Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbiate

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Otto giorni in una soffitta

204595
Giraud, H. 2 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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Abbiate pietà, di noi, mio buon signore!... - Allora ci faranno prendere Bugubù o Carletto, e saremo costretti a lasciare Nicoletta. - E Maria, che potrebbe aver visto Nicoletta in casa della mamma Dufiet, la riporterà da quella strega. - E anche se non la riconoscesse, non potremmo mai più far ritornare Nicoletta nella soffitta, ammettendo che avessimo potuto farla uscire senza incontrare Maria o Leonia. - Vedi bene, - conclude Maurizio, senza rancore - la tua idea può andare a far compagnia alla mia. L'uscita di Nicoletta e la mia pioggia si equivalgono. A Francesco, ora!... - Ma Francesco, scoraggiato, si volge verso i suoi fratelli. Alano insiste nel suo piano, che trova eccellente. - Chi ti dice che Maria acconsentirebbe a portare con noi un ragazzo trovato sulla strada? - finisce col dire Francesco, irritato. I tre ragazzi stanno per bisticciarsi, quando arriva Maria. - È una buona preparazione per andare a pregare il buon Dio, - dice essa. - Che cosa succede? - È Alano che.... che ha letto una storia, - spiega Maurizio - e vuole che facciamo come nella storia. - Quale storia, signor Alano? - - Una bellissima storia, Maria. Alcuni bambini che vanno a fare una passeggiata e una colazione all'aperto come noi, e si sono ripromessi, essendo molto felici, di condurre con loro il primo ragazzo che incontrerebbero perchè anche lui possa esser contento. E così hanno fatto. - E Alano vorrebbe fare come loro, - strilla Maurizio. Maria scuote la testa. - Queste cose vanno bene nei libri, - dice - ma nella vita non sempre sono possibili. Un ragazzo bene educato non se ne va solo solo per la strada. Non vi troveremo che uno sbarazzino, forse sudicio e sgarbato.... Oppure - (e Maria ride a quest' idea) - volete vedere che sarebbe una bambina? No, no, signor Alano, queste sono storie da briganti. Quella gente scrive nei libri non sapendo che cosa inventare per far confondere il cervello. - E, con questa immagine ardita, Maria conduce in chiesa i ragazzi, che dimenticano per un momento la loro grave preoccupazione. All'uscita della messa, Maria propone a Francesco d' invitare alcuni loro amici per il pomeriggio, o di accettare l' invito di recarsi a casa di uno di loro. Francesco protesta con energia: - No, no, Maria; oggi voglio assolutamente lavorare al ritratto per la mamma. - Ma è domenica, - protesta Maria. - Quello non è un lavoro vero e proprio, - risponde Francesco - e ci diverte più di ogni altra cosa. - Questa è la ragione migliore. Maria si arrende e vien declinato l' invito di Giovanni Bord d'andare a far merenda in casa sua. - Oggi no, grazie; - risponde Francesco con una cert'aria d' importanza - abbiamo una cosa da fare per il ritorno della mamma e siamo già un po' in ritardo. - Quando ritorna la vostra mamma? - domanda la signora Bord. - Ci scrive che vuol ritornare presto, signora, - dice Francesco - che si annoia, e che sta molto meglio. - Non dice quando ritorna? - No, signora, vuol farci una sorpresa. - E se arrivasse giovedì? - osserva Alano. - Oh, addio passeggiata! - dice Giovanni Bord con aria desolata. - Sarebbe per un'altra volta. Pazienza! - La signora Bord cerca di consolare suo figlio: Maria prende la parola. - Io credo che la signora non ritorni giovedì; le scrissi ieri, e sa che andiamo al bosco proprio giovedì. E poi credo che il suo medico di laggiù non la lasci partire così presto. - Arrivano intanto gli Aubry con la loro istitutrice, poi i piccoli Dumont, e tutti i bambini che giovedì devono