Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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L'angelo in famiglia

183262
Albini Crosta Maddalena 4 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
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Gesù misericordioso, abbiate pietà di essi! L'avarizia poi propriamente detta è un vizio nefando noverato tra i sette peccati capitali, che attira le vendette di Dio, e pur accumulando tesori terreni, rovina fino dal germe le famiglie che ne diventano eredi: Oh! evitiamo con ogni cura quest'orribile peccato, e per meglio evitarlo cerchiamo di conoscerlo mirandolo ben bene in faccia; quando ne avremo visto la bruttezza avremo maggior cura di schivarlo, di sfuggirlo, di odiarlo. L'avaro è crudele; egli ama soprattutto il suo denaro del quale è geloso: egli lascerebbe morire un uomo di fame anzichè privarsi di una sola moneta; ma anche staccandoci dal peggior tipo di avaro, e cercando l'avaro, per così dire, domestico, lo avaro pratico, l'avaro d'ogni giorno, noi vediamo in esso una vera durezza pei mali e pei bisogni del suo prossimo. Egli misura il pane ai servi, ai figli, a sè stesso; egli teme sempre gli venga meno quel denaro che adora, che cerca d'impiegare e che impiega realmente ad un frutto esagerato, sotto pretesto che la legge oggidì più non condanna l'usura: egli, il misero, non pensa che se l'usura è tollerata dalla legge umana, non è già tollerata dalla legge divina, da quella legge che tutela i diritti d'ognuno ed in ispecie quelli del bisognoso, dell'orfano, del pupillo... Egli trova inutile e superflua ogni spesa anche strettamente necessaria, e siccome sente ei pure il bisogno di giustificarsi dinanzi a sè stesso, e di persuadersi di non essere avaro, per una di quelle stranezze che mostrano la coincidenza dell'avarizia colla prodigalità, ma non la spiegano, profonde il suo denaro in un'opera spesso inutile o stolta, e così il risparmio accumulato con tanti sudori e con tante lacrime di povere vedove e di deserti orfanelli, serve al suo capriccio, e prova una volta di più che il peccato è irragionevole ed obbrobrioso, e che il frutto del peccato lo è del pari. Un ricco avaro che per una lunga vita aveva fatto usure e durezze d'ogni specie per accrescere il suo tesoro, privando sè medesimo dell'indispensabile alla vita, nella sua vecchiezza sciupava il suo denaro erigendo una fabbrica, senza disegno, senza architettura, senza scopo, se suo scopo non era quello d'incidervi una lapide sulla quale io stessa lessi scolpito:non adoro il denaro, ma generosamente lo calpesto. Io penso che egli si credesse in buona coscienza saggiamente economo, non avaro, e Iddio gli perdoni la sua ignoranza, gli tenga conto della buona intenzione; oh! si, Dio gli perdoni. L'economia invece è prudente ed oculata; misura con giustezza i bisogni della famiglia e li provvede. Impiega i proprj capitali ad un fruttato onesto ed in luogo sicuro, e calcolando giustamente le proprie entrate spende sempre qualche cosa di meno, poichè pensa che un dì o l'altro potrebbero diminuire o in qualche modo subire qualche avarìa, e trova quindi indispensabile aversi un qualche avanzo per riparare ai danni di un'eventuale malattia o di una qualunque disgrazia. La donna economa abitua sè ed i suoi di casa ad un vitto frugale, ad un vestiario modesto, talchè se la sventura li colpisse e la ruota girando mutasse la loro condizione, essi più facilmente potrebbero adattarsi ad una vita più ristretta e limitata, di quello che altri allevati nella grandezza o nella spensieratezza. Ma fin qui ho parlato degli obblighi, che ti ponno riguardare nell'avvenire, obblighi che tu sei tenuta a seriamente ponderare, ai quali tu devi prepararti, perchè nel loro adempimento sta una gran parte della saggezza muliebre. Ma a te pure posso e debbo parlare direttamente dell'economia, e perchè tu pure fin d'ora sei tenuta ad avertela famigliare, e per predisporti ai rovesci di fortuna, e per farteli evitare il più possibilmente. Molte volte, per un amore fosse eccessivo, i tuoi genitori hanno condisceso a circondarti di comodi, più che a te non erano dovuti, a dispendiarsi soverchiamente; ora tu devi saper far senza quelle ricercatezze che non sei certa di poter conservare. Ora sei agiata o ricca, ma un dì puoi diventar povera; con questo pensiero sempre fisso in mente devi abituarti ad una vita laboriosa e frugale, senza ricercare e tanto meno esigere quei comodi i quali aumentando la spesa, aumentano i tuoi bisogni, e quindi la tua infelicità. Io vorrei che anche le damigelle situate nella classe più alta, si abituassero á coprirsi di biancherie piuttosto grossolane ed ordinarie, non cercassero nel proprio vestiario che la decenza e la modestia, stando sempre nel vitto, nel vestire, nell'abitare ed in tutto una linea più sotto di quello porterebbe la loro condizione sociale e finanziaria. Questo servirà a mantenere una saggia economia, quindi ad ovviare un dissesto finanziario; nello stesso tempo dinoterà in esse un animo umile e gentile che ben lungi dal soverchiare gli altri, è contento di stare al disotto, memore che parola evangelica dice:gli ultimi saranno i primi. Sì, te lo raccomando ancora: abbi a cuore l'economia domestica, un'economia che più specialmente si riversi sulla tua persona, un'economia che non ti serri la mano al soccorso, ma ti presti anzi i mezzi per correre in ajuto dei bisognosi; un'economia che ti faccia amica e cara al Signore; a quel Signore che vestendo una carne come la nostra ha voluto cibarsi di povero pane, vestire povere vesti. Quand'io, aprendo il Vangelo, leggo il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci, un senso d'indefinibile tenerezza m'inonda il cuore, e mi torna alla mente questa riflessione, che non posso a meno di comunicarti. Non poteva il Salvatore operando il miracolo offrire alle turbe cibi più squisiti e prelibati di quanto nol fossero pane e pesci? Non poteva almeno dare a quel pane ed a quei pesci un sapore nuovo, differente, superiore ad ogni altro sapore? Il Vangelo non dice affatto parola di ciò; resta adunque sottinteso che nostro Signore moltiplicò i pani ed i pesci nella stessa qualità dei pochi pani e dei pochi pesci che gli Apostoli tenevano in serbo; siccome ogni cosa fatta da Dio è feconda di utili ammaestramenti, così questa pure è utilissima, insegnandoci che allorchè ci limitiamo a desiderare ed a chiedere il necessario, Iddio è pronto a fare anche dei miracoli per soddisfarci. Non cercare adunque, o amica tenerissima, che il necessario; fa di contentarti di poco, di restringere quanto più puoi i tuoi bisogni, e sarai più facilmente esaudita, ed il Signore vedendoti staccata dai beni della terra, non sarà indotto a privartene; ma ajuterà anzi l'opera saggia e prudente di un'economia guidata dall'amore della giustizia e dai dettami della carità, col benedirti non solo nell' anima, ma altresì nel corpo e negli averi! Oh! ti benedica, ti benedica Iddio!

