Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Per la solenne inaugurazione della cassa rurale di prestiti S. Giacomo

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Sturzo, Luigi 17 occorrenze
  • 1897
  • Scritti inediti, vol. i. 1890-1924, a cura di Francesco Piva, pref. di Gabriele De Rosa, Roma, Cinque Lune-Ist. Luigi Sturzo, 1974, pp. 30-45.
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E per questo io son qui a parlarvi: né vi dovete maravigliare che un sacerdote, lasciando per poco le alte regioni della teologia, scenda a discorrere di economia politica e di società commerciali. È finito il tempo che noi stavamo rincantucciati in sagrestia; ma oggi, stretta la mano al laico, siam venuti in suo aiuto, per portare Gesù Cristo tra il vecchio egoismo dei liberali che van scemando, e il nuovo ardire dei socialisti che montano. Agli uni e agli altri apportatori di pace, se la vogliono; contro le teorie degli uni, uniamo i cattolici intimiditi in franche associazioni; contro le teorie degli altri, cerchiamo nelle nuove istituzioni i mezzi per sostenere la turba che grida: pane e lavoro! Quindi il prete, la cui alta missione è quella di chiamar tutti a Dio, nulla perdendo col farsi aiutare dai laici, tutto acquista col divenir padre dei poveri: e laddove i liberali mettono ardimentosi le mani nelle banche, sudore dei popoli, il prete promuove invece delle Casse, ristoro dei popoli; e quando i socialisti, anelanti al potere, mutano la zappa in ferro, per ferire e distruggere, il sacerdote muta il danaro in zappa, per tornare fertili i campi e salvare.

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Però, poiché se si ha il capitale, si ha il lavoro; e dato il lavoro, ne viene il risparmio; e col risparmio si migliora la beneficienza; fa mestieri trovare quel capitale che per lo spesso manca o si ottiene a grande usura.

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L'agricoltore per lo spesso non ha credito reale, onde possa con ipoteca sui suoi beni trovare chi gli dia il necessario danaro; ma come il commerciante, gli è d'uopo del credito personale, cioè di quel credito per cui assicuri una banca o chi altri volete, che egli dal lavoro delle sue braccia o dalla sua terra caverà tanto, da poter fedelmente rendere a suo tempo le somme ricevute. Sin tanto che non si può trovar modo di formare il credito agrario, per cui i capitali possano affluire nell'agricoltura, noi correremo inevitabilmente a due terribili conseguenze; da una parte al capitalismo distruttore delle piccole proprietà, dall'altra alla turba miserabiledi ventidue milioni, che in Italia traggono il diretto sostentamento dall'agricoltura. Ma come formare il credito agrario, o Signori, se poco o nulla si presta a garanzia di questa industria? Il commerciante ha una bottega di merci, che tuttodì rivende, per cui le grandi case lo provvedono di capitali circolanti; ma l'agricoltore, che ha esso mai da poter dare a garenzia se non la terra, che spesso tiene in fitto, e il lavoro; terra e lavoro, che in condizioni normali, data l'agricoltura così primitiva e niente progredita, non possono dare che dal 6 al 10 per cento e anche meno?

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Non perciò la Cassa Rurale restringe le sue operazioni all'agricoltore, escludendo l'operaio o il commerciante; ma soddisfacendo a questi ultimi, ha più di mira i bisogni del precipuo e più trascurato fonte di ricchezze. Onde ben comprenderà ognuno che se io ragiono di agricoltura, non per ciò le altre industrie s'intendono omesse o trascurate.

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Non vi è paese al mondo, che non vi siano quei buoni proprietari, i quali vedendo le condizioni miserrime dell'agricoltura, non si prestino in favore della piccola possessione, che va rapidamente scomparendo da per tutto, ma più in Sardegna, in Sicilia e nelle Puglie, dove, maraviglia a dire, vi sono agricoltori (e non son pochi) che per non avere chi loro mutui poche lire, cadono sotto l'unghie dell'usuraio o del fisco, che vale lo stesso.

