Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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L'angelo in famiglia

182985
Albini Crosta Maddalena 42 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Perchè pel cattolico, ed anche pel non cattolico, mi pare, è sempre meglio dimesticarsi coll'idea della morte (che alla fine per noi non è altro se non la liberazione da questo corpo di peccato), affinchè non venga improvvisa ed imprevista la cruda a colpirci, senza che noi abbiamo pensato a premunirci con opere buone. Il pensare alla morte non abbrevia neanche d'un'ora la nostra vita; soltanto c'insegna a vivere cristianamente ed a morire senza rimorsi. Tu ben presto dovrai allontanarti da quelle care mura che ti hanno accolta bambina; quelle mura, se avessero la parola, direbbero chi sa quanti de' tuoi infantili capriccetti, quante disobbedienze, quante cattiveriucce, che se non fossero state a tempo corrette e punite, sarebbero divenute il principio di una brutta catena di superbia e di peccati. Tu imponi silenzio a quelle mura; ti vergogni che siano rivelate quelle brutte tendenze le quali tentavano farti diventare cattiva, molto cattiva, più cattiva di quel che sei... Non ti avvilire no; ringrazia piuttosto il Signore d'averti dato superiori saggi ed intelligenti i quali hanno saputo modificare le tue inclinazioni, piegarle a bene, e si sono sforzati di cavare dalla pianticella del tuo cuore i frutti migliori. Oh! sì, ringrazialo assai assai il Signore di tutto il bene che hai, poichè tutto ti viene da Lui, tutto; l'intelligenza, gli affetti, la facoltà di sentire il bene e di farlo, tutto hai da Dio e da Dio solo. Le mura del tuo collegio però se parlassero, direbbero fors'anche di molte belle tendenze del tuo cuore da te viziate, sviate, forse anche guaste... Ma no: io non ti voglio contristare con reminiscenze dolorose, poichè alfine tu sei ancor molto giovane, tu puoi, tu devi rettificar tutto. Che dico io? tu devi anzi incominciare adesso la tua vita. Sì; oggi, o almeno presto, tu dirai addio al collegio, ed in quel giorno tu potrai, dovrai incominciare a vivere davvero, il che vale lo stesso quanto incominciare a far del bene. Prepara, disponi il tuo cuore, fa tesoro degli avvertimenti sperimentati e saggi di coloro che t'hanno educata, e non temere; entra nello stato a te segnato dalla Provvidenza, e fidente non nelle tue forze, ma in Dio solo, cammina animosa nella via del bene e della virtù. L'addio al collegio ti lacera il cuore, ed insieme, non lo sai negare, ti consola. Sì lo capisco; è doloroso il distaccarsi da quel luogo, da quelle persone e persino da quelle consuetudini colle quali abbiamo vissuto parecchi anni; pure quanto è consolante il pensiero di tornare alle domestiche pareti, fra i propri cari! Il dolore e la gioia! Oh! tu li troverai soventi volte molto vicini la gioia e il dolore; ma sempre, o quasi sempre il dolore vuole il primato. Ma, per un cristiano, il dolore è appoggiato alla Croce, e la Croce vuol dire speranza, vuol dire amore, vuol dire infine gioja, gioja purissima, gioja celeste, gioja eterna! Quando il dolore ti colpisce, cerca sempre di appoggiarti alla Croce, e di pensare a quello che essa ti promette; il Paradiso. Tu lasci il tuo collegio, ma del collegio porti teco una memoria dolce e grave insieme, che ti allontana dal male, e ti eccita al bene. Conserva gelosamente nel tuo cuore i savi e santi ammaestramenti che ivi hai ricevuto, nè li dimenticare giammai. Conserva sempre grata memoria e riconoscenza grandissima ai tuoi superiori, a coloro che hanno dimenticato sè stessi pel tuo bene, e con un'abnegazione tutta cristiana hanno sagrificato i loro agi, la loro salute, il loro sonno, e perfino, ciò che è più difficile e doloroso, la loro stessa volontà per te e pel tuo meglio. Molti e molte, dopo alcuni anni che sono usciti di collegio, si permettono di dimenticare i loro maestri. Poveretti! se la carità del Cristo non c'insegnasse a compatire la loro ignoranza, bisognerebbe dir loro: Ingrati, mille volte ingrati! Ma voi, o giovinette mie care, voi avete un cuore ben fatto; se fosse altrimenti, già avreste buttato in un canto questo libro, e non stareste volontieri con me... Dunque voi, non ora soltanto, ma sempre ed in qualunque età e condizione possiate trovarvi, non vi vergognerete mai e poi mai di dare testimonianza d'affetto e di riconoscenza 2 ai vostri educatori. Forse allorchè voi sarete già innanzi nella carriera della vita, vi imbatterete con un vostro maestro, con una vostra istitutrice che, trafitto il cuore da gravi dolori e fors'anche reso impotente per età o per malattia a procurarsi il bisognevole, si rivolgerà a voi per avere appoggio... Oh! tu, cara sorella mia, tu non tollerare in quel giorno che quella fronte che stava alta davanti a te bambina, si pieghi ora; che quella voce usa ad alzarsi per correggere i tuoi falli, s'abbassi adesso e si faccia tremola davanti a te!... No, io lo conosco, io lo indovino il tuo cuore: tu, quantunque forse dama nobile e ricca, non isdegnerai abbracciare teneramente la tua antica maestra, baciare la mano del tuo professore, e ripetere ad entrambi le proteste che oggi al tuo uscir di collegio fai con tanto cuore; proteste di riconoscenza, di amore. Prima di lasciare il collegio, pensa alla cara Madonna, a quella santa verginella che passati nel tempio gli anni della sua fanciullezza, ne usciva con pieno l'animo di santi affetti, ricca la mente di utili e sante cognizioni. Oh! pregala ben di cuore quella cara Vergine, e com'essa e con essa saluta le tue compagne, rientra nella tua casa, e preparati a far del bene. Che cosa vuol dire far del bene? Vuol dire vivere. Che cosa vuol dir vivere? Vuol dir far del bene. Oh! sì, comincia adesso, e continua sempre a far del bene ed a farne tanto quanto puoi, più che puoi, e sarai felice quanto io ti auguro.

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Gli è vero, dal momento che leggi questo libro è ben segno che ti piace questo esercizio, e parrebbe inutile io te ne parlassi; ma siccome noi abbiamo bisogno d'essere guidati sempre 8 da forti convinzioni anche nelle cose di minor rilievo, così non credo tempo e fatica sprecata l'insistere su questo punto. Il libro di pietà è un ambasciatore di Dio che ci si pone al fianco a parlarci di Lui, dei suoi diritti e dei nostri doveri; come il libro cattivo è un ambasciatore del demonio che solletica le nostre passioni e ci mette in orribile guerra con Dio e con noi stessi. Il libro spirituale è sempre al tuo fianco quando lo vuoi; e come l'altro tien sempre pronto il suo veleno che ti appresta senza arrossire nè inquietarsi, questo ti versa in seno la dolcezza del bene, ed insegnandoti la carità, il disinteresse, l'eroismo, innalza il tuo essere insino a Dio del quale ti dice figlia ed amica. Amalo adunque molto il libro di pietà, e non lasciar passar giorno senz'averne letto poco o molto. Talvolta questo esercizio sarà per te senza gusto e faticoso; ma per tacere ancora che altre fiate ti verserà in seno le più pure gioje celesti, il tuo animo ne sarà tanto rafforzato e purificato da farti riuscir poi facile la pratica delle più ardue virtù cristiane. È tanto vero che lo scrivere e il leggere di Dio, benchè senza compenso presso gli uomini, è un desiderio ed un bisogno del cuore, che quasi innumerevoli sono i libri ed i buoni libri che parlano di Lui; e Dio buono, sempre buono in tutte le sue attribuzioni, non ci fa nessuna prescrizione speciale, ma ci permette di scegliere quello che più ci va a genio ed è più conforme al nostro gusto ed al nostro bisogno. Oh! dunque ricordatelo bene, mia cara, un buon libro è il miglior amico che puoi avere; un amico che ti dice francamente la verità, che non ti adula, ma t'incoraggia al ben fare, mentre con tutta carità ti ammonisce; un amico che non tradirà mai le tue confidenze, che non disdirà domani quello che ha detto oggi; un amico insomma che non ha altro scopo, altro desiderio che di farti diventar migliore, accetta a Dio ed agli uomini, amabile con tutti e contenta. Ama questo amico sincero, amalo e tientelo sempre vicino; non passerà molto e ti accorgerai dell'immenso vantaggio di una buona e soda lettura spirituale. L'altro mezzo del quale mi resta a parlarti, è la divina parola, ed io vorrei che la mia penna scrivesse a caratteri indelebili sul tuo cuore, quanto questa sia importante e necessaria e dolce. Salvatore amabilissimo, infiammate voi i miei affetti, date Voi eloquenza al mio dire e rendetelo insinuante così, che coloro i quali leggeranno queste pagine ne riportino il cuore divampante d'amore per Voi e per la vostra santa e soave parola, e divengano poi degni di essere chiamati un dì alla vostra destra nella schiera felice degli eletti. Cara amica mia, il Signore vuole che tu lo ami sopra ogni cosa, e tu senti di doverlo amare in tal guisa; ma come potrai tu amare, d'un amore che tutti gli altri sovrasta, un Ente che non conosci, o conosci troppo poco? A te pare che io abbia proferito una bestemmia, ed è vero, poichè se Dio ci ha comandato: Amerai Dio sopra ogni cosa, ci avrà poi dato anche i mezzi per obbedirlo. Oh! questo sì, è verissimo, anzi ben lungi dal negarlo, sono io la prima a sostenerlo; ma quanto io sostengo altresì si è che siamo noi i tristi che trascuriamo i mezzi fornitici da Dio, e che quindi ci stringe più severo obbligo di fare quanto Egli c'impone. Se non vogliamo adunque diventar rei di trasgressione del primo comandamento del Decalogo, dobbiamo essere premurosi di arricchirci di tutte quelle cognizioni, le quali riguardando il nostro Creatore e Padrone e Padre, ci riscalderanno di amore per Lui. Corriamo, sì corriamo ad ascoltare la parola di Dio che ci viene amministrata dal pergamo, ma più specialmente corriamo... dove?... alla Dottrina. Sì, alla Dottrina ci verranno insegnate tutte le verità di fede, spezzate e adattate alla nostra capacità ed ai nostri bisogni in guisa tale da farcene trarre un vantaggio d'assai superiore a quanto noi possiamo immaginare. Non dico che, essendo adulti, dobbiamo scegliere a bella posta di sentirci spiegare la Dottrina come si fa coi bambini; questo se talvolta è utile per richiamarci le nozioni elementari, è ben lungi dal procurarci quell' utile e quel diletto che ci viene da una spiegazione un po' larga e minuta del Catechismo, come suol farsi a quelli che bambini non sono. So bene che non dappertutto e neppure in tutta Italia si usa fare l'istruzione della Dottrina Cristiana in modo così costante, e diciamolo pure, in modo così sminuzzato ed elevato da soddisfare anche le persone di una somma coltura, come si usa fare in Lombardia, e segnatamente in questa nostra Milano, dove S. Carlo Borromeo l'ha istituita, e dove è caldeggiata dal suo successore non solo, ma da tutti quanti hanno a cuore la cara nostra religione. So per altro che molti la trascurano col futile pretesto che essi la sanno già bene la dottrina e che non hanno bisogno di sentir ripetere dal Prete e dalle Suore quel ch'essi già conoscono a menadito; quasi la Dottrina Cristiana fosse una scienza così leggiera e superficiale da approfondirsi perfettamente in poco tempo, mentre non basta la vita di un uomo a oltrepassarne neppure la scorza senza un aiuto specialissimo di Dio. In confidenza, fanciulla cara, qual'è la tua impressione allorquando senti un idiota leggere e scrivere con fatica, e in modo che ad indovinarlo bisogna fare i massimi sforzi; che senso ti fa quand'ei ti dice d'aver studiato anche troppo, di non aver più bisogno d'altra scuola, e si crede in buona fede di saperla lunga? Press'a poco l'idiota fa a te quel senso che tu faresti ad una persona ammodo, se le dicessi di non aver bisogno di altra istruzione di Dottrina, chè già la sai bene. Per carità, guardiamoci da questo ridicolo, e pensiamo sempre che in questa scienza, come nelle altre tutte, il credersi qualche cosa è segno grande di massiccia ignoranza. Molte volte trovandoti in società avrai tu stessa verificato e constatato, che quello più trincia a destra ed a sinistra, che meno ne sa; mentre l'altro che tu vedi guardingo a pronunciare un suo giudizio, può darsi sia preso da taluno per ignorante; ma tu col tuo spirito osservatore capisci a perfezione che è molto profondo in materia, e ognuno se n'avvede quando, messo alle strette di dire la sua opinione, gli casca fuori quasi a sua insaputa e contro voglia tanto di scienza da insaccare colui che prima la faceva da talentone. Non mi dire adunque più che tu la sai tutta la Dottrina; confessa piuttosto che ti pesa lo studiarla! Io ti vorreimettere alla prova, per farti sentire che ben a ragione essa ti procurerà non solo utili cognizioni, ma vero diletto. Lo studio della Dottrina Cristiana è inanellato con tutti gli altri, in modo che chi è erudito in essa, non so come possa serbarsi ignorante nel resto. Quando tu senti spiegare, per esempio, le giornate della creazione, raro è che non senta parlare di cosmologia, della misura del tempo, della forza dei corpi. Nel sentirti spiegare le diverse interpretazioni date dai Santi Padri ai diversi passi scritturali, arricchisci la tua mente di una coltura molto vasta: mentre nell'ascoltare le prove del Cristianesimo dai una volata alla storia antica che lo ha prenunciato, ed alla storia del medio evo ed alla storia moderna che ha dapprima tentato di affogarlo nel sangue e poscia lo ha sempre perseguitato con ogni arte. In questa rivista tu vedi passare, insieme alla Dottrina, tutti gli uomini e tutti gl'imperi che l'hanno sostenuta o contrastata, e col solo ascoltare costantemente e attentamente la spiegazione di essa tu arricchisci la tua mente di vaste cognizioni e la rendi capace di un giudizio giusto ed imparziale. Se tu poi mi dicessi che assolutamente non puoi recarti alla chiesa per sentire il Catechismo, ti ripeterei quanto ti ho detto parlandoti della Messa quotidiana: se sarai tanto obbediente ed operosa da compiacere e da servire appuntino la tua buona mamma, o quegli altri superiori che ti reggono in vece sua, se hai avuto la sventura di perderla, o se hai quella di vivere lontana da lei, per fermo non ti sarà difficile ottenere questa concessione. Credi tu rari i casi che una buona figliuola riesca a forzare in certa guisa la madre o chi ne fa le veci, ad ascoltare con essa la predica e la Dottrina, ed avendo avuto volontà e forza di superare la ripugnanza e un senso (lasciamelo dire) di sciocca vergogna le prime volte, è poi riuscita a formarne una delle più care e delle più invariabili consuetudini per entrambe? Se tu poi avessi la sfortuna di trovarti in paese dove la Dottrina non si spiega, o si spiega soltanto ai fanciulli, o per circostanze insuperabili di famiglia non ti potessi recare alla chiesa ad udirla; dopo d'aver bene studiato ed approfondito il Catechismo diocesano, al quale vanno unite le benedizioni celesti e molte indulgenze, prenditi una buona Dottrina, come quella, per esempio, del milanese Raineri. Oh! vedrai a prima vista che ad ogni pagina, vorrei quasi dire ad ogni periodo, ci si trova qualche cosa che tu non sapevi, od a cui non avevi mai pensato. Il nostro Raineri non le ha stampate lui le sue Istruzioni catechistiche, le hanno stampate i suoi successori, che giustamente deploravano di abbandonare all'oblìo quelle istruzioni, le quali fatte dal pio sacerdote sul pergamo della nostra Cattedrale, trascinavano e miglioravano la folla colta che correva a sentirlo. Oh! sì, prenditi il Raineri; leggilo, studialo, meditalo, poi torna da capo, e te ne troverai contenta. Compatisci i poveretti i quali credono di saper tutto, e sanno nulla; ma tu dal canto tuo fa di non trascurare lo studio della Dottrina Cristiana, procura anzi d'invogliarne quante più persone puoi; allorchè ne avrai fatto la prova, troverai atto di vergognosa debolezza l'astenertene per paura di quello che ne dirà il mondo. Il mondo se sa che tu frequenti una scuola di letteratura, o di fisica, o di geografia, o non ti deride, o tu te ne ridi delle sue beffe; e sarà solo se frequenti la cattedra più difficile, importante e necessaria, che ti lasci prendere dalla paura? Forte delle tue convinzioni, procedi sicura nell'impreso cammino; arricchisci quanto più puoi la tua mente di cognizioni religiose, e ne avrai riscaldato il cuore di santi affetti per quel Gesù, il quale nella Dottrina che ti amministra come pane che mantiene e fortitica, ti assicura che per un giorno solo, anzi per un solo istante Egli sarà Dio giudice, ma che per tutta una eternità Egli, Dio rimuneratore, premierà la tua fede e le tue buone azioni con una felicità che non avrà mai fine, e che genio nè fantasia umana valgono ad immaginare. Animosa e costante segui fedelmente, coraggiosamente ed allegramente i miei consigli, i quali infine non sono altro se non i dettami della nostra santa religione, da Dio buono posti sulla mia bocca e nel mio e nel tuo cuore. Sì, seguili giocondamente, e nelle spinosità della vita avrai sempre un pensiero consolante, il quale addolcirà ogni tua pena, tergerà ogni tua lacrima. Quel pensiero ti dirà che ogni cosa passa, che l'anima nostra dura sola con Dio eternamente, con quel Dio che l'ha creata per farla per tutta l'eternità felice con sè in Paradiso.

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Gli uni e gli altri sono ugualmente Unti coll'Ordine Sacro, ed hanno un uguale mandato di esporci le verità della nostra santa fede, e gli uni e gli altri, benchè in diverso modo, quando noi li ascoltiamo colla sete del vero e della giustizia, semineranno nel nostro cuore quel granello di senapa che diventerà poi un albero gigante, ove noi abbiamo cura di coltivarlo come conviene, coll'ajuto di Dio, senza del quale non possiamo nulla, neanche muover una palpebra. No, non dir più, se potessi! poichè tutto potrai, anzi tutto puoi, colla grazia di Dio, e quello ch'è impossibile all'uomo per sè solo, diventa agevolissimo quand'egli è forte della stessa forza di Dio. La tua età è, io credo, l'età più fortunata della vita, poichè se l'infanzia è bella per la sua ingenuità e per quel non so che di spensieratezza che non la rende curante se non del momento che corre, e la fa godere come d'un lieto avvenimento, di un dolce, di un balocco, di un nonnulla infine, e l'età matura sia bella perchè ricca di esperienza, e molte volte di affetti; pure io tengo per fermo che la giovinezza la quale dai quindici può durare fino a poco men dei trent'anni, la giovinezza io dico, è l'età più bella, più ricca, più invidiabile. La giovinezza è l'età delle speranze, dello slancio, del disinteresse e delle migliori qualità fisiche, morali, intellettuali. Giovinetta mia, il tuo viso come il tuo cuore non è avvizzito sotto gl'insulti del tempo e della guerra, che il mondo e le passioni ci suscitano contro incessantemente. Il tuo occhio brilla di una vivacità gaja e consolante, nè mira mai asciutto una piaga ed un dolore, e mentre le lagrime gli fanno velo, il tuo cuore si apre e cerca e trova modo di lenire quella piaga, di sollevar quel dolore. L'animo tuo è franco e leale, non ha veduto che sui libri certe storie dolorose; non conosce quegli amari disinganni che lo invecchiano anzi tempo, e si abbandona facilmente alla confidenza ed all'affetto; l'animo tuo ardente si esalta volontieri alla vista di un atto eroico, di una buona azione, non è proclive a bassi sentimenti, ed è solo effetto di una perversa educazione, se taluna fra le giovinette cede alle lusinghe dell'interesse, dell'invidia... No, non sia mai detto di te che la tua giovinezza sia turbata da questi, i quali, difetti in uomo maturo, sarebbero in te una vera enormità; lascia che il tuo cuore vergine e buono, come il giglio del campo, ami il monte e la valle, e non cerchi l'aria impura e colata di quella società che tutto guasta col suo tocco. Lascia che il tuo cuore si slanci in cerca del bello e del buono, nei campi della terra e del cielo, e sostienlo affinchè non ceda alle seduzioni che da ogni parte lo tentano, lo turbano, cercano di corromperlo. Tu mi dici, ed è vero, non essere in tuo potere cambiare la tua condizione, il tuo posto, poichè dove sei, ti convien stare; ma dimmi, il tuo cuore è, o non è tuo? Tu sei forzata di vivere in una società corrotta e corruttrice; ma se non fosse per l'unico importantissimo scopo di tenerti incolume dalla corruttela che ti circonda, dimmi perchè impiegherei io il mio tempo, i miei studj, i miei affetti per te che non conosco, 9 che non vedrò mai, che dal tuo labbro non sentirò mai un grazie? Oh! perdona, perdona l'amara parola che mi ha strappato dal cuore lo spavento del tuo presente, del tuo avvenire. Sì, perdona, perdona; io non aspiro a godere del vantaggio di cui mi potrebbe esser larga l'amicizia dei tuoi verd'anni, nè cerco a te riconoscenza e gratitudine: quello che ti do non è mio, è unicamente dono del nostro Padre comune, di Colui che vuole io ti ami e ti comunichi quanto Egli m'inspira... Perdona, perdona; ma per pietà del tuo bene, del bene della tua famiglia, della quale puoi e devi essere l'angelo della protezione e della pace; per pietà del bene dei tuoi genitori, di tutti i tuoi cari; per pietà delle anime redente collo spargimento di tutto il Sangue di un Dio; per pietà, poni in guardia il tuo cuore e non lasciare che al contatto della società si guasti, si corrompa. Il dolcissimo S. Francesco di Sales dice che come si salvano le frutta col confettarle collo zucchero, così possiamo salvare il nostro cuore confettandolo collo spirito di pietà, e nella convinzione che la parola dei santi è germe inesauribile di santità, io non ho saputo nè voluto tacere questo paragone semplice ma sublime, che a noi dettava quell'anima santa e straordinariamente amabile e soave. Sì, confettalo il tuo cuore colla pietà, circondalo con una forte corazza di amore e timor santo di Dio; ed anzichè imbrattarsi della bruttura che tenta investirlo, emanerà da lui tale un profumo di soavità e di virtù atto a purificare tutto quanto lo avvicina. Dunque non mi dir più se potessi; di' piuttosto se volessi, poichè tutto noi possiamo di bene in Dio, il quale (è di fede), ove non bastassero gli ajuti comuni, ce ne manderebbe anche degli straordinarj, e perfino ci manderebbe dei miracoli ove fossero necessarj alla nostra eterna salute. Se tu ed io non facciamo il bene, non dobbiamo incolparne nè le persone che ci avvicinano, nè le circostanze; ma noi stesse che abbiamo preso da esse senza riguardo invece del bene, il male. Che ne diresti tu s'io mi ponessi a giuocare con un coltello, e lo tenessi stretto fra le mani, e tagliandomi mi lagnassi poi del coltello? Tu mi diresti:Stordita! lo meriti; se ti sei tagliata è segno che ti volevi tagliare. Ma qui vedo che, quasi senz'accorgercene, rasentiamo l'argomento del quale ti voglio intrattener domani: Le occasioni di peccato. Per oggi mi limiterò a rinnovarti le mie proteste e le mie raccomandazioni; a dirti che i tuoi vent' anni sono il sorriso della vita perchè ne sono il mattino; ma deh! faccia Iddio che il tuo mattino sia rallegrato da un sole splendido, da un sole che maturi in te il germe che abbondante ti ha versato in seno la Provvidenza, affinchè per un lungo volger d'anni questo germe frutti copioso ed eletto frumento ad alimento, a conforto, a premio dell'anima tua e dell'altrui. Che se, ciò non sia mai, che se tu lasciassi appestare la tua giovinezza dal turbinío delle passioni e dall'infingardaggine, non tarderesti a trovare in te stessa i segni tutti di una vecchiezza precoce, di una vecchiezza che non voluta da Dio, ti avvizzirebbe il cuore e ti renderebbe incapace d'ogni buona azione, cupida, egoista, sospettosa... Queste le sono cose pur troppo vere sì, ma non per te, figlia mia; no, non per te che senti il bene, che lo vuoi! Tu, sì, io tel prometto, tu anzichè invecchiare innanzi tempo, conserverai la tua giovinezza fino ad un'età molto avanzata; e quando la tua fronte sarà increspata, le tue mani rugose ed il tuo corpo curvato sotto il peso degli anni, il tuo cuore sarà tuttavia giovane, pronto agli affetti ed alla carità; il tuo occhio brillerà d'una gajezza capace a trasfondersi in colui sul quale si ferma, ed anzichè di peso, la tua persona cadente e la tua compagnia saranno il punto della famiglia nel quale tutti gli affetti si concentrano, si raddoppiano, si migliorano. Allorchè io vedo la serenità, la pace che respira e traspira la vecchia mia madre, il cuore mi batte più forte, mi si bagna il ciglio e dico: Dio mio! sei grande; il tempo e la bufera non hanno scosso il tuo edificio! Madre del Cielo, Maria Santissima, custodisci sempre sotto il tuo manto la madre che mi ha dato la vita del tempo, perchè mi guadagnassi quella dell'eternità! Tu la proteggi ognora dalle insidie del nemico, e le ottieni dal tuo divin Figlio largo premio alle sue lunghe privazioni, al suo grande amore, ai suoi eroici sacrifici. Giovinetta cara, anche adesso ti dovrei chieder perdono, perchè t'ho intrattenuta di me... Ma il pensiero di una madre, come la mia, m'ha siffattamente investita che non ho potuto rifiutarmi un piccolo sfogo, come non posso rifiutarmi dal pregarti di raccomandarla a Dio. Se tu hai la grande ventura di avere come me una madre nella quale rifulge una perpetua giovinezza, ringraziane il Signore, cerca di ricopiarne tutto il bene; ma deh! l'amor tenerissimo filiale non ti trasporti a ricopiarne anche i difetti. No, sarebbe un insulto alla madre tua, la quale se non ha potuto essere perfetta come il Padre tuo che è nei cieli, ti ha però dato esempio di quanto possa fare un cuore che ama teneramente e tenacemente il bene. Iddio non t'avrebbe posto in cuore un tesoro di affetti, non ti avrebbe dato tanti mezzi di salute e la mia stessa povera parola, se non ti volesse pia, buona, santa. Dunque non dir più se potessi!; ma con tutta la forza della tua volontà entra coraggiosa nel cammino della vita, pronta a fare tutto il bene che ti sarà possibile. Dio t'ajuti!

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Se tu colla persona incredula o poco credente, o indifferente, o beffarda in fatto di religione, con quella persona che sempre o quasi sempre sta al tuo fianco, che esercita sopra di te tutto il prestigio cui dà diritto un santo affetto di congiunto ed i pregi personali, invece di adoperare, come abbiamo veduto poc'anzi, tu avessi agito al modo mondano, certamente invece di trasfondere in essa il bisogno e l'abito di quella religione che è la tua vita, che sola può sostenerti nelle lotte dell'esistenza e che unica può premiare la tua virtù e la tua costanza, l'avresti tu stessa perduta. Ahimè! sola e miserabile ti troveresti in brevissimo tempo sprovvista d'ogni morale virtù, e destituita da quella forza che è la tua forza e senza cui non trova balsamo nessuna piaga, lenimento nessun dolore. Se collo sprezzatore della tua fede (foss' egli pure tuo fratello o tuo padre) ti porrai a patteggiare, a questionare, a disputare, non tarderà molto e la tua fede diventerà vacillante, smorta, nulla! No, per pietà, no, mia cara. Per pietà, guardati dal fuoco! io ti ripeto, guardati da quel fuoco distruggitore che incenerirà ogni tuo proposito, ogni tua buona tendenza... Ma, e perchè insisto io tanto a predicarti l'importanza dello schivare le occasioni, se tu ne sei più che convinta? Se fosse altrimenti, tu non leggeresti con tanto affetto questo libro, il quale, quantunque vergato sotto l'impulso di un potentissimo amore per l'anima tua, non ha che parole severe a dirti, virtù anche più severe ad importi! Quello che tu vuoi da me, e che io voglio dirti, si è dunque non tanto la massima di sfuggire le occasioni di peccato, quanto d'insegnarti il modo di poterle sfuggire e vincere e volgerle a bene. È forse necessario che io ti ripeta:non giuocare come lo spensierato col fucile carico? No; sarà meglio ti suggerisca di sparare all'aria l'archibugio, e tolga così amendue da un pericolo imminente e gravissimo. Se vedi che arde la casa del tuo vicino, ti è inutile continuar ad urlare al fuoco; bisogna invece che tu porti dell'acqua, dopo d'esserti adoperata a segregare la tua casa affinchè non divampi con quella. Te lo ripeto, e tel ripeterò incessantemente, non metterti a disputare e a discutere di religione con persona di te più colta e a te superiore; anzi sarei quasi tentata di dire, con persona alcuna: ma pronuncia la tua opinione con volto ed animo sicuro, protesta di non voler cedere assolutamente agli altrui ragionamenti, e se non puoi imporre silenzio, e neppure ti è dato pregare si voglia con te parlare di un argomento più conforme e più omogeneo al tuo modo di pensare, chiedine con bel garbo il permesso, e ritirati o nella tua camera, o in altro crocchio, o comecchè sia e come darà la possibilità, togliti da quel discorso. Se poi sei costretta a star lì, prega in segreto e segretamente protesta e ripara, atteggiandoti a serietà. Così facendo, l'ardito che si permette innanzi a te di porre in forse od in canzone le verità più sante e più care, si accorgerà ch'egli abusa della sua libertà, e violenta la tua coll'importi quanto non vuoi e non devi tollerare. Se poi quel cotale fosse persona tanto rozza e tanto mal educata da pretendere tu subissi intero il suo ragionamento, e vantasse in proposito la sua condizione ed i suoi titoli, non ti curar di lui, ma guarda e passa. Allorchè t'ho parlato di non curarti di quanto dirà il mondo, mi pare di averti detto alcun che di somigliante; ma il ripeto: quando si tratta di schivare le occasioni pericolose, non ci vogliono rispetti umani, o, se ci vogliono, ci vogliono per calpestarli, ed impedir loro di far poi capolino, e ci tentino e ci trascinino miseramente. 10 Ma oltre questi pericoli, in certo modo visibili, ve ne hanno degli altri, tanto più pericolosi e nocivi, quanto meno avvertiti; questi sono non i discorsi propriamente detti, contro la religione ed il costume, ma quelle parole mezzo serie, mezzo buttate là senza studio e senza ritegno, quelle parole ambigue le quali vogliono dire ben altro di quello che si tenta far credere, e fanno intanto salire il rossore sulle tue guancie, il riso sulle tue labbra, ed insieme un qualche cosa che somiglia rimorso al tuo cuore. Queste arti non saranno certo adoperate con te dai tuoi, ma dai così detti amici di casa; da quei bontemponi i quali non avendo meriti sodi da far valere, sfoggiano ed ostentano uno spirito che sarebbe piuttosto spirito da ardere, non da far valere nelle conversazioni. Se adunque in casa tua, o in casa altrui ti trovi vicina a siffatte vespe, chè io non le so chiamare nè considerare con altro nome, schivane il pungolo avvelenato benchè sottile, e non ti lasciar ingannare da loro perchè le vedi suggere il mele e lo zucchero, poichè se ti s'avvicinano e ti pungono, n'avrai deformato il viso e guasto fors'anche il sangue! No, non ti lasciar illudere dalle parole dolci e melate; non t'illuda l'eleganza della persona e del porgere; quello è pericolo, e tu lo devi schivare, e schivare tanto più quanto è più coperto, simulato ed insinuante. Talora perfino alcune signore, d'altronde simpatiche e gentili, hanno il tristissimo còmpito di pervertire le anime innocenti; ma se tu farai sempre con buona volontà ricorso a Maria, sarà illuminata la tua mente, agguerrito il tuo cuore, e non tarderai ad accorgerti delle insidie che ti si tendono, nè indugerai a schivarle. Se poi, il che è difficile, le persone le quali minacciano la tua credenza o la tua virtù sono in buona fede, allora tu potrai volgere a bene le stesse loro lusinghe, e sentendoti sul campo della verità, ti sarà agevole far cadere le squame che, come a S. Paolo, coprono loro gli occhi, e renderli illuminati colla luce evangelica, riscaldati dal calore del Sole di vita, Dio. Ma per tacere delle letture cattive, delle quali ti parlerò separatamente un altro giorno, debbo parlarti di un altro pericolo e grave, che ti può venire non solo dai parenti e dai conoscenti, ma altresì dai maestri e dalle amiche. La penna ripugna a scriverlo, perchè la mente ripugna a pensarlo, che i maestri e le amiche possano essere di pericolo alla tua fede, perchè invero non è, nè può esser vero maestro ed amico colui che insegna il male! Tuttavia, tu non sei più nel caro e sicuro recinto del tuo collegio, di quel collegio tanto ben diretto, sì bene animato; tu sei in una società che non possiamo dire buona e bene intenzionata, ma che ci è forza confessare corrotta e corruttrice, ingannata ed a sua volta ingannatrice. Tu sei obbligata a vivere in questa società, dove lo spirito delle tenebre lancia talvolta alcuni di quegli esseri i quali dovrebbero avere l'ufficio d'illuminare, e che adempiono invece quello d'inondare di tenebre dovunque posano il piede e toccano colla mano. Quando ti ragionerò del modo di schivare le occasioni di peccato non solo contro la fede come oggi t'ho parlato, ma altresì contro il costume, mi estenderò maggiormente; per oggi ti basti il già detto, cioè dover tu usare coi maestri e colle amiche, non altrimenti di quello che fai con chiunque insidia la pace della tua coscienza. Ove e appena ti accorgi che colla letteratura, colla storia e perfino colla musica, ti si vuol propinare l'errore, confidati coi tuoi genitori, e pregali a toglierti da sì grave pericolo o col dirizzare l'insegnamento, o col rimandare chi te lo amministra. Questo ti sarà meno difficile ancora colle amiche, alle quali devi imporre silenzio e rettitudine di pensieri e di discorsi, e se questo nol puoi ottenere, allontanati da esse, pregando molto e sempre per l'anima loro. Oh! sì, molto e sempre devi pregare per tutti coloro che ti fanno del male, o minacciano di fartene, e ove se ne porga l'occasione, non devi essere tarda nè restìa a far loro del bene colla parola, coll'opera, col cuore, e quell'Iddio che promette un premio eterno per un solo bicchier d'acqua dato per amor suo, te ne darà larga ricompensa in questa vita e nell'altra. Un altro pericolo del quale, come dal fuoco, ti devi guardare, si è la medesima tua debolezza, e per quanto ti paja e ti senta forte nelle tue convinzioni religiose, paventa sempre il pericolo. Non già il soldato trascurato e spavaldo è forte al momento della mischia; ma l'eroe è sempre colui che prima ha misurate le sue forze, ha tremato di sè, ed ha lungamente meditato la giustizia della sua causa. Sì, questi è l'eroe, che dimentico di sè tiene con una mano la bandiera, pugna coll'altra a difenderla, finchè o è giunto a salvarla, o è perito con essa. Sii tu pure l'eroe della tua religione, senza temere il ridicolo. Chi ride di te, o ride perchè non arriva a comprenderti, o perchè non ha forza da emularti. Guardati dal fuoco, e le fiamme dell'incredulità cadranno spente ai tuoi piedi. Dio ti benedica!

