Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il primo Congresso Cattolico Trentino

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Nessuno s’accorse dopo l’entrata del socialismo, che negli studenti — le eccezioni non contano — siano penetrate nuove idee, abbiano fatto scuola nuovi ideali, e soprattutto che questi ideali siano stati messi a programma d’una società o scritti su di una nuova bandiera. Tutto si ridusse ad un po’ di radicalismo dalle tinte più vivaci; in questo o quel congresso si udirono delle frasi più forti e più arrischiate. Che era stato? I socialisti avevano cambiato al vecchio fonografo liberale il cilindro, ve n’avevano sostituito uno nuovo e si sonava allegramente; erano le medesime frasi, gli stessi motivi, ma più ben intonati, più forti secondo le nuove invenzioni. Di queste frasi parecchie suonavano accusa contro di noi; le più parevano fatte apposta per crearci attorno pregiudizi ancor maggiori e così s’aggiunse al passato il presente. Il nostro programma, le nostre idee giungono quasi sempre indirettamente agli orecchi degli studenti che escono di ginnasio, quasi mai a quelli dei genitori. Gioverà oggi che parliamo in questa Trento, centro intellettuale — almeno per gli studenti — ripetere quello che siamo e quello che vogliamo. L’Associazione universitaria ha scritto sulla propria bandiera: Pro Fide, Scientia et Patria. Permettete, o signori, che oggi sia assolutamente pratico. Lascerò gli astrattismi ed esprimerò i nostri ideali più concretamente: Cattolici italiani, democratici! Ruskin disse una volta: «Noi adoperiamo uomini, che considerino come loro prima conquista saper governare sé stessi, come seconda il saper giovare alla Patria ed alla società». Con la nostra formula noi vogliamo quello che desiderava Ruskin. Cattolici! Siamo al punto fatale della divisione. Non risusciterò, signori, antiche polemiche, né ripiglierò i classici argomenti che svolsero i trentini in quei giorni, in cui si dovette rompere un infausto letargo e riscuotere il paese a quella vita, di cui oggi appunto ci rallegriamo. Ma è strano che di tutti quei rumori non sia arrivata nei circoli universitari tanta eco, da giustificare e motivare il nome che abbiamo dato alle nostre società. Giovani, negli anni nei quali con tutta l’anima si cerca ovunque il vero e l’ideale, venuti alle università, che furono per tutto il secolo XIX le officine di nuovi rivolgimenti intellettuali e sociali ostili al cattolicismo, avrebbero dovuto accorgersi che, alle soglie dell’aula magna, vengono a toccarsi cogli estremi confini due mondi avversi: mondi di idee e di convinzioni, ma che fuori nel turbine sociale corrispondono a due grandi soluzioni pratiche e radicali della vita presente ed avvenire. Questo contrasto, questa lotta suprema essi avrebbero dovuto affrontare e coraggiosamente superare in sé stessi e consacrare gli entusiasmi e le forze giovani all’una causa o all’altra. Si preferirono invece — pochi eccettuati — alle soluzioni radicali le soluzioni intermedie. Le idee «moderne» fecero un vile compromesso con quel po’ di cattolicismo che doveva restare per amor delle tradizioni familiari, ridotto naturalmente ad una somma più o meno grande di messe basse per non disgustare le ferie alla mamma. E quel tanto di cattolicismo che non si adattava al compromesso venne chiamato clericalismo, e a noi, che decisamente avevamo preso le parti di uno dei combattenti e ci eravamo dichiarati per una soluzione radicale, si gridò: fanatici, e turbatori della pace. Signori, anche Cristo un giorno ha detto: Non vengo a portar pace, ma spada. Ma regnava una pace in cui il bene era confuso col male, col vantaggio del peggio. Il Trentino e un paese, negli abitanti dei suoi monti cattolico, nelle sue classi colte, nella borghesia, in genere, pagano. Mentre la fede dei lavoratori di questa dura terra trentina restò salda malgrado la marea, che ascendeva quasi difesa da baluardi naturali, non ne rimasero illese le nostre città, i