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Ma lasciamo i fatti, che pur dicono assai, passiamo a cercarne la natura; voi tosto vedrete che questa responsabilità illimitata non è quel terribile fantasma che altri crede. Ecco adunque; essa non vincola i beni dei soci, i quali possono liberatamente donare, vendere, far testamenti, cessioni ed altri contratti consentiti dalle leggi; solo obbliga i soci a non far parte di altre società a responsabilità illimitata, perché con tutti e gli stessi beni non si può rispondere delle operazioni di due società di credito della stessa natura (Cod[ice] di Comm[ ercio] art. 112).

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Secondo, dà diritto ai soci di stabilire essi i limiti della loro responsabilità; la quale si chiama illimitata solo per indicare che non ha un termine imposto dalle leggi o dai capitali versati; ma può dai soci essere ristretta a poche centinaia di lire o estesa a più milioni, secondo il loro volere e i loro beni. Onde se voi al principio dell'esercizio dell'anno volete rendervi responsabili solo di lire cinquemila, e non più; gli amministratori non possono affatto passare quella cifra e se presteranno più di quanto fu stabilito, loro danno; sono essi e non voi i responsabili di quelle operazioni. Ad un tal limite, che forma la maggiore delle sicurezze della Cassa e di voi, se ne aggiunge un altro: io dico il limite che l'assemblea di tutti i soci assegna, determinando il massimo dei prestiti da accordarsi ad ogni singolo socio.

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Ancora un altro vantaggio: l'agricoltura non è come l'industria e il commercio; essa ha bisogno di capitali a tempi determinati, e a lunghe scadenze. Oggi, per esempio, è tempo di seminare il grano; chi piglia del danaro per comprar la semenza, non può ridarlo dopo tre o sei mesi, ma al raccolto. E se invece io voglio comprare un vitello per venderlo bue, deve trascorrere per la scadenza del prestito due o più anni. E così fate voi per le coltivazioni delle viti e dei giardini e simili industrie. Dunque le scadenze dei prestiti devono essere determinate dall'uso che il richiedente vorrebbe far del danaro. Ecco un altro bisogno, interessante oltre modo, al quale poco o nulla possono provvedere gli altri istituti di credito. Onde vedete, che se un agricoltore ottiene per tre o per sei mesi del denaro da una banca, e l'investe in armento; quando ancora non ha potuto trarre nulla dal capitale investito, è forzato a rendere la somma. Ma dove trovare il danaro? Domani, per esempio, la cambiale scade, non si ammettono proroghe; l'effetto può essere protestato... Dalla padella si cade nella brage: ed è gioco forza dar nelle unghie dell'usuraio.

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Solo chi non vive in mezzo al popolo, chi non è a parte dei dolori degli agricoltori, chi non è, come il sacerdote, il confidente delle miserie altrui, può cullarsi nella sciocca apparenza di benessere sociale, e creder segno di prosperità i nuovi palazzi dei Prati di Castello in Roma, i monumenti di coloro che han peggio servito la patria, disseminate nelle cento città d'Italia e i teatri aperti alle pubbliche immoralità. Vane apparenze, che coprono la più squallida miseria, della quale abusa il mestatore e il fazioso alle urne elettorali, mentre il popolo redento si riversa numeroso in America a cercarvi l'oro mutato, come per incanto, tra noi in carta straccia.

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Se io ho a mite interesse e a larga scadenza delle somme da poter impiegare nel mio campo, potrò al ricolto ridare il capitale e mettere a risparmio quel poco che avanza, che altrimenti andrebbe sciupato alla bettola o alla bisca.

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E poiché essa non ha bisogno, anzi rifiuta le grandi somme, fa conto delle poche lire di deposito, pagando il tre per cento a conto corrente, il tre e mezzo o il quattro per le somme vincolate a semestre o ad anno. Educando alla previdenza e al risparmio, invogliando sempre più il socio a recare in deposito quel che in fin d'ogni settimana gli avanza, diviene in certo modo un buon riparo contro ai funesti e inevitabili colpi di fortuna.

