Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbigliature

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LA GENTE PER BENE

678067
Marchesa Colombi 4 occorrenze
  • 1893
  • F. A. Brockhaus - A. Asher e C.- Veuve Boyveau - Ernesto Anfossi
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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Un abito liscio di velluto nero o di trina, una cuffietta di tulle, orecchini e spillone di brillanti, è la migliore delle abbigliature serie. E se ha qualche acciacco, qualche malanno, lo lasci con Dio, e non rattristi la gioventù con racconti penosi. Si mostri contenta della compagnia che la circonda, indulgente e tollerante; sopratutto tollerante. Lasci stare quel benedetto a' miei tempi che in bocca dei vecchi è un perpetuo rimprovero alle abitudini della generazione nuova. I suoi tempi sono passati e non tornano più. Accetti i tempi moderni. senza rimpianti, senza pedanterie. Creda a me, tutti i tempi hanno avuto la loro porzione nella grande somma di beni e di mali che debbono consolare od affliggere l'umanità. Tutte le preminenze che le si accordano per riguardo alla sua età deve accettarle, senza orgoglio, ma senza cerimonie. L'età è una superiorità, e quei riguardi le sono dovuti. In teatro invece, dove i posti d'onore sono fatti per mettersi in evidenza, una signora vecchia li cede sempre alle giovani, fossero pure signorine. Può andare al teatro sempre, perchè l'arte si ama a tutte le età. Ma il suo posto è nell'ombra. Ci va per udire e vedere. Non per essere veduta. Una vecchia signora può benissimo tenere ricevimenti, e dare anche feste da ballo, per far divertire la gioventù. Sarà un atto di generosità e di abnegazione, che le guadagnerà tutte le simpatie. Ricevendo ospiti in campagna, toccherà a lei di combinare le partite di caccia, le lunghe gite e tutti quei piaceri dai quali i suoi invitati si asterrebbero se lei non può prendervi parte. Deve mostrarsi desiderosa che li godano loro, e fare cordialmente la sua parte di vecchia castellana, di fornire tutto l'occorrente, congedare e riaccogliere la comitiva alla soglia della casa, presiedere alla mensa. Se poi le sue forze lo permettono, può benissimo fare anche delle gite alpine senza che nessuno lo trovi fuori di proposito. È una questione di salute. E le feste solenni portino il dono della nonna ai nepoti, ai figli, alle nuore, alle giovani amiche. E sia accompagnato da parole d'affetto materno, da benedizioni. Quelle benedizioni, quell'affetto le torneranno centuplicati, e faranno un'aureola di serenità alla sua fronte canuta.

N'hanno voglia loro, mie giovani lettrici, di studiare abbigliature e di mutarle? Jolanda non avrebbe che a comparire, per ecclissarle tutte. Portava in casa un abito lungo a strascico, di raso azzurro, guarnito d'ermellino, rialzato da un lato sopra una gonna di velluto; ed aveva le treccie cadenti; due lunghe treccie bionde, morbide, lucenti.... Oh le belle treccie di Jolanda! Non c'era partito così splendido, che fosse superiore a quella ricchezza di treccie. E Jolanda viveva solitaria col suo babbo in un vecchio castello, dove i giorni erano tutti uguali, dove non c'era mai ricevimento, punto feste, punto teatri, e se capitava una visita, era un avvenimento. Loro pensano di certo: * Come doveva annoiarsi, poverina! Ebbene no, signorine mie. E qui sta tutto il merito di Jolanda. Sapeva amare la sua casa, sapeva starci. È appunto l'argomento su cui ero disposta a brontolare in principio di questo capitolo. Via. Una mano alla coscienza, belle fanciulle. Nella situazione di Jolanda, in un completo isolamento dove, se un poeta non gliel'avesse condotto, non sarebbe capitato forse mai un giovine per apprezzare la sua bellezza, come sarebbero state tristi loro! Come avrebbero deplorata la loro miseria, e pensato giorno e notte al pericolo tremendo di rimaner zitellone! Ed il povero babbo, invece d'una compagna gioconda e serena, si sarebbe visto accanto un viso allungato, una fronte accigliata; ed in ogni atto della sua figliola avrebbe indovinata la noia della sua casa, della sua compagnia, ed il desiderio crudele d'essere altrove. Eppure Jolanda non era insensibile nè senza aspirazioni. Lei stessa diceva una sera al suo babbo: "Anch'io, Quando mi trovo sola meco stessa e con Dio, Sogno talora i gaudi dell'amore, e mi sento Addormentarmi l'anima tutta in un rapimento." A quei tempi le signorine educate parlavano in versi. Ora però si può anche farne a meno. E fingo che il mio fato conduca un forte e bello A superar la fossa del mio patrio castello. Lo ascolto in tuon sommesso mormorarmi parole Più ardenti e più feconde che la luce del sole, E lo sguardo negli occhi che divampano fuoco E mi cullo in visioni celesti... e a poco a poco Mi risveglio... e le sale del mio patrio castello Non suonan mai dei passi di questo forte e bello. Ebbene, cosa importa? Il forte e bello non compariva, e Jolanda era sempre lieta ugualmente come un raggio di sole. Non parlava mai di quando sarebbe maritata; il babbo le diceva: * Bada, Jolanda, non si vive isolati. Se non accetti qualche partito fra quelli che ti sono offerti, corri il rischio di rimanere zitellona. Provvedi al tuo avvenire. Jolanda rispondeva celiando: "Sì, fonderò un convento per farmene badessa." E discorreva del tempo, dei boscaioli, delle vecchie piante che finiscono nel focolare, e s'interessava ai racconti del babbo, che le ripeteva le sue gesta giovanili o le narrava una certa fiaba di Aroldo e il suo corsiero; n fine stava là in quelle antiche stanze solitarie come un augello nel suo nido, il quale vi si trova bene, e vi si adagia come se dovesse rimanervi tutta l'eternità, salvo a volarne via l'indomani s'intende. Loro invece, signorine... scusino, bisogna pur venirci a questa conclusione; * le favole sarebbero pur belle se non avessero la morale in fondo, ma, poichè ce l'hanno inventata, lascino che io la metta come si faceva ai miei tempi, * loro dunque, non s'adagiano punto nella loro casa, nè come l'augello nel nido, nè come nessun'altra immagine di cosa adagiata. Ci stanno, salvo il rispetto, come il diavolo in una ampolla. Sono irrequiete, impensierite. La loro mente non è lì. Ogni giorno si meravigliano, si impazientano di esserci ancora, come se la casa paterna fosse un albergo, o un ponte gettato tra il collegio e la casa coniugale, e da traversarsi in fretta, per paura che si rompa sotto i piedi. Non saranno tutte così; ne convengo, almeno lo spero. Ma conobbi molte, moltissime fanciulle; ed, eccettuate ben poche, tutte dimostravano una tale impazienza di maritarsi, da dar ragione al signor Achille Torelli, nel ritratto poco lusinghiero che ha fatto della Fanciulla. ovente ho udito una giovinetta dire: * Quando sarò a casa mia, farò questo o quell'altro; ed intendeva: quando sarò maritata. he impressione doveva fare al babbo, alla mamma, l'udire che la loro figliola non si sentiva a casa sua, in mezzo a loro e nella loro casa! Se si tratta d'andare in campagna, dove non c'è altra compagnia che le persone di casa, si mostrano disgustate e non mancano di parlare di quella loro miseria, come vestali che stiano per essere sepolte vive. Ma i loro genitori cosa sono? Per riguardo a loro, e per il rispetto a quel dolore che dovranno provare, staccandosi dalla loro figliola per darla ad uno sposo, una signorina educata non dovrà mai dimostrare che desidera appunto di dar loro quel dolore, e che non ci prende parte. Lo sposo stesso, che un giorno la piglierà, è già implicitamente offeso da quella smania di maritarsi, che gli dice anticipatamente: * Badi, ch'io lo sposo perchè non vedo l'ora di diventare una signora, e non per lei. Se un altro fosse capitato prima, avrei preso quello. Senza contare poi il ridicolo che matura sul capo di quelle che, poverette, non trovano marito. Si sente ogni giorno dire dall'una o dall'altra: * La signorina tale ha già trentacinque anni. E non ha ancora marito! * Poveretta, dopo averlo desiderato tanto * Si ricorda lei? Diceva sempre: Quando sarò maritata.... * Ed il corredo che preparava? * E quando si ricamava quella bella pezzuola, quante volte ha detto: "Per ora non lo porto; servirà per quando sarò, maritata." * Ora può servirsene per asciugar le lagrime ogni volta che si marita qualcun'altra. Una signorina non dovrebbe mai dire: "quando sarò maritata" se non dopo essere fidanzata. Allora è un fatto che si prepara; non è più una supposizione nè una speranza, e potrà parlarne liberamente. Prima no. E se taluno le dicesse quella parola, dovrebbe rispondere: * Io non so se mi mariterò. Non ci penso. Sto tanto bene in casa mia.... E debbono procurare di starci bene davvero, e di buon umore come si conviene alla loro età. Credano a me, il mostrarsi desiderose di marito, annoiate della propria casa e della propria famiglia, ha fatto invecchiar nubili tante belle ragazze. E la giocondità, la pace, l'amore del nido paterno, non ha mai impedito ad un augello di scioglierne il volo, nè ad una bella Jolanda di udirsi dire da un paggio innamorato, davanti a testimoni però: "Ti guardavo negli occhi, che sono tanto belli." - - - Qualche volta i babbi, i nonni sono molto vecchi; e, si sa, i vecchi sono spesso noiosi. Ho io bisogno di dir loro, signorine mie, che sarebbe oltremodo scortese il lasciar trasparire, da un atto, dalla fisonomia, da un momento di distrazione, il tedio che ispirano? L'ho detto ai bambini, perchè, poverini, non sanno ancora cosa sia mondo. Ma loro, signorine, ad educazione finita, non possono aver bisogno di questi insegnamenti. So bene che non si dimeneranno sulla sedia, nè si divertiranno a sciupare i nastri e le frangie dei vestiti per trastullarsi, mentre gli altri parlano di cose che non le interessano; però talora, me lo lascino dire, si permettono il ripiego che ho suggerito ai bambini: si distraggono. L'ho suggerito ai bambini, non per evitare i discorsi noiosi che vengono fatti direttamente a loro; ma pel caso in cui altri parlasse, loro presenti, di cose che non li riguardano e che non capiscono. Invece accade spesso che un vecchio parente fa un lungo racconto ad una figlia, ad una nipote; il racconto della sua giornata, o di qualche suo malanno. Ed intanto la signorina pensa a quel forte e bello i là da venire, al quale Jolanda pensava soltanto quand'era sola con sè stessa e con Dio; d il narratore domanda: * Che te ne pare? Come ti regoleresti tu? * Lo sposerei... Ah! scusi; sa, zio? ero distratta. Per una signorina gentile, una simile confessione scortese ad un vecchio dev'essere talmente umiliante e penosa, da farle ascoltare con attenzione inalterata tutte le lamentazioni di Geremia, lasciando al piagnoloso profeta l'illusione di essere il più ameno narratore del mondo. Questa indifferenza delle fanciulle, questa noncuranza per tutto quanto non riguarda il loro avvenire, si rivela in tutte le occasioni. Le grandi feste di famiglia, quando si raduna tutta la parentela a pranzo, i ricordi che vi si evocano, lo scambio dei doni, le occupazioni del babbo, i suoi studi, tutto questo le lascia fredde. Ho vedute delle fanciulle passare delle ore in famiglia senza parlare, con un fare svogliato, ed animarsi soltanto all'entrare di un giovine visitatore. Ne ho vedute altre ricevere senza nessuna dimostrazione di gioia i doni dei parenti a Natale o a capo d'anno, senza neppure scartocciarli, riservandosi a guardarli più tardi. Tutto questo è penoso a vedersi. Sono i servitori a cui si dà la mancia, che non debbono osservarla subito per non aver l'aria di contare i quattrini; ma un dono bisogna vederlo ed ammirarlo molto, e dichiararlo magnifico, fosse pure miserabile e di cattivo gusto: e ringraziare con espansione. Ai vecchi amici di casa, ai vecchi parenti ed a tutte le signorine della parentela o dell'intimità, le giovinette dovranno fare auguri o doni all'occasione dell'onomastico o del natalizio. Ammetto che è difficile trovare ogni anno, e tante volte qualche cosa di nuovo da dire nelle identiche circostanze. Ma il farlo con aria infastidita non facilita la cosa. Il borbottare, il lagnarsi di quel compito forzato, è quanto dire a chi sente: * Vedete? Quando verrà la vostra festa mi costerà tanta noia così il farvi gli auguri... E la causa è sempre la stessa. È il pensiero costante dell'avvenire, di un affetto più grande e più forte, che impedisce a quei giovani cuori di sentire l'amicizia, l'amicizia calma e serena, che dura anche dopo l'amore svanito, e ce ne consola. Se un precedente stabilito non ci fa sapere che un amico festeggia un natalizio, sarà bene fargli gli auguri per l'onomastico, perchè questo non calcola l'età come il compleanno indiscreto, il quale pare studiato apposta per non lasciarci dimenticare le tristi verità: che il tempo passa, che s'invecchia, che la morte s'avanza. - - - A' miei tempi, * tempi delle vecchie mamme, delle nonne, delle bisnonne, * le donne non ricevevano l'istruzione che si dà ora alle fanciulle. Allora era generale l'opinione dell'Arnolphe di Molière circa le donne: "C'est assez pour elle, à vous en bien parler, De savoir prier Dieu, m'aimer, coudre et filer. Ora le giovinette escono dalle scuole dotte come tanti piccoli professori. Guardano il mondo dall'alto della loro dottrina geografica, senza mai scambiare un punto per un altro. Sanno perchè il Vesuvio erutta vampe e lava, e perchè la luna splende d'una luce scialba; ed il sole abbaglia coi suoi raggi; e dove scalda più e dove meno; ed un mondo di cose alle quali, ai miei tempi, non si pensava nemmanco. E non hanno paura a parlar di storia, nè di letteratura, e neppur d'algebra. E se non parlano di politica, è perchè sanno che è cosa uggiosa; l'hanno imparato studiando gli uomini. E, per un vezzo grazioso, tutto femminile, dicono ad ogni tratto: * Voi altri che sapete di politica.... Oh, io di politica non ne capisco nulla!... C'è ancora il sultano di Turchia?... Ed a San Marino hanno sempre la Repubblica? Ma chi ci crede? Se volessero, con quelle piccole menti intelligenti ed erudite, terrebbero testa agli uomini anche in politica. Fanno bene a non tentarlo, del resto. Ma dov'eravamo? Ah sì! All'uscir della scuola. Le signorine con quel po' di coltura, non hanno difficoltà a trovare i lati deboli dell'istruzione delle mamme. Quanta delicatezza ci vuole per non mostrare di trovarli, e per fare che lei stessa, la buona mamma, non si avveda della superiorità intellettuale della figliola! Ho conosciuto una signora allevata in provincia, maritata a sedici anni, e subito divenuta madre di bambini che aveva allattati tutti lei stessa, dal primo all'ottavo. Prima di maritarsi aveva fatte due classi elementari, e poi non ci aveva pensato più. Poco aveva trovato tempo di leggere con quel po' di maternità. Per cui di rado imbroccava, quando voleva fare un discorso, altrimenti che nel dialetto lombardo al quale era avvezza. Un giorno, dopo aver letto non so che cronaca di giornale, disse: * Si fabbrica una casa sul Corso che ha da essere una meraviglia. L'articolo che ne parlava cominciava: È delizia E di questi granchi ne pescava sovente! Quella sera sua figlia, uscita allora allora di collegio, esclamò ridendo: * Chi sa perchè le mamme, quando non parlano di cose casalinghe, dicono sempre spropositi? Credeva di essere una fanciulla di spirito. Non abbiano mai dello spirito a questo prezzo, mie gentili lettrici: la mamma diceva spropositi, ma le figlie fanno uno sproposito ben più grave mancando di rispetto alla madre ed umiliandola. Se la mamma non sa parlare perfettamente in buona lingua, la figlia deve sempre parlare il dialetto quand'è presente lei, per evitare che sia messa nella necessità di prendere qualche cantonata. E, se ci casca, la figlia deve mutar discorso, affinchè la sua serietà ed il suo rispetto, impediscano di ridere ed impongano il rispetto anche agli altri. Ma per fortuna le signore tanto ignoranti si fanno sempre più rare. Le signore anche attempate, in generale, parlano bene, e suppliscono col buon senso naturale, a quella mancanza di coltura che è una conseguenza del tempo in cui furono educate. Basterà che la figliola eviti di mettere il discorso su argomenti astrusi, li tronchi se altri li ha intavolati, o non vi prenda parte; e la mamma non sarà costretta ad astenersi da una conversazione alla quale prende parte sua figlia o a fare cattiva figura. E badino che, quando dico conversazione, non intendo soltanto le conversazioni con estranei: ma