la tua esasperazione. 9°: Evita le frasi-termometro, denunciatrici della tua volgarità mentale. «Fortunato al gioco sfortunato in amore» è un proverbio stupido come la maggioranza dei proverbi che hanno avuto successo (infatti lo si trova in tutte le lingue del mondo). Non dilatarlo fino alle triviali illazioni: «Chissà come mi è fedele mia moglie» quando perdi, e «Chissà con chi mi tradisce» quando guadagni. Il gioco sia pacifico e taciturno. Le parole si riducano allo strettamente necessario. In quella tremenda e interminabile partita a poker che è la vita si debbono applicare le stesse norme che ho dettato ai giocatori. E soprattutto l'ultima, quella che riguarda l'impiego minimo di parole, la soppressione delle frasi superflue. Un importuno, dopo aver seccato Einstein per tutta una sera, pregò lo scienziato di tracciargli, in termini matematici, la formula della felicità. Einstein prese un lapis, scrisse: «a = x + y + z» e spiegò: - a è la felicità; x è il lavoro; y è la ricchezza. - E z? - domandò lo scocciatore. - E' il silenzio - rispose Einstein.

Pagina 115

Spigliato e vivace è invece il movimento delle due mani aperte dal basso verso l'alto delle donne francesi per dire che hanno «balancé» l'innamorato che cominciava a essere attaccaticcio o che hanno abbandonato per sempre un proposito, un programma o una carriera. In fondo non si tratta che della posizione delle mani, ma fra il gesto teutonico e quello francese c'è la differenza che corre fra il brutale «Diktat» del quartiere generale prussiano e il sorriso di una mannequin di Christian Dior. Sedersi. Se la donna è bassa di statura, eviti le sedie alte. Quelle gambette che oscillano comicamente dall'alto di uno sgabello di bar le conferiscono un'aria di marionetta. Cerchi le sedie basse, butti sul tappeto un cuscino, o si collochi sopra un'ottomana, ma non faccia ciondolare le gambe. Gli uomini non avvolgano i piedi come gli acrobati sospesi al trapezio intorno ai piedi della sedia. Accavallare le gambe è facoltativo per le donne; incrociarle obbligatorio. Il sedersi sulle tavole o il cavalcare «all'amazzone» i braccioli delle poltrone pretende ostentare una certa disinvoltura, ma l'ostentazione di disinvoltura è una confessione di timidezza. Utilissima, per l'educazione del gesto, è una scuola di danza. Abituando l'orecchio alla disciplina del ritmo, i movimenti si misurano e si controllano: e il dover interpretare con gli atteggiamenti del corpo il significato della coreografia, conferisce al gesto un'assidua coordinazione con la parola. Nessuna donna cammina con tanta grazia come le danzatrici classiche; nessuna donna si siede dignitosamente e castamente come le attrici. Osservatele. Esse non piombano violentemente sulla sedia; non cercano col corpo il sedile; non si muovono come i cani che si scavano una nicchia nella paglia. Le attrici incrociano le gambe, ne flettono una, scendono lentamente verso il sedile; senza lasciarsi cadere. Obbediscono alla forza di volontà, non alla forza di gravità. Né il proprio corpo né gli oggetti debbono essere buttati. Gli oggetti si posano. Anche un mozzicone di sigaretta, an- che il nocciolo di un'oliva. Ricordate il verso di Baudelaire nel sonetto «La Beauté»: io odio il movimento che sposta le linee : «Je hais le mouvement qui déplace les lignes:...» e non dimenticate che nella Francia degli ultimi grandi Re, alla corte di Versailles, quando si ordinava a qualcuno di chiudere una porta, gli si diceva : «conduisez cette porte», conducetela, accompagnatela. Si deve «accompagnare» la porta, e non sbatterla, anche quando la chiudiamo in faccia a qualcuno o quando la chiudiamo per sempre dietro di noi.

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Al cinquantaseiesimo il pubblico è stanco; metà del pubblico ti ha già mentalmente abbandonato da un quarto d'ora. 9°: Esigi che accanto a te non ci siano lampade; dànno fastidio. Che la sala sia illuminata in pieno e che sulla tribuna o sul palcoscenico si diffonda una luce discreta. Tu devi vedere il tuo pubblico, per metterti in sintonia con lui, per dare a te stesso la sensazione che tu sia il suo interprete, che tu non gli tenga una lezione, ma gli faccia delle amichevoli confidenze. 10°: Non credere agli applausi che, partiti da un piccolo gruppo o da un parente isolato, si sono estesi faticosamente alla sala. Sono applausi autentici quelli che esplodono collettivamente e non ti permettono di finire la frase. Tutto il resto è usanza mondana, accettazione sociale, «tanto non costa nulla». 11°: Quelli che poi ti diranno che è stata «un'ora di fine godimento spirituale» sono tutti bugiardi. 12°: Le conferenze sono un castigo di Dio. Il solo momento emozionante è quando l'oratore dice: «Ma non voglio abusare della vostra pazienza e mi affretto a concludere».

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In certe ferrovie della Germania d'anteguerra c'era un carrozzone di prima classe destinato ai viaggiatori che non volevano essere molestati da colui che chiede un fiammifero o lo offre, da colui che tenta di iniziare una conversazione, da colui che allunga la mano sul giornale abbandonato dal viaggiatore di fronte. Carrozzone riservato, in poche parole, a coloro che chiedono al prossimo semplicemente la pace e il silenzio. Nel più grande elegante, e moderno albergo del mondo, il «Provincial» di Mar del Plata, accanto alla sala da pranzo immensa, che può ospitare un migliaio di commensali, c'è un salone un po' più piccolo, dove prendono posto le famiglie in lutto, la gente dai nervi esauriti, gli ecclesiastici, coloro che apprezzano i vicini silenziosi, i camerieri taciturni e il maître d'hôtel che viene solamente quando è chiamato, non dà consigli, non impone la sua volontà. Mi pare questo un sensibile progresso nella psicologia applicata. Non so se avrà imitatori. Anzi, temo di no. Nonostante la lotta che si conduce contro i rumori, contro il parassitismo acustico delle grandi città, mi pare che il non saper collocarsi dal punto di vista del prossimo renda difficile questa nobile campagna, e credo che gli effetti li vedranno i nostri tardi pronipoti. In treno è facile incontrare uno di quegli sciagurati buontemponi provvisti di quei maledetti apparecchi radio ad accumulatore, che, essendo portatili, se li portano dappertutto, e per tutto il viaggio appestano di suoni e di fischi, di pubblicità e di canzoni della loro onda preferita i quarantotto viaggiatori seduti che hanno voglia di leggere o di dormire, e i ventiquattro viaggiatori in piedi che già innervositi dallo stare in piedi, si sentono i nervi sfilacciati per l'esasperazione da quelle notizie che non li interessano o da quella musica classica alla quale preferirebbero una «milonga», o da quel «bolero» al quale preferirebbero una messa di requiem. Ma il proprietario dell'apparecchio portatile è convinto di fare un piacere ai 24 signori in piedi e ai 48 seduti. E' un delfino che lavora all'ingrosso.

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IL nuovo bon ton a tavola e l'arte di conoscere gli altri

