Non esca dal camerino se non è compiutamente abbigliata. Non fanno bella figura le fanciulle che se ne stanno avvolte nell'accappatoio, con i capelli sciolti, a passeggiare per la spiaggia o sdraiate su la sabbia in molli atteggiamenti. Hanno l'aria di voler chiamare l'attenzione; attirano piu critiche che ammiratori. E negli ozi della spiaggia, non si dia aria di sentimentale passeggiando sola sotto le piante, o sedendo in disparte con un libro in mano o affettando atteggiamenti da persona seria o troppo spigliata. Sia naturale, e semplice. Non disdegni le attenzioni dei giovinotti, ma non mostri nè pure di esserne lusingata. Se qualcuno Ie offre dei fiori, li accetti con bel garbo, ma senza dare importanza al dono.
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Se tu farai in questo modo, benchè abbigliata un grado meno delle altre, benchè acconciata senza civetteria, benchè timida e forse pure di minor spirito e coltura delle tue compagne, ne diventerai non l'idolo (ciò è illusorio) ma il modello e l'anima; e su te ridonderà gran parte del bene che sarà fatto dietro il tuo esempio, e largo premio n'avrai dal Signore. Nelle adunanze sono compresi i balli, i teatri, i pranzi, le comparse, e se il Signore m'inspirerà quello che sarà pel tuo bene, ti dirò qualche cosa partitamente anche su di essi. Ma, tel ripeto, nè mi stancherò dal ripetertelo; se ti è dato vivere modestamente e lontana da questi ritrovi, oh! fuggili senza indugio, e senza dolore, nè ti lasciar tentare mai da un desiderio insano, da un insano timore, poichè la quiete di una vita intima non turbata da rumori profani, siine certa, procura gioje incomparabilmente maggiori a quei piaceri convulsi, febbrili, che ti potrebbero venire dalle riunioni mondane, dove il pudore, la carità, e sovrattutto l'umiltà, sono esposti ai maggiori pericoli. Se a te è lasciata la scelta fra i due sentieri, quello della casa e quello della società, non ti appigliare a questo ma a quello, te lo ripeto, te lo ripeterò senza posa; non già coll'intendimento di rendere monotona o grave la tua esistenza, ma per rendere il suo corso limpido, dolce e specchiato come l'onda del ruscello che, scesa da eccelsa montagna, scorre gorgogliando placidamente, e lambendo i fiori che costeggiano la riva verdeggiante, fino al flume, per gettarsi con esso nel mare, senza aver punto toccato la città: nella città avrebbe potuto conservare la sua purezza e la sua pace? Questo o quello, tu mi domandi di nuovo? Ama la ritiratezza, la casa; come il ruscello guardati dal mescolare le tue acque con quelle degl'immondi pantani, affinchè dopo un viaggio che ti auguro lunghissimo, tu le possa confondere con quelle del fiume reale, per gettarsi con esse nel mare... La morte sarà per te in allora una rapida e fortunata corrente che ti unirà alla sorgente d'ogni bene; sì, ti unirà a Dio, poichè per una lunga e faticosa carriera l'onda del tuo ruscello avrà saputo serbarsi incontaminata, pura, e sulle sue sponde non avrà fiorito il vizio, ma l'amor santo di Dio e del prossimo suo. Ama la ritiratezza, la casa, la preghiera, e ti sarà facile e spontanea la virtù, anche a costo dei più lunghi e penosi sacrificj.
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Voi dovete piacere, e non può dirsi come ripugni all'occhio e al senso estetico una donna goffamente abbigliata, sia pur bella e graziosa. L'acconciatura della testa l'assetto della gonna, dei veli, della mantiglia, l' ornamento di qualche semplice vezzo, la felice disposizione d' un nastro, d' un fiore, la giusta misura dell'arco tra il cappellino e la fronte non sono cose da improvvisarsi così su due piedi, ma richiedono molto garbo, un po' di pazienza e qualche fidato consiglio dello specchio. Però non eccedete i limiti onesti del convenevole. E invero non promettono di diventare savie madri di famiglia quelle giovani che nel cambiare di veste e d' acconciatura consumano tanta parte del giorno. E poi verrà pur troppo il tempo di una toeletta più minuta e più complicata; ma ora, con quella carnagione rosea e fresca, con quei bianchissimi denti, con quelle ricche e morbide trecce, che vi occorre di più per farvi belle e leggiadre? La natura vi profonde i suoi tesori: a che ricercare con soverchio studio gli aiuti dell'arte ?
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In casa, una signorina per bene veste sempre con correttezza, non esce di camera se non interamente abbigliata e pettinata, non fa uso di vestaglie, che sono permesse soltanto alle signore maritate. La sua camera è semplice e modesta, senza sfarzo e senza stonatura; non è ingombra d'oggetti d'ogni genere, ma delle sole cose necessarie, disposta con ordine e con metodo; la biancheria, le vesti, le scarpe stanno al loro posto e non sono sparse qua e là in disordine; le pareti, il soffitto, le tende, le tendine sono a tinte chiare, e danno a tutto l'ambiente un'aria incantevole di festività e di gentilezza. La madre deve educare la sua figliuola in modo da sviluppare in lei i sentimenti più delicati, più femminili, cercando soprattutto, se ha altri figli, di tenerla lontana dall'influenza dei maschi. In certe famiglie, nelle quali i maschi sono in maggior numero, la figlia o le figlie finiscono col prendere abitudini maschili: saltano, gridano, fischiano, vengono alle mani. Moderate questi eccessi e fate comprendere alle vostre bambine tutta la sconvenienza del loro modo di comportarsi. Una giovinetta fine e gentile è la consolazione della casa. Essa è sempre ilare e tranquilla, non ha scatti di malumore, non alza la voce, non si lamenta; se ha dei fratelli, li tratta con cortesia, con una premura quasi materna. Col padre e con la madre è affettuosa, attenta, e cerca di prevenire i loro desideri: tratta tutti con gentilezza, così le persone di casa come gli estranei. Giunta a una certa età, essa è l'aiuto della mamma in tutte le faccende domestiche; e se studia e va a scuola, non per questo deve credersi dispensata da tali suoi doveri di figliuola; ma sa trovare il tempo per compierli con serenità e con piacere. La futura maestra, la futura impiegata, dovrà anche essere, un giorno, una buona massaia; avrà probabilmente una famiglia da curare, un marito, dei figliuoli; e se non avrà fin da principio imparata l'arte difficile di governare la casa, sarà costretta a impararla in seguito, con maggior fatica e con resultati molto meno soddisfacenti; se pure non preferisca - e gli esempi purtroppo non mancano - di abbandonar la casa a sè stessa, con danno suo e della famiglia. Soprattutto, la madre cerchi di avvezzare la propria figliuola alla più severa economia: economia in tutto, nelle spese personali, nelle spese di famiglia. Il buon andamento d'una famiglia dipende, più spesso che non si creda, dall'abilità finanziaria della madre di famiglia. Se non si tengono con diligenza i conti giornalieri, se nelle compre non si cerca di risparmiare acquistando via via i generi più convenienti, se non si sa rinunziare ai capricci della moda, alle stoffe troppo costose, ai gioielli, ai ninnoli troppo cari, la famiglia si avvia inevitabilmente al fallimento. Ora, accade spesso che i genitori, per un malinteso affetto, si studiano di tenere i figliuoli all'oscuro di tutte le loro difficoltà, cercano di accontentarli nei loro desideri, anche se non conformi alla loro condizione, e non hanno altro scopo che di tenerli lontani da ogni preoccupazione; e i figliuoli crescono su spensierati, egoisti, proclivi a spendere il loro denaro nelle cose più frivole. Quando poi devono essi stessi metter su famiglia, hanno, per così dire, un triste risveglio, e si trovano improvvisamente a contatto con le aspre difficoltà dell'esistenza, senza la preparazione necessaria. I genitori che non impongono ai loro figliuoli quei sacrifizi che richiede la loro condizione, commettono dunque un grande errore; e invece di spianar loro la via della vita, non fanno che preparargliela più grave e più difficile.
