CAPITOLO I - La Signora
Ritorno dal viaggio * In famiglia * Visite * Pranzi in casa propria * Pranzi d'invito * Ricevimenti
* Balli * Teatri * Ai balli * In campagna * Corrispondenza.
* Ma, marchesa, io non ci sono giunta ancora a mezzo del cammin di nostra vita.
Scusi, ha marito?
* Sissignora, ma ho appena diciasette anni.
* Non importa. Se ha marito, questa parte del mio libro la riguarda. S'è maritata assai
presto; ma questo non toglie che, dal giorno in cui è diventata una signora, la parte ingenua,
ridente, spensierata della sua esistenza è passata.
Non vadano in collera, signori mariti; non protestino. Non intendo dire che il matrimonio
non abbia le sue grandi gioie, che il loro affetto di sposi non dia alle loro compagne soddisfazioni
forse, e senza forse, maggiori di quelle vaporose e inconsapevoli che ebbero da fanciulle. Ma
loro sanno che una signora maritata, qualunque sia la sua età, assume il governo della casa,
riceve il grave deposito di un nome di cui è responsabile, risponde dell'onore di quel nome, e del
decoro della famiglia. I misteri che ha scoperti hanno sfrondate molte delle sue illusioni e le
hanno insegnate delle verità dolci e tremende. D'allora la spensieratezza non le è più possibile. È
entrata nel periodo serio della sua esistenza, ed avesse pure quindici anni soltanto, ha acquistate
tutte le responsabilità, tutti i doveri d'una persona che è giunta
"A mezzo del cammin di nostra vita"
-
- -
La vecchiaia concede privilegi straordinari. Io mi valgo della mia cuffia e dei miei
occhiali, per introdurmi nel nido della sposa appena tornata dal viaggio ed assicurarmi co' miei
occhi, se sa essere una signora, com'è stata una signorina veramente ammodo.
Verifichiamo prima di tutto gli arretrati.
* Ha scritto ogni giorno alla suocera ed alla mamma durante il viaggio di nozze?
* Un giorno a Firenze, ero stata a San Miniato.... ero così stanca non ho proprio potuto.
Ed un'altra volta a Livorno....
* Ebbene, bisognerà farne delle scuse, e riconoscere d'aver mancato ad un dovere, verso
la suocera; quanto alla mamma....
* Oh! alla mamma ho scritto sempre.
Me lo figuravo. Eppure là l'indulgenza era sicura, l'affetto non correva pericolo. Quella
che va trattata sempre in modo da guadagnarne il cuore, è la suocera, sono i parenti del marito,
che nutrono sempre una vaga ostilità contro quella giovine, la quale, arrivata ultima, s'è fatto il
posto più largo nell'animo del loro figliolo, se lo è accaparrato, l'ha fatto suo, e d'un balzo ha
messo tutti gli altri affetti al secondo posto; ed a che distanza anche! La mamma è già venuta lei
a vederla? Era alla stazione ad incontrarla? Oh le mamme! Ebbene, la sua prima visita, ora ha da
essere per la suocera.
Vediamo i bauli. Vi sono i doni per la famiglia del marito? Benissimo. Bisognerà
mandarli subito, ed al tempo stesso, annunciare alla suocera che andrà con suo marito a salutarla
in giornata.
È venuto un fascio, una pioggia di carte da visita, in risposta alle partecipazioni. Si deve
fare una scelta d'accordo col marito, una scelta accurata delle famiglie colle quali si vuol
mantenersi in relazione. A quelle non si manda una carta, ma ci si va in persona col marito o con
una signora della famiglia di lui. Alle altre, l'invio d'una semplice carta dei due sposi, dice
urbanamente che sono grati della loro memoria, ma non intendono continuar le visite. Quelle
sono le così dette relazioni di saluto. Si conoscono, s'inchinano per via, si scambiano parole
scontrandole in compagnia; ma tutto finisce lì.
-
- -
Alcuni anni or sono ricevetti una lettera da uno dei miei molti nipoti, nella quale mi
diceva, dopo tante belle cose: "....e ti confesso che il mio secondo anno di nozze fu assai meno
beato del primo. E sì, che ci ho Ninì, il mio dolce amorino biondo color di rosa, che comincia a
dire bab...bo.
Nelle mie ore di noia ho fatto una scoperta che non può essere senza importanza per la
società. Ho trovata la vera causa della poca devozione degli uomini pel settimo sacramento. È
una specie di malattia nervosa, che si sviluppa, dopo la luna di miele, nelle facoltà visive del
marito, e gli fa apparire tutte le mogli degli altri più attraenti della propria.
Se tu trovassi un buon oculista, che volesse occuparsi di questa oftalmia maritale...."
Partii immediatamente per Torino, senza medico oculista, s'intende. Sotto il
melanconico umorismo i mio nipote, c'era qualche cosa di amaro, che mi fece temere per la
felicità avvenire di quella famiglia. Tuttavia avevo un vago presentimento che, a guarire la
malattia di Primo, basterebbe la mia vecchia esperienza.
Giunsi inaspettata. Primo era fuori. La cameriera mi disse:
* La signora è rientrata or ora dalle visite; si sta mettendo in libertà.
Mettersi in libertà! Era la chiave del mistero! la prima causa della malattia del
marito. Guai, alle mogli che si credono in diritto di mettersi in libertà uando sono in
casa!
Ordinai alla cameriera di lasciarla fare, di non annunciarmi; passai ad aspettarla in sala da
pranzo, dov'era già apparecchiata la tavola.
L'Emma entrò poco dopo. Era in abito da camera ed in pianelle. Una grazia di abito da
camera; ma era un abito da camera; e portato con tutta comodità, discinto; e là sotto la sposa non
aveva fascetta.
Le pianelle di raso azzurro, ricamate di perline rosee, sembravano quelle di Cenerentola
che avessero finito coll'incontrarsi per fare il paio. Ma erano pianelle. E quella toletta mattinale,
calzata in fretta, era mal completata da un foulard ianco annodato intorno al collo.
* Tuo marito non viene a pranzo? le domandai.
* Sì, verrà a momenti.
* E ti metti a tavola a quella maniera?
* Scusi, nonna; non prevedevo la fortuna della sua visita; e, sa, in casa.... siamo soltanto
noi....
* In casa!... soltanto noi! soltanto! uando siete tu e tuo marito? Ma la tua casa è
il tuo regno; ma tuo marito è il tuo mondo. Cosa ci guadagni se le persone a cui hai fatto visita, e
quelle che ti hanno scontrata per via ti trovano bella? Nulla. Ma se ti trova bella tuo marito; se gli
piaci, è il suo amore che guadagni; è la felicità della tua vita.
Una lettrice: * h Marchesa! Questa è la storia d'uno dei sette peccati
capitali i Eugenio Sue; La….
* Ho capito. Non occorre dirne il titolo. Il mio libro lo possono leggere anche le
signorine. È per questo che cercavo di dare un'altra forma alla tesi di quel racconto, ma non
voglio che mi si accusi di plagio.
Ho dato all'Emma quel romanzo e lei v'imparò che una signora ammodo non deve mai
trascurare il proprio vestire davanti al marito. Deve tenere gli abiti da camera per le ore mattutine
o per la tarda sera in camera da letto. Ma durante il giorno deve portare abiti attillati, eleganti
nella loro casalinga semplicità, oppure, il che è anche meglio, abiti da casa chiari, di forma
speciale che non si possano portare fuori di casa, che non siano nè il compassato costume da
passeggio o da visite, nè il trascurato abito da camera. Qualche cosa di speciale, che le donnine di
gusto sanno immaginare tanto bene coll'aiuto d'una buona sarta, e nel quale non manca una
buona dose di civetteria, a tutto beneficio del marito. E questa toletta da casa dev'essere portata
con tutti quegli accessori che costituiscono l'ordine: calze bene assortite (nere sotto un abito
bianco, carnicine o azzurre sotto un abito turchino, rosa pallido sotto un abito rosa, ecc.),
qualche braccialetto, un nastro al collo o una cravatta. È così che un uomo è avvezzo a vedere le
mogli degli altri, e se la sua è meno accurata, ne viene di conseguenza quella tale malattia agli
occhi, per cui si vedono tutte le donne più attraenti della propria.
L'accuratezza, l'eleganza bene intesa, sono una specie di nobiltà individuale. Ad una
persona che vediamo trascurata e dimessa, finiamo per attribuire una specie d'inferiorità; ed al
confronto delle altre, la trattiamo con quella stessa noncuranza con cui si tratta lei stessa.
Vi sono molte signore che, come hanno abbigliature di casa ed abbigliature per uscire,
hanno pure un tono di voce, delle maniere, ed un'educazione di casa; ed altre di gala. E, pur
troppo, quelle di casa sono rozze ed elementari come una vera tenuta di fatica.
* Vuoi bere? domanda il marito a tavola.
Sì. No. Oppure porge il bicchiere in silenzio.
* Dio! quanto mi dà sui nervi questo tintinnìo della forchetta sul piatto!
* Oh che noioso! risponde la signora, la quale avrebbe ai suoi ordini tutto un frasario di
scuse, se, invece che a suo marito, avesse urtato i nervi ad un primo venuto qualunque.
E sorbisce la minestra con un rumore da tromba aspirante. E, dimenticando
completamente la regola severa del collegio, di masticar sempre a bocca chiusa, lascia sonare
quei mcia mcia astosi che rivoltano lo stomaco a chiunque ha la disgrazia di mangiare
con lei. Se avrà invitati, o se andrà a pranzo fuori non lo farà; ma in famiglia! Alla famiglia s'ha
diritto di rivoltar le budella, pur di fare i propri comodi.
Sono queste signore che hanno inventata la frase volgare: * "In famiglia non si fanno
complimenti."
Perchè non se n'hanno a fare? Non è in famiglia che si deve amare più e meglio, che fra
semplici conoscenti?
Ed i complimenti non sono espressioni di sentimenti gentili ed affettuosi?
Eppure quelle stesse signore non rifiniscono di curare la propria camera, di
ammonticchiar materassa sul loro letto, e dicono:
* Si può soffrire un cattivo letto in un albergo, perchè ci si sta qualche notte di
passaggio. Ma dove s'ha da dormire tutta la vita, si vuole che sia comodo.
Ebbene: i loro conoscenti le vedono soltanto di passaggio; ma è il marito che s'ha da
sedere a mensa con loro per tutta la vita e per tutta la vita deve tenersele al fianco, e render loro
mille piccoli servigi. Perchè non cercano di rendergli morbide le loro maniere, di appianare le
asprezze del carattere, di addolcire la voce per lui, colla stessa cura con cui ammorbidiscono il
letto a sè stesse? Dipende da loro che il matrimonio riesca un letto di piume, o un letto di
Procuste.
Se sapessero come le ingentiliscono quelle paroline di cortesia: Grazie; scusa; quanto sei
gentile; non disturbarti, ecc., ecc.
Senza contare che gli uomini, meno graziosi, per natura, inclinano sempre ad esagerare
per proprio conto il grado di emancipazione dalla civiltà, che la moglie accorda a sè stessa. E se
lei riceve un favore senza ringraziarlo, e va a colazione spettinata, lui si crederà autorizzato a
passeggiare per la casa in mutande ed a fumarle sul naso con una pipa di gesso; troppo fortunata
ancora, se l'età o la calvizie non gli suggerisce di beatificarsi la giornata colle delizie d'un berretto
da notte.
Una moglie, a meno che sia in una delle grandi situazioni sociali in cui una signora
rimane quasi estranea alle modeste cure della famiglia, non deve mai affidare ad una cameriera
nè ad altri la cura di sorvegliare la guardaroba di suo marito. Sarebbe dimostrargli un'indifferenza
scortese.
Non deve abusare della sua compiacenza offrendolo troppo per cavaliere alle signore che
non hanno chi le accompagni, tanto più se la signora a cui lo offre non può ispirarle nessuna
gelosia.
Se crede di poterlo fare senza dargli noia, potrà dire: "Mio marito avrà il piacere di
accompagnarla." Ma lascerà a lui la libertà d'insistere più o meno su quell'offerta. Nulla è più
ridicolo di quelle mogli che dispongono così del marito come d'una proprietà e ne fanno il
cavalier servente di tutte le signore che non ne trovano altri.
Dovrà pure evitare di dargli certi consigli:
* Dà il braccio alla signora Tale.
Oppure a tavola:
* Versa da bere alla tua vicina.
Avvisi salutari, senza dubbio, ma che fanno supporre che quella signora sia avvezza a
vedere il marito mancar di cortesia, e perciò si creda in obbligo di suggerirgli le cose più
elementari.
Qualche volta dovrà farlo, se vede una vera mancanza; ma avrà cura di volgere la cosa in
ischerzo, mettendola sul conto della distrazione e mostrandosene abbastanza stupita per non
lasciar credere che quello sia il modo abituale con cui il suo marito tratta le signore cominciando
da lei. Sarebbe quanto dire: * Vedono che zotico ho sposato! Se non foss'io, ad insegnargli la
creanza!
Se una signora, entrando a far visita in una casa, vi trova suo marito, dovrà salutarlo
porgendogli la mano, subito dopo aver salutati i padroni di casa e le altre signore, e prima d'ogni
altro uomo.
Se lui arriva in campagna o ai bagni dopo un certo tempo di separazione, e lei si trova ad
accoglierlo alla presenza di altre persone, non eviterà per questo di corrergli incontro e di
abbracciarlo; se non lo facesse mostrerebbe di vergognarsi di dargli una dimostrazione d'affetto.
Ma dopo quella prima accoglienza dovrà subito ricordarsi dei doveri di cortesia e d'ospitalità, e
presentare il marito alle persone che non conosce ancora, se ce ne sono o ad ogni modo lasciare
che faccia i saluti e complimenti che crede, e non accaparrarlo tutto per sè, e non domandargli
particolari di famiglia di cui gli altri non sono informati o non si curano, e serbare le espansioni
ed i discorsi intimi per più tardi, quando sarà sola con lui o in famiglia.
Se il marito le offre un divertimento qualunque, una serata, un viaggio, l'accoglierlo con
freddezza, il mostrarvisi indifferente per far pompa di gusti casalinghi, è una mancanza di tatto,
che tende a diminuire il pregio dell'offerta ed umilia chi la fa.
Qualche volta il marito approfitta del Natale, del capo d'anno, dell'onomastico, d'una festa
di famiglia, per offrire in dono alla sposa un oggetto che avrebbe dovuto provvederle. Il farne
l'osservazione sarebbe addirittura villano, come pure il calcolare sul prezzo della cosa offerta, e
considerare quella spesa nel bilancio di famiglia.
Un dono si accetta sempre come un dono, con elogi, ringraziamenti, e si mostra alle
persone intime, e si ripete, che è una gentilezza del marito, precisamente come fosse d'un'altra
persona.