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Ed ecco che io sono con voi per tutti i giorni, sino alla consumazione dei secoli; avete voluto farci intendere che Voi stesso ce l'avete lasciata non solo vostra rappresentante, ma depositaria della vostra divina volontà; abbiate compassione delle povere anime, le quali perchè non lo comprendono non credono questo mistero d'amore: illuminatele coi raggi luminosi che escono dal vostro Cuore adorabile, ed essi si stringeranno alle ginocchia della Madre tenerissima che Voi ci avete lasciata, e non solo ne ubbidiranno i comandi, ma ancora ne seguiranno gli amorevoli e saggi consigli. Se in famiglia tua, mia buona figliuola, o in quella qualunque famiglia presso la quale ti trovi od in pensione, od a diporto, od in villa, si mangia grasso nei giorni in cui è comandato il magro, tu devi con amabile istanza pregare la padrona di casa a dispensarti dal mangiare cibi vietati, e a volerti fornire in quella vece qualche vivanda non proibita; se tu sarai poco esigente e ti contenterai di un po' di formaggio, di verdura, di qualche uovo, senza far pesare agli altri nè la tua privazione, nè la loro trasgressione, tutto anderà a meraviglia e nessuno penserà di contrariarti. Qual consolazione per te e qual merito, se un giorno trascinata dal tuo esempio discreto ed edificante, col pretesto di farti piacere, la famiglia si uniformerà a quanto la Chiesa comanda? Se tu in qualche maniera entrassi nella direzione o nel maneggio della cucina, io vorrei vederti santamente industriosa fare in modo che anche il gusto dei più schifiltosi e difficili non avesse di che lagnarsi nei venerdì e nei sabati; poichè io la credo una vera colpa quella di alcune padrone di casa, le quali pretendono che nei dì di magro i loro mariti o i loro figli, spesse volte obbligati a condurre una vita operosa, vivano pressochè d'aria, e si contentino di cibi assolutamente contrarj al loro gusto od al loro bisogno. Certamente se essi fossero stati allevati ed abituati com'io spero sia di te, usi cioè a non far differenza fra cibo e cibo, e a trovar sempre buono quello che si trova sul desco, queste miseriole di desinare più o meno buono, più o meno ragionevolmente disposto, non genererebbero malumori e tanto meno guai; ma gli uomini bisogna prenderli come sono, non come dovrebbero essere, e noi siamo tenuti a perdonar loro qualche difettuccio in premio delle loro buone qualità, ed anche solo pel debito nostro di compatir sempre tutti, tutti, anche i più gran peccatori, pur odiando cordialmente il peccato. Se tu in qualche modo sei cuciniera, sempre avendo di mira una saggia economia e frugalità, provvedi affinchè ognuno si trovi contento di quanto è preparato e non trovi troppo gravosa l'astinenza delle carni: se non lo sei, accomodati alla meglio, ma non violare in verun modo, per parte tua almeno, le leggi della Chiesa senza un formale permesso del tuo confessore. Tutti i peccati sono stolti, perchè non ci compensano neppure per una millesima parte di quello che ci fanno perdere; ma questo del mangiare in certi giorni cibi vietati, mi sembra fra gli stolti, peccato stoltissimo, mentre non regge assolutamente confronto alcuno tra la soddisfazione di gustare una vivanda, sia pure quanto vuoi ghiotta o squisita, all'altra vera ed intima di obbedire ad un precetto della Madre nostra, rinunciando a quella. Si è ripetuto fino alla noja quel versetto evangelico: non ciò che entra nella bocca é peccato, ma ciò che ne esce; ho detto si è ripetuto fino alla noja, perchè se n'è assolutamente invertito il senso, e non ascoltando, per così dire, che il suono delle parole, si è rifiutato il significato loro. E chi non sa che il peccato non istà nelle carni e nel cibo? Se fosse peccato il cibo per sè stesso, non ci sarebbe mai permesso gustarne senza colpa, ovvero mentre è proibito all'uno non sarebbe permesso all'altro, il quale per causa di malattia o d'infermità ne sente il bisogno. Certamente il peccato sta unicamente nella nostra volontà e nell' opera nostra. Eva vide un bel pomo, bellissimo, ne fu invogliata, e benchè le fosse proibito assaggiarne, stese la mano, lo colse, ne mangiò!... Il pomo era buono per sè, innocuo ed innocente, ma quantunque buono, ad essa era vietato gustarne: la colpa non era nel frutto, ma nella prava sua volontà, che, indocile al comando del Signore, lo trasgredì. Così senza avvedermi quasi, ti ho recato una prova non indifferente che i precetti della Chiesa sono inspirati dallo stesso Iddio, il quale, fin dal primo dì della creazione o poco dopo, impose all'uomo la mortificazione della gola. Lo so bene, a te non bisognano queste prove, perchè tu sai benissimo che il nostro Signor Gesù Cristo morendo ha fatto, in certa maniera, procura ai suoi Apostoli, e conseguentemente ha imposto a noi di obbedirli fedelmente come a Lui stesso, minacciando chi rifiuta obbedienza