Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbigliamento

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L'angelo in famiglia

182883
Albini Crosta Maddalena 5 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Pagina 492

Non ponno dare, per ragion d'economia, una piccola mancia all'operajo che li ha serviti con impegno e con coscienza, mentre non durano fatica a privarsi d'una somma considerevole per recarsi ai bagni, al teatro, per procurarsi un vistoso abbigliamento, un comodo, un lusso, o anche solo l'apparenza del lusso. Vi hanno ancora dei sedicenti economi anche più curiosi, benchè meno colpevoli. Codesti si privano essi medesimi delle cose più necessarie alla vita, e si condannano ad un continuo e pressochè assoluto digiuno, che, se il facessero per Iddio, sarebbe invero assai meritorio; ma no, essi lo fanno solo per poter figurare in società vestiti all'ultimo figurino e per poter mettere sulla lista della filantropia il loro nome vicino ad una splendida offerta che giungerà, chi sa quando! ad alleviare un dolore, a saziare un famelico. No, no, non è questa l'economia, non è questa. L'economia è una virtù, quindi utile agli uomini ed insieme cara a Dio, e una virtù non può essere inspirata che dalla carità e dalla giustizia. Tu adesso per tua buona sorte, non hai sulle tue spalle la direzione della famiglia, e pel momento non ti è per avventura necessaria questa istruzione; ma, come i tuoi educatori ed i tuoi genitori, io ho a cuore fartene sentire per tempo l'importanza, affinchè tu non contraddica o contrasti, ma approvi l'opera loro, ed affinchè, chiamata un giorno tu stessa a reggere una famiglia, ne conosca i doveri, e li compia poi fedelmente. L'economia adunque è nemica della prodigalità come dell'avarizia, ed a chi a bella posta non voglia ingannarsi confondendo l'una coll'altra, non avviene sicuramente un simile abbaglio. La prodigalità benchè diametralmente opposta all'avarizia, si trova bene spesso a lei vicina, a provare la verità di quel detto che gli eccessi si toccano, ed anche, pare impossibile, ma è pur vero, perchè quella a questa conduce. La prodigalità porta l'uomo a spendere più di quanto sta nelle sue forze, e spesso senza discernimento nè misura: un tale, per esempio, ha a mala pena di che sostenere la famiglia, e col pretesto di non 35 farle mancare il bisognevole l'abitua al superfluo, l'avvezza a tutte le leccorníe, non le sa rifiutare comodi e divertimenti. Accade naturalmente che spendendo dieci, laddove non ha che cinque, che sei, che otto, è costretto a non pagare dove ha fatto dei debiti, a promettere ed a mancare, a restringere le spese anche necessarie alla famiglia, a diventare avaro con essa. La famiglia è rovesciata, rovinata; i figli cresciuti con abitudini di agiatezza non sanno adattarsi ad una vita di lavoro, quindi si ribellano, e la loro ribellione attira su di essi tutti quanti i gastighi del Signore. Poveretti, mi riempiono il cuore di vera compassione! Gesù misericordioso, abbiate pietà di essi! L'avarizia poi propriamente detta è un vizio nefando noverato tra i sette peccati capitali, che attira le vendette di Dio, e pur accumulando tesori terreni, rovina fino dal germe le famiglie che ne diventano eredi: Oh! evitiamo con ogni cura quest'orribile peccato, e per meglio evitarlo cerchiamo di conoscerlo mirandolo ben bene in faccia; quando ne avremo visto la bruttezza avremo maggior cura di schivarlo, di sfuggirlo, di odiarlo. L'avaro è crudele; egli ama soprattutto il suo denaro del quale è geloso: egli lascerebbe morire un uomo di fame anzichè privarsi di una sola moneta; ma anche staccandoci dal peggior tipo di avaro, e cercando l'avaro, per così dire, domestico, lo avaro pratico, l'avaro d'ogni giorno, noi vediamo in esso una vera durezza pei mali e pei bisogni del suo prossimo. Egli misura il pane ai servi, ai figli, a sè stesso; egli teme sempre gli venga meno quel denaro che adora, che cerca d'impiegare e che impiega realmente ad un frutto esagerato, sotto pretesto che la legge oggidì più non condanna l'usura: egli, il misero, non pensa che se l'usura è tollerata dalla legge umana, non è già tollerata dalla legge divina, da quella legge che tutela i diritti d'ognuno ed in ispecie quelli del bisognoso, dell'orfano, del pupillo... Egli trova inutile e superflua ogni spesa anche strettamente necessaria, e siccome sente ei pure il bisogno di giustificarsi dinanzi a sè stesso, e di persuadersi di non essere avaro, per una di quelle stranezze che mostrano la coincidenza dell'avarizia colla prodigalità, ma non la spiegano, profonde il suo denaro in un'opera spesso inutile o stolta, e così il risparmio accumulato con tanti sudori e con tante lacrime di povere vedove e di deserti orfanelli, serve al suo capriccio, e prova una volta di più che il peccato è irragionevole ed obbrobrioso, e che il frutto del peccato lo è del pari. Un ricco avaro che per una lunga vita aveva fatto usure e durezze d'ogni specie per accrescere il suo tesoro, privando sè medesimo dell'indispensabile alla vita, nella sua vecchiezza sciupava il suo denaro erigendo una fabbrica, senza disegno, senza architettura, senza scopo, se suo scopo non era quello d'incidervi una lapide sulla quale io stessa lessi scolpito:non adoro il denaro, ma generosamente lo calpesto. Io penso che egli si credesse in buona coscienza saggiamente economo, non avaro, e Iddio gli perdoni la sua ignoranza, gli tenga conto della buona intenzione; oh! si, Dio gli perdoni. L'economia invece è prudente ed oculata; misura con giustezza i bisogni della famiglia e li provvede. Impiega i proprj capitali ad un fruttato onesto ed in luogo sicuro, e calcolando giustamente le proprie entrate spende sempre qualche cosa di meno, poichè pensa che un dì o l'altro potrebbero diminuire o in qualche modo subire qualche avarìa, e trova quindi indispensabile aversi un qualche avanzo per riparare ai danni di un'eventuale malattia o di una qualunque disgrazia. La donna economa abitua sè ed i suoi di casa ad un vitto frugale, ad un vestiario modesto, talchè se la sventura li colpisse e la ruota girando mutasse la loro condizione, essi più facilmente potrebbero adattarsi ad una vita più ristretta e limitata, di quello che altri allevati nella grandezza o nella spensieratezza. Ma fin qui ho parlato degli obblighi, che ti ponno riguardare nell'avvenire, obblighi che tu sei tenuta a seriamente ponderare, ai quali tu devi prepararti, perchè nel loro adempimento sta una gran parte della saggezza muliebre. Ma a te pure posso e debbo parlare direttamente dell'economia, e perchè tu pure fin d'ora sei tenuta ad avertela famigliare, e per predisporti ai rovesci di fortuna, e per farteli evitare il più possibilmente. Molte volte, per un amore fosse eccessivo, i tuoi genitori hanno condisceso a circondarti di comodi, più che a te non erano dovuti, a dispendiarsi soverchiamente; ora tu devi saper far senza quelle ricercatezze che non sei certa di poter conservare. Ora sei agiata o ricca, ma un dì puoi diventar povera; con questo pensiero sempre fisso in mente devi abituarti ad una vita laboriosa e frugale, senza ricercare e tanto meno esigere quei comodi i quali aumentando la spesa, aumentano i tuoi bisogni, e quindi la tua infelicità. Io vorrei che anche le damigelle situate nella classe più alta, si abituassero á coprirsi di biancherie piuttosto grossolane ed ordinarie, non cercassero nel proprio vestiario che la decenza e la modestia, stando sempre nel vitto, nel vestire, nell'abitare ed in tutto una linea più sotto di quello porterebbe la loro condizione sociale e finanziaria. Questo servirà a mantenere una saggia economia, quindi ad ovviare un dissesto finanziario; nello stesso tempo dinoterà in esse un animo umile e gentile che ben lungi dal soverchiare gli altri, è contento di stare al disotto, memore che parola evangelica dice:gli ultimi saranno i primi. Sì, te lo raccomando ancora: abbi a cuore l'economia domestica, un'economia che più specialmente si riversi sulla tua persona, un'economia che non ti serri la mano al soccorso, ma ti presti anzi i mezzi per correre in ajuto dei bisognosi; un'economia che ti faccia amica e cara al Signore; a quel Signore che vestendo una carne come la nostra ha voluto cibarsi di povero pane, vestire povere vesti. Quand'io, aprendo il Vangelo, leggo il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci, un senso d'indefinibile tenerezza m'inonda il cuore, e mi torna alla mente questa riflessione, che non posso a meno di comunicarti. Non poteva il Salvatore operando il miracolo offrire alle turbe cibi più squisiti e prelibati di quanto nol fossero pane e pesci? Non poteva almeno dare a quel pane ed a quei pesci un sapore nuovo, differente, superiore ad ogni altro sapore? Il Vangelo non dice affatto parola di ciò; resta adunque sottinteso che nostro Signore moltiplicò i pani ed i pesci nella stessa qualità dei pochi pani e dei pochi pesci che gli Apostoli tenevano in serbo; siccome ogni cosa fatta da Dio è feconda di utili ammaestramenti, così questa pure è utilissima, insegnandoci che allorchè ci limitiamo a desiderare ed a chiedere il necessario, Iddio è pronto a fare anche dei miracoli per soddisfarci. Non cercare adunque, o amica tenerissima, che il necessario; fa di contentarti di poco, di restringere quanto più puoi i tuoi bisogni, e sarai più facilmente esaudita, ed il Signore vedendoti staccata dai beni della terra, non sarà indotto a privartene; ma ajuterà anzi l'opera saggia e prudente di un'economia guidata dall'amore della giustizia e dai dettami della carità, col benedirti non solo nell' anima, ma altresì nel corpo e negli averi! Oh! ti benedica, ti benedica Iddio!