Al marito ed ai suoceri si deve il riguardo di aspettarli sempre prima di mettersi a tavola,
e non si deve spiegare il tovagliolo che quando sono seduti.
La moglie, alla tavola di famiglia, tiene sempre la destra del marito; ma se c'è una
suocera, le cede il diritto di servirsi per la prima, e le risparmia tutte le brighe del servizio, il
tagliare, il mescere, ecc. Gli stessi riguardi deve pure accennare di usarli anche al suocero, per
deferenza alla sua età, ma non insistere se, come uomo, rifiuta d'accettarli.
Infine una signora educata non deve ammettere altra differenza tra il contegno che usa in
società, e quello che tiene in casa fuorchè un grado maggiore di espansione.
-
- -
Il giorno fisso per ricevere, per quanto si sia cercato di bandirlo, si è radicato nei nostri
usi. Alcune signore stabiliscono una data ora ogni giorno, ed è ugualmente bene. Anticamente
sarebbe stata un'impertinenza. Erano soltanto i principi e le autorità, che potevano fissare un
giorno od un'ora alle persone a cui volevano far l'onore di riceverle. Ma i semplici privati
dovevano mostrarsi sempre pronti ad accogliere in qualunque giorno i loro eguali, che avevano la
gentilezza di andarli a visitare.
Accadeva però, che, mostrandosi sempre pronti ad accoglierli, erano sempre fuori, e non
li accoglievano mai. Per cui si dovette adattarsi a dare alle visite quella specie di regolamento
burocratico che è il giorno fisso.
Parlando ad un'altra signora, si potrà domandare in che giorno riceve. Ma parlando di noi
stessi bisogna dire: "Sto in casa il tal giorno" per non darsi l'aria importante d'una piccola
potenza, che tiene ricevimento ufficiale.
Una signora che riceve non deve mettersi un abito di gala, ma neppure può tenere un
abito troppo dimesso; deve avere una toletta da casa elegante per mostrare ai suoi visitatori che
ha pensato a loro, che s'è preparata ad accoglierli.
Le persone di buon gusto hanno abolito l'usanza di far annunciare le visite dai servitori.
Che Dio le benedica! È la cosa più inurbana che si possa immaginare per mettere una signora
nell'imbarazzo.
Entrare in una casa, e trovare un servitore che ci domanda il nostro nome come un
avvocato fiscale che deve istituire un processo! E dover rispondere a quella potenza d'anticamera,
la quale ci guarda con meraviglia, se ci permettiamo di far annunziare un nome qualunque, senza
un po' di marchesa o di contessa davanti! Ed entrare in una sala presentate da un servitore!
Fu un pensiero gentile che fece dire alle padrone di casa moderne:
* Le persone che vengono a farmi visita sono invitate da mio marito o da me, e però
sono gente ammodo. Entrino dunque senza trovare inquisizioni per via, e sarò io stessa che dirò
il loro nome agli altri visitatori, senza obbligarle a declinarmelo prima.
Tuttavia vi sono ancora famiglie, che per fare una grandezza, continuano a far annunciare.
In tal caso una visitatrice, entrando nell'antisala, dovrà dire spontaneamente il proprio
cognome senza nessun titolo, prima che il servitore, per adempire al suo incarico, sia costretto a
rivolgerle la parola.
La destra del camino, o del divano, durante le visite, è riservata alla padrona di casa. E per
regola generale non la cede mai. Ma non deve dimenticare che non vi sono regole senza
eccezioni.
Un giorno parlando d'una signora io dissi:
* È molto giovine. Credo che non abbia ancora vent'anni.
* Davvero? mi osservò un vecchio signore. Avrei creduto che ne avesse almeno
settantuno.
Lo sproposito era così grande, che lo presi per uno scherzo e lo pregai che mi spiegasse il
perchè di quell'unità su tante decine.
* Perchè non ha ceduto la destra del camino a mia moglie che ne ha settanta.
Vi sono poi certe superiorità d'età, di grado, di meriti, così incontestabili, davanti alle
quali anche una signora deve inchinarsi.
Una mia amica, di un tatto squisito, incapace di commettere neppure l'ombra d'una
sconvenienza, mi confessava d'essersi alzata in piedi nel suo palco, quando le fu presentato Paolo
Ferrari, alla prima rappresentazione del Cantoniere.
Cosa vuoi? mi diceva; quella sera era la figura principale del teatro. Ci dominava
tutti. Ci alziamo pure quando entra il Re. Lui rimase imbarazzato sai; ma io no.
Ed aveva ragione. Era un'irregolarità, ma una bella irregolarità; felix culpa e
provava che lei possedeva meglio di tutte il sentimento dell'arte; che il suo animo era più gentile.
Dopo aver presentata l'ultima venuta alle altre persone che sono in sala, una padrona di
casa deve rivolgerle la parola direttamente, per far cessare la confusione che la presentazione ha
potuto ispirarle e, soltanto dopo averla fatta parlare un momento, riprenderà il discorso interrotto
dalla sua venuta, avendo cura di metternela a parte.
Per congedarsi dalle signore, la padrona di casa si alza, e le accompagna fino all'uscio
della sala, e là ripete la stretta di mano e l'inchino, senza fermarsi in complimenti che la
terrebbero troppo a lungo lontana dagli altri visitatori.
Credo di non dover aggiungere che non deve mai dir nulla fuorchè bene delle persone che
sono uscite. Questa è la civiltà più elementare. Se agisse altrimenti, autorizzerebbe chi l'ascolta a
domandarle:
* E perchè riceve, e ci espone a trovarci al contatto di persone, che non meritano la sua
stima?
Qualche volta accade che appunto quando vi sono altre visite, capiti una di quelle tante
sfortunate che si presentano alle signore per qualche raccomandazione; per trovare un impiego,
delle lezioni, ecc.
La menoma freddezza nel modo di accogliere la persona disgraziata farebbe torto alla
padrona di casa. Quanto più la situazione di chi viene a raccomandarsi è imbarazzante, altrettanto
una signora per bene deve cercare di rassicurarla, usandole modi affabili e cortesi, presentandola
ai suoi visitatori come un'eguale, rivolgendo il discorso a lei come agli altri, e studiandosi di
persuaderla, non colle parole ma col tratto, che la sua sventura non è che un titolo maggiore alla
simpatia delle anime gentili.
-
- -
"Souvenez-vous toujours dans le cours de la vie,
Qu'un dîner sans façon est une perfidie.
Assolutamente una perfidia, non voglio ammetterlo; non arrivo fin là. Ma credano pure,
signore mie, che il prender troppo sul serio la preghiera degli amici intimi di dar loro il pranzo di
famiglia, non è il favore più grande che possano fare ai loro convitati.
Il pranzo di famiglia, sia; ma con qualche aggiunta. Un buon antipasto; il piatto del
compenso, ed il piatto del complimento, ed una bottiglia con tanto di polvere; ed allora pazienza,
il pranzo di famiglia sarà bene accetto. Altrimenti si corre il pericolo di ricevere la lezione che si
ebbe un certo avaro, il quale invitò parecchi amici a pranzo e fece servire: una minestra di riso al
brodo, un lesso di manzo, un piatto di spinacci, formaggio e pere. Dopo pranzo disse ai convitati:
* Vedono che proprio non ho fatto complimenti.
* Via, rispose uno di quegli infelici, non doveva poi obbedirci tanto strettamente.
Del resto, per questi pranzi d'amici intimi, basta ricordare quanto diceva Brillat-Savarin,
gastronomo di grande rinomanza:
"Invitare una persona, equivale ad assumere l'incarico della sua felicità per tutto il tempo
che deve passare in casa nostra."
Ci si metta cordialità ed affetto, e basta.
Ma dove si richiede tutta l'intelligenza d'una buona padrona di casa, è ai pranzi più o
meno di gala.
Lo stesso Brillat-Savarin diceva che, perchè un pranzo riesca bene, i commensali
debbono essere non meno delle Grazie, e non più delle Muse.
Per verità io credo che, senza uscire dalla mitologia, si possa salire fino al numero delle
Ore, senza inconvenienti. Purchè sia proporzionato il numero degli uomini e delle signore. Una
vicina gentile, che potrebbe agitarsi, od anche cadere svenuta se nascesse una discussione,
basterà sempre ad impedire ad un uomo educato di impegnarsi in quei discorsi di politica, di
religione, che fanno bollire il sangue facilmente.
Bisogna calcolare il numero di persone che possono stare alla tavola, a tutt'agio con uno
spazio non minore ai sessanta e non maggiore di settanta centimetri per ciascuna. Così non
saranno nè strette nè isolate.
E sopra tutto, per tutti i santi del paradiso, che non sieno tredici! Lei, mia signora, non ha
questi pregiudizi; suo marito neppure. Ma qualcuno de' commensali potrebbe averli; e quello là
sarà infelice, non per quel giorno soltanto, ma per tutto un anno, in capo al quale dev'essere
morto il più vecchio o il più giovine della triste compagnia.
Aggiunga che conterà spietatamente gli anni in viso a tutti i suoi invitati, non escluse le
signore; e se gli resta il dubbio d'essere lui stesso uno dei due in pericoli, sarà capace di correre il
domani alle dodici parocchie a prendere la fede di nascita di tutti i commensali, per rassicurarsi.
E ci penserà tanto e se ne cruccerà tanto, che non sarà meraviglia se entro l'anno finirà per
morirne davvero.
Non si deve mai, per vincere un pregiudizio, compromettere la pace d'un nostro simile.
Se, per una circostanza imprevista, il giorno stesso del pranzo manca un invitato su
quattordici, si corre a pregare un amico intimo di supplirlo. Si prega il primo venuto, il
lustrascarpe della via, uno spazzacamino, ma non si condannano i nostri ospiti a sedere a tavola
in tredici.
Un giovinotto che da vero lion era avvezzo a pranzare tardissimo, passeggiava
una sera verso le sei in cerca d'appetito, e forse di qualche bella crestaina, che, tornando dal
lavoro, consentisse a fargli compagnia, quando vide un signore ammodo passargli accanto,
guardarlo, riguardarlo con occhio d'amore, gironzargli intorno, fargli la corte come avrebbe fatto
lui stesso con quella tale crestaina, se l'avesse trovata.
* Che mi prenda per una donna americana, di quelle che portano i calzoni? pensava il
giovinotto: e si carezzava le basette per metterle in evidenza.
Ma l'altro non si scoraggiava per così poco. Anzi parve farsi più ardito a quell'atto, tanto
che gli si fece accosto, e, salutandolo con uno sguardo che avrebbe sedotta una vestale, gli disse:
* Signore; non si offenda per amor del cielo. Debbo farle una proposta indiscreta,
impertinente addirittura....
Il giovinotto si pose una mano sull' orologio, un'altra sul portamonete, e rispose:
* Se non può farne a meno... parli.
* Se lei vedesse un uomo in pericolo di annegarsi, si getterebbe in acqua per salvarlo?
* No?
* Mi faccio l'onore di crederlo.
* Ebbene, io sto per annegare in un mare di guai. Ho invitati parecchi amici a pranzo.
Dovevamo essere quattordici, ed uno è mancato. Ho una zia, una zia tremenda che ha paura del
numero tredici. È capace d'andarsene, di non perdonarmi più. Un uomo che si getterebbe
nell'acqua per salvare un altro, non potrebbe spingere l'eroismo fino a gettarsi alla mia povera
tavola?
Il giovine rideva tanto di cuore, che non seppe rifiutare. Quella povera tavola era
sontuosa; e per giunta quel signore aveva una bella figliola, che piacque a prima vista al fortunato
giovinotto. Due mesi dopo le faceva il primo dono da sposo; un braccialettino d'oro niellato sul
quale era inciso il proverbio:
"È meglio imbattersi che cercarsi apposta."
-
- -
Stabilito il numero delle persone che si vogliono invitare, si mandano gl'inviti: stampati
se è un pranzo di lusso, scritti se non ci si vuol dare troppa importanza. Oppure si fa l'invito
verbalmente. Ben inteso che, volendo pregare un superiore di favorirci alla nostra mensa,
dobbiamo andare in persona ad invitarlo; perchè gli inviti scritti o stampati non si fanno che tra
eguali.
A meno che si tratti d'un pranzo tra persone intime, l'invito dev'essere fatto otto giorni
prima del pranzo. Se qualcuno risponde che non può accettare, e si vuol supplirlo, bisogna
affrettarsi a pregare un conoscente, e se è possibile non fargli sapere che riempie un vuoto. Però,
se altri ne è informato, e se c'è il pericolo che anche l'invitato per via di discorso venga a saperlo
più tardi, è meglio dirgli la cosa francamente.
La tavola dev'essere coperta da un grosso tappeto sotto la tovaglia, per evitare ogni
rumore nel deporvi le posate ed i piatti. Il tappeto però dev'essere corto e non s'ha da vedere
pendere sotto la tovaglia.
La biancheria da tavola può essere di fiandra ricca senza guarnizioni come usava altre
volte, può essere ricamata in giro, oppure ai due capi alla moda del medio-evo e può essere
guarnita di grossa trina di filo, secondo l'ultimo figurino. In questi due casi non sarà di tovagliato,
ma di fina tela di lino. Ad ogni modo deve avere le iniziali del padrone di casa, ricamate.
I tovaglioli si piegano semplicemente in quadrato colla cifra in evidenza. Tutti gli altri
artifici di piegature sono volgarità da locanda. Le sottocoppe, pel momento, si usano non più
d'argento, nè di porcellana, ma assortite alla biancheria da tavola, rotonde o quadrate colla cifra
in mezzo. Una striscia lunga, assortita alla tovaglia, ma sempre ricamata a colori, si mette ora in
diagonale traverso la tovaglia bianca. È l'ultima novità.
Il servizio di cristalleria dev'essere tutto assortito colle cifre, se è moderno. Ma chi ha
cristalli antichi di pregio ha sempre una cosa superiore. Ogni convitato deve avere dinanzi un
numero di bicchieri, non meno di quattro, di varie dimensioni, adatti ai vini che si debbono
servire. Il vino da pasto è il solo che si mette in tavola nelle bottiglie bianche di cristallo del
servizio. Gli altri vini sono versati in giro dalla servitù, eccetto lo sciampagna che gode il
privilegio di posare in tavola col suo secchiello d'argento. Per l'acqua si possono mettere piccole
anfore di vetro colorate con dei fiori legati al manico; una per ciascun commensale. Accanto alla
schiera dei bicchieri ci deve essere una larga coppa assortita al servizio, dove si metterà l'acqua
pura per bagnarvi la punta delle dita alla fine del pranzo. Un'operazione che non va fatta in modo
da disgustare nessuno, con ripetute immersioni, con sgocciolamenti, ecc.