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Nel tempo che frequentava la scuola Marina appena lavata e pettinata infilava subito gli abiti per fuori, non mica quelli di parata; vesti semplici e pulite, signorili sì, ma senza sfoggio di sorta; la vanità di comparire in iscuola abbigliata di soverchio per far invidia alle compagne non l'aveva davvero. In mezzo ai banchi e ne' giuochi in tempo di ricreazione le vesti si sgualciscono, si chiazzano d'inchiostro, si strusciano, e in poco andare anche le più nuove divengono stazzonate e sbiadite, per nulla si sbrindellano. Onde non mette conto portare in iscuola abiti di costo e di lusso. Ma se non vi portava vestiti di vista, si sarebbe però fatto scrupolo di comparirvi male in arsene, trascurata, colla ruggine sul collo e sulle mani, colle unghie lunghe e nericce. A causa di questo sciupìo di abiti ne' banchi della scuola, alcune madri vi fanno andar le loro figliuole sciatte con vesti mal rappezzate, sudicie o tutte ragnate, scusandosi; tant'è tanto non vi si posson tener pulite, e han poca durata. Non così la pensava la signora Bianca; anzi a quante sentiva parlar in questa forma faceva notare che la scuola è luogo di rispetto, e che si è un mancar di riguardo alla maestra e di stima alle compagne l'andarvi vestite come che sia. E a volte aggiungeva: dov'è che si sciupano e si lacerano le vesti più che ne' balli? E a quale fanciulla verrebbe in capo di comparirvi male abbigliata? E tra la scuola e il ballo quale merita maggior rispetto? La pulitezza del corpo e del vestito è la manifestazione della beltà dell'anima; ora qual è il luogo nel mondo, in cui si possa far mostra di animo incolto e sgraziato? Ne' giorni di vacanza, e più tardi poi quando ebbe finita la vita della scuolara, Marina subito di levata indossava un vestito piuttosto ampio da strapazzo, perchè nell'adoperarsi in lavori di casa s'ha mestieri di libertà di movimenti, senza troppa tema di chiazzare gli abiti. Ma nè anche qui le permetteva la madre che usasse vesti lacere, a brandelli, mal adatte alla persona, in guisa che qui e qua ci si scorga la pelle viva, né che fossero unte e bisunte; perché la decenza e la nettezza non devono mai in nessun tempo e in nessun luogo essere trascurate. Né giova il dire: tant’e tanto nessun ci vede; e poi in casa sì che s’ha a badare. No e poi no; chissà che non si sia sorpresi proprio allora che men s’aspetta? Eppoi, chi può patire il sudiciume pur un solo istante, verrà tempo che vi s'acconcierà di leggieri e vi farà il callo. L'indecenza e la sudicieria si devono sfuggire sempre come il peccato. Marina però era delicatissima in ogni sua azione, e la madre non dovette troppo sgolarsi in prediche per la pulitezza e pel decoro. Quando si doveva uscir di casa sia per compere, sia per prender un po' d' aria libera, allora Marina si metteva in abbigliatura per fuori. Suo pensiero era che le vesti fossero ben nette e dicevoli; non poteva soffrire quelle ragazze, che senza cura del mondo escono con tanto di panzana in fondo dalla veste, con pillacchere o frittelle qua e là per le gonne, con untumi sugli orli, agli occhielli, coi golini e manichini fracidi di sudore! Essa aveva piuttosto buon gusto nello scegliere stoffe di colori convenienti alla sua persona, né troppo vistose, né troppo smorte. Di fattura badava che fossero ben attillate alla vita, né troppo grandi a far sacco, né troppo tirate a far dolere il corpo; senza tener dietro a tutti i capricci della moda, la seguiva in quello che non fosse esagerazione e dèsse buon garbo. La signora Bianca aveva l’occhio a che fossero tagliate alla decenza, e che non impedissero lo sviluppo del corpo e i liberi movimenti delle membra: perché la floridezza della salute le garbava meglio che tutte le grazie affettate della moda. Così non voleva che il busto fosse un cerchio di ferro intorno al petto; che la veste non le strizzasse la taglia come un morso; che gli stivaletti calzassero bene il piede sì, ma senza costringerlo in uno strettoio da far vedere le stelle di mezzogiorno ad ogni ciottolo in che s’inciampa. V’ha di signore che cangiano abbigliamento tre, quattro volte per dì, in guisa che si può dire che passan la maggior parte della giornata nell’abbigliatoio! il più buffo poi è di quelle che ciò fanno senza punto uscir di casa. Marina vedeva praticarsi questo in casa d’una sua zia in una piccola cittaduzza del Monferrato, dove andava a passar qualche settimana. Quattro abbiglia ture erano d’obbligo tutti i giorni, ed era raro che si mettesse il piede fuori della porta; rarissimo che si ricevessero visite. Onde Marina, che era nemica de’lavori vani e inutili, non sapeva che dirsi; ma quando intese che questo era uso de’signori e che fare il contrario sarebbe un mostrarsi poverette senza abiti da cambiarsi, non rifiatò più; però rise sempre d'una moda vana, senza scopo. Che in casa si tengano abiti di poco costo e che si cangino all'uscire, o per ricevere qualche visita, è fatto di chi ama la nettezza e il decoro; perchè in casa dovendosi dar mano a checchessia, ora in cucina, ora a spolverare, le vesti si strusciano e s'intridono; e quindi mostrerebbe poco sussiego quella ragazza che osasse mostrarsi in pubblico con abiti sgualciti e inzaccherati come che sia. A volte veniva a stare delle settimana con Marina una sua parente di fuori per nome. Eugenia. Che fanciulla malavvezza! Niente le andava a' versi, metteva in moto mezzo mondo per farsi servire. Bisognava perdervi dietro tutta la mattinata e ammannirle acqua tiepida per lavarsi, se di verno, e confondersi delle ore nel pettinarla, e aiutarla a provar questo, a torsi quello. Di abbigliarsi per 1' uscita non rifiniva mai; de' begli inchini ne faceva innanzi allo specchio prima di partire! Marina non poteva comprendere come potesse star in piedi alla passeggiata. Aveva vesti così serrate all'imbustito che penava a tirar il fiato, stecche di qua, lamine d'acciaio di 1à, tutta la vita era chiusa come in uno steccato: stivaletti poi che le ammaccavano i piedi, stretti e corti, con tacchi a pera altissimi, onde tutto il peso del corpo andava a cadere sul collo del piede e sulla punta, con che dolori Dio lo sa! Era certo un martirio per quella ragazza, andava tutta a saltetti, a balzi, incomposta e contorta. Ma essa credeva che questo fosse buona grazia; compariva di persona più alta, con un bel vitino, è il suo amor proprio era soddisfatto. Intanto, poveretta! aveva sempre dolori all’imboccatura dello stomaco, nausee, svenimenti per le cattive digestioni; il colore del volto era come di gesso, gli occhi lividi; ma se ne compiaceva; perché ciò le conferiva, diceva essa, un’aria sentimentale! Non mancava di sgridarnela la signora Bianca, ma tanto era come predicar al vento. Eugenia più dell’essere amava il parere.
