Ma questi nei primi secoli del medio evo non impongono di regola prescrizioni tecniche, ma piuttosto condizioni morali per la dignità della classe artigiana (esclusione di figli illegittimi, di uomini pregiudicati); o prescrizioni economiche per assicurare la bontà dei prodotti (ispezioni); o infine, in nome di certo «diritto al lavoro (sic)», alcuni vincoli di mercato e di consumo per assicurare l'attività industriale e prosperità agli artigiani (per esempio la vendita obbligatoria delle derrate in città per il buon prezzo degli alimenti); e il tirocinio non è impedimento a divenire maestri, ma una scuola educativa per avere onesti ed abili artigiani. Né l'industria incontra soverchi ostacoli di persone, di luogo, di circostanze. I primi artieri in città sono ultimi nepoti di antichi artefici del basso impero; più tardi furono servi sfuggiti alla gleba feudale, che Dante addita nel «villan che parteggiando viene»; le ditte che si contesero il primato delle industrie fiorentine, gli Alberti, gli Albizzi, i da Uzzano, i Medici venivano dal Mugello e Casentino; quasi tutte le città attraevano artigiani dalle altre, anche di stirpe straniera; le vedove in Italia continuavano l'esercizio industriale del marito; in qualche città nostrale le donne parteciparono ai comuni collegi delle arti (Lampertico), e in Germania formano collegi propri (Janssen). Solo dopo la peste del 1348 venne a prevalere in Europa generale il sistema delle tariffe de' salari; e in onta al divieto delle posture (coalizione) non mancano saggi di scioperi, anche in Germania (Janssen). Che se a Firenze per ragioni politiche rimasero fissate a 21 le arti maggiori e minori, ciò riguardava le corporazioni; ma sotto di esse potevano moltiplicarsi le imprese private, con discipline più liberali che altrove (Perrens, Pöhlmann).
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