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Secondo il tuo stato, la tua età e le tue finanze, ti è lecito un abbigliamento non solo decente, ma discretamente elegante, ed in relazione con quello delle tue coetanee, contenta di stare un gradino sotto per non essere e parere vana ed orgogliosa; ma sotto verun pretesto non ti è lecito mai tradire le leggi della modestia e del pudore, poichè non solo verresti posta in canzone e disistimata dalla stessa gioventù mascolina cui credevi di piacere: ma ben più tradiresti le leggi della tua religione, della virtù; diventeresti forse oggetto di scandalo, e ti caricheresti il cuore di un rimorso. Nè la modestia deve figurar solo nelle tue vestimenta; ma altresì nel tuo contegno timido e riguardoso, nei tuoi tratti, nelle tue parole; e se qualche impudente, uomo o donna non monta, se qualche impudente tocca qualche discorso o fa qualche gesto che leda menomamente il tuo delicato e cristiano sentire, salta a piè pari l'argomento, parla di altro, o con altri; che se l'impudente non desiste dal suo insidioso procedere, e tu non hai il coraggio d'imporgli silenzio nel timore non ne nasca uno scandalo od una pubblicità, levati di botto, corri in cerca della mamma o del babbo, o recati in un altro crocchio, in un'altra sala; credilo, non te ne mancheranno i pretesti, se con pia industria cercherai in tuo soccorso. Non differente dev' essere il tuo procedere coi detrattori, con quelli cioè che mormorano del prossimo, o lo calunniano, o ne giudicano temerariamente; tu, come angelo della famiglia e della società, devi essere la difesa dei deboli e degli assenti, te l'ho già detto nella Prima Parte di questo mio lavoro; ma se condizioni di luogo, di tempo, o di età non te ne danno il diritto, ritirati, e mostra chiaramente che vuoi serbarti innocente da tale lordura. Con coloro i quali ti adulano o t'incensano, tu ben sai come devi regolarti; ora, io credo, ci resta a ragionare soltanto delle chiacchiere vuote ed inutili che ti si faranno d'attorno, e delle quali tu non devi entrar complice, per non diventare chiacchierina ed essere e parere frivola e cinguettiera. Qui ho un consiglio di peso, d'oro massiccio anzi, un consiglio indispensabile a darti, ed 43 è questo; di volgere sempre a serio i discorsi leggieri soliti a tenersi tra fanciulle, rispondendo in fretta, e vorrei dira di fuga, a quelle prolusioni nojosissime che esse hanno l'abitudine di sfoggiare sulla moda, sull' incostanza o sulla durezza della stagione, o peggio ancora sui difetti altrui. Se tu saprai cavar profitto dello spirito che il Signore ti ha donato, ne avrai sempre abbastanza per piegare il discorso dalle schiocche mode ai costumi ed alle usanze dei diversi popoli; dai difetti altrui, ai meriti che sono da essi adombrati o velati; dall'incostanza o durezza della stagione alla compassione che ti fanno i poveri sprovvisti di tutto, ed alla necessità di porger loro ajuto e soccorso colla mano e col cuore. Se tu farai in questo modo, benchè abbigliata un grado meno delle altre, benchè acconciata senza civetteria, benchè timida e forse pure di minor spirito e coltura delle tue compagne, ne diventerai non l'idolo (ciò è illusorio) ma il modello e l'anima; e su te ridonderà gran parte del bene che sarà fatto dietro il tuo esempio, e largo premio n'avrai dal Signore. Nelle adunanze sono compresi i balli, i teatri, i pranzi, le comparse, e se il Signore m'inspirerà quello che sarà pel tuo bene, ti dirò qualche cosa partitamente anche su di essi. Ma, tel ripeto, nè mi stancherò dal ripetertelo; se ti è dato vivere modestamente e lontana da questi ritrovi, oh! fuggili senza indugio, e senza dolore, nè ti lasciar tentare mai da un desiderio insano, da un insano timore, poichè la quiete di una vita intima non turbata da rumori profani, siine certa, procura gioje incomparabilmente maggiori a quei piaceri convulsi, febbrili, che ti potrebbero venire dalle riunioni mondane, dove il pudore, la carità, e sovrattutto l'umiltà, sono esposti ai maggiori pericoli. Se a te è lasciata la scelta fra i due sentieri, quello della casa e quello della società, non ti appigliare a questo ma a quello, te lo ripeto, te lo ripeterò senza posa; non già coll'intendimento di rendere monotona o grave la tua esistenza, ma per rendere il suo corso limpido, dolce e specchiato come l'onda del ruscello che, scesa da eccelsa montagna, scorre gorgogliando placidamente, e lambendo i fiori che costeggiano la riva verdeggiante, fino al flume, per gettarsi con esso nel mare, senza aver punto toccato la città: nella città avrebbe potuto conservare la sua purezza e la sua pace? Questo o quello, tu mi domandi di nuovo? Ama la ritiratezza, la casa; come il ruscello guardati dal mescolare le tue acque con quelle degl'immondi pantani, affinchè dopo un viaggio che ti auguro lunghissimo, tu le possa confondere con quelle del fiume reale, per gettarsi con esse nel mare... La morte sarà per te in allora una rapida e fortunata corrente che ti unirà alla sorgente d'ogni bene; sì, ti unirà a Dio, poichè per una lunga e faticosa carriera l'onda del tuo ruscello avrà saputo serbarsi incontaminata, pura, e sulle sue sponde non avrà fiorito il vizio, ma l'amor santo di Dio e del prossimo suo. Ama la ritiratezza, la casa, la preghiera, e ti sarà facile e spontanea la virtù, anche a costo dei più lunghi e penosi sacrificj.

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D'ordinario l'orgoglioso e l'ambizioso sono puniti in sè stessi, per la mala riuscita dei loro progetti, o pel trionfo degli altrui; ma la vanità si contenta di molto meno, e raro è chi le tolga la soddisfazione di un elegante abbigliamento, di un'acconciatura graziosa, di un motto spiritoso. Se la vanità ha per movente il brio e le gentili maniere, mi sia lecito porre in forse le gentili maniere ed il brio, i quali non ponno essere di buona lega se generano la vanità, mentre se il fossero non saprebbero produrre altro che modestia e virtù. Se poi la vanità è mossa dagli adornamenti personali, o dai vantaggi di condizione e di finanze, è anche più sciocca ed inconsistente, e muove il riso delle persone sensate. Più d'una volta è accaduto a me stessa di trovarmi in un circolo dove non si parlava d'altro che di vestimenti, di cocchi, o di bellezza, ed io che naturalmente non poteva prender parte attiva in simili discorsi, ho avuto campo di meditare sulla nullità della discussione e sul vuoto ch'essa lasciava, e di confermarmi quindi sempre più nella mia convinzione che nessuno apparisce bello o leggiadro colla pretesa di volerlo essere, e nessuno pare brutto od antipatico ove sia spoglio d'ogni pretensione. Per questa ragione le donne e specialmente le fanciulle non sono mai così belle e carine, come quando si trovano in abito di disimpegno senza pretesa, poichè quando sono ben abbigliate è ben facile che vestendosi d'un aria d'importanza, si spoglino di quella cara semplicità ch'è il loro più bell'ornamento. Non intendo con ciò di favorire menomamente le giovani disordinate o sciamannone, e darebbe ben prova di fraintendere le mie parole chi da esse cavasse argomento ad esserlo. L'ho già detto nel Capitolo intitolato La buccia, che la damigella non può essere ritenuta tale se non conserva inalterabilmente intorno a sè la nettezza ed una cotale semplice eleganza, e qui confermo il già detto, e te lo inculco nuovamente. Ma la vanità ha nel suo nome la sua condanna, poichè vano vuol dir vuoto, e vuoto cosa vuol dire?... Dunque siamo intese; di vanità non ne vogliamo, come non ne vogliamo sapere nè di orgoglio, nè di ambizione e insomma d'amor proprio. Ma a proposito di amor proprio, sarà necessario fermarci un pochino, poichè su questo, ti assicuro, me ne intendo anche troppo. L'amor proprio dentro di noi fa l'ufficio del comunardo e del petroliere nella società; guai a chi lo lascia fare, avverrà di lui ciò che è avvenuto della povera Parigi nel 1871: a fuoco e fiamme tutto in un fascio, quanto non è stato salvato dai pacifici ed onesti cittadini. L'assedio chiudeva l'uscita della città, e l'amor proprio strozza il corso delle opere buone; il petrolio inceneriva in poche ore i più sontuosi edifizj che avevano avuto bisogno di moltissimi anni ad essere innalzati, e l'amor proprio in poco tempo distrugge le migliori nostre risoluzioni, le nostre buone tendenze e le nostre virtuose abitudini. La rivoluzione privava del necessario i poveri Francesi, i quali per satollarsi erano costretti comperarsi a caro prezzo le carni non solo scadenti, ma stomachevoli dei gatti e perfino dei topi; l'amor proprio privandoci dell'alimento confortante della soddisfazione del bene che ci viene da Dio, ci compera a prezzo di avvilimento una pastura indegna nell'approvazione o nel plauso dei tristi. L'amor proprio infine è un soldato senza disciplina, è un feroce corsaro che depreda e saccheggia dovunque posa il piede, per lasciare il terreno del nostro cuore deserto e privo d'ogni merito, d'ogni virtù. Oh, sì convieni pur meco che l'amor proprio è più terribile nostro avversario di quello nol siano i più accaniti nostri nemici, i quali raramente giungono ad avvelenare il bene proprio nella sorgente. Quale sarà il mezzo di difesa per vincere un sì acerbo nemico? Dio che ha fatto il cuore dell'uomo, che sa tutto, che vede tutto, ce lo dovrebbe aver fornito questo mezzo!... Gli ultimi saranno i primi ha detto il Signore nel suo santo Vangelo, e sì dicendo c'indica nell'umiltà un mezzo potentissimo a vincere la vanagloria e quell'amor proprio che attribuendo a noi medesime un merito fittizio od immaginario, o altresì un merito reale ma che dovrebbe essere attribuito a Dio solo, ci priva dell'appoggio celeste, ci isola, ci abbandona a noi stesse ed alle nostre miserabili forze. Le parole del nostro Salvatore c'indicano non solo un mezzo efficace nell'umiltà, ma benanche il premio ad essa riservato se ne siamo fedeli osservatrici. E