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Ma viene la stagione dei bagni, ed eccola con l'inevitabile mamma, sempre abbigliata decorosamente per fare da degno sfondo alla figliuola, sulle terrazze degli stabilimenti più eleganti a stiracchiare un lavoruccio fra le mani, a lanciare occhiate che sembrano lenze ma a cui nessun pesce-uomo abbocca. Misera! ha un bel tuffarsi nelle onde in elegantissimo costume da bagno, mandando piccole grida di paura per attirare l'attenzione; ha un bel seguire a nuoto tutti i sandolini e magari fingere un naufragio quando è all'ultima cartuccia ; tutt'al più le butteranno un salvagente o... la lasceranno affogare in pace. Una ragazza di più o di meno, il mondo gira lo stesso. Addio bagni! — C'è la montagna, e su con l' alpenstock a raccogliere l' ultimo edelweis sull'ultima cima e sostare a tutte le capanne di rifugio e legarsi alle corde di tutte le spedizioni; ahimè, nemmeno a duemila metri c'è verso di afferrare un marito ! Si scende allora sulle collinette, si combinano gite, ottobrate, si recita nelle ville, si ostentano le proprie forme nei tableaux vivants.... Passa invano anche l'autunno... e bisogna ritornare in città, riprendere il proprio posto di signorina in casa e in società. Ma la pazienza e la fede d' una cacciatrice di marito sono inesauribili, ed ella si prepara a ricominciare il suo inseguimento nel prossimo carnevale. Ogni criterio di scelta, ogni gusto di preferenza sono spariti dalla sua mente. Vecchio o giovine, simpatico o brutto, sano o deforme, ricco o povero, ufficiale o borghese, nobile o commerciante, purchè sia un uomo da sposare ella lo accetterà, non solo, ma troverà anche il modo di fargli credere che incarna il suo ideale. Infatti, egli non è l'amore, ma il marito.
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Passeggiavano da quasi cinque minuti in silenzio, quando una signora, abbigliata con gusto squisito, appoggiandosi con il molle e voluttuoso abbandono che posseggono solo le innamorate o le spose nella luna di miele, al braccio di un uomo, anch'esso molto elegante, passò loro dinanzi e lo strascico della sua lunghissima veste sfiorò i calzoni del giovane alto e bruno che stava a diritta, il quale non sembrò accorgersene. - La bella donna! - esclamò il suo compagno, un giovane biondo, come per rompere quel silenzio, che durava da un pezzo. L'altro, istintivamente, alzò il capo e guardò la signora, che, o naturalmente, o per l'istinto della donna, avea volto a metà il viso verso di loro, parlando con l'uomo che l'accompagnava. Il bruno sembrò esaminarla di un lungo sguardo dalla piuma del suo cappellino, che scherzava coi ricci dei suoi magnifici capelli cadenti sin quasi sulle sopracciglia, alla punta del suo piccolo piede, chiuso in stivaletti di seta nera, che allora, forse per la più squisita civetteria, l'ampia guarnizione della veste lasciava scoperto sino al basso di una gamba sottile e ben modellata. - Sì, molto bella! - diss'egli, come rispondendo a sè stesso. E malgrado che tentasse immergersi di nuovo nei pensieri che lo tenevano sì preoccupato un momento innanzi, due o tre volte alzò gli occhi a fissare la veste, che ancora strisciava lontana sulla sabbia del viale. Alla porta ella montò nella carrozza che l'aspettava, e partì. - Ella non dev'essere siciliana; - ripigliò il bruno, che si chiamava Pietro. - Chi te lo dice? - Tutto: il suo genere d'eleganza, la sua andatura... il modo stesso con cui accolse la tua esclamazione. - L'ha udito dunque! - mormorò il biondo, arrossendo come un collegiale. - Raimondo, amico mio, sarai sempre un ragazzetto su questo argomento. Credi dunque che quando una bella donna ti passa dinanzi badi ad ascoltare le sciocchezze che le sussurra un imbecille qualunque sotto il naso? - Ma quest'imbecille può anche essere un amante... e allora... - E allora ragion dippiù per ascoltare ciò che si dice di lei, quale impressione desta passando, per poi fare un presente all'innamorato delle tue osservazioni (se sono favorevoli però, bada!) sotto il pretesto di riderne; presente che deve rendere innamorato quel povero allocco per dieci gradi dippiù. Raimondo rise dell'osservazione; e ambedue proseguirono a passeggiare in silenzio. All'ingresso del giardino si separarono, colla tacita promessa, data nella più tacita stretta di mano, di rivedersi l'indomani. Noi cercheremo di delineare questi due personaggi, dei quali uno è destinato ad avere la maggior parte negli avvenimenti che verranno in seguito. Pietro Brusio, l'uno dei due (ricorriamo al pseudonimo per questo come per quasi tutti i nostri personaggi, viventi ancora la maggior parte e molto conosciuti) è, come abbiamo accennato, un giovanotto alto; di circa 25 anni; alquanto magro, ciò che non impedisce che abbia delle belle forme, le quali sarebbero più eleganti, se avesse il segreto, come l'hanno molti, di saperle fare spiccare; ha i capelli assai radi, di un castagno molto più chiaro di quello dei suoi pizzi e dei baffi; pelle bruna; occhi piccoli e vivissimi; labbra alquanto grosse e sensuali; narici larghe e dilatantisi sempre più alla minima aspirazione del suo carattere impetuoso; piedi e mani piccolissime in rapporto alla sua statura. Nell'assieme figura energica e maschia, che può avere anche i suoi riflessi di bellezza, messa sul suo piedistallo, nella sua giusta luce, al suo posto insomma. È un giovane quale se ne incontrano molti in Sicilia: sangue arabo in vene andaluse: orgoglioso come un Cyd egli non dissimula menomamente le sue pretensioni di superiorità, che nulla sembra autorizzare nel suo esteriore. Vivo ed impetuoso come tutti i meridionali, egli scenderebbe sino alla lotta di piazza pel minimo sguardo un pò dubbio che s'incrociasse col suo. Natura generosa del resto, elevata, con molte aspirazioni al superiore, troppo nobile forse per trovarsi in contatto colla società del giorno senza risentirne gli urti, egli passa colla maggior facilità dall'estrema confidenza nella sua stella, nel suo avvenire (poichè egli avea dato due o tre drammi al teatro di Siracusa, dei quali si era parlato il giorno dopo soltanto, o non si era parlato affatto) allo scoraggiamento massimo, alla disillusione più completa di tutti quei sogni rosati, che pur riempiono un gran vuoto, rispondono ad un gran bisogno in quell'età in cui il cuore e l'immaginazione vivono anch'essi la loro vita. Il compagno che gli passeggiava allato è molto più piccolo; biondo, piuttosto grasso; uno di