alla Chiesa di essere tenuto come infedele e pubblicano. A questo proposito mi fece molta impressione il leggere che Sant'Agostino, quando tuttor manicheo dubitando della sua religione ne cercava una vera, diceva a sè stesso: Se vi ha una religione vera, e ci dev' essere, essa deve avere un codice infallibile ed un maestro infallibile, poichè egli pensava giustamente al solo lume della ragione che Dio non poteva averla abbandonata agli uomini senza prima fornirla dei mezzi indispensabili affinchè fosse conservata ed insegnata nella sua verità, nella sua integrità e nella sua purezza naturale. Ora noi abbiamo il codice ed è il Vangelo; noi abbiamo il Maestro infallibile ed è la Romana Chiesa con a capo il Pontefice, la quale ci spiega il Vangelo e ci rende facile l'adempimento dei comandamenti di Dio, additandoci pratiche speciali per seguirli. Il Signore ci ordina la santificazione delle feste, il cibarci delle Carni del Verbo umanato, sacramentato, e ad ogni passo del suo Santo Vangelo ci va ripetendo penitenza, penitenza; la Santa Madre Chiesa con cuore veramente materno, per toglierci ed alleggerirci la grave responsabilità del precetto divino, ce ne prescrive la pratica con amorevole indulgenza, imponendoci la Messa festiva, la Comunione Pasquale, l'astinenza di alcuni cibi in alcuni giorni, e il digiuno nella quaresima e nelle vigilie delle maggiori solennità. Un tale, pranzando un venerdì ad un albergo, era fatto oggetto dello scherno di alcuni giovinastri, perchè si cibava di vivande da magro; ad un tratto egli ordina una costoletta, poi gettandola al suo cane, che accovacciato gli stava ai piedi, gli disse: To', mangia, la tua religione non te lo proibisce. Quei giovinastri, piccati, ma mortificati, si morsero le labbra e uscirono. Non ribelliamoci no alla Santa Chiesa, ma obbediamola fedelmente sempre sempre; che se per ragioni di salute o per circostanze specialissime ci è impedito l'adempimento materiale di quanto essa ci comanda, noi ne avremo adempito lo spirito, se umilmente e con cuor di figli le chiederemo di esserne dispensati. Ricordati bene, mia cara amica, di non farti giudice o mormoratrîce dei trasgressori delle leggi ecclesiastiche; bensì, ove ti sia dato, fa di ammonirli piacevolmente, facendo loro sentire l'obbligo che tutti stringe di osservarle; ma più specialmente quand'anche tu fossi fatta soggetto di biasimo o di derisione, segui coraggiosamente la tua via, e quell'Altissimo che tien conto fino dei capelli del tuo capo, terrà conto della tua costanza, e te l'ascriverà a merito ed a merito grande. Vi hanno alcune circostanze in cui il tuo Confessore non solo ti permetterà, ma ti ordinerà fors'anche di mangiar grasso e di astenerti dal digiuno, per sollevare la tua coscienza da ogni turbamento; ma io credo che anche in proposito tu sii obbligata ad accennargli tutte le circostanze, come sarebbe quella del mostrarsi pubblicamente o ad un caffè, o ad un pranzo diplomatico o no, ma tale che il tuo esempio possa riuscire di scandalo o di appiglio ai tristi per appoggiare o giustificare la trasgressione delle leggi della Chiesa. Se tu non fossi figlia di famiglia, io ti direi recisamente di affatto astenerti da quei convegni dove apertamente si viola il precetto della Chiesa e quindi di Dio; ma siccome può darsi il caso in cui tu sii obbligata a prendervi parte, solo in questo caso vi ti puoi recare, previo sempre il permesso ed il consiglio del tuo Confessore. Che se per avventura ti trovassi in villa od in luogo in cui non hai l'ordinario tuo direttore, potrai attenerti a quei consigli che egli ti avrà forniti in altra simigliante occasione, o potrai dirigerti ad un Confessore del luogo. Vi hanno delle anime tanto deboli e meschine, le quali non sanno adattarsi a dire le loro colpe al Sacerdote del villaggio, o perchè se lo vedono frequente in casa, o perchè ne conoscono i particolari difetti, o per qualunque altro perchè, inconcludentissimo quando si pensi che colui che esse vedono in casa, o pieno di difetti, od anche grandemente colpevole, è l'uomo, mentre colui, al quale si confessano non è più l'uomo, ma il Sacerdote, vale a dire il rappresentante di Dio. Tu sei obbligata a contentarti ed a prendere quello che ti viene offerto da quelli di casa, tanto nel vestire, che nel mangiare, ed in tutto: cioè... cioè, tu veramente saresti obbligata ad obbedire i tuoi genitori quando il loro comando non implichi trasgressione al comando della Santa Chiesa; però in questo caso la Santa Chiesa, svisceratamente amorosa ed indulgente, ti dirà anche dispensata da questo; ma tu però farai bene a rivolgerti umilmente a Lei. Ma se tu sarai prudente, discreta, amabile, ti sarà facile ottenere dai tuoi di casa i mezzi per l'osservanza dei precetti; questi certo diverranno scala a grandissimi meriti, ed i meriti a loro volta diverranno scala a grandissimo premio... in Paradiso.

