Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Numero di risultati: 393 in 8 pagine

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Come devo comportarmi?

172897
Anna Vertua Gentile 2 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Non sarebbe la musica una lingua perduta della quale abbiamo dimenticato il senso e serbato soltanto l'armonia ? Non sarebbe una riminiscenza? La lingua di prima e forse anche la lingua di dopo ?»

Pagina 386

Seguendo i doveri che abbiamo verso il prossimo; non fare del male, anzi fare del bene!- dice un'altra. Come hanno insegnato il Castiglioni, il Della Casa, l'Alberti, il Gioia soggiunge un giovinetto che la sa lunga. Come insegnano i galatei moderni salta su una signorina, la quale ci tiene a far sapere, che ha letto e molto imparato in libri italiani e stranieri. E infila una litania di nomi d'autrici e d'autori. Dunque ce n'è già parecchi di libri che insegnano il modo di comportarsi?... Sicuro; ce n'è parecchi; e questo è il più recente di tutti. Questo non è un semplice galateo; non è certo un formulario. Che cosa sia lo dice il titolo. Una specie di guida morale e pratica suggerita dall'esperienza, e fatta con vera coscienza, con schietto desiderio dell'utilità. Una guida nella quale è tenuto conto delle modificazioni e delle innovazioni introdotte, per necessità e per amore del meglio, nel modo di comportarsi in casa e fuori e di seguire le leggi della cortesia; modificazioni e innovazioni volute e imposte dallo sviluppo intellettuale che va ogni di più allargandosi, e dal progresso che corre rapidissimo importando usi d'ogni paese e d'ogni maniera. L'autrice, alla quale io stesso pochi anni sono, ho dato l'incarico del lavoro, non è una abborracciatrice; è studiosa, accurata; ed ha per i lettori il rispetto un po' timido di chi ne desidera sinceramente la fiducia e la stima. Ho creduto di fare cosa opportuna pubblicando questo libro conveniente a tutte le età e a tutte le condizioni dell'uomo e della donna; il libro è già a la sua quarta edizione!...

Pagina XI

Per essere felici

179567
Maria Rina Pierazzi 1 occorrenze
  • 1922
  • Linicio Cappelli - Editore
  • Rocca San Casciano - Torino
  • paraletteratura-galateo
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Fin qui abbiamo parlato delle nozze giovanili che sono fonte di speranza e di felicità; ma bisogna occuparci di altre nozze... vale a dire quelle che esorbitano dalla consueta vicenda. Anche i vedovi hanno diritto di rifarsi la vita, purchè la loto scelta non cada nel ridicolo per sproporzione di età e di condizione. Trattandosi di simili matrimoni sarà bene escludere ogni pompa e ogni pubblicità. Benchè i preparativi di nozze di una vedova come di una signorina sieno gli stessi, tuttavia dovranno seguirsi con la massima discrezione e semplicità. Il corteo nuziale sarà ridotto ai minimi termini; basteranno i genitori degli sposi e i testimoni, eccezion fatta a qualche strettissimo parente il quale dimostri il desiderio di assistere agli sponsali. Non vi saranno; naturalmente, nè cavalieri nè damigelle d'onore, nè si commetterà da alcuno la leggerezza d'inviare mazzi e paniere di fiori banchi. La sposa metterà l'anello nuziale sopra il primo, dimostrando così di non voler dimenticare il legame che la morte ha troncato — e se ha dei bambini farà in modo che essi si affezionino al padrigno, diventandogli figliuoli rispettosi ed obbedienti. Dopo il matrimonio avrà luogo una colazione intimissima, e saranno esclusi i ricevimenti e le serate eleganti, limitandosi se mai a ricevere gli amici e i conoscenti più intimi.

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Si fa non si fa. Le regole del galateo 2.0

180571
Barbara Ronchi della Rocca 14 occorrenze
  • 2013
  • Vallardi
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Se i nostri ospiti ce li chiedono, indirizziamoli verso la mensolina del lavabo della stanza da bagno, che l'unico posto in cui è concesso usarli senza essere maleducati -A casa propria o altrui non si avanza cibo nel piatto -Anche sulla tavola più informale i bicchieri devono essere di vetro trasparente e, se si offre il vino, sempre due -Ogni vino deve essere portato in tavola nella sua bottiglia originale: l'uso del decanter è riservato ai sommelier dei ristoranti, the non possono far «respirare» il vino invecchiato prima di servirlo -No assoluto alle bottiglie d'acqua minerale in tavola: molto meglio delle brocche o caraffe -Non usiamo il raccoglibriciole (neppure se bellissimo e d'argento) quando i commensali sono ancora seduti a tavola -I mancini possono portare alla bocca il proprio bicchiere con la sinistra, ma se versano da bere a qualcuno, devono farlo con la destra, per rispettare una superstizione plurisecolare -Niente candele colorate a tavola, se non a Natale, quando sono concesse quelle rosse o dorate -Quando abbiamo ospiti, evitiamo gli spaghetti e tutti i tipi di pasta lunga, perché scivolano, schizzano, macchiano, fanno fare brutta figura -Un matrimonio assolutamente da evitare è quello dello champagne o del prosecco col dolce, da accompagnare invece con un vino da dessert, un moscato, uno spumante dolce; da servire in coppa, se vogliamo brindare

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, tutte domande perfettamente legittime, utili per evitare gaffe e pentimenti tardivi su ciò che abbiamo scelto di indossare. Non chiediamo invece: «Devo vestirmi elegante?», formula poco chiara, che non vuole altra risposta che un generico: «Ma no!». Se soffriamo di allergie o intolleranze, oppure se seguiamo scelte etiche che ci impediscono di mangiare di tutto, dichiariamolo senza timidezze adesso, in modo che i padroni di casa possano apporre le opportune modifiche al menu programmato. Chi riceve un invito formale è sempre tenuto - anche quando manca la fatidica formuletta R.S.V.P. - a dare una risposta definitiva il più presto possibile, e senz'altro entro l'eventuale data ultimativa indicata. Ma come rispondere? Diceva il galateo del tempo che fu che a un invito scritto si deve sempre rispondere per scritto; molto meglio, secondo me, ricorrere a una telefonata, che permetterà agli organizzatori di aggiornare in tempo reale la lista dei partecipanti. La risposta va data via mail solo se espressamente richiesto («R.S.VP mariorossi@... »).

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Anche un'occasione così ha le sue regole da rispettare: vestiamoci in modo pratico, così da poterci sedere senza preoccupazioni e senza dare scandalo ai dirimpettai, non togliamoci le scarpe se abbiamo camminato per più di cinque minuti, non concediamoci bis prima di aver verificato che tutti si siano serviti, mastichiamo con la bocca ben chiusa, non fumiamo vicino a chi mangia. E naturalmente, portiamoci via tutti gli avanzi, biodegradabili e non.

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Beninteso, se siamo credenti e praticanti, non abbiamo bisogno di nessuna regola di galateo che ci dica come praticare la nostra fede: silenzio, raccoglimento, decoro nel vestire, discrezione nel parlare e nel gestire. Ma se siamo agnostici, o pratichiamo una religione diversa, è obbligatorio assumere un atteggiamento rispettoso. Quindi, se invitati a una cerimonia, arriviamo puntuali e prendiamo posto dove ci viene indicato. L'abbigliamento delle signore sarà formale e decoroso: abiti non scollati, gonne al ginocchio, calze, maniche al gomito; e teniamo pronto un foulard con cui eventualmente coprirci il capo. Gli uomini saranno a testa scoperta, anche in sinagoga, dove troveranno dei piccoli copricapi appositi. Se viene richiesto, nessuno rifiuterà di togliersi le scarpe. Durante il rito, non si parla, non si ride, non si salutano i conoscenti (basta un cenno del capo, un sorriso), non si fa salotto, non si contemplano quadri e pareti come al museo, non si fissano le persone come se fossero animali dello zoo, non si giocherella con le chiavi o le monete che si hanno in tasca. Sia uomini sia donne non devono sedere con le gambe accavallate: è un atteggiamento troppo rilassato, tanto da essere irrispettoso del luogo e del rito. E, naturalmente, non si applaude, mai: neanche se qualche officiante naïf ci invita a battere le mani agli sposi. L'ideale sarebbe non condurre con sé bambini piccoli, che, giustamente annoiati per la forzata immobilità, disturbano i presenti: ma se non è possibile fare altrimenti, almeno teniamoli d'occhio continuamente, impedendo loro di scorrazzare su e gù, di fare domande ad alta voce. Se si rivelano incontenibili, alziamoci e conduciamoli fuori, con decisione ma anche con buonumore; mai con prediche o scenatacce, che ci renderebbero ancora più fastidiosi di loro.

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Non è obbligatorio applaudire ciò che non abbiamo apprezzato, ma il modo educato per esprimere dissenso è il silenzio, non il fischio o i «buuu». Nell'inoltrarsi tra le file delle poltrone per raggiungere il proprio posto, le persone garbate voltano le spalle allo schermo o al palcoscenico e guardano in viso chi stanno «scavalcando»; i cafoni, invece, sembra che facciano apposta a strofinare le natiche addosso a chi è seduto. In una ipotetica hit-parade delle cattive abitudini teatrali, il primo posto spetta di diritto ai tanti che hanno l'abitudine di alzarsi subito prima che lo spettacolo abbia termine, per correre al guardaroba ed essere i primi a ritirare i cappotti. Non paghi di aver disturbato tutta una fila di persone alzandosi, ritornano in sala con le braccia cariche di indumenti (perché, generosamente, si fanno carico di quelli di un nutrito gruppo di amici e parenti) e si piazzano in posizione strategica per impedire la visuale dell'ultima scena a chi, educatamente, non ha fatto altrettanto.

