Ma tuttavia l'antichità greco-romana, supplendo alla scarsa produttività degli schiavi col loro numero,progressivamente li moltiplicò; sicché nell'Attica come in Roma essi da forse 1/3 della popolazione nei primi tempi, da ultimo salirono a 2/3 (Schmoller, Abignente); e la cupidigia del proprietario terriero (vedi Seneca, Plauto, Macrobio) continuò crudelmente a speculare fra il prezzo dello schiavo e la sua resistenza animale, facendo una concorrenza disastrosa in Grecia come in Italia e altrove al lavoro libero (Curtius, Mauri); donde le congiure degli schiavi (dalle guerre puniche a quelle dei gladiatori), simultanee alle agitazioni dei collegi degli artefici (dalle guerre civili in poi) ed egualmente infruttuose.
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Tali sembrano i risultati accettevoli di copiose ricerche critiche obbiettive intorno a questa suprema conquista del cristianesimo nella civiltà (Wallon, Maurer, Janssen, Ashley, Cibrario, Abignente, Lampertico, Talamo, — e di contro Maynz, Renan, Laurent, Rogers, Ciccotti). Se vi ha contrasto di giudizi, ciò dipende da preconcetti anticristiani o da facili equivoci fra libertà etico-personali e libertà civili, fra schiavitù e servitù (della gleba), fra l'affermazione di principi o di precetti morali e gli espedienti o mezzi di applicazione. Ma frattanto si può con sicurezza farne questi apprezzamenti.
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