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abbiate pietà di lei!... È brutto, sì è brutto e straziante quello spettacolo, ed io voglio condurti per la seconda volta presso il letto della vecchia mia inferma, per mostrarti la serenità del suo volto, del suo cuore, in mezzo ai dolori, agli acciacchi della malattia e della vecchiaja, ed alle privazioni della miseria sotto una vernice di proprietà, avanzo unico degli agi d'altra volta. Ma questo non basta: la vecchia zitella desidera bene a tutti, parla bene d'ognuno, e ti racconta con voce intenerita come un ex Garibaldino che abita sotto di lei l'ha protetta e difesa contro gl'insulti di alcuni infelici i quali cercavano di proibirle perfino di recitare ad alta voce il suo Rosario, e la vessavano in ogni maniera. Essa ama con ardente carità cristiana il Maggiore che non conosce, e prega e fa pregare per lui. Egli ammala, e la povera inferma con santa industria invia al suo letto un Sacerdote, il quale non è respinto, ma però tenuto a certa distanza. La malattia aggrava, e la vecchia prega sempre con maggior ardore per lui il buon Dio; i Framassoni circondano il letto dell'infermo cercando di estorcergli un ultimo testamento in cui dichiari di non essere altrimenti cattolico, e di non voler essere avvicinato dal Prete; ma nella camera sovrapposta una donna vecchissima, appoggiata a due grucce dimentica i proprj dolori, i proprj bisogni per non pregare se non per lui. Oh! la grazia non può tardare, verrà!... La grazia è venuta. È il 12 marzo del 1880: l'infermo si solleva sull'origliere, chiede di essere lasciato solo dai compagni, ed all'unico rimasto rivolge la preghiera di correre pel medico, mentre sottovoce supplica con istanza la moglie di mandare pel Sacerdote, il quale viene, lo confessa, riceve l'abjura dei suoi errori, lo assolve, lo benedice, gli amministra l'Estrema unzione e si allontana per indi dalla chiesa recargli il Pane di vita. Arrestati, o Sacerdote! Il pietoso Iddio ti ha prevenuto: già lo sai, l'antico framassone era sparito; su quel letto giace adesso il fervoroso credente, il quale benedice i proprj dolori, le proprie pene; eccolo assorto in Dio rivolgersi a Lui con caldo sospiro; ecco sciogliersi l'anima sua dal corpo di morte, riconciliata col suo Creatore, eccola volare in Cielo a ricevervi una Comunione santa che non avrà fine giammai... I settarj sbuffano, scalpitano alla porta dell' antico loro commilitone; finalmente la porta si apre, ma del povero Chiesa non trovano più che un cadavere!... E chi può misurare la misericordia di Dio? E chi può comprendere gl'imperscrutabili suoi disegni? Un sentimento di umanità piamente secondato dal valoroso Maggiore che aveva perduto una gamba in battaglia, attirò le benedizioni di Dio, e questi volle addolcire le sue agonie con una ferma speranza, con una forte promessa, accordando a lui quello che fu negato a Voltaire, quando al letto di morte richiesto con forza un Sacerdote, negatogli dagli Enciclopedisti che lo circondavano, moriva disperato divorando le proprie lordure! Mia buona figliuola, e dove t'ho condotta io mai? E perchè ti ho contristata con scene di tanto dolore? Ma se tu pensi alla vecchia quasi nonagenaria, al cinquantenne Garibaldino, il cui passaggio è allietato dal sorriso della fede, la calma ti tornerà al cuore e ti nascerà vivo il bisogno di pregare per i miscredenti più induriti, per tutti quanti gli uomini. Sì, prega, preghiamo per tutti; la preghiera affratella gli animi, li riunisce, li riconcilia con Dio, bene sommo, anzi unico cui può aspirare ed arrivare la creatura più perfetta dell'universo. Preghiamo anche per la salute del corpo, che pure è un gran dono del Signore; ma guardiamoci dal considerarla come bene sommo, poichè essa è un bene fugace e vale solo come mezzo conducente alla salute eterna: guardiamoci dal confondere il mezzo col fine, la via colla meta! Il buon Dio ad avvertirci di ciò, a ricordarcelo, permette che la malattia ci venga 49 a toccare, e forse tu pure, giovane diletta, sarai travagliata da qualche infermità; ma sia lode al Signore! tu sei credente, non basta; tu sei pia, tu sei fervorosa cattolica, tu sei figlia di una Madre addolorata, e le lacrime che ti sgorgheranno dagli occhi, strappate a viva forza dalle sofferenze corporali, rinchiuderanno la dolcezza che viene dalla fede, dalla pietà, dall'amor santo; e a somiglianza della verga colla quale Mosè percosse il monte, i tuoi dolori faranno scaturire un'onda purissima di sante virtù, di elette benedizioni, atte a spargere su tutta la tua vita una tinta benefica e meritoria. Proverai, lo so bone, grandi difficoltà nell' esercizio di una sì santa rassegnazione, poichè la carne si ribella, vuol prendere il sopravvento sullo spirito, e se il domarla ti costerà fatica, sarà altresì sorgente di gaudio e di benedizione non per te soltanto e per coloro che ti circondano, ma per tutti quelli cui sarà rivolta la tua caritatevole preghiera. Una falsa compassione od una fallace speranza potrebbe tener lontano dal mio e dal tuo letto i conforti cristiani nell'ultima nostra ora, ed allora, ahimè! ci saranno tolti gl'ineffabili conforti, le ineffabili consolazioni che speravamo compagni dell'ultimo nostro sospiro! Ma, io e tu, non potremmo fare fin d'ora un patto a noi medesime? Non potremmo fare un patto colla nostra volontà di far chiamare noi stesse il Ministro di Dio non appena ci minacci grave malattia, o ci tormenti una febbre cocente? Oh! sì, facciamolo assieme questo patto, questo fermo proposito, e Dio ce ne terrà conto, io spero, e nell'ultima nostra ora saremo allietate dalla riconciliazione con Lui, che ci verrà a visitare per farsi nostro alimento nel Sacramento dell'amor suo. Oh! Gesù, Ostia purissima di pace e di perdono, siate frequentemente il mio cibo corroborante nella mia mortale carriera; siate il mio conforto, il mio sostegno nei dolori dell'estrema malattia, siate il mio Viatico al grande passaggio! Gesù buono, accordatemi Voi una santa pazienza, cementatela coll'amor vostro purissimo, ed io dimentica di questo corpo di peccato sopporterò coraggiosamente i dolori, le pene, pensando al premio eterno, ineffabile che Voi stesso ci apprestate in Paradiso. Madre mia, Maria Santissima, conducete Voi al mio letto il vostro divin Figliuolo, e, come con esso chiudeste gli occhi al purissimo vostro sposo, chiudete pure gli occhi miei, quando l'anima mia si scioglierà dai lacci corporei. Oh mio caro S. Giuseppe, protettore dei moribondi, io V'invoco adesso che sono nella piena vigoria delle mie facoltà per quegli estremi momenti, e fidente nella promessa che verrà aperto a colui che picchia, e sarà dato a chi chiede, imploro con tutto l'ardore di cui sono capace l'ajuto vostro, ed esclamo dal più profondo del cuore: Gesù mio, misericordia! Madonna, ajutatemi! S. Giuseppe, protettore degli agonizzanti, pensateci Voi, sì, sì, pensateci Voi!