191017
Schira Roberta 1 occorrenze
  • 2013
  • Salani
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Non c'è cosa peggiore che un piatto abbandonato con le posate in disordine seminascoste dai rimasugli di cibo. Conoscere questa semplice regola vi permetterà di «fare la radiografia» ai vostri commensali e, in più, sarete in grado di valutare anche il personale di servizio. Infatti, solo un cameriere che conosce il suo lavoro sa che le posate sistemate in un determinato modo stanno a significare: ho finito, può portare via. Fiori. Ben accetti fiori e foglie come centrotavola, purché non siano troppo alti da oscurare l'altra parte del tavolo. Altrimenti si rischia di non vedere chi ci sta seduto di fronte, se non al termine della cena. È consigliabile che non siano troppo profumati per non interferire con l'aroma delle vivande. Sempre più è accettato e consigliabile utilizzare singoli fiori recisi o a mazzetti come segnaposto o come portatovagliolo. Come dono è meglio farli recapitare qualche ora prima o il giorno dopo; se portati all'ora di cena, infatti, possono creare disturbo alla padrona di casa che dovrebbe perdere tempo a cercare un vaso adatto mentre si occupa di ricevere gli ospiti. Forchetta. Si appoggia a sinistra del piatto e non si impugna come fosse una zappa. Formaggio. Ricordatevi che il formaggio precede il dolce. La regola prevede che sia servito solo a mezzogiorno, ma oggi sempre più spesso viene presentato pure la sera. Se si è avuta l'opportunità di acquistare alcune varietà di formaggio italiano o estero, magari inusuale o introvabile, si può imbandire una cena «a tema»; con composte, confetture o frutta abbinati. Il taglio deve essere fatto in modo che ogni commensale abbia una fetta con una parte di crosta (quando è presente), una parte del centro e del cuore; solo in questo modo non si altera l'aroma e si percepisce il gusto complessivo di ogni formaggio. La quantità servita deve tener conto del fatto che il formaggio, a differenza di altre portate, si dovrebbe offrire una sola volta. I formaggi duri richiedono il coltello e la forchetta; quelli molli la sola forchetta o il solo coltello se spalmati su bocconi di pane. Consiglio per gli intenditori: per gustarli al meglio toglieteli dal frigorifero almeno un'ora prima di consumarli. Purtroppo anche tanti ristoranti se lo dimenticano. Di norma, si inizia dal più dolce e fresco per concludere con il più saporito e stagionato. La mozzarella si consuma quasi tiepida e teme il frigorifero. Fragole. Se ve le propongono in una coppetta si mangiano con un cucchiaino, se su un vassoio intere si prelevano con il picciolo, si mangiano in due bocconi e si deposita il picciolo verde su un piattino. Per le signore e taluni giovanotti: vietato civettare con i commensali mangiando fragole ammiccando, consigliabile invece in un tête-à-tête tra mura sicure, dove potrete sbizzarrirvi. Frattaglie. La maggior parte degli esseri umani non sa neppure cosa siano e al semplice suono della parola scatta la smorfia di disgusto: non si fa. Vi basti pensare che il foie gras, in quanto fegato, è una frattaglia ed è considerato tra i più nobili piatti al mondo. Lo stesso vale per le animelle tanto care a Escoffier, il famoso cuoco francese, la finanziera preparata con le rigaglie di pollo e il rognoncino. Insomma, vale per le frattaglie come per altri ingredienti inusuali: non giudicate senza provare. Sappiate che c'è una stretta correlazione tra apertura mentale e disponibilità ad assaggiare cibi inusuali o appartenenti ad altre civiltà. Quindi se durante una cena privata vi vengono servite, assaggiatele senza prevenzioni. Frittata. Non si mangia mai con il coltello, così come le uova cucinate nelle loro infinite varianti. Frutta. Mangiare la frutta con le posate è assai complicato; se volete bene ai vostri ospiti servitela già pelata e tagliata a fettine. Nota di costume: la classica macedonia è terribilmente datata e quasi sempre si riduce a una poltiglia informe dove i sapori della frutta si mischiano irrimediabilmente. È molto più fresco e moderno servire della frutta già pelata e tagliata a tocchetti o fettine, e spennellata con un mix di zucchero, limone e anice stellato lasciato in infusione, così non diventerà nera. Frutta secca. Noci, mandorle e nocciole si consumano rompendole con lo schiaccianoci e si portano alla bocca. È assolutamente vietato spaccarle con i denti in pubblico, mentre in privato le signore trovano molto virile che vengano aperte da una sfilza di denti bianchissimi. Fumo. Non si fuma sino a dopo il secondo e mai se la padrona di casa non concede apertamente il permesso. I recenti provvedimenti vietano giustamente di fumare a tavola nei locali pubblici, ma la cosa ha risvolti positivi: vuoi mettere quante persone interessanti si possono conoscere nelle sale fumatori o sul marciapiede fuori dal ristorante? Garden party. Se ne organizzate uno, fate attenzione alle temperature tropicali per salse e cibi deteriorabili. Procuratevi del ghiaccio e tenete a disposizione lo spray antizanzare. Gelato. Per gelato e creme, sorbetti e semifreddi si utilizza il cucchiaio. Il «vero» cucchiaino da gelato è una sorta di palettina, ma andranno benissimo anche quelli normali. Gesticolare. Non fatelo davanti al naso degli ospiti, rischiate di essere importuni e di far cadere il vasellame sulla tavola. Giacca. Non si toglie mai nelle cene formali e tra amici si chiede prima il permesso ai padroni di casa; vietato anche togliersi la giacca e appenderla allo schienale della sedia, lo stesso per la cravatta. O si porta per tutta la sera o non si porta. Gironzolare. Quante volte si vedono al ristorante giovanotti e signore fermarsi ai tavoli degli amici abbandonando il proprio: non si fa, si saluta con un cenno della mano discretamente e senza sbracciarsi né urlare da un punto all'altro della sala. Gomiti. Mai sul tavolo e, se è possibile, teneteli stretti al dorso, anche se è difficile allargarsi nei minuscoli tavolini delle tavole urbane. Gossip. Meglio evitarlo a cena, a meno che non siate tra amiche o amici di vecchia data: la gaffe è sempre in agguato. Granchio. Vera crudeltà servirlo agli ospiti con il carapace e non già aperto con la polpa a portata di mano, che si preleva con l'apposita forchetta a tre denti. Grissini. È sempre più diffusa l'abitudine di offrirli ai propri ospiti; in questo caso, vanno tolti dalla confezione e sistemati in un cestino con il pane o da soli sulla tavola. Al ristorante è proibito avventarsi sulle confezioni di grissini senza tener conto degli altri commensali. In tutti i casi non si mangiano a bocconi, ma si spezzano e si portano alla bocca. Imboccare/si. Non si dovrebbero imboccare bambini o anziani in pubblico o al ristorante, ma ricordiamo che dipende sempre dal tipo di locale. Di norma, è meglio non portare alle cene formali i bambini sotto i dodici anni. Non si imbocca mai la fidanzata o l'amico a una cena o un pranzo dove si rispetta l'etiquette. Meglio evitare questa pratica, invece consigliatissima dallo Sgalateo. Se vedete un amico sposato imboccare un'altra donna al ristorante, state alla larga. Insalata. Si serve dopo aver passato due volte il piatto di portata principale per eventuali bis. Si adagia in un piatto o in una ciotola a sinistra del piatto. Come tutte le verdure si mangia con la sola forchetta, però è consentito usare il coltello per tagliare le foglie. Meglio comunque servire l'insalata in modo che possa essere portata alla bocca senza essere tagliata. Invito. Si risponde sempre a qualsiasi tipo di invito e si ricambia entro due mesi. Negli inviti indicate chiaramente il luogo, l'ora e il tipo di abbigliamento richiesto. Si conferma entro tre giorni al massimo e si disdice facendosi perdonare con un piccolo dono floreale. Per gli uomini andrà bene anche una pianta. Invitati. Anche per gli invitati le regole sono molte, limitiamoci riassumere dicendo che si acquista il titolo di invitati ideali quando: non si mettono a disagio gli altri ospiti, quando si contribuisce al divertimento e al piacere di tutti e quando si dimostra gratitudine ai padroni di casa per l'invito. Anche se si viene invitati al ristorante valgono le stesse regole, in più si cerca di non ordinare i cibi più costosi, ma neppure solo i più economici. Se il menu è già stato fissato e vi sono piatti che proprio non potete mangiare per ragioni di salute, chiedete di sostituirli con qualche cosa di semplice, come riso, una bistecca o un pezzetto di formaggio. Un invitato perfetto al ristorante si comporta come se fosse in casa del proprio anfitrione e quindi evita