anche quelle del focolare, dove importa più che mai di mantenere il prestigio della mamma presso i fratellini, e di frenare i figli giovinotti sulla via sdrucciola dell'irriverenza, sulla quale si avviano tanto presto ai nostri giorni. Non posso credere che esista nel mondo incivilito una signorina che sieda al suo posto a tavola, prima che siano seduti il babbo e la mamma, e le altre persone vecchie, e signore maritate che fanno parte della famiglia. Ma dato il caso, tutto è possibile a questo mondo, che fra le mie lettrici vi fosse una piccola ostrogota, la quale si trovi una simile macchia sulla coscienza, non lo dica a nessuno per carità; e si sorvegli bene per l'avvenire. In nessuna circostanza, in nessuna età della vita, bisogna lasciar andare il proprio contegno sulle massime volgari ed egoistiche: «In famiglia ci si deve trattare in confidenza. In famiglia non si fanno complimenti.» È in famiglia che passiamo la massima parte della nostra vita, ed è là, più che altrove, che bisogna serbare inalterata quella reciprocità di riguardi, quella cortesia squisita di modi, che sono fra le migliori espressioni dell'affetto, e senza di cui non c'è gentilezza d'animo possibile. Ho conosciuto una signorina bella come un amore, (non ne ho mai visti di veri, ma parlo di quelli dipinti), intelligente, onestissima. Ma aveva modi, se non affatto aspri, asciutti. Di rado diceva una parola espansiva; si alzava, si coricava, usciva di casa, rientrava, senza mai gettare le braccia al collo ai suoi genitori, nè dar loro un bacio; colle amiche era fredda, aveva l'aria di diffidarne, di star sempre in guardia. Malgrado la sua bellezza non ispirò mai nessuna simpatia, rimase senza marito, fece il vuoto intorno a sè. Gentilezza continua, inalterata, colla propria famiglia; espansione, cordialità con tutti, sono le doti essenziali d'una signora, la vera base della civiltà; e sopratutto deve saper interessarsi anche delle cose che non la riguardano personalmente, delle occupazioni, delle gioie e dei dolori degli altri. - - - Vi sono paesi dove le signorine non prendono parte alle visite che riceve o che fa la loro mamma. Da noi quest'ostracismo per le fanciulle non è ammesso, e credo sia meglio. Dall'oggi al domani una signorina si marita: se è affatto nuova alle visite, come potrà disimpegnarsene? In Francia le signorine prendono parte alle visite, ma non parlano mai, se non sono interrogate, ed anche allora si limitano ad una risposta. Tutto questo è artificioso, forzato, è una ipocrisia. Fra persone educate non si tengono mai, presente una signorina, discorsi che lei non possa ascoltare e comprendere senza arrossire. Sarebbe una sconvenienza senza nome, e nessuna padrona di casa potrebbe tollerarla. Quale è dunque la ragione per cui una signorina non potrebbe prender parte alla conversazione? Proprio non la vedo. Conosco molte signorine che discorrono, con moderazione, soltanto delle cose di cui sanno di poter parlare * d'arte, di letteratura, di balli, di nuove della città * senza mai scendere a pettegolezzi nè darsi arie dottorali, colla schiettezza e la giocondità che sono proprie della giovinezza, colla sua fede ed i suoi entusiasmi; e le trovo adorabili, e vedo che tutte le simpatie si raccolgono intorno a loro. Questo non vuol dire che una signorina possa intavolare lei un discorso, dove ci sono delle signore per farlo. Se però fra le visitatrici vi sono altre fanciulle o qualche signora giovane di sua confidenza, potrà benissimo la signorina di casa prendere l'iniziativa d'un discorso. Ricevendo visite in casa sua una giovinetta non prende mai posto nè sul divano, nè ai lati del camino. Si alzerà ad incontrare tutte le signore, e si collocherà accanto a loro all'ultimo posto; se c'è una signorina le starà accosto; se sono più d'una, siederà in mezzo a loro. Quando una signora, o anche un visitatore, si alza per uscire, se la casa non è abbastanza ricca perchè vi sia sempre qualche servitore in anticamera, la signorina suonerà il campanello perchè una persona di servizio vi si trovi ad aprire l'uscio. Trattandosi d'un uomo però, dovrà lasciarsi salutare prima da seduta, e non alzarsi per suonare il campanello, se non quando lui sarà per uscir dalla sala. Le convenzioni vogliono che una signorina non sia mai la prima ad osservare che una visita è stata breve, nè insista perchè si prolunghi. Questo riguarda sua madre. Non deve mai domandar conto alle visitatrici dei loro figli, dei fratelli, dei cognati, quando sono giovinotti. Si deve limitare ad informarsi, delle signore, dei vecchi, dei mariti, dei bambini. È una affettazione ipocrita, ed io non l'approvo. Ma l'uso ne ha fatta una legge, che ora però si va perdendo. E badino di non dire a nessuno: Come sta il suo signor padre o la sua signora madre, ecc. on si sono mai trovate a sentire le vecchie commedie in cui i personaggi parlano così! A noi fa un effetto strano; sembra uno scherzo. Se la situazione sociale della persona a cui parliamo non è differente della nostra, si dice semplicemente il suo babbo, la sua mamma. e poi si tratta di persone di gran soggezione, invece di nominarle col titolo di parentela, si dirà: Come sta il conte? La contessa? Il commendatore? Il presidente? Il duca? ecc., ecc. Alle persone che ci sono superiori non si mandano saluti; sarebbe un atto di confidenza. S'immagini un povero scrittorello, un professorello, un concertista ricevuto dalla Regina, il quale nel congedarsi dicesse: Maestà, mi saluti il Re! Andando a far visite una signorina, sia a piedi che in carrozza, lascierà la destra alla mamma. Se è col babbo, accetterà lei la destra, se le è offerta. Non avrà carte da visita, s'intende. Se è figlia unica, può avere un biglietto collettivo colla mamma: Signora e signorina tale. È però un'usanza imitata affatto dai Francesi. Da noi nessuno si chiama signora è signorina ulla carta di visita. Si mette soltanto nome, cognome e titolo, se c'è, e la figlia scrive a matita il proprio nome sotto quello della madre. Entrando in una sala una signorina siede accanto alla sua mamma, o accanto alla signorina di casa, se c'è. Se la padrona di casa le accenna un posto, anche al suo fianco, lo deve accettare senza complimenti, in atto d'obbedienza. Questo genere di complimenti indicano un sentimento di eguaglianza, che una giovinetta non può arrogarsi con una signora. Cederà poi quel posto d'onore alla prima signora che entrerà. In tal caso dovrà evitare di impegnare una questione noiosa. Dovrà alzarsi, ed accennando in atto di offerta il sedile abbandonato, andar subito a sedere presso sua madre. È affatto provinciale l'usanza di certe signorine, di offrire alle figlie delle visitatrici di passare in un'altra stanza, o di andare con loro al balcone. Questo fa supporre discorsi secreti, che offendono le mamme, e fanno torto alle signorine. L'uscire sul balcone poi, perchè sono signorine, mentre le signore rimangono in sala, vuol dire: * "Dacchè non abbiamo ancora trovato un compratore, andiamo a metterci in mostra; chi sa?" Se la signora di casa è una di quelle adorabili persone attempate, che amano la gioventù, e la trattano con quell'aria di dolce protezione che invita l'affetto, una signorina farà bene a porgere il volto in atto di domandare un bacio nel congedarsi. Altrimenti cercherà, nello stringerle la mano, di accentuar molto l'inchino, in modo di escludere quel che c'è di confidenziale in quell'atto. Se una signorina non ha madre, e fa o riceve visite colla istitutrice, deve lasciare a lei il posto alla destra del camino o del divano, con quella deferenza che è sempre dovuta da una giovinetta ai superiori. Però sarà lei che osserverà che la visita fu breve quando una signora si alza per congedarsi, e che insisterà presso le persone intime, perchè si trattengano più a lungo. In tali circostanze, se c'è qualche invito affatto privato e confidenziale (non potrebbero essere differenti, perchè in una famiglia senza signore non si fanno inviti), toccherà alla signorina il farlo. Potrà benissimo pregare un'amica di rimanere a pranzo, o a passare la sera; o di andare in campagna con lei. Ma non mancherà mai di dire che farà molto piacere anche al babbo ed all'istitutrice; e pregherà questa di unire le sue insistenze alle proprie, affinchè la povera signora, condannata dalle circostanze a vivere in una casa che non è la sua, non se ne senta troppo estranea, e messa da parte. Gli stessi riguardi dovrà usare ad una zia, o ad una parente qualsiasi che vivesse con lei. - - - Una signorina potrà accettare di pranzare da un'amica, e rimanerci, anche sola, sotto la custodia della signora di casa. Ma ad un pranzo d'invito non andrà se non accompagnata da una signora. Tutto quanto è bello, grazioso, rasserena lo spirito; e se c'è momento in cui tutti desideriamo di essere di buon umore, e di veder tutti allegri e contenti, è quando sediamo a tavola. Per questa ragione io non finirò mai di ammirare l'abitudine degli Inglesi, che, anche in famiglia, non mancano mai di abbigliarsi per andare a pranzo. E pure per questa ragione che le abbigliature da pranzo, parlo dei pranzi d'invito, anche tra noi si usa farle più ardite ed eleganti da quella da visita e da passeggio. Le signorine dovranno scegliere fra i loro vestiti della stagione il più fresco e gaio. O, se si mettono un abito scuro, lo rallegreranno con fiocchi di nastri azzurri, rosei o rossi o di quel colore che la moda favorisce, in modo da far iscomparire la severità della tinta. Del resto, non c'è signora nè signorina che non possieda qualche abito bianco, e quello sta sempre bene ed è sempre elegante. Non dovrei supporre che una padrona di casa, dando un pranzo, possa commettere la sconvenienza di collocare una signorina accanto ad un giovinotto. Ma siccome: "Tutto è possibile sotto il sole" - ed " Errare humanum est - ed "Error non è frode" - ed "Il giusto cade sette volte al giorno" e mille altri proverbi, che non ripeto (perchè il dirne parecchi è una inciviltà condannata dai vecchi galatei), potrebbe darsi che una padrona di casa un po' inesperta cadesse in quell'errore, tanto per dimostrare ancora una volta che "non tutte le ciambelle riescono col buco." Per carità, signorine mie, se codesto accadesse, si guardino bene dal fare la menoma osservazione e neppure un segno di meraviglia. Sarebbe rivolgere un rimprovero crudele alla signora che le ha collocate così. Quando io era giovane, in temporibus illis, ui invitata ad una sagra di villaggio in una famiglia di ricchi proprietarii. Dopo il pranzo e le feste del giorno, si doveva ballare, per cui c'erano invitate molte signorine e molti giovinotti. Quella buona padrona di casa provinciale, avvezza alla semplice verità della natura in mezzo alla quale viveva, doveva aver fatto questo ragionamento: * Se fra due ore i giovinotti e le fanciulle che ho invitati dovranno prendersi per le mani, abbraccíarsi, e circolare appaíati a due a due come colombelle, non ci può essere una ragione al mondo perchè si scandolezzino di trovarsi seduti accanto a tavola. Era una logica da dar dei punti ad Aristotile. E lei agì come avea pensato, e collocò a tavola ogni signorina accanto ad un giovinotto. Tutte fecero " a mauvais jeu bonne mine , e molte mi confessarono che non l'avevano trovato un troppo mauvais jeu. a una, una sola, una signorina di villaggio, che era uscita per l'appunto di collegio, cominciò a guardarsi intorno impaurita, come se i due che aveva ai lati fossero due leoni pronti a farla a brani, o due Don Giovanni venuti là per rapirla. Uno, che non era punto Don Giovanni, ed ancora meno lion si sentì tutto confuso, si fece rosso, e tirò in là la sedia, come se temesse di sporcare quella signorina; ma l'altro fece le viste di nulla, le offrì da bere, e tutti i piccoli servigi che un uomo non manca mai di offrire ad una vicina di tavola. Bisognava vedere l'aria diffidente e l'esagerazione di riserbo di cui s'armò quella poveretta! Parlava a monosillabi. Rifiutava tutto, era tutta sulle difese, pareva che fino i fiocchi del suo vestito appuntassero le nocche ed i capi come armi difensive. Il suo babbo, dall'altro lato della tavola, fremeva, Finalmente, vedendo che era giunta al dessert espingendo ogni piatto, e stava per rifiutare le frutta che il suo vicino le porgeva, le gridò: * Via, accetta una volta! Non è veleno. * Ah! era di questo che aveva paura, signorina? ed io che mi lusingavo che avesse paura di me! le disse il suo vicino. La lezione era meritata. È appunto in tali circostanze eccezionali, che una signorina può mostrare di sapersi condurre dignitosamente senza darsi quell'aria di noli me tangere che la rende antipatica, e senza incoraggiare una confidenza sconveniente. Altre volte era di rigore che le signorine mangiassero pochissimo, e non bevessero vino affatto. Per cui riuscivano commensali punto piacevoli. In qualunque modo si volesse interpretarla, quella continenza cenobitica, era una sciocchezza. Le fanciulle intendevano con quel mezzo di atteggiarsi ad un sentimentalismo ideale, non d'altro nudrito che di poesia e di sogni. Era un'idea da précieuses ridicules. e mamme incoraggiavano quella manìa, ed all'occorrenza l'imponevano, volendo con quel mezzo dire ai giovinotti: * Vedano come mangia pochino la mia figliola. E non beve punto. La sposino, via. Non costa nulla a mantenerla. Era un calcolo da Arpagone. Ora, se Dio vuole, il sentimentalismo è passato di moda. E, non fosse che per quest'unica riforma, benedetto il realismo! Le giovinette sono tornate ad esser loro stesse, col loro appetito giovanile: ed a tavola lavorano coi loro dentini, che è una benedizione, un'allegrezza guardarle. Se qualcuna delle mie lettrici era rimasta in arretrato, ora lo sa. La civiltà vieta soltanto di trasmodare. Ma vieta altrettanto severamente di rifiutare ogni cosa, di mangiare a fior di labbra, di lasciare la roba nel piatto, di rifuggire dai vini, quasi si volesse dire ai padroni di casa: - Io non so che farmene di tutto questo. Il vostro pranzo mi mette la nausea. Quando si è a questi estremi bisogna non accettar l'invito. Se sapessero come è bella e come piace la gioventù robusta, e francamente allegra, che Dio la benedica! Se la padrona di casa fa posare dal servitore il vassoio del caffè, dopo che i convitati sono passati in sala, ed offre lei stessa le tazze, le signorine debbono subito accorrere ad aiutarla. Dovranno però servire soltanto le signore ed i vecchi. Una signorina non porge mai la tazza ad un giovine, a meno che sia suo fratello. Ed ancora ha l'aria d'uno scherzo. Dopo aver assistito ad un pranzo, una signorina è tenuta ad accompagnare la madre nella visita che rende, entro gli otto giorni, alla famiglia da cui ebbe l'invito: e dovrà anche lei lodare la compagnia che vi ha trovata, la disposizione della tavola, i fiori, l'allegrezza che si è goduta, infine quel che c'era da lodare.... ed anche un pochino quel che non c'era - - - In teatro una signorina non va mai scollata. Se l'abito ha lo scollo, lo porta con una modestina dí tulle. È verissimo che ora molte giovinette vanno scollate come le signore; ma la questione è di sapere se fanno bene. Ad ogni modo non sono in regola colle convenienze. Una signorina mi osserva a questo proposito che. "È meglio errar con molti che esser savio solo." Ma io rispondo con un altro proverbio che dice: "L'uso serve di tetto a molti abusi." - E con un altro ancora: "Cosa rara è la più cara." Così, punto scollature. Pochissimi gioielli. I Francesi dicono: Les diamants sont faits pour les têtes brunes; les fleurs sont faites pour les têtes blondes. a, finchè sono teste da fanciulla, anche le teste più brune debbono accontentarsi dei fiori. Per portare i diamanti ci vuole il permesso della Chiesa, ed anche del Municipio. Ma credano a me, signorine, non ci perdono nulla. Il diamante ha un pregio convenzionale: il fiore è una cosa bella davvero. Le arti belle hanno sempre imitati i fiori. Ma soltanto il commercio, che specula sulla vanità, ha imitato i brillanti. Neppure la catenella dell'orologio è concessa ad una signorina che vuole osservare tutte le regole di convenienza. Ed infatti, dacchè quello è il primo dono che le deve offrire lo sposo, se l'ha già portata fin allora, non le fa più quell'impressione nuova; non è più un simbolo. Quando si domanda: * Ma è ben sicuro che la signorina tale sia sposa? Altri risponde: * Pensi! Ha già la catena! L'abbigliatura d'una giovinetta dev'essere semplice. Ma badino