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Può essere ancora meno costoso il fiore "simbolico" appoggiato al pacchetto contenente un oggetto che abbiamo avuto in prestito e stiamo restituendo. Non badiamo a spese invece per la pianta inviata con un biglietto di scuse alla padrona di casa cui abbiamo rotto un bicchiere, o un ninnolo prezioso, o al/alla commensale cui abbiamo macchiato il vestito durante la serata. Se i fiori sono tutti dello stesso tipo, il numero dispari è di prammatica, per non pensare che li appaiamo come fossero calzini! I colori dei fiori parlano un antico linguaggio: il rosso, soprattutto se associato alle rose, significa passione (quindi mai rose rosse a una signora che non è la moglie o l'amata!);il bianco purezza, fedeltà e bontà; le gamme dal rosa al lilla, dolcezza e ricordo; il blu e l'azzurro esprimono amicizia e tenerezza (ma le rose blu sono un falso che piace a pochi); il giallo, che una volta era il colore della gelosia, oggi vuol dire allergia, vivacità, come l'effetto multicolore, che si addice però solo ai fiori di campo, alle fresie, alle roselline. La corbeille di fiori tutti bianchi è l'ideale per una sposa (è il "regalo minimo" per chi, pur essendo stato invitato, non partecipa al rinfresco), mentre per una comunicanda o cresimanda è più adatto un mazzo di fiori di campo o di roselline multicolori. Non a tutti piacciono le orchidee, fiori dalla forte connotazione sessuale, che comunque vanno sempre regalate da sole: più che la grossa Cattleya violetta, troppo comune, sceglieremo quelle piccole portate da un lungo ramo, e magari gialle, insolite e raffinate. II nuovo galateo ha ormai superato il divieto di regalare fiori o piante fiorite a un uomo. Via libera dunque, se lo conosciamo bene e scegliamo fiori particolari (i suoi preferiti, quelli legati a un ricordo comune), presentati con un packaging «maschile», cioè senza un eccesso di fiocchi, nastri, carte crespate o traforate e decorazioni varie - che a mio avviso sono poco chic anche per i mazzi «al femminile». Esiste il fai da te anche in questo campo: se siamo i fortunati possessori di un giardino o di un terrazzo, possiamo regalare i nostri fiori, che hanno ancora il profumo «di una volta» e durano di più; ma anche chi ha solo qualche vaso sul balcone, può comporre deliziosi bouquet di erbe odorose utili in cucina. Saranno graditissimi, perché insieme a loro regaliamo anche qualcosa di più prezioso: il nostro tempo, la nostra pazienza, la nostra fatica. Il biglietto che accompagna un omaggio floreale deve essere sempre scritto a mano, quindi se li ordiniamo per telefono o tramite Interflora, vi faremo scrivere solo il nostro nome; in tutti gli altri casi, scriviamo poche parole e rifuggiamo dagli afflati poetici. Non temiamo la semplicita di frasi come: «Auguri», «Buon Natale», «Ti voglio bene», «Scusami».

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Non sono eleganti le correzioni fatte a mano - in caso di cambi di indirizzo e avanzamenti di carriera ne faremo stampare di nuovi - e neppure i «modesti» tratti di penna per cancellare titoli e appellativi: se no, che li abbiamo scritti a fare? Non facciamo come i giapponesi, che li distribuiscono in maniera indiscriminata (oserei dire compulsiva) a tutti quelli che incontrano: il momento giusto è quello del commiato, per sottolineare l'interesse verso un contatto futuro che non era dato per scontato in partenza, e lasciare un piccolo promemoria di noi e del nostro lavoro, oppure fissare l'appuntamento per un nuovo incontro.

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E rispettarlo, se non abbiamo la forza, di carattere e contrattuale, per infischiarcene. Per non rischiare fraintendimenti e gaffe, meglio dosare che osare. Valutiamo mille volte ogni scelta «provocante e provocatoria», che richiama l'attenzione sul nostro corpo. D'estate, pochissima pelle scoperta (nel dubbio, esageriamo per difetto), niente piercing e tatuaggi in vista, né biancheria intima che fa capolino, o ciabatte infradito, e in generale tutto quanto eccede in aderenza e trasparenza. Le gambe nude non si addicono a un ambiente di lavoro molto tradizionalista e serioso, perché danno l'idea o di seduzione, o di trascuratezza. C'è molto da ridire anche su chi sfoggia solo jeans e magliette con un'aria parecchio «vissuta» e poco pulita e sneakers sfondate o sandali da turista tedesco: sono d'accordo nel condannare gli esibizionismi delle firme, delle mode, dei must have di stagione, ma non possiamo abolire la linea invisibile - ma importantissima - che distingue le occasioni formali da quelle casual, e cancellare il confine tra l'intimità di casa nostra e gli obblighi di lavoro, preoccupandoci unicamente di stare comodi. Lo trovo un eccesso di cattivo gusto, una sciatteria che offende anziché sedurre. Quindi, la parola «casual» non va presa alla lettera, non vuol dire pescare gli indumenti a casaccio dall'armadio, ma solo non seguire precise regole formali.

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In mensa, non crediamo di aver passato l'esame di stile se abbiamo imparato a non augurare buon appetito, ma poi mangiamo con le cuffie dell'iPod nelle orecchie (e non sentiamo chi ci parla, magari per chiederci di passare il sale), o dedichiamo massima concentrazione al giochino sul telefonino, o inviamo messaggi a raffica, o parliamo ad alta voce di faccende private... Consultando il menu del giorno, o guardando le pietanze offerte, non assumiamo sempre l'aria schifata dei gourmet incompresi, costretti dalla sorte ad accontentarci di cibi e bevande tanto al di sotto dei nostri livelli: sarà anche vero, ma siamo pregati di non darlo a vedere.

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È importante, qualunque sia la nostra posizione nella gerarchia aziendale, imparare a comunicare sempre in maniera rispetttosa (che non vuol dire ossequiosa, né fredda), a chiedere le informazioni di cui abbiamo bisogno, a fare un complimento meritato e accettarlo con un sorriso quando ci viene rivolto, a non buttare sugli altri la colpa dei nostri insuccessi, a condividere il merito dei successi, a criticare in modo costruttivo, s enza prese in giro e sarcasmi, a non lamentarci per abitudine e partito preso. È anche un errore stare sempre in disparte, non condividere i momenti di pausa o di scherzo: la nostra riservatezza può essere scambiata per presunzione. Sconsiglio di assumere il ruolo di «barzellettiere aziendale», perché difficilmente porta a essere stimati professionalmente e promossi, però un sorriso e una parola scherzosa possono rendere il clima più amichevole e rilassato. Che non significa sboccato: evitiamo turpiloqui e battute pesanti e volgari. E se le fa qualcun altro? Limitiamoci a non ridere: non abbiamo l'autorità (né la voglia) per riprendere, biasimare, educare una persona adulta che ha, ahinoi, il diritto di essere cafona. Così pure, non correggiamo i lapsus e gli errori del nostro interlocutore, a meno che non comportino il rischio di un malinteso (se prima dice «Ci vediamo alle cinque», e poi «Allora l'appuntamento è per le sette», è senz'altro il caso di chiedere: «Vuoi dire le cinque, vero?»), ma se il senso non cambia, è meglio non cadere in questo vezzo da maestri di scuola. Non interrompiamo mai chi parla. Se per caso due persone iniziano contemporaneamente a parlare, devono fermarsi subito, dicendosi scambievolmente: «Scusa, dì pure». L'interruzione disinvolta di un discorso, come il continuare imperterriti a parlare, sperando che I'altro si scoraggi e smetta, sono segni gravi di maleducazione, di mancanza di sensibilità. A chi tocca poi riprendere a parlare per primo? Alla persona più importante; tra pari grado, a quello dei due che ritiene di avere la comunicazione più urgente. Mai confondere la profondità con la pesantezza, l'essere seri con il prendersi troppo sul serio. Perché non c'è nulla di più sgradevole della supponenza morale, l'assunto a priori di essere migliori e diversi. Ecco perché vanno scelte con cura le parole. Invece di «Tu non hai fatto/detto» è meglio dire «Io vorrei che tu facessi/dicessi», e invece di «Lei sbaglia», «Hai torto», «Non ha capito» diciamo: «Non sono d'accordo», «C'è un equivoco» e «Forse non mi sono spiegato bene». Siamo franchi nel riprendere un collega o chiarire un malinteso, ma facciamolo a quattr'occhi (e dopo avergli domandato se gli va di parlarne), senza chiamare a giudici gli altri; e quando ci viene detto qualcosa che interpretiamo come una critica, non reagiamo gridando, accusando o mettendo il muso. Uno dei modi più sicuri per rendersi odiosi è non saper chiedere scusa: chi non sa assumersi le proprie responsabilità quando sbaglia è nevrotico e maleducato, e anche poco accorto, perché frasi come «Ho sbagliato», «Non dovevo dire/fare così» quando sono dette con semplicità, disinnescano la miccia del risentimento e aiutano a ristabilire un rapporto cordiale. Esattamente l'effetto opposto l'ottiene invece il «Non I'ho fatto apposta», o il tentativo di minimizzare il proprio torto: tra persone adulte, essere distratti, egocentrici, superficiali e faciloni costituisce un'aggravante, non un'attenuante. Un'ultima raccomandazione: anche se siamo sicurissimi della freschezza del nostro alito, quando parliamo cerchiamo di tenerci a una distanza ragionevole, senza respirare in faccia all'altro; e non tocchiamogli il braccio.

Pagina 222

Due regole un po' tradizionali, se vogliamo, ma che è giusto osservare anche se parliamo perfettamente cinque lingue e abbiamo fatto un master in America. Perché non è detto che sul lavoro non si debba essere riconoscenti per una gentilezza, avere rispetto per una persona più anziana, comportarsi con elementare buona educazione, rispondere alle domande senza attaccare bottone, aiutare quando è il caso, sorridere, salutare quando si arriva e quando si va via. Altrimenti non siamo anticonformisti, ma semplicemente cafoni. Prima di aver ben «inquadrato» I'ambiente e di essere stati accettati dal gruppo - non permettiamoci battute di spirito o commenti; curiamo particolarmente il nostro abbigliamento, evitando ogni sfoggio di firme e capi dernier cri: niente di peggio che dare l'impressione di lavorare per hobby! Accettiamo con gioia gli inviti a partecipare ad attività comuni nel tempo libero, ma non sollecitiamoli. Chiedere «Posso venire anch'io?» è sgradevole per chi non può risponderci di no, ma anche per noi, accettati visibilmente a malincuore. Se un collega ha un nome brutto, o molto lungo e «importante», può essere solo sua l'iniziativa di suggerire un soprannome, o un «accorciamento»; fino ad allora, sarà Emerenziano e basta. Ma neanche cinquant'anni di anzianità aziendale ci danno il permesso di apostrofare gli altri con «Caro/a, bello/a, cocca ecc.».