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Ma il libro cattivo ci siede lì vicino come un amico; a mo' di un amico straordinariamente cortese, tollera e sopporta d'essere accarezzato, palleggiato, posto perfino in canzone per farci piacere; egli sta lì e là dove noi lo abbiamo buttato, aspettando paziente il momento opportuno in cui o per distrarci, o per cacciarci il malumore, siamo più pronti alle impressioni cattive che alle buone. Lui, il libro, è là, va e viene a nostro piacimento, non ci dice se non quanto può solleticare la nostra curiosità ed il nostro amor proprio, adula le nostre passioni, compatisce ed incoraggia le nostre cadute, ci dice quel che dovremmo ignorare, ci tace quel che dovremmo sapere. E gl'inesperti bevono a larghi sorsi il veleno che la sete di una malintesa ambizione, e del denaro profuso agli autori ed ai promulgatori di simili libri, ha generato; senza parlare della parte che vi ha l'angelo ribelle il quale, è forza confessarlo, appresta macchine ed inchiostro a certe produzioni sulle quali anima onesta non dovrebbe mai porre l'occhio. Ma tu, signorina amabile ed educata, hai a schifo un libro che o in fatto di religione o di costumi lasci a desiderare, e non ti arrischi mai e poi mai di tôrre a leggere un volume senza prima averne chiesto licenza alla madre tua ed al tuo Direttore spirituale, il quale, ne son certa, essendo uomo illuminato e colto, ti permetterà quello che ti può procurare un'erudizione assestata e vera, e ti proibirà quello che, anche menomamente, può alterare il candore dell'anima tua e la pace del tuo cuore. Per me certo, benchè abbia passato la giovinezza e mi trovi in quell'età che volge alla maturanza, e stia forse per compiere il giro della mia non lunga carriera; per me non vorrei di sicuro cimentare la mia quiete per un piacere fugace di una lettura cattiva o pericolosa, senza prima averne avuto non solo il permesso, ma vorrei quasi dire il comando, da chi ha l'autorità d'impormi mezzi anche non comuni per conseguire il fine della salvezza mia e delle anime che prendo a consigliare. Che, se mi è dato risparmiare alla mia mente ed al mio cuore la lettura di libri proibiti, ne ringrazio il Signore con tutta l'effusione. Grazie, Dio mio! Vi hanno però anime deboli, inesperte e spensierate, le quali si scusano col dire non essere vero che nei libri e nei giornali posti all'Indice vi sia poi quel male che loro si attribuisce; e che qualora si leggano, come fanno essi, così per diporto e senza troppo badarci, non se ne cava alcun male. Vi hanno perfino alcune, e forse molte, persone attempate, le quali affermano aver letto sempre ogni sorta di libri venuti loro alle mani, e di aver tuttavia conservato i loro principj d'onestà, di religione, con un'infinità di altre buone cose che io non ho pazienza di ripetere. Ammettiamo esservi alcune nature privilegiate che all'acutezza dell'ingegno uniscono tale saldezza di principj, per cui cercato ed ottenuto il permesso di qualunque lettura, salvo le più direttamente opposte al costume, non ne restano menomamente scosse; ma quanto ai vantatori dei quali abbiamo ragionato, perdona se asserisco mentir essi solennemente, benchè forse, se vuoi, in buona fede. Sì veramente essi mentiscono, poichè non vedi tu, come sotto una rettitudine apparente hanno una stortura di idee, un'ignoranza massiccia, un'esaltazione o una depressione d'animo che non li rende sicuramente invidiabili? Tu mi dirai che l'uso e l'abuso della società li ha resi tali, ed io non ti so contraddire; ma credilo a me: se avessero messo sempre sotto sequestro le loro letture, avrebbero acquistato volontà e forza di vincere i pericoli della società, ed anzichè abusarne ne avrebbero usato con quanta maggior parsimonia avrebbero potuto. Molti dicono un'altra ragione che secondo essi rende loro non perniciosa, anzi neppur inutile ma necessaria la lettura di ogni libro e d'ogni giornale. Dicono essi:Io ragiono colla testa mia, e non mi lascio imporre da nessuno. Ma intanto io vedo che chi sta collo zoppo impara a zoppicare, e chi pratica od una persona od una lettura libertina, per piacere di star con essa (non per dovere), o diventa, od è già libertino. Ognuno lo sa: tutti i maestri di spirito ed i veri educatori, proibiscono le cattive letture e quelle che esaltano la mente ed il cuore; e perfino Rousseau, quel grande traviato che qualche volta non poteva rifiutare all'acutezza del suo genio l'aspetto della verità, mise lì avventatamente nella brevissima prefazione del suo Emilio quella bella sentenza:Donna casta non legge mai romanzi. Non dico già che egli, e tanto meno io, volesse proibire i romanzi buoni, come i nostri Promessi Sposi, come quelli del Cantù, del padre Franco ed altri molti, diretti ad educare al bene ed alla virtù; ma dico che Rousseau medesimo trovava che i romanzi propriamente detti, i quali sono scritti per esaltare, per inebbriare, per sconvolgere la mente ed il cuore, non possono esser letti da donna casta. Vorresti tu essere meno rigorosa in fatto di morale, dell'incredulo ginevrino? Ho accennato poc'anzi che taluno si crede necessitato a non scegliere nè sceverar nulla nelle sue letture, e ne attende anzi un'utilità. Ma dimmi, giovinetta mia, non offendo io il tuo orecchio semplice ad esporti simili ragionamenti pei quali tu, colla rettitudine che hai, senti tutta la contrarietà?... No, mi pare propriamente di no, poichè se non te li dico io ed in pari tempo non ti mostro quanto sono lontani dal vero, la società nella quale ti trovi li farà giungere alle tue orecchie, e tu ne sarai tutta turbata, e fors'anche tentata... Non lo credere, fanciulla dal retto sentire; non credere sia necessario leggere tutto, conoscer tutto, per viver bene. È una proposizione moderna questa, che ci sia uopo scendere in ogni lordura, visitare ogni cloaca per diventare uomo o donna sperimentata, per esser qualche cosa e per figurare. Se non ci foss'altro da dire basterebbe questo, che se fosse così realmente, il buon Dio, il quale è venuto a beneficare, a migliorare la società, non ce l'avrebbe proibito; ma invece ce l'avrebbe comandato, come fa con coloro i quali debbono confutare gli errori per portare in luce la verità. Ma siccome Iddio ci permette l'esame, esaminiamo un momento, se e come corra la cosa anche agli occhi nostri. I grandi scrittori, i grandi inventori, i grandi benefattori della società erano e sono forse gli uomini pratici come si dice adesso, quegli uomini perduti in ogni frivolezza, in ogni lettura per studiare la società? Oh! no, gli uomini grandi e serj hanno studiato la società nella società; voglio dire nel proprio cuore, nel cuore altrui, nella famiglia, nella patria, nel mondo, senza discendere nel brago di certi particolari i quali non sono altro se non le anormalità di quella società che vogliono e debbono conoscere nel loro stato normale. Lo ripeto poi senza esitanza: quella Chiesa la quale, madre tenerissima, prende ogni libro che vede la luce, lo esamina, e se non lo trova conforme agl'insegnamenti della fede e della morale lo mette all'Indice delle letture proibite, sa e può dispensare da questo divieto coloro i quali realmente hanno d'uopo di tutto leggere ed approfondire in servizio del bene e della verità. Ma quanto a te, giovane mia cara, sei troppo fortunata di non aver bisogno di tali dispense, ed anzichè succhiarti lentamente il veleno che un libro od un giornale eretico o spudorato tenta propinarti, caccialo via da te come un falso amico, come il peggiore nemico che insidia la tua mente e il tuo cuore, con una faccia che non arrossisce mai nè mai si ricrede. Quanto ho detto dei libri vale anche di tutti quei periodici che allagano tutte le case, tutti i tavolini, da quello dell'artigiano e dell'operaio, a quello del nobile e del sovrano. Ma il tuo tavolino non mai sia allagato da giornali non apertamente buoni e cattolici; e se, come pur troppo avviene di frequente, anche la tua famiglia ne è infetta, guardati bene dal leggerne anche un solo brano! Ne perderesti la consuetudine santa di vincere le tentazioni, i rispetti umani, le occasioni cattive, e cesseresti di essere l'angelo della casa che tutti protegge, tutti ama, e nulla ammette in sè che non sia santo, immacolato e di eccitamento al bene. Mi sono gìà dilungata di molto; ma non posso finire senza prima narrarti un caso del quale io sono stata testimone, e che mi ha fortemente impressionata. Una damigella di famiglia distinta aveva ricevuto educazione nel mio stesso collegio, ed io, come di essa molto più giovane, la guardava con quell'occhio di minoranza che tu pure avrai avuto colle compagne a te superiori di età. Quella damigella si maritò, e dimentica o incurante dei buoni consigli ricevuti, cominciò ad ammettere nel suo gabinetto e sul suo tavolino ogni sorta di libri. La giovane signora diventò trascurata nella sorveglianza della sua casa; ambiva solo di immergersi in quella società eccezionale che vedeva tratteggiata nei romanzi d'oltre monte; s'invogliò di rappresentare uno di quegli sciagurati drammi dei quali era tanto assetata, e dimentica del marito, della casa, e perfino dell'onor suo e dell'anima sua... Copriamo d'un velo l'orrenda fine di quell' infelice che, fuggita dal tetto che ospitale l'aveva accolta dopo giurato la sue fede di sposa, si diede la morte con chi le si professava amico! Il buon Dio abbia accordato il suo perdono a quelle due anime traviate, poichè di quell'ultimo momento in cui l'anima si stacca dal tempo per entrare nell' eternità, non è padrone che Iddio. Buon Dio, quale terribile momento! sarà stato momento di condanna o di perdono? Promettimi, giurami, fanciulla carissima, anzi promettilo e giuralo al Cuore Santissimo dell'Uomo Dio, di non leggere mai libri nè fogli proibiti dalla Santa Chiesa, e neppur quelli che essendo permessi, non sono atti a perfezionare e a rafforzare la fede ed a migliorare i costumi, e n'avrai in premio una rettitudine di coscienza che ti farà vedere il bene e ti darà la forza di abbracciarlo. Quando Gesù Cristo scacciò il demonio da un uomo che ne era posseduto, il maligno fu forzato a confessarlo Figliuol di Dio; così da una penna venduta all'errore usciva quella vera sentenza, che tu ricorderai sempre quando sarai tentata di stendere la mano ad una lettura cattiva e pericolosa:Donna casta non legge mai romanzi. 11

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Vi ha un amore di carità che dobbiamo a Dio come sorgente d'ogni bene e della nostra stessa vita; e questo amore non deve avere nè limite nè restrizione, perchè non sapremmo mai dar troppo a Colui dal quale ci viene tutto quanto abbiamo. Vi ha un altro amore di carità che dobbiamo, in Dio e per Iddio, a tutta intera la umanità, e questo amore ci fa abbracciare in un solo amplesso gli uomini di tutte le età, di tutti i paesi, di tutte le condizioni, di tutte le religioni, gli amici come i nemici, i lontani come i vicini, poichè tutti ci fa chiamare col nome di prossimo nostro; e dicendo prossimo ci dice che tutti debbono esserci cari, che per tutti dobbiamo pregare, che a tutti dobbiamo far del bene, dimenticando le ingiurie di chi ci ha indegnamente offeso. Ma non è ancora di questo amore che io intendo parlare, perchè questo pure preso così in generale non ha bisogno di essere infrenato, perchè con esso non facciamo che considerare Iddio nelle sue creature. Io intendo parlare di un altro sentimento buono e santo; ma che, se sregolato o sviato dal suo giusto indirizzo, può portare in noi gravissime conseguenze, e pur troppo bene spesso irreparabili. Vi ha chi sentenzia che il cuore umano è un sultano ed un despota al quale non si può comandare; altri lo dice un puledro indomito intollerante di freno. Io lascio al libero pensatore la libertà di pensare come gli talenta, ma per me dico ed affermo che il cuore umano se é un re, può e deve essere un re giusto e non un despota; se è un puledro, non è indomito se non quando gli si gettano le briglie sul collo. Oh! credilo, mia diletta, guai a coloro i quali non sanno infrenare il loro cuore! da indomito ch'egli era diventerà presto indomabile; da fonte di vita, si muterà in fiumana devastatrice che tutti s'ingojerà i frutti passati e perfino i frutti avvenire, ed in luogo di terreno fertile e fecondo non ti resterà che un letto di arena... Attenta, figliuola, non ti lasciar pigliare la mano dal tuo puledro; ma infrenalo, tieni tese le briglie, in modo che sia sempre in poter tuo regolarne le mosse. Lo so essere questa ardua impresa, ma se ogni giorno, in ogni pericolo dirai col cuore: Madonna, ajutatemi! e ne invocherai veramente la protezione, ciò che a tutta prima ti sarà sembrato ostacolo insuperabile, non sarà se non una lieve difficoltà che vincerai in brev'ora. Non finirò mai di ripeterlo, e tu fa di rammentartelo ognora:la briglia al cuore, tieni la briglia al cuore, se non vuoi essere da lui trascinata dove non vuoi, dove non devi; se per poco egli s'accorge che tu lo lasci ire a suo capriccio, ti si metterà a far tali salti, tali capriole, da non lo poter più richiamare al dovere. Ti rechi talora in una conversazione, ad un passeggio, e, mi ripugna a dirlo, perfino in chiesa; e nella conversazione, al passeggio e perfino in chiesa vi ha un cotale che pare abbia il torcicollo, e sia sempre sempre obbligato a guardare dalla parte dove tu sei. Ti trovi talora in una società o ritrovo, e quel cotale non trova bello se non ciò che è tuo o piace a te; non sa discorrere se non con te e di te; trova eloquente il tuo silenzio, affascinante il tuo parlare, e se suoni, o canti, o dipingi, non v'ha per lui chi suoni, canti, o dipinga come tu fai. Io sono ben aliena dal distoglierti dall' idea di un giusto e buon collocamento; ma ti assicuro questa non è la via per ottenerlo, e se ti vedessi attorno uno di codesti vagheggini non esiterei a dirti: metti la briglia al cuore, non è costui che ti vuol chiedere in isposa, non è costui che renderà invidiate le tue nozze e il tuo focolare. Eppure, pare incredibile, io so di qualche giovinetta che si strugge d'invidia, vedendo taluna delle sue amiche soggetto di una simile cortigianeria. Inconsiderata! e non capisci che questo è un agguato del maligno per rubare il cuore dell'inesperta? Sì, probabilmente tu sarai chiamata da Dio a ricevere il settimo Sacramento; ma se lo vuoi ricevere degnamente, devi prepararti ad esso con raccoglimento e con fede. Sì, probabilmente tu sarai chiamata a donare il tuo cuore ad un uomo...; ma se vuoi riceverne il suo in cambio, bisognerà che il tuo si conservi vergine, intatto, non offuscato da nessun alito, da nessuna macchia... Sì, probabilmente il Signore benedirá le tue nozze; ma se vuoi che copiosa scenda la benedizione sul tuo capo, fa che il tuo velo nuziale sia candido ed immacolato come il giglio che rappresenta la tua purezza, odoroso come il fiore d'arancio che s'intreccia nella tua chioma!... Ma forse, forse, neppure tu sei chiamata a porre in dito quell'anello che nel suo circolo senza sortita rappresenta la continuità del vincolo che con esso si suggella: forse tu sei destinata ad essere l'appoggio dei vecchi giorni dei tuoi genitori, ovvero il bastone e la guida dei minori fratelli e dei nipoti... Forse Gesù ti vuol fare sua sposa... Pretenderesti forse, col legare e vincolare il tuo cuore ad un uomo, di mutare il tuo avvenire? Oh! no, il buon Dio vuole per te quello che è pel tuo meglio; vuole per te quello che ogni giorno tu gli domandi dicendo: Sia fatta la vostra volontà; e se sprechi il tuo cuore, se lo sciupi in folli amori, quel povero tuo cuore tornerà a te sanguinante, indebolito, incapace di forti e santi affetti! Fanciulla, io ti amo, ti amo molto in Dio; ma non ti conosco, e, ti conoscessi ancora, sarei bene stolta se pretendessi, nuova Sibilla, vaticinarti la sorte che ti attende. Quello però che so infallibilmente si è che sarai chiamata a formare ed a reggere una famiglia. Colui senza del quale neppur uno può essere toccato dei tuoi capelli, se saprai infrenare gli affetti tuoi, ti presenterà l'uomo del quale assumerai il nome, i diritti, i doveri, vivessi, tu pure lontana dalla società, in un monastero o perfino ti trovassi relegata in una spelonca. Che se sarai chiamata a vivere celibe, l'essere circondata da mille adoratori, nè il brillare in società per le più belle e vistose doti, non ti gioverà punto a procurarti ciò che tanto ambisci e che per te sarebbe certo un male. In ogni modo, sia che ti mariti o no, non devi donare il tuo affetto ad un uomo prima ch'ei t'abbia chiesta in isposa, e prima che tutto sia combinato e sia prossimo i tempo di congiungerti a lui. E poi non basta; dà a quell'uomo il tuo affetto con misura e con ritegno, prima di essere a lui unita in modo indissolubile, perchè potrebbero nascere ostacoli tali da allontanarlo da te, e rendere vane le trattative precedenti. Che ne sarebbe di te se tutto gli avessi abbandonato il tuo cuore? Un fatto si può dir giornaliero, e che tu stessa potrai constatare se addentri un momento lo sguardo nelle famiglie che ti circondano, si è che sono più strette e più invidiabili quelle unioni le quali non sono state iniziate con pazzie amorose. E ciò è ben naturale, se consideriamo che appunto chi è facile una volta a donare il suo cuore, senza ritegno nè precauzione di sorta, non saprà poi infrenarlo allorchè sarà consacrato irrevocabilmente al compagno ricevuto da Dio. I divorzj, le guerre delle famiglie, quelle guerre intestine che ne rovinano gli animi e gl'interessi, quei blasoni caduti nel fango, le discordie d'ogni maniera, se risaliamo all'origine, non la troviamo forse sempre in un amore mal collocato, intempestivo o colpevole? Se tu mi dicessi che ti è fatica porre la briglia al cuore, io ti risponderei che neppur io la credo agevole cosa; ma la credo bensì possibile, possibilissima coil'ajuto di Dio, se conscia della tua fiacchezza ed impotenza ti rivolgerai a Lui per essere sorretta e guidata. Sì, tieni la briglia del tuo cuore in modo che sia sempre in tua mano il dirigerne e regolarne gli affetti, tel ripeto, e qualunque sia lo stato al quale ti chiamerà la Provvidenza, sarai sempre contenta e fortunata, se potrai dire; il mio cuore l'ho custodito gelosamente. Non ti fidare per pietà di te stessa, di chi ti guarda, ti ammira, ti adora! Pensa che Dio solo è degno delle nostre adorazioni: Lui adora, Lui ama, a Lui cerca dirigere sempre il tuo cuore; a Lui pensa prima di donarlo a chicchessia, fosse pure un angelo sceso dal cielo, fosse... A Dio, a Dio il tuo cuore! non lasciarne la briglia a nessuno se non a Colui che te lo ha donato così ricco di affetti, di buone inclinazioni. No, non te lo lasciar rapire: guardati dai ladri!

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Laddentro era tutta una santa cospirazione di farci buone, pie, devote, ed è unicamente nostra la colpa se non ne abbiamo profittato e se abbiamo deluso l'aspettativa di chi con tanto cuore ci educava. In collegio non c'erano tutti i comodi di casa, anzi invero talvolta c'erano anche delle mancanze; c'erano molti doveri da compiere, studj, lavori; ma alla fine tutto quello che si faceva era per educarci, e tutto era diretto unicamente al nostro bene. Lo so, figliuola, benchè molte volte la vita del collegio tu l'abbi trovata penosa, pure era dolcissima, incomparabilmente più dolce della tua vita d'adesso; ma dimmi, anzichè lagnartene, perchè non ringrazii il buon Dio il quale ha voluto rendere meno faticosi i primordj della tua esistenza, preparandoti così a subirne poi le lotte e le dolorose vicende? Oh! richiama, richiama, giovanetta, i teneri ricordi, i saggi ammaestramenti che colle lacrime agli occhi, e con un battito accelerato, sono usciti dalle labbra della tua direttrice, o di quella fra le tue maestre che meglio conosceva la via per giungerti al cuore, e segui una via diversa da quella che io t'addito, se il puoi. Se tu non hai ricevuto quei ricordi e quegli ammonimenti con una commozione (sarei tentata di dire nervosa e romantica) come si può commoversi ad una rappresentazione teatrale; se tu li hai ricevuti con una commozione vera e profonda dell'animo, essi vi avranno segnato non un solco, ma una guida; una guida che ti additerà mai sempre come meta il bello e il buono, come mezzo la virtù, la virtù, la virtù. Vuoi rinnovare al tuo cuore la dolcezza del collegio? Richiamane colla rimembranza, le pie consuetudini; vivi nel mondo come fuor di paese, e nella società ama e desidera 12 la solitudine: non s'intende già una solitudine assoluta, ma desidera di trovarti sola nella tua famiglia, fra i tuoi cari, e fa di trovarti infatti in quel caro circolo domestico tutte le volte che puoi, più lungamente che puoi. In quel circolo c'è Dio; se non vi fosse, tu ce lo dovresti condurre. Egli sarà l'anello che lega tutti i cuori; un suggello che su tutti imprimerà un medesimo amore; un nodo che tutti li condurrà in Paradiso. Accarezza e coltiva la memoria riconoscente del tuo collegio; dimentica quanto in esso ti è dispiaciuto, e ringrazia il Signore d'averti ivi procurato coltura alla mente, educazione allo spirito; ma soprattutto la tua tenerezza, per quel caro recinto e pei tuoi educatori, si manifesti collo studio indefesso di profittare mai sempre dei saggi ammaestramenti ivi ricevuti. La società, scusami questo confronto che per la prima volta mi si presenta alla mente, la società somiglia ad una splendida sala da ballo. Tutto è addobbato a festa; luce, e calore, e sfoggio circondano tutto, tutto investono, e l'occhio ammaliato si perde, la fantasia si eccita, ed il cuore si promette incomparabili soddisfazioni. La musica unisce agli altri il suo incanto, e l'anima inebriata gode e tripudia...; ma di lì a qualche ora il petto si fa ansante e il respiro difficile. La fatica, il calore eccitano soverchiamente il sangue; il corpo è sfibrato; le vesti dapprima sì vaghe e leggiere hanno perduto la loro freschezza; i fiori poco stante sì freschi ed olezzanti sono ormai avvizziti; le lumiere si spengono; la gente si ritira, e quel cuore che tanto si era promesso e vagheggiato resta vuoto, vuoto; guarda la sala, è buja; cerca il moto che prima l'animava, tutto è scomparso;... luce, calore, moto, gioja, tutto tace!... E sola, stanca, sfinita la povera fanciulla se ne torna alla sua cameretta e la trova angusta, disadorna, isolata... Avess'ella almeno il conforto di buttarsi ai piedi del Crocifisso a pregare! Egli la consolerebbe. La società, come la festa da ballo, promette e sfoggia, ed affascina, ma quanto al mantenere? Non se ne fa nulla. Se tu adunque sei obbligata di partecipare a questa società, almeno fa quando torni alla tua cameretta di trovarla cara e graziosa; fa di tornarvi più spesso che puoi, almeno col pensiero; cercavi il tuo Gesù, la tua Madonna; confidati ad essi, consolati in essi, e conserverai al tuo cuore la quiete, alla tua mente la freschezza, all'anima tua la santità, perocchè del mondo avrai toccato solo quel tanto da cui non ti potevi sottrarre senza mancare ai debiti di convenienza e talvolta di preciso dovere.

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Io spero nella bontà di quell'Iddio cui invoco continuamente inspiratore delle parole che mi sforzo ripetere piuttosto al tuo cuore che al tuo orecchio; io spero che tutto quanto di cui abbiamo ragionato fin qui ti avrà infuso un vero e salutare orrore al peccato, quindi, fiduciosa soltanto nella misericordia amorosa del nostro caro Gesù, avrai fatto una rivista della tua coscienza, e avrai deplorato quelle abitudini, quelle inclinazioni che la deturpavano ed anche solo quelle che l'adombravano, promettendo e protestando al tuo Salvatore di rigettare le lusinghe fallaci che ti si paravano dinanzi con bugiardo splendore. Ma rimarresti priva d'appoggio se rifiutando una cosa, non ne abbracciassi subito un'altra che te ne compensasse, se cioè abbandonando le illusioni mondane non ti attaccassi di proposito al Signore; tu avrai, ne son certa, fatto al buon Dio le tue proteste di voler servire Lui solo, e di adoperare tutti i mezzi per servirlo più fedelmente che per te si possa, rinunciando per sempre a tutto quanto non conduce a Lui, fine unico, meta sicura della nostra esistenza. Oh! se nel tuo cuore Iddio ha posto queste buone risoluzioni, e tu hai amore a coltivarle, vorrai certamente accogliere i miei consigli, e seguire la via che io ti indicherò per le varie occorrenze, pei diversi stati dell' animo tuo e della tua condizione sociale. Io vorrei poter spargere il tuo cammino di sole rose; ma non posso ingannarti; le rose ci sono sì ma alla meta; talvolta ne troverai anche qualcuna sulla tua strada, e sarà per incoraggiarti a proseguire il tuo viaggio; ma la strada è difficile, angusta, spinosa, nol so, nè il posso, nè il voglio dissimulare. Ma te l'ho detto e tel ripeto: il giogo del Signore è soave e il suo peso è leggiero, ed armata da un vero orrore al peccato, animata da un vivo desiderio del bene, la strada difficile, angusta, spinosa alla carne, diventerà per te agevole, cara e perfino amabile. Non credi alla veracità delle mie parole? Prova, e vedrai. Ti sei mai provata nella state a camminare per le viuzze scoscese del monti? Dimmi; talvolta la fatica della salita, il caldo, i sassi pungenti, le siepi che buttavano i loro rami intralciati sul tuo sentiero, tentavano di farti troncare a mezzo la tua ascensione, e taluna delle tue compagne ha ceduto alla tentazione, e s'è arrestata prima di raggiungere l'altezza. Ma tu pensavi:se mi fermo qui non godo le delizie del piano nè quelle del monte: avanti, avanti, lassù godrò finalmente e riposerò. Ed animata da questo pensiero hai proseguito l'erta faticosa; hai sudato ancora, hai lacerato perfino la veste; ma quando le tue forze pajono esaurite ed il tuo respiro si è fatto ansante, l'occhio tuo è colpito, entusiasmato da una stupenda veduta. Dio Vi ringrazio! tu hai esclamato, ed il tuo piede dimentico delle passate fatiche corre e folleggia su quell'amena prateria, d'onde domini i monti ed i colli che stanno a' tuoi piedi, i laghi, i fiumi, le selve, i burroni, e ti senti signora di tutto, e la tua anima spazia nell'infinito, e da ciò che vede entra nel campo di ciò che non vede se non coll'occhio della fede, e si bea in un godimento così intenso da farle disprezzare le fatiche superate per giungervi. Nè basta; il tuo corpo sente bisogno di refrigerio, tu corri in una capanna dove stanno i pastori a custodire il gregge, trovi del latte, lo bevi con incomparabile piacere da una ciotola di legno; ma quel latte ha una dolcezza non mai provata, ha un sapore, un condimento superiore ad ogni altro. Poi non sai saziarti di vedere, di visitare quei pascoli, e t'interni sotto una selva ombrosa a cogliere ciclamini, e ti sporgi su quel masso dal quale si dominano le sottostanti praterie che sono a loro volta la cima dei monti più bassi, e ti siedi all'ombra dei cipressi e dei pini, ed aspiri l'aria imbalsamata e piena d'aromi salutari, e pensi... Oh! quanti pensieri, allegri, malinconici, ma tutti belli, tutti soavi, poichè l'aspetto imponente, maestoso della natura sa inspirare sentimenti nobili e delicati; io credo che se si potesse sempre proporre la contemplazione delle bellezze naturali a colui che sta per commettere un delitto, e si potesse fermare l'attenzione sua su di esse, io credo ch'egli riporrebbe nel fodero il suo pugnale, e muterebbe i suoi propositi. Io mi sono forse soverchiamente lasciata trascinare da rimembranze soavissime, a rischio di abusare della tua pazienza; ma dimmi, se tu veramente avessi fatto quella salita, se tu veramente avessi assaporato quelle dolcissime emozioni che più volte hanno inondato l'animo mio, non avresti compassionato coloro che spaventati dall'angustia e dalla difficoltà dell'erto sentiero che rimaneva loro a percorrere, o sono rimasti a casa, ovvero a mezza via? Avresti tu rimpianto la loro facile quiete sentendoti rinnovato non solo il corpo a quell'aura vitale, ma più assai la mente ed il cuore? Oh! se non credi che la via che conduce a Dio offra alla sua meta dolcezze incomparabili, prova, prova, e troverai che Iddio nella sua misericordia ne ha sparso il cammino arenoso di oasi confortanti nelle quali troverai tanto grandi conforti, incoraggiamenti e delizie, che animosa non solo correrai, ma volerai sulla strada. Volgendoti poscia a coloro i quali non sanno vincere le difficoltà, farai di tutto per scuoterli, mentre ti muoverà il cuore un senso d'indefinibile compassione pei poveretti che non vogliono superare i primi sforzi dei quali ben presto si troverebbero largamente compensati. Sì, mia cara, i mezzi che io ti proporrò ti parranno difficili e gravosi, poichè il corpo nostro, intollerante di qualunque peso, rifugge da quanto ne ha l'apparenza, e si sobbarca invece facilmente a quanto gli s'impone senza avvedersene. Ma se tu vuoi il tuo vero bene, se odii il peccato, non c'è altra via di scampo che questa; andare a Dio e distaccare il cuore dalla terra, da tutto quanto è terreno, toccandone solo quel tanto che ci prescrive il dover nostro. Che se tu pretendessi servir Dio ed in pari tempo servire il mondo, faresti come colui che cammina sopra un letto di arena: si sforza di correre e più alza il piede, e più il piede si sprofonda nella sabbia, ed anzichè andare avanti torna indietro; finchè trafelato ed ansante si decide a raggiungere il punto più vicino di terra soda, od afferra una tavola od un ramo che la provvidentissima Provvidenza gli presenta, e gettatolo sopra l'arena cammina sovr'esso sospirando il termine che finalmente raggiunge. Sì, il mondo, la società è un banco di arena che si mostra all'occhio inesperto piano e lucente; ma quel banco esaurisce le forze, fiacca la volontà e invade di scoraggiamento chi non sa abbrancarsi alla tavola di salvamento, che a Dio riconduce. Alcuni mesi or sono allorchè mi trovavo in villeggiatura, in una gita di diporto mi recai presso all'Adda, e questa avendo deviato dal suo cammino, lasciava scoperto una parte del suo letto divenuto così uno smisurato banco di arena. Fu là che io tentai di correre, e vedendo come il mio piede s'immergeva laddentro e faticava poi immensamente ad uscirne, pensai: così è della società se vi si immerge; addio salvezza; se si ha cura di poggiarvi leggiero il piede e in certo modo la si sorvola senza attaccarvisi, allora soltanto si raggiunge presto e felicemente la meta. Quando toccai quella specie di spalto protetto dall'ombra di spessi ed alti salici che costeggia l'arena, mi volsi addietro, e meditai!... Medita tu pure; rinnova col tuo orrore al peccato le tue sincere proteste di volere veramente servir Dio, e accetta benevola la mano che come tenera maggiore sorella io ti porgo per ajutarti a superare le tentazioni non solo, ma le difficoltà che ti si frapporranno perfino nell'adempimento dei tuoi doveri. Non dissimulo un senso di timore e di vergogna nel pormi a tua guida; ma Iddio lo vuole, ed io giovandomi dell'esperienza delle mie stesse cadute ti avvertirò del pericolo, di additerò il rimedio, e mi sforzerò di parlarti con tanto amore, da persuaderti che ti amo assai, ma che in te stimo ed amo assai più del corpo infermo e caduco, lo spirito elevato ed immortale. Sì, io ti amo davvero, perchè so che da te giovinetta dipendono le sorti di quella famiglia che forse ti verrà affidata da Dio; dipendono le sorti di tutte o di molte famiglie che dalla tua avranno origine ed attinenza; dipendono infine le sorti della società la quale non è altro che un insieme di molte famiglie. Oh! se tutte divenissero come diverrà sicuramente la tua, ove tu segua l'impulso della grazia, la sociètà cesserebbe di essere un banco di arena che ritarda il piede, lo fiacca, gli rende difficile la via che conduce a Dio, quella via che conduce ad una felicità che non avrà fine giammai, e che io auguro di cuore a te, a tutti coloro che porteranno il tuo nome, a tutti che avranno qualche rapporto con te.

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Il Signore ci ha creati a sua immagine e somiglianza, e quantunque corra tra noi e Lui ben maggiore distanza che tra il nulla ed il tutto, pure noi possiamo in qualche modo trovare in noi medesimi un riverbero ed un riflesso lontano dei diritti ch'Egli ha sopra di noi, misurando quelli che noi abbiamo sopra le persone a noi soggette. Tu hai, poniamo, un numero di servi, od anche, poniamo, una sola persona la quale ha l'obbligo di prestarti i suoi servigi, anche perchè da te beneficata con grandi sacrificj; costei non ti contenterebbe punto se anzichè servirti ti oltraggiasse, e mangiasse il tuo pane per tradirti. Oh! certamente tu la rimanderesti senza indugio come indegna ed immeritevole dei tuoi favori. Ma dimmi, ti sarebbe gradita un'altra domestica la quale si contentasse di prestarti quei servigi ai quali è più strettamente obbligata, non curandosi poi affatto di secondare i tuoi desiderj, di proteggere i tuoi interessi, di tutelare il tuo nome? Lo ripeto; i rapporti esistenti fra creatura e creatura sono incomparabilmente ed immensamente inferiori e distanti da quelli che passano fra la creatura ed il suo Creatore: pure sono sicura che tu, come neppur 13 io, ci contenteremmo di una servitù così materiale, dirò anzi forzata ed ufficiale; ma cercheremmo qualcuno che non istesse a misurare proprio col compasso quanto ci deve, geloso anche di darci un punto solo di più di quanto abbiamo diritto di pretendere. Or bene, e Dio? e Dio si contenterà poi che noi facciamo strettamente e materialmente le opere esteriori di religione e di carità, senza che il nostro cuore sia interessato degli interessi suoi, vale a dire della sua gloria, della salute dell'anima? Oh! no, il Signore vuole più specialmente e prima di tutto il tuo ed il mio cuore. Sì. E poichè mi è più caro parlare dei tuoi che dei miei bisogni, ti ripeterò: il Signore vuole il tuo cuore. Egli, lo sai, non ha bisogno nè del tuo culto nè dell'opere tue per essere beato. Egli ha bisogno del tuo culto e dell'opere tue per far te beata; ma per farti beata Egli vuole anzitutto il tuo cuore. Come un corpo senza lo spirito vitale non è che un tronco morto, inutile e fetente, così un individuo senza il cuore è per Iddio uno schiavo per timore, non un figlio, e le opere sue anzichè grate, gli sono ributtanti, perchè non animate da quello che Egli vuole da noi, amore, amore, amore. Vi sono taluni i quali vanno alla Chiesa con frequenza, con frequenza vanno ai Sacramenti, con assiduità dicono pubblicamente e forse con ostentazione le loro preghiere, e credono con ciò di aver pagati i loro debiti col Datore d'ogni bene; ma se le loro pratiche non sone state animate dalla retta intenzione di piacere a Lui solo, anzichè degne di premio, saranno opere morte, quindi inutili, e non potranno meritare la mercede promessa al giusto. Che se poi taluno facesse le pratiche di pietà con ipocrisia, e solo perchè trovandosi fra persone religiose vuol comparir buono e virtuoso, guai a lui, guai! L'ira di Dio non tarderebbe a colpirlo, poichè il Signore ha già pronunciato quella gran sentenza che condannava gli ipocriti, e li diceva sepolcri imbiancati. Ma perchè parlo io d'ipocrisia con te, che sai e senti che se gli è peccato mentire agli uomini, è un sacrilegio orribile il mentire a Dio? Sì, tu lo sai, oltre all'essere enorme offesa alla divina Maestà il mentire a Dio, gli è anche un enorme inganno che facciamo a noi medesimi, poichè Dio vede l'interno, Dio conosce tutto quanto è agli altri celato, e legge nelle interne pieghe del nostro cuore. Ma ripeto, tu le sai, tu le senti queste verità, tu vuoi servir Dio perchè lo credi e lo ami; tu vuoi pregar Dio, perchè sai che da Lui soltanto ti piove ogni benedizione; tu vuoi difendere e caldeggiare gli interessi di Dio, perchè il tuo maggior interesse è quello di promuovere la sua gloria. Tu infine servi, preghi, confessi Dio davanti ai buoni come davanti ai tristi, davanti a chi te ne loda come a chi te ne biasima, nelle virtù eroiche e vistose, come nelle virtù minute e celate, poichè non hai altro movente che la tua fede in un Dio potente, la tua speranza in un Dio rimuneratore, la tua carità in un Dio amante, il quale ha dato la vita per te, e pel quale tu saresti pronta a dare giocondamente la tua. Dio vuole il tuo cuore, e tu glielo dai. Chi più di Lui ha diritto di possederlo? Ma Dio è anche buon pagatore, e largo compenso prepara alla tua offerta, col consolarlo questo cuor tuo, col migliorarlo, coll'assisterlo in tutte le sue lotte, col proteggerlo sempre, e col preparargli godimenti eterni. Dimmi: la stessa promessa del Paradiso non è un dono immensamente maggiore del tuo? E quei poveretti i quali non sanno che vi è un Paradiso, o non vogliono credervi, non sono veramente da compiangersi? Oh! davvero preghiamo molto molto per essi, e tu cerca di compensare l'eterno Amore col dono di tutta te stessa, ripetendogli ogni giorno, ogni momento: Prendete il mio cuore, prendetelo tutto, prendetelo intero anche per quelli che non Vi conoscono e non Vi amano. Prendete, o buon Dio, il mio cuore! Nè tu devi paventare di perderci e d'impoverire donando a Dio il tuo cuore, poichè anzi questo medesimo dono sarà in te inesauribile sorgente d'intellettuale e morale ricchezza, mettendoti alla partecipazione dell'istessa virtù divina, e non lasciandoti più debole, isolata nelle tue sole forze. Dimmi, e come spiegheresti tu altrimenti quei miracoli di virtù di eroismo e perfino di scienza che vediamo talora effettuarsi in certe anime privilegiate, le quali toccano la terra senza venirne contaminate? Come spiegheresti la forza d'animo, di mente, di volontà dei Padri del deserto e segnatamente di un S. Girolamo, ove tu non sapessi che lavorando essi unicamente per Iddio, toglievano da Lui quelle doti che li facevano, e li fanno tuttora, parere d'una natura superiore alla nostra? Come spiegheresti la prodigiosa attività di un S. Tomaso d'Aquino, il quale, levatosi come aquila nelle spiegazioni dommatiche più astruse e più delicate, aveva in sè una fecondità inarrivabile da far credere che, invece di quarantanove anni, abbia vissuto dei secoli parecchi in continuo lavoro? Come spiegheresti l'acume dell'intelletto e la profondità della dottrina e la dolcezza del cuore dell'autore dell'Imitazione di Cristo, di S. Francesco di Sales e di tutta quella schiera luminosa che ha parlato di Dio e difeso le sue verità? E fin qui ho toccato solo della scienza di alcuni; ma dimmi chi potrebbe noverare gli atti di sublime eroismo di tutti coloro che avendo consacrato irrevocabilmente a Dio il loro cuore, hanno avuto una partecipazione più splendida e più speciale della divinità? So che alcuni spiriti limitati ed ignoranti si piacciono di tacciare il cattolico di aver lui attribuito arbitrariamente ai Santi, coll'aureola di una santità che essi negano perchè non la comprendono, una storia fallace, od un mito, come dicono essi, da crearne degli eroi. Ma se tu sentissi uno di costoro parlare in siffatto modo, non potresti confonderlo con una sola parola, mandandolo ad esaminare quei tesori di scienza che di quelli ci sono rimasti, e sono tuttora la base su cui si fondano le scienze tutte, non solo le divine, ma altresì le scienze umane e naturali? Non si stanno adesso rimettendo in luce, riunendo e rinnovando le molteplici edizioni della grande biblioteca che è il parto della sola mente dell'Angelo delle scuole? E dimmi, chi non sa che le lettere, le scienze, e talora anche le arti, hanno avuto culla, incremento nelle case religiose, in quei conventi che or si vogliono sopprimere, perchè s'accusano d'inceppamento all'aprirsi e allo svilupparsi delle idee? Chi non sa che fin verso il duodecimo secolo i monaci soltanto hanno acceso ed alimentato il focolare delle scienze e delle lettere, e che gli stessi liberi pensatori, i quali si vantano di tutto negare e di dubitare di tutto, devono ricorrere a quegli antichi oscurantisti se vogliono saper qualche cosa delle scienze delle quali si fanno maestri? E più tardi e sempre i pittori, gli scultori, gli artisti d'ogni maniera non hanno ricorso a coloro che avevano donato il cuore a Dio, per avere eccitamento e compenso ai loro studj, alle loro fatiche? Non furono i Papi i mecenati di Raffaello, di Michelangelo, e giù giù fino a noi, di tutti gli artisti? Non l'ignoro: non si vuol più sentir parlare di Santi, nè di Papi, nè di monaci; ma io ti vorrei raccontare del sommo Alighieri, se tu già nol sapessi prima di me, come egli, il grande poeta, non isdegnava recarsi col suo quaderno sotto il braccio, da un umile fraticello per fargli rivedere, mano mano che gli usciva dalla penna, quell'apologia del cristianesimo che s'intitola la Divina Commedia. Nel XV secolo un uomo di nobile lignaggio, ma caduto in basso stato, si vedeva obbligato per campare la vita di consumare le ore del giorno e della notte in copiare, dico copiare codici e carte, e il meschino guadagno bastava appena a mantenere lui e il vecchio padre ed a guidare i fratelli sulla via del lavoro. Senonchè sotto povera veste era un'anima ricca, e tanto più ricca perchè per trovare il suo cuore doveva, risalire a Dio nel cui seno lo aveva deposto. Venne un giorno, e non fu lontano, che, morto il padre, quell'anima fremette dei vincoli già troppo lungamente subìti, e volgendo dentro di sè grandi pensieri si diresse alle repubbliche, ai sovrani ai grandi della terra per avere appoggio ed ajuto. A somiglianza del Cristo ch'egli imprendeva ad imitare, fu rimandato da un luogo all'altro e sempre senza frutto, trattato da fanatico e da visionario, finchè esauriti i meschini avanzi dei lunghi e faticosi suoi lavori, esausto di forze bussò alla porta di un monastero, a chiedervi il pane, sì il pane! Un uomo qualunque avrebbe dato la sua limosima al mendico, credendolo un mendico comune. Ma il monaco era un uomo illuminato da quel Dio cui aveva donato il suo cuore, e nel mendico fiaccato dagli stenti intravvide l'eroe e non solo fu sollecito a dargli un pane ed una veste; ma lo ricevette immediatamente nel convento, e lungi d'imporgli come credono taluni la tonaca e la cocolla, per solo amor del Signore gli prestò asilo, una ricca biblioteca, i frutti dei proprj studj e della propria esperienza ed altissimi appoggi, nè fu pago finchè non gli riuscì di metterlo in grado di porre in esecuzione gl'incompresi suoi progetti. Ecco finalmente un uomo salpare con numeroso equipaggio il grande Oceano: egli è coraggioso, perchè animato da una fede profonda, da una ferma speranza, da una carità ardentissima, e trova in Dio la forza di superare e vincere l'acerba lotta di quegli stessi uomini che dovrebbero amarlo, difenderlo, ajutarlo. Un giorno i marinari fanno una terribile cospirazione; giurano di gettar in mare il loro condottiero perchè non trovano la terra ch'egli ha loro promesso. Il nero giuramento sta per essere posto in esecuzione; ma il condottiero non è un uomo comune e riesce a sventarlo: egli chiama in ajuto quel Dio al quale ha donato il cuore, ha consacrato la vita, e forte della forza stessa dell'Altissimo acquieta l'ammutinato equipaggio, gli promette che di lì a tre giorni vedrà e toccherà la terra, e alla parola dell'uomo inspirato dallo spirito del Signore, la ciurma si piega come per incanto... e rinuncia a' suoi neri progetti. Ma Cristoforo Colombo, l'eroe dei due mondi, dove ha trovato tanta forza d'animo, tanta costanza da superare e vincere gli ostacoli pressochè infiniti che si frapposero alla sua impresa? Tu lo sai, egli l'ha trovata in Dio, perchè egli amava Dio, perchè egli ardeva di portare la fiamma del divino amore in paesi ignorati, perchè egli aveva promesso a quel Dio di piantare la croce sul primo punto di terra che gli sarebbe dato di scoprire. E con quanta commozione, con quanta solennità egli inalberasse il segno di nostra salvezza nel primo momento in cui poneva il piede sul suolo che il suo genio e il suo cuore avevano vaticinato, tu lo sai nè lo puoi richiamare senza inumidire le ciglia. Dicano pure gl'increduli ciò che loro talenta per oscurare la fede del grande scopritore e dell'ancor più grande cattolico; ma mi spieghino poi com'egli sia riuscito a sventare la tromba marina che stava per investire il suo legno, se non vogliono confessare che fu col leggere il primo capo del Vangelo di S. Giovanni, di quel Vangelo che era la sua quotidiana meditazione, l'incessante suo conforto. Mi spieghino coloro che tutto negano, mi spieghino chi ha dato a Colombo la forza di perdonare agli accaniti suoi nemici che tutto gli tolsero, tutto perfino la soddisfazione di dare il nome suo alla terra di cui egli solo aveva ideata la esistenza, e da lui solo ritrovata con inauditi stenti e privazioni. Mi dicano infine come e perchè Colombo morente volle seppellite con sè le catene dell'ignominiosa prigionia, lasciando per testamento la proibizione assoluta di vendicarle. Ove io non avessi chiara la spiegazione nell'eroismo cristiano, unico movente del grande Genovese, tutto mi riuscirebbe un enimma indecifrabile, chè tutte le ragioni umane che mi si potrebbero addurre non avrebbero maggior peso delle fiabe solite a raccontarsi ai bambini creduli ed ignoranti. E poi si dirà che l'aperta professione del culto cattolico è la risorsa delle piccole menti? E poi ci sarà chi avrà l'impudenza di vergognarsi della propria fede, quando i suoi campioni sono stati pure i campioni dell'umanità? E poi si dirà che consacrare a Dio il proprio cuore sia opera inutile, o meschina, o minuta, necessaria od utile soltanto ai claustrali? Oh! tu, come Colombo, dà a Dio il tuo cuore, e come lui guadagnerai nel donare, poichè n'avrai in ricambio la più ampia benedizione! Scusami, è tanto bello l'esempio di Colombo che mi sono lasciata tentare a parlartene troppo lungamente, e mi ci vuole una specie d'eroismo a troncare a mezzo tutto quanto potrei dirti di lui. Ma il buon Dio, il quale ha permesso ti ragionassi di un suo servo che sarà probabilmente innalzato all'onor degli altari, avrà io spero, infuso nel tuo cuore una salutar vergogna della tua vergogna istessa nel professare apertamente e pubblicamente le tue convinzioni religiose non solo, ma benanche nell'osservarne le pratiche. Gli uomini superbi i quali non vogliono piegare la fronte dinanzi a Dio, la piegano poi dinanzi a quegli altri uomini che son loro superiori; il cristiano invece, no, non la piega mai la fronte all'uomo, ma al solo Dio, la di cui autorità soltanto venera ed obbedisce in chi ne è investito. Dunque, figliuola buona, facciamoci coraggio amendue: tu in ascoltarmi efficacemente e con amore, io in ripeterti quanto la cara Madonna mi suggerirà pel tuo vero bene. Oh! perchè non ho il genio penetrante del gran vescovo di Ginevra del quale oggi corre la festa? perchè non ho l'unzione della sua parola per trasfondere nell'animo tuo un salutare orrore al peccato, una volontà energica di tutto donare a Dio il tuo cuore, di agire unicamente per Lui, e il proposito fermo di diventare tosto santa e il più possibilmente gran santa? Esaudisca il Signore le mie fervide preci, e tu sarai non solo una damigella modello e l'angelo della tua famiglia; ma diverrai altresì l'angelo salvatore della società. Tel ricorda sempre: Dio vuole il tuo cuore!