dire, e tu pure il saprai, che chi parla della nostra religione senza intendersene affatto, pretende che l'umiltà sia un sentimento ed una virtù ipocrita ed avvilente!... Oh! piangiamo sui poveri illusi, o piuttosto ingannati, e ringraziamo il Signore di 52 averci fatto comprendere che l'umiltà è sincera, ed anzichè avvilire esalta i suoi cultori, promettendo per l'altra vita quel primato cui volontariamente rinunciano in questa. Sì, l'umiltà è sincera, poichè se vede in sè alcun merito, nol nega, ma lo riferisce a Dio bene sommo, anzi unico da cui tutto ci piove. Ma riguardando le cose anche dal lato sociale, vorrei quasi dire materiale, dimmi: e non è più stimato, amato, venerato l'umilissimo Silvio Pellico che tentava eclissarsi per nonporre in luce che Dio od il prossimo suo, di quello siano molt'altri uomini d'un ingegno forse più distinto, ma dominati da un orgoglioso sentimento della propria capacità, da un vero amor proprio? In una lettera del gran prigioniero, diretta al padre di mio marito Annibale Albini, spira una soavità, un'umiltà, una rassegnazione che ci rivelano quanto possa sopra un cuore ulcerato il balsamo della fede. In essa dopo di aver detto: Non puoi immaginarti quel ch'io abbia patito: il mio libro non dà certamente che una debole idea di quella misera vita, soggiunge subito: Sia ringraziato Dio che ha voluto richiamarmi a giorni più lieti, più belli! Ma se allora ho patito molto, or son tanto pia felice. Forse non v'è alcuno sulla terra che senta più di me quanto sieno dolci cose la libertà, il respirare l'aere nativo, il vivere tra parenti, fratelli ed amici carissimi. Ogni notte sogno d'essere in carcere, e quando mi sveglio provo, un'indicibile consolazione d'essere nel mio letto, fra le amate pareti domestiche. Non ho altra disgrazia che di aver poca salute. Stento sovente a trarre il fiato, e son minacciato di soffocare; ma quest'asma non è continua. Allorchè viene la sopporto con pazienza, ed allorchè se ne va mi fa gran piacere. Un mese fa stetti assai male, ed or torno ad aver fiato bastante. Probabilmente non avrò più molti anni da vivere, ma non mi lagno. Godo la grazia che il Signore m'ha fatta di rendermi un poco di felicità terrestre, e quando gli piacerà di tormela mi rassegnerò volentieri. Egli mi ha dimostrato sì benignamente, direi quasi, miracolosamente l'amor suo, che ho fede che quando mi leverà da questa vita, sarà per darmene una migliore. Egli invoca più tardi la pietà del Signore sugli amici languenti nello Spielberg, e si può dire che da capo a fine quella magnifica lettera è tutta una lezione d'umiltà e di rassegnazione cristiana. Gli è a costoro che hanno patito per Iddio, ed hanno cercato in questo mondo l'ultimo posto che Gesù Cristo ha detto: Gli ultimi saranno i primi.

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Galateo della borghesia

201373
Emilia Nevers 4 occorrenze
  • 1883
  • Torino
  • presso l'Ufficio del Giornale delle donne
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Non vuol rinunziare a nessuna festa, a nessuna gita, a nessun abbigliamento e gli abbigliamenti vuol uguali a quelli delle giovinette di sedici anni. È un cruccio per tutti, perchè si rende ridicola in società, o assumendo un far d'ingenua, o facendo il broncio perchè trascurata. Soffre e fa soffrire, non vedendo che i suoi mali e dimenticando che anche chi ha marito e figli trova più spine che rose nella vita. La giovinetta ideale. - Come è semplice, come è dolce quella parte! Amare e sorridere, ecco quanto le si chiede! Dev'esser ingenua, buona, allegra sopratutto; l'allegria nella gioventù è quasi un dovere. Dev' essere operosa, pronta anche ai lavori più umili, e come la madre, educata in gentile eccletismo di abitudini, in modo che sappia passare dalle occupazioni casalinghe alle occupazioni intellettuali; con la mamma, spolverare, stirare; col babbo, mettersi a fare qualche conto, a scriver qualche lettera d'affari. Insomma dev'esser esperta in molte cose, libera da ogni sussiego e memore che la donna piace a tutti nell'esercizio delle sue attribuzioni, che Goëthe nel Werther ci presenta la sua Lotte intenta a spalmar il burro sul pane dei fratellini, e Rousseau, nel dipingere la donna ideale che dà per moglie all'uomo ideale (nel famoso Emile), dice: « Sofia è esperta in tutti i lavori del » suo sesso, sapendo perfino fare i proprii vestiti; se n'intende » di cucina, sa il prezzo delle derrate e tien i conti; » dovendo un giorno esser madre di famiglia, si esercita » nella casa paterna. Pel momento suo primo dovere è » quello di figlia, suo unico scopo serivir la madre ed » aiutarla ». Servir la madre... Meditate questa parola, signorine. Ne ciò basta: occorre alla signorina un'altra dote, una dote che poche ragazze hanno: sapersi annoiare. Per inconscio egoismo le fanciulle aborrono ciò che chiamerò le minuzie del dovere. Far la partita col nonno, trastullarsi coi bimbi, rammendar il bucato, copiar le lettere del babbo, ecco delle cose da cui rifuggono, eppure nulla è così caro come l'aspetto di una giovinetta che si sagrifica un pochino per altrui! La cieca ubbidienza ed il rispetto di una volta non si esigono più - non occorre dar del lei ai genitori e baciar loro la mano, ma la deferenza è sempre necessaria; e se anche una signorina sa di poter fare quasi in tutte le occasioni a modo proprio, però nel contegno deve apparir sottomessa, rispettosa; non deve mai dar ordini, nemmeno alla servitiù, ma trasmetterli. La vanità non le è lecita, ma le è imposto di esser sempre linda e ben ravviata. In Inghilterra soltanto le signore ammalate si permettono la veste da camera fuor della loro stanza da letto; tutte le altre, donne e ragazze, fin dalle otto del mattino sono pettinate e vestite. Se le occupazioni casalinghe non permettono d'imitarle, eviti però sempre la signorina di girar per casa scapigliata, in pianelle, con gonna sudicia, senza busto. Quel disordine è disgustoso. Chiuda le treccie in una reticella, metta delle scarpe, un vestito a vita larga, di quelli detti matinée, semplice,povero, se vuole, ma non sfilacciato, non macchiato. La giovinetta reale. Oh! qui, se non avessi segnata la via, mi formerei tanto da scriver un volume. Gli è che la giovinetta ideale è una sola - e le giovinette reali offrono dieci, venti varietà di tipi, tutti egualmente riprovevoli. Ne sceglierò due: la giovinetta chic e la giovinetta bizzarra. L'una troppo donna; tutta vanità, pretesa, capriccio: in casa, aliena dal lavoro utile, smaniosa di quelle cose che, secondo lei,dinotano ricchezza - cavalcare, cantare, suonare, ricamare, dipingere; ma senza studio, a sbalzi, per affettazione; arrogante con chi le sembra povero o non addetto alla haute; insensibile agli affetti e decisa a cercar nel matrimonio, non l'amore... - oh! che cosa antiquata! - ma il milione. L'altra invece, non abbastanza donna, sdegna l'ago; lascia che la mamma fatichi e cucisca e stiri da sè, restando immersa nei libri, e seppur le si fa osservare che nelle nostre umili dimore i tordi non piovon arrostiti in bocca, e se si vuol che si occupi della casa, si stringe nelle spalle o se la cava dicendo che non prenderà marito, che non vuol diventar schiava, ed altri discorsi di questo genere: quella ragazza confonde l'ingegno colla stravaganza: pretende di distinguersi in tutto; rifugge dal passeggiare, dal ballare, dal vestirsi con buon gusto. A diciotto anni vuol ragionare e non vivere... Ed intanto i poveri genitori non hanno nè aiuto, nè conforto. Si è riso moltissimo delle signorine romantiche del 20 o giù di lì, nudrite di latte, frutta e poesia; delle figurette da strenna con la vita da ape, il bocchino stretto, i capelli pioventi sulle spalle in lunghi riccioli, il cuore caldo di entusiasmi pegli eroi di Walter Scott o di Dumas, ed assorte nella ricerca dell'ideale (un giovane pallido, tisico, povero, senza nome... oh! specialmente senza nome!). Eppure in quelle ragazze derise c'era - sotto la posa - molto vero sentimento. Nelle bambole, nelle emancipate d'oggi che cosa c'è? Egoismo e capriccio. E con tutte le loro pretese non sono persone per bene. Il giovinotto ideale è sottomesso ai genitori, buono per le sorelle e pei bimbi, garbato verso i visitatori. Non fa l'orso. Sia che incontri un'amica delle ragazze, un visino fresco come rosa, od un'amica della nonna, una vecchierella tutta grinze, saluta con cortesia. Accompagna la mamma; fa, a volte, le sue commissioni; aiuta i piccini nel còmpito, studia senza farsi pregare. Il giovinotto ideale continua - sebbene quasi uomo - ad esser docile ed amoroso coi suoi. È ordinato, tranquillo, ilare - non.... Ma ciò che non fa lo vedremo nel giovane, come è realmente. È cosa singolare che il progresso abbia prodotto un tal ribasso di galanteria, e sarebbe bello lo studiarne le cagioni. Comunque sia, le donne, che nel rozzo medio-evo eran quasi adorate, che vedevano i cavalieri erranti affrontare ogni pericolo, ed i baroni arrischiar la morte nei tornei per un loro sorriso - le donne che nel secolo scorso erano fatte segno del rispetto il più assoluto da parte dei marchesi incipriati e portate alle stelle dai poeti - come la Beatrice del Dante, la Laura del Petrarca, la divina Emilia del Voltaire, la marchesa d'Houdetot, le donne cui non si parlava che col cappello in mano e velando di perifrasi la semplicità delle parole - ora, confessiamolo, sono trattate con gran disinvoltura dai signori uomini ed in casa e fuori. Liberarsi da ogni soggezione, mancar ad ogni riguardo, sembra privilegio maschile. Perfino la mamma ammette che l'uomo non abbia obbligo d'esser garbato, e quando fa la rassegna dei cassetti del signorino, dove i mozziconi di sigaro alloggiano coi guanti bianchi, i canocchiali con gli stivaloni ed i compassi coi solini, mormora rassegnata: già, gli uomini son tutti così! lo ripete quando il signorino mette i piedi sulle seggiole, non si alza per dar posto alle