Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Note sommarie per le organizzazioni professionali nell'interno della Sicilia

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Sturzo, Luigi 16 occorrenze
  • 1901
  • Scritti inediti, vol. i. 1890-1924, a cura di Francesco Piva, pref. di Gabriele De Rosa, Roma, Cinque Lune-Ist. Luigi Sturzo, 1974, pp. 197-204.
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A) Artigianato

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Nelle province zolfifere vi è l'industria della estrazione e manufazione dei zolfi, che per le sue condizioni speciali va esaminata a parte.

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Poche sono le fabbriche del tipo della grande industria, con un certo numero di salariati;e queste fabbriche sono isolate, appena una o due in qualche città dell'interno; industrie principali sono quella dei turaccioli, i pastificii, i mulini a vapore,e qualche fabbrica di alcooly [sic] ecc.

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Il capo-bottega o il capo-mastro che dispone di qualche piccolo capitale, assolda a giornata o a cottimo tre, quattro o più lavoranti (in certi mestieri si fa aiutare dalla moglie o dai figli). Egli si forma una clientela più o meno numerosa e lavora o a ordinazione o ad appalto,o per fornire un piccolo magazzino di manufatturati,che vende a richiesta o per le borgate vicine, nei giorni di fiera o mercato, nelle feste ecc.; o impiantano nei comuni vicini delle botteghe succursali. Per lo più il lavoro è a mano; poche sono le macchine in uso e queste molto primitive.

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Né la concorrenza si limita fra gli artigiani d'una stessa borgata o città; perché molti, dopo aver prodotto un certo numero di oggetti vendibili pel consumo privato (scarpe, oggetti di ferro, di latta ecc.) vanno in giro per le città e borgate vicine (a 20 a 30 e anche a 50 chilometri di distanza) e, sia per le spese di viaggio, alloggio ecc., sia per il buon nome (essendo indecoroso tornare in casa con la merce invenduta) vendono addirittura a baratto, rovinando sé e le piccole industrie dei luoghi ove si recano.

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Queste condizioni premono fortemente sui salariati a giornata o a cottimo (giovani di bottega)presso i capi-bottega (principale).

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In questa lotta quotidiana si sostengono a stento i pochi, che hanno la casuccia propria, qualche piccolo fondicello, non ancora rapito dal fisco, o qualche sommetta raggranellata ai bei tempi, o una tradizionale e fida clientela, che a poco a poco va sparendo.

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Viene così a cessare quella tradizionale stabilità, per cui il giovane di bottega diveniva come uno della famiglia del principale,e rimaneva a lui legato dai primi anni sino alla vecchiaia, perfezionando l'arte e ricopiando la tradizionale abilità della piccola fabbrica. Oggi invece facile è il passaggio da una bottega all'altra in cerca di lavoro e di meglio. E quando il giovane di bottega, con poca perizia ed esperienza, e senza capitali, può metter sù una botteguccia, sicuro che guadagnerà qualche cosa di più accentuando la concorrenza e rovinando l'arte (come si dice), accresce la turba dell'artigianato misero che finisce nella rovina e ne aumenta i mali.

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Non potendosi riuscire a organizzare tutti i capi-bottega di una data arte, quelli che sarebbero disposti a unirsi insieme temono che, cessando dalla concorrenza, si alienino i clienti, che passeranno ai refrattarii.

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Essi lavorano a cottimo o a giornata. I capi-maestri assumono i lavori (spesso ad appalto) e rimunerano essi i lavoranti, o li fanno rimunerare, dietro patto, dai privati committenti.

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gravissimo male è la disoccupazione a sbalzi e anche per lunghi mesi.

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per non lavorare a perdita diminuiscono i salarii dei manovali, e frodano nelle costruzioni.

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Turacciolai - Essi lavorano o a cottimo o a giornata nelle fabbriche (grandi o piccole). Il lavoro è mediocremente rimunerato e non da per tutto, perché l'offerta della mano d'opera supera la domanda. Il peggio si è che il lavoro non è stabile e per lo meno cessa quattro o sei mesi l'anno a interruzioni e a sbalzi, perché spesso o cessano le richieste di turaccioli, o vengono meno i capitali, o la scorza di sughero è incettata ed esportata, facendo venir meno il genere nelle piazze di lavoro.