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Il Signore non ha bisogno di noi; ma noi abbiamo bisogno di Lui, e per questo il nostro interesse richiede che noi stiamo sempre a Lui uniti in tutte le opere nostre, almeno colla volontà e col cuore. Ti diceva poc'anzi che con poco o nulla ci possiamo acquistare meriti per il Cielo, e te lo provo. Le occasioni di far del bene non sono frequentissime, e meno frequente è ancora il caso che noi ne possiamo profittare, perchè ce ne mancano sovente i mezzi, o ci fa difetto la salute, ovvero manchiamo del necessario, oppure siamo vincolati da occupazioni obbligatorie, o cento altre circostanze vi si oppongono. Non possiamo prestare continuamente servigi al prossimo, nè continuamente essere promulgatori della gloria di Dio; ma continuamente possiamo rendere gloria a Dio ed acquistarci dei meriti, se questo è il fine principale ed il movente vero di tutte le nostre azioni. Potrei aggiungere che questo fine e questo movente ci presentano una grandissima utilità anche perchè, finchè siamo inspirati da essi, siamo in certo qual modo impossibilitati a fare il male: quando io sto per commettere un peccato, la stessa abitudine di riferire a Dio ogni mia operazione mi farà avvertita che quella che sto per fare è cattiva, e mi distorrà quindi dal farla. Ma senza dilungarmi in questo, almeno pel momento, ti faccio osservare che perfino il riposo, il sonno, il divertimento, possono divenire per te occasione di merito, se hai la retta intenzione di piacere a Dio solo. Egli è buon pagatore sai, e non guarda alla grandezza del dono, sibbene al cuore con cui gliel'offri, benchè piccolo e di niun conto. Io vorrei che ogni giorno, almeno la mattina durante la meditazione, che non lascerai mai e poi mai, non colle parole che io scrivo, ma con quelle che ti detterà il cuore, ordinate o no, intere od interrotte, in una lingua o nell'altra, a voce alta o senza muovere le labbra, ma con profondo sentimento, io vorrei che tu dicessi a Dio:Signore, tutto quanto io faccio di buono o d'indifferente, di obbligatorio o di volontario, io tutto lo offro e lo dedico a Voi, affinchè spruzzato dai meriti vostri il mio operare sia retto e si attiri la vostra benedizione. Tutto per Voi, tutto per Voi, niente per me, niente pel mondo, nè pel demonio, nè per la carne. Questa che ti ho indicata è, mi pare, una specie di economia spirituale, pel cui mezzo possiamo farci dei meriti con poca o niuna fatica, e procurarci una salvaguardia per non cadere abitualmente in peccato; ma vi hanno altri casi in cui la retta intenzione ci è più che mai indispensabile ed urgente per tenerci sulla via della virtù e della giustizia. Il nostro corpo e l'anima nostra sono opera delle mani stesse di Dio e del suo fiato poichè il nostro corpo non lo fece come quello delle altre creature con un atto solo della sua volontà, ma lo plasmò Egli stesso colle sue mani; indi a questo corpo, fattura di un Dio, inspirò un alito vivificatore, e quest' alito metteva in lui la vita, e colla vita lo dotava di un'anima ragionevole e suscettibile di tutte le virtù, perchè foggiata a sembianza e similitudine del suo Creatore. Non ci rechi adunque meraviglia se con un corpo ed un'anima fatti a somiglianza di Dio, noi troviamo talvolta e sempre in noi medesimi alcunchè meritevole di lode, e non poche disposizioni virtuose. Ma qui appunto sta, io credo, un grande pericolo, in cui l'ignoranza troppo universale di quasi tutte le persone, anche d'altronde più colte, non manca di cadere. Taluno si crede in obbligo, sotto pena d'orgoglio, di negare le proprie buone qualità, e così non di rado si trova in aperta e dichiarata opposizione al vero. Ciò accade, per esempio, quando taluno essendo e riconoscendosi tenero ed affettuoso di cuore, si dichiara duro ed insensibile; donando tutto il suo ai poverelli, si dice attaccato di avarizia; avendo ricca la mente di svariate ed utili cognizioni, si protesta idiota; e così si dica delle molteplici menzogne e vere finzioni che una malintesa umiltà ci fa commettere, a vero sfregio della verità e della giustizia. Lo stesso potremmo dire delle doti esteriori della persona, della nascita, del grado e così di seguito degli innumerabili doni della Provvidenza alla quale dobbiamo esserne grati. No, la colpa non istà nel conoscere i beni da noi posseduti, nè senza colpa e rimorso possiamo ripetere coll'Uomo del Monti: ... - Io, son io, v'è sculto Delle create cose la più bella. - La colpa, o dirò meglio il pericolo, sta nell'attribuire a noi anzichè a Dio i beni che possediamo, per cui aveva ragione il vescovo di Ginevra di dire che chi si gonfia di quanto possiede, ed è dono di Dio, è simile al ciuco che crede suoi i tesori del suo padrone perchè li porta in groppa, e la cui valdrappa dorata ricopre la naturale bruttezza. Tu, figlia mia, se ti senti pungere il cuore da vanità perchè havvi chi trova il tuo viso grazioso e il tuo portamento leggiadro, ringraziane iddio; tutto e anche la naturale bellezza è un dono suo; ma in pari tempo forma l'intenzione di non adoperar mai a mal uso questa grazia, bensì di servirtene a gloria sua, cercando che la bellezza interiore non solo la uguagli, ma di gran lunga la superi. E quanto io dico di questo, si dica di tutti i vantaggi della intelligenza, dello spirito e del cuore, ed ogni cosa riconoscendo dalla liberalità divina, cerchiamo di non rendercene indegni e di porvi ostacolo colla nostra poca o cattiva corrispondenza. Mi pare così ovvia, così evidente la verità accennata, essere cioè vanità vanissima quella d'insuperbirci di ciò che non è nostro, ma abbiamo ricevuto senza alcun nostro merito, come dono puramente gratuito, che penso di lasciare alla tua meditazione sviluppare meglio l'argomento, sicura che il buon Dio agli altri doni vorrà aggiungere questo d'infonderti una salutar confusione per la tua nullità, pensando come tutto e fino questo sentimento ti viene da Lui. Un pericolo più grande per la nostra perfezione, il quale tenta deviare il merito delle nostre buone opere, si è lo spirito di proprio contentamento, di vanità, d'orgoglio, d'interesse; e spesso uno spirito complessivo di queste grame qualità, o doti, o tentazioni come le vogliamo chiamare, guasta ogni nostra buona azione. Poniamo che io mi metta a fare una carità grande, di' pure quella, per esempio, di salvare dall'inopia un'intera famiglia, e toglierla così ancora all'imminente pericolo di peccare. Se io, secondando, se vuoi, anche una felice tendenza dell'animo mio, intendo con ciò di dar lode al Signore, Egli me lo attribuirà a merito grande, e nel giorno del gran rendiconto troverò che il Signore mi cancellerà i debiti miei per l'opera buona che avrò fatto: se invece io nel fare la mia carità, anzichè pensare a soccorrere nell'uomo la creatura figlia di Dio, penso a secondare unicamente l'impulso del cuore, o ad ottenere lodi o ringraziamenti, te l'ho già detto, io non posso attendere dal Signore alcuna mercede. Ma talvolta s'incomincia con buona intenzione, poi alla buona intenzione subentra l'intenzione difettosa o cattiva o pessima, secondo che siamo più o meno trascurati a tenere di vista il nostro fine unico. Insomma tutto si riassume in ciò: non facciamo nulla per contentamento del nostro amor proprio, o della carne, o delle passioni; ma in tutto teniamo fissa la retta intenzione. Questa sia il timone, la calamita, il polo, che guida il nocchiero alla sua meta; se il nocchiero trascura questi mezzi non potrà mai salvarsi dalle procellose onde del mare infido, senza una straordinaria grazia di Dio, vorrei quasi dire senza un miracolo. Mia dolce sorella, mia tenera figlia, se tu avrai sempre in mente di mirare a Dio solo, la tua vita correrà serena, e sul tuo capo si accumulerà un tesoro di meriti e di benedizioni. Oh! sì, io ti auguro col cuore che tu possa raggiungere un grado elevato di virtù e di santità in questo mondo, e una bella corona in quell'altro mondo, il quale non come questo è pianeta e satellite; ma immensamente e incomparabilmente grande e beato non andrà come questo soggetto a leggi fisse, indeclinabili e penose, nè ad alcuna vicenda. Ti potrà ben accadere alcune fiate che colla miglior intenzione tu non riesca a quanto avevi desiderato e fors'anche iniziato, e per cui avevi fatto dei grandi sacrificj: forse il mondo se se n'accorge ti deriderà, o ti darà quell'amaro compatimento che più ferisce dello stesso biasimo; ma se la tua intenzione sarà stata unicamente di piacere al Signore, Egli che non ha bisogno dell'opera tua, ma desidera solo il tuo cuore, sarà contento del tuo buon volere, e ti preparerà in Paradiso un seggio più luminoso anche per la negazione che hai avuto di ogni soddisfazione umana. Voglio provarti quanto dico con un confronto. Una bambina all'avvicinarsi della festa della sua cara mamma, volge in cuor suo un tenero e delicato progetto che tutti assorbe i suoi pensieri ed interessa il suo cuore. Ella vuol far festa alla cara genitrice; trova modo d'incominciare un lavoro da offrirle, e si bea pensando alla buona accoglienza ed il piacere col quale verrà ricevuto. Essa, la fanciulla, lavora lavora; il suo ricamo è finito,è ben riuscito, e la domane appena il sole comparirà sull'orizzonte, essa lo presenterà alla cara mamma e ne riceverà cento baci. Una combinazione qualunque, una mano indegna ha sciupato quel lavoro o lo ha rapito, e la fanciulla dopo tanta fatica si trova la domane senza nulla avere da presentare alla diletta sua. È mortificata la piccina, si vergogna, si desola; la madre però ha saputo, od almeno ha indovinato tutto, perchè ha visto il pianto della figliuola, ne ha indagato la ragione, l'ha trovata. Corre essa medesima in camera della figlia che se ne sta in pianti, l'abbraccia, la colma di carezze, e piange essa pure di dolce commozione... Aveva bisogno la madre di quel lavorino, di quel ricamo? No, essa voleva il cuore della figliuola, essa si è trovata in possesso di quel cuore; è contenta, è soddisfatta, non cerca di più. Non ravvisi tu, amica mia, l'amor tenerissimo del tuo Dio, nelle tenerezze matterne di colei di cui t'ho parlato? Non ravvisi tu nella sua soddisfazione quella del tuo stesso Signore, quando, benchè non riuscita un'opera, tu l'hai pensata, iniziata, condotta con o senza esito, ma col solo intendimento di fargli piacere? Su, coraggio, figliuola; disprezza le tentazioni che il nemico ti crea all'intorno affine di persuaderti che agisci per lui e non per Iddio. Leva alto il tuo cuore, e quando ti ondeggia l'animo e temi e tremi di essere mossa da un interesse tuo particolare, o dal desiderio del plauso, o da qualunque altro fine terreno, leva alto il tuo cuore, e ripeti a te stessa: per Iddio, per Iddio, e la medesima tua lotta diventerà per te preziosa occasione di merito. Se il mondo ti troverà affettata perchè non comprenderà l'eroismo che non divide, tu lo sopporterai volontieri, poichè è ben giusto tu paghi con qualche sagrificio la immensa soddisfazione che t'inonderà l'animo quando avrai coscienza di aver fatto il dover tuo. Mia dolcissima amica, ricordati di non fare mai, mai nulla che tu non possa offerire a Dio, onde non aggravare la tua coscienza e fare cosa a Dio discara. Non fare mai un'azione qualunque buona od indifferente, senza formare l'intenzione di servire Colui, al quale tu devi tutta te stessa e tutte le opere tue, ed ogni volta ti accorgi che lavori per te stessa o per gli altri, raddrizza il tuo timone, guarda il Cielo, e ti sentirai forte e vigorosa a condurre felicemente a termine ciò che fai se è cosa penosa, ed a godere con animo lieto quanto di buono ti si presenta nella vita. Io credo di sì grande rilievo questo punto della retta intenzione, che non finirò mai di raccomandartela, poichè se essa si troverà in te, tu sarai sicura che credi in Dio, che speri in Lui solo, che lo ami davvero. Lo dico un'altra volta; l'occasione di fare azioni grandi e generose si presenta rare volte, e resta poi anche a vedere se allorchè si presenterà noi avremo l'eroismo di profittarne; mentre nell'operare rettamente le azioni più comuni della vita consiste il vero merito di noi, che meschine, non sappiamo nè possiamo aspirare a servir Dio con opere straordinarie ed eroiche. 15

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Riepilogando quanto abbiamo assieme meditato nei decorsi giorni, tu devi amare soprattutto le mura domestiche, le quali ti chiamano, ti invitano a stabilirvi il tuo regno di saggezza, di criterio e di cuore. Oh! sì, il cuore dev'essere sovrano e magnanimamente buono, e il cuor tuo lo sarà perchè l'hai da lunga pezza donato a Dio, ed Egli te lo ridonerà arricchito d'ogni virtù. Per esercitare convenientemente la principale missione della donna e quindi la tua, non ti devi lasciar adescare dalle teorie, che ti si vanno vantando d'emancipazione e di libertà, le quali sono così dissimili dalle teorie della vera emancipazione e della libertà vera, quanto distanno fra di loro una scheggia di vetro da un diamante d'immenso valore. Poi tu devi aver care le occupazioni domestiche, non averle in uggia, e devi prendere sulle tue spalle allegramente quelle che la padrona 17 di casa ti assegna, e quelle che conosci utili o necessarie; intanto ti persuaderai di assumere poi l'intera direzione della famiglia, quando maritata o no, vedrai e conoscerai che la puoi e la devi reggere. Ma qui debbo osservarti che sempre, o quasi sempre, ti sarà giovevole deferire questo incarico alla sposa di casa, od alla madre, od alla suocera, qualora tu fossi appena cognata, od anche essendo sposa, avessi altra donna in casa più anziana di te. Allorchè penserai alla gravezza dell'impegno della direzione, amerai molto meglio obbedire che comandare. All'obbedire ti è facile la via, perchè ti viene segnata da chi o è più pratico di te, o ne ha ricevuto comecchessia il mandato dal Signore, mentre il comandare costa una responsabilità che non sapresti sostenere ove non ti fosse obbligatorio prendere tu le redini, e non avessi ricevuto in conseguenza da Dio i necessarj ajuti. Per porti in grado di disimpegnare convenientemente le occupazioni domestiche, ti bisogna addestrarti da lunga mano nei lavori femminili, perchè oltre che questi ti potrebbero un giorno diventar necessarj a guadagnarti il sostentamento, ove la tua posizione finanziaria venisse scossa, ti sono e ti saranno sempre indispensabili per saper comandare e dirigere. Io credo che la donna non meno dell'uomo non debba mai perdere nè trascurare la buona occasione di apprendere qualche cosa di bene, poichè ogni utile cognizione le può diventare utilissima o in sè stessa o come scala ad altre cognizioni più pratiche; figurati poi se il lavoro d'ago non è sempre per essa non solo una risorsa ma una necessità! Mi pare, o piuttosto dubito che tu non sii ben persuasa di quanto io affermo; ma dimmi un un po', mia cara, dovrai tu sempre ricorrere a qualcheduno per accomodarti la veste, o la camicia, od i guanti? E fossi tu pure una gran dama od una principessa, dovrai tu sempre essere obbligata a ricercare l'altrui ajuto se ti occorre di dare un punto, per riparare ad uno strappo o per fare un lavorino di tuo genio? E poi, se questo mio libro fosse anche destinato ad andare nelle mani di una regina, io scriverei ugualmente che ella pure può scadere dalla sua altezza, che ad essa pure come donna non è permesso ignorare quanto forma la principale occupazione dell' altre donne, e che a lei pure sarebbe imperdonabile porsi in condizione di non saper giudicare di un lavoro femminile, quindi di non saper quanto vale e quanto merita... Ma tu non sei una regina, e s'io debbo pensare al maggior numero delle mie lettrici, nel quale probabilmente tu sei compresa, aggiungerò che non solo ti è necessario saper lavorare per le eventuali combinazioni, ma esserti necessario lavorare di fatto e tenerti ben bene addestrata a questo importante esercizio; se non hai bisogno per te stessa e per la tua famiglia, non avere in uggia di lavorare camicie, calze, indumenti destinati a riparare dai rigori del verno tante povere creature che gemono, che piangono... E ti parrebbe mal fatto la sera, nella conversazione, allorchè i più vecchi giuocano o parlano, tirar fuori di tasca un merletto, un ricamino? Credilo a me; molte ma molte volte quel merletto o quel ricamino, oltre all'esserti utile in sè stesso, ti toglierà altresì dall'imbroglio di un nojoso discorso, o compromettente, o peggio. Sì, sì, credilo a me, non è di cattivo genere vedere una signorina lavorar di trapunto o di maglia quando gli altri si perdono in pettegolezzi, od in chiacchiere inutili e forse in mormorazioni! Poi oltre a queste ragioni ve n'ha una che a tutte le altre sovrasta, ed è che una buona figliuola è obbligata a prestare il suo ajuto anche materiale in famiglia, non solo nelle grandi occasioni le quali si presentano di rado; ma tutti i giorni, a tutte le ore, essa deve esser pronta a fare quel lavoro che richiede il bisogno, o le è comandato da chi sta al governo della famiglia. L'operosità è un preciso dovere per tutti, ed io credo sia dir molto ma molto male di una donna o di una fanciulla, quando la si dice pigra ed inerte. Se la giovinetta è lenta al lavoro e tarda alla fatica, come potrà poi divenir capace di guidare quella famiglia che le sarà destinata, e quale persona di proposito potrà fare assegnamento su di lei per cavarne una buona sposa? È proverbiale ma verissimo quel detto: chi non sa fare non sa comandare. Ed infatti se tu darai a cucire biancherie o vesti, e non saprai tu stessa come si eseguiscano tali lavori, e quanto tempo e quanta applicazione richieggano, non ne saprai apprezzare il merito, e dipenderà dal capriccio del momento che tu li esalti al terzo cielo e li paghi più assai di quello che valgono, o li disprezzi e non li paghi, o non voglia pagarli un terzo del loro valore. Colle donne di casa, colla servitù, con le operaje, diventerai ridicola e cercheranno gabbarti se vedranno di poter fare a fidanza coll'ignoranza tua nei lavori muliebri; mentre se sanno e vedono che tu sai com'esse tener l'ago e l'uncinetto, ti avranno maggior rispetto e maggior obbedienza, e non si vedranno passare da casa tua le persone di servizio, come una fantasmagoria, ovvero come quelle vedute che si cambiano l'una dopo l'altra dentro le lanterne magiche per divertire i bambini. Insomma, persuaditi davvero che il lavoro di mano ti è indispensabile per cento, anzi per mille ragioni, e se pure una parte della tua giornata la vuoi, e senza incomodo dei tuoi di casa la puoi dedicare allo studio, studia in buona pace; ma, ti prego, non isdegnare di mettere tratto tratto il ditale sul dito, di accudire tu stessa alle faccende ed ai lavori domestici: ti troverai meglio al tuo posto, perchè sentirai di adempiere al tuo dovere, e questo ti farà avere la coscienza tranquilla. Ed anche vorrei dirti un'altra cosa che mi preme assai, e la vorrei imprimere bene nella tua mente. Lavora, lavora più che puoi; e fra i tuoi lavori preferisci sempre i lavori utili a quelli di puro ornamento, perchè oltre al vantaggio che ne ricaverai tu stessa e la tua famiglia, questo ti abituerà a cercare in tutte le cose il lato serio ed importante. Non è più bello ed onorifico lavorare una camicia che ripara e copre te stessa, un tuo fratellino, o forse un poverello, di quello nol sia un ricco addobbo, od un gingillo da ornare una sala od un gabinetto? Non intendo con questo proibirti il trapunto; no, perchè so bene che tutti abbiamo bisogno di variare le nostre occupazioni, e di prenderne alcune di genio e di divertimento; ma intendo persuaderti che non devi consumare in queste il meglio ed il più del tuo tempo. Abituati a lavorar molto, o giovinetta, ed apprenderai e ti abituerai a quella prodigiosa attività che ti fa tanto meraviglia in signore pregevolissime, ch'io t'auguro di ammirare non solo, ma d'imitare. Oh! potessi io renderti damigella e dama virtuosa ed invidiabile! Non voler, te ne prego, deludere le mie speranze.

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Ma questo Gesù in forma umana è vissuto una sol volta sulla terra; noi non abbiamo il benefizio di sentire la sua parola viva, di ascoltare i suoi dolci ammaestramenti; ma non è con noi nel Sacramento? Non ci resta il Vangelo? Oh! il Vangelo è l'acqua che lava ogni lordura; è il balsamo che sana ogni piaga; è l'alito che vivifica, che ricrea, che rinnova. Il buon Dio mi ha chiamata all'alto ministero di spiegarti la sua parola di amore, d'insegnarti come devi diportarti nella famiglia e nella società; ed io nella confusione che Iddio abbia voluto scegliere un mezzo cotanto basso per un fine sì alto, mi piego all'ubbidienza, lascio libero sfogo alla sollecitudine grandissima che mi desta nel cuore l'età delle speranze, che è appunto la tua, e ti parlo. Nei tuoi sfoghi tu hai detto lagnandoti quasi,che faccio? Io te lo dirò, mia cara, o piuttosto non io te lo dirò, ma tel dirà al cuore col mio mezzo la cara Mamma nostra Maria, quella Vergine benedetta che ci ama tanto e che io prego m'inspiri tutto quanto può e deve riuscire utile alle anime delle care giovinette. Sì, in voi è la speranza della famiglia, della società, della patria, in voi, fanciulle, che avete lunghi anni a voi davanti, e dovete e potete recare al mondo l'esempio, il conforto, l'appoggio che solo può dare la vera virtù. Che faccio? Domani, mia cara, ti risponderò: oggi rialza l'animo tuo abbattuto, rianima il tuo cuore; abbandonati nelle braccia della Provvidenza, di quella Provvidenza che ci è madre amorosa, e vivi sicura: tu sarai piùforte che oste schierata in campo contro i nemici della tua salute.

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Non ne abbiamo noi una prova, un esempio luminoso nel Vangelo? Marta e Maddalena avevano l'inestimabile ventura di bere dalle stesse labbra del loro Maestro ed amico quelle istruzioni che a noi costano tanta fatica e che dobbiamo raccogliere quasi a stento. Marta seguace fedele dei precetti del Nazareno era interamente dedita alla direzione dell'azienda domestica e menava una vita cristianamente e santamente attiva. Maddalena invece s'immergeva in lunghe meditazioni, piangeva le passate colpe, pregava per sè e per gli altri, conducendo una vita quasi esclusivamente contemplativa. Pure amendue sono piaciute al Signore, amendue hanno meritato ch'Egli operasse per esse il grande miracolo della risurrezione del loro fratello Lazzaro, e Marta e Maddalena sono entrambe sante e gran sante. A chi dunque ti verrà susurrando all'orecchio, come già il serpente ad Eva, che sforzandoti di correggere il tuo carattere subirai una tortura che ti lascerà slogata e sformata, non porgere ascolto; ma ripeti a te stessa le parole del Salvatore: Siate perfetti com'é perfetto il Padre mio che è ne' cieli. Pensa piuttosto che ad ogni vizio si oppone una virtù; pensa che il Signore, straordinariamente buono, permette che, nella pratica delle virtù tu scelga quelle cui ti senti più inclinata; pensa che Egli ti aiuterà nei tuoi sforzi, ed operando tu rettamente, Egli sarà costantemente al tuo fianco a difenderti, ad appoggiarti. Se talora lo scoraggiamento tenta impossessarsi di te, alza gli occhi al Cielo, e medita che lassù portano l'aureola della santità uomini e donne d'ogni età, d'ogni condizione; gl'idioti come i dotti, i sudditi come i re, quelli che hanno coltivato la terra, come quelli che hanno coltivato l'ingegno, quelli che hanno dato pane all'affamato, come quelli che hanno portato la parola della verità all'ignorante, quelli che hanno tollerato pazientemente ogni ingiuria, come quelli che hanno difeso colla parola, colla penna e colla spada le verità evangeliche. Leva il tuo sguardo al Cielo, cerca fra tutti i Santi uno che più si confaccia alla tua capacità ed alle tue inclinazioni, prendilo a modello, e fanne il tuo Santo protettore; non ci avevi mai pensato? Pure credilo; infonde un sovrumano coraggio la sicurezza che altri nelle nostre condizioni fisiche, morali ed intellettuali si è abbassato tanto da meritare di essere da Dio innalzato al seggio dei Santi! Quando tu avrai cercato e trovato una Santa che ti proponi e prometti da imitare, replica come S. Agostino: Quello che hanno fatto altri e perchè nol potrò far io? Credi, credi, mia tenera, mia dolce amica; se tu ragionerai in questo modo ed agirai conformemente, le difficoltà che ti presenta il tuo carattere, a volte ostinato e caparbio, a volte fiacco e irresoluto, e va dicendo; quelle difficoltà scompariranno, o se esisteranno tuttavia, non sarà per altro che per rendere più meritorio il tuo trionfo. Credi, credi, se tu agirai in questa maniera, tu saprai evitare gli scontri dei diversi caratteri che, senza la tua virtù, si urterebbero e finirebbero collo spezzare l'armonia domestica e con essa il buon andamento degl'interessi, la saggia educazione della famiglia, per diventare scandalo e pietra d'inciampo ai fratelli, ai figliuoli, ai famigliari. Per dirti una parola che ti possa richiamare soventi volte al pensiero l'importanza del correggere il tuo carattere e di sopportare in pace l'altrui, scrivi sul tuo cuore quella che sto per dirti e che ripeterai sovente a te stessa: Voglio, fermamente voglio migliorare me stessa, e voglio sopportare in pace gli altri. Poi volgendoti a Dio digli col cuore:Signore, se Tu vuoi puoi mondarmi.

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Tuttavia, siccome ogni cosa tanto più ci è cara quanto più ci costa, e tu ed io abbiamo più prezioso e custodiamo più gelosamente un giojello quanto è più elevato il valore che rappresenta, così questi rapporti domestici che ci costano molti sacrificj e molte pene, ci sono più degli altri fecondi di soddisfazione e di gioja, perchè già questo mondo è un'altalena, e su quest'altalena tutto è poggiato. Pene da una parte piaceri dall'altra, e se la parte dei piaceri, come la meno abbondante o la più scarsa, appunto perchè l'altra trabocca, sta quasi sempre più vicino al cielo, gli è per significarci che dobbiamo tollerare non solo, ma sopportare i dolori, perchè ci procurano i piaceri, e perchè ci avvicinano al cielo. Chi non lavora non riposa, e così chi non ha dolori non ha gioje. Non mi fare il broncio, figliuola, se ti parlo tratto tratto di dolori; se dipendesse da me sceverarne la tua vita, pur lasciandotene pieno il godimento, credilo, lo farei; ma come l'antitesi fa figurare più quanto si vuol porre in evidenza, così appunto è e si dice piacere quel fatto o quella cosa che posta di fronte al dolore procura il piacere e lo conserva. Poche sono le cose assolutamente belle, buone, piacevoli o sgradevoli; ma quasi tutte lo sono relativamente. Se tu vai cercando la gioja assoluta, ahimè! tu non la troverai mai sulla terra, l'avrai solo in cielo! Ma grazie a Dio, anche il dolore ed il sacrificio sono sempre relativi, e per chi crede in un Ente provvido, amoroso e rimuneratore, al dolore trova commista la gioja, e vera gioja quanto meno sperava rinvenirvela. Ti ho fatto un lungo esordio, che a te forse è di peso e di fatica, ma che al mio cuore è stato un vero bisogno; che al mio cuore è stato caro come uno di quegli intimi colloqui nei quali l'amica si trasfonde nell'amica, la madre nella figlia... Vieni, vieni con me, o giovinetta, lascia ch'io ti parli liberamente e t'insegni come devi regolarti in famiglia e fuori, affinchè pur vivendo nella società, tu divenga l'angelo della pace, del conforto, ed insegni coll'esempio che la santità non è rustica nè selvaggia, ma amabile, civile, e lascia la benedizione dovunque tocca e passa. Te felice se hai ancora i tuoi nonni! Come t'invidio questo gran bene! Come ti auguro ti sia duraturo! Tutto quanto ti ho detto riguardo ai tuoi genitori vale anche per essi, se non in modo veramente assoluto, certamente in un modo quasi assoluto. Rispettali, amali, servili quei cari vecchi, i quali tu vedi oggi colle rughe sul volto, colle chiome rade e canute, col corpo cadente, colla voce tremola o fioca, con tutta l'apparenza, e pur troppo non fallace, di un edificio che si va sfasciando, e non tarderà molto a cadere, e quindi a poco scomparire affatto dalla scena della terra. Oh! quei cari vecchi quanto ti debbono esser cari, quanto devi tu fare per non accelerare quello sfasciamento, per prolungarne ed allietarne la vita, per conservare a te medesima la loro presenza! Quel volto raggrinzato era fresco una volta come il tuo, e su quella fronte passarono come sulla tua le più ridenti speranze, il riso inconsiderato della giovinezza. Quelle chiome erano brune o bionde una volta come le tue, e scendevano su di un corpo agile e robusto, dal quale usciva una voce sicura, e quell'edificio che ora minaccia rovina, era altre volte elegante e venusto e prometteva di non più cadere. Ora l'aspetto della debolezza dei tuoi nonni, non deve di un punto solo scemare la tua riverenza, ma la debb'anzi accrescere, poichè essa è piena dell'esperienza della vita, ed ai tuoi nonni vanno debitori i genitori tuoi della loro esistenza, quindi ad essi tu devi la tua: sul loro cuore pesano gli affanni tuoi e dei tuoi parenti; sul loro cuore, benchè alle volte travisato, o celato, siede un amore potentissimo per te, una vera gratitudine per quanto tu fai per essi, ad onta che vi ti stringa un obbligo sacro. E gli è di questi cari vecchi, di questi che rappresentano la sorgente che ti ha generato, che rappresentano molto dappresso la Provvidenza di Dio che da lungi ha pensato a te, che da lungi ti protegge; gli è di questi cari vecchi che tu peni a tollerare i difetti, e perfino qualche volta la vicinanza? Oh! perdonami, tu non hai cuor sì cattivo; ma tanto è lo strazio che mi fa quella specie di profanazione di cui si fanno rei certi figli snaturati, che non posso a meno di toccare di alcuni, se non altro per aumentarne in te l'orrore. Certuni ardiscono farsi belle della nonna o del nonno, perchè educati forse alla buona, od anche grossolanamente, sono un po' in arretrato nella scienza e nella pratica del mondo elegante, e con una certa noncuranza inerente alla loro età si permettono di dir su spropositi a josa. Non dico che i giovani debbano essere contenti di un simile inconveniente; ma dico e pretendo che compatiscano i vecchi, mentre più assai sono degni di compianto quei giovani i quali non sanno nulla concedere a coloro che indeboliti dagli anni e dai lunghi sacrificj hanno diritto di essere rispettati anche nelle scabrosità del loro naturale. Se io potessi o dovessi parlar loro, non esiterei ad esortarli a voler essere più cauti nel discorrere di cose che non conoscono o conoscono poco o male; ma dovendo parlare invece alle figlie dei loro figli insisto nel pretendere sia usata loro la più grande amorevolezza e carità, poichè se quell'intelligenza è oggi scarsa e sbiadita, quella dei figli loro diverrà per avventura più sbiadita un giorno, e forse prima che la vecchiezza giunga coi suoi acciacchi! Certuni ardiscono farsi beffa della nonna o del nonno, o di entrambi, perchè trascurati, zotici qualche volta nel muoversi e nel vestire, hanno il tabacco sul viso e si abbandonano ad atti che la civiltà non permette; ovvero perchè gli anni e le infermità li hanno resi deformi o difettosi li coprono di ridicolo e perfino talvolta di disprezzo o di scherno! Indegni! indegni! La terribile maledizione da Iddio scagliata contro lo snaturato figlio di Noè che ardì deridere il padre, non vi spaventa, non vi agghiaccia il cuore, non vi riduce a miglior consiglio? Ma Noè ebbe altri due figli, uno dei quali toltosi il mantello coprì il padre e lo difese e lo compensò dell'onta a lui recata dal fratello; quel figlio pietoso fu benedetto da Dio, benedetto fino alla più tarda generazione. Quell'Iddio benedice te pure, mia buona amica, sì, benedice te pure che amorevole, riverente, premurosa ti studii attorniare delle più solerti cure i tuoi avi, e copri di un velo i loro difetti; che, angelo del buon consiglio, con una di quelle arti che non s'insegnano, che non si apprendono altrove se non nel Cuore del nostro Gesù, inspiri loro di evitarli, rendi contenta la loro tarda età, nascondendo loro pietosamente tutto quanto può dar pena, procuri ad essi tutto quanto li può consolare. Sì, su te cade, su te riposa, tutta ti circonda la copiosa benedizione del Dio tre volte santo, e vivi sicura! per quanto il dolore possa venire a trovarti, la tua esistenza non perderà mai la pace, e la gioja e la calma non saranno mai straniere all'anima tua. Ho tutt'ora sott'occhi l'esempio di una famiglia una volta gaudente, prospera, felice, oggi miserabile, sconnessa, turbata. Erano due sposi circondati da tre carissimi figli, sani, intelligenti, affettuosi; gli affari andavano a gonfie vele, e l'industria del meccanico loro fruttava onore e guadagno oltre ogni speranza. Ma vi era una vecchia madre trascurata, sprezzata, alla quale quasi per elemosina si gettava un pezzo di pane ed una scarsa borsa che, se bastava appena a toglierla dall'indigenza, era ben lungi dal toglierla dal suo abbattimento, dall'avvicinarla, e dal comunicarle il benessere e la gioja comune. Io ero allora fanciulla, ed allorchè quella vecchia signora sfogava il suo cuore colla mia mamma, ed io sentiva il racconto delle sue pene, provavo una venerazione per la povera vecchia, ed un'indignazione pei giovani suoi figli, una specie di paura che non avesse a piombare sovra essi un tremendo gastigo. Un giorno la campana dà i mesti tocchi dell'agonia; un altro giorno una povera bara seguíta da pochi è portata al Cimitero; un altro giorno della vecchia si parla da pochi, poi non se ne parla più, non si ricorda nemmeno!... Quella famiglia quasi priva da un onere, continua a vieppiù prosperare, i figli si fanno essi pure un ridente ed agiatissimo stato... ma un giorno di morte repentina muore il capo di casa... un altro dì uno di quegli individui che incorniciati dal credito e dal buon nome pajono lanciati dal demonio nella società per sfasciarla, per annichilarla, quell'individuo fa morire di dolore una figlia, getta quasi nella miseria gli altri due; uno di questi ripristina la propria fortuna, ma a spese della pace e forse dell'onestà: l'altro maledice la madre, la quale se ne rimane così isolata nel mondo, abbandonata, infelice! Il mondo se degna di uno sguardo quelle membra staccate che formavano già un corpo solo, o non le cura o le disprezza; ma chi conosce quella storia oscura, non può a meno di ritornar con amarezza al pensiero una voce fioca ma concitata; una cuffia bianca ed un crine canuto su cui sdegnava posarsi la mano filiale... Buon Dio! perdona, perdona a tutti i loro errori; perdona a quel figlio forse più debole e sventurato che colpevole, perdona le sue colpe. Da quella famiglia dove tu sei sbandito, dove è sbandita fino l'immagine tua, leva i flagelli; ritorna tu colla tua presenza, porta la tua fede, la tua speranza, la tua carità, e quando tu avrai fatto ritorno in quella casa, tornerà il sereno, tornerà la calma, cesseranno le ire, cresceranno i figliuoletti nella tua legge, ed al fuoco delle passioni subentrerà il fuoco dell'amor tuo verace! Ma più frequenti, molto più frequenti io amo credere i casi in cui, non una prosperità fittizia, ma una prosperità vera, è il premio da Dio accordato a coloro i quali devoti al comandamento onorerai il padre e la madre tua venerano i cadenti genitori, o gli avi che la Provvidenza ha loro conservato per moltissimi anni. E se tu hai la grande ventura di avere ancora i tuoi nonni, ricordati di venerarne la canizie, perchè quella canizie riflette qualche cosa della maestà stessa dell'Onnipotente, perchè a quella canizie vanno attaccate le benedizioni del Signore. Te beata, se nel sentiero spinoso della vita avrai il conforto di non aver conturbato i vecchi anni degli avi tuoi! Te beata se, vecchia tu pure un giorno, potrai ricordare con compiacenza e con commozione che un dì sulla tua testa s'è posata una mano tremola e scarna, che una voce conosciuta presso a spegnersi per sempre, ha fatto un ultimo sforzo per benedirti... Oh! quella benedizione Iddio l'ha confermata, la conferma ogni giorno in cielo, e sarà feconda d'ogni bene al tuo corpo e all'anima tua!