certe signorine e certe mamme che hanno l'abitudine di prender le parole a rigor di lettera, che semplice, quando si parla di vestiti, vuol dire appunto d'una stoffa di poco valore, adatta per fanciulle, senza trine antiche, senza ornamenti costosi. Ma la semplicità d'un abito da serata non ne esclude l'eleganza ed il gusto. In teatro, la signorina (non scollata insisto), cederà sempre alla signora, che l'accompagna, il posto d'onore, che è quello di fronte al palco scenico. Le signorine si trovano contentissime di questa combinazione, perchè, voltando il dorso al palco scenico, guardano meglio nella platea e nei palchi, e sono più in vista. Vedono ch'io sono addentro nei loro piccoli segreti. Ebbene credano a me che sono vecchia, non guardino mai fisso nessun giovine, checchè ne dica loro la simpatia. Non c'è cosa più sconveniente di quell'ostentare in pubblico una preferenza, che una fanciulla dovrebbe appena confessare, arrossendo, alla propria madre. Per gl'indifferenti, poi, c'è la legge generale di elementare decoro, che una fanciulla non deve mai fissare in volto un uomo che sta discorrendo. Quelle che se ne emancipano appunto in teatro, dove cento occhi sono là per notare quella sconvenienza, e cento bocche per ripeterla, mi fanno ricordare un ladro che l'estate scorsa, rubò il soprabito di un avvocato nel tribunale criminale, mentre l'avvocato stesso stava perorando la causa d'un ladro. Aveva scelto male il posto per farla in barba alla Questura. A questo proposito ricordo una letterina che ricevetti pochi mesi sono. Debbono sapere che la prima edizione di questo libro mi guadagnò - se fosse meritata o no non saprei dire - la fiducia di molte lettrici, le quali presero l'abitudine di rivolgersi a me, anche senza conoscermi, nei loro piccoli imbarazzi. Un giorno il mio editore mi mandò una lettera d'una signorina che doveva andare ad un ballo, e mi domandava: "come dovesse contenersi, sapendo che dovrebbe incontrar a quel ballo, e che le verrebbe presentato, un giovine il quale da un mese la guardava, e del quale ricambiava gli sguardi!" Ah signorine mie! Non l'hanno capita che non ci deve essere mai un giovine di cui una signorina ricambia gli sguardi? E se quel giovine c'è, è un personaggio da romanzo, un errore; e la signorina pure, è un altro errore. Ed in tal caso, che esce dalla normalità, cerchino di tirar innanzi il romanzo in modo che lo possano leggere anche le signorine. Regole di convenienza pel loro contegno in quella circostanza non posso darne, perchè i personaggi da romanzo e le passioni da romanzo l'hanno sempre fatta in barba a tutti i galatei. Ed hanno fatto bene, ma, in mancanza di una regola di convenienza, posso dar loro un consiglio da amica. Vadano dalla loro mamma e le dicano la verità; confessino tutto: "Che da un mese fanno quell'armeggio d'occhiate; ed ora si trovano imbarazzate all'idea di trovarsi in faccia a quel giovine...." E se la mamma dirà, che in tal caso è bene rinunciare alla festa per evitare quell'incontro, si picchino il petto e dicano Mea culpa. n teatro una signorina non porge mai la mano agli uomini che entrano a far visita in palco, e non dimostra mai di prestare più attenzione agli spettatori che allo spettacolo. Certi atteggiamenti indifferenti ed annoiati, che affettano molte signorine sono di cattivo gusto. Oltre all'offendere le persone che stanno con loro, le fanno apparire disilluse e già incapacì di divertirsi. Oh giovinezza! Si può non divertirsi a vent'anni? All'atto di ritirarsi le signorine debbono mettersi la sortita da sole, o farsi aìutare da una persona della famiglia; non mai da un giovine. E scendendo le scale, daranno il braccio al loro babbo, ad un fratello, oppure rimarranno accanto alla mamma. Così è, signorine mie; i cavalieri serventi sono come i diamanti. Non li hanno che le signore. È ancora una privazione di cui non posso compiangerle. I diamanti hanno almeno un pregio convenzionale. Sono rarissimi e costano cari, quando sono veri brillanti. I cavalieri serventi, invece, spesseggiano come le mosche, e sovente, non valgono di più. Di brillantì poi, ce n'è uno su mille. - - - Ed ora, signorine mie, le conduco in un luogo dove non sono mai state. Ed anche ora non vi possono entrare che in ispirito, e sotto la mia seria tutela di nonna centenaria; in un circolo di giovinotti. Ben inteso che, entrando in ispirito, loro non sono vedute; e però non s'interromperanno i discorsi incominciati.... Oh! non s'inquietino, signore mamme, so press'a poco di cosa si parla; ed anzi, ci conduco le loro figliole per questo; è il domani d'un ballo, di che s'ha a discorrere? Per quanto meritino poco di essere elevati a questa dignità, i giudici delle signorine, alle feste da ballo, sono i giovinotti. È vero che, in compenso, i giudici dei giovinotti sono le signorine; ma questo è un giurì non troppo accreditato perchè pecca d'indulgenza. Per ora ascoltiamo l'altro che non ha questa debolezza. * Non c'era male la signorina Tizia, con quell'abito azzurro, sentenzia un piccolo Giove Ansuro, con l'esperienza dei suoi diciott'anni. * Non c'era male? osserva un conoscitore più esperto. Ma hai a dire che era una bellezza addirittura. Soltanto che è una bambola col meccanismo; una ruota ed una cordicella per ogni monosillabo o bisillabo. La mamma l'aveva caricata prima d'uscire, e lei da brava bambola ha articolato uno dei suoi monosillabi o bisillabi per ogni domanda, che faceva da cordicella: "Sì. No. Grazie. Basta. Poco...." E così via., * Doveva avere delle rotelle anche ai piedi, perchè ballava diritta, stecchita come un fantoccio. * Bambola, bambola. * E le signorine Sempronie? entra a dire un terzo. * Ah! quelle sono due berte. Non sanno tacere un minuto. E che tono confidenziale pigliano discorrendo col ballerino! Un vecchio gentiluomo mi disse: "Quelle signorine devono avere una famiglia numerosissima. "Perchè? domandai compiacentemente per fargli finire il suo motto. "Perchè tutti i giovanotti con cui ballano mi sembrano loro fratelli." Infatti andavano da una sala all'altra, ed al buffet on questo e con quello, e senza la loro mamma, e si dice che ballassero anche con qualcheduno che non era stato presentato. * A te piaceva la signorina Caia, che ti si abbandonava mollemente nelle braccia, come se fosse al quarto atto d'un melodramma.... Avevi sulla spalla dell'abito la cipria delle sue guancie. . * Il color della dama. Mi piaceva per una sera, però. Non la vorrei fra le concorrenti, quando mi decidessi a gettare la mia pezzuola per trovare una sposa. * Io ho fatto un giro colla signorina Ipsilonne, che, ad ogni complimento che le facevo me ne rispondeva un altro, come se si giocasse di scherma. * Pazienza, era ingenua.... Tu avessi udita la signorina Zeta, che, per far la spiritosa, canzonava le tolette ed i modi delle altre signorine e dei giovinotti! * Ah! dev'essere stata curiosa. Cosa t'ha detto di me? * E di me? * E di me? * Ha detto che le pareva d'essere una tazza di miele, perchè si vedeva ronzare intorno tanti mosconi. * Oh Dio! Che barba! * Caro quel miele! * I mosconi volano anche intorno.... Via; la porta è chiusa e non si ode altro. Ma credo che basti. Vedono, signorine mie, che ogni medaglia ha il suo rovescio; ogni festa il suo dimani. "Ahi gioie umane, d'amarezza asperse!" La civiltà francese fa della fanciulla una bambola muta, compassata, insignificante, tutta artificio. Le inglesi sono severe, fredde, vaporose. Le americane sono emancipate. Le tedesche sono libere. Loro sono italiane; hanno lo spirito vivace, l'immaginazione pronta; sono entusiaste ed espansive. Volerle ridurre come automi modellati su figurine straniere, sarebbe una profanazione, una finzione. Siano loro stesse. Ma sappiano contenersi in modo da non meritarsi le censure che hanno udite. Si può essere amabili, schiette, allegre, anche senza staccarsi da quella dignità di contegno che s'addice ad una fanciulla. Il buon senso naturale, ed il naturale decoro, devono guidarle. Io domando soltanto di scrivere sul loro taccuino una massima di Victor Cherbullier. La leggano sempre prima di andare ad un ballo, dove la loro mamma non può udire tutte le parole che scambiano coi ballerini: "Rien ne rafraîchit plus le sang, que le souvenir d'une sottise que l'on n'a pas dite." * "Mi ricordo quand'era fanciulla" come la vecchia Pipelet di gioconda memoria, e nel carnovale, la mia zia, che mi teneva il posto della povera mamma che avevo perduta, invitava una mia cugina a tenermi compagnia. Cara quella compagnia! Aveva l'abilità di sacrificarmi completamente. Non sapeva pettinarsi da sè; bisognava che ogni mattina la cameriera di casa perdesse ad acconciarle il capo un tempo tanto più prezioso, in ragione di quell'aumento di personale in famiglia. Noi si faceva colazione per solito alle nove, ma la Teresina era alla toletta a quell'ora, oppure veniva a tavola spettinata ed in abito da camera. E guai se la zia osservava, che le signorine non debbono farsi vedere in abito da camera: che è permesso appena di portarlo nella loro stanza da letto! Diceva che a quell'ora era materialmente impossibile d'essere in ordine. E bisognava che noi s'avesse pazienza e si differisse la colazione. Tutte le lezioni, che prendevamo insieme, dovevano pure spostarsi per fare il suo comodo; ed i miei maestri non le piacevano mai. Erano un branco di ignoranti. E tutti i mobili della casa avevano qualche difetto o erano mal collocati. E le mie amiche le erano antipatiche. S'io doveva far delle visite, lei non poteva adattarsi a venire da quelle signorine pedanti, nè da quelle altre sguaiate. Quando s'andava in teatro o in compagnia, ipotecava addirittura la cameriera per farsi vestire, e la zia ed io dovevamo aiutarci a vicenda. In palco, poi, si metteva al posto di contro alla zia, ed io era relegata tutta la sera sullo sgabello in mezzo. Non c'era caso che mi offrisse una volta di cambiar posto. E, per ospitalità, non potevo domandarglielo, nè fare osservazioni. Bisognava che le offrissi i fiori da scegliere prima. E se li provava tanto in capo, sul petto, e si serviva così bene, che a me rimanevano degli avanzi appassiti. In carrozza pure, prendeva posto accanto alla zia, senza che occorresse neppure dirglielo. Qualche volta le mie povere abbigliature si sciupavano tutte, strette così, accanto al babbo sulla panchetta dinanzi. Ma la Teresita si stendeva a suo agio, seppelliva la zia sotto le sue gonne e arrivava fresca come una rosa. In casa, poi si prendeva l'incarico di studiare tutti i caratteri, come se ci fosse venuta con quella missione. Io aveva quel difetto, e quel pregio; e la zia era placida, e troppo indulgente; ed il babbo era avaro; e le persone di servizio ci derubavano come tanti briganti. * Come! Voi spendete tanto per la carne? E tanto per le ova? E questo pollo è costato tanto Ma buona gente! A casa mia si mangia meglio assai, e si spende la metà. Quel pollo è magro, tíglioso. Si può avere per trenta soldi. Il resto se l'è tenuto la cuoca. Io non so come la sopportiate. Non sa cucinare. A casa mia le bistecche sono tutt'altro: queste sembrano suole di scarpe. Ed ogni giorno aveva fatta una scoperta nuova sull'ordine della nostra casa, ed erano sempre indiscrezioni. Quando poi veniva in campagna l'autunno, era un raddoppiamento di biasimo. Si trovava addirittura ad un bivacco. Tutto era incomodo, tutto rozzo. Quasi quasi si meravigliava che nei sentieri del giardino non si stendessero tappeti per farla camminare sul liscio. E combinava lei le gite, i píc-nics. Ed entrava in confidenza coi vicini di villa, prima e più di noi; e passeggiava cogli altri ospiti, anche s'erano giovinotti, sola con loro per delle ore in giardino, ed usciva quando noi si stava in casa; e stava in casa quando noi s'usciva. Mie giovani lettrici, se sono ospiti in casa altrui, badino, le prego, di non lasciarvi le tristi memorie che m'ha lasciate la Teresina. La persona ospitata deve fare una completa abnegazione della propria volontà, delle proprie abitudini, dei proprii gusti. È necessaria questa rinuncia assoluta, per bilanciare l'immensa deferenza della famiglia che la ospita, e metterci un limite, affinchè non abbia a diventare un sacrificio di tutte le ore. E qui mi viene a proposito di avvertirle, che nulla è più scortese di quell'abitudine tanto generale, pur troppo, di far esaurire tutte le formole di preghiere inventate da Adamo in poi, prima di aderire a sonare o a cantare, in compagnia. La padrona di casa, che per quella sera le ospita, è messa in grave imbarazzo. Deve unire le sue insistenze alle altre, ed aver l'aria di imporre un sacrificio? O deve astenersene, e dimostrare che non desidera di ascoltarle? Difficile alternativa. - - - Non ho mai compreso perchè le signorine, che debbono rimanere sotto gelosa custodia nella loro città, dove sono note loro e la famiglia, ed hanno un mondo di amici e conoscenti intorno, debbano poi godere una libertà relativa, ma sicuramente soverchia, quando si trovano in viaggio o alle bagnature, ignote fra gl'ignoti; dove potrebbero anche essere prese in fallo. Il nuoto è uno degli esercizi prediletti dagli Inglesi e dagli Americani. Ma non credo necessario, per adottare la loro abitudine delle bagnature, adottarne pure la flirtation nsidiosa e sconveniente. To flirt, coqueter, ono parole che in italiano non hanno riscontro. Le traduciamo: flirteggiare, civettare; a le parole sono barbarismi nella nostra lingua, come la cosa è un barbarismo nei nostri costumi. Noi, espansivi e schietti, ci pieghiamo male a quella meschina scherma di parole, che giocano su sentimenti frivoli; e, quando riesciamo a scimiottare le signore straniere, lo facciamo a scapito del nostro carattere. Credano a me, signorine, non si lascino attirare da quello scoppiettìo di frasi leggere, brillanti e fuggevoli come fuochi d'artificio. Quando si disperdono e svaniscono nell'aria, portano sempre con sè qualche briciola del loro decoro. Briciole appena visibili, atomi, ma che importa? "Gatta cavat lapidem." In campagna come in città, ai bagni come altrove, una giovinetta non deve mai uscire da sola, a meno di trovarsi in un paese non frequentato da colonie di villeggianti avventizi. Nel contrarre nuove relazioni deve usare la massima prudenza e lasciarsi dirigere completamente da' suoi genitori. Alla tavola d'albergo, se non ha due persone della famiglia fra le quali sedere, ed il caso le colloca da un lato uno sconosciuto, non deve scambiare con lui che le parole strettamente necessarie, finchè non sia stato presentato alla signora che l'accompagna, e questa gli abbia accordata la sua relazione. L'unico punto su cui in campagna ed ai bagni le signorine possono permettersi qualche libertà, è il vestire colori più vivaci, foggie più ardite, un cappellino un po' bizzarro o un po' sull'orecchio, fori naturali in capo a tutte le ore, ed anche passeggiare a capo scoperto... Tutto questo è concesso; ma quanto al contegno, deve essere tanto più riserbato in quanto che sono meno conosciute, e chi le osserva deve giudicare dall'apparenza. - - - Se una signorina è stata ospite in una casa, appena ritornata in famiglia, dovrà scrivere una lettera espansiva alla signora od alla signorina che l'ha ospitata, ringraziandola delle cortesie ricevute. Non scrivano a molte persone, signorine mie. Oltre le lettere di dovere ai parenti vecchi, alle maestre, possono tener corrispondenza con qualche amica. Ma siano vere amiche, di quelle a cui si scrive non per fare dello stile epistolare, ma per vero affetto, e col linguaggio dell'intimità. Non occorre dire che, in tutta la loro corrispondenza non ci deve essere una parola che la mamma non possa leggere. Quanto a formole, non s'aspettino ch'io ne dia. Le lettere tengono luogo di discorsi. Scrivano come discorrerebbero e basta. L'introduzione, la chiusa, sono storie del tempo trapassato remoto. La lettera comincia con quello che s'ha a dire, e finisce quando non s'ha più nulla a dire. Ecco la sola regola ch'io ammetto. Non si firmino mai serva, perchè le signore non sono mai serve di nessuno. Non facciano litanie di saluti in fine nè sfoggio di aggettivi sulla soprascritta, a tutto beneficio del portalettere e dei portinai. Non usino carta colle iniziali, come non usano carte da visita; siano semplici, schiette; se hanno dello spirito, non ne privino le loro corrispondenti, e lascino andare i loro giovani pensieri come "La rondine alla primavera e la preghiera al cielo."