Pagina 236

Dichiariamo che ci piacciono molto il regalo o il mazzo di fiori appena ricevuti, la casa in cui entriamo per la prima volta, la cena che abbiamo nel piatto, il libro che ci è stato donato dall'autore. Ma se vogliamo essere credibili e graditi non definiamo «squisito» l'arrosto che sa di bruciato, o «sontuoso» un salotto normale (meglio «caldo», «confortevole»). Attenzione ai complimenti «a doppio taglio»: dire a un'amica «Non ti ho mai vista così elegante» può far sospettare che di solito ci appaia sciatta e malvestita. E un ostentato stupore davanti a una tavola ben apparecchiata o a una cena ben cucinata esprime la mancanza di considerazione delle doti casalinghe di chi ci ospita. Così, quando notiamo l'«aspetto giovanile» di una persona, e il suo «sembrare più giovane ogni anno che passa», o lodiamo l'abito «che ringiovanisce», in realtà stiamo pesantemente sottolineando che la gioventù è passata. Ultima regola: il complimento va fatto solo e unicamente quando siamo (o possiamo apparire) disinteressati. Se no è volgare adulazione. Chi ha garbo (e furbizia) si morde la lingua ma non sollecita complimenti: un «Ormai non c'è più nulla che mi doni davvero» oppure «Il mio problema è che perdo i capelli» può anche indurre chi ci ascolta a rassicurarci con un educato «Non è vero» o «Non si vede proprio», ma intanto il nostro fascino è sceso sotto zero. E noi stessi ci siamo attribuiti l'etichetta di «prodotto di seconda scelta» (se non addirittura di «saldi di fine stagione»). Il modo giusto per accettare un complimento gradito è un sorriso e un «grazie». Di fronte a una frase perfida mascherata da complimento, il silenzio è l'arma migliore e più efficace.

Pagina 36

Pagina 76

Se abbiamo problemi di spazio e non vogliamo rinunciare a un tocco di verde, possiamo porre accanto a ogni piatto (a destra in alto, oltre i bicchieri) un piccolo mazzo individuale tenuto in fresco in un bicchierino da rosolio, oppure legare un fiore e un rametto verde a ogni tovagliolo o appoggiare un fiore singolo al piede di ogni bicchiere da acqua. Solo alla sera possiamo sostituire i fiori con candele, sempre bianche e anch'esse inodori, che accenderemo prima che gli ospiti siedano a tavola, e spegneremo solo dopo che si saranno alzati. Possiamo usare candelabri di stili e fogge diversi, purché siano tutti dello stesso materiale. Non è casuale che le candele siano sempre o molto alte (sul candeliere) o molto basse: la «mezza misura» si porrebbe proprio ad altezza degli occhi dei commensali. L'accoppiata fiori più candele è accettata solo per i pranzi di nozze.

Pagina 86

Il Galateo

181506
Brunella Gasperini 2 occorrenze
  • 1912
  • Baldini e Castoldi s.r.l.
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Noi non abbiamo una così funesta visione del tempo libero. Certo è che un viaggio di piacere, una vacanza dovrebbero essere un'evasione, non una diversa prigionia; un riposo, non un diverso assillo; un cambiamento di abitudini e di pensieri, non una ripetizione campagnola o marina o esotica del tran-tran e delle nevrosi feriali. Cerchiamo dunque di liberarci il più possibile dai condizionamenti e partiamo con un po' di sano ottimismo. Ma non con esagerate aspettative: non cerchiamo nelle vacanze la realizzazione dei sogni perduti o la risoluzione dei nostri problemi esistenziali. Le vacanze non sono il nirvana. Ma possono essere, se le prendiamo con lo spirito giusto, una piacevole parentesi in cui sostare per poco, e accontentarsi.

Pagina 186

Mi dispiace, qui non abbiamo leoni, solo un gatto siamese: se le può servire...»). Siate precisi e sensati: «No, signora, questo è il numero 2715958. Prego.» Ricordatevi che i contatti infuriano, e che domani potreste essere voi a cercare Leone in casa Gatti.

Pagina 230

Il tesoro

182104
Vanna Piccini 1 occorrenze
  • 1951
  • Cavallotti editori
  • Milano
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Ma in proposito a ciò abbiamo accennato nel capitolo inerente ai « Battesimi ». (Vedi: « Doni di battesimo» ).

Pagina 674

Galateo per tutte le occasioni

188022
Sabrina Carollo 2 occorrenze
  • 2012
  • Giunti Editore
  • Firenze-Milano
  • paraletteratura-galateo
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Se il matrimonio può essere una fatica, figuriamoci la convivenza coatta con persone che nemmeno abbiamo scelto volontariamente. Dunque è necessario che tutti mantengano almeno un contegno educato per rendere meno impossibile la fatica di sopportare una giornata di lavoro e di contiguità con gli altri. Inoltre esistono dei comportamenti scorretti che non vanno assolutamente alimentati. Un po' di senso di responsabilità e di giustizia consentiranno di comportarsi al meglio. Ricordiamoci comunque che esasperare i conflitti, spesso per sciocchezze, non è mai utile, dunque optiamo sempre per una mediazione, per il compromesso costruttivo. Innanzitutto non si approfitta dei dispositivi e dei materiali messi a disposizione (fotocopiatrici, cancelleria, telefono!), e poi non si "ruba" tempo arrivando tardi, leggendo il giornale o attardandosi al caffè o perdendosi in chiacchiere. Inoltre: ✓ le telefonate personali anche se ricevute o fatte al cellulare, vanno limitate; ✓ non si ingombra la scrivania di fotografie, soprammobili, piante da giungla tropicale; ✓ in caso di divergenze sulle condizioni ambientali, prevale il diritto di chi vuole tenere chiusa la finestra e la luce accesa. Per l'aria condizionata istituzionale, è necessario essere molto tolleranti. Chi soffre molto il caldo non può infatti presentarsi in canottiera, e dunque sta a chi patisce maggiormente il condizionamento coprirsi; ✓ la cortesia e la buona educazione non sono applicazioni da tempo libero come l'uncinetto o il golf. Si usano indistintamente con superiori e inferiori. Anche quando c'è fretta perché le scadenze incombono.

Pagina 210

Anche se non abbiamo l'assoluta certezza del primato, possia mo almeno ipotizzare di essere uno dei rari esempi di galateo che si è spinto così lontano. Tentare di proporre indicazioni di buona educazione ai curiosi personaggi che popolano non semplicemente lo stadio, ma nello specifico le cosiddette "curve", ci pare azione assai ardita. Eppure ci proviamo, nello stravagante caso in cui qualcuno di loro si trovasse mai per le mani questo manuale. ✓ Innanzitutto bisognerebbe ricordare che il senso del sesto o dodicesimo uomo sta nel sostenere la propria squadra, non nello svilire gli avversari. ✓ Va auspicata dunque una certa proprietà di linguaggio. È noto che il tifo per la propria squadra porta a eccessi verbali nei confronti degli avversari assolutamente reciproci. Eppure sperare in una maggiore educazione e in un uso più meditato del turpiloquio ci pare ancora sensato. ✓ I gestacci poi andrebbero davvero eliminati. ✓ Le coreografie, i cori e gli striscioni sono spesso la cosa più fantasiosa che si vede allo stadio, onore al merito: però dovrebbero cercare di non essere di insulto per gli avversari. ✓ La violenza è sempre e comunque da stigmatizzare. I violenti non sono divertenti o coraggiosi, sono anzi il loro esatto contrario. Dei codardi travestiti da lupi.