nostri borghi. Lo spirito invadente del paganesimo, qualunque nome portasse penetrò in questa società colta, ove coltura divenne più o meno sinonimo di scetticismo. O chiamate voi forse religione cattolica quelle quattro usanze rimaste per forza d’inerzia, come far battezzare i bambini, assistere a qualche funzione di parata e far posare la croce sul feretro, mentre la vita privata e pubblica è informata a principii pagani o a vieti compromessi, mentre i libri,la stampa quotidiana, l’arte, il teatro, le istituzioni sono inspirati ad ideali che sono fuori o contro il cristianesimo? No, o signori, il cattolicismo è qualche cosa di più integrale, non estraneo a niente di bene, avverso a qualunque male, una regola fissa che deve seguire l’uomo dalla culla alla bara, l’anima e il midollo di tutte le cose. I nostri contadini comprendono che fra loro e i signori c’é una grande diversità di convinzioni, benché non sappiano misurare la profondità dell‘abisso; e quando muovono alla chiesa e vedono il dottore o l'avvocato seduti alla porta del pizzicagnolo o dell’oste del paese osservarli con un cert’atto di superiorità e disprezzo, brontolano qualcosa che esprime il voto di un popolo intero più che non avvenga in cento comizi. E se domandate loro dell'origine di questi mali, vi rispondono: Ma, sono stati all’università! Conosco un buon uomo intelligente che aveva posto le più belle speranze su di un nipote che in ginnasio non aveva mai fatto parlar male di sé. A suo tempo, espresse allo zio il proponimento di andare all’università, e lo zio, pur continuandogli la sua benevolenza, incominciò a dargli del lei. E al nipote meravigliato motivava la mancata confidenza così: Mio caro, lei ora va all’università, quando ritornerà non penserà più come me ed è meglio ci avvezziamo ora a trattarci con deferenza. Nessuno vorrà negare che i nostri popolani nell’indicare la origine del male, non colpiscano nel segno. Sì, dall’università ci venne il paganesimo intellettuale, se non sempre la crisi morale. Ebbene, o signori, volevate voi che giovani convinti della loro fede ed entusiasti della sacra poesia della religione paterna, saliti là dove più distintamente s’ode il rumore della battaglia suprema, se ne stessero indifferenti osservatori? No, noi abbiamo ascoltato la voce del dovere, ci siamo stretti in un fascio, abbiamo spiegato la nostra bandiera e abbiamo offerto alla causa cattolica il nostro tributo di forze giovanili. Noi, ricordandoci delle parole di Montalembert, non abbiamo nemmeno supposto di non accettare le condizioni di un’epoca militante. Non bastava conservare il cristianesimo in sé stessi, conveniva combattere con tutto il grosso dell’esercito cattolico per riconquistare alla fede i campi perduti. Contribuire ora e più tardi al ritorno delle classi colte trentine all’antica fede della città del Concilio, e distruggere così l’abisso fatale aperto fra il popolo e la colta borghesia, ricondurre quell’armonia necessaria ad un popolo tendente ad alti destini, ecco quello a cui noi tendiamo e che esprimiamo mettendo a capo del nostro programma la parola cattolici. E a questo scopo ci soccorre la fede che solleva i cuori e la scienza che arma la mente. A chi nega la conciliazione dell‘una con l'altra, risponda Pasteur. Disse una volta ad un cotale che gli domandava se fra i risultati delle sue esperienze e la Bibbia avesse mai trovato contraddizione: Signore, io passai la vita nello studio, e giunto alla fine credo quanto crede un povero contadino della Bretagna. Se vivessi ancora penso che le mie esperienze mi condurrebbero a quella fede che anima la più povera vecchiarella brettone! Signore! signori! I polacchi dicono che per loro polonismo e cattolicismo è la medesima cosa. Polacco significa già cattolico. Parlando di noi trentini potremo dire a più ragione: Cattolici significa già italiani. E avremo una parola di meno nella formula. Ma viviamo, o amici, in un paese di confine, ove valse fin'ora per buon italiano chi giurò