Saprà resistere alle fatiche delle lunghe corse, delle abbigliature mattutine, delle visite assidue alle chiese, ai musei? Ed i suoi gusti artistici? Cosa dirà di quel quadro? di quella statua? Che impressione le farà quella musica, quel dramma? Come saprà discorrere nell'espansione della vita intima? Capirà, gusterà le bellezze della natura? Avrà impeti entusiastici, calore d'ammirazione e quella dolce bontà indulgente che porta a vedere alla prima il lato bello e buono di ogni cosa? Ed avrà spirito d'osservazione, intelligenza critica, e carattere pieghevole? Oh, le delizie del viaggio di nozze! Avere innanzi a sè una lunga serie di giorni, completamente liberi da qualunque cura, all'infuori del proprio amore e delle proprie gioie. Andar incontro all'ignoto che si annuncia con tinte color di rosa, come il sole col crepuscolo! E sentirsi nell'anima la convinzione che inebria e riposa, d'avere un essere sulla terra pel quale siamo il primo pensiero, il primo affetto ed anche il primo dovere. E con quest'essere amante e caro, prendersi allegramente a braccetto, ed affrettarsi per le strade, unendo il passo e parlandosi con abbandono; e poter ripetere a se stessi: Abbiamo diritto 'amarci! Lo neghino pure i romanzieri, ma il diritto di amarsi alla luce del sole, senza menzogne, senza rossori, sarà sempre la poesia dell'amore. Ed a poco a poco si comprende che quelle ore di espansione e di delizia non sono più misurate dalla durata d'una visita; che si ripetono senza interrompersi, e si ripeteranno sempre, per un tempo lungo, infinito. L'ora del pranzo, l'ora del riposo non li separa più. Oh la dolce prosa della vita materiale! Sedere insieme ad una mensa d'albergo interrogandosi a vicenda sui propri gusti, confessando di aver appetito, mangiando allegramente * à la guerre comme à la guerre, dandosi del tu resente una quantità di persone, pagando il conto colla borsa comune! Tutto il resto può parere un sogno poetico da menti innamorate; ma il primo pranzo all'albergo, è pretta realtà. Dopo il primo pranzo soltanto gli sposi sentono che quella felicità è vera, positiva, che le loro esistenze si sono congiunte per la vita vera, con tutto il suo corredo di spirito e di materia, di poesia e di prosa. E poi vi sono le ore in cui non sono soli: al teatro, al caffè. E nella piena libertà del viaggio da nozze rigustano il mistero d'una stretta al braccio, d'una mano presa furtivamente, del lungo sguardo appassionato che narra un'illiade di desideri, dello sguardo fuggevole e lampeggiante, che dà il fremito e l'ebbrezza d'un bacio. A traverso quel turbine di godimenti, in quel sogno di delizie, vedono azzurreggiare, in un prossimo avvenire la placida promessa d'una casetta tranquilla, dove saranno padroni e soli, e dove si vedranno sotto un aspetto nuovo, nell'uniformità della vita casalinga... È un'altra serie d'incanti, che promette loro quel dolce riposo dopo tanto movimento. I sentimentalisti che, pel culto delle memorie, hanno cominciato dalla fine e si sono isolati, hanno sacrificate tutte le immense dolcezze del viaggio e non le ritroveranno più tardi, perchè il viaggio di nozze è un frutto che fuori stagione non si gusta più. È vero che non hanno disperse le memorie care negli alberghi, e le hanno gelosamente rinchiuse; ma son ben certi che, a lungo andare, non ci sia entrata la sazietà o la noia, a metterle in fuga come una nidiata di passeri? Per quell'affetto che m'ispirano le mie lettrici le consiglio, qualunque sia la loro età, il loro grado di agiatezza, non rinunzino al viaggio di nozze, anche a costo di qualche sacrifizio d'interesse, di qualche privazione. Tutte le felicità che potrà dar loro l'avvenire, non le compenseranno mai di quella immensa gioia perduta.

Vi sono molte signore che, come hanno abbigliature di casa ed abbigliature per uscire, hanno pure un tono di voce, delle maniere, ed un'educazione di casa; ed altre di gala. E, pur troppo, quelle di casa sono rozze ed elementari come una vera tenuta di fatica. * Vuoi bere? domanda il marito a tavola. Sì. No. Oppure porge il bicchiere in silenzio. * Dio! quanto mi dà sui nervi questo tintinnìo della forchetta sul piatto! * Oh che noioso! risponde la signora, la quale avrebbe ai suoi ordini tutto un frasario di scuse, se, invece che a suo marito, avesse urtato i nervi ad un primo venuto qualunque. E sorbisce la minestra con un rumore da tromba aspirante. E, dimenticando completamente la regola severa del collegio, di masticar sempre a bocca chiusa, lascia sonare quei mcia mcia astosi che rivoltano lo stomaco a chiunque ha la disgrazia di mangiare con lei. Se avrà invitati, o se andrà a pranzo fuori non lo farà; ma in famiglia! Alla famiglia s'ha diritto di rivoltar le budella, pur di fare i propri comodi. Sono queste signore che hanno inventata la frase volgare: * "In famiglia non si fanno complimenti." Perchè non se n'hanno a fare? Non è in famiglia che si deve amare più e meglio, che fra semplici conoscenti? Ed i complimenti non sono espressioni di sentimenti gentili ed affettuosi? Eppure quelle stesse signore non rifiniscono di curare la propria camera, di ammonticchiar materassa sul loro letto, e dicono: * Si può soffrire un cattivo letto in un albergo, perchè ci si sta qualche notte di passaggio. Ma dove s'ha da dormire tutta la vita, si vuole che sia comodo. Ebbene: i loro conoscenti le vedono soltanto di passaggio; ma è il marito che s'ha da sedere a mensa con loro per tutta la vita e per tutta la vita deve tenersele al fianco, e render loro mille piccoli servigi. Perchè non cercano di rendergli morbide le loro maniere, di appianare le asprezze del carattere, di addolcire la voce per lui, colla stessa cura con cui ammorbidiscono il letto a sè stesse? Dipende da loro che il matrimonio riesca un letto di piume, o un letto di Procuste. Se sapessero come le ingentiliscono quelle paroline di cortesia: Grazie; scusa; quanto sei gentile; non disturbarti, ecc., ecc. Senza contare che gli uomini, meno graziosi, per natura, inclinano sempre ad esagerare per proprio conto il grado di emancipazione dalla civiltà, che la moglie accorda a sè stessa. E se lei riceve un favore senza ringraziarlo, e va a colazione spettinata, lui si crederà autorizzato a passeggiare per la casa in mutande ed a fumarle sul naso con una pipa di gesso; troppo fortunata ancora, se l'età o la calvizie non gli suggerisce di beatificarsi la giornata colle delizie d'un berretto da notte. Una moglie, a meno che sia in una delle grandi situazioni sociali in cui una signora rimane quasi estranea alle modeste cure della famiglia, non deve mai affidare ad una cameriera nè ad altri la cura di sorvegliare la guardaroba di suo marito. Sarebbe dimostrargli un'indifferenza scortese. Non deve abusare della sua compiacenza offrendolo troppo per cavaliere alle signore che non hanno chi le accompagni, tanto più se la signora a cui lo offre non può ispirarle nessuna gelosia. Se crede di poterlo fare senza dargli noia, potrà dire: "Mio marito avrà il piacere di accompagnarla." Ma lascerà a lui la libertà d'insistere più o meno su quell'offerta. Nulla è più ridicolo di quelle mogli che dispongono così del marito come d'una proprietà e ne fanno il cavalier servente di tutte le signore che non ne trovano altri. Dovrà pure evitare di dargli certi consigli: * Dà il braccio alla signora Tale. Oppure a tavola: * Versa da bere alla tua vicina. Avvisi salutari, senza dubbio, ma che fanno supporre che quella signora sia avvezza a vedere il marito mancar di cortesia, e perciò si creda in obbligo di suggerirgli le cose più elementari. Qualche volta dovrà farlo, se vede una vera mancanza; ma avrà cura di volgere la cosa in ischerzo, mettendola sul conto della distrazione e mostrandosene abbastanza stupita per non lasciar credere che quello sia il modo abituale con cui il suo marito tratta le signore cominciando da lei. Sarebbe quanto dire: * Vedono che zotico ho sposato! Se non foss'io, ad insegnargli la creanza! Se una signora, entrando a far visita in una casa, vi trova suo marito, dovrà salutarlo porgendogli la mano, subito dopo aver salutati i padroni di casa e le altre signore, e prima d'ogni altro uomo. Se lui arriva in campagna o ai bagni dopo un certo tempo di separazione, e lei si trova ad accoglierlo alla presenza di altre persone, non eviterà per questo di corrergli incontro e di abbracciarlo; se non lo facesse mostrerebbe di vergognarsi di dargli una dimostrazione d'affetto. Ma dopo quella prima accoglienza dovrà subito ricordarsi dei doveri di cortesia e d'ospitalità, e presentare il marito alle persone che non conosce ancora, se ce ne sono o ad ogni modo lasciare che faccia i saluti e complimenti che crede, e non accaparrarlo tutto per sè, e non domandargli particolari di famiglia di cui gli altri non sono informati o non si curano, e serbare le espansioni ed i discorsi intimi per più tardi, quando sarà sola con lui o in famiglia. Se il marito le offre un divertimento qualunque, una serata, un viaggio, l'accoglierlo con freddezza, il mostrarvisi indifferente per far pompa di gusti casalinghi, è una mancanza di tatto, che tende a diminuire il pregio dell'offerta ed umilia chi la fa. Qualche volta il marito approfitta del Natale, del capo d'anno, dell'onomastico, d'una festa di famiglia, per offrire in dono alla sposa un oggetto che avrebbe dovuto provvederle. Il farne l'osservazione sarebbe addirittura villano, come pure il calcolare sul prezzo della cosa offerta, e considerare quella spesa nel bilancio di famiglia. Un dono si accetta sempre come un dono, con elogi, ringraziamenti, e si mostra alle persone intime, e si ripete, che è una gentilezza del marito, precisamente come fosse d'un'altra persona. Al marito ed ai suoceri si deve il riguardo di aspettarli sempre prima di mettersi a tavola, e non si deve spiegare il tovagliolo che quando sono seduti. La moglie, alla tavola di famiglia, tiene sempre la destra del marito; ma se c'è una suocera, le cede il diritto di servirsi per la prima, e le risparmia tutte le brighe del servizio, il tagliare, il mescere, ecc. Gli stessi riguardi deve pure accennare di usarli anche al suocero, per deferenza alla sua età, ma non insistere se, come uomo, rifiuta d'accettarli. Infine una signora educata non deve ammettere altra differenza tra il contegno che usa in società, e quello che tiene in casa fuorchè un grado maggiore di espansione. - - - Il giorno fisso per ricevere, per quanto si sia cercato di bandirlo, si è radicato nei nostri usi. Alcune signore stabiliscono una data ora ogni giorno, ed è ugualmente bene. Anticamente sarebbe stata un'impertinenza. Erano soltanto i principi e le autorità, che potevano fissare un giorno od un'ora alle persone a cui volevano far l'onore di riceverle. Ma i semplici privati dovevano mostrarsi sempre pronti ad accogliere in qualunque giorno i loro eguali, che avevano la gentilezza di andarli a visitare. Accadeva però, che, mostrandosi sempre pronti ad accoglierli, erano sempre fuori, e non li accoglievano mai. Per cui si dovette adattarsi a dare alle visite quella specie di regolamento burocratico che è il giorno fisso. Parlando ad un'altra signora, si potrà domandare in che giorno riceve. Ma parlando di noi stessi bisogna dire: "Sto in casa il tal giorno" per non darsi l'aria importante d'una piccola potenza, che tiene ricevimento ufficiale. Una signora che riceve non deve mettersi un abito di gala, ma neppure può tenere un abito troppo dimesso; deve avere una toletta da casa elegante per mostrare ai suoi visitatori che ha pensato a loro, che s'è preparata ad accoglierli. Le persone di buon gusto hanno abolito l'usanza di far annunciare le visite dai servitori. Che Dio le benedica! È la cosa più inurbana che si possa immaginare per mettere una signora nell'imbarazzo. Entrare in una casa, e trovare un servitore che ci domanda il nostro nome come un avvocato fiscale che deve istituire un processo! E dover rispondere a quella potenza d'anticamera, la quale ci guarda con meraviglia, se ci permettiamo di far annunziare un nome qualunque, senza un po' di marchesa o di contessa davanti! Ed entrare in una sala presentate da un servitore! Fu un pensiero gentile che fece dire alle padrone di casa moderne: * Le persone che vengono a farmi visita sono invitate da mio marito o da me, e però sono gente ammodo. Entrino dunque senza trovare inquisizioni per via, e sarò io stessa che dirò il loro nome agli altri visitatori, senza obbligarle a declinarmelo prima. Tuttavia vi sono ancora famiglie, che per fare una grandezza, continuano a far annunciare. In tal caso una visitatrice, entrando nell'antisala, dovrà dire spontaneamente il proprio cognome senza nessun titolo, prima che il servitore, per adempire al suo incarico, sia costretto a rivolgerle la parola. La destra del camino, o del divano, durante le visite, è riservata alla padrona di casa. E per regola generale non la cede mai. Ma non deve dimenticare che non vi sono regole senza eccezioni. Un giorno parlando d'una signora io dissi: * È molto giovine. Credo che non abbia ancora vent'anni. * Davvero? mi osservò un vecchio signore. Avrei creduto che ne avesse almeno settantuno. Lo sproposito era così grande, che lo presi per uno scherzo e lo pregai che mi spiegasse il perchè di quell'unità su tante decine. * Perchè non ha ceduto la destra del camino a mia moglie che ne ha settanta. Vi sono poi certe superiorità d'età, di grado, di meriti, così incontestabili, davanti alle quali anche una signora deve inchinarsi. Una mia amica, di un tatto squisito, incapace di commettere neppure l'ombra d'una sconvenienza, mi confessava d'essersi alzata in piedi nel suo palco, quando le fu presentato Paolo Ferrari, alla prima rappresentazione del Cantoniere. Cosa vuoi? mi diceva; quella sera era la figura principale del teatro. Ci dominava tutti. Ci alziamo pure quando entra il Re. Lui rimase imbarazzato sai; ma io no. Ed aveva ragione. Era un'irregolarità, ma una bella irregolarità; felix culpa e provava che lei possedeva meglio di tutte il sentimento dell'arte; che il suo animo era più gentile. Dopo aver presentata l'ultima venuta alle altre persone che sono in sala, una padrona di casa deve rivolgerle la parola direttamente, per far cessare la confusione che la presentazione ha potuto ispirarle e, soltanto dopo averla fatta parlare un momento, riprenderà il discorso interrotto dalla sua venuta, avendo cura di metternela a parte. Per congedarsi dalle signore, la padrona di casa si alza, e le accompagna fino all'uscio della sala, e là ripete la stretta di mano e l'inchino, senza fermarsi in complimenti che la terrebbero troppo a lungo lontana dagli altri visitatori. Credo di non dover aggiungere che non deve mai dir nulla fuorchè bene delle persone che sono uscite. Questa è la civiltà più elementare. Se agisse altrimenti, autorizzerebbe chi l'ascolta a domandarle: * E perchè riceve, e ci espone a trovarci al contatto di persone, che non meritano la sua stima? Qualche volta accade che appunto quando vi sono altre visite, capiti una di quelle tante