quei caratteri che non servono sovente ad altro che a far spiccare una individualità superiore a cui si accompagnano, di cui sentono e subiscono l'influenza come un satellite. Raimondo, il biondo, ha però il merito di essere come il compimento del carattere infiammabile, sovente del soverchio, del suo amico. Egli non ha la superiorità d'ingegno di lui, ma molta maturità di giudizio, ciò che lo fa ragionare calmo ed assennato, ed impedisce a Pietro di commettere mille pazzie, poichè Raimondo ha la voce dolce ed insinuante ed il carattere conciliativo; sembra infine che l'ardente carattere dell'amico suo subisca a sua volta l'influenza della pacata indole di lui. Entrambi appartengono a due buone famiglie di Siracusa. Raimondo è già laureato in medicina da quasi un anno, e Pietro studia legge per studiare qualche cosa che non gli rendesse soltanto strette di mano dei comici, che per altro si misuravano dal numero dei rinfreschi offerti e mai rifiutati, e qualche applauso, assai freddo, della platea, che avea il valore di un biglietto gratis. Abbiamo insistito, forse di soverchio, su questi dettagli fisici e morali, d'uso per alcuni, per noi resi indispensabili dalla necessità, che abbiamo peculiare, di far sentire, diremmo, i caratteri che presentiamo prima di agitarli nelle scene di un racconto intimo. Scopriamo sin dal principio il meccanismo, per non attirarci la taccia, poscia, di aver fatto agire delle marionette, da chi non ne vedesse il filo motore ch'è il cuore. Cinque giorni dopo, all'ora solita, noi incontriamo i due amici, che passeggiano, colla stessa sbadataggine, sotto gli alberi de Rinazzo; l'uno, il biondo, chiacchierando quasi sempre solo; il suo compagno col capo basso e le mani dietro le reni. - Mio caro, - diceva il biondo, guardando l'amico negli occhi in aria di malizia, - risponderai almeno questa volta a quella piccina? - Io? - rispose bruscamente Pietro, come destandosi di soprassalto, - e perchè fare? - Bella risposta! che pure non avrebbe avuto l'opportunità, di venir fuori oggi, se tu l'avessi data a te stesso il giorno, o piuttosto la sera, che ti venne in mente di accalappiare colle tue commedie quella poveretta. - Credo che tu abbi ragione in quanto alla risposta; e che tu dica una bestialità, ciò che fai spessissimo, in quanto a quello che mi vai cantando di accalappiamenti e di poverette... - Pietro... - Lasciami tranquillo, ti dico!... Ci credi sul serio dunque che a quest'ora Maddalena, la piccina, come la chiami, pianga e si disperi perchè non le scrivo più, perchè la sera, onde aspettarla sotto il verone, non rischio più di farmi gettare delle immondezze sul capo da qualche serva maligna, che finga di non vedermi, e perchè non do più lo spettacolo ai vicini, che si mettono ad origliare dietro le imposte, di quelle freddure che si ricantano sempre sullo stesso tuono: buona sera; come stai? mi ami sempre? non quanto me... ecc. ecc. poichè le varianti sono pochissime!! ln fede mia che ne ho abbastanza di tali amori da quindici anni!!.. se mi avesse permesso di salire un momento sulle scale... pazienza!... - Sì, Pazienza per altri otto giorni! la sarebbe finita come tutte le altre... Eppure ti assicuro che se tu l'avessi veduta piangere come io l'ho veduta; se ella ti avesse abbracciato i ginocchi come li ha abbracciati a me, per indurti ad andarla a vedere, a scriverle almeno... se tu avessi udito le parole ch'ella mi diceva!... - Parola d'onore! - esclamò sghignazzando Pietro, - che tu ne sei innamorato cotto. Va, Raimondo, amico mio, tu farai il tuo cammino, coi tuoi ventidue anni, i tuoi capelli biondi, e il tuo volto fresco e roseo. Il biondo prese quegli scherzi come li prendeva sempre, dalla parte che lasciano ad un uomo di spirito, ch'è quella di riderne pel primo, e riprese: - Se così fosse, confessa che mi saresti molto obbligato di averti sbarazzato di una noia, senza i ritornelli soliti di traditore, Iddio è giusto, ecc. Pietro ne rise esso pure, e strinse con effusione la mano del suo amico. - Sentimi, caro Raimondo; - diss'egli alquanto gravemente; - io non son di quelli che dicono: fo così perchè così fanno gli altri. Mi sento troppo superiore a questi altri per seguirne l'esempio. A diciott'anni è permesso credere ancora all'amore, alla fedeltà, alla donna tipo, eroina, come impastocchiano gli sfaccendati nei romanzi... A ventiquattro (è desolante quello che dico, ma non è men vero) si è scettico come lo scetticismo, quando cento volte si sono ascoltate le più appassionate proteste, fatte colle lagrime agli occhi, dalla donna che ha in saccoccia la lettera del rivale. - É curiosa! - interruppe Raimondo. - Che cosa? - Come ti hanno guastato i romanzi di Sue; tu, accannito avversario dell'esagerazione della scuola francese, e che ora mi copii sì bravamente l'Uomo stufo a ventun'anni, lo Scipione del Martino il Trovatello... - Non copio io! - disse Pietro quasi con asprezza; - ti dico soltanto quello che penso. Ti dico anche che darei qualche cosa del mio avvenire per possedere ancora le illusioni sì care de' miei diciassette anni... Tu conosci la mia vita, Raimondo!... Ti ricordi di una giovanetta che amai alla follia... Che fece quella giovanetta per la quale avevo pianto... ne ho vergogna anche a pensarci... pianto dinanzi a te... come un fanciullo... come un vile?! ... Ella m'ingannò per un mercante; poi; poi per un nobile, per un uomo ammogliato... E questa donna, che avea dato appuntamento per la sera al suo amico, che ascoltava tremando le ore che segnava l'orologio del salotto, poichè temeva ch'io m'incontrassi con lui, abbracciava i miei ginocchi, come ieri Maddalena abbracciava i tuoi; mi supplicava colle lagrime più ardenti, colle carezze più tenere, cogli accenti più deliranti di non lasciarla sì tosto, di non lasciarla in collera, poichè s'era accorta ch'io avevo sospetto di quello che dovevo vedere mezz'ora più tardi... Dopo amai una maritata; credei che una signora che rischia di romperla colla società, e colla sua felicità istessa, dovesse molto sentire quest'affetto, al quale sacrifica il suo decoro, la pace domestica, e, presso di noi, fors'anche la vita... Quindici giorni dopo, a caso, in una festa da ballo, seppi, da uno di quegli amici che s'incontrano dappertutto, che da tre giorni egli era in relazione con quella signora... e le espressioni appassionate di lei, che egli mi citò, erano le stesse di quelle che aveva impiegato per farmi credere al suo amore... In seguito amai una