Pagina 227

Dei doveri di civiltà ad uso delle fanciulle

188460
Pietro Touhar 1 occorrenze
  • 1880
  • Felice Paggi Libraio-Editore
  • Firenze
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Talora, è vero, possiamo trovarci alquanto impacciate, come allorchè, per esempio, abbiamo avuto invito ad andare in una casa dove non siamo state ancora introdotte, o quando si tratta di dover accettare un invito fatto all'improvviso. E in tali casi le sole congiunture attuali possono suggerire il meglio che far si possa. Per non andare ad un invito già accettato occorrerebbero ragioni di maggior rilievo, e sarebbe necessario farle conoscere per non essere tassate di grande sconvenienza. Varie cose che abbiamo detto o diremo non sembrano a proposito per le fanciulle, poichè infatti esse non ricevono inviti se non in compagnia dei loro genitori, ai quali appartiene l'accettarli o no; ma giova che elle conoscano per tempo le usanze sociali per sapervisi uniformare di poi. Posta essendo l'ora dell'invito, conviene andarvi qualche minuto prima; qualche minuto soltanto, poichè anticipando molto vi sarebbe il rischio d'impacciare i padroni di casa che in tali congiunture sogliono essere in faccende; ed allora vi trovereste fuor di luogo anche voi. All'opposto badate di non indugiare, chè ogni convitato si infastidirebbe a ragione della vostra inesattezza; ovvero se gli altri fossero andati a tavola senza aspettarvi, il vostro arrivo scomoderebbe tutti costringendoli a darsi pensiero di voi. Riuniti che siano i convitati, o giunta l'ora del pranzo un servitore annunzia in tavola: e subito il padrone di casa fa strada agli altri verso la sala del banchetto dando di braccio alla signora più ragguardevole per età o per condizione; così il più distinto fra gli uomini conduce seco la padrona di casa, e gli altri fanno lo stesso con le signore invitate. Un giovine commetterebbe atto di malacreanza, se per usar gentilezza alla signora che gli è toccata a compagna, facesse premura per passare innanzi alle persone che sono da più di lui. Talora il padrone di casa distribuisce anticipatamente le prime coppie, ed avverte gli uomini del posto che devono prendere alla sua destra od alla sua sinistra. Ciò è necessario nei conviti più numerosi. Pochi usano ora di scrivere il nome dei commensali in un biglietto che ponevasi sopra le respettive coperte. Per lo più quando i convitati sono giunti presso la tavola, gli uomini salutano le signore a cui hanno dato braccio, e aspettano in piedi che il padrone o la padrona di casa assegnino a ciascuno il suo posto. E per ciò fare essi medesimi pongonsi l'uno in faccia dell'altro a mezzo la tavola, e chiamano accanto a sè, incominciando dalla destra, le persone da dover preferire; di poi additano gli altri posti in guisa da soddisfare il desiderio o l'amor proprio di tutti, e da rendere in conversazione più svariata e più generale che sia possibile. Nelle case ove il cerimoniale è osservato a rigore, uno o più servi sono specialmente destinati al servizio della tavola: presentano la minestra, scalcano o tagliano le vivande, e le offrono in giro ai commensali che francamente devono subito accettare o ricusare. Altrimenti la padrona di casa scodella da sè la minestra ai suoi vicini da diritta e da manta, e la fa poi trasmettere agli altri i quali spesso, per cortesia, la offrono ai susseguenti. In tempo di tavola ciascuno gode di molta libertà; è lecito bevere o no, accettare o rifiutare vivande; nondimeno convien cedere alla minima insistenza dei padroni di casa; ma questi dal canto loro devono essere discreti nel modo di fare accettare ai commensali ciò che sembra loro dover essere più gradito. Molte altre avvertenze saranno opportune per le giovanette: alcune derivano dall'uso stabilito; altre dalla civiltà propriamente detta. Il tovagliuolo deve essere steso sui ginocchi, non appuntato al petto con lo spillo. Non conviene soffiare sulla minestra, che va presa senza servirsi di forchetta, e sfuggendo qualunque strepito delle labbra. Non usa tagliuzzare il pane, ma sì spezzarlo e tenerlo con la punta delle dita. Il bicchiere non deve mai essere empito tanto da correre il rischio di versarlo sulla tovaglia; e dopo aver bevuto bisogna asciugarsi la bocca. Non occorre dire che sarìa grande sconcezza il mangiare avidamente e bever fuor di misura; che sta male il mettersi a succiare gli ossi e le lische ed il gettarle sotto la tavola invece di lasciarle stare nel piatto. Alcune vivande possono essere prese con le dita, come gli asparagi, le radici, le frutta, le paste, gli ossicini dell' uccellame; ma tutte le altre in generale devono essere tagliate col coltello e poste in bocca con la forchetta; quanto al pesce ed ai legumi basta fare uso della forchetta, e del cucchiaio quanto ai piatti dolci fatti con latte ed altri liquidi. Non conviene mangiare le frutta senza averle partite e sbucciate, e sarebbe sconcezza volere schiacciare i noccioli coi denti. Se abbiamo bisogno di pane dobbiamo chiederlo al servo, ec. Quando sono posti in giro i piatti della biscotteria potete assaggiare di questo e di quello dopo averne offerto ai vicini, ma non conviene, senza averne avuto espresso invito dal padrone di casa, tirare a sè il piatto già rimesso al suo posto sopra la tavola. Talora sul finire del panto vengono distribuite ai comensali le ciotolette di vetro colorite contenenti acqua tiepida per risciacquare la bocca e lavare la punta delle dita: od ove non sia seguito quest'uso, è lecito, massime alle signore, mescere alquanto d'acqua nel bicchiere, tuffarvi le dita, ed asciugarsele di poi con la salvietta. Non sono più di moda nè i brindisi, nè i canti o simili tripudi; ma se vi trovaste in case dove piacesse serbar ricordanza di questo schietto giubbilare dei nostri antenati, la convenienza vorrebbe che vi uniformaste al desiderio degli altri. Nello stesso modo che i padroni di casa fanno cenno di andare a tavola, così tocca a loro a far quello di lasciare la mensa. La padrona di casa è la prima ad alzarsi, e tutti la seguono immediatamente; gli uomini tornano ad offrire il loro braccio alle signore per riaccompagnarle nel salotto; ma il padrone di casa, che venendo aveva preceduto tutti gli altri, ora esce l'ultimo. Ci vorrebbe un motivo gravissimo, un caso importante e imprevisto, perchè un commensale si facesse lecito di lasciare la tavola prima della fine del pranzo. Per lo più il caffè vien dato a tavola; alcuni usano di farlo portare in giro nel salotto. Le signore incominciano ad astenersene; e già molti uomini imitano il loro esempio. Chi non ha ancora adottato questo perfezionamento, avverta di non versare il caffè nel piattino, per farlo freddare, perchè non è cosa che stia bene. Convien trattenersi a conversazione coi padroni di casa, almeno fino ad un'ora dopo il pranzo; e potendo, è anche meglio starvi tutta la serata. Nel corso dei successivi otto giorni è necessario far la visita, così detta di digestione, come atto di ringraziamento ai padroni di casa pel piacere che col loro invito hanno avuto intenzione di procurare ai commensali. Dobbiamo: Rispondere con parole di ringraziamento ad un invito che ci venga fatto; addurre giuste ragioni se siamo costretti a ricusare; accellare o ricusare senza esitazione un invito fatto verbalmente; essere precisi circa l'ora statuita; uniformarci alle usanze delle case in cui ci troviamo; trattenerci in conversazione almeno un'ora dopo essere usciti da tavola; far visita entro gli otto giorni dopo il pranzo alla famiglia da cui abbiamo ricevuto l'invito. Non dobbiamo: Mancare ad un invito accettato, subitochè non ci siano stati ostacoli insuperabili; nè trascurare quelle molte e minute convenienze che l'usanza e l'educazione prescrivono.

Pagina 113

Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

188946
Pitigrilli (Dino Segre) 4 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
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. - Al mio paese - replicò l'uomo primitivo abbiamo risolto il problema da molto tempo, collocando i piani l'uno accanto all'altro, invece di sovrapporli. Invece di costruire una casa di molti piani, noi costruiamo molte case di un piano solo. - Che trovata! Qui non si può fare altrettanto, perchè la terra è più cara che l'oro. - E perchè hanno fatto sì che la terra sia più cara che l'oro? E' una conseguenza naturale del progresso... - spiegò l'ingegnere. - Ma voi sapete che cos'è il progresso? - Lo so perfettamente - rispose il selvaggio della Polinesia. - Il progresso consiste nel creare difficoltà, per avere poi la scocciatura di risolverle. Il progresso consiste nel fare i miopi per poi fabbricare occhiali; nel diffondere malattie più ripugnanti affinchè i sapienti si distraggano nel cercare i rimedi; nell'istituire l'indissolubiità del matrimonio, per inventare poi il divorzio... progresso è l'ascensore L'episodio dell'ascensore lo avevo già infilato nel mio libro «L'amore ha i giorni contati» a pag. 240. Me ne sono accorto nel correggere le bozze e poichè a pag. 243 di quel libro ho già chiesto scusa al lettore, mi ritengo scusato.

Pagina 205

Riassumendo: Noi, italiani e latini in genere, abbiamo una certa tendenza a essere faceti, e quando siamo scrittori, o giornalisti, o artisti o altri marchands d'esprit, crediamo che la nostra forma mentale si accordi automaticamente col nostro prossimo. Grave errore. Il nostro prossimo in genere capisce solamente le frasi composte di soggetto, verbo e predicato. Bisogna parlargli così: «Il cane ama il padrone; il prezzo della birra è aumentato; esci col paracqua». La frase «non uscire senza il paracqua» è troppo complicata per certa gente. E noi crediamo sempre di aver a che fare con individui come Guglielmo Giannini, Guasta, Indro Montanelli, Nino Bruschini, Nino Nutrizio, Vittorio Guerriero, Curzio Malaparte, cioè con spiriti eletti, ai quali l'abitudine all'allusione, all'allegoria, alla satira, allo «sfottò» conferì una ricettività particolare alla sfumatura. Ma la stessa facezia che ti puoi permettere con Renato Taddei, Gianni Finlandia, Alberto Cavaliere, Ferrante Alvaro de Torres, Leo Longanesi, Angelo Frattini, può offendere il burocrate incatorzolito nelle pratiche da evadere e da archiviare. Ti raccomando quindi di studiare il tuo uomo; prima di usare la tavolozza alla Van Gogh del tuo linguaggio. Una frase indovinata può farti cadere fra le braccia una pittrice esistenzialista che ne ha capito l'humor, questa vitamina ipsilon della nostra nutrizione intellettuale, ma può scatenarti dei guai per parte di un'allieva-levatrice discesa da uno, di quei comuni di montagna dove la gente non ride mai. Lo spirito è apprezzato da una minoranza. Tutti gli altri sono rimasti al «roba da chiodi» al «cosas de pazos» che costituiscono la saggezza di ciò che si suol chiamare «la parte sana della Nazione»

Pagina 214

Dopo un certo tempo il compagno, anche il compagno più divertente, ci opprime col suo peso, ci avvelena con la sua voce, ci ha saturati con le onde che emanano dal suo sistema nervoso, e abbiamo la necessità fisica di scaricarci delle sue onde nervose. Una voce urla in noi: «vattene, va all'inferno, non ne posso più, ho bisogno di essere solo, solo, solo!» - Da che parte vai? - vi domanda. Voi gli dite che andate nella direzione opposta alla sua. Ed egli con un gran gesto magnanimo vi risponde: - Dove dovevo andare andrò dopo. Ti accompagno. E si sospende, come un paracqua, al vostro braccio.

Pagina 278

Per quanto scettici possiamo essere, per quanto radicale sia stato il nostro svincolarci dal passato e il nostro proiettarci nell'avvenire, per moderna che sia la nostra casa, per aereodinamiche siano la nostra automobile, la nostra silhouette e la nostra concezione della vita, per quanto abbiamo stilizzato, assottigliato, geometrizzato, semplificato, scarnito, spolpato la nostra filosofia, il rococò dei nostri nonni, il liberty dei nostri padri, il Luigi Filippo dei nostri antenati che abbiamo conosciuto nei racconti irrispettosi della generazione che ci ha preceduti, dalla loro posizione di oggetti ingombranti e grotteschi risalgono alla gerarchia di numi tutelari. La nostra irriverenza globale per il passato si trasforma in omaggio a un piccolo settore di quel passato che strappa un sorriso, siamo d'accordo, ma un reverente sorriso. Il male è che quando le cose sono stanche di noi, ci abbandonano sfacciatamente. Gli ultimi tre bicchieri di una dozzina di baccarat, le ultime tre statuine di una serie delle Nove Muse sono testimoni superstiti del tradimento dei nove bicchieri di baccarat o delle sei Muse e sono tornate nell'Empireo del nulla, per ammonirci che bisogna amare le cose, ma non fino al punto di rendercene schiavi. Fra qualche anno la Regina Giuliana, ritrovando in fondo a un cassetto i suoi «paradisi bianchi», oltraggiati dalle tarme, direbbe, se avesse letto questo mio ultimo periodo, che dopo tutto io ho ragione.