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Tutto quanto ho detto, tu l'indovini, vale anche e forse più per coloro che avessero il patrigno o la matrigna, ed anzi ad essi più strettamente si potrebbe applicare quanto abbiamo veduto doversi ai tutori. Colui o colei che ha sposato in seconde nozze tua madre o tuo padre, si è assunto di riguardarti come figliuola, e forse è colpa del modo diffidente con cui tu l'hai accolto da principio, e lo riguardi di continuo, se sei tenuta a certa distanza, se non esistono fra te ed esso quei rapporti che sarebbero non solo desiderabili, ma doverosi. Anzitutto è necessario ti ponga in mente che il tuo è e debb'essere un sacrificio, e come tale lo devi prendere e considerare, mentre quel padre o quella madre che Iddio ti ha dato come a supplire il genitore perduto, ha già fatto molto per te col prenderti come figlia. Oh! forse altro non aspetta se non che tu ti getti nelle sue braccia per stringerti amorosamente al seno, per prodigarti il suo affetto. Slanciati dunque in quelle braccia, tu non fai no torto a colui che morte t'ha rapito, ma gli presti anzi un omaggio devoto se riguardi e rispetti nell'altro l'autorità che vi trovi effigiata, riverberata. Il tuo cuore ne soffrirà, lo convengo, perchè il cuore soffre sempre di ogni sforzo cui si trovi obbligato; ma poi il tuo cuore riposerà, e nel suo dolce riposo sarà largamente compensato delle pene patite. Tu trovi che il patrigno o la matrigna non ha per te quell'affetto di cui senti bisogno; tu trovi gran differenza dal loro modo di agire, di comandare, di pensare, da quella che formava un dì la tua gioia, ed ora è la causa del tuo pianto; ma leva gli occhi al cielo, indi abbassali e cerca nella tua coscienza, se non vi annidi la vera cagione, se non vi annidi colpa, od una parte almeno. Se trovi in te la causa per cui è impedita o ritardata, o comunque sia alterata la reciproca effusione e confidenza, battiti il petto, di' sinceramente mia colpa, e adopera tutta la tua forza a togliere quella causa, quell' impedimento importuno. Se proprio proprio tu hai coscienza di aver fatto tutto il tuo dovere, di aver tentato ogni mezzo per avvicinare quel cuore; se non hai risparmiato umiliazioni, sacrificj per farti credere, per diventare anzi una figlia amorosa, devota, ringrazia il Signore che ti dà il testimonio della buona coscienza, sopporta pazientemente la tua croce; e quello dei tuoi genitori che si trova in cielo gradirà il tuo eroismo, ti rimirerà pietoso, ed invocherà ed invierà sul tuo capo le più elette benedizioni. Te lo dico e te lo dirò spesso; se nol sei, tu devi diventare l'angelo della famiglia; per te devono in essa quietarsi le gare, pacificarsi i cuori, fondersi l'uno nell'altro, e per te devono sventarsi i dissapori, i guai, che l'angelo delle tenebre tenta suscitare nelle famiglie anche meglio ordinate e buone. Io suppongo tu abbi la matrigna, e questa ami più i suoi figli di te. Questa la è cosa naturalissima, ma non lo nego, assai dolorosa. Forse a te tocca vederti sempre posposta; forse a te tocca sentire la distanza che passa tra quelli che hanno la loro mamma e te che non l'hai in certo modo che a prestito; ma, sta sicura, questo disordine tu non lo potrai sicuramente togliere o diminuire coll'essere o col mostrarti sospettosa; ma solo coll'essere e col mostrarti affettuosa, pia, sottomessa, tu potrai in certo modo farlo scomparire. Quanto ti dico, l'ho visto avverarsi più volte, poichè la virtù ha una potenza che investe, trasforma, migliora tutto quanto le si avvicina. Una signora che io conosceva da una decina d'anni, ed ammiravo come ottima madre di famiglia, ammalò un tempo di un morbo sì fiero e sì ostinato, da lasciar temere per un intero anno, o della sua vita o della sua intelligenza. Le figliuole, giovanette in allora, si stemperavano non solo in pianti, ma più ancora in fatiche per circondare la povera inferma delle cure più difficili, assidue ed amorose. Non si faceva da tutti che lodare l'eroismo di quelle due creature, le quali dimenticavano perfino i bisogni personali per accudire alla malata, la quale destava in esse tale una pietà ed un interesse che non potevano a meno di comunicarsi a chi le sentiva parlare con tanto affetto. Finalmente la signora guarì con grande consolazione del marito e di tutti i figli; non andò molto essa si sobbarcò a sacrificj anche pecuniarj per collocare convenientemente le fanciulle, le quali si ebbero davvero la benedizione di Dio; e fu, credo, nell'occasione delle loro nozze ch'io seppi che quelle erano le figliastre virtuose di una virtuosissima matrigna! Da quella volta, dico il vero, cominciò a dileguarsi in me un antico pregiudizio che mi faceva considerare una vera calamità lo stato di una figlia cui un'estranea tenta riempire il vuoto lasciato da colei che le fu tolta da morte, e un nuovo orizzonte si aprì a me dinanzi. Sì, quando la matrigna è buona, e le figliastre si sforzano pure di esserlo, tutto corre come Dio vuole, desidera, comanda, e il benessere e il buon accordo regna nella famiglia: ma, dico io, come deve fare una povera donna se le tocca per figliastra una fanciulla che la spia quasi continuamente, solo bramosa di coglierla in fallo; che eccessivamente avara e guardinga delle proprie carezze le prodiga solo ed a fatica quei riguardi ai quali è strettamente tenuta, non un punto più in là? Se la figliastra si regola in questo modo, non basterà che la matrigna si sacrifichi per essa; non gioverà che si espanda in dimostrazioni d'affetto; la sua condotta sarà accusata di doppiezza e di esagerazione, e mai e poi mai si otterrà quella fusione degli animi che sola giova, che sola medica le piaghe del cuore. Tu devi riguardare nella moglie di tuo padre, non la madre che hai perduto, chè od usurperesti ad essa l'affetto tuo, e questo deve durare eternamente, o saresti tentata 25 di continuo a fare dei confronti che nuocerebbero alla morta ed alla viva, e non gioverebbero sicuramente neppure a te, perchè i confronti sono sempre odiosi. Tu devi pensare: mia madre è morta; e questo pensiero ti deve infondere un vivo desiderio di onorarne la memoria col mostrarti degna di lei, con quella che ha preso il suo posto vicino al padre tuo: ne ha forse colpa costei se tu sei rimasta orfana? Essa anzi ha il merito di non avere sdegnato prenderti per figlia, mentre il dì delle sue nozze pronta e volonterosa assumeva degli obblighi gravissimi con te. Se tu penserai sempre che la matrigna non è colei che ti ha tolto la madre; ma colei che ha tentato di rimpiazzarla, tu la guarderai di buon occhio, tu sarai pronta a renderle servigio, tu ricorrerai ad essa nei tuoi bisogni, tu prenderai parte a quanto la riguarda; ed essa, non tarderà molto, prenderà parte alle cose tue, ti sentirà volentieri favellare anche della tua mamma, e piangerà con te di quanto t'intenerisce, perchè vedrà che ti fidi di lei, che non sei invida nè gelosa, che in essa cerchi ed accetti un'amica che ti vuole, ti può sollevare... Fa come dico io, e ti accorgerai presto che ad onta di quel velo di mestizia che la perdita della madre tua ti ha lasciato in triste e pur caro retaggio, la tua vita correrà serena, le gioje domestiche non ti resteranno più ignote, ed anzichè sfogare il tuo cuore in dolorosi lamenti, ringrazierai il Signore d'averti dato una seconda madre, una sorella, un'amica verace. Non ti sia grave rivolgerti ad essa per consiglio, ed accettare quelli che ti dà spontaneamente; non giudicare temerariamente le sue intenzioni; ma vedile con occhio semplice, prendi le sue azioni come sono, senza cercarci sotto un secondo fine; porta ad essa quella venerazione, quell'obbedienza e quell'ajuto che, se è un dovere più rigoroso verso i genitori, è però un dovere generale che tutti comprende i parenti ed i superiori, e più specialmente coloro che del padre e della madre tengono le veci. Se la tua matrigna, per tua sventura, è donna malvagia, ed oppone alla tua virtù, alla tua annegazione la durezza ed il capriccio, non ti resta che perseverare nel bene, piegare la fronte e ricevere la tua croce in espiazione delle tue colpe. Il Signore non si lascia mai vincere in cortesia, dice un antico proverbio ma vero, ed il Signore premierà la continuità del tuo sacrificio con taluno di quei premj ch'Egli solo sa concedere e che noi neppure abbiamo l'ardimento d'immaginare. La tua matrigna od il patrigno ti sono causa di dolore e di pena? Leva i tuoi occhi al cielo quando la notte ha calato sulla terra le sue ombre, quando la luna e quei mille mondi, che si dicono stelle, brillano nel firmamento, quando tutto tace e niun rumore profano disturba la quiete che ti circonda; ma solo il gorgoglìo del ruscello che frettoloso segue sua via, e i rami mossi da una leggiera brezza primaverile scuotono dolcemente il tuo orecchio ed il tuo cuore... In allora pensa che tutte quelle bellezze che sì ti rapiscono sono appena un sogno, un'ombra, una larva di quelle bellezze che ora allietano la vista del perduto genitore, e lo fanno beato: in allora pensa che se il tuo sagrificio è grande, immensa ne sarà la mercede, poichè un giorno a quella parola vieni, benedetta, quelle bellezze si mostreranno ai tuo occhio; quelle bellezze t'inonderanno, t'investiranno, ed appagata nell'intelligenza, nel corpo e nel cuore, stringendoti al seno le persone colle quali sei legata da vincoli di sangue e di tenerezza, intonerai con esse quel cantico che le schiere celesti ripeteranno, e che sarà ripercosso nelle vôlte beate di quel beato soggiorno. In quel gaudio ineffabile, immenso, eterno, benedirai le tue croci, i tuoi dolori che ti hanno ajutata e in certo modo obbligati a conseguirlo... Animo adunque, mia cara, supera le ripugnanze della natura, la rustichezza forse natìa del tuo carattere, se vuoi raggiungere la quiete sulla terra, la gloria in cielo; e, non temere, i tuoi sforzi saranno sicuramente coronati!

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Più avanti, quando mi accadrà di parlarti dell'adempimento del precetto festivo, ti dirò qualche cosa in proposito; per ora andiamo avanti a parlare dei doveri che abbiamo con Dio, che già molto e forse troppo t'ho intrattenuta. Fra giorno leva al Signore la tua mente e il tuo cuore, e senza suggerirti alcuna delle molte, belle e care giaculatorie che fanno gran bene all'anima, e che sceglierai tu stessa secondo il tuo gusto e il tuo bisogno, vorrei proprio che si partisse da te come una voce interna e profonda a dire al Signore che pensi a Lui, che cerchi il suo ajuto, che lo ami, che vuoi fare la sua volontà, che gli raccomandi tutti quanti gli uomini, la società, la famiglia. Questi pensieri devono essere eccitati e rinnovati nel metterti e nel levarti da mensa, e sempre quando senti parlare o sparlare di Dio o della sua religione. E qui debbo superare un'altra volta la tentazione d'intrattenermi più lungamente con te, per parlarti in fretta ed in breve delle tue orazioni della sera. Queste somigliano di molto a quelle del mattino, se vi aggiungi un po' d'esame di coscienza breve sì, ma diligente, che ti richiami le azioni tutte della giornata, e con esse ecciti in te il dolore di non aver corrisposto alle promesse fatte il mattino durante la meditazione o la lettura spirituale. È vero, non ti ho parlato di queste pratiche necessarie ed importantissime: ma mi cresceva la materia in mano, ed importanti come sono non le voleva strozzar lì in due parole. Ne farò invece l'argomento per l'istruzione, o conferenza o come tu la voglia chiamare, per la mia chiacchierata di domani. Eccitato in te il dolore dei peccati commessi durante la giornata, se sgraziatamente trovi di averne commesso uno grave, deh! non sia mai! allora recita ben di cuore un atto di contrizione, e prometti, prometti di correre l'indomani a confessartene, o se ciò ti è impossibile, più presto che ti sarà dato. Se sulla tua coscienza non pesa alcun peccato grave, ma anche un solo peccato veniale, pensa che questo è già gravissima offesa di Dio, e fa di pentirtene dal profondo del cuore, poscia ringrazia il Signore che ti ha liberata da cadute maggiori. Raccomanda i tuoi parenti, gli amici, i domestici a Colui che se di tutti è padrone, a tutti è altresì padre e padre amoroso, e 4 con questi pensieri abbandonati alla speranza, e riposa. Oh! l'Angelo tuo santo distenda le sue ali sul tuo sonno, lo renda lieto, pacifico, affinchè al tuo destarti, la dimane, il tuo spirito rinnovato riprenda alacremente la via che a Dio conduce. Dormi bene, figlia mia, il Signore sia sopra di te, il manto di Maria ti avvolga e ti riscaldi di divino amore, e quando nella preghiera ti levi alla sorgente d'ogni bene, prega anche per me che tanto ne ho bisogno.

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E poichè siamo venuti sull' argomento di chiedere perdono a colui che abbiamo offeso, sento il bisogno di combattere qui alcuni pregiudizj sociali che si potrebbero anche chiamare difetti di educazione, ma che sono diletti gravi, i quali svisano totalmente la faccia della ragione e della verità. M'è accaduto più fiate di sentire da qualche signora abituata a vivere in mezzo alla società, e non sa respirare aria diversa da quella delle sale profumate e rumorose; m'è accaduto di sentire che il chieder perdono è segno di debolezza, e che chi ha commesso qualche torto o qualche storditaggine, deve subirsi le conseguenze del suo errore, guardandosi bene dall'umiliarsi e dire ho torto. So bene che questa teoria mi è stata esposta con tale una vernice di verità, che per poco non ci ho posto credenza, a somiglianza di colui che in un tersissimo specchio vedendo moversi una figura, non si accorgeva che quella non era una persona, ma soltanto un riflesso della propria: abituiamoci, e ábituati tu pure a sfrondare le teorie, lasciamelo dire, le teorie troppo comode e formose, ábituati a spogliarle da quella specie di vernice che le circonda, va alla radice, e non tarderai ad accorgerti che sono false. Mi si offrono due monili, ambedue belli e graziosi, ma uno più dell'altro lucente ed elegante; se io non sono previdente e non li provo alla pietra del paragone, mi accadrà facilmente che quello ch'io credeva più prezioso e al quale io dava la preferenza, non era d'oro, ma di lustrino; ed il tempo mi accerterà ancora una volta che le apparenze sono fallaci, e guai a chi vi si attacca, e non va all'origine delle cose! Io per me credo che nel domandare perdono non sia debolezza ed umiliazione se non nella forma, mentre il fatto è in sostanza segno manifesto di giustezza di criterio, di fortezza, e perfino di dignità. La debolezza io la trovo nel non voler riconoscere il proprio torto, poichè la persona che agisce in tal modo mostra sentirsi così priva d'ogni merito vero, avendo d'uopo di sostenersi con un merito falso o fittizio, infine con un merito menzognero. Di più io trovo debole la persona che vuol sostenere il suo punto a spese della giustizia, perchè non ha nè occhio, nè slancio, nè forza di rigettare il male e di abbracciare il bene, e non isdegna compromettere la propria dignità tollerando un'accusa della quale non potrà mai giustificarsi, perchè giusta e meritata. Giuda Iscariote aveva venduto il suo Maestro per trenta denari; gli dolse del proprio delitto; ma debole e vigliacco non volendo riconoscere il proprio torto, e sdegnando di correre ai piedi del Salvatore a chiedergli perdono, con una corda liberò la terra dalla sua presenza, attirando sopra di sè un'eternità di tormenti e l'obbrobrio delle generazioni future! S. Pietro invece dopo d'aver rinnegato non una ma tre volte il suo Gesù, rientrato in sè stesso se ne dolse, pianse amaramente, ed una pia tradizione dice che si è gettato nelle braccia della Madonna a sfogare il suo dolore e il suo pentimento. E chi ha mai trovato, e chi potrà mai trovare debolezza in quest'atto così sublime, in quest'atto che dinota rettitudine di giudizio, e più ancora sensibilità e delicatezza di cuore? Per me trovo l'eroismo in colui che dice mi pento, anzichè in colui che caparbio non vuol piegare la fronte, e ostinandosi a non riconoscere il proprio torto, si fa conoscere cieco ed ingiusto, ovvero ingannatore. Io amo assai quella bella costumanza di quelle damigelle che, com'è ben naturale accada ad ognuno, accorgendosi d'aver sbagliato per debolezza o per ignoranza, stringendo la mano della mamma o del papà, od abbracciando teneramente i fratelli e le sorelle, chiedono loro perdono e promettono di emendarsi del proprio fallo; pentimento e promessa che esse rinnovano ai piedi del Crocifisso, il quale li compensa con una soddisfazione tanto maggiore, quanto più intima e sincera. E tu, mia dolce amica, sii buona con tutti, guardati dall'offendere chicchessia, e se ti duole abbassarti a chieder perdono, fa di non metterti nella necessità, ma stattene ben bene in guardia sovra te stessa e specialmente sul tuo carattere; ma se per disgrazia hai fallato, umiliati, e non rendere più grave la tua colpa coll'ostinarti a sostenerla. Non essere tarda a far piacere a coloro cui l'opera tua può tornare di ajuto o di conforto; sii obbediente coi maggiori, affabile cogli uguali, condiscendente coi minori fratelli. Ma una cosa, che caldamente sopra le altre ti raccomando, si è di avere nel tuo decoroso contegno un amorevole e sincero compatimento pei difetti altrui, di smorzare la tua suscettibilità, di non tenerti facilmente offesa da quelle che sono o ti pajono mancanze di riguardo: credilo, credilo, mia cara, assai più guadagnerai coll'indulgenza che colla severità. No, non ti pentirai mai di aver troppo compatito e d'avere rinunciato alle soddisfazioni dell'amor proprio; ma bensì d'essere stata inflessibile e d'aver preteso sempre che ti sia resa giustizia. Nel Vangelo vi ha una sentenza, la quale dice che sarà rimisurato a noi colla stessa misura con cui avremo misurato agli altri; e tu ed io, se vogliamo ci venga dal misericordioso Iddio accordato indulgenza e perdono, siamo indulgenti e generosi con tutti coloro che ci avvicinano.

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Ma buon per noi che abbiamo Lui stesso, potenza e maestà increata, a modello, e nell' imitazione di Lui abbiamo regola, guida, conforto, ogni cosa. Cerchiamo a Lui i lumi che ci bisognano; non riguardiamo gli uomini e le cose se non nella luce che da Lui emana, e ci verrà additata la via che dobbiamo seguire, e ci verranno indicati i mezzi che ci dovranno condurre a salute. Ma io qui senza punto contrariare le viste speciali del Signore sopra alcune anime, aspiro ad indicare alla generalità delle fanciulle civili viventi nella società le regole atte a tenerle possibilmente nel mezzo, al posto della virtù, di quella virtù, che sempre debb'essere loro cara, indivisibile compagna, guida fedele. Poni ordine in tutte le tue cose, e specialmente nel tuo sistema di vita, e troverai che per quanto sii stretta da occupazioni e da doveri, ti avanzerà sempre ogni giorno un po' di tempo da dedicare alla coltura dello spirito. Questa ti è necessaria, e troppo spesso ti sentiresti umiliata di trovarti al disotto delle tue compagne, ed anche delle persone a te inferiori quando essa fosse da meno del tuo grado e della tua capacità. La coltura dello spirito, importante e necessaria ad ogni damigella, lo è tanto più, quanto più alta è la sua condizione, e quanto basta ad una signorina di famiglia privata e ristretta, è ben lungi dal bastare ad un'altra appartenente ad una classe elevata, obbligata a vivere e ad incontrarsi con persone dotte e scienziate. Qui, io mi abbandoho alla buona opinione che ho delle mamma e del padri, ai quali spetta specialmente indirizzare i figli e le figlie nei diversi rami d'istruzione che loro sono più utili e in certo modo necessarj. Però qui, come sempre, dico ed affermo, che bisogna aver di mira costantemente a conservare una certa relazione ed una certa analogia fra la coltura, la nascita e la condizione sociale e finanziaria delle famiglie, e disapprovo altamente che la figlia della fantesca vesta e studii come la figlia della padrona e della dama. Questo sistema, secondo me, non serve ad altro che a creare delle infelici. Una giovinetta, figlia poniamo ad un negoziante il quale viva del frutto della sua fatica e dei suoi sudori, passa molto tempo al tavolino meditando i classici, o sorvolando le scienze più astruse, illudendosi di rendersi famigliari le une e gli altri; ovvero seduta al pianoforte, passa lunghe ore non tanto a ricreare sè e gli altri con soavi armonie, quanto ad esercitarsi al diteggio, ed acquistare dominio dello strumento per fare poi splendida figura nelle conversazioni. Il padre torna a casa stanco ed impolverato, privo com'è della soave compagna dei giorni suoi, vorrebbe raccontare alla figliuola la storia della sua giornata, dei suoi traffici, dei suoi guadagni, delle sue perdite, perchè ha bisogno di qualcheduno che si occupi di lui e dei suoi affari. La fanciulla in fondo in fondo ha buon cuore; ma, vestita com'è con squisita eleganza, teme di scomporre la sua veste e la sua acconciatura, levando di dosso al babbo il pesante e forse inzaccherato pastrano, e così si mantiene a distanza da lui. Il pover'uomo vorrebbe dir su le cose sue; ma la giovane trova grossolano l'argomento e il modo di trattarlo; non lo confessa apertamente, ma ben s'indovina dal mostrarsi ch'ella fa d'essere nojata, quasi pensasse che per lei le sono cose di bassa importanza. Il pover'uomo, per insinuarsi in qualche modo nell'animo della figliuola, la interroga dei suoi studj, delle sue aspirazioni, ed essa gli fa intendere che tant'e tanto egli non ne capirebbe nulla, ed intanto lo mira con un occhio di compatimento che gli fa venire i brividi... Egli le dice: ebbene, ricreami l'orecchio con una melodia, ed essa o svogliata si pone al cembalo, o si rifiuta d'andarci, perchè ripete ch'egli non è atto ad apprezzare il suo merito artistico. Il pover uomo allora s'immerge in profonda tristezza, od imbestialisce; poi va, fugge dalle mura domestiche, o vi poggia il piede appena quanto gli è necessario... Oh! se tu fossi tentata di accusarmi d'esagerazione, ioponendomi una mano sul cuore ti assicurerei che ho copiato dal vero, proprio dal vero, e che il caso da me riportato non è nè unico, nè raro; ma comune, anzi comunissimo dappertutto ove trovasi spostamento di condizione, o squilibrio tra questa e le abitudini di alcuni o di tutti gli individui che compongono la famiglia. Se tu appartieni a quella classe che Silvio Pellico diceva la più fortunata, perchè ugualmente lontana dall'opulenza, che dalla povertà, ringraziane con effusione il Signore, e smorza in te quelle aspirazioni indiscrete che ti vorrebbero portare più in su del posto in cui t'ha locata la Provvidenza. In questo caso la tua istruzione sarà regolata dal comodo, dalla convenienza; ma non potrà assolutamente essere l'occupazione principale della tua giornata, la quale dovrà impiegarsi da te nel disimpegno delle cure più umili, ma più necessarie e meritorie; quelle della famiglia. Se tu invece appartieni ad una classe più elevata, neppure ti è lecito dispensarti totalmente dalle faccende domestiche; ma queste ti ponno lasciare maggior tempo da dedicare alla coltura del tuo spirito nelle scienze, nelle lettere, nelle arti. Io amo molto la musica e la pittura, e, se dovessi dire proprio la verità, ho qualche predilezione per l'armonia, la quale è specchio ed espressione molte volte dell'interna armonia, di quella armonia che stringendo in un solo amplesso la fede, l'intelligenza ed il cuore, auguro e spero s'innalzi dall'animo tuo, ripetendo un concerto d'amore per giungere fino al seno di Dio. Sì, studia pure la musica che dolcemente ricrea, che ingentilisce il cuore, e non nasconde nel suo seno alcuno di quegli inganni, di quei tradimenti, che talvolta colla scienza ci vengono amministrati; coltiva pure il disegno, la pittura, poichè il Signore non condanna quest'arte sublime che Egli stesso ha creato; ma deh! ti supplico, fa in modo che questi studj non esauriscano le tue facoltà di pensare, di sentire, non sciupino le tue forze! Tu ne devi conservare ancora quanto basti, non solo per essere donna da casa, e diventare un dì savia ed accorta regina nel pacifico regno della famiglia, ma altresì per porgere a Dio l'omaggio del tuo cuore, della tua mente, di tutta te stessa. Mi pare che negli studj delle damigelle esista generalmente una sproporzione (dico, mi pare, poichè io non ho nè il merito nè l'onore d'essere educatrice, e solo per obbedienza ho impresa quest'opera non del tutto aliena dall'educazione): orbene, secondo me questa sproporzione consiste in questo; curandosi eccessivamente dell'accessorio, si trascura poi lo studio principale: chi si dà alla musica, trascura il resto; chi si dà alla pittura od alle lingue, fa altrettanto, dimodochè, parlando della vita sociale, quello che dovrebb' essere lo studio principale diventa l'ultimo, e signorine coltivate ed esperte negli stranieri idiomi, sono più che mai digiune del proprio e lo conoscono appena o male. Di qui la manìa di leggere continuamente o quasi, e di portare in chiesa libri francesi, inglesi o tedeschi; di qui il poco conto in cui si tengono gli studj profondi ed i libri serj; di qui lo spreco di molti anni, con ben poco profitto; di qui molti altri disordini. Nei capitoli precedenti ho raccomandato che ognuno, quindi anche la damigella, anzitutto studii la religione, e nella parola dei suoi ministri, e nei libri che ce l'insegnano; ora qui ripeto, essa deve equilibrare le sue cognizioni religiose colle cognizioni scientifiche o letterarie, affine di evitare l'enorme deformità che vediamo in molte persone anche di merito. Ma per parlare pel momento soltanto della coltura dello spirito, in quanto riguarda la damigella nei rapporti sociali, non esito a dichiarare che per me reputo troppo trascurato nella pluralità lo studio della propria lingua, e quello della storia che è maestra della vita, mentre credo si dia soverchia importanza agli studj dei quali ha minore bisogno: io vorrei in quella vece si tendesse principalmente a formare in essa cognizioni serie, profonde, di religione non solo; ma altresì di storia, di geografia, di letteratura, e tutto si potrebbe facilmente ottenere coll'indicarle lo studio dei migliori classici nostri, che, salvo poche pagine, potranno spargerne in essa il seme fecondo. Ma se, nell'ascensione di un monte, vi sono talvolta delle scorciatoje che inoltrandosi nel suo seno, non solo ci abbreviano la via, ma ci tolgono dal pericolo; se nelle scienze, nelle arti, vi sono delle innocenti malizie che con poca fatica ci conducono al termine; se nell'economia domestica vi sono certi stratagemmi coi quali si può ottenere molto con poco dispendio; negli studj ardui e difficili vi ha pure un mezzo che li agevola, che li rende atti a recarci una santa esperienza, la quale ci frutta una vita che non passa come il fiore del campo, la mattina verde e rigoglioso, la sera fieno; ma una vita che dura immobile, eterna ed eternamente beata. Qual è questo mezzo? Tu già l'hai indovinato. Questo mezzo non consiste in altro se non nel riferir tutto al Signore, nello studiare quello che a Lui conduce, nello sfuggire quegl'insegnamenti che da Lui ci allontanano, nel cercare in tutto il piacer suo, la sua gloria, il nostro perfezionamento. Così facendo avremo trovato il metro che misura infallibilmente le nostre azioni, i nostri studj, e quelle e questi anzichè portare nocumento ed alterazione ai nostri doveri, ci ajuteranno a compierli, perchè o ce li additeranno, o sollevandoci lo spirito, ci renderanno più alacri nella via del bene e della virtù. Figliuola, io amo e spero si dica di te: Quella damigella è pia, semplice, operosa, colta, ed intanto dal cuore levo fervida una preghiera: Buon Dio, fa che quella damigella sia l'angelo non solo della sua famiglia, ma della società!

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La buccia indica la sostanza che racchiude, lo abbiamo detto più volte, e cerchiamo di rammentarlo sempre. Se accidentalmente ti si macchia o strappa l'abito, ripara subito il danno, e riparalo tu stessa, poichè, credilo non c'è niente di disonorevole in quest'operazione; anzi a qualunque condizione tu appartenga, tu sei obbligata a saperlo fare, sotto pena di mancare al dover tuo. San Francesco di Sales allorchè trovavasi missionario nello Sciablese, benchè uscito da alta famiglia e di ricco stato, non aveva seco che un vecchio servo, ed essendo stato sorpreso una volta nell'atto ch'egli stesso si raccomodava la veste, alla domanda fattagli se egli, nobile e prete, non si vergognava di occuparsi in simile lavoro, rispose sorridendo:E perchè dovrò io vergognarmi di riparare il danno che io non mi sono vergognato di commettere? Tanto più questo si attaglia a me ed a te che siamo donne, ed a quelle cotali che si piccano di tutto lasciar fare alla cameriera od alla lavorante. La cameriera e la lavorante poi dal canto loro non si fanno scrupolo di burlarsi della damina che non sa o non vuol far nulla da sè, e la stimano press'a poco come una di quelle figure esposte nelle vetrine dei mercanti, che pajono donne, ma non sono che manichini. Infatti com'esse si fanno vestire, spogliare; com'esse si ponno dir donne! Se per caso sopravviene qualcheduno mentre ti trovi coll'abito macchiato o strappato, fa le tue scuse, e si capirà esser quello un disordine accidentale. D'ordinario sia povera o ricca la damigella, nobile o no, io vorrei che cambiasse la veste quando torna in casa, poichè essa deve il più possibilmente averne una fresca e pulita quando esce, ed anche perchè deve abituarsi all'ordine ed all'economia. È ricca, molto ricca? Tanto meglio; le sue economie saranno rilevanti, e lasceranno maggior margine per le limosine ai poveri, e dei poveri ve ne sono tanti, tanti, che non è d'uopo andar molto lontano per trovarne. Se poi ella stessa ha finanze limitate, l'economia le sarà anche più strettamente e direttamente necessaria, e mancando ad essa, mancherà ad un rigoroso e preciso obbligo. So bene che in certe circostanze è conveniente vestirsi con un certo lusso, per non mancare di rispetto all'adunanza, e non apparire eccentriche e stravaganti. Ma sempre e poi sempre bisogna aver di mira di non portarsi fuori del proprio stato; ma di tenersi anzi un gradino più in giù, e di preferire la semplicità a tutti i vantaggi che si ponno avere senza di questa. L'acconciatura del capo fa parte essa pure dell'abbigliamento, e come questo deve avere una certa conformità alla moda, senza però toccarne gli eccessi e senza variarla con troppa frequenza, il che dinota leggerezza e piccolezza di mente; infatti chi pensa a qualche cosa di serio, ha altro in testa che di mutarne l'acconciatura ad ogni volger di luna! Anche qui torno a quel simpatico ritornello: semplicità, semplicità, e se tu lo prenderai come regolatore invariabile del tuo modo di vestire, sfuggirai quelle mode che caricano la testa di un ammasso di roba, il che ha fatto dire ad un tale, di cui ora non ricordo il nome: dentro la testa è rimasto nulla nulla, poichè tutto le hanno messo di sopra. Io non sono qui per segnarti il figurino, sibbene per dirizzare lo spirito tuo, ed ajutarlo a vigilare, affinchè il tuo esterno sia specchio del tuo interno, ordinato, semplice, pulito e sincero. E qui, prima di finire, bisognerebbe che ti toccassi della sincerità indispensabile al tuo vestiario ed alla tua acconciatura. Ma per non intrattenerti ora di troppo, te ne parlerò domani, molto più che la materia essendo importante, desidero che tu mi ascolti riposata.

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Tuttavia se abbiamo qualche rapporto con taluno che ama di fiorettare il suo dire con quel fiore venefico che ha nome bugìa, condannando il peccato, compatiamo sinceramente il peccatore e ripetiamo con Gesù Cristo:Padre, perdonate loro, perchè non sanno quello che si fanno. Ma quanto a noi, quanto a me, quanto a te, formiamo un proposito fermo di non mentire mai, ce ne dovesse pure venir danno o vergogna. E qual danno più grave di quello di dir cosa che offenda o tradisca la verità? E qual maggior vergogna di quella di ricorrere ad un mezzo così vile per sostenere il nostro amor proprio o l'altrui? Anzichè dir bugìa, dobbiamo aver il coraggio di dichiararci in fallo, di chieder perdono, e se la verità non la possiamo dire senza compromettere la carità, teniamo la verità coperta col velo di un prudente silenzio; ma guardiamoci dal tradirla colla menzogna. Chi è capace di tradire la verità, è capace di tradire ognuno, è capace di ogni mala azione. Io era bambina di cinque anni, allorchè un giorno per iscusarmi con mio fratello di non so che cosa, dissi bugìa. Egli non mi rispose parola, ma volgendosi a quelli che si trovavano presenti, disse loro: Guardatevi bene da costei, poichè chi è bugiardo è ladro, e da chi è bugiardo che mai si può aspettare di bene? Oh! il mio fratello non ha immaginato, non immaginerà mai l'impressione terribile che ha fatto in me, sì piccina, un'osservazione sì profonda e scompagnata dalla benchè menoma parola di rimbrotto; anche adesso che sono passati molti anni, allorchè mi viene la tentazione di mentire, mi ritorna alla mente, e non senza efficacia. Quante volte noi dobbiamo alla buona educazione ricevuta soltanto, dopo che a Dio, l'essere liberi da questo o quel vizio, mentre l'anima nostra senza di essa avrebbe piegato facilmente a quanto torna più comodo e meno faticoso, ed ora ci toccherebbe portarne l'enorme ed ignobile soma! Giovinetta gentile, che t'interessi dell'interessamento mio per te, serba in cuore una sincera riconoscenza per coloro che hanno dirizzata l'anima tua, l'hanno sostenuta con saggi ammaestramenti, e un tantino anche per me che con tenerissimo amore ti parlo del tuo presente, del tuo avvenire; solleva qualche volta una prece al Signore, affinchè io divenga quale dovrei essere, quale forse tu mi credi... Ma è tempo perduto il mio a ragionarti della brutta figura che è la bugìa, mentre tu come me cordialmente l'abborri; ma siccome nel mondo tutto si sostiene con essa, incominciando da quelli che ti promettono la felicità per mezzo della colpa, fino a coloro che con un libro apparentemente morale tentano rovinarti nella mente e nel cuore, sento il dovere di prevenirti, affinchè attratta dal mal esempio non abbi tu pure un giorno a seguirne la scuola. Oh! la sincerità, quanto è bella, attraente la sincerità! Benchè sfornita di ogni vantaggio materiale, io la preferisco a tutti i vantaggi materiali aggruppati intorno alla bugìa! Tu vai in campagna. Da una parte vi ha un superbo castello, dall'altra una povera capanna: in quello molta gente raunata sbuffa e strepita in fare preparativi per un pranzo diplomatico, dove con squisite vivande gireranno i più lusinghieri parlari, i quali lasceranno, come hanno trovato, affatto affatto estraneo il cuore; in quella la moglie del fattore apparecchia un povero desco che guernisce di una ciotola di latte, di un pezzo di cacio, mentre il marito posto il ginocchio sulla predella del camino volta col matterello la polenta, operazione ch'egli riserba a sè soltanto nei giorni solenni: poi la donna corre sulla porta di casa, ti chiama ad alta voce, e non dicendoti neppur una di quelle parole che esprimono la gioja del riceverti presso di sè, te la mostra nel suo sorriso, nel suo sguardo e perfino nel suo imbarazzo. E perchè preferisci la capanna al castello, il desco povero al sontuoso pranzo, i poveri contadini ai ricchi cavalieri? Oh! bella! perchè in quelli vi è la sincerità; in questi, soltanto l'apparenza, e l'apparenza quando è fallace, ti è antipatica, odiosa... Per carità, non rifinisco di raccomandartelo, abbi tolleranza cogli altri, ma non ne avere un briciolo solo per te, poichè non andrebbe molto te n'avresti a pentire; e dall'aver tradito la verità in cosa di poco momento, passeresti poi a violarla in cosa di maggior rilievo. Ma io voleva finire il mio discorso di jeri sulla tua acconciatura, e non avevo in mente che di parlarti della sincerità che deve presiedere in essa; invece, il piacere di occuparmi del tuo bene mi ha strappato le parole dalla bocca, anzi dal cuore, e ho detto più di quanto volevo, o a dir meglio più di quanto credevo. La sincerità è sorella gemella della semplicità, sua indivisibile compagna, e molte volte l'una è così compenetrata coll'altra che riesce malagevole distinguerle, ed impossibile separarle. Il Signore ci ha messe al mondo, belle o brutte, grasse o magre, grandi o piccole, come gli è piaciuto, e com' era meglio per noi, ed è stoltezza pretendere di mutare l'opera sua, o comecchessia alterarla. È quindi stoltezza valersi di rigonfiamenti, di colori, di mezzi che bene spesso nulla giovano al nostro esteriore e danneggiano il nostro interno, e diretti ad ingannare gli altri, ingannano poi noi medesime. Quanto all'arte di dipingersi la pelle, ricordo quella stupenda apostrofe che ai suoi tempi lanciava S. Girolamo contro quelle dame che si colorivano il volto: Come mai, diceva egli, riconoscerà Iddio quella figura che gli apparisce sì diversa da quella ch'egli ha creato, e sulla quale non saprebbe scorrere una lagrima di pentimento senza segnare un solo nella vernice che la ricopre? Oh! sia semplice e sincero il tuo vestire, il tuo acconciarti; preferisci a tutti i cosmetici acqua pura e fresca; in essa è una virtù potente a conservare alla pelle la sua freschezza, e se il non giovarti di quelli ti priva dei vantaggi che essi promettono (e mantengono raramente) l'apparire schiettamente quella che sei te ne darà dei molto maggiori. Vi hanno talora dei matrimonj combinati e conclusi soprattutto da un certo fanatismo pei vantaggi esteriori, per l'esteriore bellezza: queste damine, viste davvicino, appariscono differenti da quello che apparivano in distanza, non diversamente della roba messa in mostra nelle vetrine; bella da lungi, scadente osservata dappresso. Menomata la causa del fanatismo, ne sono menomati gli effetti; l'età si avanza, e gli anni si portano via quel resto di bellezza che era rimasta; il marito ritorna tardi alle mura domestiche; in esse non più la serenità e la pace, ma regna la discordia se non svelata, però coperta e bugiarda essa pure come le apparenze fatali di quella fatale bellezza! Oh! figliuola cara, la sincerità dell'anima tua si riveli al di fuori, trapeli nella tua condotta, nei tuoi atti, nel tuo vestire, ed ognuno, esaminando la buccia che circonda la tua gentile persona, ne intuisca la interiore virtù, che appunto per non mentire, ti studierai di perfezionare sempre maggiormente, per renderla più assoluta e più vera. Adornati pure, ove lo richiegga il caso; ma fra gli ornamenti scegli i più semplici, e quindi i più gentili. Fra le tue trecce e sul tuo servo, in un dì di comparsa, spiccherà assai meglio un fiore come lo ha dato natura, di un giojello od un fino e ricercato lavoro; e una mussolina fresca porrà meglio in risalto i tuoi verd'anni di una stoffa di gran pregio. Se t'imbianchi il viso, non si vedrà quando t'arrossi, ed una damigella che non arrossisce perde ogni suo prestigio: e se tingi le gote, il tuo non sarà creduto rossore, ma... carmino: In non so quale raccolta di freddure, ho trovato le due che ti riferisco: queste ti convinceranno se non altro che anche il mondo, per così dire, mondano, non approva i mezzi ch'egli stesso suggerisce ed adopera, e questo fia suggel ch'ogni uomo sganni. Una signora con tanta cipria sul viso da parere una braciola infarinata, si scontrò con un suo conoscente, il quale, simulando un torso agitato, le chiese:Signora, andate a farvi friggere? - Un'altra volta in una società alcuni bontemponi si proposero di fare uno scherzo, ed all'uopo invitarono gli amici colle loro signore e colle loro figlie ad un'accademia dove si sarebbero dati alcuni esperimenti fisici. Alla fine della serata uscendo dalla sala piuttosto scura dell'accademia, si dovevano attraversare parecchie altre sale ben illuminate. Molte dame e damigelle furono viste in allora col viso rigato e chiazzato di violaceo, e i bontemponi ne risero sguajatamente per non so quanto tempo. Oh! nè tu, nè io, lo spero, vorremo esporci al rischio 33 che i preparati chimici decompongano la tinta artificiale della nostra pelle; ma sicure e contente seguiremo il numero di coloro che col viso pallido o colorito, bianco o bruno, come gliel'aveva dato natura, uscirono da quel luogo come vi erano entrate. E poi, dimmi, che valore ha la bellezza, che una malattia, che gli anni bastano a deturpare od a rapire? Sentiamo la risposta non da un prete, non da un moralista, ma dallo stesso Gian Giacomo Rousseau. Un suo amico venne a lui un giorno e gli partecipò le sue imminenti nozze con una bellissima giovane, ed il filosofo ginevrino colla penna che teneva nelle mani, quasi giocando segnò uno zero; indi chiese se la fanciulla avesse ingegno, ed avuta la risposta affermativa, giù un altro zero; e così di seguito dello spirito, del brio, della ricchezza e di tutti gli altri doni esteriori. Finalmente gli chiese se la giovane era buona e virtuosa; e lo sposo avendo detto di sì, egli mise un'unità avanti a tutti quegli zeri, dicendo all'amico che tutte quelle stupende qualità non erano che un ammasso di zeri, i quali prendevano valore unicamente dalla virtù interiore e dalla bontà del cuore. Credilo pure, figliuola, per quanto i libertini ed i miscredenti mettano in canzone la virtù e coloro che la praticano, dentro di sè però la lodano, l'apprezzano, e sono anzi i priori a condannare quei pregi che non hanno radice nell'anima, in quell'anima ch'essi si sforzano di negare, di avvilire, di contaminare. Abbi pure una cura conveniente della tua persona, ma non eccessiva, e soprattutto subordinata a quella che tu devi al tuo spirito intelligente, immortale, capace di buone azioni e nato alla virtù. Non ferir mai mai il pudore, quel fiore delicato che si appanna ed appassisce al più leggiero soffio meno puro; la cara modestia è la veste più splendida, l'ornamento più brillante di cui ti puoi circondare, e non esigere mai dai tuoi di casa un vestiario che ne sbilanci l'ordine o l'economia. Contentati di quello che ti vien dato; tutt'al più esterna con riserva e con sommessione il tuo desiderio, acconciandoti di buon grado a ricevere una negativa, quando non fosse conforme alle condizioni di famiglia od al pensiero della mamma la quale ne sa più di te. Se duri fatica ad accomodarti a quello, pensa ai poveretti che non hanno da coprirsi, e troverai molto di superfluo anche in quello che possiedi, e non vorrai di più.