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Marco: Non vogliate premeditare quello che abbiate a dire; ma quello, che in quel punto vi sarà dato, quello dite; ché non siete voi che parlate, ma lo Spirito Santo, impugnerò nuovamente la penna, e dirò quello che lo Spirito mi detta, senza punto badare al mio desiderio od alla mia ripugnanza. Sì, il confesso, mentre mi è pena e pena grande farti in certo qual modo da maestra e da guida, mi è altresì pena vera lo staccarmi da te, damigella cara, da te che con amore mi hai seguito fin qui: quanto alle altre le quali hanno troncato a mezzo la lettura, non s'avvedono neppure di questa mia titubanza e di questo mio desiderio!... Ma un pensiero consolante mi rialza l'animo, assicurandomi che quanto io ho detto non è cosa mia, non viene da me, ma da quel Dio il quale buonissimo e misericordioso con tutti, e più specialmente coi più indegni, mi ha scelta a strumento della sua parola. Ah! foss'io stata, e foss'io tuttora strumento docile nelle mani divine, quanto lo è la penna che sta nelle mie! O mia buona figliuola, se gli è Dio che ti parla, ed io non sono che un portavoce, tu lo devi ascoltare, tu devi porgere attento orecchio alla sua parola; tu devi seguire i suoi ammaestramenti, i quali rendendoti più pia, ti renderanno più buona anche per te stessa, e più utile al prossimo tuo; ti tramuteranno in angelo sotto veste umana, ti rinforzeranno contro le battaglie che il mondo, il demonio e la carne insieme congiunti ti moveranno contro. Oh! possa il buon Dio renderti felice, ma prima fervorosa credente, calorosa adoratrice del Sacramentato nostro bene, del Cuore Sacratissimo del nostro Gesù, e ti faccia trovare ognora in quel pelago di dolcezza un consiglio nelle dubbiezze, un conforto nel timore, uno sprone nelle titubanze, un incoraggiamento, un ajuto nelle opere buone, un ostacolo insuperabile nelle vie del peccato. Oh! ti renda felice il nostro caro Gesù, e non solo felice in una vita che sfugge, ma nell'altra che eternamente dura!

Pagina 775

Galateo della borghesia

201630
Emilia Nevers 2 occorrenze
  • 1883
  • Torino
  • presso l'Ufficio del Giornale delle donne
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Se le congratulazioni hanno per oggetto la nascita d'un bimbo, bisogna trovarlo bello, anche se è calvo e grinzoso come un accademico, secondo l'espressione di Coppée: non abbiate paura di valervi dei soliti discorsi, un po' triti. Ai genitori parranno nuovi come l'ultimo articolo del Figaro. Nelle visite di condoglianza è un' altra cosa: non è il visitatore cui tocca parlare della sventura, ma l'afflitto. Taluno ama rammentare i cari perduti, e sfogarsi: altri no, bisogna regolarsi secondo il caso. Però è norma fissa il non parlare di cose gaie, di divertimenti, teatri, ecc. Nelle visite di ringraziamento e di digestione si seguono le norme di quelle di congratulazione. Nelle visite di presentazione è di prammatica che il presentato se ne vada col presentatore. Nelle visite di raccomandazione si deve parlar chiaro ed essere spicci. Nelle visite ai malati si deve evitare di avere dei profumi o dei fiori: si deve trattenersi poco, e parlare sottovoce e di argomenti sereni, ma non tali da suggerire all'infermo dei rammarichi: per esempio, se non ne chiede lui, non si parlerà di teatri, di passeggiate, di campagne; piuttosto di libri, se può leggere, o specialmente di rimedi, di guarigioni miracolose, che so io? insomma di cose che gli sollevano lo spirito. Si potrà anche accennare a mali gravi che gli facciano parere più lieve il suo. Conviene più che possibile non lasciar entrare che una persona alla volta dall'infermo, tanto per non consumare l'ossigeno già scarso d'una camera chiusa, come per non sbalordirlo, ed infine per evitare il fatto frequente che il circolo impegni un'animata conversazione, dimenticando il povero infermo che da tutto quel chiasso non ricava che il mal di testa. Non occorre dire che lo sigaro si lascierà sempre fuori di camera. Alla famiglia del malato tocca tenere la stanza più linda che possibile, dissimulare con una scena (fiomba, paravento) il tavolino su cui staranno gli strumenti o le fiale necessarie per la cura, i bacili, le biancherie, rinnovare ogni giorno le lenzuola, valendosi di questo sistema - un lenzuolo cioè che formi rimboccatura apparente, ma stia fra le due coltri piegate a vari doppi e si levi di notte: lo si scelga fino e ricamato come pure le federe. L'ammalato può fissar un'ora per ricevere; quella in cui gli par di essere più sollevato, e per quell'ora, se è un uomo, si ravvii capelli e barba, se è una signora metta una bella cuffietta, un bel corpetto bianco. L'ammalato non ha galateo: se la visita gli pesa, può dirlo schietto: farebbe un danno a sè ed un dispiacere agli amici arrischiando di peggiorare per loro. Pello stesso motivo non si deve mai insistere per vedere un infermo. D'altra parte se la visita gli sorride, non bisogna mai promettergliela e non mantenere, farlo stare in attesa, o fuggire subito, come noiati, se egli vuol trattenervi... La visita abituale, cioè quella dei ricevimenti soliti, segue le regole accennate nel principio per la durata ed il modo di presentarsi: aggiungerò che, in generale, è meglio non andare a far visite in tribù, con figli, bambini, con ciò che si chiama, con termine franco-algerino, una smala. In quanto ai rapporti tra vicini, è da notarsi che altre volte c'era più fraternità sociale, checchè se ne dica. Si conosceva meno gente, ma la si conosceva meglio: tra vicini c'era salda amicizia. Ora, nelle case a tre piani e venti inquilini, e con la confusione dei ceti, la visita consueta dell'inquilino al padrone di casa ed agli altri pigionali non si costuma più. Si correrebbe il pericolo d'essere mal accolti... (in questi tempi di democrazia!) andando così sans crier gare dal vicino che potrebbe aver in tasca due soldi più di voi. Dunque, chi vuol star strettamente attaccato al galateo, non farà quella visita così alla carlona, ma, fatto interrogare