Pagina 333

Le buone usanze

195742
Gina Sobrero 2 occorrenze
  • 1912
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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Gli uomini si permettono in questo senso molta più libertà; abbiano però riguardo alla vernice che adoperano per la loro calzatura: alle volte è assai poco profumata ed essi debbono sapere che inferiori forse a loro in molte cose, noi donne abbiamo però il senso dell'odorato assai più sviluppato. Per casa è raffinato tenere scarpe speciali; chi non ha la vettura non può trovar piacevole di tenere indosso oggetti che hanno raccolto la polvere della strada, e calpestato i detriti della vita cittadina. Le inglesi, che nella strada vediamo così mostruosamente calzate, in casa portano minuscole scarpette dette slippers, che le fanno parere graziose ed eleganti. Le pantofole sono incompatibili fuori dalla stanza da letto; nè un uomo, nè una donna fine si fanno vedere, nemmeno dalla famiglia, in questa troppo comoda calzatura. Le galoches, o scarpe di gomma per ripararsi dall'umido, sono tollerate, ma niente di più; si lasciano in anticamera e si rimettono all'uscita: sarebbe sconveniente fare con esse una visita.

Pagina 143

Purtroppo, lungi dal nostro bel paese non possiamo mai scrivere in italiano; noi che siamo stati, e che, certo, saremo sempre i primi marinai del mondo, non abbiamo saputo imporre, allo straniero, la nostra lingua: ed un indirizzo italiano corre rischio di non essere capito o male interpretato, fuori della patria nostra. Ma veramente, a questo proposito vi sarebbe molto da discutere, e, una semplice verità è pur questa: che astenendoci noi, in paese straniero, dallo scrivere e dal parlare il nostro dolce idioma, non ne facilitiamo certo la diffusione. E qui mi sia permesso modestamente di mandare una schietta parola di lode a quella Società Dante Alighieri che promuove la diffusione, o, almeno, cerca di mantener viva, la nostra lingua ovunque, in terra straniera, sono a migliaia e migliaia i nostri connazionali.

Pagina 160

Galateo morale

197310
Giacinto Gallenga 6 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
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La puntualità, è uno dei modi con cui dimostriamo il nostro rispetto personale verso coloro coi quali abbiamo affari da trattare. L'uomo inesatto porta con sé dappertutto il disordine e turba la pace e la serenità del prossimo. Chi ha da fare con esso lui dovrà una volta o l'altra essere in gran pensiero e irritarsi. Egli giungerà sempre tardi e non è regolare che nella sua irregolarità. Il suo tardar sempre è un sistema: egli arriva ad un appuntamento trascorsa l'ora fissata; alla stazione della ferrovia quando è partito il convoglio, alla posta dopo partito il corriere. Per tal modo gli affari sono in ritardo e tutti suoi corrispondenti lo maledicono». E la Ellis nel suo eccellente volume l'Educazione del cuore fa pure la seguente opportuna riflessione: «Dicono per il solito arrivando costoro che hanno il vezzo di non trovarsi mai in tempo ai convegni, non vi ho fatto aspettare, in fin dei conti, che un cinque minuti! - Ebbene, cinque minuti son poca cosa, è vero; ma se coloro che erano obbligati ad aspettarvi erano cinque, il tempo perduto sommerà col vostro a trenta. Tempo prezioso che hai rubato; fallo tanto più serio inquantoché il tempo non si può in veruno modo né riacquistare, né restituire».

Pagina 167

E noi ne abbiamo di questi operai istrutti, civili, morigerati che onorano la patria e sotto il principal fondamento della sua prosperità e grandezza. Alla presenza di tali operai vuolsi ascrivere in gran parte quell'ordine mirabile, quell'attività prodigiosa che regna in alcuni opifizi i quali poco hanno da invidiare a quelli delle più civili e progredite nazioni. Talvolta, senza esagerazione, il deperimento di una fabbrica è dovuto alla mancanza dei modi civili nel personale degli operai: giacché tale mancanza è cagione che i medesimi vengano tra loro e coi loro padroni a scortesie, a ingiurie, a contese; indi le frequenti mutazioni degli operai, gli scioperi, le vendette contro i principali, lo scredito dello stabilimento, la rovina dell'industria, lo sbilancio, il fallimento. I padroni devono assolutamente bandire dalle officine gli operai incivili, arroganti, indisciplinati, giacché i medesimi sono eziandio sovente pigri e disonesti; essendoché l'ignoranza assoluta dei principii di civiltà si debba essenzialmente all'infingardaggine, alla comunanza cogli ubbriaconi, coi giuocatori; e le bettole e le bische non sono i luoghi da apprendervi la gentilezza, la cortesia, come non sono scuole di onestà e di buon costume.

Pagina 174

Abbiamo spesso veduto l'assenza di questa virtù neutralizzare in gran parte i risultati che l'industria, l'integrità e l'onestà di carattere lasciarono sperare. E accade pur troppo sovente che l'uomo di affari vive esclusivamente a se stesso e non tiene conto il più sovente de' suoi simili, se non in quanto contribuiscono a'suoi fini. Togliete un foglio del libro-mastro di uomini siffatti, ed avrete tutta la loro vita».

Pagina 195

Noi abbiamo sempre in bocca, quando parliamo di libertà, di progresso, d'industria, d'indipendenza, il popolo inglese; facciamo anche di ricordarlo, questo popolo, allorché si tratta del rispetto verso le leggi, verso i giudici. «Ciò che forma il carattere essenziale della nazione inglese, scrive lo Smiles, è una sana attività di libertà individuale e insieme un'obbedienza collettiva all'autorità stabilita: l'energica libertà d'azione delle persone in un colla sottomissione uniforme di tutto al codice nazionale del dovere».

Pagina 249

«A giudicare, così il Manno citato, quanto poco valgono alcune di tali leghe, non abbiamo che a considerare il silenzio che regna oggidì attorno al nome di parecchi letterati ed artisti dei quali alcuni anni fa si parlava con tanto applauso». Ed infatti è fortunatamente vero che i buoni libri, i buoni quadri e in generale ogni opera buona in se stessa si fa largo da sé; che il mig]iore e il più possente mecenate è il pubblico che legge ed osserva e giudica sul vero merito senza badare a raccomandazioni di sorta; ed è vero parimente che le opere la cui nomea è unicamente dovuta all'amicizia delle consorterie, alla protezione dei grandi non ha più lunga esistenza dei funghi che sorgono dalle flemme del terreno; e che la stampa dei medesimi è a tutto detrimento della carte che li riceve e a tutto beneficio delle tarme roditrici.

Pagina 324

Noi abbiamo in Italia a centinaia gli istituti ove si esercita la carità a favore dei poveri, a centinaia gli ospedali, i ricoveri, gli ospizi. Eppure in nessun luogo come nel nostro paese si trovano tanti miserabili sparsi per le strade delle città e vaganti in cerca di danaro e di pane. La beneficenza cittadina, per quanto grande, non può mai bastare a soddisfare i bisogni fittizi di coloro che scelgono a professione quella comodissima del non far nulla. E sarà così finché non si arriverà ad ispirare alle classi povere quella dignità personale che esse mostrano di non sentire. Nei paesi della Svizzera, della Germania, dell'Olanda voi non arriverete, viaggiando dei mesi intieri, ad incontrare la quantità di mendici che vi assalgono, in un giorno, nelle contrade di questo bel giardino d'Europa o in quelle della Spagna nostra vicina. Là tutti lavorano, perché sanno che il povero, diventato tale per propria colpa, è sfuggito e disprezzato da tutti, e che difficilmente può trovare chi si assuma il carico della sua manutenzione; e il Governo, rafforzato da questo sentimento universale, può senza difficoltà impedire l'accattonaggio; che se alcuno, da immeritata disgrazia è ridotto a povertà, non ha d'uopo di stendere la mano, perché una carità illuminata va a cercarlo nel suo tugurio e lo impedisce di avvilirsi o di disperarsi. I cittadini vi sono solidari, per così dire, del mutuo decoro, e si riputerebbe disonorato quel paese in cui un certo numero di accattoni esercitasse, col nonsenso degli abitanti, la sua industria vergognosa.

Pagina 418

Signorilità

199722
Contessa Elena Morozzo Della Rocca nata Muzzati 5 occorrenze
  • 1933
  • Lanciano
  • Giuseppe Carabba Editore
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Nel dare un valore a quella parte del nostro attivo e del nostro passivo che non sia in contanti, o non abbia un valore fisso e immutabile, chiediamo consiglio a competenti, e teniamoci sempre piuttosto al «disotto» che al «disopra» delle cifre suggeriteci; nella valutazione di mobili, arredamento di casa, quadri (non di autore) ecc. ricordiamo che quello che noi abbiamo pagato mille in negozio, diminuisce almeno della metà, se dovesse venire subito realizzato. Le passività possono dividersi in due generi: i debiti propriamente detti, che un saggio ammortamento rateale deve possibilmente eliminare, e i pagamenti rateali di case, terreni ecc., a cui fa riscontro un aumento di patrimonio. Questo primo quaderno deve essere aggiornato scrupolosamente: siamo mortali, e abbiamo lo stretto obbligo di lasciare agli eredi uno stato patrimoniale esatto, a base di documenti!... Secondo quaderno della nostra piccola contabilità sia quello delle rendite, da cui risulti quale è il guadagno o il compenso che i vari membri della famiglia ritraggono dal loro lavoro, e a quanto ammonti interesse del capitale posseduto. Terzo: quello delle scadenze attive e passive. Sono scadenze attive gli incassi di qualsiasi natura; sono passive le sei rate bimestrali d'imposte, i contributi, gli interessi da pagare per somme avute a mutuo, le pensioni a famigliari o a domestici, affitto, le annualità di assicurazioni vita, incendio, i debiti tutti ecc. Al principio di ogni mese, basterà un'occhiata per stabilire su quali immediate entrate si potrà contare ed a quali uscite bisognerà provvedere... ma non bisogna dimenticare quell'occhiata, perchè il trascurare una scadenza, per esempio di una cambiale, può portare danni gravissimi!... Lo scadenziario potrà essere stabilito ogni principio d'anno, ma dovrà avere un posto per quelle nuove scadenze derivate da mutamenti patrimoniali improvvisi, o da nuovi impegni assunti, o da proventi inattesi. Quarto sia il quaderno delle spese giornaliere, su cui siano notate le spese tutte, e sia copiata la cifra complessiva settimanale o mensile della spesa di cucina. Quinto ed ultimo sia il libro su cui la cuoca o la domestica nota la spesa dettagliata pel vitto. Forse un ragioniere, leggendo queste note, potrà sorridere... ma poi dovrà convenire che, nei nostri cinque quaderni, potremo avere una completa e pratica contabilità domestica, sia fine a sè stessa, sia, principalmente, atta a farci stabilire il bilancio annuo.