critiche alla cucina o al locale e cerca anzi un motivo per esprimere il proprio gradimento della serata. Chi invita non paga il conto a tavola, ma si alza regolando ogni cosa in privato. Se avvenisse al tavolo, si cerca di ignorarlo, limitandosi a fine serata a ringraziare con qualche commento tipo: «Siamo stati davvero bene» oppure un «Grazie di tutto». Deve essere l'anfitrione e mai l'ospite a concludere la serata; darebbe l'impressione di non gradire la compagnia. Attenzione, quindi, padroni di casa: sta a voi chiudere le danze con garbo. Jeans. In molti paesi del mondo andare a cena o in una casa privata indossando i jeans è sgradito, anche se certe marche costano centinaia di euro. Kiwi. Si taglia a metà e si consuma con un cucchiaino. Legumi. Si tratti di fagioli, piselli, fave o lenticchie i legumi si mangiano con la forchetta. Non si servono fagioli alle cene formali. Liquori. Si servono a tavola o ancora meglio in salotto dopo il caffè. Lisca. Se una vi si conficca in gola non stramazzate al suolo con le mani alla gola, ma alzatevi e andate in bagno dopo aver mangiato un boccone di pane. Ecco perché per evitare imbarazzo è opportuno servire pesce perfettamente pulito. Lumache. L'unica condizione per servirle con il guscio è fornire ai commensali le apposite pinze, in tutti gli altri casi si propongono sgusciate e in umido nelle diverse varianti. Nel primo caso, pinza nella mano sinistra e forchettina nella destra per estrarre la polpa. Make-up. Sì, è vero, non ci si rifà il trucco a tavola e confermo, ma davanti al rossetto non resisto. Mi piace vedere una bella donna tirar fuori dalla borsetta lo specchietto gioiello di famiglia e stendersi un rossetto rosso sulle labbra. C'è chi lo sa fare e chi no: mai durante un pranzo di lavoro. Mancia. In Italia la mancia non è obbligatoria come negli Stati Uniti o nel mondo anglosassone, ma gradita. Si lascia sempre a chi porta i bagagli e a chi vi parcheggia la macchina, al personale di servizio della casa che ci ospita e a tutti coloro che hanno svolto un servizio che non era nelle loro competenze. La cifra deve essere compresa almeno tra il 5 e il 10 per cento del conto totale. Al ristorante non si dà in mano al cameriere, ma è preferibile lasciarla sul piattino con il quale è stato consegnato il conto; se non è possibile si farà scivolare nella mano del destinatario senza farsi notare. Mandarino. Si sbuccia con il coltello tenendolo fermo con la mano sinistra e poi si mangia uno spicchio per volta. I maschi, di norma, non mangiano frutta perché sono maledettamente pigri, ma provate a sbucciargli un mandarino o una fetta di mela, vedrete che apprezzeranno molto il gesto materno! Ricordate però la Teoria del Precedente. Lo Sgalateo consiglia la «sbucciatura della frutta» come merce di scambio: tu fai una cosa per me e io in cambio ne faccio una per te. Mandorle. Vale la stessa regola dell'altra frutta secca. Una raccomandazione: chiudete la sinistra sulla mano destra a protezione, prima di premere le due parti dello schiaccianoci. Si sono visti pezzi di gusci schizzare nei décolleté e colpire il lampadario. Dai latin lover sono considerate cibo afrodisiaco. Mani. Si tengono sulla tavola in Italia e in grembo, nelle pause, se seguite la scuola britannica. Nel mondo occidentale non si mangia nulla con le mani tranne il pane, i pasticcini, l'uva, il cioccolato e il sushi. Sciocco ricordarlo? Prima di andare a tavola bisogna lavare mani e unghie. Lo Sgalateo prevede e consiglia di usare mani e dita quando e come si vuole. Marmellata. Solo quella di agrumi si può chiamare così, è chic sapere la differenza; tutte le altre sono confetture. Non servitevi dal barattolo, è cafone. Mettetene una piccola quantità sul piatto e poi spalmatela sul pane con un cucchiaino o con un coltello da frutta. Mele e pere. Si tagliano in quattro parti sul piatto con il coltello e la forchetta. Le parti si infilzano con la forchetta e con il coltello si eliminano prima la buccia e poi il torsolo, poi si tagliano in pezzi più piccoli e si portano alla bocca con la forchetta. Melone. Dovrebbe essere servito a fette e già sbucciato, se piccolo e maturo può essere servito tagliato a metà, in questo caso si consuma con un cucchiaino. Menu. È cortese, quando si invita a casa, scrivere su un cartoncino la data, i piatti e i vini serviti, sarà utile agli invitati per regolare il proprio senso di sazietà. Quando siete al ristorante chiedete la carta e non il menu. Non soffermatevi su ogni portata un'ora prima di decidere cosa ordinare: è irritante, per il cameriere e per gli altri ospiti. Minestra. Senza rumoracci e senza soffiarci sopra, si sorbisce con il cucchiaio. Non si serve se non per la cena e mai due volte, così recita il cerimoniale. Nel servirla è facile sporcare la tovaglia, quindi è opportuno o tenere a portata di mano un piattino dove appoggiare il mestolo nel tragitto zuppiera-fondina, oppure, ancora meglio, fare le porzioni in cucina e portare a tavola ciascun piatto con grande attenzione. Evitate di offrire una minestra a una cena organizzata per fare conquiste: a meno che non sia una sofisticatissima vellutata di crostacei, ogni altra preparazione in brodo rischia l'effetto «minestrina da ospedale», il che non è affatto sexy. Mollica. Chi non mangia la mollica o la crosta, la ripone in un angolo del proprio piatto; guai a lasciarla sulla tovaglia. Vietato fare pupazzetti con la mollica o, peggio, proiettili da tirare al commensale più odioso. Lo Sgalateo vi lascia liberi di creare con la mollica piccoli cuori da regalare al vostro partner durante la cena. Musica. In casa, una musica di sottofondo è piacevole mentre si aspettano gli ospiti, ma durante la cena dovrete abbassare il volume. Nella scelta, sbizzarritevi: oggi ci sono cd di accompagnamento per ogni esigenza, chiedete in un negozio specializzato. Personalmente adoro, dal tramonto in poi, il vecchio Frank. Per un cocktail in piedi o un garden party, la musica è sempre fondamentale. Una domanda: vi siete mai chiesti dove vanno a prendere quei terribili cd nelle hall di certi alberghi paludati? Naso. Ovviamente ogni operazione di pulizia è vivamente sconsigliata. Nel linguaggio del corpo ogni volta che si toccano le zone periferiche intorno al naso il nostro commensale potrebbe mentire. Attenzione, potrebbe. È il retaggio di un comportamento infantile che porta a mentire coprendosi la bocca con le mani; visto che l'amministratore delegato di una multinazionale non può coprire con entrambe le mani la bocca spalancando gli occhi, ecco che l'inconscio si accomoda sfregando il naso o con movimenti simili. Noccioli. I noccioli della frutta o le parti di scarto, inavvertitamente messe in bocca, non si lasciano cadere direttamente nel piatto. Se sono stati portati alla bocca con una posata si fanno scivolare su di essa e poi sul piatto, ma forse è più facile deporli nella mano chiusa a pugno e riportarli sul piatto. Noia. Sarebbe bello divertirsi follemente a ogni occasione conviviale: ma non è così. Se vi annoiate a morte perché il vostro vicino di destra parla solo di insetti in via di estinzione e l'altro è un distinto ottantenne ma con problemi di udito, tenete duro. Non si guarda l'orologio, né le vie di fuga come la porta d'uscita, né si parla con un tizio nell'altro tavolo escludendo i commensali vicini a voi. Odore. Gli odori di cucina se si invita a casa vanno eliminati azionando le ventole o ancora meglio aprendo le finestre prima che arrivino gli ospiti. Al ristorante sarebbe obbligatorio non narcotizzare i clienti con odori molesti, d'altra parte una stanza completamente asettica non fa buona impressione. Signore, non profumatevi troppo. Olive. Si portano alla bocca con gli stuzzicadenti (unico utilizzo ammesso degli odiosi aggeggi), ma se vengono servite come aperitivo sono consentite anche le mani. Il nocciolo si pone nella mano e poi si lascia in un apposito piattino. In realtà spero sempre di trovare cibo più originale come aperitivo, sia in casa che nei bar, o almeno se volete offrirmi delle olive devono essere buonissime. Ossi. Si lasciano nel piatto e non si toccano con le mani. Evitate, nel tentativo di staccare un pezzo di carne rimasto attaccato all'osso, di farlo schizzare in testa a qualche malcapitato. Lo Sgalateo prevede il contatto con gli ossi da scarnificare e succhiare a piacere come per rivivere un rituale primitivo. Ostriche. Se le offrite voi dovete essere sicuri della qualità superiore, fatele aprire e non gettate via, per carità, la loro acqua di vegetazione. Esistono delle speciali forchettine a tre denti per molluschi che potete