il vicino da terzi, pregherà qualche comune conoscente di presentarlo. Le domande d'informazioni, in certe città, rendono lecito il recarsi in casa d'ignoti. Convien scegliere ora debita e trattenersi il meno possibile. Per essere poi affatto inappuntabili, si dovrebbe chiedere in iscritto il permesso di presentarsi. Noterò che quando s'è ricevuta una visita bisogna renderla entro i primi otto giorni se si vuol conservare la relazione. Dopo la prima visita non c'è regola; si può lasciar passare anche un mese, anche due da una visita all'altra. Però il meglio è di imitare il sistema della persona che si visita, mettendo, poco su, poco giù, lo stesso intervallo di lei fra le visite. Nelle visite d'etichetta non si suol mai farne due di seguito; cioè prima di tornare s'aspetta che ci venga restituita: se dopo due visite la persona non ricomparisse (senza l'attenuante di viaggi, malattie o lutti) vorrebbe dire che intende di troncare la relazione. Quando una persona non è in casa si lascia sempre appunto a scanso d'equivoci) il proprio biglietto di visita. Quando una signora ha fissato un giorno per ricevere non si deve andare da lei che in quel giorno: sarebbe indiscreto far il contrario. Taluni adducono il pretesto del circolo, del desiderio di conversazioni intime, della toeletta: codeste sono scuse che non permettono di contravvenire al desiderio della persona che si va a visitare, desiderio chiaramente manifestato dalla scelta del giorno. Chi riceve non deve fissare un giorno e poi assentarsi a proprio talento, senza tener conto del disturbo di chi lo viene a trovare, facendo se occorre lungo cammino: è dovere, toltine i casi di malattia, di ricevere sempre, privandosi di passeggiate o divertimenti che cadessero nel giorno in cui si riceve. Siccome, d'altronde, il tempo delle visite si limita a tre ore, non è difficile trovarle fra le centosessantotto della settimana. In quel giorno si eviterà assolutamente che vengano operai, sarte, insomma persone che potessero disturbare, e si darà ordine alla servitù di non entrare sotto nessun pretesto in sala a chiamare la padrona. Pei bimbi, se non s'ha l'aia, e la fantesca è in anticamera, si cerca di affidarli a qualche maestrina, oppure se grandicelli, s'insegna loro ad entrare e salutare con garbo nel tornare da scuola, poi andar quietamente a far il còmpito. Tenerli in salotto sarebbe un disturbo, l'ho già detto. Nelle visite diurne in città non si danno rinfreschi, però si usa tener sulla tavola una coppa con dei dolci, e d'estate sta bene offrire una bevanda fredda. Se viene un visitatore mentre la padrona è uscita, le persone di servizio non hanno obbligo di riceverlo; possono limitarsi ad avvertire che la signora è fuori. L'introdurre in casa gente che forse non conoscono può dar luogo a furti e truffe. Però se è persona nota in casa, o vecchia, e che sembra affaticata, e specialmente se vi sono i ragazzi od altri membri della famiglia, è doveroso farla accomodare per un momento, affinchè riposi, tanto più se la via che ha fatta è lunga e le scale sono molte. Se viene gente in un giorno affatto inopportuno, s'ha il diritto di non ricevere. In Inghilterra, dove la franchezza è considerata da tutti come un obbligo perfino nelle minime cose, se si presenta un simile caso, si fa dire schiettamente che s'è occupati ed il visitatore non se ne ha per male. Da noi, si ricorre al sistema della bugia innocente. Si fa dire che s'è usciti.... Come fare? chiederete voi. Il sistema inglese è troppo secco per noi, la bugia è spesso trasparente, sì da essere ridicola e da ricordare il debitore che grida ai creditori: sono fuori di casa! lo direi di prevenire il guaio avvertendo tanto la portinaia che la servitù di dire che non si riceve. Allora se il visitatore insistesse, si darebbe da sè la patente d'indiscreto e non avrebbe il diritto di lagnarsi d'un po' di sostenutezza nell'accoglienza o d'un rifiuto. Badino, care signore, che la disinvoltura non deve rendere indiscreti e che è indiscreto insistere per penetrare in casa altrui. Se fosse per affare urgente, si scriva.

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Abbiate quindi per norma, care signore, di occuparvi dei particolari, d'esigere un po' d'accuratezza; di valervi, anche in famiglia, di piatti uguali, non incrinati, non rotti, di metter sempre due bicchieri, uno per l'acqua, uno pel vino (a calice), un vaso con fiori, o una pianta verde nel mezzo della tavola, di non far economia sul bucato. I porta-bicchieri, porta-bottiglie, sono banditi: secondo me, a torto. Preferirei vederli su una tovaglia bianca che notarne l'assenza sopra una tovaglia tramutata in carta geografica. Taluni si valgono di tela cerata, specialmente in Francia: scelgono tele bianche a disegno che imiti il damasco: è economico, ma poco bello. Il vino comune si mette in boccie bianche; guardatevi bene però, care signore, di far questo travaso con dei vini fini. Il Bordeaux, il Reno, vanno lasciati nella bottiglia genuina, e più quella bottiglia sarà impolverata e coperta di ragnatele, più ornerà la tavola. Vi sono posate speciali di legno con manico d'avorio o d'argento per l'insalata, e piatti adatti per carni e frutta: nessuno mai si alzi da tavola e non si facciano servir i cibi alla rinfusa. Mangiare adagio è igienico, favorisce la digestione: d'altronde a tavola non s'invecchia, come dice il proverbio. Una cosa venga dopo l'altra, e prima di portarla si mutino i piatti, risciacquando coltelli e forchette in apposito bacile pieno di acqua bollente che si terrà accanto alla sala da pranzo. Insegnate voi stesse, care signore, alla cuoca il modo d'assettare la roba con cura e presentarla: il pollo recato intero può venir scalcato in tavola quando si è soli, su tavola attigua quando c'è gente; ma anche fra intimi è cessato l'uso che il padrone o la padrona di casa mandino essi le porzioni agli ospiti. Me ne dolgo..... per me che non so scalcare, ma me ne congratulo per loro. Queste norme valgono anche pei desinari fra intimi. Una