Pagina 25

Pensiamoci tutti in tempo: «camminiamo finchè abbiamo la luce, affinchè le tenebre non ci sorprendano: crediamo nella luce e siamo figli della luce». Ogni giorno l'esistenza di ognuno si avvicina alla fine - e la fine sarà dolce soltanto se la vita sarà stata buona. -

Pagina 4

Piccole cose, ma utili nel senso sociale, e pratiche, perchè risparmiano tempo... tempo di cui, teniamolo bene a mente sempre, abbiamo il sacrosanto dovere di essere avare.

Pagina 493

Anzi, non abbiamo fatto niente, perchè il distintivo è solo un privilegio e una bandiera... un privilegio di cui bisogna rendersi degne, una bandiera che si deve tenere alzata gagliardamente sempre, e che non deve vacillare per vento o per tempesta. Di fasciste all'acqua di rose, di tesserate le quali fanno mostra del distintivo per snobismo, se sono ricche; per avere qualche vantaggio economico, un posto od una protezione, se non lo sono; di queste fasciste che non hanno modificato la loro vita da otto anni a questa parte, conformandola ai nuovi tempi e ai nuovi doveri, S. E. Mussolini non sa che farsene!... Noi, qui riunite, apparteniamo alla classe abbiente, intelligente, e, in certo modo, privilegiata; la classe fra cui sono scelte le delegate, che devono collaborare con i dirigenti; noi tutte, affettuosamente considerate dai mariti e dai figliuoli, cordialmente considerate da parenti e amici, abbiamo, pur restando nell'ombra e considerandoci discepole e esecutrici di ordini, una certa influenza sull'andamento generale. La prima cosa che ci deve animare è la fede nel Regime e nell'avvenire, una fede che deve essere religiosa, quella che la Regina Margherita - la donna eletta che sorrise al fascismo, e benedì il fascismo - chiamava «la fede del carbonaio» cioè: fede umile, fede che tace, che si sacrifica, che non discute l'ordine del Duce, fede che è comunicativa e incrollabile!!! Il mondo è generalmente così fatto, che se un uomo, anche buon fascista, udisse ripetersi dieci volte al giorno dalla moglie delle frasi disfattiste: ... il mondo è così fatto che, se cento uomini udissero sempre ripetersi, nei momenti scelti con femminile furberia, queste frasi..., dieci butterebbero la moglie dalla finestra, ma novanta, per amore di quieto vivere, tacerebbero... e poi sarebbero scossi nel loro ideale, giacchè la goccia scava la pietra. Certamente, in sei anni, il fascismo non poteva ridarci le meringhe a tre soldi; il velluto a tre lire; un palco al rinnovato Teatro Reale dell'Opera per cento lire; certamente non poteva farci risalire dal baratro in cui eravamo caduti, (anzi in cui ci avevano fatti cadere); naturalmente il Regime ha ancora dei nemici, dei nemici gelosi e in mala fede, dei nemici che lavorano a scalzare e a rovinare la torre magnifica che il Duce magnifico sta erigendo!... Ma, se questi nemici, (che hanno paura degli uomini, i quali nei torbidi del dopo guerra, seppero tutto osare e tutto avere!), se questi uomini, che si rivolgono a noi donne sapendoci più deboli, più impressionabili, più suggestionabili - sapendo di poter influire sui nostri cari attraverso a noi... - se questi uomini, dico, si trovassero sempre di fronte a noi tranquille e dignitose... ma ferme, ma forti!... se ci trovassero pronte a sacrificare, tacendo, un vestito, o un thè danzante, a restringere i nostri capricci non solo, ma i nostri bisogni... ad essere pronte a rispondere loro: «Siete dei rinnegati e degli indegni: quella è la porta!» - vi giuro che l'antifascismo avrebbe meno forze e meno nemici!... E queste donne dobbiamo e dovremo essere noi, non le schiave e le serve di remota epoca, non le romantiche donzelle e castellane medioevali, non l'inconcludente donna di certi secoli, non la garçonne dell'ultra elegante Parigi ma le italiane nuove, fidenti, disciplinate, laboriose, organizzatrici. ... Primo dovere e primo compito dell'italiana deve essere quello d'organizzare e indirizzare la vita famigliare... ed eccomi subito entrare nel tema della mia conferenza, destinata in modo speciale alle signore. Parlerò della casa e dei figliuoli; prima parlerò della casa e poi dei figliuoli, facendo come i bambini che, davanti ad un frutto e ad una torta, serbano per ultimo la torta, volendo rimanere con la bocca dolce. Non farò qui quello che i francesi chiamano «della letteratura» sulla casa, ma voglio indugiarmi un solo istante a dire la dolcezza profonda da cui siamo invasi ad ogni ritorno là dove nacquero i nostri padri e i nostri figliuoli, del senso di pace (pace nel senso evangelico) che ci invade quando ne passiamo la soglia, del senso di letizia che dà la lampada accesa pendente su di una tavola, anche modesta, ma accurata... del profondo senso di amore in noi radicato per lei. Importantissimi sono i doveri della donna verso la sua famiglia, perchè lo Stato è composto di famiglie, come ogni edificio è formato di umili mattoni; perchè il benessere, la serenità, l'agiatezza dei singoli, sono benessere, agiatezza e serenità dello Stato, e i singoli non hanno serenità vera, se non nella famiglia e nella casa. Serviamo dunque in letizia la Patria, servendo la nostra casa. Ho scelto appositamente, per esprimermi, il verbo servire. Il più superbo degli Imperatori moderni, Guglielmo di Hoenzollern, aveva per motto queste parole «ich dien» (io servo)... Se il servire può essere talvolta umiliante, è, nella maggior parte dei casi, dignitoso e, talvolta, magnifico. Per esempio: magnifico è quello del nostro Re e del nostro Duce, per la fortuna d'Italia; magnifico fu quello dei nostri padri, mariti e fratelli, che corsero alla frontiera, pochi anni or sono; e anche la nostra modesta, tranquilla, silenziosa dedizione alla famiglia, è una forma di servire alta e nobile. Dobbiamo, però, ancora imparare qualche cosa. «Gli italiani sono indubbiamente il primo popolo del mondo», diceva il nostro Principe di Piemonte ancora fanciullo - e ne conveniamo toto corde - e anche noi italiane fummo largamente dotate da Dio! Ma, prima della guerra, tre cose ci facevano difetto: il senso della responsabilità, la capacità di realizzare e l'organizzazione. La guerra ci ha dato le due prime qualità; il fascismo sta dandoci, e ci darà la terza. La responsabilità! Noi avevamo il concetto espresso da Enrico Ibsen, nella «Donna del mare», che Eleonora Duse portò trionfalmente in Italia;... cioè che la responsabilità era un peso troppo grande per le spalle femminili, e a lei preferivamo la supina obbedienza all'uomo che sapeva assumerla; noi ammiravamo persino le bambinaie tedesche che tranquillamente asserivano: «Assumiamo noi la responsabilità del pampino». Partiti i nostri mariti per il fronte, noi donne, volendo contribuire efficacemente alla vittoria, assumemmo automaticamente tutte le responsabilità domestiche, e semplicemente, abilmente, anche quelle di aziende agricole e commerciali, dei vecchi rimasti, dei figliuoli che seguitavano a nascere; ci sentimmo responsabili del nome e dell'onore di quelli che combattevano al fronte, e, pure automaticamente, diventammo realizzatrici. Ora dobbiamo essere anche organizzatrici. Questa parola fu prettamente tedesca e formò la forza e la superiorità dell'Impero teutonico; è ora diventata parola prettamente italiana, e deve diventare parola prettamente femminile. Le nostre nonne dalle lunghe vesti larghe dieci metri, che, sedute fra numerose dipendenti, passavano la vita a filare la lana e il lino... le nostre nonne che avevano poche esigenze, pochi bisogni e molta - relativamente - più ricchezza di noi, avevamo con tutta facilità decine di domestiche brave e fedeli (mentre noi stentiamo tanto a trovarne una buona!!!), avevano meno bisogno di noi di studiare il problema domestico e meno bisogno di organizzazione. Vivendo solamente e continuamente in casa, rinunciando al mondo e alle sue pompe dal giorno delle nozze, non avevano altro scopo che figliuoli e casa, casa e figliuoli. Noi, oggi, se non dobbiamo uscire per guadagnarci la vita, vogliamo uscire per compere e commissioni, per sport o per divertimento, perchè siamo abituate così e non potremmo stare sempre in casa come una volta. Ma nessun danno deve venire a nessuno per questo nostro sciamare dal nido; esiste la maniera di conciliare dovere e piacere, di avere una casa ben tenuta e curata in ogni dettaglio, piacevole ai nostri cari e a noi... e questa maniera consiste nell'organizzarla così bene, con tanto ordine, dando un posto ad ogni cosa, e rimettendo sempre e subito tutto a posto, che tutto possa camminare bene, dando solo qualche ora di sorveglianza all'andamento generale. E come? Qui entrerò brevemente in un campo pratico, giacchè oggi ci vogliono fatti e non chiacchiere. Cominciamo dalla biancheria, che è una delle ricchezze più oneste e liete, più femminili, più intime e più vere di una famiglia dabbene. Per avere della biancheria pulita si può, senza un fastidio al mondo, consegnarla ad una delle tante lavandaie; oppure si può farla lavare razionalmente in casa col vecchio sistema del ranno, oppure mediante una comune lavatrice o mediante una lavatrice elettrica. Ricordo sempre questo racconto della compianta Signora e scrittrice Sofia Bisi Albini: «La mia lavandaia mi aveva assicurato che non mischiava i panni miei con quelli di altri, che li lavava in acqua corrente, che li asciugava al gran sole in un immenso prato presso il ponte Nomentano... ed io vivevo tranquilla e sicura. Un bel giorno vado a trovare un paralitico che mi era stato raccomandato e che abitava lontano, fuori porta Pia. Entro in un tugurio diviso in due antri; nel primo vedo molta biancheria sudicia buttata in tinozze ributtanti, mentre un puzzo di cloro sta per soffocarmi; nel secondo antro, dormitorio e refettorio di ben sette persone, vedo dei tovaglioli che asciugavano stesi sul letto dell'infermo... Orrore!!!». ... Voi mi avete ormai capito: in quel tugurio viveva e lavorava la lavandaia di Sofia Bisi Albini! Per avere invece bella biancheria, candida, frusciante, odorosa di sole, che è una gioia riporre negli armadi odorosi di lavanda e di gaggia, bisogna che la padrona di casa abbia una vera e propria piccola organizzazione. E ancora: abbiamo tutti noi - e qui potrei rivolgermi in parte anche ai signori mariti - un piccolo registro in cui sia notato quello che abbiamo in casa? quanti orologi possediamo? quante bottiglie si trovano in cantina?... quanto consuma al giorno il termosifone? Abbiamo il catalogo dei libri? e quelle dei libri prestati?... Abbiamo in cucina una lavagnetta bella e pronta col gesso per notare ciò che occorre alla cuoca? conserviamo le ricevute? abbiamo fatto testamento? facciamo ogni mese il bilancio consuntivo e preventivo?... Noi donne, ricordiamo sempre che cogli stessi mezzi finanziari, una famiglia diretta da una brava signora svelta ed energica può mangiare bene, vestire bene, vivere in agiatezza, divertirsi, viaggiare... e un'altra, guidata da mano femminile fiacca e dalle unghie troppo dipinte di rosso ardente, vive meschinamente di debiti, di pasticci, spesso di peccati, e sempre di malcontento?... Partendo noi fra breve per un viaggio o per la villeggiatura estiva, avremo la nota di quanto portiamo con noi?... Permettetemi di dubitarne... perchè la forma di organizzazione, perchè il tenere dei quaderni esula ancora dalla nostra mentalità; perchè noi ci fidiamo troppo della nostra memoria, mentre poi siamo distratte e occupate da mane a sera in troppe cose, che non sono la casa... Se, invece, noi siamo brave signore intraprendenti, svelte, volenterose, pazienti, appassionate; se, specialmente, quando dobbiamo fare una cosa, la facciamo subito, per organizzare una delle diverse partite di lavoro domestico, impiegheremo appena una o due ore, e troveremo quindi posto anche per la beneficenza, per le Opere assistenziali, per tutto quanto rende la vita sana, serena, interessante, buona, intellettuale, artistica... e proveremmo anche un senso di superiorità verso le donne che non sanno muoversi e realizzare come noi. Questo sarà forse un movimento di orgoglio... movimento che, però, sia benedetto!!! Ho detto impiegare e non perdere. Di grazia, se non lavoriamo per l'ordine, il benessere e la prosperità dei nostri cari, di che dobbiamo e per chi dobbiamo lavorare? Di grazia, è nostro dovere non perdere una prima al Teatro Reale dell'Opera, o non perdere di vista l'andamento domestico? Di grazia, dobbiamo concorrere al premio di charleston in un salone da ballo, o concorrere a tener igienicamente la casa? dobbiamo essere scultrici o letterate, e incaricare il marito di ordinare il pranzo? Per amor di Dio!!! Possiamo essere anche scultrici o laureate, possiamo anche suonar bene il violino, scrivere qualche buon articolo... ma solamente quando e dopo che ogni particolare della nostra vita e della nostra casa sia curato in tutto e per tutto.

