Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi

400325
Murri, Romolo 7 occorrenze
  • 1907
  • Murri, La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi, Roma, Società Nazionale di Cultura, 1907, 1-297.
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Ora c'è fra tutte queste credenze, ridotte alla loro più semplice espressione ed al loro valore sostanziale, una credenza la quale e per l'antichità sua nella storia religiosa dell'umanità e per il numero di anime che l'hanno accettata e seguita e per le esperienze collettive che ne hanno provato l'efficacia storica, e per l'elevatezza insuperata dei precetti morali nei quali si traduce e per la intensa vita interiore che essa ha saputo destare ed alimentare nelle anime che la accettarono sinceramente, si impone in particolar modo all'attenzione nostra. Essa è, inoltre, la fede nella quale siamo nati, che noi professiamo e che in noi e nella società nostra ha lasciato tracce meravigliose e non facilmente cancellabili del suo passaggio.

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Per giungere a possedere veramente tutta la fede, nelle sue complesse manifestazioni vitali, conviene incominciare dal sentire il bisogno di una fede, rudimentale forse anche ma sinceramente accettata, e dall'adattar questa alla vita. Il progresso della nostra vita psichica è nel divenir di inconscia consapevole, nell'acquistar notizia piena dei suoi atti, dello scopo pel quale son posti e di tutti i probabili risultati di essi, nel fare che le azioni nostre sieno sempre più intimamente nostre, procedano cioè con avvertenza piena dal nostro io interiore, e che la scelta, la quale siamo chiamati a fare ad ogni momento della vita, avvenga con serena riflessione e con fermo e virile volere. Così, e non già assoggettandolo ad un meccanismo esteriore di atti e di riti, si crea l'uomo nell'uomo e si accende il lume della coscienza morale. Sorprende, a rifletterci, il pochissimo uso che si fa, nell'educazione dei fanciulli, di concetti filosofici fondamentali, che pure sarebbe assai facile far penetrare in essi; ad es., dei concetti della limitatezza del nostro fragile e fugace essere terreno e della secondaria e subordinata importanza delle cose esteriori per rapporto alla vita interiore. Una maggior conoscenza della psicologia infantile mostrerebbe che spesso, per educare il senso religioso, basta secondare alcune spontanee curiosità del fanciullo.

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La vita che noi abbiamo è quindi accettata dal credente come provenientegli da un Volere superiore, divino, non fatale né insito nelle cose, ma personale, pienamente consapevole, Volere divino al quale il credente aderisce con umile fiducia, per il raggiungimento degli scopi da Esso proposti alle cose.

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E noi abbiamo avuto anche, in uno di questi nostri discorsi sulla carità, occasione di vedere come l'unione doverosa nel cristianesimo non può esaurire l'intima forza di associazione che è nella carità: ma via via che gli animi sono maggiormente penetrati di questa, essi sentono il bisogno di più intime associazioni, sino a porre tutto in comune quel che essi hanno, a negarsi il diritto di proprietà individuale, a mettere tutta la loro vita a disposizione di un volere collettivo e d'una autorità liberamente costituita e accettata.

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Oggi, signori, in tanto frazionarsi e disperdersi di pensieri e di aspirazioni, vigoreggia sulle anime questa grande autorità spirituale che è il cattolicismo; autorità la quale è, in qualche senso, la sola accettabile pienamente e senza riserve; poiché, apparendoci come testimonianza esterna e garante dell'opera di Dio nella storia dell'umanità, essa tutela le più profonde aspirazioni del nostro essere alla verità ed al bene; e chiedendo d'essere volontariamente e consapevolmente accettata ci si offre a rinvigorire la nostra personalità, alla quale deriva alimento da fonti divine di luce e di energia spirituale. Ma questa autorità spirituale della Chiesa, se voi la osservate bene addentro, non è che il consenso cordiale delle coscienze cristiane in un'opera fraterna e comune di pace e di amore: consenso il quale è solo possibile là dove queste coscienze superano i limiti e le incertezze e le divisioni dell'essere contingente e fugace che è l'uomo, per raccogliere e far proprie le vedute, le direzioni, le volizioni che vengono da Dio e divenire in esse un'anima e un corpo, divenire la società dei fedeli. Nella Chiesa si è, quindi, e si rimane per questa comunione di vita e di coscienze nella quale si rivela la presenza e l'assistenza divina: e quanto più ciascuno vive ed opera secondo questa comunione di doni e di forze spirituali, tanto più egli è della Chiesa e realizza i fini e lo spirito soprannaturale di questa.