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E poichè abbiamo pensato, anzi, buttato un solo pensiero alla prima parola del Padre nostro, non possiamo restarci di buttarne uno anche sulla seconda, poichè l'una e l'altra non fanno che una parola sola. Ma per questa ci intratterremo domani, e vedrai, mia cara, che non me ne vorrai male. Se anche un poco ti riuscisse di peso e di noia l'ascoltarmi adesso, benchè ti parli con tanto cuore, certo che un dì, ora lontano, ma che diventerà presto vicino, me ne ringrazierai se mi ascolti. Finita adunque la corta, ma fervente tua meditazione, adempi pure alle tue faccende; ma fa nella giornata di richiamarti le decisioni prese il mattino, e fórzati di restarvi fedele. Quando avrai preso un po' pratica a questo esercizio, ti sarà così dolce e diverrà in te così abituale, che non solo ogni giorno, ma più volte al giorno lo ripeterai quasi a tua insaputa nelle diverse tue occupazioni. Se ti accadrà di trovarti per via, e si scatena un vento curioso, questo ti farà pensare alla vendetta che prenderà Iddio dei tristi, e risolverai di non diventar tale; se ti accadrà di respirare l'aria molle ed imbalsamata degli aranci e dei cedri, penserai alla dolcezza del servizio di Dio, e prometterai di servirlo sempre; se ti troverai sulla vetta di un monte e mirerai il sole che nasce, il sole che muore, i boschi, le valli, i laghi sottostanti, ti pioverà nel cuore una tenerezza che si sfogherà in questi o simili affetti: quanto sei buono, o Dio mio, che tutta questa bella superba natura hai creato per me! E vi sarà mai cosa che io non sia pronta a fare per Te? Signore, che volete Voi che io faccia?

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Non abbiamo poi mai baldanza della nostra condizione, poichè molti si sono coricati ricchi e doviziosi, ed allorchè si sono levati si sono trovati al fianco chi li ha scacciati dal proprio tetto, e ad un tratto sono rimasti senza averi e senza appoggi. Ricordiamoci sempre di non umiliare nè con parole, nè con mancanze di riguardo chi è da meno di noi, perchè un dì ci può diventar superiore, e trattiamo con singolare rispetto e venerazione quelli che sono caduti dall' alto e si trovano al basso, fors'anche al servizio di coloro che prima guardavano superbamente. E di noi non potrebbe avvenire altrettanto? Un'altra cosa debbo raccomandarti di cui non t'ho ancora parlato, e servirà molto bene a scongiurare il pericolo che la ruota giri per te in modo da portarsi via gli averi tuoi, mentre ti sosterrà e ti renderà meno gravoso il cambiamento di condizione ove non ti fosse possibile evitarlo. Ma sarà meglio non affastellare una cosa coll'altra, e quindi distinguerla e farne argomento di un'altra conferenza. Oggi, perdonami, ti ho parlato un linguaggio molto, forse soverchiamente severo; ma dimmi, si dirà poco tenera la madre del proprio fanciullo, perchè ha cura fin dai suoi primi anni di prepararlo alle lotte ed alle fatiche che gli sovrastano, facendogli presentire l'obbligo dello studio, dell'obbedienza, del sagrificio, ed additandogli i suoi doveri? Oh! non ti ho profetizzato nè tanto meno augurato un rovescio di fortuna; Iddio mi legge nel cuore e sa quanto sieno ridenti i voti ch'io formo per te, e la stessa premura con cui ti avviso di prevenire il pericolo, valga a persuaderti che mio vivo desiderio è di scongiurarlo. Conservati buona, obbediente e pia, ed il Signore ti risparmierà quella prova, od almeno te ne toglierà l'asprezza.

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Che se sventuratamente le abbiamo imitate, pentiamoci sinceramente, e mutiamo vita. Ma, grazie a Dio, vi hanno molte, moltissime eccezioni, ed io spero tu ti trovi fra queste: bella, ma non vana, bella ed insieme amabile e modesta; bella ma senza orgoglio. Era tanto bella la Madonna ed era tanto santa, che dovrebb'essere di sprone e d'incoraggiamento a tutte il suo esempio; erano tanto belle molte pie vergini e martiri, che tutte le fanciulle dovrebbero essere eccitate ad imitarle. Oh! tu se la possiedi la bellezza, non la funestare col crederla e collo stimarla più che non vale; se ad essa va unita la virtù, il suo fiore riprenderà i suoi vaghi colori e la sua fragranza nel giorno estremo; se dalla virtù e dalla modestia è scompagnata, subirà la sorte dei fiori del prato, cui inesorabile falce accelera la fine, e asseccati dal sole diventano poi nutrimento del bruto. Poi il fiore della bellezza passa bene spesso prima ancora della gioventù, e per incidenza mi pare d'avertelo detto un altro giorno, basta un accidente qualunque, un morbo, un nulla a sfigurarlo, a deturparlo. No, non ti attaccare a quei beni che sfuggono e si dileguano come frutto delicato sotto i colpi della gragnuola; ma fa di attaccarti a quei beni che l'uomo non può involarti, nè abbattere, nè fugare; questi beni tu li conosci, tu li coltivi in te stessa; essi si chiamano virtù cristiane, virtù che fecondando la tua vita di opere buone, ti circonderanno di un'aureola risplendente, e se non varranno sempre a rendere felice e fortunata la tua esistenza, la renderanno però ognora placida e rassegnata. Oh! le sventure sono inevitabili, le sventure sono il tessuto della vita; ma tu le sopporterai pazientemente, il che vale a dire con frutto, se il testimonio della buona coscienza ti assicurerà sempre di aver fedelmente compito il dover tuo. Se il Signore ti ha accordato la bellezza, ricordatelo: essa è un fiore che passa; no, non t'illudere, essa è un fiore che passa, e lascia dietro di sè una striscia luminosa soltanto quando è simbolo ed espressione della bellezza dell'anima.

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Bene spesso le medicine più efficaci, le droghe più fragranti sono raccolte in quella specie di nocciolo che abbiamo veduto crescere privo di bellezza in mezzo alle spine. Orbene, la tua è una spina, una spina crudele; ma sta in tua mano porvi dappresso quel nocciolo che racchiude virtù ed olezzo; quel nocciolo tu lo devi cercare a Dio, tu lo devi coltivare, fecondare con un santo coraggio, con un coraggio cristiano che ti faccia sopportare pazientemente la tua croce d'un giorno, in vista di una corona che durerà un numero infinito di giorni, o piuttosto un giorno solo, ma sul di cui orizzonte mai non tramonterà il sole eterno. Per le persone sagge e ben pensanti, la perfezione corporale è un semplice accessorio, e colui che dispregiasse chi ne è privo, meriterebbe tutto il tuo dispregio... Oh! mio buon Dio, perdono all'insana parola che mi è sfuggita. E sarà mai ch'io approvi e consigli il disprezzo, e quei pensieri e quegli atti che lo seguono e lo accompagnano? No, mio buon Dio, Vi prometto di no, Vi prometto che mi sforzerò anzi a far entrare nelle anime una santa tolleranza, non già del male ma di chi lo commette; non già del peccato, ma del peccatore. Oh! figliuola, amica mia, dimmi dove sei, fammi sentire la tua voce, e se tu non puoi muovere il passo per giungere fino a me, verrò io a trovarti, verrò io a stringerti al mio seno, verrò io a dirti che la spina che ti trafigge, ferisce di rimbalzo crudelmente me pure. Fammi sentire la tua voce, dimmi dove sei, ed io verrò a pregarti, a supplicarti di perdonare a quell'anime deboli che ti guardano e ridono delle tue miserie; verrò a ripeterti la storia del nostro Salvatore, che ridotto a tale da non essere più riconosciuto come uomo (tale era il ludibrio che i carnefici avevano fatto della sua persona) perdonò a tutti, li guardò con occhio amoroso, ed a mostrarci la generosità del suo cuore, pregò l'Eterno Padre per essi, quando disteso ed inchiodato in croce ne era obbrobriosamente oltraggiato. Io conosco un tale cui un fiero morbo spense negli occhi la luce, mentr'egli era ancora lattante. Fu raccolto da quelle anime egregie le quali hanno dedicato la loro esistenza al sollievo dell'umanità; fu allevato, educato, ed egli ora trovasi amato, circondato, festeggiato dai buoni e stimato da tutti. Quante volte udendolo trarre soavi armonie da quel cembalo che risponde sì bene alla malinconica sua fantasia; quante volte udendolo accompagnare il suo malinconico suono con un canto ancora più malinconico ed insinuante, io ho fitto i mio sguardo nel suo viso, ed ho tremato e palpitato aspettando quasi che quegli occhi vuoti si riempissero, che si aprissero finalmente quelle palpebre e ne uscisse uno sguardo loquace!... Allorchè il povero cieco si mostrava di tanto superiore ai veggenti, nell'arte dell'armonia e specialmente nell'accento che armonia prendeva sotto il suo tocco, ammirata e commossa mi sono rivolta agli altri per indovinare dal loro sguardo se dividevano il senso che m'invadeva, e quasi senza accorgermi ho stretta la mano del vicino come per dire: Iddio è giusto, ha dato a costui più che non gli ha tolto! M'è accaduto di assistere, presso le buone Canossiane, ad un esame delle sordo-mute povere di campagna. Ho pianto ed ho pianto di cuore in sentire quelle voci senza modulazione, formare degli accenti, emettere delle parole, dei discorsi i quali proveranno mai sempre che i miracoli sono possibili, se basta la carità cristiana a generarli; ma mi sono più che mai intenerita, ed ho sentito di essere veramente loro sorella quando ho letto i loro sentimenti con indefinibile delicatezza espressi sulla lavagna. Ho pensato anche allora: Iddio è imparziale, e privando costoro della favella del corpo, li dota di quella del cuore per parlare a Lui, per rivolgersi a Lui, per godere di Lui e di Lui solo. Se la deformità del corpo ti è toccata in parte, non la riguardare come una spina crudele; ma bensì come una caparra di un gaudio che non avrà nè misura, nè fine. Quanto meno hai avuto in terra, tanto più ti sarà dato in cielo.

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NEI giorni trascorsi abbiamo considerato i doveri che ci stringono a Dio, e ne abbiamo inferito il debito di rivolgerci frequentemente a Lui per avere ajuto e guida; siamo passate indi a ragionare degli studj che convengono a giovinetta civile, ed abbiamo dato la preferenza agli studj che presentano un'utilità più immediata, avvertendo alla necessità ed all'obbligo di guardarci dai maestri cattivi e dalle loro cattive dottrine: poscia stabilendo che l'eleganza consiste non tanto nel lusso, quanto nella modestia e nella semplicità, abbiamo visto non esserci lecito valerci di alcuna di quelle arti che ci fanno parere differenti da quel che siamo; infine per combattere in noi la vanità e distaccarci dai beni caduchi, abbiamo considerate che appunto sono caduchi ed affidati ad una ruota che or ce li dà, or ce li toglie. Da ciò è spuntata naturalmente la necessità di abituarci ad una saggia economia, di contentarci di quanto possediamo, di non riporre la nostra felicità negli onori, negli averi e neppure nella bellezza, fiore che presto appassisce, e non può essere, nè diventare fragrante se non è illuminato dal sole delle cristiane virtù. Ma le damigelle, che non hanno mai posseduto quel fiore, occupavano il mio pensiero, anzi il mio cuore, e col cuore ho mormorato al loro orecchio quanto veggo scritto nel libro della vita e la parola della fede. Ma fino ad ora temo di essermi occupata quasi esclusivamente, od almeno di preferenza, delle damigelle che si trovano sul mattino della vita, mentre altre ve ne sono, che della vita sono al meriggio ovvero l'hanno varcato: queste hanno pure diritto ch'io mi occupi di esse non solo, ma le tenga a parte del mio affetto, perchè se non per istato, almeno per età sono ad esse più vicina che alle prime. Fra le zitelle che hanno superato la giovinezza, altre lo sono per elezione, altre lo sono o per colpa propria od altrui, od in causa di circostanze più o meno comuni o straordinarie. Credo di dire il vero affermando che il numero delle prime comprende una zona molto ristretta e limitata; questo però è ben lungi dal significare ch'io neghi esservi molte fanciulle le quali fino dall'adolescenza hanno stabilito in cuor loro di non voler maritarsi, e neppure di farsi monache, ed avendo dichiarata più o meno pubblicamente questa loro intenzione, l'hanno poi fedelmente mantenuta. Colla mia usata franchezza premetto che, come regola generale, ritengo sia miglior consiglio per una giovinetta sposarsi a Dio se non vuol sposarsi ad un uomo, e sposarsi ad un uomo se non ha sufficiente virtù per dedicarsi per sempre col corpo, coll'anima, colla volontà, con tutta sè stessa allo Sposo celeste. Chi non ha in dito l'anello di Dio o l'anello dell'uomo (tranne alcuni casi che pajono avvenuti per mostrare che in ogni stato ed è possibile e si dà la perfezione), si trova in certo quale impaccio; non è nè dama, nè damigella; mancando della libertà conceduta a quella, non ha i vantaggi che a questa si accordano; ha solo raramente una casa propria; molto di frequente, sia ricca o no, le tocca di stare a carico di un fratello; la costui moglie la guarda con gelosia e con sospetto, ovvero con qualche altro parente cui teme sempre d'essere di peso, se non di peso materiale, almeno morale. Il Signore ci fa vedere che tutti gli uccelli si fabbricano un nido; perfino gli animali selvaggi si preparano una tana, quasi ad insegnarci che noi pure dobbiamo aver di mira a formarci uno stato... Ma e dove mi trasporti, fantasia agitata? quale campo mi mostri?... Non è questo il mio cómpito; a me non ispetta consigliare quale sia la condizione che più si convenga alle fanciulle; esse su ciò debbono ricevere lumi da quel Dio che all'uopo pregano ogni giorno con insolito ardore, esse debbono consigliarsi col direttore della propria coscienza, coi proprj genitori, ed io non debbo nè voglio essere come quei ciarlatani i quali pretendono offrire un'ampolla in cui sta il rimedio infallibile per guarire ogni male. Oh! non s'inquieti alcuna delle parole mie, le quali non sono in questo caso che l'espressione dell'opinione mia particolare; ma richiegga il consiglio a chi può, a chi deve darglielo, ed il medico sperimentato e saggio saprà prescriverle quel rimedio che specialmente le si conviene. 37

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Nella vita delle coscienze la bonaccia è tanto pericolosa, che il buon Dio sempre provvido ed amoroso anche quando gastiga, d'ordinario non ne prolunga lo stato; ma invia le malattie, le privazioni, e permette quelle croci d'ogni dì delle quali abbiamo, mi pare, fatto un cenno, per toglierle da un grave pericolo, e salvarle da sicura morte. Talora permette la bonaccia per provare la nostra fedeltà, e vedere se sappiamo ricordarci di Lui anche quando tutto cospira a renderci egoisti e dimentici: ma più spesso la bonaccia è una delle più terribili punizioni ch'Egli infligge a chi lo nega, e pretende di vivere senza di Lui; dapprima li ha provati colle sventure, coi rimorsi, ma vedendo che questi anzichè convertirli li irritavano, Egli li ha puniti lasciandoli abbandonati a sè stessi... Pure è il suo sole che li illumina e riscalda; pure sono le pecore da Lui create e tutte le sue creature che lor provvedono vesti e comodi; pure è il grano ch'Egli fa germogliare, che dà loro il pane, tutto il necessario alla vita! Ma essi nulla intendono: giaciono sull'onda immobile dell'immoto oceano, si specchiano in quella quiete fatale, vivono nel contentamento delle loro passioni, e trovano che Dio è un'invenzione, od un pleonasmo. Ma siccome io credo che pur troppo nella nostra società regni e domini l'ateismo per così dire, teorico, ma presto pochissima fede all'ateismo pratico, così penso che molti lo dicano, ma assai pochi credano davvero che Dio sia un'invenzione; mentre tengo per fermo che molti e molti lo negano a parole, o se ne burlano, appunto perchè lo credono un pleonasmo che si può sopprimere, senza verun danno, e di cui essi si vantano di volere e di poter fare a meno. Buon Dio! e chi toglierà quei poveri ingannati ed illusi a quella fatale bonaccia, più terribile per essi della più fiera tempesta? Ecco là; un vapore si avanza, si appressa, manda i suoi ministri ad offrire un infallibile ajuto... Il capitano marittimo non ha saputo resistere alla generosa offerta di salvamento; ma l'uomo mondano non crede al pericolo, rimanda e deride chi a forza d'amore lo vuol salvo... e perisce, ahi! pur troppo perisce se persiste a rifiutare il suo ajuto. Ma tu, figliuola, se a bordo della tua agile navicella custodisci ed ami il vapore della cristiana carità, sarai giovata dalla quiete del mare, e la bonaccia anzichè di pericolo ti sarà di premio, poichè togliendoti alla lotta ed alla furia dei venti e delle onde non sarai ritardata nel corso. Che se tu privassi la tua nave di quella forza possente, se tu confidassi nelle sole tue forze...? No, non voglio essere l'uccello del cattivo augurio; non voglio farti minacce; ma ad imitazione di Colui che dolcemente c'invita, ci esorta, ci obbliga quasi con una legge tutta di amore, mi proverò a dirti qualche cosa della carità ch'Egli è venuto a portar sulla terra, e ti ripeterò la sua dolce parola:Venite a me tutti, io vi ristorerò, io vi consolerò; venite a me!

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Quest'acqua è carità e ci parla d'amore per tutti gli uomini vicini e lontani, amici e nemici, buoni e cattivi; ci parla di riparazione e vuole che noi ci presentiamo a Dio quasi ostaggio pei fratelli nostri traviati; ci parla di perdonare i torti che abbiamo ricevuto, e d'abbracciare i nostri offensori; ci parla di correre in aiuto dell'indigente, portargli il soccorso della parola, della mano e del cuore, perchè ci fa vedere nel selvaggio, nel traviato, nell'offensore e nel tapino niente meno di un fratello. Oh! Gesù buono, e dov'è l'ardito che scaglia quell'indegna bestemmia che voi non siete un Dio? E dunque chi mai poteva dettare una legge di tanto amore, una preghiera di così universale ed eroica carità, se non la legge e la preghiera che voi siete venuto a recare sulla terra? E mi pare proprio che la fratellevole carità sia come una condizione da voi posta alla preghiera, perchè non siete stato contento di darcela una sol volta; ma ce l'avete ripetuta per bocca di due Evangelisti, preparandoci in certo modo a riceverla ed a comprenderne l'alto significato:Quando pregate, dite così: Padre nostro, ecc. Non credere, giovinetta mia cara, ch'io ti voglia far qui una dissertazione sul Pater noster, perchè, dopo quanto ne hanno detto i Santi Padri, e più specialmente Santa Teresa, tutto ciò ch'io ne potessi dire sarebbe come una smorta scintilla rimpetto al sole. Però ho pure un grande vivissimo desiderio d'informare il tuo spirito allo spirito del Vangelo, ed il Vangelo è la parola rivelata dal Dio fatto uomo. L'orazione domenicale è appunto la parola del Verbo umanato, quindi capace a toccarci il cuore, a muovere la nostra volontà, ed io non posso passar oltre senza fartene almeno un cenno. Il cristiano non deve appartenere a verun altro partito se non a quello del Cristo, e tu ed io dobbiamo sforzarci di avere mai sempre la dirittura evangelica, che è quanto dire la rettitudine, la giustizia, la carità in fondo al nostro cuore, ed in cima a tutte le nostre opere. Così facendo, la vita ci correrà 5 serena, e si potrà dire di noi che siamo passati facendo il bene. E tu, figliuola buona, quando ti gunge nel cuore una certa ripugnanza pe' tuoi simili, per qualunque siasi ragione, o perchè di carattere che non si combina col tuo, o perchè di condizione molto più bassa e forse anche abbietta, o perchè hanno offeso te od i tuoi nella parte più delicata e con aperta ingiustizia, ed infine perchè dichiarati libertini od infami; pensa allora che Iddio ti ha insegnato ad invocarlo Padre non per te soltanto; ma altresì per essi, e che vuole che ogni giorno tu ne domandi la protezione sul loro capo come sul tuo, e su quelli che ami. Gli uomini cercarono, cercano e cercheranno di raggiungere la vera fratellanza fra di loro; l'acclamarono, l'acclameranno,... ma sempre inutilmente: ed essa non resterà che uno splendido ideale ineffettuabile. Il trionfo di ottenere la fratellanza vera non si apparteneva nè si appartiene che a Dio, il quale, padrone com'è dei cuori e delle menti, investe i suoi seguaci di tale una carità capace a superare ogni ripugnanza, ogni ostacolo e li fa tutti amici, tutti fratelli, perchè ne pone il germe fecondo nel loro medesimo cuore e nella loro coscienza. E noi ci rifiuteremo a seguire il vessillo glorioso di questo grande amante dell'umanità, del Dio fatto uomo per amor nostro? Oh! no, chè anzi quando ci sentiremo contrarietà con alcuni dei nostri prossimi, ci sforzeremo di richiamarci alla mente che anche i peccatori amino chi li ama ed obbedienti al comandoAmate i vostri nemici, fate del bene a quei che vi odiano, e siate adunque pietosi come anche il Padre vostro é pietoso, perdoneremo a chi ci ha offeso, ci agguaglieremo a coloro che si trovano in basso stato, e presteremo una mano soccorritrice all'infermo ed al tapino, senza curarci se la mano che stringiamo è rozza od incallita, ovvero tremante e macilente. Oh! la carità è pure una grande virtù, ed insieme una grande consolazione del nostro cuore! Quando all'avvicinarsi di alcune feste speciali il mondo ci si affolla intorno a presentarci un'infinità d'auguri, perchè non ci augura un po' di carità, di quella carità vera che beneficando gli altri benefica sè medesima? Lo dovremmo pur ricordare che l'Iddio nostro è tanto buono, che vuole sempre, o quasi sempre, premiarci colla soddisfazione del bene! Oh! io l'auguro ora e sempre a te la carità vera, sicura che questa ti porterà bene, non solo all'anima, ma altresì al corpo ed al cuore, perchè bramo che tu sii felice, e felice non puoi essere se il testimonio della buona coscienza non ti assicura di non aver lasciata sfuggire l'occasione di far del bene, ma che anzi ti sei sforzata di farlo il meglio che per te si possa.

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Buon per noi che a guidarci, ad incoraggiarci nella via che dobbiamo percorrere, abbiamo ad esemplare e modello il nostro Signor Gesù Cristo, il quale nella smisurata liberalità del suo cuore ci comunica la sua potenza e la sua virtù, e ci rende, se il vogliamo, suoi veraci imitatori! Ma neppure forse tu conosci il significato religioso della parola riparazione che ti ho proposto come una virtù da apprendere, come un'azione da fare, ed io mi studierò di spiegartelo come so e posso, e cercherò d'invogliartene. Dimmi, o cara, sai tu che cosa è venuto a fare sulla terra il nostro divin Redentore? Niente più, niente meno che la più grande opera della più perfetta riparazione, opera che niun altro, fuorchè un Dio, poteva ideare, nonchè compiere. L'uomo era caduto, e Gesù Buono è venuto a rialzarlo; era in odio a Dio, ed Egli è venuto a ritornarlo amico col suo Signore; era fiacco, ed Egli è venuto a rinvigorirlo; era egoista, ed Egli è venuto a predicare la carità. In una parola, egli è venuto a riparare non uno, ma tutti quanti i mall dell' intera umanità, e per rendere vieppiù perfetto il suo atto di riparazione, Egli stesso si è offerto, vittima volontaria ed immacolata, a Dio per l'umanità peccatrice, ed ha voluto spirare su di un patibolo, tollerando di essere bestemmiato e maledetto come un malfattore. E chi non resta commosso all'accento pietoso con cui il morente Salvatore prega pe' suoi crocifissori, dicendo al suo Eterno Padre:Perdonate loro, perchè non sanno quel che si fanno? Ma tu lo sai e lo intendi; io non esigo che tu ti offra vero olocausto per le iniquità degli uomini, poichè nè Dio lo esige, nè i grandi sacrifici possono venire consigliati così di leggieri; quanto io vorrei da te è qualche cosa che gli somiglia, almeno da lungi, e questo qualche cosa gioverebbe agli altri e insieme a te stessa. Se alla nostra fiacchezza non è agevole, e talvolta nemmeno possibile portare il sagrificio all'eroismo, è però agevole e piacevole in pari tempo imitarne lo spirito, offrendo l'un per l'altro le nostre preghiere. Questa è pure opera di vera e cristiana riparazione, e noi non la dobbiamo trascurare. Quanto è bello vedere la donna o la fanciulla cattolica piegare le sue ginocchia davanti al Santo dei Santi, e pregarlo a voler accettare le sue preghiere in riparazione degli oltraggi che gli arrecano gl'idolatri, i scismatici, gli ebrei, gl'increduli, gli apostati, i sacrileghi, i profanatori dell'Ostia d'amore, i cattivi cristiani, gl'indifferenti, i libertini, i malfattori d'ogni specie, e persino gl'ipocriti! Non é questo un offerire a Dio la preghiera e la riparazione l'un per l'altro? non è questa un'opera perfettissima di una sublime carità? E tu, amica cristiana, non ti senti attratta a quest'opera sublime e sublimemente civile, e, per dirlo con un'espressione moderna, perfettamente liberale e filantropica? È troppo brutto ed avvilente per uno spirito generoso l'occuparsi sempre e unicamente di sè, ed è altrettanto bello e confortante trovar modo di prestarsi per gli altri, e pensare e riparare agli altrui bisogni, che tu dovresti tenere questo pensiero come un desiderio ed un voto del tuo cuore. Lo so bene; guardando le cose con un occhio tutto materiale, taluno, e forse molti, mi diranno, che pensare agli altri vuol dire riparare ai loro urgenti bisogni, correre in ajuto dell'infermo e del mendico, consigliare ed appoggiare la vedova ed il pupillo, rialzare il caduto... Certo che sì, queste le sono opere buone, anzi ottime; ed io, ben aliena dal trascurarle, le consiglio non solo, ma dico che chi le può fare dovrà rendere a Dio stretta ragione, se, per infingardaggine o per egoismo, le tralascia: anzi, nel progresso di quest' operetta, quando saremo a trattare del modo pratico col quale dobbiamo regolarci, ne parlerò sicuramente. Ma per diventare atti a servire efficacemente il nostro prossimo, ed a curare il suo come il nostro vantaggio, dobbiamo prima educare cristianamente il nostro spirito. Or bene, allorchè noi l'avremo abituato alla riparazione, tutto il resto ci riuscirà facile, anzi facilissimo. Quand'io conoscendone il cuore, arrivo a convincermi che mia madre gode di essere in certo modo sforzata a perdonare a mio fratello l'offesa che le ha recato, io corro da lei, la copro di carezze e di baci, e mi consolo di veder finalmente slanciarsi nelle braccia l'un dell'altro il figlio e la madre, che mi dava tanta pena in veder divisi. Nè questo basta; quand'io so che la mia genitrice tiene come fatto a sè quello ch'io faccio al figlio suo, io mi adopero per lui, con tutte le mie forze lo ajuto, lo soccorro, dimentico i suoi torti, gli consacro le mie fatiche e, se bisogna, la mia vita istessa con tutto il trasporto. E non faremo almeno altrettanto per Iddio? Le occasioni di visitare un infermo, di consigliare un dubbioso, di soccorrere un tapino, non ci si presentano di continuo, e non sempre neppure ci troviamo in grado di poterne approfittare; tanto più poi questo diventa malagevole ad una damigella, la quale, obbligata ad obbedire a' suoi superiori, non può fare un solo passo senza il loro consentimento e fors'anche senza esserne accompagnata. Ma l'occasione e l'opportunità di fare l'opera della vera riparazione nessuno ce le può togliere, ogni qualvolta noi la vogliamo compiere. E chi ti può impedire, amica mia, che, prostrata davanti al Padre non tuo, ma nostro, tu lo preghi non tanto per te, quanto per gli uomini tutti, e specialmente per coloro che più ti stanno a cuore, che più ne hanno bisogno, e che più si sono raccomandati alle tue orazioni? E questo tu lo puoi far sempre sempre, e non solo in Chiesa o nella tua cameretta appiè d'una sacra immagine; ma dovunque, in casa, in istrada, in conversazione, in teatro, perchè dovunque c'è Dio, e l'anima tua libera può dovunque a Lui sollevarsi e pregar venia a colui che tu sai od immagini, o vedi offenderlo. Questa pratica ti ajuterà all'amor vicendevole, alla vera fratellanza; allorchè tu avrai pregato di cuore per gli altri, ti sentirai inclinata tu stessa a guardare gli uomini con occhio benigno e di perdono, ad amarli, a desiderar loro ogni bene, ed a procurarlo loro anche con tuo vero e non lieve sacrificio. Vi hanno molte anime buone, le quali fanno della riparazione lo scopo speciale della loro vita, e pregano ed operano unicamente per espiare le colpe dell'umanità, e per essa si offrono a Dio olocausto di propiziazione. Queste riparatrici si adoperano perchè anche coloro che vivono nel secolo di un'esistenza comune si associno a loro a riparare le offese dei fratelli colpevoli! E non ti piace, non ti seduce in certo modo questo pio pensiero? Ed allora, se ti piace, perchè non ti ascrivi a fare la tua Comunione mensile a questo scopo sublime? In molte città vi sono case in cui si pratica specialmente e continuamente l'opera della riparazione; noi in Milano abbiamo la casa di Betania, dove le signore che vivono nel secolo si recano ogni settimana a fare opera di riparazione appiè di un modesto altare. Ma che importa se l'altare è modesto, quando dentro vi brilla il sole della vita cristiana, Gesù Sacramentato? Oh! giovinetta mia, dà tu pure il tuo nome, e diventa collaboratrice nell'opera della riparazione, e vedrai quanta gioja ti pioverà nel cuore, e quanto più facile diventerà per te la via che a Dio conduce! Lungi da te la tema di divenire nojata o nojosa, o pesante agli altri, se ti carichi di simile pratica! Anzi ci guadagnerà di molto la tua amabilità, allorchè vedendo che uno falla, in ispirito di riparazione ti porrai ad amorevolmente correggerlo, e ti sentirai trascinata a divenire la difesa dell'assente, del meschino e del pusillanime. Poi c'è un'altra bella pratica di riparazione, che, come ti ho detto, può compiersi ovunque, perfino, vorrei quasi dire, in teatro. Allorchè giunge al tuo orecchio una parola meno pura od una bestemmia, fa, se puoi, di troncarla; ma se non ti è dato far altro, prega il Padre tuo che è ne' cieli a non voler imputare ció a peccato. Se vedi un povero che tu non puoi ajutare, prega Dio per esso; se vedi uno sgraziato, uno sventurato d'ogni maniera, invoca su di lui il divino ajuto, e certo diverrai e ti conserverai assai più benefica alla società di quanti ostentando per essa un amore sommo, un amore ch'io vorrei chiamare romantico, non sanno dare un soldo senza che il loro nome sia inscritto nella lista dei filantropi, o per lo meno senza essere veduti ed applauditi. Ma quell'Iddio che ci dice:non sappia la tua sinistra quello che dona la tua destra, quell'Iddio terrà conto della preghiera che nel segreto del tuo cuore tu sollevi a Lui pel fratello colpevole o sofferente, e non solo te ne prepara il premio in quella vita che è vera vita, poichè non havvi più morte, ma ben anche in questa mortale carriera. Lo sai, te l'ho già detto e te lo ripeterò sovente: tu devi essere l'angelo della tua famiglia; a te spetta il dolcissimo incarico di chiamare sopra di lei le benedizioni celesti. Sì, la vergine cattolica, più libera di ogni altro di pensieri e di affari, deve supplicare l'Altissimo a voler ajutare tutti coloro che la circondano, e che formano un cuor solo con essa. Oh! se tu sarai veramente tale quale io ti vorrei, anzi, quale Iddio ti vuole, fervente riparatrice delle offese degli uomini, te l'assicuro: la tua sola presenza sarà di consolazione e di buon esempio ad ognuno, fosse pure incredulo o beffardo. Sì, non esito ad affermarlo; anche colui che beffeggia la religione nostra santissima, è compreso da un sentimento di ammirazione in vedere chi la pratica costantemente, fedelmente ed allegramente, e ne riceve un salutare eccitamento al bene. Dimmi qual è quel soldato incredulo o libertino che sul campo o negli spedali ardisca levare anche una sola occhiata provocante o meno rispettosa sopra quegli angeli della terra che si chiamano le Suore della Carità? In Parigi non solo, ma in Francia tutta, era diventata una vera potenza la umile, la modestissima suor Rosalia, ed al povero suo parlatorio, allorchè era divenuta cieca, si trovavano insieme confusi i grandi ed i piccoli, i sudditi e gli imperanti. Oh! la Dio merce, la potenza del bene è grande, ed io desidero e prego che tu divenga veramente pia, benefica, e ti sforzi a riparare le offese che gli uomini recano al nostro Iddio, specialmente nella profanazione del Sacramento dell'amor suo. Consolati! la tua riparazione e il tuo esempio avranno uno splendido risultato. Orsù, ricorda il detto del grande Agostino: Ama, e fa quello che vuoi. Sì, ama, ama il fonte dell'amore, e procura di amarlo anche per chi non l'ama, e di porgergli ammenda onorevole per chi indegnamente lo offende.

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Ora noi abbiamo il codice ed è il Vangelo; noi abbiamo il Maestro infallibile ed è la Romana Chiesa con a capo il Pontefice, la quale ci spiega il Vangelo e ci rende facile l'adempimento dei comandamenti di Dio, additandoci pratiche speciali per seguirli. Il Signore ci ordina la santificazione delle feste, il cibarci delle Carni del Verbo umanato, sacramentato, e ad ogni passo del suo Santo Vangelo ci va ripetendo penitenza, penitenza; la Santa Madre Chiesa con cuore veramente materno, per toglierci ed alleggerirci la grave responsabilità del precetto divino, ce ne prescrive la pratica con amorevole indulgenza, imponendoci la Messa festiva, la Comunione Pasquale, l'astinenza di alcuni cibi in alcuni giorni, e il digiuno nella quaresima e nelle vigilie delle maggiori solennità. Un tale, pranzando un venerdì ad un albergo, era fatto oggetto dello scherno di alcuni giovinastri, perchè si cibava di vivande da magro; ad un tratto egli ordina una costoletta, poi gettandola al suo cane, che accovacciato gli stava ai piedi, gli disse: To', mangia, la tua religione non te lo proibisce. Quei giovinastri, piccati, ma mortificati, si morsero le labbra e uscirono. Non ribelliamoci no alla Santa Chiesa, ma obbediamola fedelmente sempre sempre; che se per ragioni di salute o per circostanze specialissime ci è impedito l'adempimento materiale di quanto essa ci comanda, noi ne avremo adempito lo spirito, se umilmente e con cuor di figli le chiederemo di esserne dispensati. Ricordati bene, mia cara amica, di non farti giudice o mormoratrîce dei trasgressori delle leggi ecclesiastiche; bensì, ove ti sia dato, fa di ammonirli piacevolmente, facendo loro sentire l'obbligo che tutti stringe di osservarle; ma più specialmente quand'anche tu fossi fatta soggetto di biasimo o di derisione, segui coraggiosamente la tua via, e quell'Altissimo che tien conto fino dei capelli del tuo capo, terrà conto della tua costanza, e te l'ascriverà a merito ed a merito grande. Vi hanno alcune circostanze in cui il tuo Confessore non solo ti permetterà, ma ti ordinerà fors'anche di mangiar grasso e di astenerti dal digiuno, per sollevare la tua coscienza da ogni turbamento; ma io credo che anche in proposito tu sii obbligata ad accennargli tutte le circostanze, come sarebbe quella del mostrarsi pubblicamente o ad un caffè, o ad un pranzo diplomatico o no, ma tale che il tuo esempio possa riuscire di scandalo o di appiglio ai tristi per appoggiare o giustificare la trasgressione delle leggi della Chiesa. Se tu non fossi figlia di famiglia, io ti direi recisamente di affatto astenerti da quei convegni dove apertamente si viola il precetto della Chiesa e quindi di Dio; ma siccome può darsi il caso in cui tu sii obbligata a prendervi parte, solo in questo caso vi ti puoi recare, previo sempre il permesso ed il consiglio del tuo Confessore. Che se per avventura ti trovassi in villa od in luogo in cui non hai l'ordinario tuo direttore, potrai attenerti a quei consigli che egli ti avrà forniti in altra simigliante occasione, o potrai dirigerti ad un Confessore del luogo. Vi hanno delle anime tanto deboli e meschine, le quali non sanno adattarsi a dire le loro colpe al Sacerdote del villaggio, o perchè se lo vedono frequente in casa, o perchè ne conoscono i particolari difetti, o per qualunque altro perchè, inconcludentissimo quando si pensi che colui che esse vedono in casa, o pieno di difetti, od anche grandemente colpevole, è l'uomo, mentre colui, al quale si confessano non è più l'uomo, ma il Sacerdote, vale a dire il rappresentante di Dio. Tu sei obbligata a contentarti ed a prendere quello che ti viene offerto da quelli di casa, tanto nel vestire, che nel mangiare, ed in tutto: cioè... cioè, tu veramente saresti obbligata ad obbedire i tuoi genitori quando il loro comando non implichi trasgressione al comando della Santa Chiesa; però in questo caso la Santa Chiesa, svisceratamente amorosa ed indulgente, ti dirà anche dispensata da questo; ma tu però farai bene a rivolgerti umilmente a Lei. Ma se tu sarai prudente, discreta, amabile, ti sarà facile ottenere dai tuoi di casa i mezzi per l'osservanza dei precetti; questi certo diverranno scala a grandissimi meriti, ed i meriti a loro volta diverranno scala a grandissimo premio... in Paradiso.