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Migliorate le condizioni dei capi fabbrica, ne verrebbero anche migliorate quelle dei salariati, per cui la corporazione stabilirebbe il minimum giornaliero o a cottimo.

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Le difficoltà politiche e religiose, la nessuna cultura, le diffidenze tradizionali verso il clero e la borghesia, fecero lento il cammino, benché progressivo e i soci da quindici crebbero a 400 circa con una società di giovani operai.

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In generale nell'interno dell'isola si dorme mentre i socialisti si estendono a gran passi.

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Note sommarie sui contratti agrari e le cooperative agricole di lavoro in Sicilia

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Sturzo, Luigi 34 occorrenze
  • 1901
  • Scritti inediti, vol. i. 1890-1924, a cura di Francesco Piva, pref. di Gabriele De Rosa, Roma, Cinque Lune-Ist. Luigi Sturzo, 1974, pp. 205-216.
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Contratti agrari per la condotta dei latifondi a cultura di cereali

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Il proprietario cede il latifondo a due o più persone in solido, per la durata di anni 6, con il corrispettivo annuo di una somma in

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Dovendo riferire sui contratti agrari in ordine alla istituzione delle Cooperative Agricole per la condotta dei latifondi, limito queste note sommarie ai contratti agrari più in uso nelle regioni del latifondo a cultura di cereali, nell'interno dell'isola, e ai rimedi possibili con la istituzione delle Cooperative Agricole e delle Unioni Rurali.

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Diversi, secondo i luoghi e le tradizioni, sono i contratti; i principali sono: A) Subaffitto;B) Mezzeria;C) Inquilinaggio;D) A conto proprio:

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Il subaffittuario inoltre è obbligato a concimare il terreno, a pagare le spese di assicurazione, di guardia sull'aia, del Santo (cioé una contribuzione obbligatoria per la festa del Patrono del Comune a cui appartiene la terra) e anche la ricchezza mobile.I contratti per lo più si fanno in forma privata.

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A) Subaffitto — Il gabellotto divide il latifondo a spezzoni e lo concede ai lavoratori, dietro un annuo estaglio in denaro, che assai spesso rappresenta il doppio o anche più del prezzo, che il colono deve relativamente al proprietario.

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Il colono deve: 1) riconsegnare la terra, la casa, i condotti di acqua e la paglia come gli fu consegnata; 2) Rinunziare a tutti i benefici dei casi fortuiti; 3)Pagare l'annuo estaglio;4) Dare al padrone i carnaggi,cioé caci, galline, pecore nel numero e nei tempi stabiliti; 5) Pagare in parte il campiere (guardia del padrone) e concedere a questo, a un prezzo stabilito, alquanti ettari di terreno per coltivarli.

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Egli, avuto il feudo, lo fa coltivare per lo più al ceto medio degli agricoltori (burgisi, paraspulari, massari ecc.) i quali non di rado hanno muli o giumente e qualche soldo messo a risparmio.

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Le forme però dei contratti secondo le diverse rotazioni sono le seguenti a) Maisi netti (maggese); b) Ristucci pri lavuri (stoppie rovesciate, sulle quali si semina frumento)oppure tirreni a pruvenni (semina di orzo, avena, ecc., cioè provvigioni - pruvenni); c) A pascolo;d) Tirreni a favata (semina di leguminose).

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., e ha il diritto a 1/4 del raccolto, detratte dalla massa le semenze e gli interessi e i diritti surriferiti, e a un carico di paglia (a scelta del gabellotto), che per lo più è la peggiore.

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Il gabellotto perciò dà all'agricoltore il terreno, diviso sempre a spezzuni,e alle seguenti condizioni (non sono le stesse in ogni luogo ma si assomigliano):

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Terreno a favata (semina di fave o altre leguminose). Questo affitto è per due anni, cioé chi coltiva il terreno a favata, ha il diritto di coltivarlo l'anno appresso a frumento con i patti riferiti al paragrafo maisi netti.Il patto per la favata può essere a metà, cioé il raccolto si divide a metà tra gabellotto e coltivatore; in questo caso il gabellotto ha diritto solo (oltre la metà del raccolto) a quattro tumoli per compenso. La semenza è gratis.Ciò si fa pei terreni favorevoli, dove la lupa non distrugge il raccolto. Nei terreni non favorevoli, il gabellotto concede tutto il raccolto al coltivatore, il quale è obbligato a ridare la semenza e gl'interessi al 35% o 30% in agosto. Se, come avviene, la terra non rende, tutto il prodotto è devoluto al gabellotto per compenso della semenza; e se, dopo ciò, il coltivatore resta in debito, pagherà il resto all'anno seguente, sulla raccolta del frumento.