fanciulla... pura siccome un angiolo: come direbbe il il signor Darmont nella Traviata; ella aveva tutto ciò che può far credere alla purità del cuore: distinzione d'educazione, coltura d'ingegno, bontà di sentimenti... Io l'amai come un pazzo, quella fanciulla dal viso pallido e dagli occhi cerulei... Scesi persino alle puerilità del collegiale... passare sotto i suoi veroni, seguitarla al passeggio e in chiesa... Quella giovanetta rispose finalmente alle mie lettere, mi promise amore e fedeltà, nell'istesso tenore, suppongo, in cui l'aveva promesso sei mesi prima ad un giovane che sposò alcune settimane appresso... E dopo questo, dopo innumerevoli esempi, che ogni giorno cadono sott'occhio, credi che si possa più averi fede nell'amore propriamente detto, in quest'amore chiesto o giurato spesso col rituale alla mano, senza passare almeno per uno scolare di primo anno? - Ti rispondo colle tue parole: Credo che abbi ragione almeno per metà; ma confessa che per l'altra tu esageri un pochino, lasciandoti trasportare, al solito, dalla tua immaginazione. - Può essere anche questo; - rispose sorridendo il giovane; - del resto colla Maddalena l'ho rotta tranquillamente o diplomaticamente, come vuoi meglio. Infine vuoi una parabola per convincerti? - Fuori la parabola! - Ecco! - e Pietro trasse dal suo portasigari, che avea trasformato anche in portafogli e portamonete, un bigliettino in carta profumata ed involto in una sopracoperta piccolissima color rosa; colla stessa flemma ne prese un sigaro ed un fiammifero. Acceso il foglietto, cominciò accenderne tranquillamente il sigaro. Raimondo ebbe il tempo di leggere le ultime frasi assai tenere del bigliettino, scritto con quel carattere minuto ed uguale che sembra particolare alle signorine distinte, firmato in basso colle sole iniziali. - Hai veduto? - gli domandò Pietro trionfante, buffandogli in faccia il fumo azzurrognolo del sigaro. - Ho guardato ma non ho visto, come il cieco della Bibbia. - È semplicissimo: vi è un detto celebre: Fumo di gloria non val fumo di pipa: ciò che in parentesi dimostrerebbe che le mie più belle produzioni-erba non valgono il fumo delizioso di questo regalia; io ne faccio un altro: Amor di donna, e d'uomo, se si vuole, non dura piú di cenere di carta, o biglietto amoroso... o sigaro regalia. Spero di farmi nome almeno coi proverbi... giacchè non l'ho potuto con opere di maggior lena... Ma guarda laggiù, imbecille!... - Che c'è? - Cospetto!... la signora che incontrammo l'altra volta alla Villa! - È vero. - Che donna... Perdio!... - Non è poi quella maraviglia che mi vai cantando... - Non ho parlato di maraviglie. Ti dico semplicemente che a Catania, e in tutta Sicilia anche, son poche le donne che sappiano recare così bene il suo pardessus reine-blanche, e che sappiano appoggiarsi con tanta grazia al braccio di quel briccone in guanti paglia e pince-nez che ha la fortuna di premere quel polsino contro le sue costole. Essi passarono quasi rasente a quella donna, che questa volta non li vide, o fece le viste di non vederli, e che sorrideva del suo riso incantevole al suo cavaliere, mentre gli parlava. - Hai udito che bella voce! - esclamò Pietro, premendo il braccio del suo compagno; - all'accento mi parve torinese... lo adoro tutto il Piemonte in questo momento... - Eppure veduta dappresso non è bella... - È adorabile, se non è bella! Essa non ha la bellezza regolare, compassata, che direi statuaria, e che non invidio ai modelli dei pittori; ma ha occhio che affascina, e sorriso che seduce carezzando, quando questo fascino ci può fare atterrire coi suoi brividi troppo potenti. Questa donna alta e sottile, di cui le forme voluttuosamente eleganti sembrano ondeggiare lente e indecise sotto la scelta toletta che le riproduce con tutta l'attrattiva vaporosa delle mezze tinte, ha tutte le perfezioni per poter coprire ed anche far ammirare come pregi altre imperfezioni; questa donna che ha bisogno di tutta la delicatezza e la bellezza di contorno del suo collo da inglese per non far troppo spiccare la piccolezza della sua testa da bambina; di tutta la flessibilità della sua vita per far dimenticare l'estrema sottigliezza del suo corpo; di tutta l'abbagliante bianchezza dei suoi denti per fare una bellezza della sua bocca alquanto grande, con cui ella sorride sì dolce cha sarebbe a desiderarsi di vederla sempre sorridere; che si serve di tutte le ombre, di tutti i riflessi più lucidi, più belli, più azzurrognoli dei suo magnifici capelli neri per nascondere che la sua fronte è alquanto larga ed alta del soverchio di tutta la limpidità dello sguardo dei suoi occhi, infine, per farne ammirare la pupilla di un riflesso molto chiaro; questa donna mi colpisce mille volte dippiù coll'effetto direi strano, sorprendente, poichè rubato a Dio, della sua beltà... Io non potrei giammai esprimerti l'effetto che mi fa questa bellezza, che non è tale che quasi per un miracolo, poichè non ha nulla per esserlo, ed in cui tutto sembra formare un assieme di grazia e di incanto; questa bellezza che ha bisogno di tutte le risorse della toletta, di tutte le seduzioni dei modi e dell'accento, di tutto l'incanto dello sguardo e del sorriso, per circondarsi di questo vapore trasparente... illusorio, lo confesso, che la fa bella però, che la fa adorabile, poichè sembra non farla vedere che in nube, attraverso l'incenso e l'orpello; questa bellezza che vuol essere tale a dispetto della natura che l'avea fatta comune; questa figura plastica che non ha di bello che gli elementi, direi, per divenir tale, e lo spirito creatore che fa nascere tutte le grazie di cui si circonda; che si mette allo specchio donna per sortirne silfide... maga... sirena... - To... to... to!... Pietro, amico mio, ne saresti innamorato?... - lo! - rispose il giovane scrollando le spalle, come cadendo dalla sua esaltazione, - sei pazzo! - Eppure tutti i pregi di costei non valgono un solo di Maddalena. Venti ancor più belle di lei non farebbero un angioletto così bello e perfetto qual è la piccina, come mi piace chiamarla; che pure hai abbandonato senza un pensiero. Pietro fissò uno sguardo sull'amico, poi un altro sulla signora ch'era già molto lontana, e rispose semplicemente, abbassando il capo: - Maddalena non sa neanche annodarsi il nastro del cappellino come colei. - È graziosa! - esclamò Raimondo. - Dunque ameresti dippiù una donna che avesse bisogno, per essere amata, d'impiegare prima due ore allo specchio? - Sì, lo confesso... Chiamala