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Ma dite voi, oggi il mutuario o l'avvallante si trova in condizioni da poter soddisfare a tempo il suo debito. Domani un rovescio di fortuna, e tutto è finito. E la sicurezza della Cassa è andata a monte. Così parrebbe; o Signori; però la Cassa nei suoi statuti fondamentali ha stabilito che il prestito si effettui per via di cambiale da rinnovarsi ogni tre mesi. Né ciò porta gravezza, perché non vi è tassa di bollo sulla cambiale, né aumento di interesse, né provigioni [sic] da parte della Cassa. Però è una sicurezza, perché se il mutuario dopo i tre mesi si trova in condizioni tali da infirmare il credito, la presidenza, non rinnovando la cambiale, può richiedere il rimborso. Ciò par duro, ma la salvezza della Cassa esige in caso eccezionale, ciò che una banca vuole in via ordinaria. Il danno di un solo non può paragonarsi al danno di molti, che traggono tanto bene da questa istituzione.

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Ma, si replica; non accettando a soci che solo i cattolici praticanti, fomentate l'ipocrisia e il bigottismo; voi così mutate il credito in opera confessionale, usate e abusate della costrizione morale, per attirare a voi il povero che cerca pane e lavoro. Così ha blaterato più volte il giornalismo massonico, nella speranza di farci desistere. La costrizione morale! Signori, non vi è più cieco di chi non vuol vedere. E non è questa costrizione morale quella che governa il mondo in tutti gli ordini sociali, privati e pubblici? Il fanciullo che studia pel timor del castigo o per l'allettativa del premio, l'adulto che non si vendica dell'offesa per non dar nelle mani del giudice, l'onesto impiegato che va assiduo al suo banco, per la promozione che aspetta, sono tutti costretti moralmente al dovere. Il paradiso, a cui aneliamo, l'inferno che temiamo, sono vere costrizioni morali al ben vivere. Onde Davide diceva: inclinavi cor meum ad faciendas iustificationes tuas in aeternum propter retributionem (P. 118). Chi oserebbe accusar d'ingiustizia il premio, perché non si dà a tutti? Ovvero di violenza la promessa, perché in certo modo costringe a un fine? O secolo sciocco, che volendo togliere ogni timore e ogni speranza, ogni premio e ogni castigo, riduce l'uomo allo stato di bestia! Ma si cela il reo intento, declamando ai quattro venti, che bisogna fare il bene solo per sentimento del bene! E quando il cattivo esempio, gli empî discorsi, le oscene letture, dal Lucrezio Caro al Zola, hanno spento il sentimento del bene, che resta? Il suicidio e i peculati per puro sentimento di bene!

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Se tutto quanto ci circonda non è che leggi, limiti, costrizioni morali a ben fare (per usar questo termine), parrà strano che un istituto di credito abbia anch'esso la missione di costringer moralmente al bene? Voi dite che così d'ogni uomo ne facciamo un bigotto; peggio per chi s'infinge, o Signori, ma la finzione non dura a lungo; dai frutti si capisce l'albero. Pur, questi sono i casi rari: il nostro popolano sarà scaduto dall'avita bontà ma tuttavia è credente. Ma se alcuno che frequentava la bettola o la bisca, che lavorava la domenica o che bestemmiava, per usufruire della Cassa Rurale, si corregge e si emenda, noi avremo fatto un gran bene all'individuo e alla società. Leggevo in un giornale, non è molto, che un gabellotto si trovava nella brutta condizione di doversi ridurre alla miseria; il padrone gli aveva detto chiaro, o paghi o ti mando via. Soleva costui ubbriacarsi spesso, onde non era stato ammesso alla Cassa rurale del villaggio: in quelle strette andò dal Parroco, pregandolo di intercedere per lui presso la Presidenza. Il parroco rispose: se per tre mesi non andrai alla bettola, né ti ubbriacherai, io ti farò iscrivere socio alla Cassa; ma frattanto, se lo prometti da vero, pregherò il padrone a lasciarti ancora per tre mesi la gabella del fondo. Il contadino tenne la promessa, ebbe i danari dalla Cassa, restò ai servigi di quel signore, né più si ubbriacò mai; e tutta la sua famiglia con lui benedice alla istituzione che ha per base la così detta costrizione morale.Via adunque le lustre di argomenti falsi, coi quali si vorrebbe tirar noi cattolici dalla parte viziata, e sfruttarci e gettarci via come limoni spremuti.