Ho veduto un servizio nuovo di corte; è di vetro opalizzato cogli orli dorati, collo stemma
reale in colori. Se credono, signorine mie....
La padrona di casa può mettere in tavola fiori quanti ne vuole, purchè eviti le magnolie e
tutti i fiori che hanno un'acutezza di profumo da dar l'emicrania ai commensali. Ed invece di
quegli uggiosi mazzi stretti, serrati, in cui i fiori sono disposti a disegno e figurano nell'insieme
un pezzo di tappeto, li ponga sciolti coi loro gambi e le foglie nelle coppe. Sono un ornamento
elegante ed artistico.
La padrona di casa stabilisce i posti tenendo conto delle simpatie, delle analogie, ecc.,
fra i suoi convitati; scrive il nome di ciascuno sul cartoncino apposito, e lo fa collocare sul
tovagliolo.
Accanto alla posata di ciascun uomo si usa collocare la noticina dei piatti che saranno
serviti.
Badino, che dico si usa, ma non dico che sia bello. Ha un'aria da osteria; mi pare sempre
che, giunti in fondo, si debba tirar la somma e pagare il conto. Quelli che sono molto devoti al
culto dello stomaco però, sono fanatici di questa moda, che permette loro di prendere le debite
misure, e di far il posto più largo ai piatti che preferiscono.
Il padrone e la padrona di casa stanno nel centro della tavola, ai due lati, uno in faccia
all'altro. Alla destra della moglie si mette l'uomo che si vuol onorare di più; ed alla destra del
marito la signora di maggior riguardo: i due posti alla loro sinistra sono ancora posti d'onore.
Sotto la tavola vanno messi gli scaldapiedi per le signore freddolose se è inverno. Gli
sgabelli per le eroine che sfidano il gelo. La camera dev'essere stata ben riscaldata prima; e
durante il pranzo si lascia spegnere la stufa per non rialzar troppo la temperatura.
Nella sala da pranzo si prepara sulla credenza una tovaglia lunga, assortita al servizio
della biancheria da tavola, o, se questo è bianco, assortita alla traversa iagonale, e
sovr'essa una quantità di posate, avendo cura che vi siano quelle di forma apposita pel pesce,
quelle pei legumi, per le frutta, i cucchiaini a spatola pei gelati, il coltello d'argento a due tagli
pei gelati e le torte, ecc., ecc.; più i piatti pel servizio, le bottiglie dei vini scelti ed un certo
numero di tovaglioli e di bicchieri per il caso di qualche inconveniente che richiedesse di
sostituirli a quelli già posti in tavola.
L'illuminazione sarà splendida. Che i cristalli e l'argenteria scintillino allegramente.
In mezzo alla tavola si mettono soltanto i dolci e le frutta, ornati di fiori.
La padrona di casa si mette un abito elegante, scollato o no, a seconda che il suo pranzo è
più o meno di gala, e riceve gli invitati in sala.
In Francia si usa far annunciare: " Madame est servie. Da noi il servitore apre
l'uscio e dice: "È servito", sottinteso il pranzo. In molte famiglie adottano la formola francese.
Ma è inutile, poichè si può farne a meno.
La padrona di casa si rivolgerà lei stessa al signore che dovrà sedere alla sua destra, e lo
inviterà ad accompagnarla in sala da pranzo. Se però fosse un sacerdote (e tengano bene a mente
che, se s'invita un prete, bisogna dargli il posto d'onore, altrimenti bisogna far a meno
d'invitarlo), se è un sacerdote, la signora non gli prenderà il braccio, e si limiterà a metterglisi
accanto, ed a discorrere con lui, per fargli capire che dev'essere il suo vicino di destra. Il padrone
di casa darà il braccio alla signora che deve stargli vicina, e s'incamminerà pel primo. Dietro lui
seguiranno gli invitati, tutti gli uomini accompagnando le signore, ed evitando i complimenti
sull'uscio, per non far attendere la padrona di casa, che deve rimaner l'ultima.
Se la signora che dà il pranzo è vedova, o nubile, in faccia a sè metterà un vecchio parente
od amico. Mai un giovinotto, a meno che lei fosse francamente vecchia.
È soltanto nei pranzi di gran confidenza che si può scalcare in tavola; ed allora è il
padrone di casa che si assume quell'incarico. Del resto, i piatti vengono recati interi, e poi ritolti e
tagliati dal servitore ad hoc opra una tavola a parte, nella stessa sala, e portati in giro ai
commensali. Il primo giro comincia dalla signora che è a destra del padrone di casa. Il secondo
dalla signora alla sua sinistra. I giri seguenti cominciano man mano dalle signore che vengono di
seguito, in modo che ciascuna signora alla sua volta sia prima a servirsi.
Nel servizio alla francese, è il padrone di casa che taglia e manda dal servitore a ciascun
commensale il piatto servito. Non faccio che accennare quest'uso e raccomandare caldamente di
non adottarlo mai. Sono i locandieri che servono a porzioni; quanto a noi possiamo farle sui
piatti dei servitori. Ma ai nostri ospiti dobbiamo lasciare almeno la libertà di servirsi da sè.
Gli scaldavivande in tavola sono affatto fuori di moda; e non occorre spender parole a
descrivere quel genere di servizio strano, che mandava tanto calore e tanti odori da dare il mal di
capo e la nausea a tutti i convitati.
Va pure passando di moda l'uso stomachevole di servire i vasi d'acqua tiepida per lavare
la bocca. Doveva avere uno stomaco a prova di bomba quegli che ha imaginato di offrirsi quello
spettacolo d'una dozzina di persone che gargarizzano e rivomitano l'acqua nella coppa, appunto
al momento di finire il pranzo e cominciare la digestione. Certe cose è inconcepibile che si osi
farle in pubblico. Non è più civile il risciacquarsi la bocca, che il fare un pediluvio alla presenza
della gente. Cosa ne penserebbe il povero Monsignor della Casa, la cui suscettività era tale, che
non poteva soffrire neppure che altri tenesse in bocca lo stuzzicadenti " come l'uccello che va
a fare il suo nido?
E, le prego, signore padrone di casa, non infilzino un interminabile rosario di piatti. Non è
il numero, ma la squisitezza delle vivande, che fa il lusso ed il pregio del trattamento. Io penso
ancora con raccapriccio a certi pranzi di provincia, dove ebbi il supplizio di vedermi sfilare
davanti trenta, trentacinque e persino quaranta piatti. Si stava a tavola tre, quattro ore; veniva il
granchio alle gambe, e si provava una smania, una frenesia di prendere un capo della tovaglia e
di buttar tutto all'aria, e danzare sulle rovine per isgranchirsi.
Durante il pranzo i discorsi debbono essere alternati in modo che ciascuno possa
collocare la sua parola, e fare la sua figura. A questo deve vegliare la padrona di casa.
E se un argomento prende il campo e minaccia di non cessare finchè se n'è visto il fondo,
o se nasce una discussione, la padrona di casa deve avere abbastanza spirito per troncarli. Basterà
una parola:
* Signori miei, non sanno che noi signore, della loro politica non ci divertiamo punto?...
* Badiamo che non s'avessero a sfidare in casa mia....
Non cerchino dei ripieghi. Non gioverebbero a nulla. Una signora aveva letto in un
galateo moderno pubblicato alcuni anni fa, non so che bislacca storia d'una contessa, che per far
cessare una discussione politica molto animata, aveva trovato il sublime ripiego di rompere un
piatto. Quella poveretta l'aveva presa sul serio, e vedendo due signori riscaldarsi in una questione
alla sua tavola, s'affrettò a gettare in terra una magnifica salsiera di porcellana.
Sciupò il suo abito, i calzoni del vicino; ma era troppo educata per dar importanza a quel
disastro.
* Via non ci badino; è cosa da nulla, disse.
Ed i due oratori ripresero il discorso al punto, preciso dov'era rimasto:
* E come le dicevo, la Prussia è una nazione che pensa; una nazione filosofica....
* Ma lasci stare! La Francia è la prima nazione del mondo....
Un momento dopo erano più animati di prima, e la signora si credette in obbligo di
rompere una fruttiera, più tardi una tazza da caffè senza ottener altro risultato, che l'interruzione
di un momento.
Se li avesse interrotti con garbo, ma francamente, la questione sarebbe finita senza
lasciare sul campo la rovina di due servizi. All'opposto, bisogna aver grande cura noi stessi, e
raccomandare caldamente ai servitori, di evitare, per amor del cielo, quei disgustosissimi
incidenti, di rovesciamenti, di rotture, che obbligano sempre una persona a fare un atto eroico,
per dimostrare uno stoicismo sovrumano, dinanzi ad un servizio guasto od un abito sciupato.
Alzandosi da tavola la padrona di casa dà il braccio non più al suo vicino di destra, ma a
quello di sinistra, e s'avvia per la prima alla sala dove si deve prendere il caffè, che servirà in
persona aiutata dalle signorine. Gli invitati la seguono ed in ultimo viene il padrone di casa colla
sua vicina di sinistra.
-
- -
Se una signora riceve un invito a pranzo, risponde subito ringraziando e dicendo se
accetta. O, se deve rifiutare, adduce una scusa plausibile, senza por tempo in mezzo, affinchè si
possa, volendo offrire il suo posto in tempo ad un'altra persona. E, sia che abbia accettato o no,
dovrà entro otto giorni fare una visita alla signora che l'ha invitata.
Regolerà la sua abbigliatura da pranzo sulla forma dell'invito. Se è stampato, si metterà in
abito di gala. Se è manoscritto, un po' meno.
Giungerà all'ora indicata, nè prima nè dopo: e piuttosto prima che dopo. Il quarto
legale una concessione di chi invita, ma l'invitato non deve farsene un diritto.
Gli antichi Romani non pagavano i servitori. E quando davano un pranzo li facevano
schierare ai due lati della porta, affinchè i commensali, uscendo, porgessero man mano a
ciascuno una mancia. Era un onore non indifferente. È vero però che ne era compensato da un
uso strambo, il quale dava diritto a ciascun invitato di togliere tre pietanze dalla mensa e
mandarle in dono ai propri amici. Supposto che s'avessero dieci commensali, si dovevano
preparare trenta pietanze di troppo affinchè si potessero togliere, senza che il pranzo ne patisse.
Noi non usiamo portar via nulla dalla casa che ci ospita.
Ma non affettiamo neppure, con una mancia ai servitori, di volerci sdebitare del pranzo
ricevuto. Sarebbe un'impertinenza.
Per dare la mancia alla servitù d'una casa che non è la nostra, bisogna averci passato
almeno una notte.
Tuttavia, se in una casa si va a pranzo sovente, o a passar la sera con assiduità, il giorno
di capo d'anno si darà una mancia alle persone di servizio, che si trovano all'entrata, senza mai
cercare di quelle che sono assenti, il che parrebbe un mezzo di far conoscere ai padroni che si
vuol fare una generosità.
Per quanto meschino, strano, assurdo possa essere il servizio d'un pranzo, una signora
ammodo si guarderà bene dal censurarlo, o dal metterlo in caricatura. Gli anfitrioni soltanto
debbono avere in mente i due versi che ho messi per epigrafe a questo capitolo; gli invitati invece
debbono ricordarsi che l'ospitalità non consiste nell'offrir molto, ma nell'offrire quello che si ha.
-
- -
Ricevendo di sera, se la conversazione è numerosa, è indispensabile di far annunciare alla
porta le persone che entrano, perchè la padrona di casa non potrebbe, dopo aver presentato un
nuovo venuto, ripetergli tutta la litania dei nomi dei suoi ospiti, e ricominciare la medesima
seccatura ad ogni persona che entra.
Allora le presentazioni saranno parziali, ed il tatto della signora soltanto dovrà dirigerle,
regolandosi sui rapporti di gusti, di professione, d'età, in modo che le persone che ha presentate
le une alle altre si trovin bene insieme.
Sa che una signora ha grande ammirazione per un poeta? presenterà quel poeta
all'ammiratrice.
Due persone che hanno viaggiato molto le saranno grate se le riunirà per discorrer delle
loro impressioni.
Tutti i melomani saranno lusingati d'essere presentati alle notabilità musicali.
Fuorchè nel caso in cui si balli, non presenterà mai un giovinotto ad una signorina ed in
nessun caso presenterà mai una signora ad un uomo; ma sempre l'uomo alla signora; a meno che
si trattasse d'un uomo tanto vecchio da poter ricevere lui quell'atto di deferenza.
Gian Giacomo Rousseau ha detto:
"A la manière dont les gens du monde passent leur temps, on dirait qu'ils ont peur de n'être pas
assez bêtes."
Quando una padrona di casa non sa condur bene la conversazione, mi accade sempre di
ricordarmi quel motto.
Domina un'atmosfera di soggezione. Ogni persona che parla, sembra affrettata di finire,
perchè si sgomenta ad udir echeggiare la propria voce. Poi succedono quei minuti di silenzio
imbarazzante, e quell'infelice che deve romperlo, prova l'impressione di slanciarsi sopra un lago
di ghiaccio per spezzarne la crosta. Oppure un argomento domina tutta la sera, e le persone che
non vi si interessano sono ridotte al silenzio.
Lascerò allo stesso Gian Giacomo Rousseau che ha condannato il modo d'agire delle
persone del gran mondo, la cura d'insegnare come debbono regolarsi. Non c'è miglior medico,
per curare un male, di quello che l'ha scoperto:
"Una conversazione ben intesa * dice Rousseau * dev'essere scorrevole, naturale. Nè
pesante nè frivola; dotta senza pedanteria, allegra senza tumulto, civile senz'affettazione, galante
senza sguaiatezza, faceta senza equivoco. Non si fanno nè dissertazioni, nè epigrammi; vi si
ragiona senza argomentare; vi si scherza senza freddure; i si associa con arte lo spirito e
la ragione, le massime e le arguzie, i motti ingegnosi, e la morale austera.
"Vi si parla di tutto, affinchè ciascuno possa dire qualche cosa.
"Non si approfondiscono le questioni per non annoiare; si propongono di volo, si trattano
rapidamente; dalla precisione risulta l'eleganza. Ognuno, dice il suo parere, e l'afferma con poche
parole. Nessuno si oppone vivamente al parere di un altro, nessuno difende con ostinazione il
proprio; si discute per imparare; ma non bisogna spingere troppo la discussione. Tutti
s'istruiscono; tutti si divertono; tutti se ne vanno contenti; ed anche il savio può raccogliere in
quei trattenimenti, degli argomenti degni d'esser meditati in silenzio."
Lo spirito è il dono più pericoloso che la sorte possa fare ad una signora. È come quei
talenti della parabola che eran tanto difficili ad impiegar bene. Bisogna possedere un'abnegazione
eroica, per saper sacrificare lo spirito alla cortesia. Viene alle labbra un motto; è un motto
assassino; quella persona ne soffrirà: ma quell'altra lo apprezzerà: lo andrà ripetendo. La
convenienza è in lotta colla vanità, ma pur troppo è questa che vince.