anche civetteria, o ciò che vuoi; nella donna che dovrei amare io vorrei tutte queste cure minute, tutte queste precauzioni delicate, tutte le perfezioni dello spirito e le squisitezze dell'educazione, tutti questi dettagli dell'assieme, insomma, che servirebbero a formarmi l'aureola della donna che dovrei avvicinare colla riverenza e il delirio dei sensi, che tal prestigio dovrebbe recarmi, poichè a riverenza del cuore io non l'ho più. Io amo nella donna i velluti, i veli, i diamanti, il profumo, la mezza luce, il lusso... tutto ciò che brilla ed affascina, tutto ciò che seduce e addormenta.. tutto ciò che può farmi credere, per mezzo dei sensi, che questo fiore delicato, del cui odore m'inebbrio, che mi trastullo fra le mani, non nasconde un verme; che quest'essere non è come il mio, debole e creta... E allora io l'amerei... un giorno, un'ora, ma l'amerei... Quanto alle altre donne, le amerò allorchè scoprirò un cuore nella donna. Pietro, dopo questa scappata, rimase muto alcuni altri secondi, aspirando voluttuosamente, colle narici dilatate, il fumo del sigaro, come se attraverso quella nube cenerognola volesse discernere le forme indecise del tipo che avea ornato di tale incanto nella sua imaginazione. Poscia, come arrossendo del suo trasporto, si mise a ridere fragorosamente, esclamando: - Che ne dici della mia tirata, Pilade? - Non è cosa nuova in te. Dimentichi troppo spesso che sei scritto sul ruolo degli studenti di terzo anno in legge, per trasportarti ai tempi in cui impiastricciavi carta. - Hai ragione; bisogna dimenticare quei tempi... - disse il giovane con una forzata allegria, che pure avea una leggiera tinta d'amarezza. - Destino! ecco la gran parola che gli uomini non sanno proferire più spesso, ma nella quale io son credente come un maomettano... Io, povero sciocco, che m'ero fitto in capo di salire le scale del Campidoglio, e raccogliervi una corona qualunque... eccomi destinato probabilmente a logorare quelle dei tribunali, e di corone non si parla più... fossero anche di cavoli. Se gli uomini sapessero far valere questa parola quanto essa lo merita, l'incolpabilità delle azioni umane rimarebbe sugli scritti dei penalisti: ecco che, almeno una volta, parlo da saggio... - Ed anche il merito delle azioni umane, in tal caso... E tu sei superstizioso in quest'idea? - Al fanatismo! - Ma se tu fossi destinato ad amare quella donna, che non hai veduto che due volte, in passando?... Pietro cominciò dallo scrollare le spalle, al solito; indi rimase alcuni minuti in silenzio, e disse tristamente, come se quell'idea gli facesse pena o paura: - Chi lo sa!?...
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Un palafreniere, che serviva anche da portinaio, venne ad aprire alla signora abbigliata con distinzione, che era discesa dal calesse, e le additò una scala a sinistra, della quale gli scalini di marmo erano fiancheggiati di vasi di fiori. In fondo alla corte, legati alle sbarre di un cancello che chiudeva un giardino di piacevolissimo aspetto, scalpitavano tre bellissimi cavalli inglesi. Nell'anticamera, ad un domestico che incontrò, la donna domandò se il signor Pietro Brusio era in casa. - Sì, signora; ma non è visibile, poichè è nel suo gabinetto di lavoro. - Ditegli che c'è una signora che desidera parlargli. - Domando scusa, signora; ma la prego di avere la bontà di ripassare verso le sei, o di lasciare il suo biglietto; poichè quando è nel suo gabinetto il signore non vuol essere disturbato assolutamente. - Fategli tenere questo biglietto in tal caso; - insistè la signora con una lieve tinta d'impazienza, prendendo da un elegante porta-biglietti una carta di visita e piegandola: - ditegli che aspetto. Non vi sgriderà certamente per questo. Il tuono di sicurezza e di superiorità con cui parlava la bella signora, vinsero le esitazioni del cameriere, che si decise a fare quanto ella diceva. - Si dia l'incomodo di seguirmi in sala, - diss'egli sollevando la portiera di un uscio; - il signore ci sarà a momenti. Per giungere al salotto si attraversava una piccola serra a cristalli, che occupava uno dei lati di una terrazza assai vasta, della quale s'era fatto un giardino pensile, sporgente su quella spiaggia incantata della Marinella che ha il bel golfo di Napoli per orizzonte, e in fondo Capri e Sorrento. Quella specie di stufa, dove vegetavano le più belle piante esotiche, circoscriveva come in una atmosfera separata dalla città clamorosa, il salotto ed il gabinetto da studio che vi era contiguo. I rumori esterni sembravano estinguersi sulla sabbia finissima del viale, come il più lieve alitare di vento moriva sulle grandi foglie di quelle piante immobili nelle loro masse svariate. Il salotto era addobbato con lusso; ma quel pensiero tutto originale che avea disposto lo stanzone dei fiori prima di giungervi, e il giardino sulla terrazza, sembrava aver presieduto nei minimi dettagli alla situazione di tutti gli oggetti che lo decoravano. Le porte vetrate, che si aprivano sulla terrazza, erano nascoste, alla lettera, da persiane di pianticelle rampicanti; ciò che unito alle pitture dei vetri, e alle doppie tende di raso e di velo faceva penetrare soltanto nella sala quella mezzaluce, che, col lasciare indistinte le forme degli oggetti, vi crea mille nuove immagini, e ne popola la semi-oscurità di quei mille sogni incantati, di quelle sfumature voluttuose che tanto piacciono alle signore galanti; il passo si arrestava sui tappeti vellutati, come se temesse di destare un eco che potesse strappare dalla deliziosa preoccupazione che faceva nascere quell'atmosfera. Il cameriere scomparve senza far rumore per uno degli usci dirimpetto, nascosto dalla stessa tenda di raso celeste. La signora si sprofondò in una delle poltroncine che erano vicine ad un elegante tavolino da albums, piccolocapolavoro nel suo genere; subendo anch'essa, senza accorgersene, il fascino che esercitava sui sensi quel luogoo ricco di dorature, di sete, di specchi e di profumi: fascino al quale forse ella era disposta. Poco dopo la tenda si aperse, e comparve un uomo, vestito del rigoroso abito nero, come se volesse dare a divedere di apprezzare tutto il valore della visita che riceveva; ancora pallido, ma di quel pallore che ci fa brillare gli occhi, quando la gioia troppo potente della felicità sembra chiamare al cuore tutto il sangue. Una benda di seta gli teneva al collo il braccio sinistro. Un momento però egli sembrò ondeggiare indeciso, mentre fissava