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Che ci resta che non abbiano mandato a male? Nulla; tutto si deve riedificare, dai conventi soppressi, agl'istituti di beneficenza soggetti al concentramento, alle scuole senza Dio, alle banche senza fondo, alle amministrazioni senza onestà. È una lega la nostra, anzi una santa crociata, sempre nei limiti consentiti dalle leggi, contro il liberalismo e il socialismo, i quali non sono né lo Stato, né la Nazione, né la Patria, ma la rovina di tutto. Sottratti adunque gli operai e gli agricoltori cattolici con un istituto di credito dalle indecorose pressioni dei faccendieri della politica e dei partiti, allontanati dal pericolo socialista, resi liberi dalla Cassa Rurale, potranno professare apertamente e francamente quella Fede, che rendendoli più che uomini li avvicina a Dio. Ecco l'ultimo nostro scopo, a cui si subordina tutto: Dio. Per tornare l'operaio e il colono a Dio, sono questi nostri sforzi; per tornare a Dio la società apostata da Lui, abbiamo dedicato danaro, potenze, vita. Questo sublime ideale come campeggia nelle scuole catechistiche da noi impiantate, nelle pratiche da noi iniziate per ottenere l'insegnamento religioso nelle scuole elementari, nella lega contro la bestemmia, nella diffusione della buona stampa, nelle biblioteche cattoliche circolanti, nelle opere di beneficenza a pro' dei poveri, si manifesta, è anzi il movente della istituzione della Cassa Rurale. È quello spirito che muovea Davidde a dire al Signore: Ti confessino Dio tutte le genti, perché la terra ha dato i suoi frutti; è quello spirito che mosse S. Gaetano a fondare il Banco di Napoli; è quello spirito che solo ha la Chiesa del Signore; pel quale mentre si guarda coll'occhio sinistro questa terra che ogni giorno ci fugge, col destro si guarda il cielo che ogni giorno ci si avvicina.

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Ci siam destati come da un sogno e ci siam trovati spogliati d'ogni bene in mezzo a due nemici formidabili, io dico il liberalismo e il socialismo.

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Signori, io conchiudo, ben certo che anche voi dal profondo dell'animo fate un vivo e caldo augurio a questa istituzione novella, alla Cassa Rurale di prestiti S. Giacomo: che viva di una vita rigogliosa, al bene della classe agricola, operaia, commerciale; alla gloria di quel Dio, che dà la ricchezza alla terra, la forza al lavoro, la prosperità ai commerci, la vita all'universo intero.

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I cattolici e la questione politica in Italia

403256
Averri, Paolo 33 occorrenze
  • 1897
  • Averri, I cattolici e la questione politica in Italia, Torino-Roma, Giacinto Marietti, 1897, 4-31.
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E noi cattolici di Italia siamo quindi, per intima necessità umana, agitati e spinti all'azione dal problema politico; il quale ci affatica e ci appassiona in sommo grado, anche sotto il velo di altri problemi, — poiché tante sono presso di noi le maschere, abilmente dipinte, della questione politica, quante sono le questioni particolari che ci commuovono; — e ci interessa quasi esso solo l a vita pubblica del nostro paese nei suoi affari interni, e più interno, direi quasi, di tutti il problema che è a un tempo problema religioso, storico, regionale, costituzionale, il cui punto saliente è la questione Romana, che tiene profondamente divisi noi dagli altri: E su questo problema noi cattolici raccogliamo tutta la nostra attenzione, come anche fanno coloro i quali credevano d'averci debellati per sempre, o in nome della ragione umana, come dice quell'illustre filosofo che è il signor Bovio, o in nome di non so quali altre cose, e che pure non s'occupano che di noi, sacrificando alla questione che si deve decidere fra noi ed essi, i problemi più vitali della patria, la sua amministrazione interna, i suoi rapporti con l'estero, la sua espansione coloniale "Esponente morboso, accessibile alle intelligenze più superficiali, di questo sfruttamento del potere a scopi di classe e di parte è il crispismo"> di una critica molto più vasta ed acuta del regime patriottico-borghese in Italia si hanno dei saggi eloquenti, benché in parte esagerati, nella «Critica Sociale»., e spropositando in tutte queste cose, col non pensarvi o peggio ancora quando vi pensano; mossi sempre dall'unica preoccupazione di stabilire e di difendere e di sfruttare rapidamente il partito che li.ha chiamati al potere Si è esagerato talora dai cattolici, a scopi dì polemica, su questo punto. Ma è certo, e va divenendo ogni giorno più manifesto, che la questione romana entra per molta parte nello spiegare, insieme a tante altre cose, quella manipolazione artificiale dello spirito pubblico, che è la base più solida della decadenza parlamentare e della' cattiva politica commerciale e amministrativa., al quale, non ostanti le spavalde dichiarazioni troppo spesso e affettatamente ripetute, sentono che il paese si va ribellando.