È nota la conseguenza fatale d'un motto di Danton. Disse di Saint-Just, il quale
camminava diritto tutto d'un pezzo come camminerebbe, se camminasse, un turco impalato:
Il porte sa tête comme le Saint-Sacrement.
aint-Just, lo seppe, e rispose: Je lui ferais porter la sienne comme Saint-
Denis. utti sanno che S. Dionigi decapitato, fece il miracolo di passeggiare colla propria
testa in mano. Danton non fece il miracolo, ma fu decapitato per opera di Saint-Just. Certo
erano nemici politici, e non fu per quel motto che Danton fu condannato. Ma è certo altresì, che
quel motto ha posto la sua goccia di fiele in quell'odio implacabile.
Ho udito io stessa un motto che non ebbe conseguenze tragiche, ma fece nascere un'iliade
di guai.
Una signorina di spirito era fidanzata con un giovinotto che amava con passione; ma non
doveva sposarlo che fra un anno; però, volendo tenere segreta la cosa, non si erano stabilite
relazioni d'amicizia tra le due famiglie, ed i fidanzati andavano in società e si trattavano come
semplici conoscenti.
Una sera la fidanzata si trovò ad una riunione danzante accanto ad una signora, la quale
aveva una paura così orribile dei trent'anni, che sebbene fosse prossima alla quarantina, si
ostinava di rimaner alla porta della terza decina senza entrarvi mai. E, come tutte le persone in
simili disposizioni di spirito.... e di fede di nascita, parlava sempre della sua età per informare il
pubblico di quella che voleva avere.
Non danza? le disse un suo conoscente.
* Che le pare! Alla mia età! Presto presto avrò compiti i trent'anni.
* Tarda assai a compirli! disse la fidanzata al suo ballerino, abbastanza forte perchè tutti
i vicini l'udissero, compresa la signora, la quale si fece di brace. Poco dopo venne suo fratello a
prenderla. Era il fidanzato della signora di spirito; lei non conosceva neppure di vista quella
futura cognata, maritata fuori di Milano, e giunta pochi giorni prima per passare un po' di tempo
in famiglia. Da quella sera, i genitori del giovine posero tanti bastoni nelle ruote che il
matrimonio non si fece più fin dopo la loro morte. Le due cognate non si vedono ancora.
Boccaccio ha detto:
* Il motto deve mordere come la pecora, non come il cane.
-
- -
Perchè una serata riesca gradevole bisogna provvedere in modo che tutti possano
divertirsi alla loro maniera. La conversazione è ottima per chi ama conversare: ma non basta. Ci
devono essere un pianoforte pei dilettanti; delle tavole da gioco pei giocatori seri di scacchi, di
dama, di tarocchi; qualche altro gioco meno serio per la gioventù.
I pedanti nutrono un profondo orrore per le signore e signorine, che non rifuggono dalle
tavole da gioco, come il diavolo dall'acqua santa.
* Vi si provano commozioni pericolose, esclamano; e consigliano ancora e sempre i
giochi innocenti.
Ebbene, confesso che sono del parer contrario dei signori pedanti, e non è la prima volta.
Io non mi sgomento affatto al veder una signorina od una signora esposta alla terribile
commozione di perdere o di guadagnare qualche soldo, o anche qualche lira; ma mi mortifica, mi
affligge il vederle impegnate in quei giuochi pieni d'equivoci che sembrano inventati apposta per
farle arrossire, sebbene si chiamino innocenti.
Mi ricordo una sera in cui si faceva quello stupido gioco degli spropositi. S'erano date le
domande: Dove? Quando? Perchè? Quali saranno le conseguenze? Le risposte furono
scritte a caso senza saper le domande. Una signora maritata senza figli, supponendo le domande
frequentissime: Che cosa desidera? Chi è più bello? Qual'è la cosa più gentile? cc.,
rispose: Un bambino. i posero nell'urna le domande e le risposte. Si appaiarono a caso,
ed aperti i biglietti risultò:
* Dove? * Nell'ombra.
* Quando? * A piacere.
* Perchè? * Debolezze umane!
* Quali saranno le conseguenze? * Un bambino.
Quella che leggeva era una giovinetta.
Via, confessino, signore mie, che sarebbero state meno pericolose le emozioni d'una
partita di tresette o di tombola; credo che in tutta la sua vita quella giovine non avrà più
occasione di arrossire come in quel gioco innocente.
-
- -
Il trattamento da offrire in una serata è arbitrario. Il più generalmente adottato è il té;
a è altresì il più economico, ed il meno accetto. Non è ancora abbastanza entrato nelle nostre
abitudini, ed una grande quantità di persone non possono prenderlo senza soffrirne una veglia
nervosa. Una padrona di casa non può offrire una seconda sera il té d una persona che
l'ha rifiutato la prima per questa ragione.
Lo zabajone, la cioccolata, il vino caldo, il ponce, i vini fini, i liquori dolci, sono tutte
bevande che si possono offrire. Le paste più adatte sono i picnics i muffins, e
sugar-wafers, sopratutto i petits fours, soltanto col té e coi vini si
accoppiano bene i sandwichs. ol ponce e col vino caldo vanno egregiamente le
brioches, il babà. ogli altri servizi tutte le paste dolci, non escluso il panettone.... e
che Dio, il signor Fanfani ed il signor Rigutini mi perdonino il linguaggio ostrogoto di questi
particolari gastronomici.
Per quanto la mia ignoranza mi consigli ad aggrapparmi al detto di Voltaire: Le
puriste est toujours pauvre d'idées, on posso farmi l'illusione che il valore di queste idee
ghiotte sia tale da farmi perdonare la barbarie della nomenclatura.
Se un artista di professione, uomo o donna, ha fatto ad una signora la gentilezza di
cantare o sonare ad una serata d'invito, senza un accordo di compenso, la padrona di casa deve
mandargli un dono a titolo di ringraziamento.
-
- -
Se la serata offerta è un ballo, si debbono mandare gli inviti almeno otto giorni prima, per
dar tempo alle signore di preparare le abbigliature.
Oltre le sale smobigliate, ornate di fiori ed illuminate per la danza, ci dev'essere un salotto
ben riscaldato, dove si accoglieranno i primi invitati, e dove potranno ripararsi dal gelo le signore
che non danzano, qualche sala da gioco, e, se si vuole, un gabinetto pei fumatori; una moda che
altre volte sarebbe sembrata un po' soldatesca, ma di cui gli uomini tengono gran conto; e
serbano riconoscenza alla padrona di casa; del resto è adottata anche a Corte.
Non bisogna trascurare di mettere un ordine scrupoloso nel regolamento della guardaroba,
affinchè ognuno possa con sicurezza deporre il soprabito ed il cappello, i mantelli ed i cappucci
delle signore, ricevere un riscontrino numerizzato, e riavere tutte le cose sue quando lo
ripresenterà nell'uscire.
Gli immensi strascichi, la leggerezza degli abiti da ballo, e i movimenti vivaci della
danza, danno luogo ad una quantità d'inconvenienti, per cui si dovrà destinare una camera per le
signore, dove rimanga tutta la notte una cameriera munita di aghi, spilli, sete d'ogni colore, per
accomodare gli abiti lacerati, rimettere a posto i fiori caduti, rifare le pettinature.
Sarei ben meravigliata se una signora uscisse di là senza aver cercato collo sguardo una
scatola di cipria; e consiglio la padrona di casa a non lasciar mancare quest'oggetto, che le
signore considerano di prima necessità.
Se durante la notte si dà una cena, tutto deve essere apparecchiato sopra una tavola a cui
siederanno soltanto le signore, nel caso che non ci fosse posto per tutti, lasciando gli uomini
stessi, se la cena è di confidenza, incaricati di servire le signore. Non si servono che cibi freddi.
Ho letto in un romanzo del padre Bresciani d'un giovinotto innamorato, che profittò di
quell'occasione per mettersi in tasca, a titolo di ricordo, i torsi, i noccioli e le bucce della frutta
che la sua bella aveva mangiate. Non posso consigliar le signore d'ingoiare quelle reliquie, per
non correre il rischio di trovarne il profumo e le tracce succulente sugli abiti del loro ballerino. E
non mi sembra neppure il caso d'incoraggiarle a nasconderle dove Rebecca nascose i suoi idoli
alle ricerche di Labano. Ma se sanno di avere un adoratore capace di spingere la devozione a tali
estremi, non si lascino servire che da un fratello, o dal proprio marito.
Sgraziatamente vi sono troppo spesso nelle adunanze numerose dei raccoglitori, che
tendono a compromettere non le signore ma il buffet, mpiendosi le tasche di tutt'altro
che di torsoli. Per costoro ogni parola sarebbe superflua. Sono troppo teneri dei loro gusti per
cercare nel mio libro insegnamenti che li combattono. Ma una signora che, per disgrazia, avesse
un marito di quel genere, dovrà astenersi assolutamente dal farsi accompagnare in qualsiasi
luogo, dove possa scontrarsi in una tentazione.
Quanto alla padrona di casa, dovrà imporre silenzio alla delicatezza de' suoi gusti,
oltraggiata da tanta volgarità, e non dimostrare menomamente la ripugnanza che prova per
l'individuo sconveniente ed esoso, salvo ben inteso, a non invitarlo mai più.
Se non si vuole apprestare nè una cena, nè un buffet i faranno portare in giro le
stesse cose che si offrirebbero ad una semplice serata ripetendole parecchie volte; e tra l'una e
l'altra non si cesserà di far offrire acque sciroppate e gelati.
Per chi dà un ballo, è un'indiscrezione il contare sulla compiacenza dei dilettanti per la
musica. Questa parte tanto importante d'una festa da ballo è troppo sovente trascurata dai padroni
di casa. Una signora che voglia fare le cose bene, si rivolgerà al suo maestro di pianoforte, e lo
pregherà di procurarle dei buoni suonatori. E li accoglierà con quella cordialità con cui le persone
educate e di buon gusto accolgono sempre gli artisti. Haydn ha suonato tante volte per far
danzare; e che povera gente anche! Una signora, che lo avesse trattato con alterezza, sarebbe
stata ridotta più tardi a piangere di vergogna.
Lesinare sul compenso che è loro dovuto, limitarne i rinfreschi, farli cenare alla tavola di
servizio, sono volgarità da villani rifatti. Debbono avere una tavola a parte ed un trattamento
uguale a quello degli invitati. Se i sonatori fossero i maestri della padrona di casa, di suo marito o
dei suoi figli, nulla può dispensarla dal farli sedere a cena alla sua stessa tavola e dal rivolger loro
la parola spesso durante la notte. La padrona di casa, se è giovine apre il ballo con una quadriglia,
nella quale deve avere in faccia suo marito.
Se i padroni di casa non ballano, scelgono una coppia giovine nella loro parentela o nei
più intimi amici, e la pregano di rappresentarli.
Durante il ballo la padrona di casa non accetterà mai di ballare, quando rimangono altre
ballerine sedute e procurerà di mandar loro dei ballerini. Non occorre dire che deve incaricarsi,
unitamente a suo marito, delle presentazioni. Il dare un ballo in casa propria è un lungo e penoso
sacrifizio. È vero che si semina per raccogliere. Ma la seminagione è laboriosa e difficile; il
raccolto incerto, e non sempre proporzionato a quanto è costato.
-
- -
E, poichè ci siamo, parliamo di quel raccolto, che consiste in un ricambio d'inviti, ai
quali, s'accettino o no, si risponde sempre con una carta di visita unita a quella del marito.
È affatto inutile d'affrettarsi per giungere ad un ballo; si arriva sempre a tempo. È
parimenti superfluo il mostrarsi impensierita della propria abbigliatura, rialzare lo strascico,
assicurarsi tratto tratto se i gioielli sono al loro posto. Ogni signora procuri di esser vestita bene e
solidamente, ed alla guardia di Dio! E se l'abito si lacera, passi a farlo accomodare, senza
fermarsi a gemere doglianze ed a verificare i danni. E se un vezzo di brillanti si spezza lo lasci
spezzare, e riponga la parte staccata senza altri discorsi.
Nulla è più plateale di quella continua cura dei propri averi. Una vera signora deve saperli
portare con nobile indifferenza.
Sarebbe un malcreato chiunque pregasse una signora di accordargli un ballo, senza esserle
stato presentato, ma se il malcreato ci fosse, la signora dovrebbe rifiutargli il favore. Volendo
passare dalla sala da ballo al buffet isogna farsi accompagnare dal proprio marito, e le
signore vedove e nubili ci andranno col babbo, lo zio, o il marito della signora colla quale si sono
accompagnate.
Le dimenticanze, i doppi impegni di balli, i rifiuti non giustificati, le preferenze evidenti,
tutto quanto può far nascere quistioni, dissapori o commenti, è sconvenientissimo da parte d'una
signora, e dà una idea meschina della sua educazione.
Se una signora che non ama il ballo, è afflitta dalla disgrazia suprema d'un marito
maniaco per la danza, si sacrifichi a Tersicore, e balli anche lei ad ogni costo. Il più grottesco di
tutti i ridicoli che brulicano sotto il sole, è il marito danzante d'una signora che non balla.
In Francia nella casa in cui si dà un ballo si usa fermare tutti gli orologi. Non si contano le
ore alla gioia. Si è là per passare il tempo allegramente, non per misurarlo. Questa precauzione
non serve a nulla, perchè ogni ballerino ha un orologio in tasca. (Ai tempi della marchesa
Colombi ne avevano due). Ma.è un pensiero grazioso.
-
- -
In teatro una signora occupa sempre il posto d'onore. Se sono due nello stesso palco,
maritate e giovani entrambe, cambieranno posto una volta durante la serata, non di più. Sono le
provinciali che si credono in obbligo di alternarsi ad ogni atto, per mutar prospettiva, come se
facessero parte dello spettacolo.
Le signorine di provincia non crederebbero d'esser ben equipaggiate pel teatro, se non si
munissero di un mazzo di fiori, di due o tre cartocci di caramelle, d'una scatola di pastiglie di
menta, d'un sacchetto i zuccherini e cioccolatta, come se partissero per un lungo viaggio
in paesi deserti.
Nulla di tutto codesto. Se il marito, un parente, un amico intimo, ha il gentil pensiero
d'offrire qualche fiore o qualche dolce ad una signora, li accetterà in teatro; altrimenti ne faccia a
meno; ma non arrivi, per carità, colle sue provvigioni da bocca come un soldato al bivacco.
Ricevendo visite in palco, la signora dovrà salutare, sostenere la conversazione durante
gli intermezzi, e frenarla durante la rappresentazione per non esporsi alla vergogna di farsi zittire.