i suoi occhi scintillanti su quel corpo da fata (che accennava appena le sue seduzioni sotto le linee quasi vaporose delle vesti, voluttuosamente disteso sulla poltroncina) e su quegli occhi che lo fissavano del loro sguardo piú bello, mentre il sorriso più dolce errava sui labbri di lei. Come se avesse temuto di rompere l'incanto di quel sogno troppo bello per lui, esclamò, quasi impaziente, verso un testimonio che gli stava vicino, ma che però non si vedeva: - Non ci sono per nessuno. Quando vi voglio suonerò. Andate. Non si udì sul tappeto, molto spesso, il passo del cameriere che si allontanava. Pietro si avanzò lentamente verso la dama, come se avesse voluto assaporarne con una voluttuosa economia d'analisi, tutte le emanazioni inebbrianti. Ella, nella sua positura da sirena, lo fissava sempre senza parlare. Il giovane non pensava neanche a proferire la più semplice formola di civiltà. Una parola sola le irruppe spontanea: - Lei!... lei, signora!... da me! - Che c'è di strano? - rispose ella con un indefinibile sorriso. - Non ha ella rischiata la vita per me, perchè io venga a rischiare quelli che il mondo chiama riguardi per lei?... Gli stese la destra, dopo essersi tolto il guanto; egli esitò a prendere quella mano, che forse, per fargli provare in tutta l'intensità il brivido del suo contatto, gli si metteva nuda fra le sue. - Ho ricevuto il suo biglietto dal signor Briollii. Se lei ha molto a farsi perdonare, io ho molto a ringraziarla... Ho verso di lei uno di quei doveri di gratitudine dinanzi a cui le convenienze sociali scompaiono; e son venuta a ringraziarla, signore, della sua azione sì nobile, sì generosa sino al sacrificio!... Invece di rispondere, Pietro seguitava ad ammirare, come si fa di un oggetto prezioso, quella manina bianca ed affilata che si teneva fra le sue senza osare di stringerla, come se temesse di farne appassire la delicata bellezza. - E questa ferita!... Dio mio!... continuò la contessa commossa vivamente. - Nulla... una scalfittura. Narcisa si avvide forse allora della tacita ammirazione con cui il giovane si teneva quella mano sulle palme, e, arrossendo impercettibilmente, fece un movimento per ritirarla. - Oh! la lasci!... - mormorò egli come un fanciullo che parli in un sogno delizioso. - È così bella!... La contessa, ancor più rossa di prima, ma sorridendo cogli occhi e le labbra del suo sorriso inebbriante, con un movimento rapidissimo e quasi istintivo di grazia squisita, o di sopraffina civetteria, gli porse l'altra, lasciandole in quelle di lui e guardandolo fisso negli occhi. Pietro volle baciare quelle mani da fata; ma gli parve un peccato, come gli era sembrato lo stringerle, di sfiorare coi suoi labbri quella pelle rasata. Dopo un momento di silenzio la contessa riprese: - Uno dei testimoni di mio marito, il signor Briolli mi ha fatto conoscere tutta la generosità della sua condotta... Se io avessi potuto sospettare che alla mia preghiera ella doveva rispondere con tal sacrificio, io avrei inorridito di avanzarla... come ora ho rimorso... - Non mi parli di ciò! - interruppe quasi brusco il giovane, come se avesse temuto di destarsi. - Noi abbiamo torti reciproci, - aggiunse Narcisa col suo sorriso ammaliatore; - siamo franchi in tal caso dall'una parte e dall'altra per poterceli perdonare scambievolmente... - Reciproci torti? - interruppe Pietro come trasognato. - I miei saranno più gravi; - rispose Narcisa, - ma ho la buona fede di confessarli e la risoluzione di espiarli... E voi? - Io non me ne trovo che uno!... ma sì grande... che io non oso rammentarlo senza arrossire in faccia a voi... - Confessatelo allora; forse vi verrà perdonato. - Contessa!... - È molto grave adunque perchè non abbiate il coraggio di questa confessione? - Le vostre parole me lo danno; io ho commesso l'indegnità d'insultarvi rimandandovi il mazzo e l'anello, e poco fa anche il biglietto... - Avete avuto torto nell'ultimo caso, non l'avevate nel primo... - Perchè? - Perchè nel primo caso quello che a voi pare colpa, mi provava piuttosto... - Narcisa!... - Che voi... - Che io vi amo come un pazzo!... come un uomo che non è più conscio di quello che fa, poichè voi gli avete tolto la mente e la ragione, Narcisa!... Così dicendo Pietro divorava coi baci quelle mani che si teneva fra le sue. - Ora che la vostra confessione è fatta, - diss'ella, non rispondendo direttamente, - veniamo alla mia. Pietro si accosciò sul tappeto ai piedi della contessa, tenendo sempre le sue mani. - Vi scrissi di aver conosciuto a Catania un giovanetto generoso sino al sacrifizio, nobile sino all'eroismo... Perdonatemi, non m'interrompete. Allora non sapevo chi fosse, non conoscevo che un giovane come se ne veggono tanti, inferiore fors'anche a quei giovani eleganti che mi facevano la corte. Anch'esso mi faceva la corte alla sua maniera, come la fanno i provinciali e gli adolescenti... Guardai qualche voltai costui che incontravo sempre sui miei passi in istrada, sulla porta del Teatro, uscendo e rientrando in casa... Qualche volta, quando paragonavo il suo stato a quello di coloro che mi amavano come lui ma che potevano dirmelo o almeno provarmelo, aspirare almeno ad un mio sorriso, ad una mia parola... mentre costui doveva sacrificarsi giorni e notti intiere per vedermi scendere da carrozza o per passarmi d'accanto al ritorno di un ballo ebbi un momento di curiosità, ed anche di riconoscenza sì lontana da sfumare nella compassione, per questo giovane che mi amava in tal modo, e mi amava senza speranza... Poi, non ci pensai più... - Poco tempo fa lo rividi in una festa: - riprese la contessa: - era l'uomo in voga; l'alta società avea per lui le più squisite cortesie, le donne più belle e più nobili gli sorridevano... Un vero trionfo! lo ammirai quella fronte larga e pallida, e mi sembrò di scorgervi qualche cosa di nobile che non vi avevo prima notato; mi parve di leggere un mondo intiero nei suoi occhi, sebbene alquanto malinconici. Lo sguardo ch'egli mi volse mi fece pensare al giovanetto sconosciuto... e provai una viva commozione a quel pensiero: C'era trionfo ed orgoglio soltanto in quel punto. Oh! io sono schietta, signore, per farmi credere quello che ho da dire in seguito. Quest'uomo avea fatto un miracolo pel mio amore - un miracolo di genio... lo l'ho veduto in quell'opera, come egli non ha veduto che me creandola, prendermi la mano, sorridendo del suo triste sorriso, e farmi passare in rassegna il suo cuore coi suoi palpiti, le sue speranze