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E nell'involucro noi non consideriamo solo quello che ora resta di reazionario e di stantio; ahi quanta arcadia, quanta sonnolenza, quanto dilettantismo, ancora, nei novelli del movimento e nelle masse che muovono dietro a stento!

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Di questo problema politico che è in fondo a tutto il resto, e che soprattutto importa studiare agitare e cercar di risolvere, molti si ostinano a non parlarne in termini espressi. Si parli, domandano questi antichi buoni, di questione religiosa, di questione morale. Come se a molti, specialmente alla folla, importasse proprio assai di questioni religiose e morali; come se bastasse mutare il nome per far mutare indole alla cosa; come se per prepararsi a fare della buona politica il miglior modo fosse allontanarsi quanto è possibile dalla scuola vera della discussione e dell'esperienza. Oh, timidi interpreti di una santa parola!

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Albertario, su per il grosso centro che è l'Opera dei congressi, per la destra conservatrice e dissenziente, sino all'estrema destra, gli ultimi della quale riesce difficile distinguere dai primi di destra liberale, (poverini, ai quali le cose non vanno a partito, come narrano le patetiche lamentazioni del piissimo parroco della Rassegna Nazionale) quanta varietà, dì tinte e di pose!

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Ma anche questo dell'identificazione del problema politico nazionale col problema religioso il quale è, nel senso più stretto della parola, solo una parte di quello è stato sinora, più che un errore, un industre e ragionevole spediente che viene ancora abilmente sfruttato; e non sarà forse possibile fare a meno di esso se non quando tutti quegli altri interessi, inavvertiti o trascurati sinora, saranno pervenuti, nella consapevolezza dell'animo nostro, a quella maturità che modificando in parte i giudizii, modificherà anche la tattica e i termini immediati dell'agitazione.

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Alcune, pronte, fremono già di impazienza di misurarsi con gli avversari nelle ultime e definitive lotte politiche, altre si scuotono appena ora; e però la direzione unitaria, dall'una parte spinge spinge, dall'altra deprime, rattiene, condanna; non può, per gl' interessi dell'integrità d'organizzazione e della concordia, lasciar libera agli uni la parola, non sa a queste energie libere e forti trovare in qualche modo il lavoro che le quieti; non riescendo a giungere a tutto, perché non trova opportuno allargarsi troppo, lascia quasi nell'abbandono parecchie province che pur sarebbero pronte e aspettano la chiamata; accumula iniziative, e, benché moltiplicando la attività, non riesce a condurle tutte.

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Si vuole l'unità "A ragione il. Prof. Toniolo (Riv. Internaz. agosto 1896, pagina 575); parlando dell'ordinamento dei cattolici in Italia che fa capo all'Opera de' comitati o de' congressi cattolici, concludeva"> «ordinamento delle forse cattoliche, che i confratelli di altre nazioni ammirano o dovranno forse ricopiare». E alludeva, credo, principalmente alla Francia. In Germania hanno potuto, per speciali ragioni storiche, ottenere gli stessi e forse anche migliori effetti per altra via., ed è una santa cosa, specialmente per incominciare, una cosa di cui dobbiamo esser lieti, perché non potremmo farne a meno, nel campo dell'organizzazione politico-religiosa; ma non si pensa poi forse a bastanza a contemperarla con i grandi bisogni di una certa divisione e libertà autonoma di movimento, e con l'immediatezza di impulso, necessaria nei vari luoghi.