sorelle, non raccoglie da terra il libro od il lavoro della mamma, bestemmia contro la servitù, fuma in salotto, scappa come il diavolo dall'acqua santa se capita qualche amica di casa un po' matura; gli uomini son tutti così. Tutti così? E perchè? Ed è veramente necessario? Capisco che un po' di astrazione può esser legittimata col pretesto degli studi o degli affari, ma non vedo per quale ragione, negli uomini, il disordine diventi un diritto; non vedo perchè debbano potersi esimere dall'ordine, che è risparmio di tempo, di denaro e dalla creanza, che è il modo di farsi voler bene e di provare la propria superiorità di educazione, e forse di cuore. L'ordine diventa abitudine se s'impara da bimbi, e nessuno mi vorrà negare che sia giovevolissimo. Smarrir il proprio fazzoletto, collocar regolarmente il bastone in luogo dove non si può ritrovarlo, lasciar l'ombrello al caffè, son cose da nulla: ma non è aggradevole lasciarvi il portafogli, è spiacevole senz'altro perder delle carte di importanza, e spesso poi riesce pericoloso il seminar di qua e di là la propria corrispondenza. Considerando inoltre che il tempo è denaro, quanto non si spreca coll'eterno smarrire e cercare?.... Ma, diranno i signori uomini, perciò appunto sono create le donne; a loro tocca di cercar la nostra roba, di mettercela sotto mano... Benone: e queste donne ve le conducete dietro all'Università, in viaggio, allo studio? No, eh? Ed allora come farete? Sarete saccheggiati, o sciuperete in poco tempo tutta la vostra roba. Le cose materiali hanno poi un nesso con le morali, in guisa che l'uomo il quale del disordine si crea una seconda natura, difficilmente eviterà la confusione anche nelle idee, nelle abitudini, e diventerà astratto e sregolato a segno da rendersi importuno oltre ogni dire in casa e fuori. È nota a tutti la storia di quel tale che, respinto da un banchiere, cui lo si proponeva per impiegato, veniva dal medesimo richiamato in gran premura mentre attraversava il cortile. - Signore, vi accetto, diceva il banchiere al giovane trasecolato. E sapete perchè? perchè v'ho veduto a raccattare uno spillo. Ciò m'ha rivelato che avete ordine ed accuratezza, le due prime qualità del negoziante. E quel giovine, da impiegato, diventava socio e genero del principale, e, come lui, milionario. Non pretendo certo che tutti i giovani facciano concorrenza ai cenciaiuoli, ma mantengo che anche negli uomini l'ordine e la nitidezza sono due doti preziose. Così lo sgarbo per sistema è cosa bruttissima - il rifiutarsi ad accompagnar le sorelle, il motteggiarle quando sono un pochino eleganti, il derider con scetticismo precoce i modesti divertimenti di famiglia, l'introdurre soggetti disdicevoli, e davanti alle ragazzine di dodici o di quattordici anni, nominar signore di dubbia fama, raccontar aneddoti poco edificanti, son tutte cose contrarie a quel galateo di affezione, di scambievoli riguardi che crea la dolcezza dei rapporti intimi. Il bimbo ideale non ha che un'occupazione: giuocare; un dovere: obbedire. Ma veramente il suo galateo riguarda affatto la mamma, dal primo giorno al quinto o sesto anno della sua vita. Il galateo del lattante ideale è semplice. Dev'esser sempre pulito, sempre in belle vesticciuole o cuscini bianchi, con una cuffietta,oppure con la testolina nuda ben spazzolata (nessuno più crede che quella crosta che la polvere forma sul cranio sia igienica). Possibilmente lo si tenga in una stanza un po' appartata ed i pannolini non sieno mai semplicemente messi ad asciugare, ma sempre risciacquati, al quale scopo convien buttarli man mano in un gran bacile pieno d'acqua. Però, se si preferisce o se si deve tenere il piccino allato, lo si tenga in una culletta e si ripongano in un canestrino i suoi pannolini e le sue fascie, evitando di disseminarli per la stanza, il che sarebbe brutto ed incomodo perchè diffonderebbe dappertutto odor di latte o... d'altro. Al lattante non si dia in mano qualunque cosa pur di tenerlo tranquillo, perchè il continuo picchiare gli nuoce e certi oggetti ponno tornargli pericolosi. Il meglio è una radice d'ireos attaccata ad apposita catenella. Sopratutto si eviti di poggiar il bimbo qua e là sui canapè, sulle seggiole, il che lo mette a rischio di esser schiacciato da qualche visitatore miope, o dimenticato. So di una signora astrattissima, la quale un giorno, nel rigovernar delle biancherie, poggiò il suo lattante sopra una delle tavole dell'armadio; poi riposto il bucato, chiuse, se ne andò... Per poco il piccino rimaneva asfissiato. La signora o la bambiania tengano un lenzuolino di gomma da porre sulla cuna od in terra nel luogo dove poggiano la creaturina quando è più grandicella - abbiano pure sempre un gran grembiale di gomma. Appena è possibile, insegnino al piccino gli elementi del galateo - lo abituino a salutare, a rispettar la gente e la roba. Non ridano se volta le spalle ai visitatori, se ad un bacio risponde con un buffetto, o dice graziosamente all'uno: sei vecchio, all'altro: sei brutto... Quelle cose che fatte da bimbi di due anni paiono tratti di spirito, da quelli di quattro tornano già uggiose e da quelli di sei, sembrano bell'e buone scortesie. È smania generale ora metter i bimbi a tavola a sei mesi e per prevenire certi... inconvenienti, collocarli in apposita seggiola, per cui, sul più bello, c'è un gran tramestio, la seggiola vien aperta per di dietro, l'oggetto... che offende, vien tolto con maggior danno che se rimanesse dov'è, e seppur babbo e mamma non respirano che essenza di rose, spesso e fratelli e nonni e zii... hanno il naso più perspicace. Preferisco l'uso inglese che vuol che il bimbo mangi più spesso degli adulti, faccia pasti più brevi ad ore più adatte, e ritengo che il metterlo a tavola troppo presto renda piuttosto più difficile che più agevole il dargli delle buone abitudini. Comincia a mangiare con le mani, a imbrodolarsi, e si compatisce: è tanto piccino! Poi seguita, e non si vorrebbe più compatirlo, ma lui, che non sa di logica, s'impunta a continuar nel suo sistema e ci vuol molta fatica a correggerlo. Quando poi il bimbo cammina, trovo bene tenerlo in una stanza con pochi mobili e coi suoi balocchi, e non permetter che metta sossopra tutta la casa, seminandola di carta, di puppatole, rompendo i mobili. Non è amor materno quello: è disordine, e non c'è più cattiva abitudine che quella di far d'un bimbo un piccolo iconoclasta. La signora di Genlis narra a questo proposito che andando a far le sue visite da sposa, vestita in gran gala, s'intende, capitò in casa d'una signora di cui il bimbo, viziato oltre ogni dire, appena la scorse, allungò le mani verso il suo cappellino, un cappellino nuovo, fiammante, gridando: lo voglio! lo voglio! - Che vuoi, carino? chiese la mamma, cui premeva contentarlo. - Il cappello! subito! lo voglio! voglio giuocare! - Ebbenebimbo mio, disse la madre con gran sorpresa e terrore della sposina, chiedilo con buona maniera e la signora te lo darà. Per fortuna, conclude la Genlis, egli non volle mai valersi della buona maniera ed il cappello fu salvo. Più grandicelli, i ragazzi non devono mai dar ordini ad alcuno, mai interrompere il babbo e la mamma, nè immischiarsi dei loro discorsi, e dire, non richiesti, il loro parere e disturbare chi è occupatocon ciancie, chiasso o domande importune. A tavola devono aspettar d'esser serviti e non allungar le mani verso il piatto e non far ossernazioni sulla qualità dei cibi. Il parlar poi senza discernimento, ed il riferire ciò che hanno veduto ed udito è cosa biasimevolissima in loro. Il bimbo, che spesso non intende bene e ripete peggio, può far nascere dei gravi disgusti. Convien imprimergli ben in mente la differenza che c'è fra il dir tutto a tutti in tutti i momenti ed il mentire. Alla mamma od a chi per essa, affidi ogni cosa, nulla agli altri. Del resto, se sarà abituato a cansar la curiosità e le ciarle, non baderà nemmeno ai discorsi che non lo riguardano. Gli si faccia poi notare che il motteggio è la cosa più inurbana e stolta che vi sia; che il bimbo inesperto, ignorante, non può intender bene ciò che fanno e dicono gli adulti e quindi non deve permettersi di censurarli nè di deriderli; che la canzonatura, villana coi pari, diventa irrispettosa verso i maggiori, crudele e codarda verso i deboli e gli infelici. Si procuri anche di non far conoscere al bimbo la differenza delle fortune e di avvezzarlo garbato, sicchè rifugga da chi non ha educazione, ma non borioso, sicchè rifugga da chi è povero. Sia talmente avvezzo al rispetto verso i superiori ed i vecchi da non accorgersi dei loro difetti, nonchè da criticarli - non veda che il suo professore è brutto, che il suo nonno, poveretto, non si tien pulito e copre di tabacco tutto ciò che gli capita vicino. Ami... e sia cieco come l'amore. Sarà più contento e più caro. Conoscevo un ragazzetto il quale, tornando alla casa paterna dopo aver vissuto per alcuni anni con una zia che lo viziava, un giorno in cui l'avolo, veterano di Napoleone, raccontava al solito una delle sue campagne, si fe' lecito di interromperlo sclamando: -Eh! nonno! ormai quella storia la sappiamo a mente è la decima volta che ce la racconti! Il nonno si scosse arrossì e con un sospiro: -Sarà vero, disse... divento vecchio! divento vecchio! Ma il babbo balzò in piedi, e con sdegno - Tuo nonno è stato uno dei gloriosi che hanno tenuto alto l'onore deI soldato italiano, disse. Prega Dio, di poter anche tu, da vecchio, ripeter sempre la stessa storia di coraggio e di virtù! Il ragazzo capì il suo torto, tanto più che da quel tempo il povero nonno non volle più dirle, le sue storie, rispondendo avvilito a chi gliele chiedeva: No, no; è sempre la stessa cosa: annoia. È necessario che il bimbo impari la delicatezza e sappia come affligger le persone attempate sia grave torto. Il rispetto pei vecchi stava nel galateo degli antichi: qualunque ragazzo, a Sparta, doveva alzarsi davanti ad