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Pascolo.Il gabellotto affitta il terreno per pascolo a un prezzo stabilito (per lo più 5 o 6 onze la salma, cioé da L. 63 o 70 in circa e perfino a 100 e più) oltre i carnaggi (caci, pecore ecc.). Tutto a proprio conto. Il concime resta sul luogo e non si può asportare.

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C) Inquilinaggio — È un contratto per cui il proprietario affitta il terreno a grano per un solo anno. L'inquilinaggio può essere:

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Terragiuolo.È lo stesso contratto; però il proprietario fa a sue spese l'aratura e la semina, e in compenso ha diritto a un terraggio di più a salma, sul numero dei terraggi convenuti.

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Ilproprietario dà il solo fondo per la corrispettiva somma che varia da L. 70 a 300 la salma siciliana (Ettari 2,78). La ristoppia resta a vantaggio del proprietario.

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D) A conto proprio — Il gabellotto spesso sceglie la miglior parte del latifondo e lo coltiva a conto proprio, cioé con personale salariato. Il raccolto è perciò tutto del gabellotto. Non di rado il personale salariato sono gli stessi mezzadri, a cui è stato concesso il resto del latifondo; i quali vengono obbligati a coltivare quella parte di terra con salari fissi, più o meno inferiori ai prezzi di piazza; spesso pagati in natura al raccolto o compensati con gli anticipi accordati per le loro spese colturali. Lo stesso proprietario, quando è dedito alle aziende agricole e

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vicino al proprio latifondo, assume il tipo del gabellotto,e concede le terre direttamente al coltivatore, con i surriferiti contratti o di subaffitto,o di mezzeria,o di inquilinaggio,conservando parte a conto proprio.

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Il numero dei terraggi varia da 3 a 6 per ogni salma di terreno (Ettari 2,78).

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Al raccolto, si preleva dalla massa un numero di terraggi stabiliti a favore del padrone e il resto viene diviso in parti uguali (o in parti disuguali) secondo i contratti.

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Perciò i latifondi sono disabitati, e la popolazione agricola si agglomera nelle città, che distano dai latifondi da sei a dieci e a venti e più chilometri di cammino. Condizione gravosissima questa, per cui i coltivatori non solo devono essere provvisti di mezzi di locomozione (asini, muli, ecc.), ma non hanno quelle colture minute (piccoli orti, giardinetti, vigneti, ecc.) che danno lavoro alternato a mezzi di sussistenza; devono pagare l'affitto della casa in città, dove tengono il focolare domestico; sono soggetti alla disoccupazione in città (perniciosissima) o aumentano il numero dei salariati a giornata, per cui il salario diminuisce

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Gran male è l'assenteismo dei padroni, che crea necessariamente il tipo del gabellotto sfruttatore, che s'interpone tra l'immediato coltivatore del suolo e il lontano proprietario, a cui dà la garanzia di un reddito annuo fisso — qualsiasi la forma di contratto culturale che esso sarà per adottare, salvo la riconsegna della terza parte del terreno incolto da due anni — e qualunque siano o possano essere le evenienze e i casi fortuiti a cui il gabellotto rinunzia espressamente nel contratto con la formula: « non ostante tutti i danni possibili prodotti da casi volontari o fortuiti, divini od umani ».

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in certe stagioni sino a 30 o 40 centesimi al giorno. Alcuni hanno qualche proprio campicello che coltivano; altri si locano come castaldi, vignaiuoli, mezzadri nei fondi di media e piccola proprietà, che circondano le città per una più o meno larga periferia.

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Onde il subaffittuario è costretto o a ricorrere al prestito, o a vendere le derrate al prezzo corrente, che al raccolto, per l'aumentata offerta, suole notevolmente abbassarsi.