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Né perciò è meraviglia che i nostri movimenti sieno così poco elastici e così timidamente schivi, a simiglianza degli atti di persona che diffida di sé e non conosce coloro in mezzo ai quali si trova: immaturità di mente e di forze che nessuno potrebbe, d'un tratto, superare.

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Quando sorgono istituzioni nuove destinate, se ben rette, a un grande avvenire, la direzione unitaria del movimento le chiama a sé, le incorpora, le allinea, le dirige, per aiutarle ed esserne aiutata: sicché esse, perdendo nella libertà di movimento quel che guadagnano nella fratellanza più intima con altre opere, e l'efficacia di quella unicità di lavoro che sarebbe necessaria nei direttori immediati, fanno meno bene di quel che dovrebbero e non si svolgono come dovrebbero; non in forza di quella unione, che può anzi essere utilissima, ma per la difficoltà di conservare, in tanto complesso di idee e di cose, quel carattere e quello spirito peculiare che dovrebbe essere l'anima e la forza dell'istituto; e citiamo ad esempio il movimento pratico del credito popolare e rurale e le necessità agrarie dei piccoli proprietari, che meriterebbero di far capo a grandi società, di credito, distinte se non indipendenti; e, più ancora, lo sviluppo dello studio e della discussione. scientifica, in perfetta indipendenza, questo, dalle vedute e dagli spedienti dell'azione, come anteriore ad essi per sua natura; ma la tattica in voga rende difficile o ritarda, talora inconsciamente, lo sviluppo autonomo di altre opere; quella tattica che all'unione deve sacrificare il progresso più rapido dei pionieri, perché teme per istinto di conservazione o per una prudenza non sempre felice, i pericoli della libertà e della lotta, o parte anche perché non trova ancora e non riesce a suscitare uomini eguali ai compiti altissimi.

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Conseguenza di tale indirizzo è poi anche, che le linee generali del movimento e lo loro successive modificazioni, essendo determinate, non dal processo costante dell'esperienza collettiva per mezzo della propaganda diretta delle idee comuni, molto imperfettamente manifestate, o ne prescinde o la subisce, si presentano all'occhio di un osservatore diligente come incerte e manchevoli non di rado; e anche fra gli empiristi uomini di azione non ce n'è forse uno a cui non dispiaccia l'una o l'altra delle cose che si fanno nel suo partito ed a nome di esso; e da ciò parecchi prendono, purtroppo, pretesto di tirarsene fuori, scontenti e sfiduciati. Questa precedenza del pensiero di pochi è così evidente che talora atti di gravità eccezionale, veri giri di bordo, ai quali torna opportuno p. e. dar l'importanza di voti di assemblee numerose, si fanno decidere così a sghimbescio, abilmente rapitane l'approvazione all'adunanza sorpresa: essa avrebbe certo, in altra maniera, approvato egualmente: ma importa, avrebbe discusso. Ora da ciò si temono sorprese e contrattempi che s'ha gran cura di evitare, e però queste grandi assemblee non sono il pensiero collettivo del partito che studia e dispone, ma il pensiero di pochi, abilmente preparato, che si riflette in una assemblea passiva e plaudente.

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Limitatissima, di numero e di programma, la stampa periodica a lunga scadenza, la quale inoltre o si indugia e si ostina in un formalismo vecchio, restando alla coda della cultura moderna, lo si tiene nelle alte e fredde regioni della speculazione, od è aperta, senza un valido impulso autonomo, a tendenze e correnti di idee diverse L'argomento è grosso e abbondano, anche qui, le frasi fatte. Il più spesso si toccano solo ragioni particolari del male alle quali è impossibile portare rimedio isolato e direttamente. La Civiltà Cattolica nel suo secondo numero di novembre ha un articolo del quale parecchie osservazioni, le più gravi e nuove, concordano essenzialmente con le nostre.