essi; sta nel galateo dei selvaggi: sarebbe strano che fosse meno osservato nei tempi moderni dalla gente più civile. Ma per ottener nei fanciulli quella creanza e quella delicatezza che a volte essi non hanno per istinto, è mestieri non lasciarli mai con le persone di servizio. Mi spiego. Quando la nutrice o la bambinaia, che si devono scegliere con grande cura, sono partite perchè non s'ha più d'uopo dei loro uffizi, convien industriarsi in modo che il bambino non stia in intrinsichezza con cuoche, servitori o cocchieri, gente che molte volte ha contratto gran numero di vizi e per abitudine poi tiene un linguaggio rozzo ed inverecondo. Ma, direte voi, i bimbi devono dunque star sempre coi genitori? Non lo credo; credo anzi che sia pessimo costume tenerli in salotto quando si riceve, condurli in visita od a teatro. E dunque, mi chiederete, come si combina la cosa? In quattro modi, secondo me e sono: Il collegio. - Non l'approvo, ma lo accenno per chi avendo negozio e non potendo mai accudire ai propri figli vuol torli da pessimo contatto. La scuola. - Nelle ore di scuola i genitori sono liberi possono dedicar quindi tutte le altre ai figli. Un'istitutrice o almeno una bambinaia fidata, di nota moralità. Vi sono molte donne di buona famiglia le quali, incapaci per salute di far la cameriera, e non tanto colte da far le maestre, possono assumere la guida di ragazzi già grandicelli. Finalmente, oltre alla scuola, chi non volesse fermarsi in casa alla sera, potrebbe prender qualche maestra fidata che lo supplisse. Ma..... e se non s'hanno i mezzi di tenere questi maestri? Suppongo che allora non s'avrà nemmeno i mezzi di girar teatri e feste.Comunque, reputo dovere trovar un modo di evitare ai ragazzi la vicinanza delle fanteshe, da cui in generale non impareranno nulla di buono. Si può trovare una perla che cucini e stiri perfettamente, eppur tenga discorsacci da trivio ai bimbi. D'altronde, con le serve il piccino si abitua a continui battibecchi, perchè, essendo il padrone, non vuol obbedire; prende anche spesso il vizio di dir bugie.Avevo una cameriera, la quale ritenevo fidatissima, sicchè, non potendo uscire per indisposizione, le davo il bimbo da condurre a passeggio. Due o tre volte, al ritorno, gli trovai in mano dei balocchi, e mi disse che glieli aveva comperati la cameriera. Io la rimproverai, avendo per norma di non permettere che i bimbi accettino doni dalla povera gente. Essa si scusò dicendo che voleva tanto bene a quel piccino! Ebbene, sapete perchè gli faceva quei regali? Perchè, impaziente e manesca, s'era lasciata trasportare a percuoterlo,e voleva così comperar il suo silenzio. Notandogli dei lividi sui bracci, sospettai la cosa, e seguendo la donna la verificai e la licenziai. Altre volte la fantesca stringe col piccino un patto di colpevole compiacenza: gli dà delle leccornie perchè egli non dica di averla veduta a bere il vino ed il caffè. Queste cose turpi, alla servitù, per lungo costume, sembrano naturali: ma pei ragazzi, che lezioni! E non si supponga che io esageri: le gazzette recano storie di ragazzi tormentati o pervertiti che dimostrano qual sia il danno dell'affidarli a gente inetta o peggio. Ma se l'intimità è dannosa, non ne vien di conseguenza che sia lecito l'essere inurbani e si deve inculcare al ragazzo il rispetto per chi serve, fargli intendere che in qualunque ceto l'onesto ha diritto alla stima. E meno saranno i rapporti che il ragazzo avrà con la servitù, più vi potrà essere da tutte e due le parti creanza e decoro; poiché la persona di servizio ricorderà che il bimbo va trattato con riguardo come membro della famiglia da cui dipende, ed il bimbo, rispettato, potrà più facilmente rispettare. Passiamo ora alla suocera ideale. Questa vuol bene alla nuora come ad una figlia. In ciò sta la sola norma de' suoi rapporti con lei - e di rimando la nuora ideale è una figlia. La suocera e la nuora reale invece hanno dato origine al proverbio: « Suocera e nuora, tempesta e gragnuola ». Galateo della Borghesia. - 3. È un fatto che fra esse i rapporti sono difficilissimi, e che stentano ad evitare i piccoli disaccordi. La suocera esige troppo: dimentica spesso che lei, madre, sta bene abbia pel figlio un'indulgenza senza limite, ma che non può pretendere lo stesso dalla moglie. Ha troppa facilità di disapprovare, di rimproverare in quel modo che offende di più, cioè con insinuazioni ironiche e con una persistenza che fa pensar che la censura sia un partito preso e toglie valore persino alle osservazioni più giuste. Se ha delle figlie, stabilisce fra esse e la nuora una tale differenza che questa si sente estranea. lnquanto alla nuora facilmente teme che la madre cerchi di controbilanciare la sua influenza presso il marito e quindi, nelle occasioni in cui questi le rifiuti alcunchè, crede sia origine del rifiuto la suocera e se n'adonta. Non osa censurarla, ma ben lungi dallo studiarsi di far quello che le piace, cerca anzi con certa malizia di far il contrario - da ciò quelle guerricciuole di dispetti, di mezze parole pungenti, di sguardi sarcastici, che mettono in bando la pace delle famiglie. Le suocere dovrebbero ricordarsi d'essere state giovani..... e nuore, e compatire; mentre le nuore dovrebbero riconoscere i diritti dell'esperienza e dell'età, e così le cose andrebbero meglio. Gli è in ispecie davanti agli estranei ed ai bimbi che quelle lotte vanno evitate; l'estraneo sarà impacciato e se ne vendicherà col motteggio - il bimbo sarà scosso nel suo rispetto, nella sua fede. Come fargli intendere sino a qual punto sono complesse le cose umane, sicchè una pessima suocera può esser una santa madre ed una buona donna? Come fargli intendere che quei battibecchi sono una trascuranza del galateo famigliare - non l'espressione d'una vera antipatia - d'un vero biasimo? E nelle divergenze d'idee a chi ubbidirà? Nulla è più triste che quelle discordie e quel vedere una tenera sposina od una povera vecchia diventate vittime d'una specie di persecuzione, tutta superficiale forse, non ispirata da malevolenza, ma pur dolorosa, poiché i colpi di spillo alla lunga uccidono come i colpi di pugnale. Ci sarebbero delle centinaia di studi psicologici da fare su questa strana circostanza, che certi rapporti, certe gelosie alterano l'indole delle persone, ne cambiano i modi. Non è qui il luogo di scender a queste disamine; basti ripetere che il galateo va osservato anche fra suocera e nuora, e che se la tenerezza non ispira certi riguardi, bisogna invece impararli dalla creanza e non stabilire uno stato di cose intollerabile, in cui l'assenza d'affetto non ispira indulgenza e l'intimità sembra legittimi la mancanza di riguardi. Fra zia e nipote, fra cugini, è inutile accennare norme; i rapporti siano cordiali e sinceri, ecco tutto. È contrario al galateo morale ed a quello della società il parlar male dei propri congiunti, l'accoglierli male specialmente in presenza d'estranei. Un punto delicato è quello che riguarda il modo di condursi coi parents pauvres, i congiunti poveri. Secondo me, quando, per caso, sorge fra congiunti una eccessiva disparità di fortuna, la assoluta intrinsichezza, l'uguaglianza nelle abitudini, diventano incompatibili. Il povero non potrà star col ricco se non a patto di dipendere da lui, ossia di accettar inviti a desinare, in teatro, in campagna, ecc.: il che farà nascere una specie d'inferiorità che lo renderà facilmente suscettibile, che gli farà temere di esser posposto dal parente ad altri congiunti od amici più ricchi: da ciò invidia segreta, segreti rancori. Il galateo d'altra parte esige che il parente povero non assuma una certa boria ridicola come se in lui fosse merito essere consanguineo d'un ricco, come pure che non pigli un contegno umile, quasi da inferiore. Nel ricco poi, ci vuol ancora più studio per non offendere, per non millantarsi, per non fare che i suoi doni sembrino elemosine; per non escludere, male a proposito, dai suoi ricevimenti il congiunto, di cui teme che il vestir modesto possa farlo scapitare, lui, l'ospite, in faccia ai suoi invitati. Insomma, è ben arduo pel ricco non somigliar a quel tal risalito del brioso Paul de Kock, il quale, ad ogni piè sospinto, diceva agli amici meno fortunati: - Oh! per me posso far questa spesa: mes moyens me le permettent. Bouilly, il vecchio autore di cui è sì pietosa la storia (si diè a scrivere perchè l'unica sua figlia, riluttante allo studio, imparasse l'ortografia e fatto di lei, coi suoi scritti le sue lezioni, un modello di fanciulla, a sedici anni se la vide morire), Bouilly, di cui gli ingenui e carissimi racconti hanno fatto le delizie delle nostre mamme, racconta d'un villico, il quale, fatto milionario, un bel dì, in mezzo ad una festa, si vide piovere dal villaggio - a tradir le sue umili origini - la propria sorella rubiconda fattora. Il milionario cerca di indurla a non entrar nel salotto od almeno a celarsi in un angolo; l'onesta donna si meraviglia, rifiuta senza intendere; ma la chiave del mistero gliela dà il fratello, dicendo ad uno dei nobili ospiti che gli chiede come mai quella donna gli sia sorella: - Sorella di latte, nulla più! La contadina fugge colpita al cuore da quella parola crudele e ripetendo fra i singhiozzi: - Rinnega il suo sangue! Eppur quanti, senza arrivar a questo punto, s'industriano però ad allontanar i parenti per festeggiar estranei, credendo così d'innalzarsi al disopra... di se stessi! Vanità umane! Ma chi tratta così, creda pure che, sprezzando la vera cortesia, la cortesia del cuore, non si nobilita, e tutt'al più fa ridere alle sue spese. Con ciò non impongo intimità fra il contadino e lo scienziato, per esempio, o fra il povero ed il milionario - ammetto che le vicende della vita dividono molte famiglie: ma domando sempre l'urbanità e la cordialità. Il galateo intimo può chiudersi qui per non allungarlo di soverchio, poichè in molti punti s'unisce al galateo della società.