sfortunate che si presentano alle signore per qualche raccomandazione; per trovare un impiego, delle lezioni, ecc. La menoma freddezza nel modo di accogliere la persona disgraziata farebbe torto alla padrona di casa. Quanto più la situazione di chi viene a raccomandarsi è imbarazzante, altrettanto una signora per bene deve cercare di rassicurarla, usandole modi affabili e cortesi, presentandola ai suoi visitatori come un'eguale, rivolgendo il discorso a lei come agli altri, e studiandosi di persuaderla, non colle parole ma col tratto, che la sua sventura non è che un titolo maggiore alla simpatia delle anime gentili. - - - "Souvenez-vous toujours dans le cours de la vie, Qu'un dîner sans façon est une perfidie. Assolutamente una perfidia, non voglio ammetterlo; non arrivo fin là. Ma credano pure, signore mie, che il prender troppo sul serio la preghiera degli amici intimi di dar loro il pranzo di famiglia, non è il favore più grande che possano fare ai loro convitati. Il pranzo di famiglia, sia; ma con qualche aggiunta. Un buon antipasto; il piatto del compenso, ed il piatto del complimento, ed una bottiglia con tanto di polvere; ed allora pazienza, il pranzo di famiglia sarà bene accetto. Altrimenti si corre il pericolo di ricevere la lezione che si ebbe un certo avaro, il quale invitò parecchi amici a pranzo e fece servire: una minestra di riso al brodo, un lesso di manzo, un piatto di spinacci, formaggio e pere. Dopo pranzo disse ai convitati: * Vedono che proprio non ho fatto complimenti. * Via, rispose uno di quegli infelici, non doveva poi obbedirci tanto strettamente. Del resto, per questi pranzi d'amici intimi, basta ricordare quanto diceva Brillat-Savarin, gastronomo di grande rinomanza: "Invitare una persona, equivale ad assumere l'incarico della sua felicità per tutto il tempo che deve passare in casa nostra." Ci si metta cordialità ed affetto, e basta. Ma dove si richiede tutta l'intelligenza d'una buona padrona di casa, è ai pranzi più o meno di gala. Lo stesso Brillat-Savarin diceva che, perchè un pranzo riesca bene, i commensali debbono essere non meno delle Grazie, e non più delle Muse. Per verità io credo che, senza uscire dalla mitologia, si possa salire fino al numero delle Ore, senza inconvenienti. Purchè sia proporzionato il numero degli uomini e delle signore. Una vicina gentile, che potrebbe agitarsi, od anche cadere svenuta se nascesse una discussione, basterà sempre ad impedire ad un uomo educato di impegnarsi in quei discorsi di politica, di religione, che fanno bollire il sangue facilmente. Bisogna calcolare il numero di persone che possono stare alla tavola, a tutt'agio con uno spazio non minore ai sessanta e non maggiore di settanta centimetri per ciascuna. Così non saranno nè strette nè isolate. E sopra tutto, per tutti i santi del paradiso, che non sieno tredici! Lei, mia signora, non ha questi pregiudizi; suo marito neppure. Ma qualcuno de' commensali potrebbe averli; e quello là sarà infelice, non per quel giorno soltanto, ma per tutto un anno, in capo al quale dev'essere morto il più vecchio o il più giovine della triste compagnia. Aggiunga che conterà spietatamente gli anni in viso a tutti i suoi invitati, non escluse le signore; e se gli resta il dubbio d'essere lui stesso uno dei due in pericoli, sarà capace di correre il domani alle dodici parocchie a prendere la fede di nascita di tutti i commensali, per rassicurarsi. E ci penserà tanto e se ne cruccerà tanto, che non sarà meraviglia se entro l'anno finirà per morirne davvero. Non si deve mai, per vincere un pregiudizio, compromettere la pace d'un nostro simile. Se, per una circostanza imprevista, il giorno stesso del pranzo manca un invitato su quattordici, si corre a pregare un amico intimo di supplirlo. Si prega il primo venuto, il lustrascarpe della via, uno spazzacamino, ma non si condannano i nostri ospiti a sedere a tavola in tredici. Un giovinotto che da vero lion era avvezzo a pranzare tardissimo, passeggiava una sera verso le sei in cerca d'appetito, e forse di qualche bella crestaina, che, tornando dal lavoro, consentisse a fargli compagnia, quando vide un signore ammodo passargli accanto, guardarlo, riguardarlo con occhio d'amore, gironzargli intorno, fargli la corte come avrebbe fatto lui stesso con quella tale crestaina, se l'avesse trovata. * Che mi prenda per una donna americana, di quelle che portano i calzoni? pensava il giovinotto: e si carezzava le basette per metterle in evidenza. Ma l'altro non si scoraggiava per così poco. Anzi parve farsi più ardito a quell'atto, tanto che gli si fece accosto, e, salutandolo con uno sguardo che avrebbe sedotta una vestale, gli disse: * Signore; non si offenda per amor del cielo. Debbo farle una proposta indiscreta, impertinente addirittura.... Il giovinotto si pose una mano sull' orologio, un'altra sul portamonete, e rispose: * Se non può farne a meno... parli. * Se lei vedesse un uomo in pericolo di annegarsi, si getterebbe in acqua per salvarlo? * No? * Mi faccio l'onore di crederlo. * Ebbene, io sto per annegare in un mare di guai. Ho invitati parecchi amici a pranzo. Dovevamo essere quattordici, ed uno è mancato. Ho una zia, una zia tremenda che ha paura del numero tredici. È capace d'andarsene, di non perdonarmi più. Un uomo che si getterebbe nell'acqua per salvare un altro, non potrebbe spingere l'eroismo fino a gettarsi alla mia povera tavola? Il giovine rideva tanto di cuore, che non seppe rifiutare. Quella povera tavola era sontuosa; e per giunta quel signore aveva una bella figliola, che piacque a prima vista al fortunato giovinotto. Due mesi dopo le faceva il primo dono da sposo; un braccialettino d'oro niellato sul quale era inciso il proverbio: "È meglio imbattersi che cercarsi apposta." - - - Stabilito il numero delle persone che si vogliono invitare, si mandano gl'inviti: stampati se è un pranzo di lusso, scritti se non ci si vuol dare troppa importanza. Oppure si fa l'invito verbalmente. Ben inteso che, volendo pregare un superiore di favorirci alla nostra mensa, dobbiamo andare in persona ad invitarlo; perchè gli inviti scritti o stampati non si fanno che tra eguali. A meno che si tratti d'un pranzo tra persone intime, l'invito dev'essere fatto otto giorni prima del pranzo. Se qualcuno risponde che non può accettare, e si vuol supplirlo, bisogna affrettarsi a pregare un conoscente, e se è possibile non fargli sapere che riempie un vuoto. Però, se altri ne è informato, e se c'è il pericolo che anche l'invitato per via di discorso venga a saperlo più tardi, è meglio dirgli la cosa francamente. La tavola dev'essere coperta da un grosso tappeto sotto la tovaglia, per evitare ogni rumore nel deporvi le posate ed i piatti. Il tappeto però dev'essere corto e non s'ha da vedere pendere sotto la tovaglia. La biancheria da tavola può essere di fiandra ricca senza guarnizioni come usava altre volte, può essere ricamata in giro, oppure ai due capi alla moda del medio-evo e può essere guarnita di grossa trina di filo, secondo l'ultimo figurino. In questi due casi non sarà di tovagliato, ma di fina tela di lino. Ad ogni modo deve avere le iniziali del padrone di casa, ricamate. I tovaglioli si piegano semplicemente in quadrato colla cifra in evidenza. Tutti gli altri artifici di piegature sono volgarità da locanda. Le sottocoppe, pel momento, si usano non più d'argento, nè di porcellana, ma assortite alla biancheria da tavola, rotonde o quadrate colla cifra in mezzo. Una striscia lunga, assortita alla tovaglia, ma sempre ricamata a colori, si mette ora in diagonale traverso la tovaglia bianca. È l'ultima novità. Il servizio di cristalleria dev'essere tutto assortito colle cifre, se è moderno. Ma chi ha cristalli antichi di pregio ha sempre una cosa superiore. Ogni convitato deve avere dinanzi un numero di bicchieri, non meno di quattro, di varie dimensioni, adatti ai vini che si debbono servire. Il vino da pasto è il solo che si mette in tavola nelle bottiglie bianche di cristallo del servizio. Gli altri vini sono versati in giro dalla servitù, eccetto lo sciampagna che gode il privilegio di posare in tavola col suo secchiello d'argento. Per l'acqua si possono mettere piccole anfore di vetro colorate con dei fiori legati al manico; una per ciascun commensale. Accanto alla schiera dei bicchieri ci deve essere una larga coppa assortita al servizio, dove si metterà l'acqua pura per bagnarvi la punta delle dita alla fine del pranzo. Un'operazione che non va fatta in modo da disgustare nessuno, con ripetute immersioni, con sgocciolamenti, ecc. Ho veduto un servizio nuovo di corte; è di vetro opalizzato cogli orli dorati, collo stemma reale in colori. Se credono, signorine mie.... La padrona di casa può mettere in tavola fiori quanti ne vuole, purchè eviti le magnolie e tutti i fiori che hanno un'acutezza di profumo da dar l'emicrania ai commensali. Ed invece di quegli uggiosi mazzi stretti, serrati, in cui i fiori sono disposti a disegno e figurano nell'insieme un pezzo di tappeto, li ponga sciolti coi loro gambi e le foglie nelle coppe. Sono un ornamento elegante ed artistico. La padrona di casa stabilisce i posti tenendo conto delle simpatie, delle analogie, ecc., fra i suoi convitati; scrive il nome di ciascuno sul cartoncino apposito, e lo fa collocare sul tovagliolo. Accanto alla posata di ciascun uomo si usa collocare la noticina dei piatti che saranno serviti. Badino, che dico si usa, ma non dico che sia bello. Ha un'aria da osteria; mi pare sempre che, giunti in fondo, si debba tirar la somma e pagare il conto. Quelli che sono molto devoti al culto dello stomaco però, sono fanatici di questa moda, che permette loro di prendere le debite misure, e di far il posto più largo ai piatti che preferiscono. Il padrone e la padrona di casa stanno nel centro della tavola, ai due lati, uno in faccia all'altro. Alla destra della moglie si mette l'uomo che si vuol onorare di più; ed alla destra del marito la signora di maggior riguardo: i due posti alla loro sinistra sono ancora posti d'onore. Sotto la tavola vanno messi gli scaldapiedi per le signore freddolose se è inverno. Gli sgabelli per le eroine che sfidano il gelo. La camera dev'essere stata ben riscaldata prima; e durante il pranzo si lascia spegnere la stufa per non rialzar troppo la temperatura. Nella sala da pranzo si prepara sulla credenza una tovaglia lunga, assortita al servizio della biancheria da tavola, o, se questo è bianco, assortita alla traversa iagonale, e sovr'essa una quantità di posate, avendo cura che vi siano quelle di forma apposita pel pesce, quelle pei legumi, per le frutta, i cucchiaini a spatola pei gelati, il coltello d'argento a due tagli pei gelati e le torte, ecc., ecc.; più i piatti pel servizio, le bottiglie dei vini scelti ed un certo numero di tovaglioli e di bicchieri per il caso di qualche inconveniente che richiedesse di sostituirli a quelli già posti in tavola. L'illuminazione sarà splendida. Che i cristalli e l'argenteria scintillino allegramente. In mezzo alla tavola si mettono soltanto i dolci e le frutta, ornati di fiori. La padrona di casa si mette un abito elegante, scollato o no, a seconda che il suo pranzo è più o meno di gala, e riceve gli invitati in sala. In Francia si usa far annunciare: " Madame est servie. Da noi il servitore apre l'uscio e dice: "È servito", sottinteso il pranzo. In molte famiglie adottano la formola francese. Ma è inutile, poichè si può farne a meno. La padrona di casa si rivolgerà lei stessa al signore che dovrà sedere alla sua destra, e lo inviterà ad accompagnarla in sala da pranzo. Se però fosse un sacerdote (e tengano bene a mente che, se s'invita un prete, bisogna dargli il posto d'onore, altrimenti bisogna far a meno d'invitarlo), se è un sacerdote, la signora non gli prenderà il braccio, e si limiterà a metterglisi accanto, ed a discorrere con lui, per fargli capire che dev'essere il suo vicino di destra. Il padrone di casa darà il braccio alla signora che deve stargli vicina, e s'incamminerà pel primo. Dietro lui seguiranno gli invitati, tutti gli uomini accompagnando le signore, ed evitando i complimenti sull'uscio, per non far attendere la padrona di casa, che deve rimaner l'ultima. Se la signora che dà il pranzo è vedova, o nubile, in faccia a sè metterà un vecchio parente od amico. Mai un giovinotto, a meno che lei fosse francamente vecchia. È soltanto nei pranzi di gran confidenza che si può scalcare in tavola; ed allora è il padrone di casa che si assume quell'incarico. Del resto, i piatti vengono recati interi, e poi ritolti e tagliati dal servitore ad hoc opra una tavola a parte, nella stessa sala, e portati in giro ai commensali. Il primo giro comincia dalla signora che è a destra del padrone di casa. Il secondo dalla signora alla sua sinistra. I giri seguenti cominciano man mano dalle signore che vengono di seguito, in modo che ciascuna signora alla sua volta sia prima a servirsi. Nel servizio alla francese, è il padrone di casa che taglia e manda dal servitore a ciascun commensale il piatto servito. Non faccio che accennare quest'uso e raccomandare caldamente di non adottarlo mai. Sono i locandieri che servono a porzioni; quanto a noi possiamo farle sui piatti dei servitori. Ma ai nostri ospiti dobbiamo lasciare almeno la libertà di servirsi da sè. Gli scaldavivande in tavola sono affatto fuori di moda; e non occorre spender parole a descrivere quel genere di servizio strano, che mandava tanto calore e tanti odori da dare il mal di capo e la nausea a tutti i convitati. Va pure passando di moda l'uso stomachevole di servire i vasi d'acqua tiepida per lavare la bocca. Doveva avere uno stomaco a prova di bomba quegli che ha imaginato di offrirsi quello spettacolo d'una dozzina di persone che gargarizzano e rivomitano l'acqua nella coppa, appunto al momento di finire il pranzo e cominciare la digestione. Certe cose è inconcepibile che si osi farle in pubblico. Non è più civile il risciacquarsi la bocca, che il fare un pediluvio alla presenza della gente. Cosa ne penserebbe il povero Monsignor della Casa, la cui suscettività era tale, che non poteva soffrire neppure che altri tenesse in bocca lo stuzzicadenti " come l'uccello che va a fare il suo nido? E, le prego, signore padrone di casa, non infilzino un interminabile rosario di piatti. Non è il numero, ma la squisitezza delle vivande, che fa il lusso ed il pregio del trattamento. Io penso ancora con raccapriccio a certi pranzi di provincia, dove ebbi il supplizio di vedermi sfilare davanti trenta, trentacinque e persino quaranta piatti. Si stava a tavola tre, quattro ore; veniva il granchio alle gambe, e si provava una smania, una frenesia di prendere un capo della tovaglia e di buttar tutto all'aria, e danzare sulle rovine per isgranchirsi. Durante il pranzo i discorsi debbono essere alternati in modo che ciascuno possa collocare la sua parola, e fare la sua figura. A questo deve vegliare la padrona di casa. E se un argomento prende il campo e minaccia di non cessare finchè se n'è visto il fondo, o se nasce una discussione, la