cosa che raccomando specialmente poi a chi non ha cuoco veramente bravo, si è di rivolgersi al salumaio, che potrà fornirlo di antipasti, pesci, vol-au-vent; al pasticciere, che gli darà gelati e torte; ma di non arrischiare, sulla fede di un libro da cucina, degli esperimenti di piatti nuovi e complicati, esperimenti che spesso offrono, per premio di molta spesa e fatica, un croccante nero e rovinoso come un castello smantellato od un budino ridotto in purée. In generale, trattandosi di amici, bisogna consultare più il loro gusto che la consuetudine od il desiderio di grandeggiare. La padrona di casa non annunzierà con pretesa modestia che dà un desinare cattivo, nè, al comparir d'un cibo, esorterà gli ospiti a mangiare, osservando che è buono, che l'ha fatto lei: molto meno poi metterà ella stessa una catasta di cibo sul loro piatto, ponendoli nell' alternativa di mostrarsi scortesi o di finire d'indigestione. Gli ospiti non faranno complimenti: mangieranno a seconda del loro appetito, senza parlar dei cibi altro che per dire qualche: squisito! ben riuscito davvero! Nulla più. Le buone massaie, se ve n'ha fra i convitati, non dicano che a casa loro fanno lo stufato od il risotto secondo altra ricetta (il che implica biasimo). In una parola, non si faccia nulla che accenni lo scopo del pranzo essere la soddisfazione della gola, più che il piacere di star in compagnia. Nemmeno fra intimi è lecito mangiar senza pulizia, esaminar i cibi con far sospettoso che evoca visioni importune di mosche fritte e di capelli in salsa, e la facezia di quel tale che al caffè gridava al tavoleggiante: « Cameriere, la mia frittata ha troppa parrucca: voglio una frittata calva », se avrà esilarato gli ospiti, non avrà però favorito il loro appetito. Nè padroni, nè ospiti parlano con chi serve in tavola, ed i ragazzi devono imitarli, limitandosi a chieder sottovoce e con garbo quel che potessero essersi dimenticati d'offrire. Se c'è un piatto mal riuscito, la padrona di casa non deve nè dare in esclamazioni, nè istituire un'istruttoria. « Come mai? o che cos'ha fatto la cuoca? Che grulla, ecc. ». Taccia o si contenti di sopprimere quel cibo, ordinando subito, sottovoce, di supplirvi, se possibile, con l'aggiunta di qualcos'altro, uno zabaione, una torta, un salume, ecc. Una padrona di casa non si alza mai da tavola: deve aver dato i suoi ordini prima e rammentarli al servitore, a bassa voce, aver preparati dolci e vini, e farebbe ridere se le toccasse cercare le chiavi della dispensa e tirar fuori le provviste quando gli ospiti siedono già a mensa. Come pei pranzi d'invito, così pei pranzi tra intimi, si arriverà sempre dieci minuti prima dell'ora fissata; si può anticipar anche di mezz'ora ma non più, perchè non sarebbe aggradevole per la padrona di casa, la quale ha sempre molte disposizioni da dare se non possiede cuoco o maggiordomo. A tavola la conversazione può esser animata, ma di un genere speciale, cioè a frasi corte, spezzate, un po' facete:nessuno deve impancarsi a far lunghi racconti i quali, sempre interrotti dalle esigenze dell'occasione, finiscono col costituir un giuoco di spropositi, come questo racconto da me udito: Eravamo sulla costa affamati... - Vuol un po' di pesce? - Nudi... - In verità, basta così! - Assetati... Questo Chianti è squisito, ecc. Alle frutta, lo credereste? Quei naufraghi non erano ancor riusciti a sfamarsi, nè a dissetarsi! Vanno evitate anche le discussioni politiche e letterarie che minaccino di diventar agre ed indigeste e che mettono una tal confusione che il piatto respinto o trattenuto dai peroratori va e viene senza che alcuno si sbrighi. A tavola bisogna, in fatto di dialoghi, ispirarsi all' esempio del Taddeo e della Veneranda di Giusti. Arrivar tardi è insopportabile. Metter gli ospiti nel dubbio di non essere stati intesi; la padrona di casa vede compromessi i suoi trionfi culinari e sprecate le sue fatiche. S'impegnano delle gravi discussioni col marito, se è l'invitante: Ti sei spiegato bene? Hai parlato chiaro? - Chiarissimo. Ho detto martedì! - Martedì? Somiglia a mercoledì: se avessero inteso mercoledì e capitasssero domani?... E si va e si viene dalla cucina, dove il riso diventa lungo come riso cotto alla viennese, ed il tacchino diventa carbone, sino alla finestra, dove c'è in vedetta uno dei ragazzi, a cui si domanda tratto tratto, come la moglie di Barbe-bleue chiedeva alla sorella: - soeur Anne, ne vois-tu rien venir? - Spuntano? ci sono? conchiudendo: Non inviteremo più gente così... Non dico il vocabolo, lo s'indovina. Ecco le norme generali per pranzi di famiglia. Vi sono poi delle norme sul modo di contenersi a tavola e di mangiare, le quali valgono e per se stessi e per ospiti amici e, naturalmente, a mille doppii, per pranzi d'invito. Prima di tutto non si viene a tavola che decentemente vestiti e previo essersi ravviati i capelli e lavate le mani: un uomo eviterà sempre, anche quando fa caldo, d'apparir in manica di camicia; una signora, senza busto, in corpetto da notte; chi facesse poi cose simili fuori di casa... all'albergo, come ho veduto io, si mostrerebbe più digiuno di galateo che uno zulù. E il caldo? Il caldo permetterà sempre una giacchetta di tela od una leggiera bustina, ed un corpetto colorato di foggia un po' elegante non terrà più caldo d'un corpetto da notte. Per colazione la signora sarà pettinata, o se è molto presto (nelle case dove si mangia la prima volta alle otto), avrà una cuffietta. Il tovagliolo non s'appunta al collo: trovatolo nella sua solita forma, non mutato in tricorno, nè in boite à surprise pei panetti, lo si pone sulle ginocchia. Non si comincia a mangiare prima degli altri, come non si dà mai il segnale dell'alzarsi da tavola prima che lo abbia dato la padrona. Si deve servirsi speditamente e senza scegliere, senza toccar tutti i bocconi con la forchetta e senza palpar frutta e pasticcini. In un pranzo di famiglia il piatto verrà posto in mezzo alla tavola: i commensali se lo passeranno: i signori (si mettono