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Ed accettando la Chiesa così, come essa chiede di essere accettata, nello spirito di Colui che la fondò, cadrebbero molte preoccupazioni che oggi, di qua come di là dai confini di essa, ne intorbidano nelle coscienze il concetto e l'azione. Fra queste, le più delicate e importanti sono forse quelle che riguardano i rapporti fra la Chiesa e la società civile. È noto oggi a tutti come, caduto, con gli antichi regimi, il privilegio politico del quale godevano gli istituti ecclesiastici, (foro speciale, mano morta, esenzione militare, autorità civile unita sovente alla ecclesiastica, ecc.) e sostituite per legge agli antichi rapporti disposizioni che coartano in molte cose la libertà ecclesiastica, né lo Stato, sul quale premono potentemente correnti laiche ed atee, vuole arrestarsi dove è, geloso della potenza del clero e desideroso di togliere radicalmente alla vita civile ogni impronta di cristianesimo; né la Chiesa o cede alla persecuzione o si rassegna a godere del solo diritto civile; posizione, quest'ultima, ripugnante ed assurda, dove essa Chiesa è tale robusta organizzazione ed esige sì vasti e complessi mezzi di azione — scuole, benefizi, monasteri, chiese, atti solenni di culto pubblico, matrimonio religioso ecc. — da non poter intendersi né che il dritto comune basti a sì possente associazione né che lo Stato si disinteressi interamente della vita di essa. Dunque, né l'ingiustizia della persecuzione né l'ipocrisia del dritto comune; e poiché oggi, nelle condizioni a noi note di civiltà e di cultura, è vano pensare ad un amichevole accordo delle due società, non ci è possibile attenderci che la lotta fra di esse. E questa lotta avrà, del resto, numerosi vantaggi; terrà deste ed alacri le forze e gli animi dei contendenti e li porterà a svolgere, nella maniera più conforme alle esigenze degli spiriti, le attitudini e l'opera propria. Solo, la lotta sia gara serena, senza fanatismi ed intolleranze: gara di educazione, di servigii resi ai progressi della cultura e della vita morale dei popoli, di perfezionamento nei mezzi di giovare agli umili ed ai dolorosi, di organizzare gli sforzi e gli animi umani, di promuovere la vita intensa e l'incremento della persona e della coscienza umana.

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I varii atti dell'uomo sono regolati dai proprii fini: secondo la differenza di questi e la natura dei mezzi atti a raggiungere quei fini nella maniera che esiga minore dispendio di forze, si hanno per ciascun ordine o ramo dell'attività umana, politica, economia, arte, igiene, sport, ecc. delle norme e leggi speciali, pratiche o tecniche, secondo le quali debbono essere ordinati gli atti relativi. Ma la volontà umana non si esercita intorno a questi varii e molteplici fini e mezzi particolari se non perché essa, trascendendoli tutti, cerca qualche cosa di più elevato e profondo, a cui tutti conferiscono un poco ma che nessuno di essi dà pienamente, e cerca certi suoi fini ultimi, non riducibili cioè ad altri, e proporzionati al valore che essa volontà dà alla vita ed alle esistenze in genere, al concetto di felicità e di bene il quale la guida e la ispira, alla concezione generale del mondo e dello cose che è come la sua particolare filosofia. Questo voler qualche cosa, più o meno consapevolmente, come il più e il meglio che la vita possa dare o promettere, come il termine della nostra irrequieta attività interiore ed esterna, questo nostro dirigere la vita verso un qualche cosa di lontano e di ultimo che è come la ragione di tutto il resto, imprime alla vita di ciascuno di noi il suo speciale orientamento etico o religioso. Ora è appunto il nostro rapporto con questi fini ultimi e supremi della nostra vita, con questo più e meglio che essa può darci, con la visione generale delle ragioni e del valore dell'essere, che la carità regola, e per essa e con essa regola la religione; la quale, lasciando ad ogni atto che procede dalla nostra interiore attività consapevole l'indole che gli viene dal suo fine particolare e dalle norme che dirigono il raggiungimento di questo, regola poi il volere irrefrenabile e trascendente che pone quell'atto, ma ponendolo lo travalica, per chiedere a un bene particolare ottenuto {{44}}un altro più vasto e più lontano bene del quale è sitibondo Che la politica, l'economia, la letteratura ecc. siano regolate da leggi e norme proprie, e che la religione non debba immischiarsi di esse in quanto tali, è comunemente accettato. Anche il diritto è distinto dalla religione; poiché esso regola rapporti di fatto, esistenti fra gli uomini non per sole ragioni ideali ma per il corso delle determinazioni empiriche dell'attività umana individuale e sociale. Della morale si chiede se essa possa essere identificata con la religione. Ma rapporti morali sorgono fra gli uomini anche indipendentemente dagli scopi religiosi della vita ed è quindi concepibile una morale, prescindendo da Dio e dai nostri doveri verso Lui. La religione, tuttavia, una volta riconosciuta ed accettata, pervade e domina tutti gli altri atti e rapporti, e più particolarmente gli atti morali, in quanto per essi la coscienza e la volontà umana si pongono in un atteggiamento più o meno favorevole od opposto al raggiungimento del fine ultimo ed adeguato di ogni particolare volizione, che è appunto il bene assoluto; il quale è l'oggetto proprio della vita religiosa..

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Appendice

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Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1907
  • Murri, R. La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari–Società Naz. di Cultura, 1908, 246-263.
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Ma perché tali condizioni possano verificarsi, è necessario che la nostra associazione, la Lega Democratica Nazionale, sia riconosciuta ed accettata come la legittima rappresentanza della frazione sinistra dei cattolici aperta allo spirito ed alle tendenze della democrazia, sollecita di rappresentare, presso i proprii e presso il paese, gli interessi veri delle classi lavoratrici. Perché un centro possa veramente costituirsi, questa nostra tendenza deve essere accolta, ad equilibrare tendenze opposte di destra. Il nuovo partito ci avrà, secondo che esso ci voglia, cooperatori o nemici; clienti, battuti ed umili, non noi sappiamo essere.

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