padrona di casa deve avere abbastanza spirito per troncarli. Basterà una parola: * Signori miei, non sanno che noi signore, della loro politica non ci divertiamo punto?... * Badiamo che non s'avessero a sfidare in casa mia.... Non cerchino dei ripieghi. Non gioverebbero a nulla. Una signora aveva letto in un galateo moderno pubblicato alcuni anni fa, non so che bislacca storia d'una contessa, che per far cessare una discussione politica molto animata, aveva trovato il sublime ripiego di rompere un piatto. Quella poveretta l'aveva presa sul serio, e vedendo due signori riscaldarsi in una questione alla sua tavola, s'affrettò a gettare in terra una magnifica salsiera di porcellana. Sciupò il suo abito, i calzoni del vicino; ma era troppo educata per dar importanza a quel disastro. * Via non ci badino; è cosa da nulla, disse. Ed i due oratori ripresero il discorso al punto, preciso dov'era rimasto: * E come le dicevo, la Prussia è una nazione che pensa; una nazione filosofica.... * Ma lasci stare! La Francia è la prima nazione del mondo.... Un momento dopo erano più animati di prima, e la signora si credette in obbligo di rompere una fruttiera, più tardi una tazza da caffè senza ottener altro risultato, che l'interruzione di un momento. Se li avesse interrotti con garbo, ma francamente, la questione sarebbe finita senza lasciare sul campo la rovina di due servizi. All'opposto, bisogna aver grande cura noi stessi, e raccomandare caldamente ai servitori, di evitare, per amor del cielo, quei disgustosissimi incidenti, di rovesciamenti, di rotture, che obbligano sempre una persona a fare un atto eroico, per dimostrare uno stoicismo sovrumano, dinanzi ad un servizio guasto od un abito sciupato. Alzandosi da tavola la padrona di casa dà il braccio non più al suo vicino di destra, ma a quello di sinistra, e s'avvia per la prima alla sala dove si deve prendere il caffè, che servirà in persona aiutata dalle signorine. Gli invitati la seguono ed in ultimo viene il padrone di casa colla sua vicina di sinistra. - - - Se una signora riceve un invito a pranzo, risponde subito ringraziando e dicendo se accetta. O, se deve rifiutare, adduce una scusa plausibile, senza por tempo in mezzo, affinchè si possa, volendo offrire il suo posto in tempo ad un'altra persona. E, sia che abbia accettato o no, dovrà entro otto giorni fare una visita alla signora che l'ha invitata. Regolerà la sua abbigliatura da pranzo sulla forma dell'invito. Se è stampato, si metterà in abito di gala. Se è manoscritto, un po' meno. Giungerà all'ora indicata, nè prima nè dopo: e piuttosto prima che dopo. Il quarto legale una concessione di chi invita, ma l'invitato non deve farsene un diritto. Gli antichi Romani non pagavano i servitori. E quando davano un pranzo li facevano schierare ai due lati della porta, affinchè i commensali, uscendo, porgessero man mano a ciascuno una mancia. Era un onore non indifferente. È vero però che ne era compensato da un uso strambo, il quale dava diritto a ciascun invitato di togliere tre pietanze dalla mensa e mandarle in dono ai propri amici. Supposto che s'avessero dieci commensali, si dovevano preparare trenta pietanze di troppo affinchè si potessero togliere, senza che il pranzo ne patisse. Noi non usiamo portar via nulla dalla casa che ci ospita. Ma non affettiamo neppure, con una mancia ai servitori, di volerci sdebitare del pranzo ricevuto. Sarebbe un'impertinenza. Per dare la mancia alla servitù d'una casa che non è la nostra, bisogna averci passato almeno una notte. Tuttavia, se in una casa si va a pranzo sovente, o a passar la sera con assiduità, il giorno di capo d'anno si darà una mancia alle persone di servizio, che si trovano all'entrata, senza mai cercare di quelle che sono assenti, il che parrebbe un mezzo di far conoscere ai padroni che si vuol fare una generosità. Per quanto meschino, strano, assurdo possa essere il servizio d'un pranzo, una signora ammodo si guarderà bene dal censurarlo, o dal metterlo in caricatura. Gli anfitrioni soltanto debbono avere in mente i due versi che ho messi per epigrafe a questo capitolo; gli invitati invece debbono ricordarsi che l'ospitalità non consiste nell'offrir molto, ma nell'offrire quello che si ha. - - - Ricevendo di sera, se la conversazione è numerosa, è indispensabile di far annunciare alla porta le persone che entrano, perchè la padrona di casa non potrebbe, dopo aver presentato un nuovo venuto, ripetergli tutta la litania dei nomi dei suoi ospiti, e ricominciare la medesima seccatura ad ogni persona che entra. Allora le presentazioni saranno parziali, ed il tatto della signora soltanto dovrà dirigerle, regolandosi sui rapporti di gusti, di professione, d'età, in modo che le persone che ha presentate le une alle altre si trovin bene insieme. Sa che una signora ha grande ammirazione per un poeta? presenterà quel poeta all'ammiratrice. Due persone che hanno viaggiato molto le saranno grate se le riunirà per discorrer delle loro impressioni. Tutti i melomani saranno lusingati d'essere presentati alle notabilità musicali. Fuorchè nel caso in cui si balli, non presenterà mai un giovinotto ad una signorina ed in nessun caso presenterà mai una signora ad un uomo; ma sempre l'uomo alla signora; a meno che si trattasse d'un uomo tanto vecchio da poter ricevere lui quell'atto di deferenza. Gian Giacomo Rousseau ha detto: "A la manière dont les gens du monde passent leur temps, on dirait qu'ils ont peur de n'être pas assez bêtes." Quando una padrona di casa non sa condur bene la conversazione, mi accade sempre di ricordarmi quel motto. Domina un'atmosfera di soggezione. Ogni persona che parla, sembra affrettata di finire, perchè si sgomenta ad udir echeggiare la propria voce. Poi succedono quei minuti di silenzio imbarazzante, e quell'infelice che deve romperlo, prova l'impressione di slanciarsi sopra un lago di ghiaccio per spezzarne la crosta. Oppure un argomento domina tutta la sera, e le persone che non vi si interessano sono ridotte al silenzio. Lascerò allo stesso Gian Giacomo Rousseau che ha condannato il modo d'agire delle persone del gran mondo, la cura d'insegnare come debbono regolarsi. Non c'è miglior medico, per curare un male, di quello che l'ha scoperto: "Una conversazione ben intesa * dice Rousseau * dev'essere scorrevole, naturale. Nè pesante nè frivola; dotta senza pedanteria, allegra senza tumulto, civile senz'affettazione, galante senza sguaiatezza, faceta senza equivoco. Non si fanno nè dissertazioni, nè epigrammi; vi si ragiona senza argomentare; vi si scherza senza freddure; i si associa con arte lo spirito e la ragione, le massime e le arguzie, i motti ingegnosi, e la morale austera. "Vi si parla di tutto, affinchè ciascuno possa dire qualche cosa. "Non si approfondiscono le questioni per non annoiare; si propongono di volo, si trattano rapidamente; dalla precisione risulta l'eleganza. Ognuno, dice il suo parere, e l'afferma con poche parole. Nessuno si oppone vivamente al parere di un altro, nessuno difende con ostinazione il proprio; si discute per imparare; ma non bisogna spingere troppo la discussione. Tutti s'istruiscono; tutti si divertono; tutti se ne vanno contenti; ed anche il savio può raccogliere in quei trattenimenti, degli argomenti degni d'esser meditati in silenzio." Lo spirito è il dono più pericoloso che la sorte possa fare ad una signora. È come quei talenti della parabola che eran tanto difficili ad impiegar bene. Bisogna possedere un'abnegazione eroica, per saper sacrificare lo spirito alla cortesia. Viene alle labbra un motto; è un motto assassino; quella persona ne soffrirà: ma quell'altra lo apprezzerà: lo andrà ripetendo. La convenienza è in lotta colla vanità, ma pur troppo è questa che vince. È nota la conseguenza fatale d'un motto di Danton. Disse di Saint-Just, il quale camminava diritto tutto d'un pezzo come camminerebbe, se camminasse, un turco impalato: Il porte sa tête comme le Saint-Sacrement. aint-Just, lo seppe, e rispose: Je lui ferais porter la sienne comme Saint- Denis. utti sanno che S. Dionigi decapitato, fece il miracolo di passeggiare colla propria testa in mano. Danton non fece il miracolo, ma fu decapitato per opera di Saint-Just. Certo erano nemici politici, e non fu per quel motto che Danton fu condannato. Ma è certo altresì, che quel motto ha posto la sua goccia di fiele in quell'odio implacabile. Ho udito io stessa un motto che non ebbe conseguenze tragiche, ma fece nascere un'iliade di guai. Una signorina di spirito era fidanzata con un giovinotto che amava con passione; ma non doveva sposarlo che fra un anno; però, volendo tenere segreta la cosa, non si erano stabilite relazioni d'amicizia tra le due famiglie, ed i fidanzati andavano in società e si trattavano come semplici conoscenti. Una sera la fidanzata si trovò ad una riunione danzante accanto ad una signora, la quale aveva una paura così orribile dei trent'anni, che sebbene fosse prossima alla quarantina, si ostinava di rimaner alla porta della terza decina senza entrarvi mai. E, come tutte le persone in simili disposizioni di spirito.... e di fede di nascita, parlava sempre della sua età per informare il pubblico di quella che voleva avere. Non danza? le disse un suo conoscente. * Che le pare! Alla mia età! Presto presto avrò compiti i trent'anni. * Tarda assai a compirli! disse la fidanzata al suo ballerino, abbastanza forte perchè tutti i vicini l'udissero, compresa la signora, la quale si fece di brace. Poco dopo venne suo fratello a prenderla. Era il fidanzato della signora di spirito; lei non conosceva neppure di vista quella futura cognata, maritata fuori di Milano, e giunta pochi giorni prima per passare un po' di tempo in famiglia. Da quella sera, i genitori del giovine posero tanti bastoni nelle ruote che il matrimonio non si fece più fin dopo la loro morte. Le due cognate non si vedono ancora. Boccaccio ha detto: * Il motto deve mordere come la pecora, non come il cane. - - - Perchè una serata riesca gradevole bisogna provvedere in modo che tutti possano divertirsi alla loro maniera. La conversazione è ottima per chi ama conversare: ma non basta. Ci devono essere un pianoforte pei dilettanti; delle tavole da gioco pei giocatori seri di scacchi, di dama, di tarocchi; qualche altro gioco meno serio per la gioventù. I pedanti nutrono un profondo orrore per le signore e signorine, che non rifuggono dalle tavole da gioco, come il diavolo dall'acqua santa. * Vi si provano commozioni pericolose, esclamano; e consigliano ancora e sempre i giochi innocenti. Ebbene, confesso che sono del parer contrario dei signori pedanti, e non è la prima volta. Io non mi sgomento affatto al veder una signorina od una signora esposta alla terribile commozione di perdere o di guadagnare qualche soldo, o anche qualche lira; ma mi mortifica, mi affligge il vederle impegnate in quei giuochi pieni d'equivoci che sembrano inventati apposta per farle arrossire, sebbene si chiamino innocenti. Mi ricordo una sera in cui si faceva quello stupido gioco degli spropositi. S'erano date le domande: Dove? Quando? Perchè? Quali saranno le conseguenze? Le risposte furono scritte a caso senza saper le domande. Una signora maritata senza figli, supponendo le domande frequentissime: Che cosa desidera? Chi è più bello? Qual'è la cosa più gentile? cc., rispose: Un bambino. i posero nell'urna le domande e le risposte. Si appaiarono a caso, ed aperti i biglietti risultò: * Dove? * Nell'ombra. * Quando? * A piacere. * Perchè? * Debolezze umane! * Quali saranno le conseguenze? * Un bambino. Quella che leggeva era una giovinetta. Via, confessino, signore mie, che sarebbero state meno pericolose le emozioni d'una partita di tresette o di tombola; credo che in tutta la sua vita quella giovine non avrà più occasione di arrossire come in quel gioco innocente. - - - Il trattamento da offrire in una serata è arbitrario. Il più generalmente adottato è il té; a è altresì il più economico, ed il meno accetto. Non è ancora abbastanza entrato nelle nostre abitudini, ed una grande quantità di persone non possono prenderlo senza soffrirne una veglia nervosa. Una padrona di casa non può offrire una seconda sera il té d una persona che l'ha rifiutato la prima per questa ragione. Lo zabajone, la cioccolata, il vino caldo, il ponce, i vini fini, i liquori dolci, sono tutte bevande che si possono offrire. Le paste più adatte sono i picnics i muffins, e sugar-wafers, sopratutto i petits fours, soltanto col té e coi vini si accoppiano bene i sandwichs. ol ponce e col vino caldo vanno egregiamente le brioches, il babà. ogli altri servizi tutte le paste dolci, non escluso il panettone.... e che Dio, il signor Fanfani ed il signor Rigutini mi perdonino il linguaggio ostrogoto di questi particolari gastronomici. Per quanto la mia ignoranza mi consigli ad aggrapparmi al detto di Voltaire: Le puriste est toujours pauvre d'idées, on posso farmi l'illusione che il valore di queste idee ghiotte sia tale da farmi perdonare la barbarie della nomenclatura. Se un artista di professione, uomo o donna, ha fatto ad una signora la gentilezza di cantare o sonare ad una serata d'invito, senza un accordo di compenso, la padrona di casa deve mandargli un dono a titolo di ringraziamento. - - - Se la serata offerta è un ballo, si debbono mandare gli inviti almeno otto giorni prima, per dar tempo alle signore di preparare le abbigliature. Oltre le sale smobigliate, ornate di fiori ed illuminate per la danza, ci dev'essere un salotto ben riscaldato, dove si accoglieranno i primi invitati, e dove potranno ripararsi dal gelo le signore che non danzano, qualche sala da gioco, e, se si vuole, un gabinetto pei fumatori; una moda che altre volte sarebbe sembrata un po' soldatesca, ma di cui gli uomini tengono gran conto; e serbano riconoscenza alla padrona di casa; del resto è adottata anche a Corte. Non bisogna trascurare di mettere un ordine scrupoloso nel regolamento della guardaroba, affinchè ognuno possa con sicurezza deporre il soprabito ed il cappello, i mantelli ed i cappucci delle signore, ricevere un riscontrino numerizzato, e riavere tutte le cose sue quando lo ripresenterà nell'uscire. Gli immensi strascichi, la leggerezza degli abiti da ballo, e i movimenti vivaci della danza, danno luogo ad una quantità d'inconvenienti, per cui si dovrà destinare una camera per le signore, dove rimanga tutta la notte una cameriera munita di aghi, spilli, sete d'ogni colore, per accomodare gli abiti lacerati, rimettere a posto i fiori caduti, rifare le pettinature. Sarei ben meravigliata se una signora uscisse di là senza aver cercato collo sguardo una scatola di cipria; e consiglio la padrona di casa a non lasciar mancare quest'oggetto, che le signore considerano di prima necessità. Se durante la notte si dà una cena, tutto deve essere apparecchiato sopra una tavola a cui siederanno soltanto le signore, nel caso che non ci fosse posto per tutti, lasciando gli uomini stessi, se la cena è di confidenza, incaricati di servire le signore. Non si servono che cibi freddi. Ho letto in un