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Restando sempre nel campo di quella che è convenuto chiamare economia domestica, noi madri ricordiamo che la riuscita delle nostre figliole femmine dipende da noi e che, fino da quando noi le abbiamo avute da Dio, dobbiamo pensare che sono destinate, nella maggioranza, ad un galantuomo ed a educare altre generazioni. E verso quel galantuomo e quelle generazioni abbiamo una responsabilità ben grave e definita. Sentite: se domani il Rettore Magnifico dell'Università venisse a chiederci nostra figlia come insegnante di diritto civile e di astronomia, noi cadremmo dalle nuvole, e lo congederemmo con molte grazie e rimpianti. Se, invece, un giovane, desideroso di un affetto, di un focolare suo, di una vita fatta di pace e di gioie famigliari, venisse a chiederci la mano di nostra figlia..., eccoci tutte soddisfatte a concedergliela, senza nessun pensiero che questa, come padrona di casa e futura madre di famiglia, valga poco o nulla. Nel primo caso (del Rettore Magnifico), ci sarebbe parso disonesto accettare; nel secondo ci sembra onesto accettare... mentre è molto più disonesto rovinare un giovane dabbene, anzichè insegnare male a degli allievi i quali, alla peggio, potranno studiare su di un libro di professore veramente laureato... - E intelligente, saprà cavarsela! - pensiamo noi. Quale errore! Sì, dopo qualche anno ella, di buona o cattiva voglia, avrà fatto una certa quale pratica...; al terzo figliuolo non ripeterà forse gli sbagli che ha fatto col primo, e che renderanno quell'innocente malaticcio per tutta la vita; dopo qualche anno saprà conservarsi le domestiche più che per un mese... ma, intanto, in quel periodo di inesperienza, avrà, col fervido aiuto di malpratica servitù, rovinato mobili, casa, servizi, avrà rovinato lo stomaco, e, con lo stomaco, l'umore del marito; fatto debiti od intaccato il capitale, perchè avrà speso certamente in ragione diretta dei desideri, e non delle disponibilità; avrà compromessa la felicità, la pace domestica e, qualche volta, anche per sempre. Siamo d'accordo? Credo di sì. Ebbene; corriamo subito ai ripari ed ai rimedi. Questi potranno essere (lo accenno solamente, per non farvi restare qui fino a domattina): 1. Insegnamento famigliare. 2. Insegnamento nelle scuole elementari e secondarie, non solo di astruserie, ma di cose veramente utili e pratiche, primissime fra queste l'igiene ed il modo di preservarsi dalle malattie. 3. Insegnamento professionale fatto in apposite scuole. 4. Una grande «Lega delle Massaie» per la diffusione della cultura e delle previdenze domestiche, sul tipo di quella Lega Tedesca, che conta duecentomila aderenti!!! e non nel medio ceto, ma nella migliore classe sociale. Anche in questo ramo, come in tutti, il Fascismo sta provvedendo e subito e bene; a Roma funzionano tre scuole principali: la Fuà Fusinato, le due professionali, intitolate al caro nome della Regina Margherita e molte altre. Varie scuole preparano le infermiere famigliari e professionali, ed ormai in ogni rione, alla dipendenza della delegata dei Fasci, lavorano e tanto e tanto bene, le assistenti sanitarie, a cui sono felice di mandare, a nome di tutte le Signore fasciste qui riunite, un applauso sincero.

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Come si fa e come non si fa. Manuale moderno di galateo

200715
Simonetta Malaspina 2 occorrenze
  • 1970
  • Milano
  • Giovanni de Vecchio Editore
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I parenti che non sono stati invitati alla festa (dedicata, come abbiamo detto, soltanto ai giovani), ma che comunque hanno avuto la notizia della laurea, dovranno farsi vivi con un biglietto o almeno con una telefonata di congratulazioni. La laurea è una tappa molto importante nella vita di un ragazzo o di una ragazza, e non bisogna dimenticare che rappresenta il suo addio alla vita di studente. Nell'inviare un dono o un biglietto di congratulazioni a un laureato, non dimenticatevi di scrivere, prima del nome del giovane, "dottore”. È una piccola soddisfazione, questa, che non bisogna negare. Anche se si tratta di una laureata, consideratela almeno per qualche giorno "dottoressa". Le farà piacere essere chiamata così.

Ma, abbiamo detto, è un diritto e non un dovere. Lasciate dunque in pace lo scrittore conosciuto da poco e per caso, magari a un ricevimento, e non chiedetegli di rivederlo per avere un suo libro con la dedica. Se credete di fargli cosa gradita vi sbagliate: a lui non piacciono complimenti di questo tipo. Gli scrittori hanno soltanto un numero limitato di libri a disposizione, e la vostra insistenza non sarebbe affatto apprezzata. Se proprio desiderate avere la dedica di quello scrittore, comprate prima il suo libro e leggetelo. Poi, chiedetegli soltanto un autografo: sarà lui a decidere se è il caso di aggiungere qualche parola di simpatia per voi o di limitarsi a firmare. In quest'ultimo caso, non mostratevi delusi e ringraziate ugualmente. Non suggerite mai all'autore di un libro la frase che desiderate come dedica: non sarebbe cortese.

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Eva Regina

204450
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 8 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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È un onesto padre di famiglia, un buon impiegato, un placido campagnolo, un decoroso capitano dell'esercito, un deputato, un professore d'Università : non l' abbiamo più incontrato, e se lo incontrassimo il nostro volto non muterebbe di colore e il nostro cuore non avrebbe un battito di più, poichè non è più nulla per la nostra vita sentimentale, egli che fu tutto. Il giovinetto pallido è morto, e come a un caro estinto noi pensiamo a lui di quando in quando, raramente, ma con una tenerezza dolce che avvolge noi e lui ad un tempo, le nostre morte primavere, coi profumi di allora... Sono rare le donne che sposano il loro primo amore, appunto perchè è un sentimento che non ha radici nella verità. La vita con le sue esigenze è ben diversa dal sogno. Ma non è male che il primo amore rimanga quello che è, nel ricordo, senza trasportarsi in una concreta realtà: che rimanga in fondo all'anima come la memoria di un sogno troppo bello perchè potesse durare. « Il primo amore — dice ancora Matilde Serao facendone la psicologia con la sua profonda conoscenza del cuore umano —: il primo amore è fresco, ingenuo, candido : è il vago balbettio di un fanciullo che comincia a parlare; è un'alba tremolante di raggi, è un'incipienza deliziosa. Gioie piccine, ma in quei momenti ti soffocano con la loro esuberanza. Le impressioni sono profonde ed intanto conservano la delicatezza; il profumo è sottile, ma capace d'inebriarti; senti l' anima crescere, svolgersi, aprirsi come un fiore, e ti senti soddisfatto, e ti senti in possesso di un tesoro, pensando di poter essere per te solo, per lei sola, felice o infelicissimo. » Alla nostra anima del presente quelle sensazioni non basterebbero più, o la medesima creatura, giudicata con altri criteri, veduta sotto altra luce, non saprebbe più suscitarle in noi. Meglio dunque non sposare il primo uomo che abbiamo vagheggiato, per non correre il rischio di accorgersi troppo tardi che non era lui che amavamo ma il nostro sogno.