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ABBIAMO passato in rivista le riunioni serali, i pranzi di famiglia ed i pranzi d'invito, ed abbiamo veduto che in tutti questi ritrovi tu puoi e devi recare la virtù cristiana, la modestia, ed insieme una santa franchezza e lealtà per sottrarti non solo alle seduzioni e sfuggire il male, ma renderti forte e potente contro di esso. Nè vale il pretesto essere leggiero il male che ti viene insinuato, poichè ogni male è sempre male nè d'altronde ti è sempre dato rilevarne a colpo d'occhio la profondità e la gravezza, e perchè dal poco si passa poi con tutta facilità al molto. Ti resta però ancora una grande tentazione a scongiurare, a combattere, ed è contro di questa ti vorrei oggi agguerrire e rafforzare. In tutte le età e presso tutti i popoli sotto forme svariatissime e fra loro disparate, ha sempre avuto luogo il teatro, che è quanto dire una rappresentazione, ovvero una riproduzione più o meno verosimile delle scene tragiche, drammatiche o ridicole quali si svolgono realmente nel seno della società. Ora nei secoli inciviliti e presso le nazioni colte, queste rappresentazioni hanno guadagnato altissima importanza; senonchè, c'è un guajo molto grosso e molto brutto che guasta le uova nel paniere, e rende pericoloso quanto per sè stesso sarebbe indifferente, quand'anche non fosse sovranamente buono ed utile e vorrei quasi dire necessario. Lo scopo primitivo del teatro fu quello di educare i popoli alle più eroiche virtù, per cui l'amor patrio, il disinteresse, l'eroismo, dovrebbero esserne e fino ad un certo punto ne sono stati il movente e l'anima. Ma il tempo, anzi 46 l'uomo, ha il mal vezzo di guastar tutto, di tutto alterare, e da lunga pezza il teatro è diventato una lurida scena delle più luride passioni, e pochissime produzioni si sostengono senza porre a nudo le più schifose piaghe umane e sociali, di giunta esagerate ed accresciute, perchè si dice d'aver bisogno di forti scosse, di forti caratteri, di forti passioni. Anzichè coprire d'un velo le enormità di una Messalina, le nudità di una Frine, si mettono in scena pubblicamente, sfacciatamente, e pubblicamente e sfacciatamente signore (e perfino signorine), assistono allo spettacolo, s'inteneriscono ed applaudiscono a scene che dovrebbero essere tuttora un mistero per esse, e ben lungi dal riempirle d'orrore, le divertono invece piacevolmente. Oh! vergogna, vergogna! Una dama, una damigella potrà prendere parte al ludibrio che si fa di lei, col riprodurre in sua presenza le più abbominevoli enormità di taluna del suo sesso, di taluna, che dovrebbe considerare, e ne è infatti non una parte integrante, ma una mostruosa appendice?... Oltre alle produzioni storiche, altre molte ve ne sono immaginarie e fantastiche, nelle quali tu trovi un'orrenda miscela dei più orrendi delitti, delle più orribili passioni, e quel che è peggio queste e quelli non solo tollerati, ma sublimati, portati all'apogeo. Alcuni anni or sono, io mi trovava a diporto in provincia presso una dama di alta società, ed invitata a recarmi con essa alla commedia, seguendo il consiglio di chi dirigeva la mia coscienza, non mi rifiutai, tanto più che si diceva da tutti essere la rappresentazione di quella sera interessante e buona. Quanto all'interessante convengo pienamente, perchè pur troppo il peccato di Adamo ci ha lasciato una mala inclinazione che ci piega volontieri al pantanoso, al turbolento; ma, quanto al buono?... Senti, e giudica tu stessa. Si alza il sipario, ed allorchè io credo di assistere ad una scena esemplare, e m'interesso alle buone e robuste qualità morali dei personaggi che vi si muovono, m'accorgo che quella casa è una brutta casa, quella gente è una brutta gente, quell'azione una brutta azione. Finalmente esce fuori una contessa di alti sentimenti, di nobile cuore; mi aggrappo, per così dire a lei, nella necessità e nel bisogno di trovare un poco di bene in una società così colpevole e viziata e sventurata; ancor poche scene, e i suoi alti sentimenti, il suo nobile cuore l'avranno condotta a beneficare un povero, a consolare un afflitto... penserai tu. Niente di tutto questo; ancor poche scene, e la nobiltà del suo casato, della sua intelligenza, del suo sentire la conducono a coronare coll'esito sospirato la più orrenda vendetta che essa da molti anni meditava e lavorava colle arti più fiere e più perverse. Un pezzo prima io mi era ritirata nel fondo del palchetto, vergognandomi di trovarmi presente alla rappresentazione di azioni cotanto vergognose, e, lo crederesti? Un signore amante e frequentatore del teatro e della società, dopo d'aver alquanto riso della mia ripugnanza, mi confessò che una dama fa pur la brutta figura nell'assistere a simiglianti spettacoli, ma che l'uomo di mondo ve la desidera, appunto per ridere, per acquistare il diritto di entrare con essa in discorsi alquanto liberi, o per dispregiarla. Non c'è da illudersi, le produzioni dei nostri teatri su per giù sono tutte di questo stampo, e chi ha udite quelle di Sardou potrà dire che io, anzichè esagerarne la corruttela, l'ho appena appena accennata e di volo. Pure vi sono molte persone tanto semplici, o a meglio dire, tanto ignoranti, le quali si ostinano a trovare non cattivo il teatro odierno, e certe altre spingono il loro zelo così da trovarlo anzi morale, moralissimo, e tale che vi s'impari a viver bene. Poveri ciechi! Se siete ciechi non vi attentate a descrivere la luce, il colore, il cielo, la natura! Nella vostra fronte non brillano quei lumi che vi mettono in relazione cogli oggetti esteriori, poveri ciechi! vi compiango, e prego Iddio affinchè v'illumini, vi mostri il vero, il bello, il buono! E che morale c'è nel mostrare il vizio come fosse una virtù, nel poetizzarlo, nel divinizzarlo? E che morale c'è nel metterci a contatto con individui corrotti, corruttori, o quanto meno traviati? Ma io faccio per la seconda volta come quei predicatori i quali s'infuriano contro i grandi peccatori che sono fuori di chiesa e quindi fuori della possibilità di sentirne la parola: parlo a te di colpe, di scene, di turpitudini, che non conosci od aborri. Dunque deggio tirare una riga su questo capitolo, od almeno su quel tanto che inveisce contro le enormità peggiori a te ignote, e più che mai estranee? Ho da tirare una riga?... No, non lo posso, non lo debbo, poichè se per te il teatro non è una colpa, perchè non lo frequenti, è però una gran tentazione, mentre i sedicenti amici, gli adulatori, gli uomini di mondo ti vanno ricantando su tutti i toni essere al teatro dove s'impara a vivere, a sentire, a, godere, e che coloro i quali vivono ritirati od anche solo lontani da esso, o sono o diventano originali, eccentrici, ridicoli. Tu lo sai quanto poco conto tu debba fare di quello che si dice, tanto più che bene spesso si dice una cosa e se ne pensa un'altra da coloro i quali hanno l'ignobile ufficio d'ingannare o di tentare le anime buone. Poi, che ti gioverebbe l'apprezzamento del mondo e degli uomini quando tu avessi perduto il candore dell'anima tua? Il libro cattivo è il falso amico che t'induce al male col racconto; lo spettacolo cattivo è il falso amico che t'induce al male col rappresentartelo vivo vivo all'immaginazione esaltata, inebriata. Per carità, fuggi come il libro, così il teatro, allorchè non hai la morale certezza che vi si diano spettacoli onesti, nei quall il tuo pudore e la tua virtù non abbiano a patire detrimento alcuno. Allorchè vedi le tue amiche adornarsi per correre al teatro, o le vedi tornare beate e giulive dal goduto divertimento, e ti corre l'acquolina alla bocca, ed una certa quale invidiuzza ti serpeggia nel cuore, pensa che non si chiudono oggi le partite; forse domani stesso nelle circostanze mutate, e nella convivenza di persone migliori, un dubbio, un sospetto crudele le agiterà, le invelenirà. Che cosa è? Hanno visto jeri al teatro essere falso quello che pareva buono, buono quello che pareva falso, e si sono confuse la testa, non sanno più discernere il vero, domare la fantasia, frenare il cuore. Povere giovinette, eravate sì buone, sì semplici, sì contente, ed in un lampo siete diventate sì meste, sì infelici! Pure, se tu parli ad esse, ritornale a Dio, al ritiro, alla casa, tu tornerai la calma al loro cuore, il discernimento alla loro intelligenza, la virtù all'anima loro. Oh! fanciulla, nella purezza è la pace, la gioja ogni bene. Quando poi tu fossi sicura che lo spettacolo è buono, od almeno che non vi ha nulla affatto di male, ed i tuoi genitori desiderassero condurviti, io non mi opporrei più, dopo di averti raccomandato per la centesima volta di osservare la più scrupolosa modestia nel tuo vestire, nel tuo contegno ed in tutta la tua persona; di tenere ben le briglie al tuo cuore, affinchè non ti prenda la mano, e divenga padrone; di aver sempre in mira il buon Dio e la sua santa legge, e di non fare nè permettere mai atti o discorsi che la ledano menomamente. Ma la casa, la casa, chi ti può dire le gioje intime, ineffabili, ch'essa ti offre nel suo seno, se ti concentri in essa, se in essa tu cerchi dopo che a Dio le soddisfazioni del cuore e dello spirito?...

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Ma nessuno ha mai fatto, nè il potrà far mai, poichè il cuor nostro è un insieme di buone e di grave tendenze, è un'accozzaglia dei più disparati sentimenti, e ci è accaduto più volte di veder compiere un'azione lodevole, anzi eroica, da taluno da noi per lo innanzi ritenuto egoista, mentre all'incontro abbiamo dovuto riconoscere egoista tal altro considerato per lo innanzi generoso. Questa riflessione deve riempirti di santo timore, mia cara; ma più di te deve intimorire il povero mio individuo sì debole, sì poltrone, sì orgoglioso da cadere in qualunque bassezza... Buon per noi che l'Iddio nostro ci assicura che giusto allorquando noi sentiamo la pochezza, la miseria nostra, possiamo tutto in Lui che ci conforta! Buon per noi che la religione nostra santissima se non ci spiega, ci rende però credibili e razionali i misteri da essa offerti, non al nostro giudizio, ma alla nostra fede! Buon per noi che alla luce di questa fede santissima, vediamo dissiparsi le tenebre dell'incredulità, le quali accerchiano il mistero, e vediamo espressa in Dio ente infinitamente superiore alla nostra capacità limitata, la ragione e la ragionevolezza dell'esistenza di misteri superiori alla nostra comprensione! Oh! amica mia, ringraziamolo di gran cuore il nostro Creatore, il nostro Padre, il quale togliendoci alla credulità superstiziosa dei Pagani, e di coloro che il mondo dice atei od increduli, ci ha noverati nella valorosa schiera dei veri credenti con quei colossi dell'umana famiglia che da S. Girolamo, S. Ambrogio, S. Agostino, e giù giù all'angelo delle scuole il grande Aquinate, a Dante, a Colombo, a Manzoni nostro, hanno creduto fermamente le verità della fede, e nell'incapacità loro di comprendere il mistero, hanno veduto una prova di più della santità della loro religione, cui intelletto o genio umano non può giungere. Oh! preghiamo assai pei poveretti i quali non credono in un Dio uno e trino, nell'incarnazione del Verbo, nella verginità della Madre nostra, nell'infallibilità della Chiesa e del Sommo Pontefice; oh! sì, preghiamo molto per essi: non vedi tu che essi come noi hanno un estremo bisogno di credere, di amare qualche cosa più grande di loro? Se non fosse in questo bisogno, e come spiegheresti tu la strana incoerenza di coloro i quali, pur vantandosi di non creder nulla, si sgomentano della fatalità, e cadono tanto basso fino a paventare i più ridicoli pregiudizj del venerdì, del sale rovesciato sulla mensa, dell'incontro di tredici individui in un convegno, e di cento altre miseriole appena compatibili in persone superstiziose o rozze? Ma vedi mo' cosa strana! La mia mente e forse il mio cuore mi trasportano tanto intrattenendomi teco, che ho bisogno di tutto il freno e di tutta la riflessione per non lasciarmi trascinare a lunghe digressioni, tanto mi è caro il conversare con te, e mi è dolce lusinga quella di comunicarti qualche utile idea, qualche pratico insegnamento. Eccoci senza avvederci, tornate al nodo dell'argomento propostoci in sul principio di questa conferenza, che cioè il cuore umano è un vero guazzabuglio, un profondo mistero, un va e vieni delle più contradditorie inclinazioni, un laberinto inestricabile, senza l'ajuto di Colui che tutti illumina coloro i quali a Lui si rivolgono con desiderio vero di essere esauditi, e chiedono di essere dirizzati sulla retta via. Iddio ha detto e ripetuto che è riservata la vittoria a chi combatte; ecco con ciò spiegato quest'urtarsi dentro di noi del bene col male; eccoci dato un ajuto possente a sostenere valorosamente la lotta, facendoci conoscere che Iddio è sempre pronto a darci il premio se da valorosi pugniamo! Orbene, te l'ho detto più volte, io non posso mai pormi a tavolino per iscrivere a te e per te, senza prima aver ricorso alla cara Madonna, senza essermi fatta una forza grande per superare un estremo timore ed un terribile scoraggiamento; questo sentimento non l'ho vinto mai, nè la buona, affettuosa accoglienza fatta alle altre mie produzioni e quella promessa a questa, mi hanno tranquillata completamente, chè anzi ogni parola di conforto dettami anche da un'umile fanciulla, cade sempre desiderata e refrigerante sull'animo mio turbato e pauroso. Pure, vedi incoerenza! Pure, non so decidermi a chiudere questo libro, senza prima quasi a mo' di riepilogo, ritoccare gli argomenti più scabrosi ed interessanti, presentarli alla tua meditazione, al tuo cuore, quasi mio testamento affettuoso e perenne. Chi sa s'io m'intratterrò altra volta con te, o giovane mia diletta; chi sa s'io ti accompagnerò un giorno nella nuova tua casa per seguirti nelle dolci e pur penose emozioni di sposa e di madre?... Chi sa?... Iddio, se vorrà Lui qualche cosa da me, m'inspirerà quel ch'io debba; lo inspirerà ai miei superiori, al mio Direttore, ed io ubbidendo a quella sentenza che molte volte ed anche questa mane mi si è presentata, aprendo a caso il Vangelo laddove dice in S. Marco: Non vogliate premeditare quello che abbiate a dire; ma quello, che in quel punto vi sarà dato, quello dite; ché non siete voi che parlate, ma lo Spirito Santo, impugnerò nuovamente la penna, e dirò quello che lo Spirito mi detta, senza punto badare al mio desiderio od alla mia ripugnanza. Sì, il confesso, mentre mi è pena e pena grande farti in certo qual modo da maestra e da guida, mi è altresì pena vera lo staccarmi da te, damigella cara, da te che con amore mi hai seguito fin qui: quanto alle altre le quali hanno troncato a mezzo la lettura, non s'avvedono neppure di questa mia titubanza e di questo mio desiderio!... Ma un pensiero consolante mi rialza l'animo, assicurandomi che quanto io ho detto non è cosa mia, non viene da me, ma da quel Dio il quale buonissimo e misericordioso con tutti, e più specialmente coi più indegni, mi ha scelta a strumento della sua parola. Ah! foss'io stata, e foss'io tuttora strumento docile nelle mani divine, quanto lo è la penna che sta nelle mie! O mia buona figliuola, se gli è Dio che ti parla, ed io non sono che un portavoce, tu lo devi ascoltare, tu devi porgere attento orecchio alla sua parola; tu devi seguire i suoi ammaestramenti, i quali rendendoti più pia, ti renderanno più buona anche per te stessa, e più utile al prossimo tuo; ti tramuteranno in angelo sotto veste umana, ti rinforzeranno contro le battaglie che il mondo, il demonio e la carne insieme congiunti ti moveranno contro. Oh! possa il buon Dio renderti felice, ma prima fervorosa credente, calorosa adoratrice del Sacramentato nostro bene, del Cuore Sacratissimo del nostro Gesù, e ti faccia trovare ognora in quel pelago di dolcezza un consiglio nelle dubbiezze, un conforto nel timore, uno sprone nelle titubanze, un incoraggiamento, un ajuto nelle opere buone, un ostacolo insuperabile nelle vie del peccato. Oh! ti renda felice il nostro caro Gesù, e non solo felice in una vita che sfugge, ma nell'altra che eternamente dura!

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Da essi tu sarai più difficilmente ingannata o dimenticata, perchè la comunanza d'interessi e di rapporti cui abbiamo già accennato, sarà un argomento di più alla durata dell'amicizia che è il tuo sogno, il tuo conforto. Quand'io era piccoletta, alcune combinazioni di famiglia mi tennero con essa per un pajo d'anni in provincia; alla scuola mi imbattei in una ragazzetta maggiore due o tre anni di me, la quale aveva (come si suol dire nei circoli) un cuore gemello col mio. Non sapevamo distaccarci l'una dall'altra, e dopo le ore di studio passate in comune, essendo ambedue nella medesima classe, volevamo sempre tenerci vicine, ci aprivamo scambievolmente l'animo, e si poteva ben dire che due piccole fanciulle erano già due grandi amiche. Nessuno s'attentava disgiungerci, ed una era ben lieta di dividere il gastigo dell'altra, mentre poi non sapeva godersi un premio od un piacere che con quella non fosse diviso. Benchè io non avessi ancora undici anni, allorchè venendo stabilmente in Milano m'allontanai da quella città, si continuò lunga pezza a parlare nella scuola dell'amicizia mia con Erminia, e molte fanciulle là venute molto tempo dipoi ne tramandarono la ricordanza alle sopravvenute. Pure, che diresti? Io non so aggravare l'amica mia, che anche dopo tanti anni non posso ricordare senza un fremito di tenerezza e di malinconia; ma, forse circostanze eccezionali di famiglia da parte sua, una certa diffidenza da parte dei parenti d'entrambe, e più di tutto la lontananza, hanno troncato la nostra relazione, hanno affievolito il nostro affetto, e forse, da parte sua, lo hanno posto totalmente in oblìo. Non ne dubito più; i parenti della mia amica, certamente le hanno intercettato le mie lettere od hanno impedito il corso alle sue, cosicchè la nostra corrispondenza è morta al suo nascere, quasi fiocco di neve caduto la notte e disciolto al sorger del sole. Se quella mia diletta fosse stata a me legata con vincoli di sangue, nessuno avrebbe pensato a distaccarla da me, mentre lo ricordo tuttora con vivissima compiacenza, erano pur soavi le effusioni degli animi nostri, erano pur intime ed innocenti le nostre confidenze, ed i minuti ma relativamente importanti consigli di cui ci eravamo prodighe l'una all'altra, lasciavano un'impronta indelebile. Così, ecco un vuoto di più nella vita, un vuoto che, il ridico, dopo tanti anni è indebolito, ma non riempito, poichè un affetto vero non può morire, nè muore mai. Non intendo, dopo quanto ho detto, proscrivere assolutamente l'amicizia indipendente dai vincoli di parentela: intendo solo di porre sott'occhio alle damigelle che amo, essere conveniente posare di preferenza il proprio affetto e la propria confidenza a cemento, a rinforzo dell'affetto della famiglia, mentre nessuno è più nato ad esserci ed a conservarcisi amico di uno del sangue. Pur troppo però, molte volte, la scelta è quasi impossibile a cadere sulle sorelle per varie circostanze e specialmente per un'invincibile divergenza d'inclinazioni, d'abitudini, di capacità, mentre all'incontro ci si presenta un'analogia singolarissima con una compagna. Qui poi premetto come condizione indeclinabile, che ove tu prenda ad amica una compagna, la devi scegliere buona, anzi ottima, senza eccezione alcuna, e tale che ti serva di guida, di consiglio, di appoggio nella via che a Dio conduce. In allora più difficilmente diverrai preda del disinganno o dell' oblio, ma proverai in te la verità del detto scritturale: chi ha trovato un amico fedele, ha trovato un tesoro. Se per sorte tu sei eletta amica da una sorella o da una compagna, fa di essere tu stessa l'amica tesoro, di allontanare dal male, di avviare al bene, e soprattutto di evitare accuratamente le grandi e le piccole mormorazioni le quali sono la crittogama della reputazione del prossimo, la fillossera della nostra stessa virtù. Crittogama e fillossera sono piccoli insetti, ma non è forse insano chi li disprezza? Il frutto non meno del tralcio ne sono attossicati, uccisi; tal sarebbe di noi se ci lasciassimo da quelle dominare. Se poi ci fosse taluna tra le mie lettrici, la quale lamentasse di non avere più la cara sua mamma nel cui seno confidare le pene del suo cuore, di non avere una sorella, un amica, di essere sola al mondo, oh! quanto volontieri io le offrirei l'amicizia mia, risponderei 51 alle sue parole, alle sue lettere, cercherei di assicurarla del sincero mio compianto! Ma ancora una volta confessiamolo, è pur buono il nostro Iddio, il quale ci offre il suo Cuore dolcissimo, c'invita a Lui: Venite a me tutti, venite a me, ci eccita a versare in quel Cuore divino la piena del nostro povero cuore. Oh! oh se tu non hai nessuno cui confidarti, apriti liberamente con Dio! Che ho mai detto? Oh! se anche tu hai la grande ventura di vederti circondata da persone cui sarebbe letizia dare la vita per te, corri a Gesù: Egli è l'amico infinitamente più fedele, più tenero, più potente d'ogni altro, perchè a Lui solo è dato potere tutto ciò che vuole; mentre io, debole creatura, e tutti gli uomini meco, pur volendo giovarti, ci troviamo impossibilitati da mille ostacoli e dalla nostra stessa impotenza. Corti, corri a Gesù, ascolta la parola che Egli suggerisce per te al suo ministro; ascolta la parola ch'Egli ti comunica nella santa meditazione; ascolta la parola ch'Egli ti susurra al cuore allorchè te ne stai appiè de' suoi altari in devota preghiera: Egli è un amico che non vuole, non può tradirti. Egli è un amico sovranamente indipendente che non avendo bisogno veruno per sè, si dedica interamente, unicamente al tuo bene. Apriti a Lui, confidati a Lui; Egli ha parole di vita, ha un'acqua che a chi ne beve non verrà più sete giammai; Egli ti cerca, ti segue, ti è sempre sempre a fianco, non ti abbandona un solo istante. Oh! se hai bisogno di espansione, non puoi espanderti in amico più degno... Corriamo, corriamo assieme a quel fonte di ineffabile gaudio, ivi le nostre anime s'incontreranno, si abbraccieranno, si ameranno con un amore puro, virtuoso, santo, meritorio, che il tempo nè le vicende non indeboliranno più mai, ed avendo l'amor nostro radice in Dio, vivrà come Dio eternamente. A rivederci nel Cuore adorabile del nostro Redentore, dove il cuor nostro bisognoso di espansione sarà completamente ed esuberantemente soddisfatto e consolato. Corriamo a Lui!

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Il cinismo è press'a poco la stessa cosa dell'egoismo di cui abbiamo già parlato abbastanza; tuttavia è necessario avvertire anche in questo proposito la somma sua sconvenienza e l'orrore in cui lo devi avere. Se la mamma, poniamo, ti corregge o ti sgrida, e tu fai le le viste di neppure addartene, e un momento dopo ridi o canti come se nulla fosse avvenuto, la tua sarebbe una mancanza grave, imperdonabile, ed io in te non la voglio nè la posso supporre un solo istante, chè ti farei troppo torto e recherei a me stessa troppo dispiacere. La collera è detta molto giustamente rabbia, a dinotar ch'essa rende l'uomo simile al bruto, e neppure al bruto nel suo stato normale, ma al bruto posseduto dalla più terribile di tutte le malattie; da quella malattia che lo rende dannoso a sè non solo, ma altresì a tutti gli altri cui tocca col dente avvelenato, fosse pure il padrone amatissimo, pel quale in altre occasioni ha dimenticato sè stesso ed i proprj bisogni. Oh! la collera è ben la brutta cosa; sorella dell'ira mi pare anche più duratura di lei, ed una volta che ha preso terreno nel nostro cuore, ci riesce assai difficile estirparnela. Essa rinchiude alcunchè di animalesco, rendendoci schiavi dell'imperio delle passioni, ed ho sempre inteso dire che se davanti agli occhi di un collerico si ponesse uno specchio, sarebbe una medicina infallibile, ponendogli sott'occhio la deformità corporale, la quale riflette la deformità morale di lui allorchè è trasportato da quell'insana passione. Ma tu ami troppo i tuoi superiori, gli stimi abbastanza, e rispetti tanto te pure, perchè segnata dal nobile carattere di cristiana, da non avvilirti così, e ne sono certa, appena senti dentro di te un movimento d'ira o anche solo d'impazienza, lo freni, lo tieni soggetto allo spirito, e t'apri in tal modo larga la via alla più completa vittoria. Per un momento ti saliranno le fiamme al viso, il tuo occhio parrà oscurarsi un istante;... ma ben presto tornerà a quello il natural colorito ed a questo il suo naturale splendore, se, soggiogato l'impeto della passione, ti farai forte sopra te stessa e ti procurerai la soddisfazione di trionfare sopra di quella. L'abitudine di questo freno ti renderà più facile o meno difficile il trionfo sul grande nemico che è la tua prava volontà: ma non t'illudere, quello sforzo ti costerà sempre sempre, e sarà quindi continuamente meritorio fino all'ultimo tuo respiro. Quel famoso atleta del quarto secolo che era S. Girolamo, dopo di aver trascinato una lunga, penosa e laboriosissima vita nelle solitudini di Palestina, di essersi continuamente mortificato fino agli ultimi giorni della sua mortale carriera che oltrepassò ventun lustri, sentendosi turbare il cuore da un movimento impetuoso, gettavasi tratto tratto boccone sul nudo terreno piangendo ed esclamando: Perdonatemi, o Signore, perchè son Dalmata, quasi a dinotare non aver egli potuto frenare sè stesso non per mala sua volontà, ma piuttosto per la sua natura ardente. Anche noi prostriamoci ai piedi del nostro divin Salvatore allorchè le nostre potenze tentano di soggiogarci, e Lui che ci è amico, fratello, sposo, accetterà benigno i nostri sforzi e ce li attribuirà a merito benchè in noi doverosi ed obbligatorj. Un'altra cosa io pavento in te, e gli è che tu voglia rispondere alle correzioni che ti vengono fatte, approfittando o piuttosto abusando della somma bontà ed amorevolezza dei tuoi genitori, per mancar loro di rispetto. Calza qui a pennello l'interrogazione fatta dal nostro divin Maestro: E volete voi essere cattivi perchè io sono buono? Certamente, e perchè i tuoi genitori non ti tengono a distanza, in soggezione (come si usava nei secoli passati e fino al principio di questo); perchè non esigono che tu tremi alla loro presenza senz'ardire di levare lo sguardo impaurito fino ad essi, perchè ti aprono amichevolmente le braccia, ti stringono al seno, e ti dimostrano l'amor tenerissimo che ti portano, ti farai tu lecito addolorarli colla tua insubordinazione, colle tue indecorose risposte alle loro correzioni? Povera me! forse quest'oggi io sono o per lo meno ti sembro acre, mia cara, perchè tocco con qualche gravità e durezza argomenti delicati che tuttodì ci cápitano alle mani, ma che a te sono stranieri; ma credi, io indago nel mio cuore e non vi trovo alcuna acerbezza, ma il solo vivissimo desiderio di vedere libero il tuo da ogni benchè minima macchia. Quanto più ci è caro e prezioso un oggetto od un individuo, tanto più vogliamo vederlo scevro e purgato d'ogni benchè minima sozzura; e qual cosa è più preziosa e cara del cuore di una giovinetta sulla quale riposano le speranze della famiglia, della società, della patria, e più specialmente quelle di Dio e della cattolica Chiesa? No, per pietà, non voler mai essere l'ultima a parlare anche allorquando ti pare di aver ragione, poichè non è l'ultima parola detta con orgoglio e vivacità quella che pone in evidenza il torto altrui e la ragione tua; e, lo fosse pure, non ti è permesso riuscire al tuo scopo con simile mezzo, indegno d'un cristiano, e più che mai indegno d'una fanciulla che vuole, deve, e può essere un angelo. Da un predicatore ho sentito dire più volte a questo proposito, che bisogna usare con noi medesime come col caffè in bevanda. Se lo servi al bollore, non ne avrei che una fastidiosa poltiglia; converrà quindi lasciarlo raffreddare alquanto, lasciarlo posare, aiutarlo anzi con un cucchiajo d'acqua fredda, a deporre prontamente il fondo; riversandolo poi ne avrai una bibita limpida, gustosa e confortante. Tal è delle parole che tentano rigurgitare dalle nostre labbra in un momento di fuoco; esse non fanno che compromettere la questione; se noi le lasciamo deporre, se noi attendiamo a parlare dopo tornata la calma all'anima nostra, la verità come olio salirà facilmente a galla, e ci sarà, se la meritiamo, resa giustizia. Se qualche volta il Signore permette tu venga accusata ingiustamente, tolleralo in pace, in ammenda di quell'altre volte in cui non saranno conosciute o rimarcate le tue mancanze; se l'offrirai al Signore, la tua pena ti sarà mutata in dolcezza. La tua discretezza nell'accogliere le riprensioni ti circonderà d'affetto e di simpatia, attutirà l'acutezza di quelle, e renderà più delicata e riguardosa la parola di chi vuol correggerti. Te l'ho già detto e qui tel ripeto: allorchè sei in colpa non voler mentire per iscusarti, poichè la menzogna è l'arme dei vili. Confessa apertamente la tua sbadataggine o il tuo fallo, chiedine umilmente perdono a Dio non solo, ma altresì ai tuoi superiori, ed essi verranno disarmati dalla tua sincerità, dalla tua dolcezza; e a te resterà la coscienza tranquilla di non aver lasciato cadere sugli altri una colpa tua, di aver saputo soggiogare le tue passioni, il tuo amor proprio, e di aver una buona volta ceduto la vittoria all'umiltà.

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POICHÈ stamane abbiamo parlato della rassegnazione veramente cristiana di Silvio Pellico, ci cade in acconcio di parlare un po' della nostra, od almeno della necessità che noi abbiamo di farne tesoro per noi medesime, mentre l'occasione di servircene ci si mostra ad ogni piè sospinto, ad ogni volger d'occhio, ad ogn'istante. Abbiamo riflettuto assieme più d'una volta, che coloro i quali vengono colpiti dalla sventura senza essere contrabbilanciati dalla fiducia e dalla speranza del premio futuro a quella promesso, si abbandonano a smanie, alla disperazione, fino al suicidio se non sono cinici, e se non sono riusciti ad attutire ogni loro sentimento. Ad evitare simili eccessi, noi abbiamo in pronto le virtù cardinali, le quali ci sollevano da un gran peso, e se non arrivano ad asciugare le nostre lacrime, per non privarci del merito ad esse congiunto, le rendono però meno amare, e comunicano loro una soavità ignota per sempre al mondo ed ai mondani. E chi leggendo la stupenda poesia del Torti sulla Fede, allorchè egli parlando della vecchierella della sua montagna dice: O del raccolto le godesse il core, O la gragnuola i tralci le schiantasse, Benedisse nel gaudio e nel dolore, Nè fu il suo ragionar che una parola: La volontà sia fatta del Signore. chi non si sente profondamente intenerito, ed invogliato a ripetere con essa la difficile parola la volontà sia fatta del Signore? È un errore credere esservi bisogno di una simigliante rassegnazione soltanto nei grandi dolori i quali ci capitano a lunghi intervalli, mentre ci e più che mai indispensabile in tutte le circostanze della vita, se non in grado uguale, almeno nella sostanza, tanto nei piccoli contrattempi e nelle leggiere indisposizioni, quanto nelle più fiere sventure e nelle mortali infermità. Oggi mi duole il capo od il petto, mi sento senza lena, svogliata, ed ho una matta inclinazione ad inquietarmi di tutto e con tutti; se avrò il pensiero costante di tutto prendere dalla mano di Dio, non farò sentire il peso del mio male a coloro che mi circondano, ma sarò dolce con essi, paziente, e mi guarderò dal riuscir loro di flagello forse maggiore di quanto nol sia il mio stesso male. Ecco la pazienza, la rassegnazione cristiana produrre naturalmente l'uguaglianza di carattere, quell'uguaglianza invidiabile che conserva la pace nelle famiglie, accresce il vicendevole attaccamento, migliora gli animi, e genera una lunga serie di benedizioni. Mia cara amica, io spero che questi miei consigli ti sieno superflui, e tu già possieda quella dolcezza, quella tranquillità inalterabile la quale proviene dall'aver donato la mente ed il cuore a Dio, dal quale tutto accetta; ma, pur troppo, alla tua età le passioni sono vigorose, la fantasia agitata, e molto facilmente potresti cadere in preda della sfiducia, dello scoraggiamento. No, no, figliuola, non cedere alle tentazioni; è l'angelo delle tenebre che soffia nel tuo fuoco per unire alle sue le tue fiamme; non ti accorgi che l'angelo tuo benedetto nol vuole, e che lui, proprio lui, ti suggerisce al cuore quel buon consiglio, quella specie di rimorso, per strapparti dal cuore quella sublime parola che l'Unigenito Figlio di Dio c'insegnò a dire quando nell'orto del Getsemani, immerso in un sudore di sangue, esclamò al Padre: la vostra volontá sia fatta, e non la mia? Disprezza i piccoli acciacchi, le piccole miserie della vita; renditi ad essi superiori, tieni il tuo spirito rivolto a Dio, ed allorchè ti sopravverranno le disgrazie, saprai accoglierle con animo rassegnato, offerendo al Signore le tue pene in espiazione delle colpe tue e delle altrui. Allorchè ad Abramo fu fatto il terribile comando di sacrificare ed uccidere il suo unico figlio sospirato tanto tempo, e tanto teneramente amato, egli dovette provare uno smisurato dolore; pure egli pensa all'obbligo di rassegnarsi al voler del sommo Iddio e di prestargli l'atto della sua obbedienza; e, caricato Isacco delle legna sulle quali doveva essere svenato ed arso, si reca con lui sulla sommità del monte, lega il proprio figlio, gli benda gli occhi, ed impugnato un coltello e fatto un supremo sforzo di rassegnazione, solleva la mano per ferirlo ed ucciderlo. Ma il Signore ha veduto l'obbedienza del suo servo, ha accettato il sacrificio già consumato nel suo cuore, ed inviato un Angelo, arresta la mano al santo Patriarca, e gli restituisce il figlio. E chi può ridire la gioja immensa di quel padre virtuoso e fortunato? E chi può enumerare la lunga catena di benedizioni riservatagli da Dio pel suo eroico coraggio, per la sua eroica rassegnazione? Orbene, il Signore non pretende da te un simigliante eroismo; pure pretende qualche cosa, anzi molto da te, ed è che tu rinunci alle tue passioncelle, alle tue inclinazioni per servire Lui solo, ti uniformi completamente alla sua divina volontà in tutte le cose, diventi tutta di Dio e per Iddio. Desideri tu vivamente un collocamento onesto, e vedi sempre fuggirti dinanzi quell' ombra che prima ti aveva cotanto lusingata? Pensa che soltanto pel tuo bene Iddio ti lascia nella tua casa; Egli conosce le cose future come le presenti, e vede che quanto forma il tuo sospiro, sarebbe invece la tua rovina. Pronuncia adunque generosamente quel fiat mediante il quale la tua volontà sarà unita ed uniformata a quella di Dio, e ti renderà meno pungenti le perdite amarissime ch'io prego ti vengano risparmiate, ma che pur troppo facilmente verranno a colpirti. Entriamo in uno spedale; da un letto una donna ti guarda con occhio bieco quasi a vendicarsi del benessere che tu hai e ad essa tolto; t'avvicini ad essa, le dici parole pietose, le porgi un soccorso, ma l'inferma conserva alcunchè di selvaggio e d'irritato; si lagna del letto, del vitto, dell'infermiera, del medico, e finisce col bestemmiare che Dio ha fatto male ad aggravarla così... Col cuore accasciato ti allontani da quella malata, e t'accosti ad un'altra la quale ha un occhio più mite ed un'apparenza più tranquilla. Leggendo sulla tabella sovrapposta al letto, cancrena, chiedi tremante all'inferma se il suo male è tormentoso; essa affermando china dolorosamente il capo, e soggiunge non volerci che la somma carità delle infermiere a tollerarla cogl'infiniti suoi bisogni e cogl'interminabili suoi ahimè! Essa trova ottimo il trattamento usatole dai medici, dalle suore, dalle inservienti; dice e crede di non meritare tanta bontà; si sforza di ringraziar il Signore il quale si degna, colle pene temporali, accorciarle le pene del purgatorio, ed avendo sentito il medico susurrare all'orecchio dell'infermiera che quella vita non potrà prolungarsi oltre una quindicina di giorni, ha frenato un primo movimento di timore per dar luogo ad una vera esultanza. La terra si dilegua ai suoi occhi; non vede che il cielo. Tu le chiedi se ha parenti che la visitino, e la poveretta traendo un sospiro e levando al cielo uno sguardo ti dice che spera rivederli lassù: tu non sai distaccarti da quel povero letto, e mentre la povera inferma ti ringrazia commossa d'averla visitata senza pur conoscerla, ti dice che sei l'inviata di Dio e ti promette di pregare per te. Io lo vedo, sulle gote ti scorrono calde due lagrime, e giunta all'altarino della Madonna, e piegato il ginocchio nascondi il viso tra le mani volgendo nell' animo: Io sono veramente un nulla; quella è vera grandezza! Non sai allontanarti da quella sala senza volgere un ultimo sguardo alla povera inferma, senza riavvicinarti ad essa, raccomandarti nuovamente alle sue preghiere come a quelle d'un'anima santa, ed il suo limpido sguardo figgendosi nel tuo ti riempie di confusione, e come eco insistente e pur cara ti ripete al cuore: rassegnati, rassegnati al voler di Dio! Oh! sì la rassegnazione è una virtù difficile se la consideriamo astrattamente; ma se la vediamo praticata, posta in atto, leggiamo come in un libro lucente la soavità da cui è costantemente accompagnata. E dimmi; coloro i quali tolgono alle anime afflitte la rassegnazione cristiana, sforzandosi considerarla dote delle anime piccole, dimmi, cosa danno loro in compenso? Essi come popoli vandali e selvaggi non sanno che abbattere e distruggere, senza pensare nè aver modo alcuno a riedificare. Io ho una casina modesta se vuoi, ma ben salda sui fondamenti, comoda e pulita, adattata ai miei bisogni e rispondente a tutto il confortevole alla vita: viene un mestatore e mi dice che quella casa è piccola, indecente, rovinosa, e, senz'aver mezzo alcuno di rifarmela poi pretende la mia adesione per atterrarla, o tenta passare dal detto al fatto colla violenza; non sarei io sommamente sconsigliata, assoggettandomi alla stolta prepotenza del temerario? Oh! non lasciamoci abbattere questo edificio: non lasciamoci rapir dal seno questo tesoro!

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E poi noi abbiamo veduto appena qualche cosa del tesoro di beni da essa operato; Iddio che vede nelle più recondite latebre del nostro cuore e nelle viscere della società, ci renderà noto un giorno quanto bene abbiano generato quelle virtù umili e nascoste. Non trascurare adunque, o damigella, le piccole occasioni di acquistarti meriti per il cielo; ma santamente industriosa per lo spirito, non ne lasciar passare neppur una, poichè a quella forse che sei tentata di trascurare vanno attaccate le grazie celesti più copiose ed elette. Quando ti pajono piccole e di poco pregio le minute virtù sparse sul tuo sentiero, pensa alla Madre Crespi, e non te ne lasciar sfuggir neppur una, neppur una!