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A ciò si aggiunge la massa del popolo in molte parti incolta, ignorante, preoccupata dalla facile diffusione della stampa perversa, insinuante e seduttrice, e da numerosi istituti di spirito laico; le classi colte trattenute ancora da tanti pregiudizi dottrinali che pochi si prendono la cura di rimuovere, anche perché a farlo si richiederebbero doti non molto comuni; il nostro programma politico facilmente frainteso, liberamente calunniato e messo in sospetto dalla ignoranza o dalla malafede, perché da nessuno ancora con libera e franca voce fu esposto nella sua purezza ed integrità, quale esso è, nel cuore specialmente de' giovani cattolici italiani (e ciò non per timore del fisco, al quale, quando non possiamo parlare, gittiamo in faccia le nostre reticenze eloquenti, ma per altri molti ritegni e difficoltà); il clero che tarda a, rifiorire nello spirito e profittare della cultura moderna, e smettere per ogni parte quella veste d'ancien regime della quale la borghesia ha saputo si bene profittare per metterlo in odio: l'aito clero mancante spesso di idee proprie intorno al movimento cattolico, eccellente nella fede, nel costume sacerdotale, nell'amministrazione ecclesiastica, ma sospettoso ed incerto nello spingere e nel guidare i cattolici per la via delle rivendicazioni politico-religiose e della riorganizzazione civile e sociale.

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E questa è, secondo noi, la più viva ed urgente delle necessità, in quanto la stampa nuova deve potentemente influire a rialzar presso i cattolici italiani, la cultura, incoraggiare lo studio professionale, render facile e proficua la discussione, creare questa coscienza uniforme di partito sulla quale tanto insistiamo, e sviluppare le attitudini pubbliche della nuova generazione.

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Noi abbiamo costantemente, da tre anni a questa parte, sentito e vissuto l'agitazione cattolica in Italia, con una intensità, di affetto che pochi possono immaginare e che è la cagione sola del nostro scrivere.

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Si dirà che la nostra critica impaziente precorre i tempi e le cose; ebbene, noi lo facciamo appunto di proposito deliberato; giacché lontano da noi è il pensiero di biasimar il presente, e dar consigli a coloro ai quali dobbiamo solo venerazione e gratitudine; ma vogliamo invece solo scrivere per quelli ai quali l'avvenire è presente nel cuore e nei segreti propositi giovanili.

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Pe' i giovani adunque ai quali, in mezzo a tanta multiformità di giudizii, deve esser difficile cosa aver l'occhio a tutto insieme il movimento cattolico di. Italia, e farsi chiaro il concetto di alcuni criteri generali di direzione, noi scriviamo qui, brevemente, senza pretese, opportune importune, critiche e deduzioni sommarie.

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Di questa agitazione noi potremmo parlare in due i modi: o commisurandola alle condizioni storiche e al processo della vita politica, intellettuale, morale del nostro paese in mezzo quale essa si svolge, e allora noi non faremmo che lodarci altamente di quel che si è fatto sinora a delle persone che l'hanno fatto: o commensurarla alle vibrazioni quasi dell'animo nostro che presentono e percorrono lo fasi nuove del partito traverso il suo lento e laborioso divenire, e allora la nostra è una critica, critica non nel senso pedante e malevolo della parola, ma in un senso migliore e più comune oggi nel mondo colto: vale a dire una comparazione analitica fra un dato lavoro o momento storico e le forme assolute o almeno le forme più progredite, esistenti in noi, del vero e del buono.

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se siamo lontani ancora dal poter aspirare alla conquista del potere, aspiriamo e prepariamoci a fondare su basi solide quando la Santa Sede crederà giunta l'ora, ora cui la nostra lentezza nel prepararci non permette forse chiamar vicina, un partito solido, concorde in un patto fondamentale da difendere nella vita pubblica.

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render meno frequente il ricorso periodico dei congressi nazionali, ed invece aumentare la frequenza dei congressi di regione o di speciali grandi congressi interregionali, a Napoli, a Roma, a Milano, ecc.

