Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIOR

Risultati per: abbiamo

Numero di risultati: 17 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Rivoluzione e ricostruzione

398866
Sturzo, Luigi 11 occorrenze
  • 1922
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 264-308.
  • Politica
  • UNIOR
  • ws
  • Scarica XML

Non possiamo a due mesi di distanza e nel fermento vivace della coscienza pubblica, dare giudizi e fare per giunta delle profezie; però abbiamo già in mano una materia che possiamo valutare e che ci dà elementi notevoli atti a caratterizzare i fatti. Rivoluzionaria ha chiamato il nuovo capo del governo l'azione che ha portato i fascisti al potere; ma non basta una definizione, sia pure esatta nelle intenzioni degli uomini, per essere corrispondente alla realtà. Già da parecchio si è parlato di rivoluzione in Italia; i socialisti due anni fa credevano alla loro rivoluzione, ignorando che non sono mai le masse che fanno le rivoluzioni e soprattutto a loro profitto; ma sono le classi dominanti che si servono anche delle masse, ove occorra, per fare le rivoluzioni. Queste sono figlie di idee e di sentimenti prima che di interessi; e senza le idee ed i sentimenti, per i soli interessi, non si fanno le rivoluzioni. Nel caso presente, se le idee sono in parte mancate, e non se ne ha tuttora una conoscenza chiara e quindi volitiva, i sentimenti invece hanno avuto larga presa sulla pubblica opinione, hanno creato una coscienza di dominio nei dirigenti e nei proseliti, ed hanno vivamente secondato lo sforzo di un partito giovane, che nell'incertezza generale ha voluto rompere gli indugi, forzare le situazioni e conquistare il potere alla bersagliera.

Pagina 268

E non è stato bene compreso dalla coscienza politica del paese che i problemi economici e finanziari non possono essere valutati e risoluti, come per sé stanti, senza che insieme vengano affrontati i problemi dell'ordine e della costituzione e senza arrivare alla ragione fondamentale della nostra organizzazione pubblica.

Pagina 287

Però non basta distruggere, se non si hanno i criteri della distinzione tra funzioni statali e funzioni locali, tra ragione politica e amministrazione, tra economia pubblica ed economia privata. E qui non possiamo tacere la preoccupazione che abbiamo per una confusione che diversi fanno anche oggi fra stato e nazione, diventando statolatri, purché così credono di difendere la nazione; la quale vive di tutto il complesso dei suoi organi, nella distinzione delle funzioni e nella gerarchia dei fini, entro lo stato, che ha in sé i diritti di sovranità e le ragioni supreme della vita nazionale. Guai se la riforma amministrativa rimane come un rimaneggiamento di organi statali, e ripete l'errore di altri accentramenti e di altra burocratizzazione: le economie saranno dubbie, ma la riforma sarà assolutamente mancata.

Pagina 289

Noi abbiamo fiducia nel lavoratore italiano, nella sua forza di organizzazione, di produzione, di risparmio e di espansione; noi abbiamo fiducia nel lavoratore italiano, che nei giorni della guerra e del pericolo ha fatto baluardo con il proprio petto contro la pressione dell'esercito nemico. La deviazione bolscevizzante non ha toccato, in gran parte della massa operaia, né i sentimenti di moralità domestica e religiosa, né quelli di nazionalità, né quelli di amore e sacrificio al lavoro. Il nostro lavoratore ha l'animo plasmabile a sane idealità, e deve essere elevato, più che nelle sue condizioni economiche, nella sua funzione civile. Per questo noi invochiamo la fine della seminagione dell'odio e della vendetta, e auspichiamo una politica sociale equilibrata e serena.

Pagina 293

Ieri avevamo la preoccupazione di un governo tardigrado e insensibile a questi problemi; oggi abbiamo l'impressione di persone impreparate che hanno fretta; in Italia sono pochi i tecnici, al di fuori delle rappresentanze degli interessi privati, e oggi molti di essi han perduto autorità e credito. Lo sforzo sarà quindi più arduo e più meritorio di fronte al paese, che aspetta di sentirsi salvato dalla crisi che preme da ogni parte.

Pagina 294

Il partito popolare italiano già da più di un anno è andato insistendo su questo ordine di idee con memoriali e con affermazioni; fu accusato di germanofilia, ed anche nostri amici francesi ci ebbero in sospetto, quando abbiamo sostenuto una politica di risanamento economico dell'Europa, i cui riflessi si sentono assai più da noi, che siamo i più poveri dell'Intesa. Se l'Italia potesse arrivare al compenso fra crediti tedeschi e debiti anglo-americani, pur nulla prendendo di riparazioni, avrebbe un tale sollievo e creerebbe una tale fiducia all'estero, da porre una prima salda base alla sua rinascita economica.

Pagina 294

Non abbiamo vantaggio alcuno ad acutizzare i nostri rapporti con la Jugoslavia, né utilità a fare una politica equivoca con la Piccola Intesa; sì bene ad influire per la formazione di una economia degli stati successori, che possa ricreare il nostro mercato con loro in una larga zona doganale. A questa visione economica devonsi coordinare le varie questioni politiche, che potranno oggi avere la soluzione intermedia dei trattati già firmati, ma si avvantaggeranno di uno spirito di cointeresse che farà superare anche antipatie di razze.