usare per estrarre la polpa, in caso contrario potete usare la mano destra evitando il più possibile ogni risucchio. I puristi le degustano assolutamente nature. Nello Sgalateo, ca va sans dire, se ne fa grande uso, sarà per l'alto valore simbolico del mollusco considerato afrodisiaco. Padroni di casa. Dovrebbero essere sorridenti e freschi, anche se in realtà sono stravolti dalla stanchezza. Mai iniziare a mangiare prima della padrona di casa, ma attendere un suo cenno per cominciare. Pane. Una delle poche cose che si possono toccare con le mani, ma non si spezza con i denti. Si fa a pezzi con le mani e poi si porta alla bocca a piccoli bocconi. Evitate di tagliarlo a tavola a meno che non si tratti di un rarissimo pane toscano che desiderate far vedere in tutto il suo splendore, in tutti gli altri casi si taglia in cucina e si porta a tavola in un cestino oppure in un vassoio d'argento. Il piattino del pane, gradito nelle cene formali, si mette in alto a sinistra di ogni commensale. Pasticcini. Si prendono dal vassoio con le mani, insieme alla carta pieghettata che li avvolge. Vietato indugiare nella scelta e soprattutto toccarli tutti prima di sceglierne uno. Pâté. Si mangia con la forchetta e, se accompagnato dai crostini, non viene spalmato ma mangiato separatamente. Pausa. Quando si smette di mangiare per fare una pausa, si mettono le posate con le punte del coltello e della forchetta che si incrociano, con i rebbi della forchetta all'ingiù e la lama del coltello verso il centro del piatto. Come già detto, in questo modo il cameriere o chi per esso dovrebbe, dico «dovrebbe», capire che non deve portar via il piatto. Per piacere e grazie. Ricordiamoci di pronunciarli sempre, ogni volta che chiediamo di passarci qualcosa, quando veniamo serviti a casa o al ristorante, quando chiediamo qualcosa al cameriere. Pesce. Prima il pesce e poi la carne, questa è la regola. Qualsiasi portata di pesce si serve con le posate apposite, se non avete le posate adatte usate solo la forchetta. Pesche. Mangiare frutta intera (purtroppo) con le posate non si fa quasi più, perché difficilmente i ristoranti metropolitani la propongono. È considerata ancora una portata in certe pensioni familiari sull'Adriatico o sulle coste ioniche. Se a una cena formale decidete di mangiare una pesca che vi viene servita intera consideratela una faccenda seria. Si puntano (non infilzano!) i rebbi della forchetta sul frutto e si incide la polpa col coltello per tagliare uno spicchio alla volta, quindi si ferma con la forchetta lo spicchio e lo si sbuccia con il coltello. Si tiene lo spicchio sbucciato sulla punta della forchetta, si taglia un boccone (massimo 2 centimetri) e lo si porta alla bocca senza cambiar di mano alla forchetta, che quindi rimane nella sinistra. Piatti. Quando il cameriere si avvicina per portarci i piatti, e soprattutto per toglierli, non va aiutato. Allo stesso modo, non si impilano i piatti sporchi: perché volete intralciare il lavoro del personale di servizio? Rilassatevi, se pagate il conto avete il diritto di farvi servire. Si può aiutare il personale perché distante, solo se ce lo chiede, anche se non dovrebbe mai farlo. Picnic. Che bello vedere un po' di galateo anche sull'erba, basta poco: piatti di cartone, fazzolettini e tante torte salate. Unica eccezione, mai i bicchieri di carta, mettete dentro un bel cesto di vimini tante flûte di vetro, di certo qualche partecipante al picnic sarà felice di aiutarvi. Il bon ton si rilassa sotto il cielo e diventa più elastico, ma ritorna rigidissimo al momento del dopo picnic. Vietato lasciare mozziconi, plastica e rifiuti abbandonati sull'erba, e vi assicuro che questo è ben peggio che dire «Buon appetito». Piedi. In teoria dovrebbero stare sotto la sedia del proprietario, e questo vuol dire non allungarli incivilmente sotto il tavolo intralciando le estremità altrui e tanto meno lateralmente provocando involontari effetti «piedino». Lo Sgalateo permette di sbirciare sotto il tavolo per, studiare la posizione dei piedi: incrociati, ci sono ancora un po' di riserve. Con le punte all'interno? È rimasto un pizzico di infanzia. Accavallate? C'è ancora qualche resistenza nel vostro commensale. Piedino. Sono due le regole fondamentali da rispettare per il seduttore (uso il maschile, ma vi sono signore grandi esperte nel campo) che usa il piedino come arma di seduzione. 1. Si fa solo se si è certi di non ricevere un rifiuto. 2. Si fa solo se si è certi di non essere scoperti dal resto dei commensali. Pinzimonio. Uno dei pochissimi casi nei quali è permesso usare le dita per mangiare. Le verdure vengono servite già tagliate e ogni commensale ha una scodellina dove intingere carote e sedani. Piselli. È esilarante vedere, come è capitato a me, schizzare i piselli dal piatto come proiettili. Se accade significa che il cuoco era pessimo: dovrebbero essere morbidi. Di norma, basterebbe raccoglierli con la forchetta. Pollo. Anche se un commensale vi ricorda il detto popolare secondo cui pure la regina Margherita mangiava il pollo con le dita, lasciate perdere e continuate a usare forchetta e coltello. Il pollo è difficile da tagliare in tavola anche con il trinciapollo, fatelo in cucina dopo averlo mostrato, se volete, ai commensali. Polpette. Per qualche inspiegabile motivo servire polpette a una cena formale è considerato scorretto, probabilmente perché si può sospettare che siano preparate con gli avanzi. Quindi evitatele, anche se sono un piatto straordinario, in primis quelle di bollito. Sono vivamente consigliate dallo Sgalateo, che incoraggia il consumo di polpettine, cibo da mangiare con le mani e soprattutto da imboccare. Pompelmo. Si serve tagliato a metà e si consuma prelevando la polpa con un cucchiaino. Posacenere. Non si mette in tavola, mai, se non a fine pasto e dopo aver chiesto il permesso di fumare agli altri commensali. Al ristorante non si può più fare, ma non lamentatevi. È così bello ritrovarsi fuori sul marciapiede: si fanno molte conoscenze interessanti. Vietato però abbandonare il proprio ospite o accompagnatrice per interminabili pause. Posate. Oggi si tende a snellire il più possibile il numero delle posate. L'ideale è il tris: una forchetta, un coltello e un cucchiaio, se serve; man mano che si susseguono le portate si cambiano le posate. Posti. L'uomo siede alla destra della donna, le riserva il posto lungo la parete o che comunque le permetta di vedere la sala. Ogni uomo siede a fianco di una signora che non sia sua moglie (o compagna). Nel caso di due coppie, ogni signora siederà alla destra dell'uomo che non è suo marito. Se invece l'uomo e la donna siedono da soli, ai due lati consecutivi di un tavolo quadrato, lui siederà alla sua destra per poter utilizzare il braccio destro e quindi versarle da bere con più agio. I signori siedono un attimo dopo le signore. Lo so, non lo fa quasi più nessuno tranne che in certi adorabili ambienti. Durante il pasto se una signora si allontana dal tavolo, per qualunque motivo, gli uomini si alzano contemporaneamente a lei, si risiedono appena si allontana e si rialzano appena riappare. A una cena in casa privata, ricordate, l'ospite d'onore uomo si siede alla destra della padrona di casa, mentre l'ospite d'onore donna si siede alla destra del padrone di casa. Prenotazioni. Se avete prenotato in un ristorante e poi per qualsiasi motivo cambiate idea, soprattutto se il locale possiede coperti limitati, telefonate sempre per disdire. All'estero nei ristoranti stellati si lascia il numero di carta di credito perché in caso di mancato avviso viene addebitata una mora. Presentazioni. Prima di imparare qualsiasi altra regola, la buona educazione ci impone di presentarci ogni volta che ci troviamo a dividere una tavola. In teoria dovrebbero pensarci i padroni di casa, ma se chi ospita è assente lo faremo noi dicendo il nostro nome con un sorriso accompagnato da un buongiorno o da un buonasera. Prezzemolo. Che dilemma, dire o non dire della fogliolina di prezzemolo tra i denti del nostro commensale. Sì, meglio dirlo. Basta sussurrarlo discretamente in un orecchio. Ribes e frutti di bosco. Si servono in coppette con il cucchiaio da frutta. Reclami. Nel caso di un cibo malcucinato, di un vino che sa di tappo o di una posata o un piatto non pulitissimi, ci si limita, senza recriminazioni, a chiedere che vengano sostituiti spiegando il problema con gentilezza. Con educazione e garbo è giusto sottolineare gli errori da parte della cucina o del servizio, nei locali pubblici. È peraltro di cattivo gusto mostrarsi incontentabili, critici, polemici, commentare la scelta dei