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far propria la causa della cultura popolare, della cooperazione, delle riforme agrarie e di innovamenti industriali adatti a' luoghi; promuovendo dovunque e con ogni maniera possibile la stampa, lo studio che solo può renderla vitalmente operosa, il sollevamento del livello della cultura generale, fra i laici come nel clero giovane, e la formazione di uomini di partito e di governo, specialmente fra i giovani studiosi;

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infine, smettere, ognuno per la sua parte, con, un poco di spirito di sacrifizio, di lavorare con intenti parziali e con gelosie reciproche, con abitudini tradizionali insostenibili, con una sapienza della carne che è nemica a Dio; ma ci unisca l'insolenza petulante degli avversari, il disgusto di questa Italia dei commendatori, la gravità dei mali e l'imminenza de' pericoli sull'Italia vera; ci unisca, più forte di ogni dissenso e di ogni difficoltà, l'amore del paese e dei nostri altari, in un grande intento comune in una forte lotta contro i nostri nemici politici.

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Io non avrei ristampato a parte questo breve scritto pubblicato già nelle colonne d'un periodico romano di studio La Vita Nova, Anno II, n. 20. se non avessi attribuito alle cose che vi si contengono più che la solita importanza teoretica di un articolo di rivista.

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Quel che ci manca è il raccoglierci invece un poco qualche volta a meditare quel che siamo noi futuro prossimo partito (col permesso dei dissenzienti) nazionale de' cattolici d'Italia, donde veniamo e dove andiamo; a studiare e discutere sulla tattica e sulle opportunità di propaganda e su tante altre questioni interne, come fanno p. e. molto intellettualmente e molto utilmente anche, i socialisti, per le cose loro.

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Pare che in quelle materie noi siam tutti dottori nati, e pure quasi tutti ne sappiamo proprio nulla e il saperne qualche cosa sarebbe pure tanto vantaggioso al movimento; come è vantaggioso a ognuno che voglia operare con consiglio l'aver chiara coscienza del proprio fine e dei propri mezzi.

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Tentativo che io ripeterò dentro l'anno prossimo, in proporzioni molto più vaste, cercando di fare per sommi capi la storia critica del movimento cattolico italiano, dalla rivoluzione francese a tutt'oggi, in un volume che spero di aver pronto per l'epoca dei congressi e del quale do ora un saggio, anche, come si dice, per tastare il terreno.

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Ed io vorrei perciò che questa mia prova — e tanto meglio quanto meno ben riuscita può parere — facesse venire ad altri la voglia di mettersi coscienziosamente a studiare e discutere l'argomento.

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Ma oltre alla giustificazione, storica, che, a ragione, potrebbe parer troppo poco, io ho sempre creduto che pei metodi adottati sinora, militassero grandi ragioni di prudenza e di opportunità, ragioni che illustrerò altrove ed a lungo; ma se ho avuto spesso con i miei colleghi l'occasione di difendere il passato e quella parte del presente che, dirò così, guarda verso il passato, e per la quale solo può essere il caso di dare il proprio giudizio di approvazione o no, lo stare ora a ripetere giustificazioni e lodi, se poteva essere utile a me, non era poi utile o almeno non era la cosa più utile alla causa.

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Questa una ragione quasi a priori, o una exceptio.

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Quanto a, questo timore, io so bene quel che cerco perché non debba anzi desiderarle: quanto a quell'accusa io mi lusingo che ai bene intendenti parrà non potersi quella orientazione di pensiero che apparisce nelle mie parole e che solo le spiega improvvisare a uso e consumo di risentimenti privati, dei quali, del resto, io non saprei nei miei ricordi personali trovare i motivi, e nel mio scritto le traccie.

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Ma, quanto al passato, io cerco di fare della storia buona, ossia di seguire il processo de' fatti e non gli aneddoti della storia; ed ho poi l'occhio all'avvenire e a quella parte del presente che prospetta l'avvenire.

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Se mi occupassi della questione orientale (e avrei voluto occuparmene un poco in qualche bella occasione, ma, non si sa mai...) il programma sarebbe semplice e si ridurrebbe a dire a quella gente là, di cui Gladstone sa il nome: voi ci siete, ah si purtroppo, ne le belle provincie della antica civiltà bizantina, ci siete nella Roma del Bosforo, nel centro immediato di gravitazione delle care e infelici chiese di oriente, ci siete; ma andatevene…

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Quanto al programma politico che mi piace si sa bene quel che i clericali, vale a dire i cattolici militanti, domandino, ed io con essi, innanzi tutto…

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