Tutti gli uomini educati sanno che, entrando, debbono occupare l'ultimo posto ed avanzarsi man
mano, per diritto d'anzianità, a misura che un primo venuto si congeda, finchè siano giunti a
tenere alla loro volta uno dei posti accanto alla signora. Di tutto questo lei non dovrà occuparsi
affatto.
Qualunque sia l'entusiasmo che le ferve nel cuore, una signora non applaude mai. Le
dimostrazioni opposte non sono convenienti neppure per gli uomini. Davanti ad una signora poi,
non vi potrebbe essere altri che un mascalzone capace di voler fischiare. Ed i mascalzoni non
vanno nei palchi delle signore.
È di buon gusto il non uscir mai dal teatro in un momento in cui lo spettacolo interessa
vivamente il pubblico, o almeno di uscire in gran silenzio per non disturbare lo spettacolo.
Quando entrano in teatro il re, la regina o altri personaggi della casa reale, anche le
signore si alzano e rimangono in piedi finchè il personaggio illustre è seduto. Ai concerti, ai
ritrovi d'ogni sorta dove la famiglia reale siede in posti speciali, chiunque dovesse passare a lato
delle Loro Altezze dovrà fermarsi e fare un inchino. Questo si deve fare anche in istrada quando
passa una carrozza di corte. Agire altrimenti sarebbe una dimostrazione ostile.
-
- -
Cessati i piaceri della città, chiusi i teatri, e le serate divenute tanto brevi che non c'è più
tempo alle riunioni, una signora elegante non ha altro di meglio a fare che ammalarsi. Oh! una
malattia senza gravità, che non ne alteri la freschezza, che non la obblighi a star in casa, nè a
nessun'altra privazione. * Un'emicrania periodica, che verrebbe ogni otto giorni.... se venisse.
Un prurito nervoso sotto l'unghia del dito mignolo. Un'avversione pronunciatissima a tutti i
colori delle tappezzerie di casa. Una lieve difficoltà a digerire peperoni crudi e corteccie di
limone. Infine una malattia comoda purchessia, la quale porti con sè la certezza che la sua
guarigione sta nelle acque del tal paese, o nei bagni del tal altro.
Naturalmente, la civiltà moderna non ammette che esista sulla terra un marito così
barbaro, così pelle rossa, così basci-bazouk, il quale rifiuti di sacrificare tutti i suoi risparmi, di
alienare se occorre il suo patrimonio, d'impegnare l'argenteria di casa, di vendere fin i ciondoli
del suo orologio ed i suoi sigari d'avana, pur di ricuperare la salute pericolante di sua moglie,
colla cura delle acque indicate... dalla moda.
Se lui non può accompagnarla, non importa. Sua moglie è pronta a sacrificarsi. Andrà
sola. Oh le mogli sono d'una generosità!... le bagnature sono tutte popolate di signore senza
mariti e di uomini senza signore.
Appena giunte alle bagnature, le donnine più ammodo aprono una nobile gara a chi
riuscirà meglio a farsi prender in fallo. Abiti stravaganti; cappellini impossibili; acconciature
sguaiate. Tutte approvano il canto del dott. Brown, la marsigliese elle emancipatrici:
"Freedom of speech from what we think,
And freedom too in dress;"
che io traduco liberamente:
"Libero il dir quanto ci passa in testa,
Ed alle ortiche la toletta onesta!"
Le più modeste ladies, he cadrebbero coscienziosamente svenute se il loro
marito osasse chiamare col suo vero nome quella parte del loro vestiario che loro definiscono
pudicamente gli inesprimibili, on esitano a mostrarsi sulla spiaggia, succintamente
vestite di inesprimibili anche loro lasciando all'estremità delle gambe che ne sporgono, tutta la
cura di predicare la rinuncia al mondo ed al demonio, com'esse hanno rinunciato alla carne.
E si scende a colazione in accappatoio come se si stesse alla sponda, o come direbbe il
signor Rigutini, nel corsello del proprio letto. E, con quell'abito svolazzante ed i capelli sciolti, si
siede o si passeggia flirteggiando on un ignoto qualunque, di cui è molto se si conosce il
nome ed il colore dei guanti; la sera si scende scollate nelle sale di compagnia; o, sole,
sissignore; ai bagni è permesso. Fanno tutte così.
* Sa cantare, signora?
* Un poco.
* Conosce il duetto degli Ugonotti Di' che m'aaami diii....
* Sissignore.
* Vorrebbe cantarlo con me?
* Chi me Lui; chiunque; non importa; ai bagni si parla, si balla, si canta con
tutti. Freedom of speech
Che meraviglia poi, se, per farsi conoscere meglio, quell'ignoto s'affretta a dimostrare di
che misura d'impertinenza lo ha dotato l'educazione moderna?
Eppure se la cosa viene ad orecchio al marito, dovrà mettere durlindana al vento, e se
occorre, fare col proprio sangue la quietanza all'oltraggio che ha ricevuto sua moglie.
Ma! così si usa. Perchè? Per evitare il ridicolo? Già. Però dopo il duello sarà più ridicolo
di prima.
Oh! la libertà delle signore, che vuole le sue piccole cospirazioni, che suscita i suoi
piccoli odii, ed i suoi piccoli amori, e le sue guerre in diciottesimo come la libertà dei popoli,
piccolo serpente che seduce le pronipoti della vecchia Eva! Dov'è la Madonna che gli schiacci il
capo?
Si comportano come ho accennato più sopra, mie gentili lettrici, quando vanno alle
bagnature?
In tal caso hanno sbagliato strada.
Smettano un poco il rigore delle presentazioni che si deve serbare in città, se sono col loro
marito; ma se sono sole, richiedano più che mai quella guarentigia prima di entrare in relazione
con chicchessia. Cerchino di giungere con una lettera pel proprietario dello stabilimento, e lui
avrà di presentar loro le persone di cui crederà di poter rispondere. Cogli ignoti scambino le
parole di stretta cortesia, e non altro.
Procurino di essere sempre in tempo alla tavola comune, per evitare ai conoscenti la noia
di aspettarle e se tarda una signora con cui hanno stretta relazione e che ha il posto vicino a loro
ed è solita a pranzare discorrendo insieme come fossero in casa, le usino la cortesia d'aspettarla
un poco.
Se sono ai bagni per fare una cura non parlino a tavola dei loro malanni. Vi sono persone
a cui i discorsi di malinconie tolgono l'appetito. E se per caso è un altro che fa la descrizione
delle proprie sofferenze, non se ne mostrino disgustate.
Appena conoscono qualche signora, si associno con lei per le partite di piacere, le
passeggiate, le chiacchiere all'ombra, i giuochi. E non vadan mai sole passeggiando fra le ombre
del giardino:
"Ove in disparte bisbigliando errano
(Nè patto umano nè destin ferreo
L'un dall'altro divelle)
I poeti e le belle.
-
- -
Dove una signora può veramente permettersi una maggior libertà, è in campagna. Prima
di tutto potrà ricevere degli ospiti per un tempo più o meno lungo. Sono conoscenti di famiglia, e
per essere invitati debbono godere un certo grado d'intimità. Lei sa con chi tratta, ed è sicura che
le sue parole e le sue azioni non possono venir interpretate malignamente. I vicini di villa, o sono
proprietari che tutto il circondario conosce; o sono inquilini le cui informazioni hanno già
soddisfatto il proprietario, che ha creduto di potere con tutta fiducia affittar loro la sua villa. E
sono istallati là per un certo tempo. Non sono la popolazione nomade dei bagni. Si può aspettare
alcuni giorni, osservare le loro abitudini, prima di decidere se convenga o no incontrarne la
relazione.
Ogni villeggiante è tenuta a fare una visita agli ultimi vicini venuti; ben inteso quando vi
sono signore.
Se è ricambiata con una visita entro otto giorni, vuol dire che la relazione è accettata, ed
allora lei ritorna, e si stabiliscono quei rapporti frequenti ed amichevoli che sono uno dei piaceri
della campagna.
Se riceve invece una carta di visita, deve comprendere che i nuovi venuti desiderano viver
soli, ed allora li lascia in pace.
In villa si hanno maggiori doveri che in città verso i visitatori. Non basta farli sedere,
metter loro uno sgabello sotto i piedi se sono signore, ed intrattenerli a discorrere. Bisogna
pensare che hanno fatto un tratto di strada in campagna col caldo e la polvere, che forse vengono
da lontano, e, senza spingere le cose fino a far loro un pediluvio come si usava nell'eccessiva
ospitalità dei patriarchi, bisognerà offrir qualche cosa da bere, un rinfresco.
E badino, signore mie, a non interrogare i visitatori prima di dare quell'ordine, o prima di
mandare in giro le tazze.
Il domandare:
"Vogliono bere? Prendono qualche cosa?" è come obbligarli a dire di no per cerimonia.
Mi trovai una volta con una brigata numerosa nella villa d'una sposina giovanissima, che
faceva gli onori di casa con tutta l'inesperienza de' suoi sedici anni, ed un po' di mala grazia per
giunta.
Aveva fatto posare il vassoio col ghiaccio, le brocche, le tazze e tutto sopra una tavola, e
là, piantata dinanzi al servizio, si pose a fare l'appello come un ufficiale alla sua compagnia:
* Signora A prende caffè?
La signora A aveva molta sete, ma per complimento dovette dire:
* La ringrazio, non si disturbi.
* Signora B
* No davvero, la prego; non si stia ad incomodare.
E così giunse all'ultima persona senza immolare all'ospitalità neppure una goccia di quel
caffè prezioso, ed obbligandoci a ringraziarla di nulla mentre si ripartiva assetati!
Quando s'invita un ospite, è di buon gusto andarla ad incontrare al suo arrivo, per
mostrargli che è aspettato con impazienza. Se vi sono altri ospiti in casa, che possano associarsi a
quella passeggiata, la padrona di casa ne farà la proposta. Se invece avesse con sè persone di
suggezione o attempate non le lascerà. Procurerà di mandare suo marito, suo figlio, una sorella
maritata, qualcuno della famiglia incontro ai nuovi venuti, che per lo più scendendo allo scalo
hanno bisogno d'una carrozza o d'una guida. E se la signora fosse sola, manderà la carrozza, se
l'ha, colla propria cameriera: oppure un servitore a piedi, ed in mancanza d'ogni altro lusso, un
massaio; ed appena i viaggiatori giungeranno in vista della casa, correrà ad incontrarli, ed
addurrà le vere cause che le impedirono di andar prima e più lontano, e se ne scuserà.
Quando avrà offerti agli ospiti tutti quei rinfreschi di cui possono aver bisogno dopo il
viaggio, li condurrà nella camera che avrà destinata per loro. Ma per carità non trascini una
persona stanca a far l'inventario di tutta la villa; è un complimento opprimente. Più tardi, il
domani, quando il suo forastiero sarà riposato, avrà tempo a veder tutto. Ed anche allora lasci che
vada da sè. I padroni di casa sono i più incomodi e gravosi fra i ciceroni. Gli altri si pagano uno
scudo, e si acquista il diritto di bestemmiare loro sul muso magari che San Pietro in Roma è una
chiesuola da villaggio, e che il Mosè di Michelangelo è un fantoccio. Per quello scudo abdicano
ogni suscettibilità artistica e patriottica.
Ma ai padroni di casa si deve un aggettivo ammirativo per ogni cosa che ci mostrano,
fortunati ancora noi, se ci fanno grazia del superlativo.
L'esposizione della casa dev'essere stupenda e saluberrima. I quattro punti cardinali hanno
fatto delle transazioni colla cosmografia, per aggiustarsi in modo che quella casa potesse goderli
tutti:
* È solida questa costruzione, sebbene sul colle. Senta che saldezza di pavimenti. Faccia
un salto. Così. Un altro! * Ed il padrone di casa salta lui pel primo, e bisogna saltare, e
trasecolare per meraviglia di non avere sfondata la casa.
* E le mie cantine! Sono fresche come ghiacciai.
* Sono persuaso.... si capisce dalla posizione.... dal terreno....
* Ma no, deve vederle. Sentirà che freddo. C'è da pigliarsi un'infreddatura. Il signor Tale
che è sceso ieri, oggi ha una tosse!... ed il signor Tal altro ha sternutato otto volte di seguito
nell'entrarci.
Il meno che possa fare il nuovo venuto è di sternutare dieci volte per cortesia, e prendere
una bronchite.
* Ed i cavoli dell'orto! Una meraviglia!
* Ed i peperoni! Un prodigio.
* Per i fiori: * bello, molto bello, bellissimo, stupendo!... guai se vengono meno gli
aggettivi. L'amor proprio del padrone di casa è ferito. Doveva essere un triste ospite Voltaire, il
quale diceva che * "l'aggettivo è il maggior nemico del sostantivo anche quando s'accordano in
genere, numero e caso..."
Dunque, signore mie, risparmino ai loro invitati la via crucis el loro podere.
Accordino loro la massima libertà d'azione. Tocca all'ospite di non goderne e di associarsi
completamente alle abitudini della famiglia. Se per caso l'ospite è un maestro o un dilettante di
musica, non gli addossino l'incarico di divertire e far danzare tutto il vicinato. Se è un pittore,
non lo condannino a ritrattare tutta la famiglia, dal capo di casa fino al gatto. Se è un avvocato
non lo obblighino a dare una serie di consulti legali sui fatti loro, e se è un medico non lo
tormentino coll'illiade dei loro piccoli e grandi malanni.
L'ospite è un amico, lo trattino come amico soltanto, ed alla sua presenza, signore
massaie, lascino andare tutti i discorsi d'economia. Sì, il vitto è caro; la carne ha un prezzo
esagerato; e le frutta poi, un'immoralità. È verissimo. Tutto questo lo diranno al loro marito, lo
scriveranno a me se hanno bisogno di sfogarsi un poco. Ma per chi vive in casa loro, capiranno
che certi calcoli si potrebbero tradurre in volgare:
* Quanto mi costa ospitarli, signori miei! Mi sono debitori di tanto e tanto.... e poi
ancora tanto!
Quando un invitato annuncia che vuol partire, dev'essere sempre troppo presto per la
padrona di casa. Le sembra che sia giunto allora! Però si guarderà bene da quelle dimostrazioni
di amicizia imperiosa ed aggressiva, che nasconde le valigie, manda indietro le sfere degli
orologi, fa perdere i treni, violenta gli ospiti in ogni maniera, e li obbliga ad una lotta corpo a
corpo per ricuperare la loro libertà.
Lo crederebbero, signore mie, che esistono a questo mondo, a questo stesso mondo in cui
vivono loro, così educate e gentili, certe padrone di casa che quando i loro invitati hanno voltate
le spalle domandano alle persone di servizio quanto hanno dato di mancia?