piatti al cameriere o parlare dei propri disturbi intestinali agli altri ospiti. Ricci di mare. Solo se volete male ai vostri ospiti li servirete a una cena formale. Meglio lasciare questo ingrediente sensuale per uno spaghetto a due, magari cucinato insieme e consumato su una terrazza al tramonto. Riso e risotto. Si mangia con la forchetta, non si soffia sul risotto e non si allarga nel piatto come si vede fare. Ritardo. Mai arrivare in ritardo a un appuntamento galante, anche se alla signora è permesso un indugio di dieci minuti. Se arriviamo in ritardo in una casa privata o al ristorante è d'obbligo telefonare per avvisare. Sale e pepe. Non si chiede al ristorante di classe se non strettamente necessario, è come sottolineare che il piatto non era perfetto. In casa, durante i pasti quotidiani si mette in tavola, ma è meglio non farne uso. Salame. In una cena formale non si serve. Con gli amici e in famiglia ben venga qualche fetta di salame. Si può prendere con le mani e mangiarlo accompagnato dal pane; si eviti il classico panino, a meno che non ci si trovi a un bel picnic. Salmone. Si consuma con le posate da pesce, se accompagnato da crostini non va messo sul pane ma consumato a parte. Salse. Le salse non si raccolgono se non con il salsacoltello, una posata a forma di cucchiaio, ma con un lato tagliente creata apposta per tagliare e tirar su ciò che rimane nel fondo del piatto. Scampi. Serviteli già sgusciati quando è possibile. Consigliati per le cene private a due. Scarpetta. Mi dispiace, ma il galateo non ammette scarpette di sorta e soprattutto non tollera surrogati, e cioè tutte quelle pratiche che i commensali ingegnosi si inventano per raccogliere un buon sugo dal fondo del piatto. Non esistono deroghe. Via libera alla scarpetta, invece, nelle riunioni familiari e per lo Sgalateo. Segnaposti. È un bel gesto predisporre i segnaposti quando si hanno tanti ospiti e soprattutto se vogliamo mantenere la regia a tavola. Potete sbizzarrirvi con oggetti di ogni genere, che servano da supporto al cartoncino sul quale sarà scritto il nome. Soffiare. È molto maleducato soffiare sul cucchiaio o sul piatto per raffreddare il cibo. Sottopiatti. Sono utili e doverosi nelle cene formali, belli quelli in argento, ma sono ammessi tutti i materiali. Spaghetti. Si mangiano arrotolandoli alla forchetta, che non va puntata sul piatto, ma tenuta leggermente inclinata, quasi orizzontale. Si raccolgono pochi fili di pasta per volta, in modo da portare alle labbra un boccone piccolo. Evitate accuratamente risucchi di ogni tipo e rimasugli di sugo sul mento. Orribile l'utilizzo del cucchiaio o, peggio ancora, del coltello per tagliarli! Spumante. Quello secco non si serve mai a fine pasto insieme ai dolci. Se volete mostrarvi esperto di vino, dite «metodo classico», oggi lo spumante si chiama così. «Bollicine» pare sia superato, ma rende l'idea. Quando si stappa tenete la mano destra sopra l'imboccatura della bottiglia per evitare che il tappo colpisca qualcuno nella stanza e soprattutto cercate di essere silenziosi. Starnuto. L'ideale sarebbe reprimerlo, soffocarlo, ucciderlo, specialmente durante cerimonie e pranzi formali. Quando vi accorgete che lo starnuto sta arrivando, conviene alzarsi e procurarsi un fazzoletto pulito. Se proprio dovete restare seduti, voltate il viso all'esterno del tavolo e starnutite dentro il fazzoletto, badando di fare meno rumore possibile. In Giappone è considerato ripugnante starnutire a tavola. Stuzzicadenti. Come tutte le operazioni riguardanti il proprio corpo, stuzzicarsi i denti a tavola non è ammesso. In realtà i ristoratori dovrebbero mettere il contenitore degli stuzzicadenti in bagno. Se il fastidio è insopportabile, alzatevi dal tavolo. Sushi. Se non sapete usare le bacchette, non pasticciate inutilmente. Usate le mani, che è consentito, oppure chiedete una forchetta. Ogni pezzo di sushi va intinto nella soia dalla parte del pesce, mai dal riso. Le bacchette si appoggiano all'apposito utensile che assomiglia a un poggiaposate, e quando avete finito si mettono allineate sulla ciotola che contiene la salsa di soia. Al sushi bar, se sedete al bancone, non date soldi al maestro sushi presi dall'entusiasmo: non può toccarli. Tavola. Sulla tavola non si appoggia nessun oggetto, niente chiavi, occhiali, portafogli o telefoni. Tè. Si beve sorseggiando dalla tazza senza sollevare il mignolo, per carità. Non vi si inzuppano dolci o tartine, ma si alternano piccoli bocconi e sorsi di bevanda. La padrona di casa che invita per il tè predispone zucchero, latte e fettine di limone, qualche biscotto ed esorta gli ospiti a servirsi da soli dopo aver versato il tè nelle tazze. Toilette. Non c'è bisogno di annunciarlo rumorosamente, se si vuole andare in bagno ci si alza con un semplice «Scusate». Alle signore consiglio di non abbandonare per ore il proprio cavaliere ad aspettare al tavolo. Torta. Si mangia con l'apposita forchetta a tre punte. Tovaglia. La tovaglia, di qualsiasi colore sia, dovrà essere stirata alla perfezione e questo va fatto una volta che viene stesa sulla tavola, sopra un «mollettone», così si chiama il telo morbido di protezione alla superficie del tavolo. Scegliete tessuti naturali in colori contrastanti con i piatti la cui base, sarò tradizionalista, deve essere rigorosamente bianca. Tovagliolo. Solitamente piegato e posato sopra il piatto o il sottopiatto va a destra, ma si può semplicemente piegare a triangolo e adagiare sul piatto. Evitate piegature fantasiose e laboriose. All'inizio del pasto va steso sulle ginocchia, sempre dopo la padrona di casa o, al ristorante, dopo la persona che ha invitato. Non va mai legato al collo. Si usa prima di bere, sempre, e dopo aver appoggiato il bicchiere. Alla fine del pasto si lascia alla sinistra del piatto. In alcuni ristoranti di alto livello, prima del servizio del dolce, il tovagliolo viene cambiato con uno più piccolo. È un atto di grande cortesia. Signore, cercate di non lasciare vistose impronte di rossetto, signori non usatelo per detergervi il sudore dalla fronte. Ubriachezza. Può succedere che un ospite esageri con l'alcol: che fare? Un bravo anfitrione cerca di arginare come può la serata, ma di certo non lo abbandona fuori dalla porta a fine cena. Si preoccupa di accompagnarlo a casa e di assicurarsi che stia bene. Uomo. Uomini, ricordate! Basterà un gesto come aprirle la portiera o alzarsi nel momento in cui lei lascia il tavolo per farsi ricordare a lungo. Insomma, vi verrà perdonato anche qualche sbaglio, se saprete usare qualche galanteria al momento giusto. L'uomo entra per primo in un locale, comunica con i camerieri, versa da bere, si dimostra più interessato alla compagnia che al cibo, conversa e dovrebbe pagare il conto. Uova. Non si usa mai il coltello, in qualsiasi modo siano cucinate. Lo si può usare solo per tagliare il prosciutto o la pancetta che le accompagna. Uva. Va tenuta con la mano sinistra, mentre con la destra si staccano gli acini che andranno alla bocca. Verdure. Non si tagliano mai con il coltello. Vino. Non si versa mai sino al collo del bicchiere. Si stappa sempre davanti agli ospiti, e così pretendete al ristorante. Si fa scegliere alla signora e se questa si rifiuta si prende l'iniziativa chiedendo almeno «bianco o rosso». Chi invita, sia a casa sia al ristorante, propone i vini e chiede se gli invitati sono d'accordo. Il vino non si mescola con l'acqua e non deve essere raffreddato con il ghiaccio. Si lascia in un secchiello di qualsiasi materiale, possibilmente su un tavolino a parte. Zotico. È l'epiteto che si merita chi a tavola pecca di prepotenza e maleducazione. Per neutralizzare lo zotico recidivo è necessaria più fermezza che ironia, la seconda non la coglierebbe. Un seccato richiamo ha più probabilità di venire accolto. Zuppa, zuppiera. Non si soffia sulla minestra o la zuppa. In Inghilterra, il cucchiaio non viene introdotto in bocca di punta, ma appoggiato lateralmente alle labbra. In Italia il cucchiaio viene introdotto in bocca di punta. Ma ciò non vuol dire, beninteso, che lo si debba inghiottire fino al manico. È tollerato che, arrivati agli ultimi cucchiai di minestra, si sollevi appena il piatto inclinandolo verso il centro della tavola. Zuzzurellone. Avete presente quei soggetti che pur essendo adulti si comportano come ragazzini e si divertono a fare i giocherelloni? È il buontempone, il burlone che a tavola gioca con il cibo, estenua i commensali con storielle imbarazzanti, indovinelli, racconti di vita privata e via discorrendo. Basterà ignorarlo senza ridere delle sue battute pesanti per neutralizzarlo.