Pagina 295

Un altro punto della nostra politica è il Levante, ove bisogna avere il coraggio di rinunziare a pretese economico-territoriali, quali il « tripartito » che desta antipatie, e che in realtà non potrà giovarci, perché non abbiamo capitale da esportare; invece dobbiamo riprendere i nostri traffici con il Levante, ed aumentare la nostra influenza culturale e religiosa; dobbiamo sostenere le nostre colonie con politica ferma perché insieme si ottenga il rispetto, necessario fra i popoli levantini, che disprezzano il debole e l'infido, ma stimano il forte e sicuro; il che è possibile, se, come per l'Italia, non han da temere né mandati (contro i quali bisogna riprendere la libertà di indirizzo politico) né pretese territoriali in Asia, né soverchiamenti politici nella Turchia europea.

Pagina 295

Tracciate così le linee della ricostruzione amministrativa, finanziaria, economica e politica dell'Italia, è superfluo riaffermare quel che abbiamo discusso, cioè che occorrono un governo e un istituto parlamentare che abbiano la fiducia del paese; però questa larga fiducia non può essere effettiva, né la ricostruzione basata su fondamento saldo e reale, senza la unificazione e la vivificazione della coscienza nazionale nei suoi valori morali e nella efficienza delle forze spirituali.

Pagina 297

Nessuno può negare che noi abbiamo sempre — e oggi più che mai — piegato le esigenze di organizzazione alle superiori esigenze della vita nazionale; e chi parla diversamente ha il torto di non conoscerci o di combatterci per partito preso.

Pagina 305

Se noi possiamo concorrere efficacemente a superare lo stadio rivoluzionario e di disordine, a far sentire la forza delle più alte e superiori direttive morali e nazionali, a far ritornare il paese nella legalità e nell'esercizio incontrastato delle libertà costituzionali, anche quelli che dubitano, per amore o per pregiudizio, della nostra linea di condotta, troveranno che la nostra funzione politica l'abbiamo compiuta. Questo è possibile quando anche noi, nei più difficili momenti, abbiamo fede nei destini della patria nostra. Al di sopra di ogni bene terreno e di ogni affetto umano, noi amiamo la patria nostra e la vogliamo risorta. Per questo abbiamo la forza del lavoro e l'impeto della lotta; per questo pieghiamo alla disciplina degli eventi; per questo cooperiamo con ogni zelo e sacrificio al bene comune; per questo sentiamo il dovere, per vocazione e per convinzione, di essere noi, popolari,al nostro posto per il bene d'Italia.

Pagina 307

Crisi e rinnovamento dello Stato

401949
Sturzo, Luigi 6 occorrenze
  • 1922
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 232-263.
  • Politica
  • UNIOR
  • ws
  • Scarica XML

Merita la questione un attento esame, tanto più che oggi, e credo ancora per un pezzo, queste che per intenderci chiamiamo classi dirigenti o classi borghesi, avranno in parte o in tutto la responsabilità direttiva e fattiva della politica e della economia nazionale. Il grande pensiero animatore, l'istinto del rinnovamento, anche a mezzo delle rivoluzioni, lo spirito centrale della forza collettiva veniva dalle università, dalla cultura, dallo studio. Attraverso il pensiero tradizionale si elaborava la grande riforma, la filosofia dava i forti scorci della realtà e ne preparava gli eventi. Oggi le nostre università sono mute per la maggior parte degli studiosi; la tribuna parlamentare sciatta, piccola, pettegola e boriosa ha coperto dei suoi clamori l'esile tenue voce dello studioso; il soffio animatore dei grandi rivolgimenti non c'è o non ha trovato la sua via nelle espressioni letterarie e artistiche, nelle battaglie giornalistiche e politiche, perché manca la elaborazione del pensiero e la forza di una convinzione che a questo pensiero si appoggi come fulcro, ragione, méta di una vera e profonda attività di vita. E mentre il pensiero liberale ebbe dalla fine del secolo decimottavo ad oggi economisti, pensatori, poeti e artisti che crearono la base spirituale e l'ambiente naturale agli uomini politici; nella evoluzione della attività così detta democratica e nella preparazione del pensiero socialista e anche di quello cristiano, sociale che rappresentano le tre forze politiche dell'oggi, noi in Italia abbiamo ben poco come studio e letteratura, che non sia semplice negazione o critica, ma che sia invece elaborazione ideale e pratica, elemento di forza, costruzione sociale, spinta di grandi movimenti nazionali e internazionali, che poggino sopra teorie e sistemi che penetrino nell'animo dei popoli.