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. - 11. teatro, ma con abbigliamento tale da potersi prima o poi recar a messa. I cibi si preparano tutti insieme sulla tavola: constano per lo più di dolci, salumi e carni fredde; non è ammesso altro vino che il Bordeaux; vi si aggiunge un piatto detto boullie. Altra norma dimenticata: mentre una signora non può mai venir condotta a veglia o ballo in casa terza senza presentazione od avviso, i giovanotti che la padrona di casa stessa ha raccomandato le si conducano per ballerini, non sono soggetti a queste regole e chi li ha arruolati li mena con sè al momento e li presenta. Chi dà un gran ballo, può far invitare dagli amici altri amici loro, con cui non ha visita, senza che ciò obblighi a conservar intime relazioni. Una visita da parte degli invitati, un biglietto da parte dell'invitante, basteranno. Rispetto alle fotografie, le signore giovani e le ragazze non danno mai la propria ad un giovine se non parente, et encore! nè chiedono con insistenza la sua ad un uomo giovine, toltone il caso che sia un uomo illustre. Il fazzoletto ed i guanti costituiscono un altro punto relativo alla convenienza. Non par vero quante cose possono dipendere da quel piccolo quadrato di tela! Una signora deve sempre averlo piccino, fine; guardarsi da quella roba di cotone a righe colorate, a smerli, che si vendono nei magazzini a gran ribasso: hanno un'impronta volgare, non sono un'economia perchè non durano punto, e finalmente fanno arrossire la pelle, cosa che va anch'essa presa in considerazione. Gli stivaletti ed i guanti costituiscono col fazzoletto ciò che distingue la signora veramente per bene. Le pianelle sieno sbandite, servano al più per andar dal letto fin all'abbigliatoio. Nonostante la storia di Cenerentola, le trovo bruttissime. Le pantofole stesse siano a tacco. In istrada non si mettano mai scarpini da veglia o da ballo sdrusciti. Riguardo ai guanti si segua la moda, con la norma che d'estate si usa guanto di pelle di Svezia, d'inverno di capretto; in istrada, sempre scuro, o almeno di tinta carica, mai, eppoi mai, albicocca, grigio perla, paglia, colore di rosa, mauve, insomma color chiaro: in genere il paglia e bianco si mette per gala, i colori rosa, azzurrino, mauve, solo avendo un vestito di quella tinta. In visita i guanti si serbano sempre. In veglia si tolgono per suonare (non per cantare) e si rimettono subito. A veglia in casa propria si mettono: molte signore li adoperano anche nei ricevimenti di mattina. Ad un pranzo d'invito, si tolgono a tavola e si mettono in tasca; in certi alberghi ho veduto a metterli in un bicchiere; è sconvenientissimo. Non si balla mai, in nessun luogo, senza guanti. I guanti (moda inglese) si tengono per prender il the e per cenare; si tengono perfino alle colazioni di cibi freddi, lunchs od altro dove si serba il cappellino. Confesso che quest'ultima regola non la registro che con dolore; una bella manina bianca, liscia, ingemmata d'anelli mi par davvero più appetitosa che un guanto, la pelle umana, preferibile alla pelle di capretto, ma non c'è che dire, così dev'essere. Aggiungerò che è un'affettazione levare i guanti a veglia od a teatro, per pochi minuti, allo scopo di far ammirare la propria mano; ma le signore che hanno quella bellezza mi risponderebbero: E se sempre e dappertutto i guanti sono di prammatica, a che serve aver le mani belle, e come si potrebbe sapere che possediamo questa ambita prerogativa? Quello che è mal porte, come dicono le Francesi, è l'anello sul guanto. Baciamani ed abbracci sono poco in uso ormai, grazie all'ottima moda inglese della stretta di mano: shake-hand. Taluni si lagnano che si stringa la mano a tutti troppo alla leggera. Eh! Dio buono! Non era peggio forse baciar la mano alla leggera, o, fra signore, buttarsi ogni momento le braccia al collo? Ora il baciamano non lo usano più i signori in Italia (in Germania, sì); poco gli inferiori. in Germania, a cominciar quasi dalla stazione della ferrovia è un seguito di baciamani da far disperare; a momenti ve la baciano i fattorini! salvo ad ingiuriarvi un momento dopo se giudicano la mancia scarsa. Le signore abbraccieranno i parenti ed intimi partendo o tornando da viaggio, i bimbi sera e mattina, qualche antica prediletta, ma non tutte le visitatrici e men che meno lo persone non intime. Ricordo, poco tempo fa, essermi trovata chiusa nel tenero amplesso di una signora che conoscevo sì poco, che tra per la rarità dei nostri incontri ed il mio esser poco fisionomista, rimasi immobile ed allarmata sotto la pioggia dei suoi baci senza profferir parola. I bimbi altrui vanno abbracciati con moderazione. A molte mamme spiace che i loro freschi bebés vengano troppo bacciucati e non hanno torto. Baciare i cani, i gatti, i pappagalli, è cosa di cui non parlo; esce, secondo me, dall'ordine naturale delle cose e temo che la ripugnanza mi renda troppo severa contro le numerose signore cani e gatto-file, che se ne compiacciono, per cui mi contento di dire... che in nessun galateo si parla di quest'uso, ma che prego tutti quelli che si appassionano per gli animali, di reprimer la loro passione quando hanno visitatori che temono i cani, odiano i gatti e davanti ai pappagalli ripetono la facezia di quel tale che udiva un flauto: - Che cos'havvi di più insopportabile di un flauto? Due flauti! - Che di più importuno di un pappagallo? Due pappagalli! Le limosine vanno date senza ostentazione, e non in modo da umiliare chi le riceve. Vanno date eziandio con discernimento, in modo da giovare al povero e da studiarne l'indole; se biancheria, roba usata, pane e lavoro vengono accettati con gratitudine, siete in diritto di supporre d'aver a che fare con buona gente; ma se i poveri insistessero, con pretesti, per avere denaro, potete essere quasi certi che si tratta di viziosi o di oziosi. In generale, chiedere degli oggetti a prestito è poca discrezione: però, per musica e libri è lecito. Ma non bisogna trattenerli a lungo, e se per caso si sciupano o si macchiano non valgono le scuse: convien farli rilegare o surrogarli con altro esemplare. Chi poi chiede dei vestiti o dei cappellini per campione, veda di non sgualcirli, di non comprometterne la freschezza e di non copiarli troppo fedelmente. Rifiutare un oggetto che si domandi a prestito è scortesissimo: se anche dà un po' di noia il privarsene, è mestieri nasconderlo e concedere la cosa domandata. Però una signora che chiedesse un oggetto di vestiario, appena comperato, costoso e di genere nuovo e bizzarro, farebbe una vera sconvenienza. *** Vi sono in società due manie opposte da cui bisogna guardarsi e che ci nuocciono molto tutte e due nell'opinione. L'una è la mania del così detto chic. L'altra la mania del così detto sans-façon.. Quelli che sono afflitti dalla prima di queste manie fanno sul perenne studio per non offender il decoro.... e temono sempre di averlo offeso, mentre, per quel ticchio, offendono perpetuamente la creanza. In istrada camminano impettiti, evitano gli amici o parenti meno agiati di loro, e se uno di questi li ferma, arrossiscono, si turbano e si credono perduti nell'opinione degli altri caporioni del chic. Non vanno in omnibus, nè in tramway; a teatro non vogliono che palchetti; non si servono che dai primi fornitori; non vogliono frequentare che duchi, marchesi, milionari e gente celebre; amici della ventura, trovano tutti quelli che non appartengono a quelle categorie altrettanti zeri; immaginate un po' che zero sarebbe stato per loro Colombo quando parlava dell'America, Galileo quando, a dispetto dei pezzi grossi, si ostinava a dire che la terra si muove! Sono i fautori del successo, gli ammiratori dei bei pastrani, delle vesti di velluto e dei guanti nuovi. Non conoscono che una legge, il chic; un ideale, il blasone; un nume, il denaro... I protagonisti del sans-façon però, se moralmente valgono meglio, in realtà vi affliggono anche di più: Se - sudici, senza guanti, con le unghie in lutto - incontrano un amico, gli si appiccicano, dandogli del tu, sbraitando; richiamati all'ordine, affermano di non avere aristocrazia, confondendo così l'amor dei pettini e del sapone con la superbia e la creanza con l'ostentazione, e tirano via; a volte invitano l'amico a desinare alla buona, sans-façon. Se il malcapitato accetta, sta fresco! Piove in una stanza disordinata, dove tra una nidiata di bimbi, che, sudici come il babbo, si trascinano carponi, appaiono una sguattera, immusonita ed una padrona di casa arruffata, che lancia occhiate fulminee al marito. Il desinare è pessimo: minestra lunga, lesso affumicato, arrosto in miniatura; la serva butta la roba in tavola alla rinfusa, accompagnando il servizio col ciac-ciac delle ciabatte, i bimbi (nessun lusso! grida l'ottimo babbo sans-façon) i bimbi tuffano nei piatti delle mani da spazzacamino, dei nasini... umidi, oppure, se piccini, fanno delle scorrerie sulla tavola stessa; la mamma, stizzita perchè l'intruso la vede senza il vestito