andare al bosco delle Fate. E allora si parla soltanto della passeggiata e delle belle partite che si faranno in quel giorno. I tre babbi hanno quasi dimenticato la loro figlia! Quella domenica è una giornata molte tranquilla per Nicoletta, poichè dopo il desinare Maria e Leonia vanno al vespro, poi Leonia ritorna a casa, e Maria, che ha preparato la merenda prima di andarsene, non ritorna che dopo le sei. I ragazzi hanno il tempo di divertirsi, di gridare e anche d' incominciare a giocare a nascondino nelle due soffitte. Ma devono smettere subito perchè il passo pesante di Leonia fa rintronare la scala ed essa viene a vedere perchè fanno tanto fracasso; ma crede di aver sognato quando trova Francesco nello «studio» che dipinge, e Alano e Maurizio che posano. Essa non si accorge come la mano di Francesco tremi, nè come Alano sia tutto trafelato e Maurizio tutto rosso; e non vede neppure, dietro le imposte della finestra che si muove, la fanciulletta, il cui cuore batte precipitosamente. Sarà ricondotta dalla Duflet, se Leonia la scuopre? No, Leonia non si accorge di nulla e se ne va dicendo: - È strano, come di giù si senta un gran rumore. Dev'essere nella casa accanto. - Se ne va tranquilla, e, in fondo, piena di ammirazione per quei tre ragazzì «buonì come bambine ». - Ah, che paura ho avuto! - esclama Nicoletta uscendo di dietro all' imposta. - Anch' io, - confessa Maurizio. - Non avrei mai immaginato che si sentisse il rumore di giù, - dice Francesco. - Perchè anche Leonia non va a passeggio la domenica? - Temono per noi, - risponde Francesco. Infatti i ragazzi hanno più d' un malestro sulla coscienza, e i giorni in cui sono stati abbandonati a se stessi, sono segnati sul calendario di casa come giorni nefasti. La giornata finisce tranquillamente, i ragazzi sacrificano a Nicoletta la loro partita di calcio; la faranno più tardi, quando Maria sarà rìtornata, o dopo cena, se sarà ancora abbastanza giorno. Per divertire Nicoletta organizzano una grande partita di steeplechase, lo steeple su tappeto verde regalato dal comandante Grey ai tre fanciulli. E Nicoletta è così estasiata nel vedere il suo cavallo arrivare il primo al palo, attraverso i mille ostacoli del giuoco, e ride con tanto gusto nel vedere Maurizio e Alano sempre perdenti, che i ragazzi non si sono mai divertiti tanto col loro steeple. Soltanto lunedì Francesco, a sua volta, ha una idea e la espone ai suoi fratelli, nel giardino, sotto l'albero grande, dove sono soliti tenere i loro conciliaboli. - Ecco, - spiega - non è necessario che stiamo a casa tutti e tre. Basterà che resti uno di noi.... e propongo che quello faccia tante monellerie da qui a giovedì, che Maria sia obbligata a punirlo privandolo della passeggiata. - I due fratelli sono convinti, una volta di più, che il loro fratello maggiore è proprio un «tipo geniale», come dice Mano. - Bastava pensarci, - dice modestamente Francesco. - Chi di noi? - domanda Maurizio. A questo punto la situazione si complica sempre Maurizio che ha l'abitudine di fare più monellerie degli altri, ma è anche il più piccolo e il beniamino di Maria, e i due più grandi lo sanno. Perchè c' è il caso che Maria gli perdoni tutto per non privarlo del divertimento. - E poi, - aggiunge Francesco - a Maurizio dispiacerà di più di non andare al bosco delle Fate. Per me, invece, fa lo stesso, se rimango in casa. - Anche per me. - Anche per me.... Voglio fare quante più monellerie potrò; - dice Maurizio - ma avevo proprio voglia d'esser buono in questi giorni, ed è molto difficile esser cattivi, quando ce lo dicono.... - Ti occorre qualche ispirazione? - domanda Francesco, serio. - Proprio, - risponde Maurizio, che sdegna l' ironia. - Vuoi che tiriamo a sorte per vedere chi dovrà farsi punire?