e le sue lagrime... e trasportarmi ai giorni delle vaghe aspirazioni e dei sogni ineffabili. Poi mi ha fatto piangere del suo pianto disperato a quelli spasimanti di passione... e si è arrestato anelante, spossato, colle braccia stese, nel punto in cui sentiva sfuggirsi questo fantasma a cui incatenava la sua esistenza... Oh, in quel momento, signore... s'io avessi veduto dinanzi a me quest'uomo, come l'ho veduto nel suo sogno, nel suo dramma... gli avrei stese le braccia ad incontrare le sue... - Narcisa!... - mormorò soffocato Brusio, sollevandosi sino ad inginocchiarsi. - Qualche volta, quando penso a quest'amore sì ardente e sì immenso che non avrei saputo immaginare, se non l'avessi ispirato, io che ho sorriso e folleggiato fra le ancor più folli proteste di mille galanti, io stordita da quest'incenso d'adulazioni e di corteggio che gli uomini più eleganti, più ricchi e nobili si affollano a bruciarmi ai piedi... io ho un movimento d'incerto terrore;... mi pare che debba essere terribile, divorante questa passione quando è giunta a tal grado;... mi pare ch'essa debba assorbire la vita in un bacio di fuoco.. ma in un bacio di tale ebbrezza da sembrare troppo piccolo compenso la vita, e troppo corti i giorni per avvelenarsene... - Narcisa!!... - ripetè Pietro colle lagrime agli occhi, prendendole le mani con violenza, mentre avea ascoltato sin allora cogli occhi spalancati e fissi, come pazzo di felicità, e coi gomiti appoggiati sulle ginocchia di lei. La fata si curvò mollemente verso di lui, e gli posò le braccia sullo spalle... poi lo sollevò lentamente, con quell'abbandono inimitabile e seducente che le era particolare; e guardandolo sempre col suo sorriso da sirena gli susurrò, quasi sulle labbra, colla sua voce più bella e più carezzevole: - Son venuta a vedere il tuo gabinetto da studio... Pietro... Quel soffio passò come un vento ghiacciato sul sudore che inondava la fronte di lui, che, impotente a più contenersi, la sollevò, prendendola fra le braccia, come un caro fanciullo, e la divorò dei baci, singhiozzando in un sublime delirio: - Tu sei il mio Dio! ed io non avrò mai forza per amarti come vorrei!!!... La portiera ricadde ondeggiante dietro di loro. Pochi giorni dopo, verso il tramonto, due giovani che s'avvincevano colle braccia allacciate, come le rampicanti che coprivano i fusti dei grandi alberi del giardino pensile, appoggiati alla ringhiera di pietra della terrazza, guardavano il sole che tramontava dietro quel mare azzurro che si stendeva immenso ai loro piedi ed ove si specchiavano Ischia e Procida. Narcisa teneva appoggiata la testa sulla spalla di Pietro, e di quando in quando si aggrappava al collo di lui colle sue candide braccia per passare i suoi labbri sulla fronte e gli occhi di lui con mille baci muti della sua bocca tremante che ne formavano un solo. - Che vita!... mio Dio! che vita!!... - mormorava ella soltanto qualche volta. - Eppure, mio dolce angioletto, quando io bacio questa tua fronte, e mi premo fra le labbra questi capelli, e ti chiudo gli occhi colle mie mani, e mi sento fremere fra le braccia questo tuo corpo da fata... io non credo, no... malgrado che io chiuda gli occhi, malgrado che io torturi disperatamente il mio cervello, per crederlo, che ciò che io provo di sì immenso, di sì convulso, di sì spasimante nella voluttà del piacere, nel delirio del godimento, mi viene da te;... che tutto ciò non è uno splendido sogno della mia fantasia, come ti sognai nel mio dramma... e ti sognai delirante, stringendomi la testa infuocata fra le mani, premendomi il cuore che sembrava scoppiarmi, seduto sul marciapiede di faccia ai tuoi veroni!... No... io non posso credere che quella donna che incontravo al passeggio, al braccio di un altr'uomo, fra l'ammirazione di quanti la vedevano, facendo palpitare il mio cuore col fruscio del suo strascico sulle vie;... che quella donna che vidi al Teatro; che mi passò da presso senza guardarmi; che seguii come un fanciullo, come un cane;... che non mi stancai a vedere dalla strada, per due mesi intieri, sotto la sua casa, ascoltando il minimo rumore che mi venisse da lei, che mi accennasse la sua presenza facendomi trasalire;... che quella donna che proferì quelle parole... quella notte... dal verone;... che mi torturò il cuore colle note strillanti del suo valtzer, quando mi parve che il mio cuore fosse rotto;... che quella donna ch'io non osavo avvicinare per non rompere il cerchio luminoso che la circondava d'aureola, per non rapirle un atomo di quella atmosfera profumata della quale si circondava, che faceva il suo prestigio;... che quella donna che adorai infine come un pazzo, spaventandomi di adorarla in tal modo, è mia!... mi ama!... mi è fra le braccia!!... che io posso chiamarla ogni giorno, ad ogni ora, ad ogni minuto;... che io ad ogni ora, ad ogni minuto posso udire quella voce che proferì: quell'uomo è pazzo: che mi dice che m'ama!... che io posso ad ogni ora, ad ogni minuto vivere la sua vita e suggergliela coi baci dalle labbra... Oh, no! Narcisa... per credere a ciò bisogna che noi ritorniamo a Catania, che noi abitiamo quella stessa casa, che io guardai con più venerazione della casa di Dio; che io respiri l'aria istessa di quelle camere; che mi metta a quel verone, con te, al posto che occupavi seduta sulla poltrona; e che io ti legga, seduto accanto alle tue ginocchia, come quell'uomo... Bisogna che mi metta con te, di notte, a quell'ora, a quel verone; e che tu ripeta quelle parole infami che io annegherei sulle tue labbra coi miei baci; bisogna che le tue mani ripetano su quel pianoforte le note di quel valtzer che m'inseguirono spietatamente quando fuggivo delirante come se fuggissi il cuore che sanguinava dirotto; bisogna che io mi segga su quel marciapiede, colla fronte fra le mani, come allora; e che io ascolti lo stormire di quegli alberi, il suono di quell'orologio, il murmure lontano di quel mare, il fruscio della tua veste;... e che io vegga il lume che rischiara la tua camera;... e che la tua voce sopratutto, la tua voce inebbriante, mi ripeta ad ogni ora, ad ogni minuto, che quello non è un sogno, che io non son pazzo;... e che i tuoi labbri, posandosi sulla mia fronte, mi scaccino questo turbine affannoso che mi sconvolge la mente, che mi fa dubitare della mia felicità... - Andiamo a Catania! - mormorò Narcisa, dandogli un lungo bacio e bagnandogli la fronte di due lagrime di voluttà.
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