Pagina 160

La gente per bene

191611
Marchesa Colombi 2 occorrenze
  • 2007
  • Interlinea
  • Novara
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Però quest'uso, nato pochi anni sono, è già quasi abbandonato. Ed infatti, perchè voler fare da sè, e mettere da parte i genitori, che hanno sempre annunciato loro i matrimoni dei loro figlioli? Sembra che gli sposi si vogliano emancipare con quelle carte da visita personali. Si emancipano già col matrimonio; perchè togliere a genitori quell'ultimo atto di tutela, che non impone nessun vincolo, ed è un segno di rispetto? Io lascerei le carte da visita alle vedove ed alle zitellone orfane. Ma finchè una sposa ha i genitori, qualunque sia la sua età, sono loro che la maritano, è da loro che lei riceve la mano dello sposo che ama..., o che non ama; e tocca a loro annunciarlo alla società.

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Dovrà alzarsi, ed accennando in atto di offerta il sedile abbandonato, andar subito a sedere presso sua madre. È affatto provinciale l'usanza di certe signorine, di offrire alle figlie delle visitatrici di passare in un'altra stanza, o di andare con loro al balcone. Questo fa supporre discorsi secreti, che offendono le mamme, e fanno torto alle signorine. L'uscire sul balcone poi, perchè sono signorine, mentre le signore rimangono in sala, vuol dire: -"Dacchè non abbiamo ancora trovato un cormpratore, andiamo a metterci in mostra; chi sa?" Se la signora di casa è una di quelle adorabili padrone attempate, che amano la gioventù, e la trattano con quell'aria di dolce protezione che invita l'affetto, una signorina farà bene a porgere il volto in atto di domandare un bacio nel congedarsi. Altrimenti cercherà, nello stringerle la mano, di accentuar molto l'inchino, in modo di escludere quel che c'è di confidenziale in quell'atto. Se una signorina non ha madre, e fa o riceve visite colla istitutrice, deve lasciare a lei il posto alla destra del camino o del divano, con quella deferenza che è sempre dovuta da una giovinetta ai superiori. Però sarà lei che osserverà che la visita fu breve quando una signora si alza per congedarsi, e che insisterà presso le persone intime, perchè si trattengano più a lungo. In tali circostanze, se c'è qualche invito affatto privato e confidenziale (non potrebbero essere differenti, perchè in una famiglia senza signore non si fanno inviti), toccherà alla signorina il farlo. Potrà benissimo pregare un'amica di rimanere a pranzo, o a passare la sera; o di andare in campagna con lei. Ma non mancherà mai di dire che farà molto piacere anche al babbo ed all'istitutrice; e pregherà questa di unire le sue insistenze alle proprie, affinchè la povera signora, condannata dalle circostanze a vivere in una casa che non è la sua, non se ne senta troppo estranea, e messa da parte. Gli stessi riguardi dovrà usare ad una zia, o ad una parente qualsiasi che vivesse con lei.

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Nuovo galateo. Tomo II

195193
Melchiorre Gioia 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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Ozio e crapula traggono seco la corruzione: i feudatari ne'loro castelli s'abbandonavano a que' vizi cui si era abbandonato Tiberio a Caprea. Le donne che non cedevano alla seduzione dovevano cedere alla forza: nissuna autorità riusciva a sottrarle alle zanne de' rapitori. La smania di comparire ne' tornei e alla corte de' principi fu causa per cui ciascun feudatario volle ecclissare l'altro collo sfoggio degli abiti e dei cavalli; e non potendo accrescere i suoi mezzi pecuniari con onesta industria che non conosceva o disprezzava, gli accrebbe colle ruberie; saccheggiò i vicini, spogliò i vassalli, si fece aggressore di strada, e potè esserlo impunemente, giacché l'autorità sovrana mancava di forza per reprimerlo. « Tornando da Roma a Piacenza il vescovo » Branda Castiglione, uom nobilissimo, fu a Borgo » S. Donnino posto in carcere da Orlando Pelavicino, » senz'altra ragione che di spogliarlo di quanto » avea e d'averne inoltre grosso riscatto dopo » tre mesi di prigionia. Così il vescovo d' Alba altrove, » così altri prelati e principi da tali ladri » signori furon trattati ». (Bettinelli). V. pag. 259- 260 nota (1). - Per salvare un bel campo fu forza farne donazione finta o reale ad una chiesa, e invocare il patrocinio d'un santo accreditato contro le avanie di un tiranno feroce. Tra i privilegi feudali nessuno andava tanto a sangue a qué signori, quanto quello di farsi ragione colla loro spada: quindi tra gente rozza, orgogliosa, feroce, le guerre erano continue e si estendevano fuori del territorio de' due contendenti, giacché tutti i parenti sino al quarto grado trovavansi avvolti nella contesa. E quando le ostilità cessavano un'inquietudine desolatrice paralizzava sempre l'industria e il commercio, potendo ciascun giorno ricondurre subitamente il flagello della guerra. La crudeltà è in ragione della debolezza, tanti piccoli signori dovevano dunque assere crudelissimi.

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Galateo morale

196833
Giacinto Gallenga 2 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
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La mezza bottiglia diventa con la sua compagna una bottiglia intiera, poi arrivano le sorelle a tener compagnia, e in capo a qualche ora, eccovi briachi fradici, incapace di trascinarvi a casa, giacché l'ubriaco ha questo di buono che si rende peggiore di un bruto, il quale anche abbandonato a se stesso trova la via del covile e della stalla, e l'ebbro non è più capace di trovare la strada che mena al suo abituro. E quel che ho detto del vino, applicatelo, operai, al giuoco e alle altre passioni, le quali sono simili a quegli ingranaggi che osservate nelle officine in cui andate a lavorare. Guai a chi si lascia cogliere per una falda dell'abito, per una punta delle dita. La macchina lo abbranca, lo trascina, lo schiaccia e lo rigetta a brani dalle sue viscere micidiali. La passione, quando riuscita a penetrare in un cantuccio dell'anima, tutta la invade, la avviluppa e la soffoca nelle sue spire, né più la respinge finché non l'abbia priva di ogni palpito generoso, di ogni nobil sentire, finché non l'abbia, come quella macchina di cui v'ho parlato, ridotta a brandelli. Un francese ha detto argutamente: Rien n'est bête comme un homme en ribote. Ma oltre al mostrarsi imbecille, un operaio dedito alle orgie si mostra anche crudele, poiché fa strazio d'ogni soave affetto di famiglia di patria. Esso dà una smentita a quel proverbio che dice «che il pensiero della casa, della moglie, dei figli trattiene l'uomo dal commettere il peccato».

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No, non lasciate la casa allorché un de'vostri muore; non lasciate ad altri il compito di comporne le reliquie; il coraggio che voi spiegherete in tale circostanza, coraggio che il vostro affetto dovrebbe essere sufficiente ad ispirarvi, vi risparmierà in parte lo strazio che vi attende al rientrare dopo alcuni giorni in quella stanza deserta; né sentirete al cuore quello schianto che voi dovreste provare dando uno sguardo a quel vuoto letto; né vi stringerà il rimorso di aver vigliaccamente abbandonato colui al quale era debito vostro sacrosanto, prima che lasciasse per sempre la vostra casa, porgere l'estremo saluto.

