(Aborto procuratosi dalla donna)
(Aborto di donna consenziente)
(Aborto di donna non consenziente)
Salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, non è punibile per il reato di aborto di donna consenziente chiunque abbia commesso il fatto prima dell'entrata in vigore della presente legge, se il giudice accerta che sussistevano le condizioni previste dagli articoli 4 e 6.
Da una popolazione complessiva di 997 milioni di abitanti, i casi di aborto indotto sono stati 6.126.000 durante l'anno 1996. Una discreta diminuzione (20%) è stata registrata annualmente tra il 1994 e il 1996. I cambiamenti non sono uguali per tutte le aree geografiche esaminate. La diminuzione più evidente è stata registrata nelle aree geografiche con una incidenza di aborti precedente più alta, specialmente quelle che avevano sperimentato il sistema politico sovietico o l'ideologia marxista. Lo studio riporta le comparazioni tra il fenomeno abortivo, la natalità, la mortalità infantile, le condizioni socio-economiche. Una correlazione inversa viene alla luce tra i tassi di abortività indotta e l' "indice di sviluppo umano", specialmente a confronto del livello culturale e del prodotto interno lordo pro capite. L' A. suppone che nelle regioni più sviluppate la diminuzione della abortività registrata sia associata anche al largo uso di metodi contraccettivi. Nelle regioni meno sviluppate dell'ex Unione Sovietica la diminuzione degli aborti indotti può essere correlata con l'attenuazione del potere dello Stato sul controllo coercitivo delle nascite. L' A. ipotizza che l'ampia diffusione degli aborti indotti, specialmente se ripetuti, è anche un importante fattore di depressione morale, sociale ed economica. Nel mondo che cambia l'aborto volontario è ancora una persistente forma di miseria. Anche la scuola, quale fondamentale agenzia educativa, è stata chiamata a fornire il suo contributo per favorire una cultura bioetica o una educazione alla bioetica, attraverso un Protocollo d'intesa siglato nell'ottobre 1999 tra il Ministro della Pubblica Istruzione e il Comitato Nazionale per la Bioetica riguardante l'inserimento stabile della bioetica nelle scuole italiane.
Se ne traggono conclusioni circa le strategie preventive del ricorso all'interruzione volontaria della gravidanza e circa il ruolo assegnato al pericolo per la salute psichica della donna dalla legislazione in materia di aborto. Tale pericolo risulta, invero, fondatamente riscontrabile, alla luce dei dati raccolti, proprio laddove un'interruzione volontaria della gravidanza venga effettuata. Ciò conduce ad esprimere il convincimento che gli interessi del concepito e della madre rispetto alla gravidanza "non siano in contrapposizione, ma in stretta, reciproca correlazione".
L'intento di questo studio, tuttavia, non è né un'indagine storica, né una valutazione delle effettive competenze di un Comitato Etico Regionale ad autorizzare una sperimentazione, né una comparazione tra aborto chirurgico e aborto medico, quanto piuttosto dare un'informazione documentata e attenta su aspetti spesso sottaciuti, ma importanti per conoscere a fondo questa moderna modalità d'interruzione volontaria di una vita umana in sviluppo dentro il grembo della madre. Vengono pertanto analizzati i dati disponibili in letteratura relativamente agli effetti collaterali, alle complicanze, ai rischi dell'aborto con uso di mifepristone/misoprostolo e alle ricadute psicologiche per la donna. Vengono, inoltre, prese in esame le problematiche giuridiche del ricorso all'aborto medico ed analizzata l'applicabilità dell'art. 9 della l. 194/1978 in materia di obiezione di coscienza.