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Ora è per determinazioni da prendere, e non di rado, come abbiamo notato, per l' educazione dei fanciulli. E la mensa, il salotto da lavoro, si cambiano spesso in campi di battaglia dove s' incrociano ire, minaccie, offese : dove qualche volta volano stoviglie, suppellettili e busse. I bambini assistono spesso a queste scene disgustose, perchè gli adulti non si fanno riguardo di altercare in loro presenza non riflettendo all' esempio che dànno e alle conseguenze che ne possono derivare: ed ogni buon proposito d'educazione — se anche c' è — diviene nullo, travolto così dal conflitto delle anime che ne porta alla superficie i più torbidi elementi. Il rispetto per la famiglia dilegua e spesso anche quello per la vecchiaia : l' autorità paterna e materna si rimpicciolisce : il concetto che il bambino deve serbare d' una superiorità d' esperienza, di una somma maggiore di valore dell' età matura in confronto alla sua vacilla e scompare. Appena in età di discutere, farà valere le sue ragioni, buone e cattive, con l' arroganza, con la prepotenza, magari con la rivolta; e perchè non dovrebbe farlo, visto che in casa sua tutti fanno così?...

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Abbiamo esempio di molte persone coltissime, che appresero quanto sanno solamente leggendo. Poi la lettura è utile perché abitua il pensiero a concentrarsi, a meditare; insegna a star soli, e prepara alla vita uno dei suoi migliori e più sicuri conforti. Coltiviamo nei bimbi amore ai libri, riguardiamoli come aiuti preziosi alla formazione del loro carattere e all' allargarsi della loro intelligenza. La produzione letteraria per l' infanzia è ora così ricca e così buona che nessuna mamma può trovarsi imbarazzata nella scelta, e, se mai, può sempre chieder consiglio alla maestra. Collodi, Ida Baccini, Yambo, De Amicis, Capuana, Evelyn, Amilcare Lauria e molte e molte altre penne valenti diedero alla letteratura infantile un contributo vasto e vario : quindi la mamma potrà anche cambiare spesso il genere affinchè il bambino non sviluppi troppo esclusivamente un carattere intellettuale a detrimento degli altri, come accadrebbe se leggesse solamente racconti fantastici o barzellette leggere, narrazioni morali, o viaggi d' avventure. È bene che anche nella lettura il piccolo uomo veda riflessa la vita come è, coi suoi pericoli e con le sue vittorie, con le sue tristezze e con le sue feste; altrimenti se ne farà un concetto falso che soffrirà poi a modificare. Per invogliare il bambino a leggere sono ottimi i libri con le illustrazioni : ed è buono, anche, il metodo di fargli qualche lettura facile ad alta voce. Niente di meglio dei giornalini pei fanciulli, che offrono una lettura varia e complessa, amena ed istruttiva insieme.

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Forse eccessi di tal genere non si ripetono fuori delle regioni meno evolute d' Italia : ma in ogni luogo abbiamo però donne, e fra esse signore della piccola borghesia, che chiedono insistentemente questa o quella grazia a un dato Santo e non ottenutala ne abbandonano il culto, disgustate come di un medico che non avesse conseguita una guarigione. Altre esigono a tutta forza miracoli, e per averli si espongono a disagi di pellegrinaggi, interrompono cure, peggiorando le loro condizioni fisiche, se si tratta di salute, giacchè è assurdo violare le leggi naturali, dal Creatore stesso decretate, per poi pretendere il sovrumano. Anche certe devozioni composte di formule ripetute centinaia di volte : certe immaginette o certe medaglie a cui si attribuiscono virtù particolari e piccine, certe penitenze di digiuni e di privazioni, compiute magari a scapito della salute, sono tanto lontane dalla religione vera quanto il paganesimo dal cristianesimo.

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Ma ha una buona posizione sociale, un aspetto simpatico, ottime qualità morali; abbiamo grande stima di lui, gli abbandoniamo volontieri il nostro destino. Se non sarà l' amore ardente, sarà l' affezione sicura e dolce, che molte volte val più dell'amore. La consuetudine di vedersi, la conoscenza più intima creano poi dei vincoli, spesso danno delle rivelazioni che svegliano in fondo all' anima il divino fanciullo dormente : l' amore. Ed allora è per tutta la vita: non si temono più inganni, nè sorprese, nè delusioni. Spesse volte queste rivelazioni sono il premio di una obbedienza, di un segreto olocausto, di una determinazione coraggiosa o solamente della pietà. Conviene essere sincere però, come sempre. Con un uomo che si sposa per convenienza non si dovrà fare nè prima nè poi la commedia dell'amore. S'egli si accorgesse della finzione ne soffrirebbe più che vedendo il nostro tepido ma sincero affetto. In un matrimonio combinato, deve dominare la serietà, la semplicità : gli sposi devono sentirsi sopratutto amici. Solamente così potranno avere anch'essi ore d'una felicità serena e fondare il loro avvenire su basi incrollabili.

Pagina 46

Abbiamo veduto come anche il dolore più sacro, più austero, più acerbo, non possa sottrarsi a certe regole fisse, a certe manifestazioni comuni, a certi doveri di cortesia e di gratitudine. Ma la pietà e la gentilezza altrui deve però cercare di rendere più leggero che sia possibile quest' obbligo, e rispettare il triste raccoglimento di chi piange e soffre. Recandoci a visitare una signora colpita da grave sventura, faremo in modo che la visita, per l'ora, per il nostro abbigliamento, per l'intonazione dei nostri discorsi non abbia nessun carattere di etichetta. Meglio prevenire prima con un biglietto per informarci se la dolente è in grado di ricevere chicchessia e se la nostra visita non le arrecherà troppo dolore. Se si farà scusare di non poterci ricevere, non le serberemo rancore e alla prima occasione le dimostreremo il nostro sentimento fedele. Dal giorno luttuoso le proferiremo i nostri servigi ma dovremo lasciarle ogni iniziativa d' invito. Se verrà nella nostra casa, le faremo un' accoglienza intima e affettuosa, e se si troveranno da noi altre persone, la riceveremo sola in un' altra stanza, giustificandoci coi primi visitatori. La maestà del dolore ha tutti i diritti di privilegio senza che alcuno possa offendersene. Ci ricorderemo di lei quando compie il mese dalla morte, e nell' anniversario, con un piccolo ricordo pio, se ci è legata d' amicizia : un libro religioso o di severi insegnamenti morali, un' immagine sacra, un rosario, una medaglietta, dei fiori da recare al cimitero,accompagnati da qualche parola d' affetto e di conforto, sono dimostrazioni che è bello e pietoso dare a chi ha bisogno d' esser consolato.

Pagina 467

Vi è una specie di triste sollievo a persuadere e a persuaderci che la nostra volontà non poteva salvarci, che abbiamo dovuto soggiacere ad una forza superiore ed irresistibile contro cui si spuntarono tutte le nostre armi di difesa. Quando Eva commise il primo fallo nell'Eden, tentò di difendersi accusando il serpente come cattivo consigliere. Ma essa poteva bene non ascoltarlo, non mettere in pratica il maligno suggerimento. Il discernimento del bene e del male ci è stato infuso dalla nascita, e nulla inceppa il nostro libero arbitrio di seguire la via retta o la tortuosa via. Le circostanze possono essere più o meno fatali, le seduzioni più o meno tentatrici, ma se dagli anni della adolescenza avremo esercitato la volontà ad obbedirci, avremo nutrito il nostro spirito d'alti pensieri e di nobili proponimenti, passeremo incolumi fra le prove che le vita può riserbàrci. Una donna elevatissima, Maria Pezzé Pascolato scrisse : « La forza di volontà, l' energia, sono i maggiori beni di questo mondo; l' arte di comandare a noi stessi è principio e fine d'ogni saviezza. La nostra vita è nelle nostre mani. » Se potessimo ben persuaderci di questa verità molti mali ci sarebbero risparmiati ; tutti quelli, almeno, che si riferiscono alla nostra vita morale, e all'occorrenza non incolperemmo altri delle disavventure, delle perdite, delle sconfitte che la nostra debolezza, la nostra irriflessione sole poterono procurarci.

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Dice bene il vecchio poeta : Tutti abbiamo bisogno di tutti : e ogni uomo può nuocere ad un altro uomo. Pure può anche essergli giovevole e non solo con l' opera, ma col semplice esempio. L'esempio vivo, pratico, che quasi sempre è più efficace della parola, giacchè noi dimenticheremo il discorso più eloquente, l' esortazione più ingegnosa, ma non sapremo dimenticare un fatto, una condotta, una regola di vita che abbiamo avuto sott'occhi e che ci abbia impressionati come una lezione, come un modello da imitare. E in questo, quante volte gli umili possono essere di specchio ai favoriti dalla sorte ; i poveri ai ricchi ! Quale esempio di pazienza ci dà quella misera inferma, a cui l'indigenza non può dare nessuno di quei conforti che accettiamo senza calcolarli dalla nostra posizione agiata e che pure mitigano le sofferenze fisiche e morali. Non stazioni climatiche per la poverella, non sanatorî di lusso, non cibi delicati e cure tenere e assidue. In casa le privazioni, e fuori di casa un letto d'ospedale ; eppure essa è paziente e grata a chi la soccorre, e confida in Dio. E quest'altra, cui la morte e l' emigrazione fecero la dimora deserta e costrinsero a ramingare per le case degli altri, offrendo i propri servigi, spesso non equamente ricompensati e che si mantenne onesta, volonterosa, mansueta, e seppe rassegnarsi al suo triste destino. E quell'altra, che lavora eroicamente per provvedere ai suoi bimbi o ai suoi vecchi, da mattina a sera, in una fabbrica, in un laboratorio, senza mai chiedere o sperare nulla per sè, contenta quando ha il necessario, diligente e amante del lavoro, sprezzante la fatica, incapace dell' ozio, e che solo chiede al Signore la salute per continuare così. Sono belli e proficui esempi per chi è insofferente delle proprie sventure e si ritiene l' essere più infelice del mondo, mentre guardandosi intorno si vede che il dolore e l' infelicità formano una scala infinita, di cui non si scorge l' ultimo gradino. Spesso l' entità d' un danno dipende dal modo col quale vi facciamo fronte o tentiamo di ripararlo. Quindi più che la somma dei mali, avvezziamoci ad enumerare i rimedi e i conforti che possiamo opporre. Maria Pezzé Pascolato, scrive : « Uomo o donna, nessuno di noi può, il più delle volte, scongiurare gli avvenimenti della vita o alterarne le vicende ; ma il punto di vista dal quale consideriamo questi avvenimenti, queste vicende, il modo in cui li sopportiamo, sono scelti da noi della vita non possiamo mutare il corso, ma è in nostra facoltà l'accettarla serenamente o no ; è in nostra facoltà il modo di prenderla, che può illuminarne ogni gioia, mitigarne ogni dolore. »

Pagina 686