romanzo del padre Bresciani d'un giovinotto innamorato, che profittò di quell'occasione per mettersi in tasca, a titolo di ricordo, i torsi, i noccioli e le bucce della frutta che la sua bella aveva mangiate. Non posso consigliar le signore d'ingoiare quelle reliquie, per non correre il rischio di trovarne il profumo e le tracce succulente sugli abiti del loro ballerino. E non mi sembra neppure il caso d'incoraggiarle a nasconderle dove Rebecca nascose i suoi idoli alle ricerche di Labano. Ma se sanno di avere un adoratore capace di spingere la devozione a tali estremi, non si lascino servire che da un fratello, o dal proprio marito. Sgraziatamente vi sono troppo spesso nelle adunanze numerose dei raccoglitori, che tendono a compromettere non le signore ma il buffet, mpiendosi le tasche di tutt'altro che di torsoli. Per costoro ogni parola sarebbe superflua. Sono troppo teneri dei loro gusti per cercare nel mio libro insegnamenti che li combattono. Ma una signora che, per disgrazia, avesse un marito di quel genere, dovrà astenersi assolutamente dal farsi accompagnare in qualsiasi luogo, dove possa scontrarsi in una tentazione. Quanto alla padrona di casa, dovrà imporre silenzio alla delicatezza de' suoi gusti, oltraggiata da tanta volgarità, e non dimostrare menomamente la ripugnanza che prova per l'individuo sconveniente ed esoso, salvo ben inteso, a non invitarlo mai più. Se non si vuole apprestare nè una cena, nè un buffet i faranno portare in giro le stesse cose che si offrirebbero ad una semplice serata ripetendole parecchie volte; e tra l'una e l'altra non si cesserà di far offrire acque sciroppate e gelati. Per chi dà un ballo, è un'indiscrezione il contare sulla compiacenza dei dilettanti per la musica. Questa parte tanto importante d'una festa da ballo è troppo sovente trascurata dai padroni di casa. Una signora che voglia fare le cose bene, si rivolgerà al suo maestro di pianoforte, e lo pregherà di procurarle dei buoni suonatori. E li accoglierà con quella cordialità con cui le persone educate e di buon gusto accolgono sempre gli artisti. Haydn ha suonato tante volte per far danzare; e che povera gente anche! Una signora, che lo avesse trattato con alterezza, sarebbe stata ridotta più tardi a piangere di vergogna. Lesinare sul compenso che è loro dovuto, limitarne i rinfreschi, farli cenare alla tavola di servizio, sono volgarità da villani rifatti. Debbono avere una tavola a parte ed un trattamento uguale a quello degli invitati. Se i sonatori fossero i maestri della padrona di casa, di suo marito o dei suoi figli, nulla può dispensarla dal farli sedere a cena alla sua stessa tavola e dal rivolger loro la parola spesso durante la notte. La padrona di casa, se è giovine apre il ballo con una quadriglia, nella quale deve avere in faccia suo marito. Se i padroni di casa non ballano, scelgono una coppia giovine nella loro parentela o nei più intimi amici, e la pregano di rappresentarli. Durante il ballo la padrona di casa non accetterà mai di ballare, quando rimangono altre ballerine sedute e procurerà di mandar loro dei ballerini. Non occorre dire che deve incaricarsi, unitamente a suo marito, delle presentazioni. Il dare un ballo in casa propria è un lungo e penoso sacrifizio. È vero che si semina per raccogliere. Ma la seminagione è laboriosa e difficile; il raccolto incerto, e non sempre proporzionato a quanto è costato. - - - E, poichè ci siamo, parliamo di quel raccolto, che consiste in un ricambio d'inviti, ai quali, s'accettino o no, si risponde sempre con una carta di visita unita a quella del marito. È affatto inutile d'affrettarsi per giungere ad un ballo; si arriva sempre a tempo. È parimenti superfluo il mostrarsi impensierita della propria abbigliatura, rialzare lo strascico, assicurarsi tratto tratto se i gioielli sono al loro posto. Ogni signora procuri di esser vestita bene e solidamente, ed alla guardia di Dio! E se l'abito si lacera, passi a farlo accomodare, senza fermarsi a gemere doglianze ed a verificare i danni. E se un vezzo di brillanti si spezza lo lasci spezzare, e riponga la parte staccata senza altri discorsi. Nulla è più plateale di quella continua cura dei propri averi. Una vera signora deve saperli portare con nobile indifferenza. Sarebbe un malcreato chiunque pregasse una signora di accordargli un ballo, senza esserle stato presentato, ma se il malcreato ci fosse, la signora dovrebbe rifiutargli il favore. Volendo passare dalla sala da ballo al buffet isogna farsi accompagnare dal proprio marito, e le signore vedove e nubili ci andranno col babbo, lo zio, o il marito della signora colla quale si sono accompagnate. Le dimenticanze, i doppi impegni di balli, i rifiuti non giustificati, le preferenze evidenti, tutto quanto può far nascere quistioni, dissapori o commenti, è sconvenientissimo da parte d'una signora, e dà una idea meschina della sua educazione. Se una signora che non ama il ballo, è afflitta dalla disgrazia suprema d'un marito maniaco per la danza, si sacrifichi a Tersicore, e balli anche lei ad ogni costo. Il più grottesco di tutti i ridicoli che brulicano sotto il sole, è il marito danzante d'una signora che non balla. In Francia nella casa in cui si dà un ballo si usa fermare tutti gli orologi. Non si contano le ore alla gioia. Si è là per passare il tempo allegramente, non per misurarlo. Questa precauzione non serve a nulla, perchè ogni ballerino ha un orologio in tasca. (Ai tempi della marchesa Colombi ne avevano due). Ma.è un pensiero grazioso. - - - In teatro una signora occupa sempre il posto d'onore. Se sono due nello stesso palco, maritate e giovani entrambe, cambieranno posto una volta durante la serata, non di più. Sono le provinciali che si credono in obbligo di alternarsi ad ogni atto, per mutar prospettiva, come se facessero parte dello spettacolo. Le signorine di provincia non crederebbero d'esser ben equipaggiate pel teatro, se non si munissero di un mazzo di fiori, di due o tre cartocci di caramelle, d'una scatola di pastiglie di menta, d'un sacchetto i zuccherini e cioccolatta, come se partissero per un lungo viaggio in paesi deserti. Nulla di tutto codesto. Se il marito, un parente, un amico intimo, ha il gentil pensiero d'offrire qualche fiore o qualche dolce ad una signora, li accetterà in teatro; altrimenti ne faccia a meno; ma non arrivi, per carità, colle sue provvigioni da bocca come un soldato al bivacco. Ricevendo visite in palco, la signora dovrà salutare, sostenere la conversazione durante gli intermezzi, e frenarla durante la rappresentazione per non esporsi alla vergogna di farsi zittire. Tutti gli uomini educati sanno che, entrando, debbono occupare l'ultimo posto ed avanzarsi man mano, per diritto d'anzianità, a misura che un primo venuto si congeda, finchè siano giunti a tenere alla loro volta uno dei posti accanto alla signora. Di tutto questo lei non dovrà occuparsi affatto. Qualunque sia l'entusiasmo che le ferve nel cuore, una signora non applaude mai. Le dimostrazioni opposte non sono convenienti neppure per gli uomini. Davanti ad una signora poi, non vi potrebbe essere altri che un mascalzone capace di voler fischiare. Ed i mascalzoni non vanno nei palchi delle signore. È di buon gusto il non uscir mai dal teatro in un momento in cui lo spettacolo interessa vivamente il pubblico, o almeno di uscire in gran silenzio per non disturbare lo spettacolo. Quando entrano in teatro il re, la regina o altri personaggi della casa reale, anche le signore si alzano e rimangono in piedi finchè il personaggio illustre è seduto. Ai concerti, ai ritrovi d'ogni sorta dove la famiglia reale siede in posti speciali, chiunque dovesse passare a lato delle Loro Altezze dovrà fermarsi e fare un inchino. Questo si deve fare anche in istrada quando passa una carrozza di corte. Agire altrimenti sarebbe una dimostrazione ostile. - - - Cessati i piaceri della città, chiusi i teatri, e le serate divenute tanto brevi che non c'è più tempo alle riunioni, una signora elegante non ha altro di meglio a fare che ammalarsi. Oh! una malattia senza gravità, che non ne alteri la freschezza, che non la obblighi a star in casa, nè a nessun'altra privazione. * Un'emicrania periodica, che verrebbe ogni otto giorni.... se venisse. Un prurito nervoso sotto l'unghia del dito mignolo. Un'avversione pronunciatissima a tutti i colori delle tappezzerie di casa. Una lieve difficoltà a digerire peperoni crudi e corteccie di limone. Infine una malattia comoda purchessia, la quale porti con sè la certezza che la sua guarigione sta nelle acque del tal paese, o nei bagni del tal altro. Naturalmente, la civiltà moderna non ammette che esista sulla terra un marito così barbaro, così pelle rossa, così basci-bazouk, il quale rifiuti di sacrificare tutti i suoi risparmi, di alienare se occorre il suo patrimonio, d'impegnare l'argenteria di casa, di vendere fin i ciondoli del suo orologio ed i suoi sigari d'avana, pur di ricuperare la salute pericolante di sua moglie, colla cura delle acque indicate... dalla moda. Se lui non può accompagnarla, non importa. Sua moglie è pronta a sacrificarsi. Andrà sola. Oh le mogli sono d'una generosità!... le bagnature sono tutte popolate di signore senza mariti e di uomini senza signore. Appena giunte alle bagnature, le donnine più ammodo aprono una nobile gara a chi riuscirà meglio a farsi prender in fallo. Abiti stravaganti; cappellini impossibili; acconciature sguaiate. Tutte approvano il canto del dott. Brown, la marsigliese elle emancipatrici: "Freedom of speech from what we think, And freedom too in dress;" che io traduco liberamente: "Libero il dir quanto ci passa in testa, Ed alle ortiche la toletta onesta!" Le più modeste ladies, he cadrebbero coscienziosamente svenute se il loro marito osasse chiamare col suo vero nome quella parte del loro vestiario che loro definiscono pudicamente gli inesprimibili, on esitano a mostrarsi sulla spiaggia, succintamente vestite di inesprimibili anche loro lasciando all'estremità delle gambe che ne sporgono, tutta la cura di predicare la rinuncia al mondo ed al demonio, com'esse hanno rinunciato alla carne. E si scende a colazione in accappatoio come se si stesse alla sponda, o come direbbe il signor Rigutini, nel corsello del proprio letto. E, con quell'abito svolazzante ed i capelli sciolti, si siede o si passeggia flirteggiando on un ignoto qualunque, di cui è molto se si conosce il nome ed il colore dei guanti; la sera si scende scollate nelle sale di compagnia; o, sole, sissignore; ai bagni è permesso. Fanno tutte così. * Sa cantare, signora? * Un poco. * Conosce il duetto degli Ugonotti Di' che m'aaami diii.... * Sissignore. * Vorrebbe cantarlo con me? * Chi me Lui; chiunque; non importa; ai bagni si parla, si balla, si canta con tutti. Freedom of speech Che meraviglia poi, se, per farsi conoscere meglio, quell'ignoto s'affretta a dimostrare di che misura d'impertinenza lo ha dotato l'educazione moderna? Eppure se la cosa viene ad orecchio al marito, dovrà mettere durlindana al vento, e se occorre, fare col proprio sangue la quietanza all'oltraggio che ha ricevuto sua moglie. Ma! così si usa. Perchè? Per evitare il ridicolo? Già. Però dopo il duello sarà più ridicolo di prima. Oh! la libertà delle signore, che vuole le sue piccole cospirazioni, che suscita i suoi piccoli odii, ed i suoi piccoli amori, e le sue guerre in diciottesimo come la libertà dei popoli, piccolo serpente che seduce le pronipoti della vecchia Eva! Dov'è la Madonna che gli schiacci il capo? Si comportano come ho accennato più sopra, mie gentili lettrici, quando vanno alle bagnature? In tal caso hanno sbagliato strada. Smettano un poco il rigore delle presentazioni che si deve serbare in città, se sono col loro marito; ma se sono sole, richiedano più che mai quella guarentigia prima di entrare in relazione con chicchessia. Cerchino di giungere con una lettera pel proprietario dello stabilimento, e lui avrà di presentar loro le persone di cui crederà di poter rispondere. Cogli ignoti scambino le parole di stretta cortesia, e non altro. Procurino di essere sempre in tempo alla tavola comune, per evitare ai conoscenti la noia di aspettarle e se tarda una signora con cui hanno stretta relazione e che ha il posto vicino a loro ed è solita a pranzare discorrendo insieme come fossero in casa, le usino la cortesia d'aspettarla un poco. Se sono ai bagni per fare una cura non parlino a tavola dei loro malanni. Vi sono persone a cui i discorsi di malinconie tolgono l'appetito. E se per caso è un altro che fa la descrizione delle proprie sofferenze, non se ne mostrino disgustate. Appena conoscono qualche signora, si associno con lei per le partite di piacere, le passeggiate, le chiacchiere all'ombra, i giuochi. E non vadan mai sole passeggiando fra le ombre del giardino: "Ove in disparte bisbigliando errano (Nè patto umano nè destin ferreo L'un dall'altro divelle) I poeti e le belle. - - - Dove una signora può veramente permettersi una maggior libertà, è in campagna. Prima di tutto potrà ricevere degli ospiti per un tempo più o meno lungo. Sono conoscenti di famiglia, e per essere invitati debbono godere un certo grado d'intimità. Lei sa con chi tratta, ed è sicura che le sue parole e le sue azioni non possono venir interpretate malignamente. I vicini di villa, o sono proprietari che tutto il circondario conosce; o sono inquilini le cui informazioni hanno già soddisfatto il proprietario, che ha creduto di potere con tutta fiducia affittar loro la sua villa. E sono istallati là per un certo tempo. Non sono la popolazione nomade dei bagni. Si può aspettare alcuni giorni, osservare le loro abitudini, prima di decidere se convenga o no incontrarne la relazione. Ogni villeggiante è tenuta a fare una visita agli ultimi vicini venuti; ben inteso quando vi sono signore. Se è ricambiata con una visita entro otto giorni, vuol dire che la relazione è accettata, ed allora lei ritorna, e si stabiliscono quei rapporti frequenti ed amichevoli che sono uno dei piaceri della campagna. Se riceve invece una carta di visita, deve comprendere che i nuovi venuti desiderano viver soli, ed allora li lascia in pace. In villa si hanno maggiori doveri che in città verso i visitatori. Non basta farli sedere, metter loro uno sgabello sotto i piedi se sono signore, ed intrattenerli a discorrere. Bisogna pensare che hanno fatto un tratto di strada in campagna col caldo e la polvere, che forse vengono da lontano, e, senza spingere le cose fino a far loro un pediluvio come si usava nell'eccessiva ospitalità dei patriarchi, bisognerà offrir qualche cosa da bere, un rinfresco. E badino, signore mie, a non interrogare i visitatori prima di dare quell'ordine, o prima di mandare in giro le tazze. Il domandare: "Vogliono bere? Prendono qualche cosa?" è come obbligarli a dire di no per cerimonia. Mi trovai una volta con una brigata numerosa nella villa d'una sposina giovanissima, che faceva gli onori di casa con tutta l'inesperienza de' suoi sedici anni, ed un po' di mala grazia per giunta. Aveva fatto posare il vassoio col