Partendo dalla considerazione del fatto che in alcune parti del mondo, malattie come la rosolia sono ancora epidemiche, che l'infezione di queste malattie contratta da donne gravide causa gravi danni e può portare addirittura alla morte del feto, e che la vaccinazione su larga scala rappresenta un mezzo irrinunciabile nella lotta contro queste malattie infettive, l'articolo affronta la questione della liceità della produzione, della diffusione e dell'uso di vaccini la cui produzione è connessa con atti di aborto procurato. Alcuni vaccini di ampia diffusione contro malattie come la rosolia e la varicella, infatti, sono stati sviluppati utilizzando ceppi di virus ottenuti da feti umani volontariamente abortiti. L'A., in particolare, riflette sul problema etico sollevato sia da medici impegnati in campagne di vaccinazione sia da coloro che necessitano dei vaccini (soprattutto dai genitori che devono vaccinare i propri figli), che si chiedono se l'uso di tali vaccini non sia in contraddizione con il rifiuto etico di ogni forma di aborto volontario. Per rispondere a questo interrogativo, l'A. analizza il problema riflettendo sulle diverse modalità e i vari gradi della cooperazione al male, concludendo che esiste il dovere grave di usare i vaccini alternativi, laddove esistano, e di invocare l'obiezione di coscienza riguardo a quelli il cui uso presenta dei problemi morali. Per quanto riguarda i vaccini senza alternative, si dovrebbe ribadire sia il dovere di lottare perché ne vengano approntati altri che non sollevino problemi morali, sia la liceità del loro uso nella misura in cui ciò è necessario per evitare un pericolo grave per le condizioni sanitarie della popolazione. La liceità di tale uso, in ogni caso, va interpretata come una cooperazione materiale passiva, moralmente giustificate come extrema ratio dal dovere di provvedere al bene dei propri figli (nel caso dei genitori) e della popolazione in generale, e mai come una dichiarazione di liceità della loro produzione.
La Corte di Cassazione qualifica l'omissione della diagnostica prenatale come un errore professionale, visto che la scoperta tempestiva dell'anomalia avrebbe potuto prevenire l'esistenza della ragazza disabile: non perché esiste una terapia, ma perché i genitori avrebbero scelto un aborto procurato se avessero saputo che la ragazza era handicappata. Perciò l'ospedale e l'ostetrica, non avendo fatto un esame prenatale, avrebbero violato il diritto all'autodeterminazione dei genitori di scegliere un aborto procurato. Dal punto di vista etico è difficile parlare di un diritto allautodeterminazione, poiché nei fatti i genitori, nel caso di un aborto procurato, determinano non la propria vita, bensì quella del figlio non ancora nato, cioè di un altro essere umano. La Corte suprema stessa evita esplicitamente di esprimere un giudizio sul valore della vita della ragazza handicappata, ma in base alla legge e alla giurisprudenza attribuisce ai genitori il diritto di valutare il valore della sua vita dal punto di vista fisico e psico-sociale, a prescindere dal valore intrinseco della vita umana. A parte questo problema fondamentale, possiamo chiederci quali siano le eventuali conseguenze della sentenza: al di là dei quadri giuridici, è escluso che l'accettazione sociale, abbastanza ampia nei riguardi dell'aborto selettivo, sia portata ad esercitare una certa pressione sociale sui genitori di un figlio handicappato non ancora nato? Se lomissione della diagnostica prenatale può essere qualificata come un errore professionale nel caso in cui un figlio handicappato è nato, ospedali, medici e ostetriche non cercano di tutelarsi il più possibile contro eventuali richieste, effettuando per ogni minima cosa un esame prenatale e, forse, raccomandando un aborto procurato?
Genova 12 agosto 2005 in tema di danno esistenziale da mancato aborto.
Aborto, consultori e obiezione di coscienza
Nella sentenza in esame, resa in una controversia inerente al licenziamento per giustificato motivo oggettivo di una lavoratrice appena rientrata al lavoro dopo essere stata assente a causa di un aborto spontaneo intervenuto alla diciottesima settimana e della malattia provocata dall'aborto stesso, il Tribunale di Prato mette a fuoco l'ambito di applicazione del divieto di licenziamento posto dall'art. 54, D.Lgs. n. 151/2001 e si interroga sulla compatibilità della disciplina nazionale con le norme comunitarie in materia di tutela delle lavoratrici madri.