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Ma di questo non vogliamo parlare, perchè nè io, nè tu abbiamo nemici e non ne vogliamo mai avere, poichè ripetendo ogni giorno: Rimettete a noi i nostri debiti siccome noi li rimettiamo ai nostri debitori, ci togliamo dalla possibilità d'averne. Abbiamo persone che mormorano di noi, ci calunniano, ci vogliono o desiderano male? Se possiamo, procuriamo una conciliazione; siamo noi i primi a stringere la mano a chi ci odia; difendiamoci con calma e con dignità dalle accuse fatteci e ponendo in esercizio tutta la nostra carità, perdoniamo anche se ci costa sforzo, nè sia mai da noi negato il saluto ad alcuno. Restano i rapporti domestici; ma anche questi ad essere ben governati e conservati esigono una grandissima annegazione nel saper tollerare in pace un mal garbo, una riprensione o troppo acre od ingiusta; nel domare il proprio carattere, sopportare l'altrui nelle sue scabrosità e divergenze; rinunciare alle proprie inclinazioni, alle proprie abitudini per piegarsi alle altrui. Certamente lo sforzo che farai sopra te stessa per produrre e conservare la pace fra due caratteri opposti, ad onta che porti il sacrificio quasi completo del tuo, ti sarà terreno fecondo di copiosa messe non solo di gaudio, ma altresì di merito, ed io mi lusingo veramente che tu d'ora innanzi vorrai far convergere a questo scopo tutti quanti i tuoi sforzi. Vi sono altre persone alle quali noi siamo legate con stretti vincoli, ad onta che apparisca tutto il contrario, perchè la differenza di condizione, di bisogni, di educazione, pare averci assolutamente distaccate da esse. È questa un'illusione di veduta, un'illusione ottica sul genere di quella che sulla riva dei laghi ci fa talvolta parer più lontana l'opposta riva di quanto nol fosse in tempo umido o molle, in cui ci pareva sì vicina da quasi toccarla. I Gentili erano logici trattando brutalmente gli schiavi, poichè li credevano di una natura diversa, d'una razza abbominevole su cui era piombata l'ira degli Dei. Ma noi, Cristiani, sappiamo e crediamo fermamente che tutti gli uomini hanno la loro origine da un solo uomo, plasmato con poca creta dalla mano stessa di Dio; che su tutti cade ugualmente come il raggio del sole, così la grazia celeste; che il sovrano Creatore ha permesso e voluto la differenza delle classi per creare fra di esse i diversi rapporti di re e di suddito, di benefattore e di beneficato, di chi comanda e di chi obbidisce, e via dicendo di tutte le condizioni sociali. Ecco il ricco vivere del frutto del lavoro del povero, ed il povero del guiderdone del ricco; ecco l'agricoltore, l'operajo, fino l'artista, piegarsi alle necessità del facoltoso per averne di che campare la vita a sè ed alla famigliuola. Oh! non vogliamo essere ciechi! entriamo per poco nell'economia della Provvidenza, e ci accorgeremo di leggieri essere l'orgoglio l'unico dilapidatore o dispregiatore dei rapporti che legano gli uomini alto locati a quelli appartenenti all'infima classe. Ma oltre ai rapporti di necessità materiali, vi hanno rapporti di necessità morali che altamente reclamano i loro diritti, e guai a chi li viola! L'uomo è sì deviato dalla semplicità natia che crede perdere qualche cosa della propria dignità, confessandosi legato in parentela con persone di basso stato, ed havvi chi perfino arriva a disconoscerle ed a rifiutar loro il proprio ajuto. Conosco pur troppo una signora favorita di largo censo, senza verun impegno di famiglia, la quale negava essere sua zia la poveretta che veniva a bussare alla sua porta, e che pure era l'unica sorella della morta sua madre; essa le ha rifiutato un soccorso, fino un tozzo di pane!... e so altresì che pochi mesi or sono la povera donna, prima di giungere alla vecchiaja, sfinita dagli stenti, nella più estrema miseria, fu trovata un mattino morta nel povero suo abbaino dai vicini, i quali non vedendola comparire andarono in cerca di lei. La signora fornita di largo censo ha appena saputo il duro caso; ma, a somiglianza della dama del Parini, non volle contristarsi per le altrui miserie, ed ha continuato e continua nella sua egoistica esistenza, senza pensare che essa, senza il benchè minimo sacrificio, avrebbe potuto prolungare quella vita, o rendere meno penosa quella morte. Mia cara damigella, se ora, o quando sarai più inoltrata negli anni, avrai parenti o nati o caduti in povertà, ricorda l'obbligo tuo di sollevarli, e vedrai che la beneficenza produce lacrime consolanti, immensamente consolanti. Se tu mi dici di non aver parenti poveri, guarda che non ti credo, poichè tutti gli uomini ci son fratelli; quindi tuoi e miei fratelli sono i poveri che lavorano alla campagna, negli opifizj, nei fondaci, nelle miniere, in ogni mestiere più faticoso: tuoi e miei fratelli sono i poveri buoni ed i tristi, quelli ricoverati in povere capanne o nelle soffitte delle grandi città, in quelle soffitte in cui si gela l'inverno, si cuoce la state: tuoi e miei fratelli sono i poveri che giaciono negli spedali e quelli che campano la vita accattando. Oggidì si agita una grande questione, quella del pauperismo, e vi ha chi pretende trovar modo di eliminarlo dalla società, togliendo quelle barriere che Iddio vi ha posto per separarne le classi e produrre l'umiltà e la generosità, la povertà e la beneficenza. Alcuni mesi or sono a riparare la miseria dei poverelli nella eccezionalmente rigida stagione, si apriva al nostro teatro della Scala una veglia così detta di beneficenza, e vi si vendeva al prezzo di una lira, al medesimo scopo filantropico, un giornale intitolato Milan Milan, dov'erano state raccolte le firme dei principali uomini i quali avevan creduto prestarle ad esso, come poco tempo prima avevano fatto col Paris Murcie. Le firme erano sottoposte ad un detto, ad una sentenza, ad una freddura, e in mezzo a quella roba mi parve quasi giojello un motto di un uomo non certamente sospetto di bacchettoneria, Paolo Ferrari, il quale scriveva di proprio pugno: La più completa soluzione del pauperismo è:Quod superest vobis date pauperibus. Ecco gli uomini grandi attingere al Vangelo, inspirarsi al Vangelo, additarci il Vangelo: e i Cristiani cattolici rifiuteranno di assoggettarsi a lui, di agire secondo esso consiglia e comanda? Vedi tu, mia cara donzella, quella dama vestita modestamente, accelerare il suo passo e dirigersi verso una casa di bell'apparenza? Seguiamola; forse essa si recherà a qualche visita di confidenza, forse a qualche visita in cui campeggerà la mormorazione, la civetteria, o peggio... No? E perchè arricci il naso e corrughi la fronte? Hai ragione, t'intendo. Quella dama ha un'apparenza troppo buona e semplice, e le sue visite non ponno avere uno scopo che non sia buono, santo e benefico. Essa mette in pratica quanto l'abate Mullois insegna nel suo Manuale di caritá; essa sale fino al quinto ed al sesto piano per una scala angusta, bussa ad una porta che tosto si apre, ed una scena di pietà si presenta al suo sguardo. È un camerone ampio, ma il di cui soffitto va abbassandosi tanto da toccar quasi il pavimento, dalla parte in cui alcune sottili feritoje apron l'unico passaggio alla luce ed all'aria pregna delle miasmatiche esalazioni delle stalle che vanno a sfogare in un angusto cortile. Alcuni pagliericci sono distesi là in terra, ed un branco di figliuoli sta avidamente attendendo che la madre versi sul tagliere la scarsa polenta che sta rimestando; mentre il padre, seduto, o piuttosto accovacciato su di uno sgabello, si copre il viso colle mani per nascondere la pena straziante che in esso traspare. Allorchè la porta si è aperta e sulla soglia è apparsa, quasi visione consolatrice, una gentile figura di donna sconosciuta, tutti si sono levati in piedi, per un movimento simultaneo, imbarazzati e confusi, e solo la maggiore figliuola si fa animo, presenta alla dama una rotta seggiola e la invita a sedere. La dama saluta con garbo, e dopo d'averle stretto la mano, interroga la povera donna della salute sua, del marito e dei figli, ed a menomare la meraviglia e lo smarrimento della famigliuola, si dice inviata dal Parroco o dalla società di S. Vincenzo de' Paoli, o di qualche anima benefattrice, per portarle il soccorso della sua amicizia e del suo appoggio. Mentre essa parla, i figliuoli le si vanno accostando, finchè le son vicini vicini, la guardano ammirati, pendono dalle sue labbra, la toccano e si consolano di venire da lei carezzati, mentre la mamma affettando severità cerca di allontanarli. La dama cava dalla piccola borsa sospesa al suo braccio alcuni biglietti o boni di pane e di minestra che i giovani della Gioventù Cattolica distribuiscono pubblicamente; poscia prende nota del numero e dell'età dei figliuoli per trovare agli uni un posto presso qualche onesto bottegajo o lavorante, e collocare i piccini agli asili di carità, dove avranno un po' di cibo all'anima, alla mente ed al corpo. Ma il padre di famiglia conserva un profondo silenzio e sembra annichilito sotto il peso della riconoscenza; ecco la dama rivolgersi a lui, chiederlo del suo mestiere, e sentito che il suo faticoso e lungo lavoro è insufficiente a procurare il vitto alla famiglia, s'intrattiene con lui amorevolmente, ne provoca e riceve le confidenze, si offre ad interessare il suo padrone a voler migliorare la condizione sua, e... volere o non volere essa è l'angelo della consolazione inviato dal Signore in quella povera casa. Il pover uomo è intenerito, e con voce rozza ma commossa, alieno com'è dalle usanze sociali, stringe nelle sue mani callose le mani della dama, la quale ha pur essa rigato il volto di caldissime lacrime, ma non lacrime di dolore, sibbene di lacrime consolanti! Tu, mia cara e tenera amica, che mi sei stata compagna fin qui nella lunga lettura, non respingere la mia preghiera, te ne supplico pel tuo bene: procurati tu pure molte lacrime consolanti colle visite ai poveri, agl'infermi, nelle case o negli spedali, e se i tuoi mezzi non ti permettono d'offrire un soccorso materiale ai tuoi fratelli indigenti, offri loro almeno il soccorso morale della tua persona, del tuo cuore, della tua volontà. Oltre alle lacrime consolanti, indivisibili dalla cristiana beneficenza, ne avrai mille altri grandissimi vantaggi, e non ultimo quello d'imparar a sopportare con rassegnazione le proprie miserie toccando le altrui. All'aspetto del dolore si migliora e perfeziona l'uomo non interamente guasto di mente o di cuore, e se tu non vuoi che il dolore venga lui a trovarti, vagli tu stessa incontro; va tu a guardarlo in faccia nelle case in cui regna, sovrano, portavi il balsamo della pietà, della religione; parlavi di affetto, di Dio, e le lacrime tue e dei tuoi beneficati, sarei tentata di ripetertelo all'infinito, saranno sempre lacrime consolanti. 54

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NOI abbiamo meditato insieme, mia cara, la tua uscita dal collegio, o piuttosto il tuo ingresso nella società, ed abbiamo insieme compreso quanto sia difficile condurre in essa la vita, allorchè si abbia di mira lo scopo sommo ed unico del proprio perfezionamento e della propria eterna salvezza. Io ti ho ripetuto quanto ti è stato detto le mille volte, che Iddio merita ed esige il nostro primo pensiero, e che la meditazione dev'essere in certo modo il motore della nostra vita spirituale. Non basta però pensare a noi, bisogna pensare e pregare pei nostri fratelli e per l'intera umanità ed offerire all'Altissimo preci di riparazione per gli oltraggi che gli vengono fatti da essa, senza punto temere i rispetti umani e le dicerie del mondo; tanto più che nella franchezza dell'esprimere le nostre convinzioni, e nel praticare quanto da esse deriva, è assai più argomento d'orgoglio che di vergogna. Ma l'orgoglio non c'è permesso, perchè tutto quanto abbiamo ci viene da Dio. Per ben conoscerlo ci è d'uopo istruirci nella religione, frequentare il Catechismo allorchè viene insegnato in Chiesa, ed approfittare di tutti quei mezzi opportuni ad introdurci nella cognizione di Dio e delle cose sue, anche superando gli ostacoli frapposti al nostro cammino, e segnatamente quelli che ci vengono dall'intimità della famiglia. Noi dobbiamo agire con sicurezza e con lealtà, senza spaventarci all'udire che tutti fanno una vita meno legata e più libera, di quella, poniamo, da me disegnata in questo stesso libro, poichè non ci gioverà punto il suffragio popolare nel giorno estremo, nè ci dorremo di avervi rinunciato allorchè verremo chiamate: Vieni, o benedetta, nel regno che non avrà fine giammai. Guardati dal fuoco delle occasioni di peccato, fìgliuola, da quelle occasioni che ad ogni piè sospinto ti si presenteranno nella società e nella tua stessa famiglia; caccia lungi da te il falso amico, il libro o l'effemeride cattiva, che sotto veste bugiarda ti promette ambrosia e ti propina veleno; un veleno che ti renderà ancor più difficile la difficile e pur necessaria impresa di porre la briglia al tuo cuore. Ma e chi sa misurare la rovina di un puledro indomito e sbrigliato? Potresti tu forse misurare la rovina del tuo cuore se intollerante di freno ti prendesse la mano? Sta ben all'erta, fanciulla; chi ti pone sull'avviso è un'amica, una sorella, una persona che teneramente ti ama; sta bene all'erta, poichè finchè il tuo cuore sarà in tua mano, e tu ne potrai frenare e dirigere i moti, non hai nulla a temere: s'egli cadrà in balía di altri, e come potrai seguirlo nel suo batter convulso, precipitoso?... Il ricordo del tuo collegio, del pacifico asilo in cui tutto spirava una santa cospirazione pel tuo bene, ti deve riuscire oggi e sempre di soave compiacenza e di eccitamento alla virtù; e le parole severe forse, ma saggie delle tue istitutrici e di quella che specialmente conosceva la via del tuo cuore ti ritornino come un'eco lontana e pur cara alla memoria; ti richiamino l'orrore al peccato, e ti ricordino che Dio vuole il tuo cuore, che tu non lo puoi, non lo devi negare a Colui che l'ha creato, arricchito di una delicata sensibilità e di mille altri doni; di tutti anzi quei doni che lo rendono bello e generoso e buono, e facile alla pietà ed alla virtù. Se tu avrai un'intenzione retta, le tue azioni convergeranno sempre alla gloria di Dio, al bene delle anime, ed agevole ti sarà la via che a Dio conduce, e preclusa l'altra che da Lui allontana: sì, se tu avrai intenzione retta, le dottrine false e lusinghiere non ti tenteranno gran fatto; ma pur rispettando l'opinione altrui, non vedrai il trionfo della donna nell' emancipazione, sibbene nel regno pacifico della famiglia, in cui è chiamata a regnare sovrana di pace e di amore, ad essere come la lucerna evangelica posta in mezzo alla casa ad illuminarne gli abitatori per chiamarli alla virtù ed alla religione. Come una regina non può commettere altrui senza pregiudizio il disimpegno delle proprie funzioni, similmente tu stessa devi impiegarti con operosità e con amore nelle domestiche occupazioni e nei lavori femminili; e come la donna saggia delle Carte sante, tu devi svolger il fuso e tesser la tela, vale a dire ordinare, disporre e lavorar tu stessa a mettere e mantenere l'ordine e l'economia nell' abitazione, nelle vestimenta, nelle spese tutte della casa, ed in tutto quanto sarà a tuo carico o in qualche modo a te affidato. Se mai tu fossi o diventassi commerciante, è tuo obbligo preciso disimpegnarne i doveri con coscienza ed esattezza inappuntabile. Nè vale tu mi dica od altri mi apponga esser questi gli obblighi di una madre di famiglia, e non i tuoi, quindi superfluo il mio dire, mentre tu sai come alle azioni importanti della vita sia d'uopo prepararsi da lunga mano; ora tu che da un dì all'altro puoi essere chiamata ad esercitarle, potrai restarne digiuna? E poi questo povero libro, questo sfogo del mio cuore, queste parole inspiratemi dal Signore al tuo indirizzo, non potranno seguirti nella nuova tua casa, e non potrà apprendervi la sposa e la madre a conservarsi ed essere in essa angelo di benedizione? Ti ho indicato una ricetta prodigiosa nell'operosità a fugare le tentazioni, i cattivi pensieri, e mostrandoti una fotografia vera, non abbellita nè esagerata, ho cercato infonderti un pio desiderio d'una santa annegazione, di un'annegazione che rendendoti dimentica dei tuoi stessi desiderj e bisogni per gli altrui, ti faccia evitare gli scontri dei caratteri divergenti o scabrosi delle persone colle quali trascini la vita. Per evitare questi scontri non havvi che piegare il tuo stesso carattere, addolcirlo, modificarlo senza togliergli però la natía impronta. Questo ti renderà senza dubbio una figliuola modello, pronta all'ubbidienza, al soccorso inverso i tuoi genitori; nè la tua venerazione per essi subirà alterazione di sorta, quando varcando nella tua vocazione contrastata, i confini del loro comando e della tua obbedienza, rispettosamente, con calma e coll'animo addolorato non seguirai la loro voce, ma solo per seguire quella di Dio. L'annegazione alla quale t'inspira il Vangelo, e l'esempio dell'Uomo Dio, ti renderà amabile coi vecchi tuoi nonni, cogli zii, coi cognati, colla gente di casa, coi tutori, coi superiori civili ed ecclesiastici, e più che mai amabile e facile al compatimento col patrigno e colla matrigna. Nè l'annegazione e la pietà cristiana ti faranno dimenticare i fratelli e le sorelle ai quali devi essere di buon esempio e di ajuto, e neppure i famigliari i quali, destinati ad ubbidirti, hanno forse un'anima più delicata ed uno spirito più intelligente del tuo. Ma senti nell'orecchio una parola: non ti abbandonare a troppa confidenza ed a soverchia dimestichezza, sotto verun pretesto con persone dell'altro sesso, e neppure con quelle del tuo, poichè il demonio maligno, è potente, e ti potrebbe trascinare al peccato. Sgorghi frequente ed ardente dal tuo cuore la preghiera, e quale soave profumo imbalsami l'aria che ti circonda, migliori te non solo; ma le persone tutte che ti avvicinano, ed a te ed a esse insegni ad amar Dio, ad accostarsi ai Sacramenti dell'amor suo, ad essere più buone, più virtuose, più sante. Io non ti voglio zotica no, o rozza; mi piace che tu coltivi lo spirito, e più specialmente in cognizioni utili e sode, non in quelle cognizioni superficiali e vaporose, che colla pretesa di darti una coltura enciclopedica, ti lascerebbero vuota e manchevole di quanto costituisce la scuola della vita. Tra parentesi, ti ho notato i pericoli che ti potrebbero venire dai falsi insegnamenti e dai cattivi insegnanti; e tu avrai dovuto convenir meco che i tuoi genitori ed il tuo Confessore, edotti puntualmente di tutto, potranno porre un riparo al precipizio che forse ti minaccia. È più che mezzo salvo chi s'accorge del pericolo, appunto perchè accorgendosene può schivarlo. L'abito non fa il monaco è vero, ma pur troppo dall'abito si conosce il monaco: abbi dunque cura grandissima affinchè dal tuo modo di vestire, di camminare, di posare, come dalla buccia di una pianta, si rilevi giustamente l'interna modestia, la serietà, la virtù vera; e, senza tradire la sincerità, vale a dire senza ammantarti delle penne del pavone, ed ostentare pregi non tuoi, conserva nella tua persona un'assoluta pulitezza ed una graziosa semplice eleganza. Se t'abituerai a vestire con modestia, e sempre un grado meno di quanto permette il tuo stato, dato che la ruota girasse, e girando ti facesse decadere di fortuna, sapresti adattarti e rassegnarti alla fatica, al lavoro, alla privazione. Guarda a quale estremo ha ridotto lo spreco di molte famiglie già ricchissime, anzi di una ricchezza principesca! Pensa al povero duca di Lusignano morto or son pochi anni nello spedale maggiore di Milano, e non ti riuscirà penoso mantenere in te e intorno a te una prudente economia, la quale perchè appunto saggia e prudente ti salverà dall'avarizia, e ti renderà larga la mano alla beneficenza, assicurandoti che la carità non impoverisce mai. La bellezza non è altro se non un fiore che passa rapidamente; per conservarne la fragranza havvi solo la virtù e la modestia... La deficienza e la mancanza assoluta della bellezza costituisce una spina crudele per molte anime; ma tu se le conosci, consolale: di' loro che un Dio in cielo le riguarda; di' loro che Gesù nostro pure divenne deforme sotto il vituperio fattone dagli uomini; di' loro che il loro corpo come il suo diverrà risplendente e luminoso... Per coloro che tuttora zitelle si trovano sul meriggio della vita, o l'hanno varcato, una parola d'incoraggiamento e di conforto, specialmente se hanno sacrificato la propria vocazione per l'utile altrui; se spostate ed ormai vecchie non hanno un nido e sono ritenute quasi un ingombro nella famiglia da esse allevata: quell'Iddio che conta i capelli del nostro capo conterà le loro lacrime, e preparerà loro un premio eterno. Se mai un giorno pel tuo stesso bene, permettesse il Signore che tu diventassi poveretta, credilo, il lavoro destinato a procacciarti il pane, e l'essere ed il parere poveretta non ti torrà dall'essere insieme signora, se nobile e generoso conserverai il sentire, e non ti lascerai dominare dall'invidia o da altri abbominevoli vizj. Nella vita balenano i lampi, scrosciano i tuoni, e tu li devi attendere imperturbata nella tua, supplicando il Signore di tener sospesa la grandine; chè se la grandine cade ed imperversa, e tutto rovina, non vi ha ancora altri che Dio il quale ti possa salvare e liberare dai suoi tremendi flagelli. L'arco baleno si distende luminoso nel tuo orizzonte, le onde si acquietano, viene la bonaccia e l'anima accidiosa, come il marinaio, si bea di una vita senza contrasti, senza fatiche e quindi senza meriti? Il marinaio s'accorge che nella bonaccia perirà miseramente: l'anima invece si giace inerte, nè cerca, nè accetta un Vapore che la salvi da morte sicura: essa l'avrebbe una forza motrice, la carità; questa posta in azione la torrebbe dal letargo in cui l'egoismo l'ha posta... Amatevi, amatevi l'un l'altro, ripeteva continuamente l'Apostolo diletto. Sì, amiamoci, poniamo in azione la carità, e diventeremo santamente industriose a beneficare i nostri fratelli e noi con essi, poichè la beneficenza giova non tanto a chi la riceve, quanto e assai più a chi la fa. L'immaginazione giovanile è un narcotico dell'anima, che facendola sognare continuamente, la sfibra, la sposta e le fa attribuire a sè medesima i pregi datile in certo modo a prestito da Dio. Dunque non sognare, nè accettare le adulazioni che ti vengono prodigate, poichè devi sempre ricordare che l'incenso, ossia l'adorazione, è riservato a Dio solo. Se ti è data la scelta fra una vita ritirata ed una vita brillante, rinuncia a questa, attienti a quella e ti toglierai all'orgasmo indivisibile delle veglie danzanti, delle conversazioni, dei teatri e fino dei banchetti, i quali anzichè agape o mensa fraterna con a capo Dio, sono simposj profani con a capo gl'idoli. Ricordati il detto del nostro Parini, quando seduto nell' aula municipale vedendo fugata l'immagine del Crocifisso, si levò in piedi dicendo: Dove non puó stare il cittadino Cristo, non puó stare neanche il cittadino Parini; ed uscì. Mangia di ciò che ti viene posto davanti come dice il Vangelo, che vorrà dire mangia di quanto ti vien offerto lecitamente, di ciò che ti offre la famiglia, quando non siano cibi vietati, e per ubbidire all'uomo tu non debba disobbedire a Dio nella sua Chiesa. Il Confessore potrà giudicare se tu sii dispensata, ove tu ne abbisogni; ma di tua testa, o pel comando di superiori civili, non puoi esserne prosciolta. Supera la gran tentazione degli spettacoli cospiratori contro la modestia e l'onestà, ed ai divertimenti ed agli spassi preferisci un po' d' aria pura o lo svago utile che viene dai viaggi o dallo studio di essi. Ama e tieni care le domestiche pareti nelle quali la sincerità, l'affetto, la pietà, ti daranno quelle gioie intime che sono altrove un enimma. La sanità del corpo è un gran dono; ma quella dell'anima è un dono infinitamente maggiore, e questo pensiero come balsamo cada ad allenire i dolori delle tue infermità, le quali ti parranno leggiere e dolci se saprai prenderle dalle mani stesse di Dio. Non ho temuto di farti le intime mie confidente, di palesarti le pene, le trepidanze ed i desiderj del mio cuore, e segnando a dito le pratiche, le preghiere fatte senza spirito, senz'anima, non ho temuto paragonarle ai fiori artificiali i quali pajono e non sono. Se tu hai bisogno d'espansione, come lo zampillo di chiara fontana, riversa le tue acque sulle zolle fiorite che la circondano, voglio dire sui cari parenti, sulle persone intime e di antica e provata probità, nè, rimproverata, rispondi con mal garbo, nè voler esser tu mai l'ultima a parlare. Gli è d'uopo estinguere in noi la soverchia suscettibilità, fonte perenne della maggior parte dei guai, e farci piccini riconoscendo la nostra miseria, affinchè essendo gli ultimi in questo mondo possiamo diventare i primi nell'altro, secondo la cara promessa del nostro divin Salvatore. La perdita dei Beni, della sanità, della riputazione, ci colpisce amaramente, la nostra mente si smarrisce, il cuor nostro cade quasi spezzato e dilaniato aspramente?... Oh! Cuore adorabile del nostro Gesù, dateci Voi grazia di pronunciare fiat, ad imitazione vostra, quel fiat che ci faccia accettare le croci, ce ne renda dolce, leggiero, soavissimo il peso! Che se l'animo mio sdegnoso in attesa di grandi occasioni per mostrare e per esercitare il bene, disprezzasse quelle virtù minute che si presentano ogni giorno, ogni ora, anzi ogni istante, fatemi capire la mia somma stoltezza, fatemi capire che in tal modo io perdo meriti immensi! E tu, mia dolce amica, non ti lasciar sfuggir mai la benchè minima occasione di porre una nuova gemma nella splendente corona che ti s'apparecchia nel cielo, moderando il tuo carattere, sacrificando le tue inclinazioni, sopportando senza lagnartene una mancanza di riguardo, uno sgarbo, un disappunto. Quando poi le lacrime ti cadono amare dal ciglio e l'angoscia ti opprime, cerca nell'esercizio della cristiana carità la tua gioja, la tua pace, il tuo conforto, e dagli occhi tuoi sgorgheranno abbondanti le lacrime di consolazione. Oh! prova e vedrai, come alleviando i mali e le miserie altrui saranno addolcite le tue miserie, i tuoi mali! Prova e vedrai quanta virtù e quanta letizia è nel sacrificio e nell'eroismo di dimenticar sè per gli altri!

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Qui abbiamo urtato contro uno scoglio pungente, ben me n'avvedo, perchè pur troppo sono pochi, anzi pochissimi i giovani i quali professino apertamente la religione loro santissima, ed ammettano a parlarne come della cosa più importante della vita. Veramente io vorrei tu rifiutassi di vincolarti con simiglianti uomini, pensando che come sono cattivi cristiani saranno poi pessimi mariti, e che una famiglia il cui capo professa in tal modo la religione, o piuttosto non ne professa alcuna, non può essere benedetta dal Signore. Se però circostanze speciali portassero assolutamente l'effettuazione di sì poco ben auspicato connubio, armati pure, mia cara, d'una grande vigoria, d'un gran fervore per chiamare a Dio un'anima ch'egli ti ha in certo modo affidata perchè tu a Lui la restituissi. Nol sai che questo è lo scopo primo del santo matrimonio, di procurare cioè la santificazione l'uno dell'altro? S. Monica, giovinetta, era stata quasi per forza sposata ad un pagano dedito all'ubriachezza ed al vizio, e le lacrime sue erano incessanti come le sue preghiere. Il pessimo esempio del marito e le false dottrine avevano fatto del suo caro figlio un persecutore o piuttosto un derisore della sua religione; ma la Santa ben sapeva che a lei toccava convertire l'uno e l'altro; e chi potrà ridire le sante industrie da essa adoperate a tale intento? Dopo molti anni di combattimento, di annegazione e di continua preghiera, S. Monica ebbe la consolazione di veder suo marito, Patrizio, morire, non solo cristianamente, ma santamente. Agostino persevera tuttavia nell'errore, fugge dall'Africa per togliersi alla sollecitudine materna; ma la madre è resa dalla pietà e dall' amore, non più debole donna, ma una grande eroina; tutta sola si avvia in Italia in cerca del figlio; va a Roma, non lo trova: sa finalmente ch'egli è a Milano, e dopo faticose ricerche lo rinviene finalmente, lo stringe teneramente al suo seno. Agostino è tuttora settario e ancor lontano dal farsi cristiano, e Monica piange e prega senza posa. Consolati, o donna, consolati, un figlio di tante lacrime non può andar perduto, le aveva detto un santo vescovo, e prima ch'essa chiuda per sempre gli occhi alla luce del sole, il suo Agostino mosso dalle prediche del nostro sant'Ambrogio, e tocco nel cuore dalle grazie del Signore, apre gli occhi a quelli della fede, piange e prega con lei. Se tu pure avrai un marito od un figlio infedele, a te spetterà il farlo fedele; rifletti adunque se saprai portare questo carico, disimpegnare questo dovere, e se no, tel ripeto, non promettere la tua mano ad uno che non abbia teco comuni, o che tu almeno non possa ridurre, anche le pratiche. Adesso incominciano per te le fatiche delle visite da farsi e da riceversi, e ad ovviare il meglio possibile la vacuità e la leggerezza che ne sono quasi elemento principale, io le vorrei piuttosto brevi ed aliene da discorsi frivoli e adulatori, per riempirle in quella vece di qualche cosa di sodo e di serio. Se la carità sarà il tuo movente, proverai col fatto esservi modo di rendersi utili ed insieme amabili, perfino nelle visite di pura convenienza: in quelle poi di amicizia, io ti vorrei vedere sempre col sorriso sulle labbra; ma con un sorriso pieno di compatimento e di tolleranza, non tale però mai da farti compatire e tollerare il peccato. No, approfitta della confidenza per ammonire dolcemente, e se sarai umile nelle tue parole, nell'espressione del tuo volto, e più di tutto nell'intimo del tuo cuore, non sarà mai vuoto di qualche salutare effetto il tuo eccitamento od il tuo esempio. Tutti lo sono, e quindi tu pure, sarai tentata alcuna volta di visitare o di ricevere con miglior garbo una dama titolata, di una povera signora di condizione umile e ristretta; se così fosse, o mia amabile giovinetta, cesseresti d'essere amabile o lo saresti meno, perchè chi può ridire l'umiliazione di costei che, pur essendo molte volte di più fino e delicato sentire dell'altra, si trova ad essa così stranamente posposta? Ricorriamo anche qui agli esempj, ed io non indugio a mostrartene uno. Un giorno una signora si era vestita dei suoi abiti più belli per andar a trovare un amica d'infanzia, una figlia d'un intimo amico di suo padre: s'era vestita di gala, perchè quella, se non di condizione, di censo però era ed è tuttavia incomparabilmente più in alto sulla ruota, della povera signora che quasi confusa passava dalle anticamere (dove il servitorame sotto un'umiltà di forma non si curava di celare una vera alterezza), ed attraversava una lunga fila di sale, ornate di statue e di capi d'arte d'ogni maniera. Allorchè si trovò presente alla giovane sposa, per un movimento primo si slanciò nelle sue braccia; ma quando serrandola al petto credette d'aver ritrovato l'antica amica, si accorse che il suo fare era molto sostenuto, quasi aristocratico; questo però non tratteneva la ricca signora dal fare l'enumerazione dei suoi poderi ed il lungo racconto delle sue felicità. Credi tu forse che essa parlasse delle gioje intime, delle sue sublimi e poetiche aspirazioni?... Che! che! Essa narrò de' suoi viaggi, de' suoi monili, de' suoi cocchi, delle ville, del palco alla Scala e di tant' altre cose che l'altra non udiva più, perchè fìno il sofà su cui si trovava seduta le pareva diventato incomodo e pungente: però si prometteva di poter parlarle poi dei suoi parenti, dei proprj, della lunga amicizia delle loro famiglie... Si annuncia una gran dama, entra e viene ricevuta con gran festa; l'altra che per un certo riguardo s'era levata in piedi non viene invitata a sedere di nuovo, pure non sa ancora risolversi a partire, sta qualche minuto titubante... La poveretta ha fatto in quel punto una figura ridicola, tanto più quando decisa d'accommiatarsi salutò confidenzialmente la giovane sposa, e questa parve imbarazzata di sentirsi trattata e di trattare la signora meno ricca col tu. Questa prima di uscire dal salotto si rivolse ancora una volta, e vide che quella, immersa nella nuova visita, affettava non ricordarsi più che l'amica usciva in quell'istante! Le restituì freddamente la visita, ma l'altra non ebbe il coraggio di più tornare da lei; però non serbò nè ebbe mai rancore con essa, ma ne ricevette scuola salutare alla propria condotta. E dire, e pensare che io stessa ho fatto talvolta altrettanto o poco meno colle persone a me inferiori! mi viene un rimorso, un rimorso che per l'amor che ti porto, ti vorrei evitare. Per buona sorte la moda libera la fidanzata dai divertimenti, condannandola tuttavia alle presentazioni ed alle cure molteplici del suo vestiario. Nelle presentazioni come in tutte le circostanze della vita io amerei vedere in te unita la dignità coll'umiltà, ben certa che verresti ripagata di simpatia, d'affetto e di larga estimazione. Ti ripeto quanto ti ho detto altrove, di non voler nel tuo corredo un'eccessiva ricercatezza, ma piuttosto una certa abbondanza senza leccature; e perchè circondarti di tanti bisogni ed esporti conseguentemente a possibili numerose privazioni? Ti verranno fatti molti regali, ti verrà fatta molta festa; oppure non ti verranno fatti quelli nè questa: sia comunque, pensa che queste sono leggerezze, le quali non meritano te ne occupi seriamente, e tu non devi permettere ti distraggano dal pensiero importantissimo dello stato che sei per abbracciare. Dacchè ti sei fidanzata, e non prima, puoi ricevere il dono di promessa e ricambiarlo; ma per cantà, non cessare dall'essere angelo un momento solo, nè con atti, nè con parole, nè col benchè minimo pensiero. L'angelo della famiglia deve recare all'altare intatto il suo giglio; ivi il Ministro di Dio muterà quel giglio colle rose vermiglie del conjugale affetto, e tu tornerai dall'altare quale ci sei andata, angelo, per diventare l'angelo dello sposo e dei figliuoli, se il Signore nella sua bontà crederà di dartene. Potevo avere una dozzina d'anni, allorchè in iscuola mi fu dato, per cómpito, di scrivere alcune parole pronunciate da una madre mentre sta posando la corona di sposa sul capo alla figliuola. Il mio sarà stato uno sgorbio o poco più; ma la sensazione provata e la folla di malinconici e pur dolci pensieri accalcatisi allora nella mia mente mi hanno impressionata assai; quindi lascio a te pure pensare quante cose voglia dire quella ghirlanda di fiori, e da te stessa ne tragga consigli ed ammaestramenti. La tua mamma, se l'hai, ti dirà ciò che ti bisogna; se non l'hai, te l'inspirerà dal cielo. Il contratto civile è doveroso, ma non è il matrimonio per un cristiano; è lo sposalizio in faccia alla Chiesa che costituisce il matrimonio: esso è Sacramento, perciò reca con sè i doni tutti del Signore. Preparati santamente a ricevere questo Sacramento, con devote preghiere, colla Penitenza e coll'Eucaristia, e il tuo nodo sarà benedetto. Ho visto oggi stesso un elegantissimo abito di raso bianco che ha servito jeri per la cerimonia nuziale (religiosa s'intende) ad una sposa d'alto lignaggio. Sai dove l'ho visto? Dalle suore Canossiane che lo debbono presentare alle figlie di Maria per cavarne arredi sacri per le chiese povere. Questo atto generoso in sè stesso, è assai più generoso per lo spirito che rappresenta. Si parla ora di divorzio nella società; ma tu come cristiana sai e credi fermamente che il divorzio non è possibile, poichè non dove nè può disgiungere l'uomo ciò che Dio ha legato. Ti verrà posto in dito un anello; questo ti dice coll'interminabile suo giro, l'interminabilità dell'affetto, della fedeltà che tu devi serbare al tuo sposo; allorchè quell'anello ti sarà posto in dito non potrai più pensare ad alcun uomo, finchè quello, che oggi t'è dato, ti sia dal Signore lasciato in sulla terra. L'Angelo di Dio t'accompagni, o giovane fidanzata, la tua uscita dalla famiglia, dove sei nata, lasci in essa la benedizione, e il tuo ingresso nella nuova casa ve la porti copiosa, eletta! Se il tuo sposo è buono e pio, fa di esserlo tu pure per non essere da metro di lui; s'egli non l'è, fa ch'ei lo diventi, e assieme alla virtù, la pace albergherà sotto il tuo tetto. L'Angelo di Dio t'accompagni, o giovane fidanzata!

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Ma per piacere alla Madonna è necessario, sovranamente necessario, sforzarci d'imitarla, come abbiamo già detto, ed a ciò sono opportunissime altre pratiche, che quasi dolce ricordo, anzi quale mio dolcissimo ricordo ti lascio. Figlia, ecco tua Madre! Allorchè il demonio, il mondo, la carne ti lusingano, ti tentano, e tu star per cedere, pensa che la Madre tua ti vede, si addolora, e più addentro le si figge nel cuore l'acuta spada; basti un pensiero all'Addolorata a trattenerti dal peccato, a spingerti ed accompagnarti sulla via del bene, dell'annegazione, della carità, di tutte le virtù. Ti tenta l'invidia ovvero l'orgoglio? pensa a Colei che volle essere l'ancella del Signore, e dolce, umile e pio sarà il tuo cuore; e dolce, umile e pia sarà la tua parola, saranno i tuoi modi coi grandi e coi piccoli, coi nobili e coi plebei, coi dotti e cogl'ignoranti, nè sarà da te fatta eccettuazion di persone, a somiglianza di Colei, che tutti ugualmente amorosa accoglie a' suoi piedi. Se all'altar di Maria ti trovi vicino un poverello di Gesù Cristo, lungi dal guardarlo con alterigia o con disprezzo, pensa all'Epulone ed al Lazzaro del Vangelo; pensa che colui può salire ad un posto ben più elevato del tuo nel regno dei cieli; pensa che Gesù Cristo istesso volle esser povero, e povera volle fosse pure la Madre sua!... Se ti punge il dolore ed il cuore pare caderti a brani, pensa a Colei che con magnanimo coraggio stava ai pie' della Croce; se la privazione di persone care, di persone, per così dire, necessarie alla tua esistenza, ti getta nel vuoto, pensa ancora a Lei che volle e potè vivere molt'anni dopo la dipartita dell'Unigenito suo figlio divino, per insegnarci a soffrire ed a soffrire per amor di Dio! Pensa in tutto e sempre a Maria; in tutto e sempre dille, Madonna, ajutatemi! ed il suo ajuto ti seguirà sempre, sempre, in vita ed in morte. Il Sabato è specialmente dedicato alla cara Mamma nostra, e tu non lo lasciar passar mai senza fare qualche sacrificio per amor suo; mortifica le passioni, i sensi, ed abbi cura di privarti di qualche cosa, di fare qualche limosina per la Madonna. Quasi tutte le divote di Maria si astengono in giorno di Sabato dal mangiar frutta, visitano il suo altare, e le accendono un lumicino. Queste sono belle e care divozioni che piaciono assai alla Vergine Santa, e tu non le devi punto lasciare; ma ricordati che esse ti obbligano meno delle virtù positive, vale a dire della lotta contro il proprio carattere, della tolleranza dell'altrui, della vittoria contro le tentazioni che ci sono suscitate fuori e dentro di noi. Quelle divozioni ti sieno care ed abituali, e ti servano come di scala a queste, che è quanto dire alla perfetta osservanza della legge di Dio e della sua depositaria, la Santa Madre Chiesa. Fra il giorno il Madonna, ajutatemi! ti richiami con frequenza al dovere, alla pietà, al sacrificio, e quando l'occhio tuo si abbuja, il Madonna, ajutatemi lo rassereni, e ti faccia, non parere, ma essere veramente angelo nella tua casa, in tutti i tuoi rapporti morali e materiali, religiosi e civili. Nell'orazione della mattina e della sera, nella meditazione, nell'accostarti ai Santi Sacramenti, nelle dubbiezze, nelle gioje, nei dolori, nella stanchezza opprimente del corpo, e più assai in quella dell' anima, ricorri alla Madre del buon consiglio, alla Madre consolatrice degli afflitti, alla Vergine purissima, ed il suo nome sarà balsamo benefico a tutte le tue piaghe, indirizzo infallibile a' tuoi passi, gioja suprema nell'anima tua. Un mese dell' anno, il più bello, tu già lo dedichi a Lei, ascoltando devote prediche, leggendo devote preghiere, praticando ogni giorno una virtù, e facendo per amor suo una mortificazione; oh! conserva questa santa consuetudine, comunicala agli altri; ma non un momento solo ti sfugga di mente che gli è il cuore ch'Essa vuole; ch'Essa vuole una pietà vera, soda, capace a riversarsi sugli altri, giovevole non a te soltanto, ma a quanti hanno teco qualche rapporto di parentela, d'amicizia, di sudditanza o di gratitudine. Ti sia cara l'immagine della Madre del Cielo, tienila sempre con te, vicina a te, davanti a te, e non solo accanto al tuo letto, ma presso al tuo tavolino da lavoro o da studio, essa brilli come faro luminoso ad indicarti la via da percorrere. Dove c'è Maria, c'è Gesù. Per noi cristiani, Maria è la più grande di tutte le creature, appunto perchè Madre dell'Umanato divin Verbo; a chi ti accusasse di superstizione, rispondi che tu non presti la tua venerazione al simulacro, bensì a Colei che esso rappresenta, ed a far capire viemmeglio questa verità ripeti un fatto narratomi dal Missionario del nostro prezioso motto: Madonna, ajutatemi! Nella casa di Nazaret in Milano, or son pochi anni, una fanciulletta toscana, e credo lucchese, di soli due lustri, si trovava in fil di vita, e trasportata da uno slancio di amore, chiedeva a viva voce il suo caro Gesù: le vien presentato il Crocifisso, ed essa, baciandolo, e dolcemente respingendolo poi, ancor più forte esclama: Io voglio il Cristo vivo, lo voglio vivo, e sì dicendo volava al Cielo ad abbracciar vivo quello che era il suo ultimo e supremo sospiro. Nelle preghiere d'ogni giorno devi innestare fedelmente il Rosario, che quasi rosajo perennemente fiorito profumerà le tue azioni tutte, se in recitarlo mediterai o almeno terrai dinanzi alla mente i Misteri santissimi, i principali di nostra Santa religione. Sii santamente divota dei Cuori di Gesù e di Maria, poni il tuo nome sotto la valevole e potente loro protezione; con Maria pensa a riparare il Cuore del nostro Redentore, delle offese che riceve di continuo nel Santissimo Sacramento; fatti collaboratrice dell' opera santa della riparazione, e cerca di guadagnare non solo colle preghiere, ma altresì colle opere molte anime a Dio. E... prima di chiudere questo libro, nel quale ho lavorato con tanta trepidanza e con tanto amore, lascia ch'io ti rivolga una preghiera ed insieme una promessa; lascia che col cuore sulle labbra io imprima un caldissimo bacio sulle tue labbra verginali, t'incoraggi a proseguire santamente la tua carriera, se già sei buona; ti ecciti a far ritorno a Dio, se sei fuorviata, assicurandoti che le lacrime dell'innocenza e quelle della penitenza si fondono insieme nel Cuore SS. di Gesù. Ora, eccomi a farti una calda preghiera. Se tu hai ricavato alcun frutto dalle parole che Iddio m'ha suggerito pel tuo bene, leva a Lui un pensiero, un sospiro per me; supplicalo affinchè segnando altrui la via che a Dio conduce, non la smarrisca miseramente,... ed io ti prometto che delle mie preghiere e delle poche mie opere buone terrò sempre a parte le mie care lettrici, benchè non le conosca, non le veda, non possa sperare di vederle mai più! Oh! no, sarebbe troppo penoso questo pensiero! io lo respingo, non lo voglio un momento solo albergar nella mia mente e nel mio cuore; no, io voglio conoscerti, abbracciarti teneramente un giorno... Cara Madre Maria, Voi che mi amate con un amore tenerissimo, e ch'io amo e voglio amare con tutte le potenze del mio cuore fino all'ultimo respiro, per riamarvi con maggior ardore lassù nel Cielo, fate, deh! fate, io Ve ne prego, che nessuna di quelle damigelle cui è passato per mano questo povero libro, vada perduta, e che nella celeste Sionne io pure salga ad incontrarle. Oh! cara Madre, se Voi col vostro divin Figlio mi chiudete anche presto e subito gli occhi, alla vostra chiamata sono pronta, io vengo; sì allorchè mi volete io vengo. Ma prima per pietà, benedite il Sommo Pontefice; benedite il pio e santo Prelato che m'ha suggerito questo lavoro, il Direttore della mia coscienza che mi ha accompagnato in esso, il Censore ecclesiastico, e tutte quelle esimie persone che mi hanno detto coraggio, e tutte quell'anime buone che mi hanno ripetuto coraggio. Mia cara Madre, benedite, Ve ne prego, colei che mi è madre quaggiù, colei che mi ha insegnato ad amarvi; benedite e date l'eterno riposo al mio caro genitore, che sulla terra ha dedicato il suo cuore e la sua penna a beneficare la società; guardate con uno sguardo di protezione il mio dilettissimo consorte, il fratello, le sorelle, i parenti tutti; e la benedizione vostra ricada copiosa sui miei amici, sulle figlie della carità, su tutte le case religiose, sui missionarj, su quelli che credono, su quelli che non credono e su tutto il genere umano! Cara Madonna, ajutatemi ad allargar tanto le braccia da stringere in un solo affettuosissimo amplesso tutti quanti gli uomini, e se questa mia mano dovesse scrivere un dì la benchè minima parola contraria alla religione mia santissima, ed al culto ed all'obbedienza ch'io debbo alla Santa Chiesa ed all'infallibile suo Capo, lasciate, sì lasciate che questa mano isterilisca, inaridisca... Santa Maddalena, il cui nome io porto indegnamente, e pur m'è tanto caro, Voi che udiste dalle labbra del Salvatore quelle stupende parole: T'è molto perdonato perchè hai molto amato, comunicatemi il vostro amore, il vostro spirito di penitenza, e fatemi diventar santa sulle vostre orme. Angelo mio Custode, Angell santi del Cielo, pregate il vostro e mio Gesù, la Santa sua Madre, ed intercedete il possente ajuto del Patrono della Chiesa, il glorioso San Giuseppe, affinchè a me, alla mia famiglia, ed alle care damigelle che hanno piamente ascoltato i miei consigli, siano aperte le porte della celeste Gerusalemme, ed a me ed a esse sia detto dal gloriosissimo nostro Redentore: Venite, benedette dal Padre mio, prendete possesso del regno, preparato a voi fin dalla fondazione del mondo.