Pagina 502

Come presentarmi in società

200014
Erminia Vescovi 1 occorrenze
  • 1954
  • Brescia
  • Vannini
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Ma più ancora, come vi si troverebbe un ragazzo abbandonato a sè, senza l'appoggio dei genitori e le norme che suol osservare in famiglia? La disciplina del collegio è quella che lo sostiene, lo guida, gli dà garanzia che tutte le azioni della sua giornata sono buone, utili, ben dirette. Bisogna dunque avvezzarsi a considerarla come un appoggio e non come un ostacolo, e procurare d'amarla. Amandola, la rispetteremo, e il vantaggio che tutti la rispettino ricadrà su ciascuno in particolare. Per prima cosa, puntualità! Quando suona quella benedetta campana, si ubbidisce subito: sia che imponga di alzarsi dal letto (ahi! ahi!) sia che inviti a pranzo, sia che segni il termine della ricreazione. Ma non occorre, per mostrarsi puntuali, incalzarsi l'un l'altro, premendo e urtando alla porta. Nei collegi ben tenuti è d'uso la fila a coppie: ciascuno stia col suo compagno e lasci passar gli altri che lo precedono. Puntualità e ordine. Tutto a posto, tutto a suo tempo. Cresciuti in età, vedrete, o giovani collegiali, quanto preziosa sia quell'abitudine che avrete contratto nell'istituto, dove in generale è più severamente vigilata che in casa. Oltre alla tenuta dei libri e quaderni, pei quali vi è assegnato un luogo apposito, e che dovrete tener sempre pulitissimo, vi è anche affidata, in parte almeno, la cura del vostro vestiario, a cui in casa provvede la mammina buona o la zia. Sicuro, cari giovanetti, voi dovrete avvezzarvi a spazzolare i vostri panni d'uniforme, dovrete fors'anche imparare a lucidarvi le scarpe, e anche, talvolta, ad attaccarvi qualche bottone. E le giovanette poi devono riguardar la loro biancheria, stirarla, accudir alla pulizia del loro vestito, rimediare a qualche strappo, togliersi qualche macchia. La responsabilità del loro piccolo corredo è affidata tutta a loro. Ora pensino i collegiali, maschi e femmine, come disdica presentarsi in mezzo agli altri con le scarpe mal pulite, colle vesti non allacciate, con qualche spilla di sicurezza che tien luogo d'un bottone mancante, col fazzoletto lacero e sudicio! Ad ogni lieve disordine del vestiario si deve invece porre subito rimedio, perchè una piccola macchia o un piccolo buco si tolgono presto, mentre se si lascia andare, dopo, la fatica è doppia e l'esito è incerto. Anche la considerazione economica deve avere la sua parte! I vestiti, la biancheria, le scarpe costano ben cari al giorno d'oggi; può un ragazzo onesto ed affettuoso aggravar colla sua negligenza le spese più grandi che i genitori sostengono per lui? Attenti dunque a conservar bene la vostra roba, attenti a non perdere fazzoletti, calze, pettini, spazzole... Tante volte è colpa della pigrizia e della sbadataggine: non si fa la nota del bucato, non si verifica ricevendo, e la roba va a finire nel cassetto di altri negligenti. Oppure si presta qualche oggetto a un compagno notoriamente sbadato, e non si tien più d'occhio la restituzione. E allora tocca ai poveri genitori provvedere un'altra volta. Il vestito d'uniforme dev'essere caro ai collegiali come al soldato la sua divisa; oltre a tenerlo pulito ed ordinato, è obbligo anche rispettarne l'integrità, ossia non aggiungervi, nè togliervi nulla. Questo specialmente per le giovinette che volentieri correggerebbero con qualche fronzolo la semplicità che a loro pare eccessiva, e che invece è così elegante, e piace tanto se uguale in tutti. E anche nel pettinarsi, stiamo al regolamento che proibisce cincischiamenti, nastri, pettini, arricciature. Credano ai loro superiori, quando affermano che questi attributi di vanità non si possono affatto conciliare con le idee regolatrici di un luogo d'educazione. La cura che si deve aver per la roba propria è doverosissima anche per quella del collegio. Non è lecito tagliuzzare i banchi, sporcare i muri, danneggiare le piante del giardino; bisogna star attenti a non fracassar vetri, a non sgangherar sedie, a non rompere stoviglie. In ricreazione bisogna accontentarsi del luogo a questa assegnato, e non uscirne, per esempio, a calpestar le aiuole o a dar la scalata agli alberi. E' vero che ci sono i superiori a sorvegliare: ma cercate, cari ragazzi, che questa sorveglianza che già per se stessa è una fatica, non diventi addirittura un tormento! Alla ricreazione, i giovanetti educandi devono prender parte con allegria comune. Vadano d'accordo sui giuochi da farsi, e non si facciano esclusioni o prepotenze: ognuno ceda un po' e tutti saranno contenti. Non bisogna poi schiamazzare incivilmente, correre all'impazzata, buttarsi come frenetici all'entusiasmo del gioco. E nemmeno sta bene appartarsi ostentatamente dagli altri e tener muso duro in mezzo alla comune allegria. In sala da studio, è prescritto un silenzio rigoroso. Questo non si deve rompere nemmeno per studiare a mezza voce, con fastidio grande dei vicini: non si deve nemmeno agitarsi continuamente, lasciar cadere a terra per negligenza oggetti rumorosi, sbadigliare, mormorare, disturbar insomma quelli che hanno voglia di star raccolti. Le ore dello studio sono quelle destinate appunto ai compiti e alle lezioni: bisogna tenersele care, e non guastarle nè per noi, nè per gli altri. Se dopo adempiuti questi doveri, avanza un po' di tempo, si potrà leggere qualche buon libro, o disegnare, o far qualche altro piacevole esercizio. A tavola si devono tenere le regole solite prescritte alle persone che vogliono mostrarsi bene educate, e non è qui necessario il ripeterle. Ma vi è un difetto gravissimo in cui cadono tanti e tanti collegiali. E' anzi una piaga quasi generale: quella di ostentar disprezzo per i cibi della mensa comune, e spesso di rifiutarli per partito preso, accontentandosi magari, per soddisfar questo capriccio d'orgoglio, di mangiar pane asciutto, oppure mangiucchiando poi le golosità che in altro modo si sono potute procurare. E', ripeto, più che altro un capriccio d'orgoglio, in cui cadono certi scioccherelli, i quali vorrebbero far credere che a casa loro sono avvezzi con cibi sopraffini, e che quelli del collegio non sono degni di loro. Ed è curioso ciò che si nota quasi sempre dai direttori e dalle direttrici: queste smorfie son fatte assai più frequentemente da ragazzi appartenenti a famiglie volgari che da quelli che provengono da buone famiglie. Il male è che generalmente si montano la testa l'uno coll'altro e allora respingono collettivamente la minestra perchè non piace al loro fantastico palato, la carne perchè sembra troppo dura a quei denti che pur rompono nocciole e sgretolano castagne secche, o qualche altra pietanza che abbia la sfortuna di esser mal considerata nel gusto comune. E' una mancanza gravissima di riguardo e di disciplina; ma c'è ancora di più: pensate, ragazzi, quante povere creature farebbero festa alla roba così malamente sciupata! Bisogna padroneggiare i capricci e la gola, e persuadersi che il cibo del collegio se non sarà sempre luculliano (e questo è un vero bene per voi!) è sempre sano, adatto alla vostra età, e sorvegliato da persone che vi tengono cari. E i genitori si guardino bene dall'assecondar queste tendenze, e dal favorirle, come fanno specialmente quelli di campagna, somministrando agli educandi cibi e goloserie in quantità. Nei collegi si suole usare una cura maggiore per le pratiche religiose, che non nelle famiglie. Generalmente vi è la Messa quotidiana; alla sera il Rosario e altre preghiere in comune. Quei ragazzi che a casa loro erano avvezzi a far solo in gran fretta le preghiere della mattina e della sera, o anche a dimenticarsene, inclineranno forse a pensare che è troppo...Non tocca a loro decider questo: tocca bensì a loro tener durante queste pratiche religiose il contegno più rispettoso e più quieto: non disturberanno gli altri, e potranno star meglio raccolti; per modo che si farà strada nella loro mente, un po' alla volta, un senso più chiaro dei doveri religiosi e vi si affezioneranno, con vantaggio grande, poi, per tutta la vita. Tra compagni è naturale che ci sia più simpatia per questo o per quello. E talvolta, queste simpatie, maturate negli anni, divengono le più care amicizie, e durano per sempre. Ma le simpatie improvvise e capricciose, le simpatie esagerate vanno spesso a finire in delusioni e dispiaceri: attenti a non cadervi. Ma attenti ancor più a non lasciarvi dominare dalle antipatie! Oltre che essere cosa brutta e crudele per se stessa respingere un compagno perchè non piace ai nostri occhi, o perchè ci sembra di condizione inferiore, o per altre ragioni di questo genere, ci si espone spesso a commettere gravi errori. Quante volte, praticando più da vicino una persona che ci era riuscita a prima vista antipatica, conoscendola meglio, abbiamo scoperto in essa delle qualità preziose, che poi ce l'hanno resa carissima! Sia dunque amorevole con tutti il bravo collegiale, pronto più a giudicar bene che male, pronto sempre a render servizio a un compagno, ad aiutarlo onestamente nel fare i suoi compiti, a intercedere in favore, a scusare una sua colpa. Agli educandi nuovi, specialmente, bisogna presentarsi col volto amichevole, incoraggiante: metterli al corrente della vita interna e istradarli all'adempimento dei comuni doveri. E non fare come certi sventati che cominciano subito i loro discorsi col dir male del collegio e dei superiori. I superiori hanno, qui, doppiamente i diritti e i doveri dei genitori poichè ne assumono interamente l'ufficio. Con loro, dunque, un bravo e buon ragazzo terrà il contegno di un affettuoso rispetto, e non si permetterà mai di criticarli, di farli segno alle malevolenze degli altri, di mostrarsi riottoso e sgarbato. E verso gli istitutori subalterni, che sono più a contatto con loro e che hanno obblighi maggiori e non sempre piacevoli, devono usar lo stesso rispetto, e procurar di unirvi fiducia e affezione. Vi sono poi alcune incombenze di collegio che sono affidate per turno agli educandi, e più ancora alle educande. e ciò ha il duplice scopo di facilitare il servizio e di avvezzar i giovani a certe incombenze domestiche, a cui possono ritrovarsi nella vita. Non dispiaccia troppo alle fanciulle, anche di buona famiglia, maneggiar la scopa o il cencio, lavar i bicchieri! Pensino che queste abilità possono giovar molto spesso, famiglia, ora che le persone di servizio van facendosi così rare; e che del resto non si perde la propria dignità in faccende che giovano al comune. Facciano dunque con viso sereno, e colla massima diligenza possibile, quello che loro viene comandato. In un luogo di educazione comune si devono evitare tutte le singolarità. Rispettando dunque la disciplina, e tenendo cari i consigli degli istitutori, si guardino i giovanetti dal chiedere continuamente e senza ragione delle dispense per non fare ciò che fanno gli altri. Pronti alla scuola, alla chiesa, allo studio, devono anche mostrarsi contenti degli svaghi comuni, e non fare gli schizzinosi. Perchè rifiutarsi di uscire alla passeggiata, e trovar mille pretesti? Si ubbidisca a questa legge di uguaglianza e di igiene, e non si insista, con disturbo degli istitutori. Nell'uscir a passeggio, poi, badino gli educandi alla massima pulizia e compostezza delle loro vesti, e procurino di non alterarla mettendo i piedi sbadatamente nella polvere o nel fango, e, quando son rotte le file, correndo e saltando disordinatamente. Camminando per le vie della città non alzino la voce, non stropiccino i piedi, non battano i tacchi. Ogni coppia cammini con passo regolare in modo da non costringer la fila a rallentare o a impedirsi il passo accavallandosi. Non si deve nemmeno rivolger la parola a quelli che stanno davanti o di dietro, e nemmeno camminar colla testa per aria, e mettersi nel rischio di battere contro qualche cosa. Incontrando persone di conoscenza, si può, anzi si deve, rivolger loro un cortese cenno di saluto; non mai alzar la voce e peggio chiamarle per nome. In dormitorio, quiete e silenzio! Se c'è chi non può dormire (ben raro caso a quell'età) procuri di non disturbare gli altri... Vi son dei ragazzi che tormentano i loro vicini di letto, chiamandoli, costringendoli a parlare, impedendo loro di dormire. E aspettano che il sorvegliante si sia ritirato, per far chiacchiericci e burle... No; nessuna regola del collegio dev'essere violata anche se manca la persona che sia preposta alla vigilanza immediata. A questa deve supplire il senso del dovere e il riguardo che ogni anima ben nata deve avere per i diritti altrui e per il proprio perfezionamento morale. Niente soppiatterie, niente indisciplinatezze. Così, il giovanetto educando si guadagnerà l'affetto comune, troverà più leggera la disciplina collegiale, e gli anni passati colà gli lasceranno un dolce ricordo, non esente di rimpianto, per tutta la vita.