A tal proposito, sono prese in considerazione le ipotesi di obiezioni di coscienza disciplinate per legge (aborto e procreazione medicalmente assistita) e quelle che non trovano (almeno espressamente) una disciplina normativa (c.d. aborto farmacologico). In particolare, nel caso di aborto farmacologico si esclude la possibilità di ricorrere alla clausola dell'obiezione di coscienza per escludere la responsabilità del sanitario, in ragione dei beni giuridici coinvolti. Nella parte finale dell'elaborato sono prese in considerazione ulteriori categorie giuridiche funzionali ad escludere o ad attenuare la responsabilità penale del sanitario.
L'illecito consistente nella privazione del diritto di aborto per omessa ed errata diagnosi prenatale rileva in ambito contrattuale, danneggiando i genitori e i fratelli del nato con handicap, ed in ambito extracontrattuale nei confronti del neonato leso nel suo diritto di sviluppare appieno la propria personalità.
Di seguito concentrano l'attenzione sul significato e l'estensione del concetto di intervento medico-chirugico in generale e abortivo in particolare, osservando che nella misura in cui un'attività, sebbene non rientrante nel "nucleo" dell'intervento, è programmata dall'inizio come fase conclusiva (tanto che se non vi fosse la certezza di effettuarla, non potrebbe neanche iniziarsi l'intervento) tale attività è parte integrante dell'intervento stesso e dunque, trattandosi di aborto, coperta da obiezione di coscienza. Rilevante ai fini di questa valutazione è l'evidente nesso di causalità che tiene in un tutto unitario i vari momenti che si susseguono cronologicamente. La questione squisitamente giuridica della revoca immediata dell'obiezione viene risolta alla luce della differenza tra l'eventuale accettazione preventiva e l'esecuzione dell'ordine imprevisto. L'aspetto comunque più significativo è legato all'interrogativo che fa da cornice a tutto il contributo: perché tanta avversione contro l'obiezione di coscienza sanitaria con riferimento all'aborto? La risposta si trova nella negazione esplicita o implicita, ma anche nella semplice dimenticanza, che il figlio è figlio sin dal momento del concepimento. "Il diritto" di aborto - si legge nella sentenza della Cassazione - "è stato riconosciuto come ricompreso nella sfera di autodeterminazione della donna". Questo pensiero, sottolineano gli AA., è espressione di una deriva che, avviatasi con la sentenza costituzionale del 1975, avanzata con la legge 194/1978 e gravemente consolidatasi con la pretesa del "diritto" di aborto, nasce dal rifiuto di porre lo sguardo sul figlio concepito e, di conseguenza, avversa l'obiezione di coscienza. Per questo c'è ancor più bisogno di ripetere, concludono gli AA., che il fondamento e la tutela dell'obiezione di coscienza dipendono dal riconoscimento che il concepito è uno di noi. Interessanti anche gli spunti giuridici di livello internazionale.
Particolare rilievo viene riservato al tema del fine-vita, benché non si manchi di analizzare anche altri casi "difficili" (ad esempio, aborto e procreazione assistita). Nell'ultima parte del lavoro si elencano gli strumenti che la Costituzione predispone proprio per reagire alle ipotesi in cui parlamentari non rispettino la libertà di coscienza degli elettori.
Sulla problematica idea di un "diritto di aborto"
L'articolo nella sua prima parte evidenzia l'inesistenza nei testi fondamentali del diritto nazionale ed internazionale di un "diritto di aborto" in senso tecnico, a prescindere dall'uso che sempre più frequentemente si fa di questa espressione nei media e nel dibattito pubblico ed ora anche giurisprudenziale. Nella seconda parte tenta una spiegazione del fenomeno che va al di là del dato positivo e penetra da un lato nella struttura propria del diritto soggettivo, dall'altro nella complessa problematica psicologica e sociale della pratica abortiva, molto difficilmente riconducibile allo schema lineare di una spettanza individuale.
Aborto farmacologico e attività di secondamento: la disobbedienza intermittente nella dimensione dei doveri