della festa, non smette il broncio; l'intruso... sventuratissimo, non può mangiare, un po' perchè il sans-façon in tavola non gli va, un poco per le invasioni dei bimbi: soltanto il signor sans-façon è contentone. A teatro, sans-façon ciarla e schiamazza sì da farsi zittir dalla platea. Al caffè grida, conta i fatti suoi, interpella tutti quanti senza conoscerli, strapazza i camerieri: in visita dice alle ragazze dei complimenti veristi... che fanno arrossire e stizzire le mamme, ed alle mamme invece dice delle verità... d'ogni specie, evoca date, calcola quanti anni ponno avere, e le fa diventare verdi di bile dopo averle fatte diventar rosse. Ma il suo trionfo è l'invitarsi in casa d'altri, il piombare ospite... di chi non lo vuole, criticando tutto, dando su tutto il suo parere: il suo trionfo è il perseguitare chi desidera stare quieto, mettersi a tu per tu con persone ragguardevoli, l'immischiarsi in ogni discorso, sempre col suo famoso: - non ho aristocrazia, io! non fo complimenti! - sulle labbra. Nulla lo frena, nulla lo umilia. Ai militari parla di strategia, dando senz'altro dell'asino ai generali; ai diplomatici di politica, dando del babbeo ai ministri; alle signore per bene, di ballerine o di celebrità del demi-monde. Se gli si affida una notizia che deve rimaner segreta la dice in piazza. Insomma, se i falsi chic fanno ridere la gente intelligente e superiore, i sans-façon fanno piangere tutti.

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Si giudica dall'eleganza dell' abbigliamento? Punto; ed in questo s'ingannano così frequenti volte i giovani e le persone poco esperte della società. Non è il lusso nè la boria del contegno che rivelano I'uomo ben educato, la vera signora. La dignità nell'uomo, il riserbo nella donna, l'arte del vestire con cura, e dell'adattare il vestito alla circostanza, al luogo, all'ora: ecco quel che rivela se si tratta di gente che conosca o no le norme del galateo. Si esce per molti scopi e ad ore assai diverse. In certe città di provincia, ancor oggi, una signora che apparisse in istrada alle nove della mattina, se il velo e il libro d'orazioni non la mostrassero diretta alla chiesa, metterebbe in moto le lingue di tutto il vicinato. Nelle grandi città invece l'uso delle scuole e delle passeggiate igieniche per bimbi con la mamma per iscorta, fa accettar ad ognuno, senza critica, la presenza d'una signora in istrada per tempissimo. Ma è necessario che in quell'uscita essa non scelga un abbigliamento troppo elegante e quindi disadatto. Invero, se si cominciasse a mettersi in fronzoli alle otto, sarebbe il caso di dire coi Francesi che la femme est un être qui s'habille, babille et se déshabille. Alla mattina ci vuole una veste semplice, di quelle che si ponno far da sè e che si tengono poi tutto il giorno, un cappello un po' grande che non esiga pettinatura ricercata. Non consiglio assolutamente di finir in quelle uscite gli oggetti vecchi o sgualciti. È un'economia molto relativa, poichè la roba di lusso, chiara e riccamente guarnita, dura pochissimo e richiede continue riparazioni. D'altra parte quel vestire dà assolutamente, a chi lo porta, l'impronta del cattivo gusto, un'impronta che spesso induce a giudicar male la persona medesima. È positivo che anche gli uomini che non sanno definire i particolari d'un abbigliamento, ne risentono l'impressione complessiva e notano la mancanza di grazia artistica e di freschezza nel vestire delle signore. Ma... e della roba vecchia che si può fare? Ecco una grave questione, grave come quella mossa dal brioso cronista, il quale domandava che cosa lddio facesse in Cielo delle lune vecchie e gli uomini facessero in terra dei vecchi pianoforti. Per conto mio, quando una veste di seta chiara è veramente sgualcita, consiglio di farne una fodera, invece che valersene alla mattina; quando i guanti bianchi sono neri, consiglio... di metterli da parte per le occasioni in cui uno si faccia qualche taglio al dito o di darli alla cameriera. Ricordo che un giorno, incontrando nell'uscire due signore, chiesi ad una ragazzetta che avevo meco qual delle due le paresse più elegante. L'una aveva una veste di seta a righe bianche e turchine con certa tunica troppo scarsa e corta, un cappello bianco di blonda ingiallita, guanti color paglia, scarpine di raso bianco (raso!), una collana di perle di vetro; un ombrellino bianco ed azzurro. L'altra portava un vestito grigio con colletto e polsini di tela, cappello nero e stivaletti alti di pelle. La bimba additò la prima: era naturale. - Ebbene, la prima era la cameriera, la seconda la padrona. Chi si veste di roba sgualcita naturalmente par che indossi vestiti presi dalla rivendugliola o avuti in regalo. Dunque, alla mattina, semplicità assoluta: anche più tardi, per visite o passeggio, nulla di troppo sfarzoso, di troppo chiaro. A Parigi, a Torino, a Milano, dove regna il massimo buon gusto, le toelette da mattina, le toelette che si mettono uscendo a piedi, sono oscure e relativamente semplici. Il qual semplice va detto della fattura non della stoffa: per esempio un mantello di velluto rabescato (che costa 50 lire al metro), una pelliccia di lontra che valga due mila lire, sono ammessibili in istrada, mentre darebbero nell'occhio un vestito di raso chiaro od una guarnizione colorata. Le eccentriche invenzioni della moda si serbino per le passeggiate in carrozza e pei concerti ed i teatri. Pei bimbi è lecito un po' di bizzarria, ma nei limiti del buon gusto; i costumi di fantasia (compreso lo scozzese), sopratutto le divise militari, sono il non plus ultra del pessimo gusto. Le ragazzette, dopo i dieci anni, vanno vestite con la massima semplicità; fino ai quattordici conviene scegliere modelli da bimba e non mai da donna. A dieci o dodici anni, il maschio si vesta da uomo, rinunziando ai capelli sparsi sulle spalle, alle gambe nude, ai berretti alla Raffaello, alla pettinatura brétonne, insomma a tutte le eccentricità fino ad un certo punto tollerabili nei piccini. Ai signori raccomando un vestire accurato, ma semplice, il cappello saldo in testa, non sugli occhi alla brava, non sulla nuca,pochi ciondoli alla catena e pochi anelli alle dita: il meglio è portarne uno solo con sigillo. In istrada - come in ogni luogo - si deve anzitutto evitare l'affettazione. Quelle signore che camminano compassate e pretenziose, dondolando i fianchi e la testa, persuase che non si guarda che loro, fanno ridere; ma ciò che dà la patente della poca finezza si è il voltarsi indietro ad ogni momento, il parlar forte, il ridere con sguaiataggine, insomma lo studiarsi d'attirare l'attenzione. La vera signora cammina lesta, senza correre, cammina dritta senza voltarsi indietro, senza guardar di qua e di là saluta i conoscenti con cortesia e senza far distinzioni troppo spiccate (un semplice cenno del capo per chi par inferiore, un gran profondersi in inchini e sorrisi per chi par superiore, sono cose disadatte); non esamina con curiosità troppo manifesta l'abbigliamento delle amiche che incontra, non si ferma in istrada per lungo tempo a ciarlare. In fatto di saluti fra signore si va per regola d'età: è somma scortesia non rispondere al saluto, la persona che lo dirige vi fosse anche poco nota, sì da averne scordata la fisionomia. Chi è molto miope ne avvisi i proprii conoscenti, per aver così una scusa anticipata delle involontarie mancanze che potrà commettere. Tocca all'uomo, qualunque sia la sua posizione, salutar nel primo: però trattandosi di persona illustre o molto attempata si può trasgredir questa regola È scortese fissare una persona aspettando il saluto: si faccia un cenno subito o si eviti di guardar da quel lato, piuttostochè provocare una posizione che è d'impaccio a tutti. Fra persone che si visitano o incontrando gente con cui si ha parlato in casa terza, un cenno di saluto è d'obbligo. Nel caso che una persona con cui si abbia avuto intimità commetta un'azione per cui si ponga fuor della legge (uno scandalo, una fuga, che so io), tocca a quella persona cansar gli amici; se la si incontra, si può far un lieve cenno del capo,per non infliggerle un affronto, ma nulla più. Le sarte, il parrucchiere, spesso evitano di salutare la signora per un certo riguardo; se la salutano, la signora ha obbligo di rispondere con cortesia,e si renderebbe ridicola, affettando alterigia. Non si esce con la propria cuoca o cameriera, e facendolo per una causa qualunque, la cameriera deve star dietro; però se la persona di servizio accompagna una ragazzetta le rimane al fianco. Fermarsi in crocchio per le vie frequentate non è lecito che per pochi secondi, e per consenso di ambe le parti; non si deve fermare chi mostra premura, o chi ha il tempo sempre limitato per professione. Il rimaner poi a lungo fermi, inceppando il passo alla gente, è disdicevole. Si lascino queste usanze delle ciarle d'occasione alle popolane, alle operaie che non possono far visite e quindi recarsi quando lo desiderano a veder le amiche. Il