ghiaccio, le brocche, le tazze e tutto sopra una tavola, e là, piantata dinanzi al servizio, si pose a fare l'appello come un ufficiale alla sua compagnia: * Signora A prende caffè? La signora A aveva molta sete, ma per complimento dovette dire: * La ringrazio, non si disturbi. * Signora B * No davvero, la prego; non si stia ad incomodare. E così giunse all'ultima persona senza immolare all'ospitalità neppure una goccia di quel caffè prezioso, ed obbligandoci a ringraziarla di nulla mentre si ripartiva assetati! Quando s'invita un ospite, è di buon gusto andarla ad incontrare al suo arrivo, per mostrargli che è aspettato con impazienza. Se vi sono altri ospiti in casa, che possano associarsi a quella passeggiata, la padrona di casa ne farà la proposta. Se invece avesse con sè persone di suggezione o attempate non le lascerà. Procurerà di mandare suo marito, suo figlio, una sorella maritata, qualcuno della famiglia incontro ai nuovi venuti, che per lo più scendendo allo scalo hanno bisogno d'una carrozza o d'una guida. E se la signora fosse sola, manderà la carrozza, se l'ha, colla propria cameriera: oppure un servitore a piedi, ed in mancanza d'ogni altro lusso, un massaio; ed appena i viaggiatori giungeranno in vista della casa, correrà ad incontrarli, ed addurrà le vere cause che le impedirono di andar prima e più lontano, e se ne scuserà. Quando avrà offerti agli ospiti tutti quei rinfreschi di cui possono aver bisogno dopo il viaggio, li condurrà nella camera che avrà destinata per loro. Ma per carità non trascini una persona stanca a far l'inventario di tutta la villa; è un complimento opprimente. Più tardi, il domani, quando il suo forastiero sarà riposato, avrà tempo a veder tutto. Ed anche allora lasci che vada da sè. I padroni di casa sono i più incomodi e gravosi fra i ciceroni. Gli altri si pagano uno scudo, e si acquista il diritto di bestemmiare loro sul muso magari che San Pietro in Roma è una chiesuola da villaggio, e che il Mosè di Michelangelo è un fantoccio. Per quello scudo abdicano ogni suscettibilità artistica e patriottica. Ma ai padroni di casa si deve un aggettivo ammirativo per ogni cosa che ci mostrano, fortunati ancora noi, se ci fanno grazia del superlativo. L'esposizione della casa dev'essere stupenda e saluberrima. I quattro punti cardinali hanno fatto delle transazioni colla cosmografia, per aggiustarsi in modo che quella casa potesse goderli tutti: * È solida questa costruzione, sebbene sul colle. Senta che saldezza di pavimenti. Faccia un salto. Così. Un altro! * Ed il padrone di casa salta lui pel primo, e bisogna saltare, e trasecolare per meraviglia di non avere sfondata la casa. * E le mie cantine! Sono fresche come ghiacciai. * Sono persuaso.... si capisce dalla posizione.... dal terreno.... * Ma no, deve vederle. Sentirà che freddo. C'è da pigliarsi un'infreddatura. Il signor Tale che è sceso ieri, oggi ha una tosse!... ed il signor Tal altro ha sternutato otto volte di seguito nell'entrarci. Il meno che possa fare il nuovo venuto è di sternutare dieci volte per cortesia, e prendere una bronchite. * Ed i cavoli dell'orto! Una meraviglia! * Ed i peperoni! Un prodigio. * Per i fiori: * bello, molto bello, bellissimo, stupendo!... guai se vengono meno gli aggettivi. L'amor proprio del padrone di casa è ferito. Doveva essere un triste ospite Voltaire, il quale diceva che * "l'aggettivo è il maggior nemico del sostantivo anche quando s'accordano in genere, numero e caso..." Dunque, signore mie, risparmino ai loro invitati la via crucis el loro podere. Accordino loro la massima libertà d'azione. Tocca all'ospite di non goderne e di associarsi completamente alle abitudini della famiglia. Se per caso l'ospite è un maestro o un dilettante di musica, non gli addossino l'incarico di divertire e far danzare tutto il vicinato. Se è un pittore, non lo condannino a ritrattare tutta la famiglia, dal capo di casa fino al gatto. Se è un avvocato non lo obblighino a dare una serie di consulti legali sui fatti loro, e se è un medico non lo tormentino coll'illiade dei loro piccoli e grandi malanni. L'ospite è un amico, lo trattino come amico soltanto, ed alla sua presenza, signore massaie, lascino andare tutti i discorsi d'economia. Sì, il vitto è caro; la carne ha un prezzo esagerato; e le frutta poi, un'immoralità. È verissimo. Tutto questo lo diranno al loro marito, lo scriveranno a me se hanno bisogno di sfogarsi un poco. Ma per chi vive in casa loro, capiranno che certi calcoli si potrebbero tradurre in volgare: * Quanto mi costa ospitarli, signori miei! Mi sono debitori di tanto e tanto.... e poi ancora tanto! Quando un invitato annuncia che vuol partire, dev'essere sempre troppo presto per la padrona di casa. Le sembra che sia giunto allora! Però si guarderà bene da quelle dimostrazioni di amicizia imperiosa ed aggressiva, che nasconde le valigie, manda indietro le sfere degli orologi, fa perdere i treni, violenta gli ospiti in ogni maniera, e li obbliga ad una lotta corpo a corpo per ricuperare la loro libertà. Lo crederebbero, signore mie, che esistono a questo mondo, a questo stesso mondo in cui vivono loro, così educate e gentili, certe padrone di casa che quando i loro invitati hanno voltate le spalle domandano alle persone di servizio quanto hanno dato di mancia? * OOOh!!! Così è. Loro non ne conoscono. Io neppure, se Dio vuole. Ma se mai sentissero dire che la signora Trestelle, o Quattro Asterischi ha questa volgare abitudine, facciano in modo di smarrire questo mio volumetto alla porta della sua casa. Per quella signora là soltanto, io noto qui che le padrone di casa debbono astenersi assolutamente dall'entrare in certi particolari, e se una persona di servizio troppo famigliare volesse raccontarli, tocca alla signora insegnarle il rispetto che le deve. Sono i padroni di bottega che domandano conto delle mancie; e quelli sono giustificati dalla necessità di ripartirle equamente fra i loro garzoni. - - - A misura che l'istruzione delle signore si raffina, la loro corrispondenza si fa più estesa ed importante. In questo anno di grazia, e di scuole superiori, mille ottocentonovantadue, sarebbe ridicolo che io mi mettessi ad insegnare alle signore come si scrivono le lettere. Ho detto su questo proposito il mio parere alle signorine e basta. Ne parlo unicamente per la parte che riguarda le convenienze. Una signora deve avere la carta colle sue cifre, e la corona, se l'almanacco di Gota non ci ha nulla in contrario. La forma della carta è soggetta ai capricci della moda, come pure il colore. Costa così poco l'uniformarvisi, ed è tanto bello il vedere che tutto quanto parte da una signora è grazioso, elegante, moderno come lei, che non esito a consigliarle di seguire la moda se possono. Ora l'ultimissima moda è d'avere un motto latino. Da tempi immemorabili questo si è usato da qualcuno. Ma ora si va generalizzando, e non c'è persona raffinata che non abbia il suo motto in testa alla carta da lettere. È un uso che mi sembra buono. Per un sentimento di onestà si studia un motto che risponda ad un nostro principio, ad una nostra passione alta e nobile; ad un nostro proposito, e per lo stesso sentimento di onestà, si è portati a non ismentire il motto colle nostre azioni; per cui è quasi un impegno che ci assumiamo di mettere in pratica il motto adottato. Ma, badino, la carta colla cifra e collo stemma o col motto, non si adopera mai per mandar commissioni alla sarta, alla modista, al mercante, al calzolaio. Possono figurarsi, un calzolaio, che riceve una lettera precisamente uguale a quella che manderebbero alla loro più intima amica? Sarebbe come farlo sedere alla loro tavola e questo non si usa. Il più democratico dei deputati di sinistra, un arruffapopolo addirittura, stringerà la mano al suo portinaio, ma non trincherà insieme, e non gli farà di cappello come ad un ministro. La corrispondenza d'una signora è più estesa che quella di una signorina; e le presenta un più vasto campo per far apprezzare il suo spirito, le sue osservazioni, la sua originalità d'idee; bisogna avere, come ho la fortuna d'avere io, un'immensa corrispondenza colle signore, per farsi un'idea del gusto, della grazia, dell'eleganza che ci mettono. Nella loro modestia, alcune di quelle lettere sono piccoli capolavori. Ed i pedanti ed i puristi vanno dicendo che in Italia non si sa scrivere! Chi non sa scrivere? Loro, e noi, letterati e letteratucoli mi metto fra questi, che, a forza di studiare parole nei vocabolari, perdiamo il filo delle idee, e diventiamo imbecilli. Ma torniamo a bomba, come dicono i letterati. Le lettere di dovere per una signora si suppliscono, volendo, con una carta da visita. E di queste avrà una larga distribuzione da fare. Avrà cura di esserne sempre ben provveduta. Al capo d'anno, dopo aver scritto ai parenti ed amici lontani e visitate personalmente quelle persone, verso le quali i riguardi di grado sociale e d'età non le permettono di disimpegnarsi con una semplice carta, manderà la carta da visita alle sue conoscenti. Una delle sue, ed una del marito bastano per una vedova, per una signora sola, per una madre con una o più signorine. Per due sorelle o due cognate, vedove o attempate entrambe, manderà due carte proprie e due del marito. Ad una signora maritata manderà una carta sua e due del marito, il quale deve far auguri all'amica della moglie, ed al marito di lei. In una casa in cui vi fossero oltre al marito colla moglie (i figli non contano), un suocero, una suocera, una cognata, ecc., la signora manderà tante carte quante sono le signore in famiglia; il marito tante carte quanto sono gli uomini, più una per la padrona di casa. Dato che una famiglia sia molto numerosa, il moltiplicare esattamente le carte di visita che vi si devono mandare, sarebbe una pedanteria. Allora si mandano soltanto ai coniugi che sono capi di casa. Ricevendo un annuncio di matrimonio, si risponde con una carta dei due coniugi ai genitori della sposa, ed una pure d'entrambi, ai genitori dello sposo. Se si è assistito ad un matrimonio, subito dopo si mandano le carte da visita, una della signora e due del marito ai nuovi sposi. Ricevendo l'annuncio d'un battesimo o d'una morte, si risponde colle proprie carte alla famiglia. In entrambi i casi, come pure per nozze, molti usano le lettere P. C. Vuol dire ugualmente per condoglianza, per congratulazione. onosco un signore che le ha fatte incidere addirittura sulle sue carte. Dice che sono un tesoro quelle due iniziali, perchè sanno interpretare tutti i sentimenti. Secondo lui, in caso di morte, i superstiti che hanno ereditato non mancano mai di leggere per congratulazione; , sempre secondo lui, gli sposi, che possono averle soltanto tornando dal viaggio, leggono quasi sempre per condoglianza. uando si ammala una persona di conoscenza si deve subito mandare a domandarne nuove; e la prima volta la persona di servizio dovrà presentarsi con carta di chi la manda alla quale si aggiungeranno le parole: "Per prender nuove" o le iniziali p. p. n. uesto perchè la persona di servizio sia conosciuta, e possa essere informata ogni giorno. All'annuncio che l'ammalato entra in convalescenza, si deve mandargli la carta "Per congratulazione." Se, come si usa da molti, la famiglia dell'ammalato mette nella portineria giornalmente il bollettino del medico, gli amici dovranno passare in persona almeno ogni tre giorni a sottoscriversi, e quando non vanno, mandare una persona di servizio, che dovrà sottoscrivere: "per il signore o la signora tale," senz'altro. Il convalescente manderà subito a tutti quanti si sono sottoscritti, o hanno mandato a prendere nuove, la sua carta colle iniziali p. r., d appena potrà uscire, dovrà fare una visita a tutti. Trattandosi di un personaggio illustre, alla cui porta, in caso di malattia, vanno a sottoscriversi conoscenti lontani, ammiratori ignoti, basterà la carta di visita; ma invece delle succinte e poco cordiali iniziali p r dovrà contenere alcune parole di ringraziamento. Se s'è avuta una disgrazia in famiglia, si risponde a tutte le carte da visita ricevute con le carte dei capi di casa, o quelle della vedova su cui si scrive P R (per ringraziamento) alvo a ricevere e ricambiare le visite di condoglianza dopo quindici giorni almeno. Non debbono mai essere le persone dolenti che si incaricano personalmente di mandare le carte. Sarebbe dimostrar che la loro afflizione le impensierisce ben poco, se lascia loro testa da pensare a tanta gente. Assentandosi dal paese dove si abita, o dove s'è passato qualche tempo si mandano ai conoscenti le carte di visita colle iniziali p p c (per prender congedo). ornando dalla campagna o da un viaggio, si manda la carta di visita senza iniziali. In questo caso aggiungere quella del marito sarebbe ridicolo, perchè la carta è incaricata di dire che la signora è pronta a ricevere e non è ammesso che un uomo possa dare la stessa nuova, senza essere un principe; ed i principi sono dispensati da questa formalità verso i semplici mortali. In tutte le circostanze una signora non rende mai la carta ai giovani soli, a meno di essere francamente vecchia. Ad ogni figlio che ha perduto il padre o la madre, anche una signora giovine manda la sua carta; ma dicono i galatei francesi, vi aggiunge due parole di condoglianza. Oh Dio! Anche in quel momento solenne si diffida di lui! Potrebbe abusare della carta di una signora! Le condoglianze scritte non sono condoglianze, sono una guarentigia che non potrà farsi bello di quell'invio, senza che si giustifichi da sè stesso con quelle parole. Oh mondo pessimista! Oh mondo pedante! Un figlio che ha perduta sua madre! Ma inginocchiatevi dinanzi a lui per consolarlo. È per la sua cara morta il vostro omaggio; e egli è sacro. Non dubitiamo dell'amore dei figli. In che cosa crederemo più, allora? No, non voglio dubitarne; è triste il pessimismo e spoetizza il cuore. Parliamo d'altro. In Francia le carte di visita di una signora non portano mai il suo nome di battesimo. Si usa dire la signora Emilio di Girardin; la signora Vittorio, e la signora Carlo Hugo. I galatei francesi sono in ammirazione dinanzi a questa trovata; secondo loro è l'ultima espressione del decoro, perchè il nome di battesimo di una signora non deve esporsi ad esser conosciuto dai profani: "Non debbono saperlo, lessi in uno di quei galatei formalisti, che il marito, il babbo o il fratello." Confesso d'aver visto in Italia, scritte in italiano, alcune carte di visita con quella combinazione bislacca di nome maschile e titolo femminile. Ma se Dio vuole non è ammesso dai nostri costumi. È un oltraggio al buon senso, ed è affatto inutile. Che torto può fare ad una signora che si sappia il suo nome? Lucrezia romana la moglie modello, Susanna tanto casta.... coi vecchioni, la vergine Maria, hanno serbata una riputazione immacolata, malgrado tanti popoli e tante generazioni in possesso del loro nome Ma i Francesi non ci credono; e per dimostrare il loro rispetto a Maria, sentono il bisogno di chiamarla Notre Dame.

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