Pagina 235

Le idee di civiltà e di umanità, che ispirarono la campagna per la guerra e che furono elevate da Wilson a dogmi per la ricostruzione della pace, furono infrante dalla realtà degli egoismi egemonici e soverchianti, che diedero la base ai trattati; e la nostra lotta irredentista per le provincie italiane sotto l'impero austriaco, ebbe le delusioni di Fiume, della costa dalmata e della sicurezza dell'Adriatico e le asprezze della politica slava. E se la guerra unì gli spiriti della gran maggioranza degli italiani, non fu tanto per i motivi ideali e politici, quanto per la passione della vita e della morte, della vittoria e della sconfitta, perché quando tace la speculazione è vivo il cuore per le sorti della patria. Allora neppure i neutralisti convinti, neppure i socialisti ostili, credettero di poter prendere una posizione pratica ed efficace contro la guerra, la subirono, e maturarono la ripresa delle loro posizioni a guerra finita. Non possiamo oggi accusare gli uomini della democrazia e del liberalismo delle responsabilità politiche della guerra in Italia, non abbiamo ancora tutti gli elementi per una rielaborazione storica e morale; nessuno volle fare un torto al suo paese, però abbiamo elementi per poter dire che nessuno o quasi in Italia, del partito o dei partiti dirigenti e responsabili, ebbe una visione della realtà durante il periodo della neutralità; certo nessuno valutò la posizione politica, economica e militare dell'Italia, per prepararne sufficientemente gli avvenimenti; il patto di Londra fu la risultante del passato, non fu un patto di antiveggenza per l'avvenire. Non faccio una colpa a nessuno se gli avvenimenti giganteschi sorpresero gli uomini, tutti gli uomini e non solo gl'italiani. Solo rilevo la parte diretta pensata e voluta dai nostri dirigenti, cioè l'indirizzo politico di prima e di durante la guerra, che culminò nella politica adriatica e che determinò la crisi di tutta la nostra politica della ricostruzione e della pace. Alcuni credono colpevoli Salandra e Sonnino prima e Orlando dopo; e certo questi sono gli esponenti e i responsabili; ma invano cerco negli atti parlamentari dal 1914 al 1919 uno solo che avesse portato alla tribuna parlamentare un pensiero, una linea politica, una concezione organica da poter contrapporre al governo del tempo e da poter guidare il paese smarrito e disorientato. È vero: Giolitti il neutralista fu messo a tacere, e forse il suo silenzio fu più meritevole della sua parola; ma quando parlò, riportato per consenso generale al potere, molto era compromesso e molto egli compromise: fu più un liquidatore che un animatore.

Pagina 241

Per questo se oggi l'enunciazione nostra ad alcuni sembra superficiale ed esteriore, se altri crede che non abbiamo un vero riferimento economico, tutto ciò avviene perché il terreno dei contrasti è spostato nell'attrito dei partiti e nel prevalere delle fazioni. Ma solo che si consideri la imponenza del fenomeno sindacale, lo sconvolgimento portato dalla rappresentanza proporzionale, la profondità dei contrasti fra economia libera e burocrazia statale e l'assalto immane, colossale, di tutti gli appetiti burocratici o travettisti contro la finanza statale, si vedrà che le linee costruttive del partito popolare italiano sono semplici, ma toccano le radici del male e tendono ad una profonda trasformazione istituzionale.

Pagina 250

Questo metodo di realizzazioni lente, sul terreno costituzionale (che ci ha fatto essere contrari nel 1919 alla propaganda per la costituente, che i socialisti volevano e che alcuni democratici ritenevano fatale); questa fiducia nel lavoro di penetrazione e di trasformazione (che ci fa sicuri della nostra concezione e del nostro metodo) non sembra a molti rispondente e proporzionata al programma di lotta contro lo stato accentratore e alla visione che noi abbiamo della crisi e della paralisi statale. O la visione è inesatta, essi dicono, e i termini sono ingigantiti; ovvero occorre il metodo chirurgico della rivoluzione.

Pagina 261

Non abbiamo mai confusa la religione con nessuno istituto civile, politico ed economico; né abbiamo attribuito alla chiesa, come organismo cattolico, una ristretta partecipazione allo svolgersi e mutare degli istituti politici e al divenire dei partiti; ma non possiamo né dobbiamo sfuggire al problema etico della vita, alle sue ragioni sociali, alla sua forza morale. E questo problema è posto in tutte le nazioni civili, come un elemento e una conquista della civiltà, che dopo il paganesimo classico, è per noi civiltà cristiana. E neppure la rivoluzione francese e il laicismo liberale, anche nelle loro transitorie aberrazioni o nelle lotte sul terreno politico dell'influenza civile della chiesa, poterono sopprimerla o variarla; come non potrebbe neppure il socialismo (se domani trionfasse, non dico nel suo trasformismo collaborazionista, ma nel suo primitivo aspetto materialista, edonista e dittatoriale), sopprimere l'impronta, la forza della civiltà cristiana, della sua etica, dei suoi istituti e della sua espansione.

Pagina 262

E noi abbiamo la maggiore considerazione, anche politica, dei valori morali, che debbono essere diretti a dare anche nella vita pubblica una forza di carattere che oggi invano si cerca. È questo un lato trascurato dagli altri partiti legati ad una preponderante preoccupazione materialistica, ma è invece il mezzo precipuo, più profondo del risorgimento del nostro popolo, che ha ancora le riserve morali immense della famiglia e della religione come la forza di espansione e di vita nel lavoro e nel risparmio.

Pagina 263

Cerca

Modifica ricerca