* OOOh!!!
Così è. Loro non ne conoscono. Io neppure, se Dio vuole. Ma se mai sentissero dire che la
signora Trestelle, o Quattro Asterischi ha questa volgare abitudine, facciano in modo di smarrire
questo mio volumetto alla porta della sua casa.
Per quella signora là soltanto, io noto qui che le padrone di casa debbono astenersi
assolutamente dall'entrare in certi particolari, e se una persona di servizio troppo famigliare
volesse raccontarli, tocca alla signora insegnarle il rispetto che le deve.
Sono i padroni di bottega che domandano conto delle mancie; e quelli sono giustificati
dalla necessità di ripartirle equamente fra i loro garzoni.
-
- -
A misura che l'istruzione delle signore si raffina, la loro corrispondenza si fa più estesa ed
importante. In questo anno di grazia, e di scuole superiori, mille ottocentonovantadue, sarebbe
ridicolo che io mi mettessi ad insegnare alle signore come si scrivono le lettere. Ho detto su
questo proposito il mio parere alle signorine e basta.
Ne parlo unicamente per la parte che riguarda le convenienze. Una signora deve avere la
carta colle sue cifre, e la corona, se l'almanacco di Gota non ci ha nulla in contrario. La forma
della carta è soggetta ai capricci della moda, come pure il colore. Costa così poco l'uniformarvisi,
ed è tanto bello il vedere che tutto quanto parte da una signora è grazioso, elegante, moderno
come lei, che non esito a consigliarle di seguire la moda se possono. Ora l'ultimissima moda è
d'avere un motto latino. Da tempi immemorabili questo si è usato da qualcuno. Ma ora si va
generalizzando, e non c'è persona raffinata che non abbia il suo motto in testa alla carta da
lettere.
È un uso che mi sembra buono. Per un sentimento di onestà si studia un motto che
risponda ad un nostro principio, ad una nostra passione alta e nobile; ad un nostro proposito, e
per lo stesso sentimento di onestà, si è portati a non ismentire il motto colle nostre azioni; per cui
è quasi un impegno che ci assumiamo di mettere in pratica il motto adottato.
Ma, badino, la carta colla cifra e collo stemma o col motto, non si adopera mai per
mandar commissioni alla sarta, alla modista, al mercante, al calzolaio. Possono figurarsi, un
calzolaio, che riceve una lettera precisamente uguale a quella che manderebbero alla loro più
intima amica? Sarebbe come farlo sedere alla loro tavola e questo non si usa. Il più democratico
dei deputati di sinistra, un arruffapopolo addirittura, stringerà la mano al suo portinaio, ma non
trincherà insieme, e non gli farà di cappello come ad un ministro.
La corrispondenza d'una signora è più estesa che quella di una signorina; e le presenta un
più vasto campo per far apprezzare il suo spirito, le sue osservazioni, la sua originalità d'idee;
bisogna avere, come ho la fortuna d'avere io, un'immensa corrispondenza colle signore, per farsi
un'idea del gusto, della grazia, dell'eleganza che ci mettono. Nella loro modestia, alcune di quelle
lettere sono piccoli capolavori. Ed i pedanti ed i puristi vanno dicendo che in Italia non si sa
scrivere! Chi non sa scrivere? Loro, e noi, letterati e letteratucoli mi metto fra questi, che, a forza
di studiare parole nei vocabolari, perdiamo il filo delle idee, e diventiamo imbecilli.
Ma torniamo a bomba, come dicono i letterati. Le lettere di dovere per una signora si
suppliscono, volendo, con una carta da visita. E di queste avrà una larga distribuzione da fare.
Avrà cura di esserne sempre ben provveduta.
Al capo d'anno, dopo aver scritto ai parenti ed amici lontani e visitate personalmente
quelle persone, verso le quali i riguardi di grado sociale e d'età non le permettono di
disimpegnarsi con una semplice carta, manderà la carta da visita alle sue conoscenti.
Una delle sue, ed una del marito bastano per una vedova, per una signora sola, per una
madre con una o più signorine. Per due sorelle o due cognate, vedove o attempate entrambe,
manderà due carte proprie e due del marito. Ad una signora maritata manderà una carta sua e due
del marito, il quale deve far auguri all'amica della moglie, ed al marito di lei. In una casa in cui vi
fossero oltre al marito colla moglie (i figli non contano), un suocero, una suocera, una cognata,
ecc., la signora manderà tante carte quante sono le signore in famiglia; il marito tante carte
quanto sono gli uomini, più una per la padrona di casa. Dato che una famiglia sia molto
numerosa, il moltiplicare esattamente le carte di visita che vi si devono mandare, sarebbe una
pedanteria. Allora si mandano soltanto ai coniugi che sono capi di casa. Ricevendo un annuncio
di matrimonio, si risponde con una carta dei due coniugi ai genitori della sposa, ed una pure
d'entrambi, ai genitori dello sposo. Se si è assistito ad un matrimonio, subito dopo si mandano le
carte da visita, una della signora e due del marito ai nuovi sposi.
Ricevendo l'annuncio d'un battesimo o d'una morte, si risponde colle proprie carte alla
famiglia. In entrambi i casi, come pure per nozze, molti usano le lettere P. C. Vuol
dire ugualmente per condoglianza, per congratulazione. onosco un signore
che le ha fatte incidere addirittura sulle sue carte. Dice che sono un tesoro quelle due iniziali,
perchè sanno interpretare tutti i sentimenti. Secondo lui, in caso di morte, i superstiti che hanno
ereditato non mancano mai di leggere per congratulazione; , sempre secondo lui, gli
sposi, che possono averle soltanto tornando dal viaggio, leggono quasi sempre per
condoglianza.
uando si ammala una persona di conoscenza si deve subito mandare a domandarne
nuove; e la prima volta la persona di servizio dovrà presentarsi con carta di chi la manda alla
quale si aggiungeranno le parole: "Per prender nuove" o le iniziali p. p. n. uesto
perchè la persona di servizio sia conosciuta, e possa essere informata ogni giorno. All'annuncio
che l'ammalato entra in convalescenza, si deve mandargli la carta "Per congratulazione." Se,
come si usa da molti, la famiglia dell'ammalato mette nella portineria giornalmente il bollettino
del medico, gli amici dovranno passare in persona almeno ogni tre giorni a sottoscriversi, e
quando non vanno, mandare una persona di servizio, che dovrà sottoscrivere: "per il signore o la
signora tale," senz'altro.
Il convalescente manderà subito a tutti quanti si sono sottoscritti, o hanno mandato a
prendere nuove, la sua carta colle iniziali p. r., d appena potrà uscire, dovrà fare una
visita a tutti. Trattandosi di un personaggio illustre, alla cui porta, in caso di malattia, vanno a
sottoscriversi conoscenti lontani, ammiratori ignoti, basterà la carta di visita; ma invece delle
succinte e poco cordiali iniziali p r dovrà contenere alcune parole di ringraziamento.
Se s'è avuta una disgrazia in famiglia, si risponde a tutte le carte da visita ricevute con le
carte dei capi di casa, o quelle della vedova su cui si scrive P R (per ringraziamento)
alvo a ricevere e ricambiare le visite di condoglianza dopo quindici giorni almeno.
Non debbono mai essere le persone dolenti che si incaricano personalmente di mandare le
carte. Sarebbe dimostrar che la loro afflizione le impensierisce ben poco, se lascia loro testa da
pensare a tanta gente.
Assentandosi dal paese dove si abita, o dove s'è passato qualche tempo si mandano ai
conoscenti le carte di visita colle iniziali p p c (per prender congedo). ornando dalla
campagna o da un viaggio, si manda la carta di visita senza iniziali. In questo caso aggiungere
quella del marito sarebbe ridicolo, perchè la carta è incaricata di dire che la signora è pronta a
ricevere e non è ammesso che un uomo possa dare la stessa nuova, senza essere un principe; ed i
principi sono dispensati da questa formalità verso i semplici mortali.
In tutte le circostanze una signora non rende mai la carta ai giovani soli, a meno di essere
francamente vecchia. Ad ogni figlio che ha perduto il padre o la madre, anche una signora
giovine manda la sua carta; ma dicono i galatei francesi, vi aggiunge due parole di condoglianza.
Oh Dio! Anche in quel momento solenne si diffida di lui! Potrebbe abusare della carta di una
signora! Le condoglianze scritte non sono condoglianze, sono una guarentigia che non potrà farsi
bello di quell'invio, senza che si giustifichi da sè stesso con quelle parole. Oh mondo pessimista!
Oh mondo pedante!
Un figlio che ha perduta sua madre! Ma inginocchiatevi dinanzi a lui per consolarlo. È
per la sua cara morta il vostro omaggio; e egli è sacro. Non dubitiamo dell'amore dei figli. In che
cosa crederemo più, allora? No, non voglio dubitarne; è triste il pessimismo e spoetizza il cuore.
Parliamo d'altro.
In Francia le carte di visita di una signora non portano mai il suo nome di battesimo. Si
usa dire la signora Emilio di Girardin; la signora Vittorio, e la signora Carlo Hugo. I galatei
francesi sono in ammirazione dinanzi a questa trovata; secondo loro è l'ultima espressione del
decoro, perchè il nome di battesimo di una signora non deve esporsi ad esser conosciuto dai
profani: "Non debbono saperlo, lessi in uno di quei galatei formalisti, che il marito, il babbo o il
fratello."
Confesso d'aver visto in Italia, scritte in italiano, alcune carte di visita con quella
combinazione bislacca di nome maschile e titolo femminile. Ma se Dio vuole non è ammesso dai
nostri costumi.
È un oltraggio al buon senso, ed è affatto inutile. Che torto può fare ad una signora che si
sappia il suo nome? Lucrezia romana la moglie modello, Susanna tanto casta.... coi vecchioni, la
vergine Maria, hanno serbata una riputazione immacolata, malgrado tanti popoli e tante
generazioni in possesso del loro nome
Ma i Francesi non ci credono; e per dimostrare il loro rispetto a Maria, sentono il bisogno
di chiamarla Notre Dame.
CAPITOLO II - La madre
Annuncio della nascita d'un bimbo * Battesimo * Ricevimento * Ai pranzi * Presentazione dei
bimbi ai conoscenti * Presentazioni delle figliole in società * Civiltà verso i maestri dei figli * Verso
i loro amici * Lutto * Casi riservati.
"Oggi ci è nato un parvolo
Ci fu largito un figlio.."
Ed ha trovato tutto in punto per l'inaugurazione della sua vita, il piccolo amore? Non
vorrei che avesse a mancare nè un nastrino ad una cuffietta, nè un bottone ad un bavaglino.
Sarebbe una trascuratezza da parte delle mamme, alle quali il Padre Eterno, nella sua
provvidenza infinita, ha lasciato nove mesi di tempo per la cucitura del corredino.
Gli annunci no, non vanno preparati. Quello è il compito del babbo. Ma lui è sempre cosí
assorto negli affari, che non si occupa affatto di simili formalità; e, giunto il momento, si
troverebbe intricato come un pulcino nella stoppa, se la sua sposa non avesse pensato prima ad
istruirlo, che il giorno stesso in cui la gioia della paternità fa sussultare il suo cuore, dovrà
informare i conoscenti con una circolare. Altre volte agiva per conto proprio e della moglie.
Erano loro che comunicavano la nuova della nascita del loro bimbo.
Ma ora anche i bambini s'emancipano. Sono loro che annunciano la propria venuta in
hac lacrymarum valle Il babbo non è che il loro incaricato di affari. Provvede i cartoncini
lucidi col contorno dorato e vi fa incidere per esempio:
Guerrino Meschino
saluta col suo primo vagito gli amici della mamma e del babbo.
Tal paese, giorno tale, anno tale, ore tante.
oppure:
Il babbo e la mamma m'incaricano di dirle, signore (o signora), ch' io venni al mondo ieri,
ed ho bisogno della loro amicizia.
uerrino Meschino,
e la data.
Soltanto alle persone che si vogliono invitare al battesimo si manda una parola d'invito
manoscritta, a nome del babbo e della mamma.
Ma prima di parlar del battesimo, mi lascino dire, signore mie, che dà una gran buona
idea dell'educazione d'una signora, l'udire dalle persone che ricevono le circolari questi
commenti:
* Come! quella signora cuciva un corredino? Si faceva scorgere così poco. Non ne
parlava mai.
Non so se mi spiego, e non vorrei spiegarmi troppo in questo libro. Ma debbono
comprendere, che le noie ed i disturbi che accompagnano le fatiche d'un corredino, non sono
argomento interessante nè piacevole in compagnia. Debbono tenerli per sè, come un ammalato
deve serbare a sè ed al suo medico le geremiadi delle sue sofferenze.
Nulla è più sconveniente di quelle persone sempre discinte, sempre sdraiate, che
intrattengono tutti delle loro nausee, delle loro piaghe, e condannano gli amici ed i figliuoli degli
amici, a certi studi fisiologici o patologici, non compresi nel programma della loro educazione.
Quando il bambino è nato bisogna pensare a battezzarlo.
Il compare e la comare debbono esser stati scelti ed avvertiti da un pezzo; almeno due
mesi prima. È un incarico che impone una quantità di oneri, epperò non lo si deve offrire che a
parenti o amici intimi, di quelli che si può essere certi che lo accetteranno di cuore e con gioia.
Bisogna evitare ugualmente le persone d'una ricchezza troppo superiore a quella della
famiglia del bimbo, per non far supporre che si conti sulle loro larghezze; e quelle troppo ristrette
per non metterle in un impegno superiore ai loro mezzi.
-
- -
Un giovinotto chiamato una volta a quella cerimonia, mi diceva:
* Ho tanto speso perchè quel piccolo monello rinunciasse alla carne, che mi sono ridotto
io stesso, al regime dell'estratto di Liebig.
Quando però una persona si offre di fare da compare o da comare, a meno d'aver già un
impegno precedente, non la si rifiuta mai.
Se una signora, pregata di far da comare, per una ragione qualsiasi, non può accettare;
deve scusarsene colla massima cortesia, esprimendo i motivi del rifiuto, in modo che questo non
si possa attribuire a cattiva volontà.
Per lo più la famiglia del nascituro lascia alla comare la scelta del compare. Una
signorina, in questo caso, non sceglie mai un giovinotto; e, per non escludere tutti i giovani
parenti ed amici del suo futuro figlioccio, rifiuterà di fare quella scelta, accettando il compare che
la famiglia del bambino sceglierà.
Le signore maritate accetteranno il diritto di scelta, e daranno la preferenza a quel
compare che potrà, a loro credere, essere più utile al bambino, e più accetto ai parenti; sempre
però nella cerchia di persone che le verranno indicate come disposte ad accettare quell'incarico.