sempre, potendo, uomini e donne alternati) i signori verseranno da bere, offriranno il sale ed il pepe alle signore. Raccomando che vi sieno molte bottiglie d'acqua e molte saliere. Non si deve mangiar troppo adagio sì da ritardar il servizio, nè inghiottire come affamati. Raccomando ai signori che hanno barba lunga di non farne un ricettacolo di bricciole, ed a quelli che hanno enormi mustacchi di asciugarli spesso, nulla essendo meno appetitoso che dei mustacchi intrisi di brodo o di crema. Le ossa non si stritolano, non si succhiano. Il pane si rompe, non si taglia: le salse si abbandonano al gatto, nè si fa spugna della midolla di pane: si tien il coltello nella destra, la forchetta nella sinistra, tagliando la carne man mano e non mai sminuzzandola prima come cibo preparato pei polli. - La porzione si prende piccola, in casa privata, perchè se il cibo vi piace sapete di poterne riprendere, se non vi piace evitate così di lasciarlo sul piatto, il che è un'offesa alla padrona di casa. In certi luoghi predomina tuttavia il falso concetto che per mostrare che non si è golosi, bisogna accumulare una catasta sul piatto... e lasciarvela, sciupando il ben di Dio. Ignoro davvero dove si sia pescata sì balzana norma di civiltà. L'ho però veduta a metter in pratica, in casa mia, da due sposini, i quali, dopo aver sequestrate la maggior parte delle cose servite, non le assaggiarono neppure, con affettazione così burlesca che nemmeno il gelato, le torte e le frutta trovarono grazia ai loro occhi. Usciti da casa mia andarono difilato al caffè... dove passando li vidi un'ora dopo mangiare a due palmenti. Era civiltà il loro rifiuto? Era impaccio? Non sapevano come mangiare davanti a gente di soggezione? - Forse: quell'inconveniente tocca spesso a quelli che si abituano, per comodità, a mangiar male. Non si beve a bocca piena: non si mettono pesche, biscotti e zuccaro nel vino: non si tocca il cibo nel piatto comune con la propria forchetta: non si prende una gran porzione, offrendone metà al vicino, ed in genere non si offrono cose che possono dispiacere agli schifiltosi: non si da ad assaggiare roba propria, non si chiede di assaggiare quella di altrui, nè vino, nè bibite. Per quanto possibile si evita di soffiarsi il naso e sputare. Se si è troppo infreddati non si accettano inviti. Le ossa si spolpano col coltello; non si pigliano mai con una mano, men che meno con due, imitando il gesto famigliare delle scimmie. Si mangia con misura per non rimaner intorpiditi come serpenti boa, o non essere costretti, l'uomo a sbottonarsi il gilè, lasciando che ne trabocchi la bedaine, le signore, chiuse nel busto, a soffrir una specie di supplizio del medio evo, diventando violetta e correndo rischio di rimaner basite lì per lì. I ragazzi,che hanno forse meno giudizio ancora degli adulti, non vanno esortati a mangiare: l'ospite renderebbe loro un cattivo servizio e moralmente, facendo eco alla loro gola naturale e, fisicamente, compromettendo il loro stomaco. Non si beverà in modo eccessivo, per evitare..... Qui non occorre dir altro, eh? perchè da Noè in poi gli effetti del vino si conoscono. Le frutta presentano un grave quesito. Non vanno prese in mano che per pelarle, poi si tagliano a fette col coltello e si recano alla bocca colla forchetta: mele, pere, pesche, fichi vanno soggette a quella legge; le noci, in una tavola ben servita, si recano già spezzate; riguardo all'uva, chi segue il sistema igienico di non inghiottirne la buccia (ed è igienico davvero, sapete, care signore!) deve mangiarla... in camera propria. Non c'è che un frutto che mi abbia gravemente preoccupato,senza che potessi sciogliere il quesito. Indovinate: Sono le ciliege. Evidentemente non si può, come nel caso delle pesche, estirparne il nocciuolo con la punta del coltello; non si può nemmeno sputarlo nella mano, come fanno taluni. Vi sono certe forme di pulizia che riescono più disgustose della stessa mancanza di mondezza. E dunque che si farà?... Davvero non lo so e non ho veduto questo caso citato in nessuno dei dieci o dodici galatei che esistono a mia conoscenza. Non vedo modo d'uscire dal perfido dilemma: sputar i nocciuoli... o inghiottirli, un dilemma che somiglia un pochino a quello che Bernabò poneva sul Ponte del Naviglio ai due frati latori della scomunica: O mangiare o bere... Care lettrici, studiatelo voi il quesito, e se scoprite altra soluzione - mi raccomando - comunicatemela. Portar in tavola quei certi bicchieri a sottocoppa in cui si risciacquava la bocca anni fa, è usanza tanto vieta che è il caso di ridere di chi la mette in pratica piuttosto che degli ingenui, i quali, vedendo quell'acqua fumante sparsa di buccie dorate di limone...... la recano alle labbra. Si costuma però in certe case recar delle coppe di cristallo piene d'acqua profumata dove il commensale intinge le dita. Intascar frutta o dolci... pei bimbi che sono a casa, è una sconvenienza. Però l'anfitrione può senza ledere la creanza, quando si tratti di parenti od intimi, dare all'ospite qualche confetto in belle carte colorate o dorate da portare alla sua famigliuola. Nei conviti di nozze quei dolci si danno sempre, mettendoli in appositi e ricchi sacchetti. È formola vieta il chieder dopo pranzo al vicino se ha pranzato bene. Più vieto ancora il congratularsi seco stessi del buon pranzo con ingenue esclamazioni: - Ah! che scorpacciata! Come ho mangiato bene! Son sazio fino agli occhi! - senza contar le terribili espressioni: - Grazie, sono stufo; son obeso, non ne posso più... Come qualificare poi le persone che, sia da un ospite, sia all'albergo, s'incoraggiano a vicenda a mangiare più del bisogno con le frasi: - Non costa nulla, - oppure: - Dal momento che si paga a pasto!... - Esistono simili persone? direte voi. Eh! altro, care signore! esistono. E sono spesso persone facoltose, gente che se ne tiene e mangia tartufi e guarda d'alto in basso l'uomo cortese... che per mediocre fortuna è costretto a mangiar male!

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