Pagina 116

Eva Regina

204316
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 3 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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Oh morti nella vita: crudeli abbandoni, malattie insanabili, reclusioni eterne, chi potrà pronunciare verso le misere anime che ne sono vittime innocenti la parola che piega alla rassegnazione, che affranca, che rinnova l' esistenza La sposa di un demente il quale non lascierà più il triste asilo della follia; la moglie di un condannato a vita; la donna che il marito ha abbandonato per vivere con un' altra, debbono considerarsi vedove, ma senza quella libertà di sentimento e di atti che dà alla vedova l'indipendenza e il diritto di profittarne. La loro posizione è quindi sommamente difficile, estremamente dolorosa. Sono come esseri condannati a vivere incatenati ad un cadavere... Si può immaginare più spaventoso supplizio ? Eppure l'anima di queste donne si trova in tali tragiche condizioni. Se amano ancora il loro compagno diviso da esse dall' infermità, dal delitto, dal tradimento, che esistenza può essere la loro, rôsa dalla disperazione contro l'irrimediabile; dalla passione, dalla gelosia: col dardo avvelenato di un pensiero, fisso nell'anima, col rimpianto del passato, l' orrore dell' avvenire ? E se le lusinghe di un secondo amore le ha attratte, un amore insinuato sotto le forme della pietà, della consolazione, della rinascita, immaginate voi le lotte, gli spasimi di questo amore, che per una natura nobile e retta appare come una profanazione, come un tradimento, come un peccato? Giacchè la società si mostra indulgente per le mogli ideali che sanno astutamente conciliare le apparenze dell'armonia coniugale con la sostanza dell'adulterio nella sua forma più bassa ; ma è pronta a scagliare i suoi anatemi e i suoi biasimi severi sulla donna che il cattivo destino ha condannato alla solitudine e che affranta dalla stanchezza, terrorizzata dalle vertigini del vuoto, si afferra al primo sostegno che trova per non precipitare, per non morire. Triste, triste sorte: la più degna del conforto, dell'affetto, del soccorso dei buoni. Se non possiamo o non ci sentiamo capaci di fare altro, piangiamo con queste meschine : anche il pianto ha una virtù benefica — lo disse pure il Foscolo: « Le lagrime d' una persona compassionevole sono per gli infelici più dolci della rugiada sull' erba ormai appassita ››.

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Chiuso e abbandonato sulle ginocchia o sul parapetto del palco dice: « Il mio cuore è morto, non vi amo più.... »

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Gli alti fusti e gli edifici recenti male mi sopportano e non hanno bisogno di me per sostegno, io preferisco te che sei debole, te che tutti hanno abbandonato — te, che sei coraggiosa e ancora t'ergi dopo tante offese e tante vicende. E quand'anche di te non rimanesse pietra su pietra, io continuerei a effondere sul luogo ove esistesti le mie rame fresche, che gelo o sole non ingiallisce e a tener viva agli obliosi la memoria di te. » Questo si dicono l' edera e le rovine ; e parole presso a poco uguali sono forse scambiate fra qualche creatura caduta nella più profonda abbiezione, dal fondo d' un carcere, d' un luogo di vergogna, d' un rifugio, con l' ultima onestà con cui è ancora in contatto, l' ultima voce che le dice parole di speranza e di pietà : — forse una pura figurina di vergine cinta del mistero delle bende ; forse una virilità onorata e austera che segue la sua missione di luce e di bene.

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