E neppure la rivoluzione francese e il laicismo liberale, anche nelle loro transitorie aberrazioni o nelle lotte sul terreno politico dell'influenza civile della chiesa, poterono sopprimerla o variarla; come non potrebbe neppure il socialismo (se domani trionfasse, non dico nel suo trasformismo collaborazionista, ma nel suo primitivo aspetto materialista, edonista e dittatoriale), sopprimere l'impronta, la forza della civiltà cristiana, della sua etica, dei suoi istituti e della sua espansione.
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Le leggi dello stato dei Soviets in Russia sul regime familiare valgono quanto le aberrazioni etiche della rivoluzione francese. Si dirà che le rivoluzioni segnano periodi di turbamento, che nel trasformare istituti pubblici esse arrivano ad eccessi, che prima legalizzano e poi modificano. Però, coloro che affermano l'assoluto etico dello stato non possono logicamente distinguere fra la potenza e l'atto, fra la norma e la risultante, fra la teoria e la pratica, perché logicamente l'assoluto è sempre in atto e l'idea è sempre realtà. Infatti in quale momento lo stato non è stato? L'assoluto non è assoluto? Il primo etico non è primo etico? Se vi è questo momento, sia nella barbarie della schiavitù, sia nella fucina della rivoluzione, sia nel traviamento dell'assolutismo, non c'è più lo stato primo assoluto e lo stato primo etico; c'è solo la storia umana che si evolve nel relativismo di causa ed effetto, nel realismo della potenza divenuta atto, nel dualismo dell'etica naturale in contrasto con l'egoismo umano.
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