La comare è in dovere di offrire al figlioccio una medaglia d'oro o d'argento, con un bel nastro, al
momento del battesimo. Dopo tre mesi dovrà regalargli un intero costume, il suo primo costume
da passeggio; e più tardi il denteruolo 'avorio montato in argento o in oro, col nastro per
portarlo al collo. ( denteruolo è una parola di cui debbo domandare scusa ai signori puristi.
Ma nel Fanfani non ho trovato di meglio. A Firenze dicono ciambella perchè usano un cerchietto appunto
in forma di ciambella. Ma il nostro denteruolo ha tutt'altra forma, e sembra più una follia
che una ciambella. )
Volendo essere più generosa, potrà, alla medaglia, offrire anche l'abito da battesimo, ed il
guancialone (porte-enfant.) a questo si fa soltanto in parentela o nella massima
intimità. Ed in tal caso, tutto sarà bianco, guarnito con nastri color di rosa per una bimba, azzurri
per un maschio. Non essendo in molta confidenza, e volendo abbondare nei doni, la comare darà
al bambino la ciotola d'argento col cucchiaino e la sottocoppa e tutto il servizietto delle sue
pappe future.
La comare non ha obbligo di fare doni alla partoriente; ma, ricevuta la nuova del parto,
deve mandarle subito un mazzo di fiori di bulgaro.
Il compare deve regalare alla partoriente una coppa colla sottocoppa ed il cucchiaio, ed un
ovajolo col cucchiaino da ova; il tutto di metallo più o meno prezioso o di porcellana, a seconda
dei suoi mezzi e della sua generosità; l'ovaiolo sarà con vantaggio mutato in un intero servizio
per le ova.
In parentela e nell'intimità si può mutare arbitrariamente il dono, tanto più se si tratta
d'una madre di famiglia, che ha già ricevute tante coppe quante sono i suoi figli, e non può essere
molto contenta di veder aumentarsi quella inutile collezione. In tal caso si può offrirle una
cuffietta di trina antica o moderna, per le visite dei quaranta giorni che si ricevono in cuffia,
oppure un gioiello colla data del giorno in cui è nato il bimbo.
In alcuni paesi il compare fa un dono alla comare, ed allora la comare o chi per lei, dà un
pranzo di invito in onore del compare, e questi prende posto, a tavola alla destra della signora o
della signorina, che gli ha fatto l'onore di tenere un battesimo con lui. Il dono del compare deve
limitarsi ad una confettiera piena di dolci, che può essere tanto di cartone e raso, come un oggetto
d'arte inapprezzabile, o un cofanetto di metallo prezioso, ma sempre una confettiera.
Ad un battesimo come ad un matrimonio una signora non deve mai presentarsi vestita di
nero, si diceva fino a ieri. Da oggi la moda è cambiata; ed il nero è quasi il colore preferito in
quelle circostanze. La durerà questa moda? Ne dubito.
Il compare, uscendo di chiesa, dà una mancia al sagrestano; e, rientrando in casa, dice
qualche parola alla nutrice o alla bambinaia raccomandandole il suo figlioccio, e le pone in mano
un dono in denaro. Lo stesso farà colla levatrice.
Prima della cerimonia, compare e comare debbono imparar bene le risposte da dare al
sacerdote, le formule di rinuncia da fare in nome del battezzato, gli atti di rito, le imposizioni
delle mani, ecc.
Sarebbe scortese verso i genitori del bambino e dimostrerebbe di prestarsi di mala voglia
alla cerimonia chi vi andasse senza esservi preparato.
Generalmente la mamma è ammalata quando si celebra il battesimo, per cui non
s'invitano che i parenti e le persone di grande intimità, affine di evitare i rumori che le
riescirebbero fatali.
Se il battesimo dev'essere fatto con pompa, si dà l'acqua al bambino, e si differisce la
cerimonia fino a che la madre sia abbastanza guarita per assistervi. Però questo non si fa da
molti. Quelle esistenze pargolette sono così fragili, che difficilmente una mamma si mette in
pericolo di veder morire il suo bambolìno senza battesimo, sebbene alla crudeltà del limbo le
mamme non ci credano, e si tengano sicure, che tutte le porte del paradiso si spalancherebbero
dinanzi al piccolo innocente, per lasciarvelo svolazzare nella forma idealmente pura d'una testina
alata.
La mamma non è obbligata a ricevere il compare in camera finchè sta a letto. Se crede
però di farlo nessun riguardo di convenienza vi si oppone. Ad ogni modo sarà il solo uomo che
godrà un tale privilegio, al quale la comare ha diritto.
Dopo il battesimo, il padre del bambino offrirà un rinfresco al compare, alla comare ed
agli invitati. In alcuni paesi si suol dare un pranzo; ma da noi non si usa prolungare dei
complimenti, che terrebbero il marito lontano dalla moglie in momenti, in cui sentono più che
mai l'uno e l'altra il bisogno di stare uniti, di comunicarsi le impressioni di quel nuovo amore,
che è venuto a vincolare maggiormente le loro esistenze.
Oltre alle carte di visita in risposta all'annunzio, la mamma riceverà una visita dalle
persone più intime, fra quelle a cui ha comunicata la felice novella. Se la sua salute glielo
permette comincierà a ricevere dopo tre settimane dalla nascita del bambino. Non in sala però,
ma in camera da letto, o in un salottino accanto.
La mamma deve avere un abito sciolto ad accappatoio, ed una cuffietta. Nella sua
abbigliatura deve dominare l'azzurro se il piccolo angelo che dorme accanto a lei è un bambino;
il roseo, se è una bambina.
Il personaggio minuscolo dovrà essere in ordine per venir presentato alle visitatrici. Lui
però non dovrà darsene pensiero, nè prendersi disturbo di sorta. Basta che, steso tra i merletti
della sua culla, si degni di lasciarsi ammirare; del resto può gridare, dormire, e fare il suo
comodo in tutta l'estensione del termine.
La prima visita della mamma, dopo essere stata in chiesa a rientrare in santo
dev'essere per la comare. In seguito andrà da tutte le persone che sono state a vederla. E, più
tardi, quando il bambino comincerà ad uscire, dovrà andare con lui portato dalla nutrice o dalla
bambinaia, da tutte le persone che hanno salutato con una visita la sua venuta nel mondo. Per
riguardo al bambino, a cui si debbono evitare gli urti dei passeggieri affrettati, la signora,
andando a piedi in istrada, cederà sempre la destra alla persona che porta il suo tesoro.
-
- -
Ed il bimbo cresce; comincia a balbettare; ed è una delizia averlo a tavola dove mangia un
po' di tutto, e discorre....
E tuttavia se si hanno persone a pranzo che non siano di grande intimità, mi duole il dirlo,
e confesso che mi duole anche il vederlo fare, non l'approvo, ma tuttavia è un fatto che i bimbi
non si mettono a tavola. Che farci? Vi sono persone intolleranti, a cui tutto dà fastidio. Un
bambino durante un pranzo, fa cadere almeno una dozzina di volte il cucchiaino, il pane, e tutto
quello che ha intorno. Vuol pigliare il bicchiere e la sua manina, piccina, unta, inesperta, lo lascia
scivolare sulla tovaglia. Se qualche cosa gli dà noia, piange. Se è di buon umore, si mette a
galloriare rumorosamente, senza curarsi d'interrompere i discorsi; anzi, più la conversazione è
animata più grida anche lui.
Per me, tutte queste sono delizie, e non pranzo mai tanto bene, come quando vedo la
tavola contornata di testine bionde. Ma pare che sia una manìa speciale a me sola, o a ben pochi.
La generalità trova che i bambini disturbano, e la convenienza vuole che non si mettano a
tavola se non si è in famiglia o nella massima confidenza; e così sia! Si fanno però entrare alle
frutta.
-
- -
Ho la disgrazia di conoscere una signora che ha sette figli. La maggiore è una bimba di
tredici anni; il più piccino è un baby i tre anni e mezzo. La natura ha data a tutta quella
cara marmaglia una memoria straordinaria, per la massima afflizione degli amici di casa.
Si esce col proposito di fare almeno quattro visite. Ma è sabato. La signora Feconda
riceve. Si sale prima da lei. Dopo un quarto d'ora si vorrebbe congedarsi.
* No; aspetti un momento. Le faccio vedere Lotto (Carlo, Carlotto, Lotto) e Vevè
(Vincenzo, derivazione inesplicabile) che non sono a scuola.
I due signorini entrano invariabilmente col naso sporco.
* Salutate la signora. Come si dice? Buongiorno, ma non basta, Cosa si fa? Si dà un
bacio alla signora.
La signora esita un momento. La mamma se ne accorge.
* Oh ma che naso avete! e colla sua pezzuola fa la pulizia di tutti i piccoli nasi, e non
transige sul bacio.
* Ed ora fatele sentire una poesia. Prima tu, Lotto.
* No, * Sì. * No....
* Dilla, e la signora ti dà la chicca. La signora non ha chicche e resta mortificata. Intanto
tornano gli altri cinque figli dalla scuola. Un bis di presentazioni, di saluti, di pulitura di
nasi; e poi la mamma in possesso di tutta la compagnia, dispone le cose in modo, che, col buon
esempio dei grandi destando l'emulazione nei piccini, riesce a far udire, alla visitatrice tutto il
repertorio delle poesie, da Lotto che diverte balbettando in francese:
"Je suis un enfant gâté
De jolie figure."
fino alla primogenita, che fa addormentare recitando tutta la Passione i Manzoni, di cui
non capisce il gran nulla.
Intanto sono le cinque; le altre visite sono andate a monte e la visitatrice deve ancora
leticare colla signora Feconda, la quale vorrebbe farle sentire che la signorina dice il Natale
ncora meglio che la Passione poi eseguisce una sonata.... e che Vevè, oltre all'Ode
all'Italia di Leopardi, che ha declamata, sa tutta La Charité i Victor Hugo in francese. E
la lascia partire a stento promettendo però di renderle visita accompagnata da tutta la sua dotta
prole, per darle una rappresentazione a domicilio.
Ah signore mamme! Lo sanno pure quanto noi siamo di difficile contentatura in fatto di
recitazione! Io confesso che, prima di decidere se prenderò l'abbonamento al Manzoni ho
bisogno di sapere chi sono tutti gli artisti della compagnia....
Si figurino se posso divertirmi alle declamazioni delle loro piccole gioie! Udrò sempre
volentieri l'enfant gâté de jolie figure dirmi:
"J'aime les petits pâtés et les confitures,
Si vous voulez m'en donner
Je saurai bien les manger."
Ma, lo ripeto, io faccio eccezione per la passione che ebbi sempre pei bambini. Stiano
certi che alla generalità i loro bimbi saranno tanto più accetti e simpatici quanto meno
reciteranno, e quanto più brevi saranno le loro permanenze in salotto.
Da qualche tempo gl'italiani si sono accorti che la nostra lingua è bella, armoniosa e ricca,
e sopratutto che è la nostra lingua, e prima di guastare la pronunzia dei bambini avvezzandoli alle
lingue straniere, li avvezzano a parlar bene l'italiano. È un uso da raccomandarsi caldamente.
Come pure è da raccomandare che non si facciano parlare ai figlioli le lingue straniere che
sanno o che imparano, quando sono presenti persone estranee alla famiglia. Oltre ad essere
un'affettazione vana, può anche darsi il caso che metta nell'imbarazzo un fior di galantuomo che
senza valer meno di nessuno per intelligenza, non ha imparate le lingue straniere.
-
- -
Ed ora le loro bimbe si sono fatte grandi. Sono signorine. Bisogna aver pazienza, signore
mamme, e cangiar modo di vivere. L'abbonamento alla commedia bisogna lasciarlo, le signorine
non vanno alla commedia, ed una mamma per bene, non le lascia sole tutta la serata in casa per
andarci lei.
Può condurla al pattinaggio, al gioco del lawn-tennis, all'opera; ai balli di famiglia, e
dopo i sedici anni, anche ai grandi balli.
* Ma, * scusino, mi rincresce dirlo, so che è un sacrifizio; * tuttavia.... che farci. Una
mamma che accompagna una signorina non deve nè ballare, nè pattinare, nè giocare al lawn-
tennis.
* Quando è decrepita forse?
Nossignora, anche quando non lo è.
* Ma io sono tutt'altro che vecchia....
* Lo so, si figuri! Chi mai è vecchio a questo mondo? Ma lei accompagna una
signorina....
* Ma io non ho che trentanove anni, undici mesi e ventinove giorni.
* Ma accompagna....
* Una signorina, ho capito; ma, dacchè son giovine anch'io....
* Ma!
Del resto possono ballare, se vogliono, e giocare e pattinare. Chiunque possiede due
gambe, e due braccia, può fare tutte queste cose. Ma allora non mi domandino se è conveniente.
Altrimenti sono costretta a dire di no. Una signora che accompagna una signorina non deve
prendere parte attiva ai divertimenti giovanili ai quali prende parte sua figlia; eccettuato alle
commedie da salotto ed ai concerti se sa di musica perchè l'arte è di tutte le età.
-
- -
I maestri a cui una madre affida l'istruzione ed in parte l'educazione dei suoi figli,
debbono godere tutta la sua stima e la sua fiducia. Dovrà dunque accompagnare in persona per la
prima volta i fanciulli alla scuola, ed in seguito fare ai maestri quelle visite di dovere, che fa ai
vecchi parenti ed ai superiori.
Se i professori dei figli sono giovani e la madre pure è ancora giovine, supplirà alle visite
di dovere che non può fare, invitandoli alle sue riunioni.
Molte signore, che sono pure educate e gentili, hanno l'imprudenza d'incaricare i loro
bambini stessi di presentare ai maestri i doni che vogliono offrir loro in segno di riconoscenza, al
capo d'anno o al finire delle scuole. Ed i bambini ne fanno un mondo di piccoli pettegolezzi.
* Tu cos'hai portato alla maestra?
* Un ventaglio d'avorio. E tu?
* Oh, io le ho dato un braccialetto; costa tanto.
* Io l'orologio colla catena. Coi maestri bisogna esser generosi se si vogliono avere i
premi. L'ha detto la mia mamma.
Quante cose dicono le mamme che farebbero assai meglio a tenere per sè!
Che i bambini non odano mai discorrere dell'onorario dei maestri, del prezzo delle
lezioni, Se v'ha un punto su cui sono inclinata a convenire con Rousseau, nella sua idea che
l'uomo nasce con tutti gli istinti buoni, e la società lo corrompe, è l'apprezzamento del denaro.
Non so se tutti i bambini siano come eravamo le mie compagne ed io. Ma noi mentre
nutrivamo un'ammirazione stupida per la ricchezza, come idea astratta e nelle sue manifestazioni
di lusso, avevamo una specie di ribrezzo pel denaro. Ci umiliava come un errore, ci faceva
arrossire come una vergogna.