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E Nicoletta risponde, con voce lamentosa: - Sì.... ma credo che non abbiate messo il sale. - Il campo dei cucinieri è costernato. Hanno dimenticato perfino di portarlo, il sale. Maurizio propone di andare a prenderlo. Ma prima propone a Nicoletta di portare dello zucchero al posto del sale. - Sarà più buona, - egli dice. Ma ad ogni modo non potrebbe esser più cattiva. Nicoletta è stoica: mangia la sua minestra. La mattina ha preso una limonata purgativa e un decotto d'erbe, e quella minestra completa la giornata. Quando ha finito, Alano getta un grido: hanno

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Al tempo dei tempi

219481
Emma Perodi 1 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
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. - Ma questo non accadrà più, - assicurò il Re, e preso penna, carta e calamaio, scrisse una lettera per il Vicerè che doveva esser comunicata ai giudici, la munì del suo reale suggello e consegnandola al fabbro, disse: - Tenete, andate in Sicilia e abbiate fiducia che nessuno oserà più trasgredire agli ordini miei. - Il fabbro, tutto consolato e pieno di speranza tornò a Palermo, consegnò la lettera del Re al Vicerè, fece riaprire la causa, ebbe di nuovo una sentenza contraria e non se ne curò. Però il Principino se ne afflisse molto, e la notte dopo che fu pronunziata la sentenza, non riuscì mai a dormire. Sempre invocava la madre ed esclamava: - Madre mia, ma la giustizia è proprio morta a Palermo? Come, non è rispettata neppure la volontà del Re? Come, dovrò vedere quel perfido abate godersi i beni della mia famiglia e non potrò neppure rimborsare quest'eccellente popolano dei sacrifizi che fa per me? Non vedi, madre mia, che s'è disfatto di tutto quel che possedeva; non vedi che stenta per mantenere tuo figlio? Non credi che questo sia uno strazio per me? - L'infelice, dopo questa invocazione sentì un alito freddo sfiorargli il viso e due labbra gelate si posarono sulle sue, e quindi la solita voce affettuosa pronunziò lentamente queste parole: - Figlio mio, abbi pazienza, costanza e fermezza. Io pregherò per te. - E suggellando la promessa con un lungo bacio, si allontanò. Il fabbro sbraitava per la sentenza dei giudici, e tante ne disse che stavano per arrestarlo; ma il Vicerè non lo permise perchè aveva nelle mani la lettera del Re e temeva qualche guaio serio. Il Principino, intanto, a tutti gli sfoghi del suo benefattore, rispondeva invariabilmente con le parole della madre: - Ci vuol pazienza, costanza e fermezza! - Ma che pazienza! - gridò una volta il fabbro. - Te lo faccio vedere io che cosa ci vuole! - E vende l'ultima casetta che possedeva con la bottega e tutto, e se ne va in Ispagna di nuovo. La moglie, che fino a quel momento non s'era lagnata e le era parso tutto giusto quel che il marito aveva fatto per il Principino, quando vide chiuder la bottega e dovette lasciar la casa, divenne una vipera. - Mio marito è pazzo - diceva a chi non voleva sentirla - è pazzo da legare! S'è mai veduto che un padre dia fondo a tutto quello che ha, riducendo la famiglia alla miseria, per far valere i diritti di uno che non è neppur suo parente? Ecco qui, la nostra Angelina, non per vantarmi, era la ragazza più ricca di tutto il rione, e ora ha appena la camicia! Chi se la piglierà così nuda bruca? Nessuno. Ed ella ci rimprovererà sempre di averla sacrificata. - Non lo farò mai, mamma, - disse la fanciulla. - Io sono felice e non mi dispiace punto di non trovar marito. Sto bene così. Non vi pentite di quel che avete fatto per il Principino; io vorrei col mio lavoro, aiutarlo. - Angelina era abilissima nel fare ricami sulla tela, riproducendovi cacce, cortei reali e tante altre cose, che davano un pregio singolare alla biancheria. Ella si mise a lavorare e lavorava per le nobili dame e guadagnava tanto da campare sè e la madre mentre il fabbro viaggiava per la Spagna. Il Principino s'era rimesso a lavorare pure, e così la moglie del fabbro non mancava di nulla. Ecco che il fabbro sbarca a Barcellona, giunge a Madrid e si presenta al Re. - Maestà, il Vicerè di Sicilia ne fece un bel conto della vostra lettera! - Il Re si turbò. - Che sentenza hanno pronunziato i giudici? - domandò. - Una bella sentenza! Hanno dichiarato che l'abate ha tutto il diritto di valersi dei beni del principe di Cattolica e che il Principino è un truffatore. E l'abate se la gode nel palazzo e il Principino tira il mantice e suda a battere da mane a sera il ferro sull'incudine! - Al Re vennero i brividi nel sentir questo. Poi incominciò a gridare e a battere i piedi. Prese la corona e la scaraventò contro il muro dicendo: - Che mi vale questa corona se non sono Re in Palermo -

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