spesso d’esserlo, ove una borghesia di petrefatti ricantò nei caffè e nelle accademie ideali vecchi, tramontati già, se non mai sorti, per le masse popolari, belli se commuovono un popolo intero, quando seguirli venga stimato virtù; spogli di splendore, abbrutiti quando non facciano conto della realtà delle cose e dell’anima popolare e vengano rappresentati senza uomini o partiti come passione senza il riconoscimento delle leggi morali e dell‘ordine civile! Questi uomini e questi partiti o giovani, che ne ereditarono il fonografo, ripetono ancora oggi in buona o mala fede una terribile accusa contro i cattolici: mancar essi di patriottismo ed amore alla propria nazione. Ricorderò sempre, o signori, con sdegno la risposta che a me e ad un mio collega diede uno studente radicale in Vienna, quando eravamo accorsi come tutti ad interessarci d’una questione comune: Voi cattolici — lo sapete — non vi teniamo come italiani. Ah! Viva Dio, avremo dovuto rispondergli, i cattolici sono italiani da secoli, da quando sorse la nazione intorno alla cattedra di San Pietro; voi siete — se lo siete — italiani da dieci-dodici lustri. I cattolici hanno dietro quasi due periodi storici che furono guelfi, voi, forse, il ghibellinismo di cinquanta anni. Ma ci parve meglio ridergli in faccia. E così dovrei far oggi e passar oltre e dire: Guardate che cosa hanno fatto i cattolici trentini per la difesa della loro lingua e dei loro costumi, e vi basti. Se oggi sviluppo alquanto il nostro pensiero, non è per rispondere a certi giovanotti che di questi giorni proprio vanno, a rovina della patria e a vantaggio di un partito, ripetendo antiche menzogne, né per ottenere la patente di buon italiano da certi signorini che poi dichiarerebbero, magari dal podio del teatro sociale, di non crederci; ma io penso alle madri ed alle famiglie, ove la calunnia poté trovare credenza. A loro gioverà gridare di nuovo: No, questi giovani che si propongono d’essere anzitutto cattolici, non dimenticano socialmente di essere anche buoni italiani. Difendendo la fede e i costumi dei padri, compiono il primo dovere che incombe ad ogni italiano che non abbia dimenticato Dante, Raffaello, Michelangelo, Manzoni per Proudhon, D’Annunzio o Zola, né san Tommaso per Kant o Nietzsche, né il nostro apostolo latino san Vigilio per il teutonico Marx. La differenza capitale fra noi e gli altri è questa: gli altri coscientemente o no seguono un principio che si ripresenta sotto varie forme dall’umanesimo e dalla rinascenza in poi, per la quale una volta agli uomini fu Dio lo Stato, poi l‘Umanità, ed ora è la Nazione. E come Comte e Feuerbach parlavano di una religione dell’umanità, così ora si parla d’una religione della patria, del senso della nazione, sull’altar della quale tutti i commemoratori delle glorie altrui ripetono doversi sacrificar tutto e idee e convinzioni. Questo concetto trapelò anche da noi in molte occasioni e quando si dice che davanti al monumento a Dante devono sparire tutte le misere divisioni di partito, che cosa si vuole insegnare altro alla gioventù se non altro che la Nazione va innanzi tutto, che essa solo può pretendere una religione sociale, mentre il resto è cosa privata? Signori, non è vero! Noi ci inchiniamo solo innanzi a un Vero supremo indipendente e immutato dal tempo e dalle idee umane e al servizio di questo noi coordiniamo e famiglia e patria e nazione. Prima cattolici e poi italiani, e italiani solo fino là dove finisce il cattolicismo. Pratica: non furono i cattolici che ordinarono i fatti di Wreschen, ma furono coloro che senz’altro ritegno di giustizia e moralità gridano: la nazione soprattutto. No, Iddio, il Vero innanzi tutto! Nella pratica della vita questo principio non ci ha impedito di accorrere ogni qualvolta lo richiedesse l’onore di tutti gli italiani: e noi giovani anche per l’avvenire non perderemo nella nostra propaganda democratica cristiana; rammenteremo sempre che vogliamo creare non soltanto buoni cattolici, ma anche buoni