Omero avea bensì cantato che Giove allo schiavo «toglie metà dell'anima», accennando alla fiacchezza del braccio servile cui manca l'impulso psichico del proprio miglioramento, ciò che più tardi confermano Plinio, Varrone, Columella, ecc. Ma tuttavia l'antichità greco-romana, supplendo alla scarsa produttività degli schiavi col loro numero,progressivamente li moltiplicò; sicché nell'Attica come in Roma essi da forse 1/3 della popolazione nei primi tempi, da ultimo salirono a 2/3 (Schmoller, Abignente); e la cupidigia del proprietario terriero (vedi Seneca, Plauto, Macrobio) continuò crudelmente a speculare fra il prezzo dello schiavo e la sua resistenza animale, facendo una concorrenza disastrosa in Grecia come in Italia e altrove al lavoro libero (Curtius, Mauri); donde le congiure degli schiavi (dalle guerre puniche a quelle dei gladiatori), simultanee alle agitazioni dei collegi degli artefici (dalle guerre civili in poi) ed egualmente infruttuose.
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