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Però il gabellotto non solo si rifà di quest'altezza di prezzi, ma ha il margine di una larga speculazione, perché anche fra i contadini, per la pletora della popolazione coltivatrice, vi è una sfrenata concorrenza, scegliendo sempre tra la disoccupazione e il lavoro, quest'ultimo anche a condizioni angariche. Onde la terra che il gabellotto paga da L. 80 a L. 150 la salma, viene subaffittata a L. 250, 300 e anche più. Nella mezzeria la speculazione non è sul prezzo in denaro, ma sulla derrata; come si può rilevare dalle suaccennate forme di contratto, la mezzeria è una parola vuota di senso, perché si riduce a 2/3 = 1/3; o 3/4 = 1/4; o 5/7 = 2/7; o 7/8 = 1/8.

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Le difficoltà per una organizzazione rurale in Sicilia sono molte: 1) Poco o nessuno spirito di associazione e di solidarietà di classe; 2) Sfiducia inveterata e tradizionale al borghese e al clero, perché teme di essere ingannato e sopraffatto: borghesia e anche clero han prestato la ragione a tale disfiducia; 3)Ignoranza e analfabetismo; il 70% degli agricoltori non sa scrivere la propria firma; il 25% sa poco più che far la firma e qualche somma elementare di pochi numeri; il 5% sono elettori. Non è una statistica esatta ma si avvicina alla verità; 4) Mancanza di capitali per l'istituzione delle cooperative; appena il 25% dei contadini, per le economie sul proprio bilancio di uscita, e per altre risorse, ha qualche sommetta a risparmio; 5) Lotta sorda da parte dei gabellotti, i quali riescono a disanimare i volenterosi, ad accrescere la diffidenza, a ostacolare le pratiche per il fitto di un latifondo, a intimidire anche i propri mezzadri.

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A ogni modo i prezzi di fitto che i proprietari impongono, considerati relativamente ai prezzi di subaffitto o alle condizioni della mezzeria e dell'inquilinaggio,arrivano a stare come uno a due o come due a tre.Vi è sempre margine, sia pei miglioramenti dell'agricoltore, sia per la concorrenza. Infine sta nella prudenza degli amministratori assumere imprese vantaggiose.

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Dove si crede più conveniente invece del subaffitto si userà la mezzeria,che sia perfettamente a metà,e a parità di condizioni;

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La società fissa i salarii degli agricoltori a giornata, secondo le stagioni, e li rende obbligatorii per la società e per i socii. La qual cosa influirà a mantenere equi anche i salarii di piazza;

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Quando la società lo potrà — da poco a molto — inizierà la cultura del latifondo a conto proprio,pagando i socii lavoratori, e distribuendo loro gli utili; per poter così godere i vantaggi della grande coltivazione estensiva.

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Affinché si eviti il subaffitto del subaffitto, che qualche volta il piccolo agricoltore usa a danno di chi si trova più sotto di lui nella scala sociale, è proibita questa forma di contratto; e il socio non può possedere più di n. 20 azioni, cioé quel titolo che nelle condizioni normali dà il diritto a tanta terra che può essere coltivata da una o due persone. È permesso al socio associarsi un compagno di lavoro, a perfetta mezzeria,restando il socio obbligato dell'intero prezzo di fitto verso la società;

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ridà il terreno diviso a parcelle (spezzuni)agli azionisti in proporzione delle loro azioni, allo stesso prezzo di fitto (compensando le terre di la con le terre di 2a e 3a qualità) più le spese di amministrazione e un lieve interesse che non può superare il 5% dell'estaglio annuo, per un fondo di cassa, etc. Si noti che a parità di condizioni un subaffittuario della cooperativa pagherà per ogni salma (ett. 2,78 circa) di terreno di prima qualità L. 206 e un subaffittuario del gabellotto L. 331;

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Verrà istituito un magazzino pel deposito delle derrate, quando non si possono vendere a un prezzo rimuneratore, affinché il socio lasci alla società la garenzia reale del prodotto, senza suo danno.

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Semenze, anticipi, ecc.sono date al minimo tasso possibile dalle Casse Rurali; 5 o 6% mentre al gabellotto si paga il 25 o 30%, a non contare la frode sulle misure;

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