italiani, amanti della lingua loro e dei loro costumi, fieri di appartenere a quella Nazione che fu nella storia la prediletta della Provvidenza. Un’altra parte del nostro programma è espresso nella parola «democratici». Signore e signori! Se le esigenze del Congresso e la ristrettezza del tempo lo permettessero, io vorrei parlare a lungo su questo argomento. E non perderei tempo! A quei signorini universitari che se ne stanno anche durante gli anni dello slancio e dell’altruismo epicureamente lontani dal popolo e s’avvezzano per tempo al caffè donde c’è venuta una borghesia parassitaria, vorrei ripetere oggi questa parola. Anche in questo riguardo il periodo universitario e fatale: dall’università si esce democratici o aristocratici già fatti. O che da giovani ci si avvezza a ridurre il mondo ai giornali che si leggono e ai membri della propria classe, e allora il giovane, divenuto dottore, avvocato, non discenderà fra le grandi masse popolari come fratello ai fratelli, ma come rappresentante di quella borghesia che si attirò nei tempi nostri tanti odi e maledizioni. O che si vede già da giovani oltre la barriera borghese venire una moltitudine di gente che vuole passare e si comprende la giustezza della tendenza, e allora si stende al di là la mano; vi fate a loro compagno e considerate tutta la vita come una faticosa erta su cui dovete salire voi e il popolo ad una meta comune. Non è mancanza di modestia, o signori, se noi, studenti cattolici, ci mettiamo senz’altro fra i democratici. Io credo che nessuna associazione universitaria ha tanti membri che si siano, come molti dei nostri, buttati all’istruzione popolare ed abbiano affrontato con coraggio, quando i loro studi lo permisero, il problema di creare nel popolo trentino democratici cristiani. Ma questo spirito democratico che ci anima, non è, o signori, una concessione alle tendenze di oggidì, ma un frutto di quel cristianesimo compreso socialmente, praticato dentro e fuori dell’uomo, in tutta la vita pubblica. Signore! signori! Con questo programma che abbraccia tutta la vita, abbiamo alzato l’anno scorso, all’autora del secolo XX la nostra bandiera. Questa bandiera l’abbiamo portata in mezzo alla gioventù studiosa, chiamando a raccolta e continuando a combattere. Noi vogliamo creare caratteri, vogliamo chiarezza d’idee. La nostra società è sorta come un’accusa contro i compromessi morali e religiosi. Noi rompiamo questa massa incolore, fortemente, ma lealmente! Numquam incerti, semper aperti! Non tema qualche buono che con ciò creiamo dissidi incancellabili. Vogliamo la guerra, ma per la pace. Quando gli studenti si troveranno di fronte con ideali chiari, con propositi precisi, sarà più facile intendersi. Ma fino a che regna la nebbia e il mare batte furioso, noi — la cavalleria leggera dell’esercito cattolico — stiamo sull’attenti, e al primo rumore che precorre l’assalto, gridiamo rivolti a tutti: Alle dighe; e vi ci lanciamo per i primi!

Giornalismo ed educazione nei seminari

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Sturzo, Luigi 2 occorrenze
  • 1902
  • Scritti inediti, vol. i. 1890-1924, a cura di Francesco Piva, pref. di Gabriele De Rosa, Roma, Cinque Lune-Ist. Luigi Sturzo, 1974, pp. 217-233.
  • Politica
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Prescindendo dalle disposizioni che i superiori dei singoli seminari d'Italia abbiano potuto dare in proposito, (il che non entra nella discussione) proverò di esaminare il problema nei suoi rapporti con la educazione dei chierici obiettivamente e, spero, con quel delicato discernimento che occorre a trattare argomenti, la cui soluzione pratica non dipende da noi.

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O forse si crede che lo studio sia solamente lo sgobbare sui libri, senza. che le altre facoltà abbiano il loro regolare sviluppo; nella contemperanza delle quali si forma l'equilibrio mentale e volitivo dell'uomo?

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