Una volta andai con altre fanciulle della mia età, ad un breve corso di lezioni di
rammendo. Erano otto lezioni. All'ultima la mia mamma, che era sofferente e non poteva uscire,
mi diede i denari da consegnare alla maestra. Le mamme delle mie compagne avevano fatto lo
stesso colle loro figlie. Quella maestra nomade, uccello di passaggio, autorizzava forse ai loro
occhi un tratto meno delicato. Noi ci consultammo prima della lezione:
* Tu come fai? Osi darle il denaro in mano?
* Io no, non oso.
* E neppur io. E neppur io.
Ci sembrava di avvilirla. Come fare?
La maestra aveva una piccola scrivania.
* Se mettessimo il denaro qui dentro? dissi io. Lo troverebbe da sè e noi non s'avrebbe la
vergogna di darglielo.
Tutte d'accordo mettemmo i quattrini sotto la ribalta della scrivania e non ci pensammo
più.
Due giorni dopo la maestra, che doveva partire, mandò a tutti i nostri parenti la carta di
visita pregandoli a voler saldare la loro piccola partita.
* Cos'era stato? Cos'era avvenuto dei denari? Come! Li avevamo messi là, in un luogo
aperto? Alla guardia di Dio? E si era figurato tutti male presso quella maestra, che aveva dovuto
domandare il suo compenso....
Grande agitazione nelle famiglie. Il fatto era che la maestra aveva fatto imballare la
scrivania senza sollevarne la ribalta, ed i quattrini dormivano là dentro al sicuro d'ogni pericolo.
Ma a noi fece un'impressione punto poetica, il vedere genitori e maestra, in tanta agitazione per
quella miserabile questione di dare e d'avere. E, sopportando i loro rimproveri, avevamo un'idea
vaga che vi fosse più nobiltà nella nostra sprezzante noncuranza, che nella loro esattezza.
I fanciulli non possono farsi un'idea delle necessità materiali dei maestri, che vedono
vestire e trattarsi come i loro parenti. E, se quell'idea se la facessero, il prestigio dei maestri
sarebbe distrutto.
Tocca alle mamme il conservarlo intatto non immischiando mai i loro figli nei rapporti
d'interesse coi loro superiori.
Se i figlioli sono in collegio fuori di paese, la mamma supplirà con lettere e carte da visita
alle cortesie che dovrebbe fare personalmente ai maestri. Le lettere dirette ai figli ed ai maestri
non dovranno mai essere chiuse nella stessa busta; e scrivendo ai fanciulli non si accennerà mai
ai doni che si possono aver fatti ai loro superiori.
Oltre l'educazione della scuola e del collegio, le signorine hanno le lezioni di musica, di
disegno, di lingue straniere, che prendono a domicilio, e continuano fino a tempo indeterminato.
Molte signore, che escluderebbero con orrore dall'amicizia delle loro figliole una
signorina, di cui si dicesse che riceve visite di uomini quando sua madre non è in casa, lasciano
poi quelle figliuole impeccabili, sole durante un'ora col maestro di pianoforte e di lingua inglese.
È troppo spingere la fiducia ed il rispetto, signore mie. I maestri sono uomini come gli
altri, ed una madre per bene non deve mai mancare di assistere alle lezioni delle sue
figlie. Se è occupata, se ha una visita, si fa supplire all'assistenza della lezione, o la differisce.
-
- -
Nei collegi si fanno le conoscenze senza tante formalità, per cui accade spesso che due
giovinetti o due giovinette stringano una relazione intima sebbene le loro famiglie non si
conoscano.
In tal caso, quando i ragazzi escono di collegio, prese le debite informazioni, toccherà alla
madre più attempata, o a quella che occupa una situazione più elevata, a fare il primo passo,
mandando la carta di visita con qualche parola d'invito all'altra mamma, la quale risponderà
subito con una visita; non mai con una carta.
Se una signora invita delle signorine a passar qualche tempo in casa sua, dovrà esercitare
su di loro la stessa sorveglianza che esercita sulle sue figlie: assistere alle loro lezioni,
accompagnarle; e se ha dei figli grandi, vigilarne il contegno rigorosamente, in modo che le
ospiti non abbiano a trovarsi, neppur un momento, in una falsa situazione. La regola più sicura e
migliore è di non offrire ospitalità a signorine quando si hanno in casa giovinotti, e di non offrire
ospitalità a giovinotti quando si hanno in casa signorine.
Se poi è sua figlia che accetta l'ospitalità in casa altrui, la mamma deve provvederla di
denaro, perchè possa largheggiare di mance colle persone di servizio. Su questo punto, nessuna
economia.
Non dimenticherò mai un signore molto ricco, il quale venne a passare dieci giorni in una
villa dove ero ospite anch'io. Nel partire avvertì pomposamente la cameriera, in modo che tutti
potessero udire, che aveva lasciato in camera qualche cosa per lei. Ed infatti trovò venti
centesimi ccuratamente avvolti in una carta.
La padrona di casa era una persona educatissima, che non si sarebbe mai immischiata di
certi particolari. Ma quella volta non seppe resistere. Quando la cameriera, sicura del successo,
osò venire nel salotto, dove stavamo lavorando, a dirci quella novella, vi fu uno scoppio d'ilarità
spontanea e generale, in barba alle convenienze. Quell'ospite aveva fatto il primo passo, e le
sconvenienze sono come le ciliege, una tira l'altra, e non si sa più dove si va a finire.
-
- -
"Otez de la vie le cœur qui vous aime, qu'en reste-t-il?"
Cosa ci resta, mie signore, quando si perde lo sposo a cui eravamo unite per la vita, i
genitori che furono il primo dei nostri amori, i figli che furono l'ultimo? Cosa ci resta? Nulla. Il
dolore e null'altro. Eppure si lesina il tempo al lutto dei più prossimi, de' più cari. Il lutto che si
usa da noi è scarso.
Una vedova, un vedovo, parlo della Lombardia, portano il lutto un anno. Un anno! Tutti
gli anni del nostro avvenire che avevamo promessi, giurati ad uno sposo, glieli ritogliamo, perchè
la sventura l'ha colpito, perchè non è più a pagarceli con altrettanto del suo tempo, del suo amore.
Un anno solo! e dopo un anno le vedove possono danzare, i vedovi possono vestire la
casacca d'arlecchino. Chi muor muore, e chi vive si fa cuore. h! chi mi rende l'eroica
poesia del rogo, e le vedove entusiaste che si bruciano sul cadavere del marito? A patto ben
inteso, che i vedovi si brucino un pochino anche loro sul rogo delle mogli.
Ma per tornare alle convenienze sociali, le vedove che non desiderano di bruciarsi,
possono farne a meno senza mancare di civiltà. E, quanto al lutto, possono uniformarsi agli usi
del paese dove vivono. Sono libere però di prolungarlo, non di abbreviarlo.
In Francia, ed anche in Piemonte, il lutto da vedova è di due anni. Il primo anno tutto in
lana nero, con gran velo vedovile che copre quasi tutta la persona. È sempre il costume del rogo;
nobile, pittoresco, solenne, senza gale, senza vetro nero lucente; la tetra divisa del dolore. È così
ch'io comprendo la sposa d'un morto. Ma il secondo anno, anche in Francia e dappertutto,
comincia un crescendo di luce, di tinte: il velo scompare, le gramaglie cedono il posto alla faglia
di Lione, al taffetà di Napoli, neri, ma lucidi; e comincia a fremere in fondo una gala e poi
un'altra. Poi, dopo sei mesi, compare un solino bianco, coi relativi polsini: e dopo tre mesi
ancora, un abito bigio, violetto.... E poi è finito. Ci si mette un anno di più, ma ci si arriva sempre
alla casacca d'arlecchino.
* Ma cosa pretende, marchesa? Che si vesta di nero tutto il resto dei nostri giorni, perchè
s'è avuto la disgrazia....
* Io? Chi lo ha detto? Nemmen per sogno. Io non ho opinioni. Cito le regole, e basta.
Da noi il lutto da vedova è d'un anno. Si può fare il secondo semestre col mezzo lutto. Ma
non è più di moda. Dunque un anno di lutto; e non c'è morto per bene che abbia diritto di lagnarsi
della propria moglie.
Il lutto pel babbo, la mamma, i nonni è pure d'un anno. Pei fratelli, le sorelle, gli zii, è di
sei mesi. Pei cugini, i cognati, tre mesi soltanto.
Per una persona da cui si eredita si porta un lutto almeno di tre mesi. La servitù d'una
famiglia in lutto grave, deve pure essere in lutto. E questo si fa, beninteso, a spese dei padroni.
* Scusi, marchesa, non ha parlato della somma delle sventure: una madre a cui muore un
bimbo....
* Ebbene, lo fa seppellire.
* Ma il lutto?
* Il lutto? Ma che, le pare? Non si usa. Se lei, signora lettrice, dovesse perdere quel suo
cherubino biondo, il giorno dopo si vestirebbe come il giorno prima. I selvaggi, gli Esquimesi, ed
anche i chimpansé, quando perdono i loro figli si rotolano per terra, si coprono il capo di polvere.
Sono i loro segni di lutto, e, da veri barbari, li dànno pei figli come pei padri. Ma noi, gente
civile, abbiam trovato il pelo nell'ovo. Noi sappiamo che i genitori sono superiori ai loro figli, ed
i superiori non portano il lutto per gli inferiori.
Superiori? Inferiori? Davanti ad un morto? Ed una madre potrà pensar questo? E non si
coprirà tutta di nero! e non si circonderà di un lutto rigoroso, lei che ha nel cuore il più grande
dei lutti umani, il più grande degli umani dolori?
"Oh mondo bello, tu sei pien d'orror!"
Ma mi perdonino questa scappatina di sentimento. Il mio compito era soltanto di dire, che
le mamme ed i babbi non hanno nessun dovere di portare il lutto pei loro figli; però, se
arbitrariamente volessero portarlo, come molti fanno, i codici non hanno pena speciale per questo
delitto.
Oltre ai lutti di famiglia vi sono lutti di circostanza. Una signora, invitata alle esequie d'un
conoscente, deve andarci tutta vestita di nero, e se la stagione lo permette, col velo invece del
cappello. Altrimenti coprirà il cappello con un velo nero.
Quando si ha la disgrazia di portare un lutto nazionale, la durata del lutto per una signora
dipende in gran parte dalla situazione del marito. Ad ogni modo però, non essendovi una regola
prestabilita per queste dolorose circostanze, sarà bene uniformarsi alle disposizioni che sono
prese al momento dalla generalità, e peccare piuttosto per eccesso che per difetto.
Il lutto quaresimale si porta rigorosamente soltanto nella settimana santa. Vi sono alcune
signore che vestono di nero tutta la quaresima. In tal caso però bisogna astenersi dalle feste e dai
balli, oppure deporre il lutto in quelle circostanze. Il ballo non è certamente in nessuna epoca una
mortificazione quaresimale, e sarebbe assurdo portarvi un abito di penitenza e di divozione, che
vi figurerebbe come un arlecchino a servire la Messa.
-
- -
Per le mamme, come pei confessori, vi sono dei casi riservati. Non per tutte,
fortunatamente, ma pur troppo per alcune. Cominciano sempre da una scoperta dalla mamma, a
cui tiene dietro la recitazione, a porte chiuse, di pochi versi di Molière:
" La mamma Le deviez-vous aimer, impertinente?
La figliola . . . . . . . . . . . . . . . . Hélas!
Est-ce que j'en puis mais? Lui seul en est la cause
Et je n'y songeais pas lorsque se fit la chose."
Ed intanto una letterina della figliola, o magari la sua fotografia, sono nelle mani d'un
giovane che potrebbe essere imprudente, e che, ad ogni modo, se non la domanda in isposa, non
ha nessuna ragione di tenerle. E la ragazza ci pensa, e ne soffre per quell'implacabile
"Amor che a nullo amato amar perdona."
In tal caso una madre veramente ammodo non ne parla a suo marito per non esporlo a
quistioni. Non ricorre a terze persone che, per quanto parenti od amiche, sono sempre di troppo
in un segreto, in cui è impegnato il decoro di sua figlia
"Io della vita nella dubbia via
Il peso porterò delle tue pene."
È la santa missione della madre. Tocca a lei sola quel peso. Deve scrivere al giovine,
parlargli a cuore aperto:
"Avete tolta alla mia figliola la pace del cuore. Avete fatto male. E lei pure ha fatto male
scrivendovi. Ma voi avete più esperienza di lei. Voi sapete che, senza averla domandata a suo
padre, e senza esserle fidanzato non avete diritto a quella corrispondenza. So che non abusereste
dell'imprudenza d'una giovinetta per comprometterla; ma una lettera si può perdere, è cosa troppo
delicata. Siate generoso. Rendetela a me...."
Non bisogna incoraggiarlo (pregarlo sarebbe una enormità) a domandare la fanciulla in
isposa. Una madre non offre mai sua figlia a nessuno. Se n'è innamorato davvero, nel restituire la
corrispondenza clandestina alla madre, il giovinotto le scriverà delle scuse, una confessione
generale, e le chiederà il permesso di domandare a suo marito la mano della figlia; o, se la
signora è vedova, la domanderà a lei stessa. Se è innamorato, ed ha cercato d'illudere una
giovinetta senza scopo e senza passione, è meglio che se ne vada: un uomo sleale non sarebbe
mai un buon marito.
Ad ogni modo, il passo fatto dalla mamma non può essere infruttuoso, nè
compromettente. Ho conosciuto dei giovani che hanno abusato delle lettere d'una signorina. Non
ne ho conosciuto mai nessuno capace di abusare di quella di sua madre. E se un simile essere, per
una mostruosa eccezione, esistesse, per fortuna non viviamo tra i barbari; alla prima parola
troverebbe un gentiluomo per dargli una buona lezione.
Io stessa ebbi qualche volta l'occasione di assumere quel penoso incarico per giovinette
amiche prive di madre, e, sia detto ad onore dei nostri giovinotti, fui corrisposta sempre con
cortesia, lealtà, rispetto.
Dopo un fatto simile, dovunque si scontri col giovine imprudente, una signora dovrà
essere la prima a fargli comprendere che è disposta a salutarlo.
Nel caso in cui un matrimonio si sciogliesse dopo che la sposa ha già ricevuti i doni,
toccherà alla madre il rimandarli allo sposo, con tutti quelli che lui avesse offerti agli altri
membri della famiglia, e con un suo biglietto dignitoso, in cui lo dispensa, per riguardi che deve
comprendere, da qualunque visita o saluto.
Cesserà pure dalle visite alla famiglia ed ai parenti di lui; non manderà più a loro carte, nè
annunci in nessuna circostanza, finchè la fanciulla non sarà maritata; però, scontrandoli, non
eviterà di salutarli.