ceder la destra, che era nel Medio Evo un dovere verso i nobili e dava spesso origine a grandi contese, come quella storica narrata dal Manzoni a proposito del padre Cristoforo, ora ha certamente meno importanza: però un uomo la cederà sempre alle signore ed ai bimbi, ed una signora giovine la cederà alle signore più attempate e perfino agli uomini vecchi; negli altri casi si mantiene il proprio diritto. Sulle scale la parte migliore è quella della ringhiera; se la scala è stretta bisogna fermarsi sopra un pianerottolo per dar il passo a chi sale o scende: fra signore si scambia un cenno del capo: l'uomo si Ieva il cappello; se per cortesia la persona che s'incontra ci offre di passare avanti, si accetta senza lunghe cerimonie, ringraziando. Un uomo, imbattendosi in una signora sulla porta d'un appartamento o d'una casa, tien quella porta aperta, finchè la signora è passata. L'uomo dà alla donna il braccio destro, in modo che essa si trovi alla destra del marciapiede e non possa venire urtata dalla gente. Incontrando degli amici con altre persone che non si conoscono, si salutano i primi, limitandosi ad un cenno del capo per gli sconosciuti, ed evitando di fissarli con curiosità. Se si conduce con sè un cane, bisogna far in modo che non disturbi alcuno; non incitarlo ad abbaiare e saltare addosso nemmeno per celia. Nei luoghi di pubblico passeggio, chi fosse seduto, deve, vedendo dei conoscenti e volendo trattenersi con essi, alzarsi e rimaner in piedi finchè dura la conversazione: se le persone incontrate sono note a tutti quelli della brigata seduta, si può invitarle a prender posto vicino agli altri; ma se non lo sono, è sconveniente esortarle a fermarsi senza sapere se aggrada a tutti, ed esse non devono accettare; se si crede di far cosa grata agli uni ed agli altri bisogna cominciar dal far una presentazione. Se una persona, che non desiderate aver accanto, vi si avvicina, alzatevi e rimanete in piedi finchè il vostro colloquio è finito: quella persona capirà da ciò quel che deve fare; sarebbe disdicevole seder in luogo pubblico vicino a chi non nostra gradire la nostra compagnia. Una signora inviterà liberamente le amiche a sederle accanto: ma non vi esorterà alla leggera nessun uomo, perchè tal fatto costituirebbe, da parte sua, un favore piuttosto spiccato, un desiderio di intrinsichezza. L'uomo essendo affatto libero dei suoi atti, se intende di sedere, ne chiederà licenza o si fermerà in piedi accanto alla signora; l'invito sarebbe dunque inutile se è già suo progetto rimanere, importuno se ha altri impegni. E dico importuno inquantochè l'uomo deve, anche se non gli sorride, accettare l'invito d'una signora. Del resto, in questi particolari, come in tutti gli altri, l'esperienza, il tatto, potranno essere d'aiuto e servire a distinguere il presuntuoso che potesse in una cortesia leggere un interesse speciale, dal giovine timido che, pur desiderandolo, non osasse accostarsi. Una signorina non si recherà mai a luoghi di passeggio troppo frequentati con la cameriera e nemmeno con l'istitutrice: se non ha i genitori, profitterà della scorta di qualche signora sua parente od amica, o di qualche zio o tutore. Quando v'ha mancanza di seggiole in qualche caffè o giardino, un uomo solo si alzerà per dar posto alle signore; ma se quell'uomo accompagna altre donne non cederà il suo posto, il che sarebbe un mettere in imbarazzo le signore che scorta a profitto di persone sconosciute. Un uomo non deve mai offrir seggiole o occuparsi di donne che abbiano già un accompagnatore: sarebbe importuno invece che cortese. Sedendo, bisogna evitare di dar le spalle a quelli che passano, per cui nei sedili posti lungo i viali si starà sempre voltati verso il viale stesso. Leggere o lavorare nei giardini pubblici non è molto conveniente: sembra un'affettazione. Chi accompagna dei ragazzi però, e quindi rimane in giardino per lunghe ore, può farlo, ma deve scegliere un sedile un po' appartato. A passeggio le signorine devono star accanto alla madre, e, se son due, camminare insieme davanti di essa: ma una signorina non deve mai passeggiar a fianco d'un giovine. Anche tra persone di famiglia bisogna, in istrada o nell' uscire, osservar certe norme. Per esempio, i bimbi passano sempre prima della madre e stanno davanti, dovendo ella sorvegliarli: ma codesta norma pei maschi cessa verso l'epoca della prima comunione, mentre per le femmine continua sino ai ventun anni e più. In carrozza, i ragazzi siedono dalla parte dei cavalli, così le signorine se c'è il babbo: ma quando si maritano il babbo cede loro il posto, a meno che non sia molto attempato o malaticcio. Il marito, recandosi a passeggio od a teatro, darà il braccio alla madre, alla suocera o ad altra signora attempata se ve n'è, e non alla moglie: ma lo darà alla moglie se vi sono soltanto delle parenti ancora nubili e se non c'è altro cavaliere. Una signorina non deve uscir col proprio fratello se non è ammogliato: potrà uscire con uno zio, con un cognato, mai con un cugino. I figli, fuori di casa come in casa,debbono sempre mostrare la maggior deferenza ai genitori, e farebbero pessima figura trascurandoli a vantaggio dei forestieri. Se mai s'avesse qualche notizia da comunicare o molte cose da dire è meglio far un tratto di via insieme. Una signora non si fermerà con un giovanotto se non le è parente o molto intimo, ed anche allora per poco; una signorina non si fermerà nemmeno con un parente e non si lascierà scortare da lui se è con la cameriera o l'istitutrice: nemmeno lo sposo può aver codesto diritto. In istrada, pei ragazzi, la creanza esige che siano raccolti, ubbidienti; pei signori che non sieno... come dirò? troppo garbati, cioè che non si voltino a piantar gli occhi in faccia a tutte le donnine, che non facciano osservazioni ad alta voce, che non si diano a seguir una signora, passandole e ripassandole davanti ed impuntandosi a starle vicino e ciò nè di giorno nè di sera: perchè a volta una signora per bene può esser costretta ad uscir sola a tarda sera e l'uomo creanzato non le deve dar molestia - zuffolare, canticchiare, far il mulinello col bastone, formar una lunga fila che tien tutto il marciapiede, spinger la gente e per troppa fretta proseguir la propria via sui calli del prossimo, non ceder la dritta, sono altrettanti crimini contro la creanza. Noterò che la signora interpellata in istrada da uno di quei galanti, non deve mai rispondere, nemmeno per respingerlo. In carrozza una signora non deve troppo atteggiarsi sì da tradir vanità: è anche scortese fermarsi con lo sportello già aperto, a dar ordini al servitore od al cocchiere così che la gente non possa passare. Non dirò neppure che il chiamarsi da un marciapiede all'altro, l'impegnar un diverbio in istrada, il segnar la gente a dito son cose viete, perchè lo sanno quasi i bimbi in fascia. Fissar le persone e poi parlarsi all'orecchio e ridere in modo da far capire che si sta canzonando qualcuno, rientra nella stessa categoria, ma lo accenno perchè l'ho veduto a fare a molte signorine che, non sapendo o non curando le leggi di cortesia, credono in tal modo di mostrar dell'arguzia - nel qual caso chi sarebbe più arguto che i monelli o le fruttivendole del mercato che schiamazzano come i passerotti quando vedono della gente civilmente vestita?

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Nulla in fondo è più strano ed indefinibile del trionfo d'una donna al ballo, trionfo dovuto a venti combinazioni diverse - l'opinione di uno di quei vecchi lions che son reputati conoscitori della bellezza femminile, il buon gusto d'un abbigliamento, la bizzarria di un accessorio, e finalmente la novità d'una prima comparsa - piuttostochè ad una vera ed incontestabile superiorità di grazia, eleganza e bellezza. Sta male d'altra parte, se trionfo c'è, inorgoglirsene e profittarne per assumere un contegno un po' ironico verso le altre signore. Dopo il ballo tutti devono una visita ai padroni di casa. Non v'ha bisogno di raccomandazioni pel dialogo: al ballo si parla poco. Soltanto Ie signore e signorine si guardino dal pigliar per buona moneta le proteste che fanno parte quasi dei doveri di un ballerino: ai complimenti rispondano con uno scherzo, e se quei complimenti sono arrischiati, dicano, con certa freddezza, che non gustano quel genere di cortesia. I signori non mettano le ballerine nell'imbarazzo con una fila di complimenti esagerati. Le signore non devono, se sentono portar a cielo la bellezza d'un'altra donna, sussurrare: Non mi sembra!... Non capisco quel che ci trovano..., insomma qualche frase che possa farle supporre invidiose. Che serve? Le belle restano belle... checchè si dica. In un uomo il vantare ad una donna l'avvenenza delle altre signore è cosa affatto scortese. Perchè? Per la semplice ragione che si deve sempre mostrarsi occupato della persona con cui si parla, e che il lodare le altre fa supporre che la si conti per uno zero.

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