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Io Spero che tutto quanto ti ho detto, e più assai quel sentimento di rettitudine da Dio posto nel tuo cuore, ti avranno persuasa che il coraggio delle proprie opinioni non è soltanto una virtù, anzi un dovere che abbiamo con Dio; ma altresì un tributo ed un dovere verso noi medesimi ed alla nostra dignità personale. Io non titubo ad affermarlo; l'uomo che si vergogna delle proprie credenze non è uomo di carattere, e non è nè può mai essere stimato da alcuno; chè anzi sarà da ognuno tenuto in diffidenza, poichè non si potrà mai conoscere con certezza s'egli sia carne o pesce, cioè quali siano le sue convinzioni ed a qual religione appartenga. Di più io credo che tra lo schiavo dei rispetti umani e l'apostata non vi sia che un passo: quello misura le sue dimostrazioni di fede e di pietà sulle altrui, questo le rinnega apertamente; io non saprei dunque bene se quegli trovandosi una volta appetto ad un apostata, saprebbe rifiutarsi egli stesso ad abbracciare l'apostasia, come altre volte non ha saputo rifiutarsi di ridere cogli altri delle cose più sacre, e perfino di Dio. Forse tu mi accuserai di essere troppo forte ed acre, e d'ingigantire le cose; ma dimmi un po', che stima faresti tu di quel soldato che in tempo di pace grida Viva il re, e che in tempo di guerra gli volta poi ignominiosamente le spalle? E per venire ad un confronto più pratico, che ne dici tu di quell'amica tua, la quale ti prodiga cento carezze nel dì della tua festa, mentre allorquando si trova presso qualcheduno che ti calunnia o ti deride, non sa levare una parola sola in tua difesa, ma invece approva tacitamente o palesemente la condotta degli altri a tuo riguardo? Che dici tu di quella tua amica che dice di amarti, ma che non vuol essere veduta in tua compagnia, e si nasconde quando viene in tua casa? Ma t'intendo. Io ho già parlato troppo, perchè tu più di me hai in odio il rispetto umano, e tu più di me hai deliberato di non voler mai e poi mai astenerti dal fare una cosa, o farne un'altra soltanto per essere veduta o per non essere veduta dagli uomini. E dove sarebbe la dignità personale? Una volta che io so che una cosa è mal fatta, mi vergognerò e asterrò dal farla, non per il biasimo altrui, ma pel male in sè stesso; ma quand'io so che quello che io faccio è bene, non mi vergognerò no davvero di mostrarlo in pubblico, sarò anzi ben lieta di dare a Dio ed al mio medesimo carattere di cristiana una protesta di fedeltà; perfino, lasciamelo dire, mi sentirò più donna di proposito se avrò e sosterrò con fermezza la mia credenza e le sue pratiche. Mi è ben forza convenire con te che la franchezza del tuo carattere ti attirerà talvolta qualche sogghigno e più d'una parola ironica o di scherno; ma credilo e tienlo bene a mente: tutto sommato, quand'anche tu fossi forzata a vivere con persone che la pensano diversamente da te, la tua franchezza ti circonderà di stima e di riguardi. Quelle stesse che t'avranno derisa, non anderà molto, ti faranno comprendere che stimano assai più te per la fermezza delle tue opinioni e per la conformità fra la tua vita e le tue credenze che non hai mai tentato nascondere, di quello non stimino quelle tali figurine chinesi delle quali abbiamo parlato e riso jeri. Che se ci fosse taluno abbastanza ardito da crederti persona dappoco, perchè dichiaratamente credente e perfettamente cattolica, gli potrai rispondere che non t'incresce essere tenuta persona dappoco nella schiera che dal grande Aquinate, a Dante e Manzoni, ha portato alto la stessa bandiera, la quale forma il loro non meno che il tuo vanto. Ma lo so: pur troppo, se ci è facile sopportare e vincere la guerra fatta alla nostra pusillanimità dalle persone che non ci riguardano se non da lontano e colle quali ci troviamo di rado, ci è poi difficilissimo vincere l'altra fattaci dalle persone colle quali viviamo in continuo contatto; ma ciò non toglie che le suaccennate ragioni valgano tanto per le une quanto per le altre. In questo caso sarai però obbligata a raddoppiare i tuoi sforzi, e più forte ti stringe l'obbligo di presentarti a Dio riparatrice dei torti altrui, anche allo scopo di non cadere tu pure ignominiosamente a rinnegarlo, od a servirlo meno fedelmente per rispetto umano. Poi devi cercare ogni occasione per vincerti; e benchè non ti corra grave obbligo di dichiarare apertamente la tua fede se non nelle cose e nelle circostanze di qualche gravità, perderai molto non solo di merito davanti a Dio ma di forza in te stessa, se non sei e non ti mostri sempre coraggiosa nelle piccole come nelle grandi occasioni. Ed infatti se ti vergogni di farti vedere a leggere un libro di pietà, a frequentare i Sacramenti, le prediche, la chiesa, l'orazione; che caparra ti rimane di saper poi dichiarare apertamente la tua fede, quando la vedrai vilipesa o posta in dubbio ed in canzone? No: tu sai che ogni giorno devi piegare le tue ginocchia davanti a Dio per implorare la sua protezione sulla tua giornata dapprima, poi sulla tua notte; dunque, piegale senza rossore anche se havvi alcuno nella tua camera che ne faccia le beffe. Quella persona deve vergognarsi di dileggiare la tua buona azione, non tu di farla. Se un'amica, o più propriamente si dovrebbe dire una nemica, ti deride o ti guarda con compassione perchè ti accosti spesso al tribunale di penitenza e ricevi con frequenza il Pane dei forti, o per qualunque altra tua pratica di pietà dalla più piccola alla più grande; continua coraggiosamente il tuo cammino, ed invece di lasciarti pervertire cerca di convertire l'amica, colla quale sarai sempre buona, amabile e condiscendente come Dio vuole in tutte le cose che non riguardano il divino servizio. Ringraziamo Iddio che ci ha fatte nascere nella sua Chiesa, che ci ha alimentate coi Santi Sacramenti, che ci nutrisce ogni giorno colla sua parola e colle sante sue ispirazioni, e deh! non sia mai che diventiamo ree d'ingratitudine e di apostasia col vergognarci dei doni suoi. Noi siamo deboli, anzi io sono più debole di te; ma facciamoci coraggio, attacchiamoci al pegno di nostra salute, alla Croce, ed ivi troveremo la forza di superare la guerra mossaci dagli altri e quella che ci viene da noi medesime. Ma se ci poniamo appiè della croce, a chi ci troviamo vicini? Alla Vergine addolorata che, nascosta quando il suo Gesù veniva recato in trionfo a Gerusalemme, si presenta coraggiosa a Lui dappresso quando è vilipeso, bestemmiato e crocifisso. Ci troviamo vicini al caro Apostolo vergine che ha posato il capo sul cuore del Salvatore, e alla gran peccatrice la quale sola ha sentito quella grande parola:Va; ti sono rimessi molti peccati, perchè molto hai amato. O buon Gesù, deh! non permettete mai che dopo di aver parlato con tanta convinzione e con tanto cuore, contro il vile rispetto umano, abbia poi io stessa a rendermene rea; questa sarebbe troppo tremenda pena, e Voi, amante e redentore dell'anima mia, me ne libererete mai sempre. Cara Madre Maria, S. Giovanni, S. Maria Maddalena, Santi tutti del cielo, Angelo mio Custode, liberatemi, per pietà, da sì grave delitto!

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Ci congratuliamo, diletta Figlia in Cristo, che la tua Opera intitolata l'Angelo in Famiglia, abbia ottenuto quel successo che speravamo, quando ti abbiamo esortata a pubblicare il manoscritto che ci offrivi non ancora affidato alla stampa. Era certamente a desiderarsi che le fanciulle levate dal Collegio e tosto trasportate a diverso sistema di vita ed a diversi doveri, venissero addestrate, quasi con mano amica, ad adempiere la molteplice funzione dei famigliari doveri in modo, che potessero presentarsi come veri Angeli di Famiglia. Pure ciò esigeva che quei generali principii di pietà, di carità, di mansuetudine, di abnegazione di sè stesse, di attività, in cui sedulitatis, quibus informatae fuerant in Collegio, at a quibus sub obedientia statisque regulis universae earum regebantur actiones, ad liberiorem familiae vitam traducta crebris aptarentur et variis muneribus domi explendis, ac universo quoque regimini familiae fortasse subeundo; gravibusque propterea curis fovendi religionem, custodiendi mores, invigilandi famulis, temperandi sumptus, demerendi universos, et per hoc perfectam servandi pacem etiam inter ingenia saepe discrepantia. Arduum sane inceptum, quod in docente, praeter animum non vulgari pietate virtutibusque exornatum et prudentia praesertim, postulabat perfectam humani cordis notitiam eiusque motuum et cupiditatum, et accuratam observationem diuturnamque experientiam difficultatum omnium saepe occurrentium intra domesticos parietes. Consulto sane Venerabilis Archiepiscopus tuus, qui tuam religionem ac dexteritatem in rebus ad eam pertinentibus explicandis optime noverat non minus e colloquio, quam e praecedente scripto tuo Gioie Celesti, Nobis etiam oblato, difficile hoc negocium tibi credidit; electionisque erano state educate nel collegio, e dai quali erano state dirette tutte le loro azioni sotto l'obbedienza e sotto regole determinate, applicati al vivere più libero di famiglia si adattassero ad adempiere i molti e varii doveri di casa, e forse anche a sostenere tutto il governo della famiglia, e perciò alle gravi cure di promuovere la religione, di tutelare i costumi, di vigilare sui servi, di moderare le spese, di conciliare tutti, e di conservare in tal modo la pace anche fra caratteri spesso discrepanti. Impresa certamente ardua, la quale in chi ammaestra, oltre un'anima adorna di pietà non comune, di virtù e specialmente di prudenza, richiedeva una perfetta cognizione del cuore umano, dei moti e delle passion di esso, e un'accurata osservazione ed una lunga esperienza di tutte le difficoltà, che spesso s'incontrano fra le domestiche pareti. Opportunamente di certo il tuo Venerabile Arcivescovo, il quale dai colloqui non meno che dal tuo precedente scritto le Gioie Celesti, anche a Noi da te offerto, conosceva ottimamente la tua religione e la tua abilità nello spiegare le cose ad essa appartenenti, ti affidò questa difficile impresa; e godiamo che la prudenza della scelta sia stata confermata dai giudizii di tutti coloro, sia fra i Vescovi, sia fra il prudentiam confirmasse, gaudemus iudicia eorum omnium, sive ex Episcopis, sive e Clero, sive e populo, qui, opere tuo perlecto censuerunt, te perfecte satisfecisse proposito, amplisque volumen tuum laudibus cumularunt. Quamobrem etsi gravissimae multiplicesque curae Nostrae non siverint oblatum a te Nos hactenus decurrere librum; communis tamen haec prudentum proborumque sententia necquit Nostras etiam tibi non conciliare laudes; imo et excitare desiderium, ut concessum tibi talentum in proximorum utilitatem reddere danti coneris uberiore quoque fenore auctum non absimilium scriptorum, splendidiorem semper ita tibi comparatura gloriae coronam. Amplissimum interim spiritualem fructum labori isti tuo adprecantes, eius auspicem et paternae Nostrae benevolentiae pignus Apostolicam Benedictionem tibi, Dilecta in Christo Filia, peramanter impertimus. Datum Romae apud S. Petrum die 13 Junii 1881. Pontificatus Nostri Anno Quarto LEO P. P. XIII. Clero, sia fra il popolo, i quali letta la tua opera stimarono che tu abbi perfettamente soddisfatto al proposito e di larghe lodi accumularono il tuo libro. Per la qual cosa, sebbene le gravissime e molteplici nostre cure non ci abbiano permesso finora di scorrere il libro da te offertoci, tuttavia questa comune sentenza di personaggi prudenti e probi non può a meno di conciliarti anche le nostre lodi, anzi di suscitare il desiderio che ti adoperi di restituire a chi te lo ha donato, il talento a te concesso per l'utilità del prossimo, accresciuto ancora con più fecondo frutto di scritti non dissimili, e ti guadagnerai così per sempre una più splendida corona di gloria. Implorando intanto larghissimo frutto spirituale a questo tuo lavoro, come auspice di esso e qual pegno della Nostra paterna benevolenza con tutto l'affetto, o Filia Diletta in Cristo, ti impartiamo l'Apostolica Benedizione. Dato in Roma presso San Pietro 13 Giugno 1881. Il quarto anno del nostro Pontificato. LEONE P. P. XIII.

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Galateo della borghesia

201481
Emilia Nevers 2 occorrenze
  • 1883
  • Torino
  • presso l'Ufficio del Giornale delle donne
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Riprendiamo ora le nostre annotazioni al punto dove le abbiamo lasciate, cioè alla vie de château, come dicono i Francesi. È evidente che il possedere un castello od una villa impone certi obblighi, fra cui i principali sono: trattare con garbo la gente del paese e saper ricevere. Quello degli ospiti è un quesito serio. Nulla è più difficile che essere sempre, ed in tutte le circostanze, una padrona di casa perfetta. Anzitutto bisogna studiar la stagione più propizia per ognuno degli ospiti: poi la persona con cui lo si associerà; infine il modo di svagare queste varie brigate. Invitare i vecchi nell'autunno quando l'aria si rinfresca e può ridestare i reumatismi non conviene. Se si mette la signora Sofia, cui non piace che giocar al tarocco, con la società dei giovani che voglion far gite e ballare, sarà abbandonata: non si può riunir il deputato T. radicale col consigliere G. ultra moderato, guai! La baronessa E. è carissima, ma vuol brillare troppo: a metterla con le signore un po' modeste, queste restano nell'ombra..... In una parola, per disporre le cose con vero successo, bisogna essere esperti nella scienza sociale, sapere tutte le fasi e conoscere tutti i tipi della commedia umana... Chi lo crederebbe? La mente di Macchiavelli e Talleyrand non è di troppo. C'è poi la scelta delle camere: convien dare la più allegra a chi esce poco, la più fresca a chi teme il caldo, la più appartata a chi teme il chiasso, e così via. Bisogna regolare gli arrivi, indicare le ore propizie, preparare i mezzi di trasporto, ritardare d'una mezz'oretta od anticipare l'ora del desinare per quelli che giungono... In casa poi ci vuole un' ampia provvista di carte, domino, scacchiere, giuochi d'ogni specie, e libri, e giornali... Il modo poi di trattare gli ospiti varia: per chi non è in confidenza od è timido ci vuole molta sollecitudine: chi ama il vivere tranquillo, non va spinto a passeggiate che possano stancarlo: chi ama la propria libertà, la lettura o lo studio, va esortato a riguardarsi come a casa propria. Infine la qualità più essenziale per la padrona di casa è il buon umore. Non intendo con ciò una perpetua ripetizione dell'éclat de rire, ma una serenità costante, l'arte di celare le proprie preoccupazioni, d'esser sempre ugualmente cortese con tutti, in modo che nessuno degli ospiti possa credersi trascurato od importuno. Alla propria servitù la padrona di casa incuterà rispetto per gli ospiti e pazienza colle persone di servizio che questi potessero recar seco; ella stessa non farà mai osservazioni a chi non è al suo stipendio. Prometterà poi una gratificazione per evitare che la cupidigia spingesse la sua servitù a trattar peggio quelli da cui attendono meno. Non incoraggierà mai pettegolezzi ascoltandoli con orecchio compiacente. La castellana ha dovere di mostrarsi affabile anche verso le persone del paesello vicino, da cui la sua villa dipende: le autorità, sindaco, consiglieri, curato, medico, ecc., ecc. Con le signore deve guardarsi dalla freddezza o dal motteggio. Forse le buone matrone che non parlano che dei lattanti e dei bachi da seta e della vendemmia, l'annoieranno un pochino, lei, abituata all'elettrica corrente d'idee dei grandi centri, ma porti con pazienza quel po' di noia e si persuaderà che anche in provincia c'è molto senno, molt' arguzia e molta coltura. La castellana ha poi un altro e ben utile còmpito: i poveri, ora suoi coloni, altre volte suoi vassalli. Come vorrei persuadere le nostre belle ed ottime dame ad imitare le inglesi che fanno scuola ai bimbi, e di sera, agli uomini, che tengono delle conferenze di morale, che premiano chi non trasmoda nel bere, che insomma agli svaghi della campagna associano anche la filantropia! La castellana non mandi limosine dai servi - le dia ella stessa e dia poco danaro, ma invece vino, brodo, biancheria, e sovratutto buone ed utili parole. Non isfugga dall'accostare quei miseri: si persuada che sotto i loro cenci battono spesso cuori generosi... che sono uomini e sentono, amano, soffrono come noi. Se avrà estirpato un pregiudizio, illuminato un cervello guasto dall'ignoranza, potrà dire, come Tito, di non aver perduto la propria giornata! Ecco i doveri della castellana. La villa, se molto ampia, imporrà quasi gli stessi obblighi. Se piccina, non comporterà tanti ospiti; ma il modo di ricevere quei pochi sarà uguale. Se d'affitto e divisa con altri, imporrà maggiori doveri; oltre agli ospiti vi saranno i vicini. Per mantenersi in buoni termini con questi, conviene guardarsi del pari dall'esagerata prevenenza e dalla eccessiva freddezza; nei primi giorni osservarsi reciprocamente per vedere se si potrà simpatizzare; poi avviare le relazioni con qualche saluto, qualche scambio di parole; passare poi alle passeggiate in comune, alle visite; ma non mai volersi mettere in intimità prima di conoscere, almeno un pochino, con chi s'ha da fare, in ispecie (parrà che dica un paradosso, ma lo spiegherò poi), in ispecie se è gente della vostra stessa città. E perchè? Pel buon motivo che se le persone con cui avete avuto il torto di far relazione alla leggera e che scoprite poco stimabili abitano Parigi o New-York non avrete ulteriori impicci: se invece sono del vostro paese potranno risentirsi se non continuate l'amicizia e procurarvi dei dispiaceri. Per vivere in pace tra vicini non si deve mostrarsi esigenti nè puntigliosi, non associarsi ai reclami ed agli alterchi della servitù. Se v'hanno differenze tra i bimbi, mettere la cosa in tacere, invitare i proprii alla tolleranza, rimproverarli se hanno torto: mai permettersi di correggere quelli degli estranei o far scenate ai genitori per lo sgarbo di un ragazzo. Chi ha carrozza o battello l'offrirà per turno ai vicini, se li conosce tutti: così, se riceve, deve invitare tutti o nessuno. Badisi però che se fra quattro famiglie se ne conosce una sola fin dapprima, è lecito non mettersi in relazione che con quella sola, senza punto contravvenire al galateo, come è lecito vivere soli affatto. D'altro lato va cansata l'eccessiva e subitanea famigliarità, l'entrare ad ogni momento in casa altrui, girando dalla cucina alla camera da letto, con la frase che irrita tanto i nervi di chi desidera un po' di libertà: - Oh! son di casa, io... Non importa. Posso entrare, eh?... - E magari la povera villeggiante si assetta in quella la parrucca! Tempo fa una mia amica, che mi aveva descritto con entusiasmo la bellezza del villino da lei preso a pigione, mi scriveva se nel luogo dov'ero io si troverebbe qualche quartierino per lei. Sorpresa della richiesta e temendola indisposta, mi recai a vederla. - Che è, Gina? sclamai giungendo. Vuoi andartene? C'è qualche epidemia in paese? - Eh! no, rispose Gina, una donnetta di mezza età, calma, metodica come una tedesca. - L'aria non ti si confà? - Anzi! - La casa non ti piace più? - È un gioiello, lo vedi. - Ma, allora, mi ci perdo. È un'invasione notturna di topi? - No. - Di scarabei? - Men che meno. - Oppure... non so che inventare!... oppure ci si sente. Vi sono delle fantasime? - Altro che fantasime! sciamò ella con tuono doloroso. Non fosse che questo... - Spiegati... Ella si pose vivamente un dito sul labbro. L'uscio si aprì: apparve una donnina scarna, gialla, con uno di quei nasi lunghissimi che paiono il distintivo dei curiosi. - Oh, cara vicina, sciamò la donnetta.....Hai delle visite? Scusa!...Ed io che son qua in veste da camera... Allora scappo (e prese una seggiola)... rimarrò un momentino solo, via! la signora è tua sorella? No? Una parente? No? Un'amica, allora, come me? Badi, non più di me! Sono gelosa, io! Ha fatto bene a venire. Era troppo sola, la povera Gina. Per me ci vengo spesso; ma non posso farle compagnia quanto vorrei... A proposito, hai dei funghi oggi, Gina! Me ne darai? lo non ne ho trovati. Cedimene la metà, per mio marito che ne va matto... Per tre quarti d'ora andò avanti così, come una sveglia. Quando essa uscì, Gina mi si voltò: - Hai veduto? Hai udito? Ti meravigli ora ch'io voglia fuggire?... Colei non mi lascia nè lavorare, nè dormire, ne leggere, nè far la mia corrispondenza: è una persecuzione... è una tortura... - E Gina aveva ragione. Ma prima di continuare nell'elenco delle norme per la villeggiatura, chiuderò il capitolo degli ospiti, accennando ai loro doveri. I più importanti sono: l'occuparsi molto di chi ci ospita e l'arrecargli il meno disturbo che sia possibile. L'ospite non farà mai osservazione sulle camere che occupa, sul letto, sul servizio, sulla qualità dei cibi; non mostrerà noia nè malumore, si terrà a disposizione dell' amico per passeggiare e suonare; se i padroni di casa sono attempati o di malferma salute, starà con loro: sarebbe assai scortese che li lasciasse soli, associandosi ad altre brigate. Se amano ritirarsi presto, non uscirà di sera e non si tratterrà fuori troppo tardi. Se è una signorina vedrà di rendersi utile, sia col disporre i fiori dei vasi, sia coll'assistere le padroncine di casa quando lavorano o fanno preparativi per ricever altri ospiti. Se canta o suona si farà udire, senza difficoltà, e ciò per compiacere chi l'ha invitata. Non chiederà mai all'amica con cui si trova delle cose disadatte, sì da metter questa in un dilemma fra le leggi della convenienza e quelle dell'ospitalità. L'ospite nel partire darà sempre una gratificazione alle persone di servizio: appena giunto a casa propria scriverà una lettera di ringraziamento a chi l'ha ospitato. Per l'occasione d'un onomastico o d'un anniversario (non prima, perchè non paia un pagamento) offrirà qualche bel dono, e, se una ragazza, qualche bel lavoro alla persona presso cui ha villeggiato. In campagna, oltre agli ospiti, si hanno i visitatori quelli, cioè, che vengono per una giornata o due. Allorchè vi giungono codesti visitatori, prima cura dev' esser l'offrir loro dei rinfreschi, vermouth, limonata, caffè, ecc. Poi si chiederà loro se hanno fatto colezione o desinato,e s'inviteranno a mangiare senza profondersi in parole per deplorare che non s'ha nulla di buono. Una villa non è un albergo e d'altronde l'aria fina e l'appetito danno ragione a Dante e fan parer savorosi, se non le ghiande, almeno il salame, il burro, il cacio. Però una dispensa in campagna va sempre fornita del necessario per accogliere gli amici ed improvvisar qualche desinare. Ci vogliono scatole di sardine, tonno, salumi, prosciutti, pic-nics, amaretti, vermouth, vini di diverse qualità, sciroppi e conserve; finalmente farina, latte, mandorle, uva secca, uova, tutto ciò che può servire per fare un budino, un'omelette, ecc. Ed è qui, signorine, che sta bene posseder l'arte di impastare con dieci dita affusolate (che conoscono le delicatezze di Chopin ed il segreto dei merletti antichi) un bel pasticcio, una torta dorata, che saranno cose utilissime per far figurare il modesto pranzo campagnolo. Chi vive in città ed ha davanti alla porta il salumaio ed il pasticciere, non si rende conto della necessità di tener la casa ben provvista e rischia così di fair pessima figura coi visitatori. Mi è toccato una volta patir la fame, ma alla lettera, nella casa di certi buoni villeggianti, i quali,non avendo provviste e non sapendo lì per lì valersi del poco che avevano per dare una refezione presentabile, preferirono far il nesci. Però non è cortese nè discreto piombar senz'avviso, per tutto il giorno, da una famiglia che è in campagna. O si previene, o si regola le cose in modo da ripartir prima del desinare. Rimaner fino a quell'ora sarebbe una sconvenienza, perchè porrebbe l'ospite nel dilemma di patir la fame o di dovervi invitare senz'esservi preparato. Lo ripeto, per la colazione è un altro affare. È di prammatica mostrar i proprii fondi, casa e giardino a chi viene a visitarvi: i padroni di casa però debbono sceglier l'ora opportuna, non costringere gente stanca ad errare in mezzo ai campi per lungo tempo ed a scendere e salir molte scale. I visitatori poi hanno un solo obbligo; ammirare e lodare. Lo facciano senza tema. L'amore della proprietà è radicato nel cuore umano ed accieca come tutti gli amori. Per le ville e pei figliuoli s'accetta qualunque elogio con gratitudine. Siccome può accadere che i visitatori desiderino o debbano pernottare, conviene aver sempre una o due camere da letto preparate. Saranno provvedute del necessario letto, canterano, tavola da notte, tavolino da scrivere, scansia, e non solo di ciò che si reputa necessario per sè, ma anche di quel che è necessario ad altri, cioè siccome certuni si copron molto o dormono con la testa molto alta, si metterà in camera una coltre un po' pesante ed uno o due cuscini di ricambio: zolfanelli, acqua con accanto dello zuccaro, alcuni giornali e libri, un lumino da notte. Se l'ospite fosse vecchio o malaticcio, un fornellino a spirito con l'occorrente per prepararsi una bibita calda non farebbe male. Spesso, per non dar disturbo alle persone di casa, certuni si adattano a soffrir di male di stomaco od altro, senza avvertire. Si manderà poi la cameriera od il servo a ritirare i vestiti e le scarpe dei visitatori, e si domanderà a che ora desiderano essere svegliati, se prendano il caffè od il caffè e latte in letto, se hanno bisogno di assistenza per vestirsi, ecc. Nessuno può credere quanta parte abbiano quelle minuzie nella vita e come sia grato ad un ospite il ritrovare un pochino delle comodità di casa sua presso coloro che lo accolgono. Conosco una buona ragazza che è zitellona oggi per aver trascurato quelle piccole formalità, quelle attenzioni che sono come il profumo della garbatezza. Era una signorina colta, buona, ma per disgrazia la sua mamma non conosceva punto il governo della casa nè vi badava: sonnecchiava, leggiucchiava e mangiucchiava tutto il giorno, mentre la figlia dipingeva o faceva di bei ricami. Si propone alla signorina un bravo giovine, ricco, bello, di cui s'innamora subito. Le cose si combinano senza difficoltà... non manca che la sanzione dei genitori del giovinotto: una vecchia coppia modello, Filemone e Bauci. Le signore che chiameremo Giulia e Maria, essendo in villa, lo sposo offre di venir a passare colà alcuni giorni coi suoi, perchè le due famiglie possano conoscersi bene. Si accetta con giubilo, si aspettano gli ospiti con ansia, la mamma sdraiata in un seggiolone a pianger tarde lagrime su Paolo e Virginia, la sposa a miniar due bianche tortore avvinte da un laccio di rose. Verso le dieci, ora a cui si è calcolato che gli ospiti giungeranno alla stazione, le signore si scuotono, scendono in giardino ad aspettarli. Ma sì!vengon le dieci, le dieci e mezzo, le undici; hanno bel appuntare gli sguardi, tender l'orecchio, nessun rumore di ruote, nessun polverìo sulla strada. Grand'inquietudine. Che non vengano? E perchè? La signorina impallidisce, la mamma sospira. Ma ecco spuntare in quella, a piedi - sotto il solleone - una brigatella lamentevole: un omettino secco, in maniche di camicia, con un fazzoletto in capo, un donnone tanto rosso da suggerire serii timori d'apoplessia, un giovinotto polveroso, imbronciato... - Dio buono! A piedi! grida la signorina. - A piedi! ripete la madre. Come? perchè? - Sicuro, a piedi, sclama l'ometto (che era il babbo dello sposo). A piedi! tre miglia sotto la sferza del sole, in agosto! Cosa da morire.Ma non c'erano carrozze. - Ah!certo! dice la madre della sposa. Bisogna comandarle, sa... - O dove le avevo a comandare? in piazza della Scala? replica il babbo, un bravo ambrosiano che chiama pane il pane. Bisognava comandarle qui! Era giusto: era vero... e le signore restarono impacciate. Si profusero in scuse e condussero gli ospiti... in camera? No: li conducevano dritto ad ammirare la villa: ma il babbo, senza complimenti, parlò di colazione. Ah! sì... la colazione! Ci avrà pensato la cuoca! La cuoca invero ci aveva pensato: così il servo: ma la tavola era apparecchiata senza ordine, senza cura, senza fiori: ma la colazione non aveva nulla di accurato. Le colazioni richiedono un antipasto preparato con cert'eleganza: sardine, acciughe o gamberi in conserva, burro, fichi o cocomeri, secondo la stagione: pesci se si è vicini a qualche lago: frutta, vini di diverse qualità, dolci, piattini leggeri, ma ben ammanniti. Invece c'era una profusione di vitello tiglioso (tutto vitello), di salumi rancidi, di cacio asciutto: il pane era raffermo: il vino,preso dall'oste del villaggio, era pessimo. I genitori si sogguardarono. Il desinare fu il fac-simile della colezione. La giornata scorse lenta ed uggiosa: le signore non sapendo che dire nè come trattenere gli ospiti. Alle otto il padre dello sposo parlò d'andar a letto. - Ah! i letti! sicuro! esclamarono le due signore. Convien prepararli. Maria ci avrà pensato? No: Maria non ci aveva pensato: ignorava che gli ospiti pernottassero. Immusonita, andò a metter sossopra le guardarobe semi-vuote, perchè gran parte della biancheria restava per mesi nel cesto della roba da accomodare. Ci volle un'oretta prima che i forestieri potessero salire in stanza. Finalmente la cameriera venne a dire che era pronto e, scortati gli ospiti fino alla loro camera, se la battè, senza domandar altro. I due vecchierelli, rimasti soli, si diedero a esaminare quella camera con sospetto giustificato. Non c'erano zolfanelli; l'acqua era tepida; non c'era che un cuscino per ogni letto, viceversa un coltrone buono Ciò che insegna la mamma. - 9. pel gennaio, nessun libro, nessuna traccia di lumino, e la madre dello sposo ci era avvezza. Le lenzuola..... Dio giusto!... erano umide, anzi bagnate... C'era da pigliar un malanno. I poveretti fecero gran lavori per sostituire plaids e scialli al coltrone, s'affidarono al destino e dopo una notte bianca, benedicono i primi raggi del precoce sole d'estate. Verso le sei cominciarono a tender l'orecchio, sperando che qualcuno si moverebbe, che capiterebbe il caffè.- Aspetta un'ora, aspetta due, eran le otto e mezza e non s'udiva ancora nessuno degli abitanti della villa a dar segno di vita. Si decisero ad aprire una finestra, poi la porta. I loro vestiti, le scarpe, erano sulla seggiola dove li avevano provvidamente preparati; ma ancor sudici, polverosi. Si rassegnarono ad infilarli tali e quali, e andarono alla scoperta. Tutto buio, silenzioso. Cucina senza fuoco, servitù e padroni addormentati: il padre picchiò all'uscio del figlio e svegliatolo: - Da' retta, disse con flemma. Ti rammenti una novella francese detta l' homme qui fait le ménage, in cui ad un povero diavolaccio che vuol far da sè il bucato, il burro e la minestra ne capitano d'ogni colore? Se ti senti la vocazione di faire le ménage, sposa codesta signorina: noi si torna all'ombra del duomo ed in casa tua per ospiti non ci si capiterà! E partirono con un pretesto, ed il matrimonio andò in fumo, e la signorina sospira ancora oggi davanti alle due tortorelle avvinte da un laccio di rose. Ho già detto che in villa i rapporti si stabiliscono più facilmente. Così è lecito ai vicini appiccare discorso se s'incontrano: così inquilini della stessa villa ponno entrare in relazioni senza l'intervento di terzo o lo scambio di biglietti di visita. È lecito del pari, per chi ha ospiti, condurli seco alla sera dalle persone dove sono soliti di radunarsi ed alle gite che si fanno insieme, e ciò senza preavviso e presentandoli al momento. Perfino chi si recasse a pranzo da amici ed avesse ospiti potrebbe condurli seco. Le signorine non escono sole in villa: ma ponno permettersi un breve tratto di strada da una casa all'altra, ed una visitina senza chaperon alle amiche. Per le gite invece ci vorrebbe sempre almeno un babbo od una signora maritata.

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Siamo tutti più o meno maniaci, cioè decisi a mostrarci in una certa luce, ad ostentare delle qualità e dei difetti che non abbiamo, a rivelar una certa superiorità che gli uni fanno consistere nella bellezza, altri nel denaro, altri ancora nel lusso, nello spirito, nella salute, e perfino, che so io? non ridete! nella malattia. Per esser aggradevoli a chi si trova con noi, dobbiamo parlar poco o punto di noi stessi, molto di lui e delle cose che gli piacciono. Ho letto non so dove, credo in un libro di madama di Genlis, che per rendersi graditi, bisogna sempre parlar all'interlocutore della sua professione, al medico di malati, all'architetto di case, ecc., ecc. Secondo me, questa norma va modificata. Vi sono delle professioni che danno diletto e che soddisfano; vi sono di quelle che stancano e da cui si desidera sollevare lo spirito: così quella del medico, dell'avvocato, del professore; oltrecchè l'interrogarli troppo, sembra che parta dall'intenzione di prender un consulto od una lezione gratis, e ricorda quel tale che parlando sempre al bagno, in mezzo alle ondate, della sua causa - seguendo il proprio avvocato a nuoto come un pesce cane - si vide ad arrivare nella specifica la lista dei consulti in mare. Invece, trattandosi di artisti, antanti, letterati, scrittori, anche di architetti, credo che possa esser per loro un piacere conversare della loro arte - poichè la professione spesso è scelta per necessità; l'arte quasi sempre è scelta per preferenza. Naturalmente la conversazione fra diversi indirizzi, secondo l'occasione ed il luogo. Nelle visite d'etichetta, per esempio, la conversazione sarà diretta dalla padrona di casa, perchè non si sminuzzi in tanti colloquii a mezza voce. A torto la signora Emmelina Raymond, rispondendo ad un'inesperta che le chiedeva di che cosa si dovesse parlare, la mise in burla col dire che non si poteva dar dello spirito e del tatto a chi non ne aveva; credo che una guida si possa fornire alla padrona di casa col consigliarle ad introdurre uno dopo l'altro gli argomenti così detti di attualità, le notizie del giorno, le novità letterarie, artistiche, a far insomma una specie di corriere a voce dando così occasione a tutti di dire il loro parere e di collocare la loro frase. Ciò che va escluso è la politica, soggetto estraneo alle signore, per cui le quistioni sociali non devono assumere che un carattere filantropico, soggetto spinoso che può dar luogo ad osservazioni agro-dolci ed a rancori. Quel corriere poi sarà interrotto mano mano dai saluti ai nuovi arrivati, dalle domande sulla loro famiglia Mi si osserverà che si faranno delle ripetizioni: poco male, stante che le visite, succedendosi rapidamente, non si potrà ripeter più di due volte la stessa cosa, e sarà sempre meno peggio udir a parlare di un libro o di un'opera che ascoltar la ripetizione di una storia di reumatismi o di servitù. Così si eviteranno pel pari le personalità; vulgo, maldicenze. Non è di buon genere parlar delle toelette delle visitatrici, lodando l'una, tacendo dell'altra, il che implica, che è o vien trovata brutta - così pure non si deve vantare lo sfarzo d'un altro salotto, poichè se quello in cui si è al momento non è elegante, la padrona di casa trova in quelle lodi un raffronto che l'umilia; se è elegante, è offesa che si sembri non accorgersene. Se la padrona di casa richiama la vostra attenzione sul suo salotto, dovete invece lodarlo. Se vi sono ragazze, bisogna evitar ogni argomento scabroso, ogni aneddoto di cronaca galante. Come non si osservano i vestiti, così non si osserverà la cera della persona che si visita, o delle altre signore. Qui bisogna notare una differenza: è doveroso chieder conto ad ognuno della sua salute, ma disdicevole esclamare: Oh! come siete pallida! come siete gialla! Che avete? Queste osservazioni fanno doppio danno, e perchè ledono la vanità, e perchè in certi timorosi suscitan la paura d'aver un male segreto e pericoloso. Si eviterà anche ogni discorso che paia allusivo, ogni proverbio di quelli volgari che possa riferirsi a qualcuno dei presenti, ogni espressione triviale. Non si parlerà di fallimenti, di fughe, di suicidi, se si ha vicino chi abbia avuto in famiglia delle disgrazie consimili; non si dirà: usuraio come un ebreo, ladro come un greco, bestemmiatore come un livornese, ecc., ecc. Si dirà israelita e non ebreo o giudeo; si dirà tedesco e non, per celia volgare, patatucco; si dirà mia moglie, mio marito o il cognome del marito; mai il nome, con gente non intima, nè la professione. Il mio avvocato, il mio Paolo, il signor Tizio, il mio sposo, sono altrettanti termini vieti. Così pure si dirà: le mie figlie, non le mie signorine; la mia cuoca, cameriera, e non la mia donna. ln francese chi dicesse: mon époux, mon épouse, ma demoiselle, si farebbe burlare; si dice: ma femme, mon mari, ma fille, quel marito fosse duca e quella figlia principessa. Non si deve nè alzar troppo la voce, nè abituarsi, per affettazione, a parlar tanto piano da far fare la figura di sordi a tutti gli interlocutori; meno di tutto poi sarà lecito in compagnia chinarsi all'orecchio del vicino e susurrargli delle osservazioni. Se qualcuno pronunzia una parola sbagliata, o fa uno sfarfallone, non bisogna correggerlo, e ripetendo la parola giusta, non si deve metterci affettazione. In visita od a veglia non si debbono sgridare i ragazzi degli altri, il che potrebbe dar luogo a scene spiacevoli, e, seppur è lecito, a volte, far loro qualche osservazioncella, non bisogna valersi molto di questo diritto. È certo mai vezzo il vantarsi e molti I'hanno; molti a udirli, non sanno che cosa sia mal di capo e si creano un vanto della loro pretesa salute; altri danno a credere di aver il monopolio della buona ventura; il loro appartamento è comodissimo (benchè non paia); la loro servitù zelantissima; la loro sarta un Worth in gonnella e discreta; prezzi ridicoli, e così via. Ebbene convien ascoltarli con flemma; non cercar di metterli in contraddizione con se stessi. Sono un po' vanitosi, un po' presuntuosi, pazienza! Ma il rilevare quei difetti ve li renderebbe nemici, e, seppur moralmente giusto, sarebbe da condannarsi, se si tien conto della speciale indulgenza che ci vuole in società. Non si parli mai di anni; è un capitolo ingrato. Non si dica ad una signora come complimento: Oh! Ella si conserva bene... Si evitino i racconti lunghi ed imbrogliati e le troppe freddure. Coloro che si trasformano in sfingi ed hanno sempre un rebus, una sciarada, un enimma da proporre, finiscono con lo stuccare tutti quanti. Il ripetere poi tre, quattro volte gli stessi frizzi, esigendo sempre un tributo d'ilarità, è cosa insopportabile. Non si facciano mai apprezzamenti e domande alla leggera, cioè non si dica ad uno sconosciuto: Oh! come è brutta quella signora! per non sentirsi a rispondere freddamente: È mia moglie! Non si domandi con garbato sorrisetto ad un signore attempato se quella bella signora è sua figlia, poichè, se fosse sua moglie, gli si sarebbe fatto un brutto complimento. I complimenti stessi sono difficili e spesso si risolvono in un equivoco per cui si dice il contrario di quel che si intendeva dire, e si fa ridere tutti; è meglio quindi limitarsi alla cortesia pura e semplice. Bruttissimo poi è il tono di continuo motteggio con cui taluni si rendono invisi credendo far prova di spirito; perfino quando si ascolta un racconto poco verosimile, è di buon gusto non rilevarne l'assurdità, non erigersi a correttori, non rispondere con una satira, fosse anche legittima. Non è che nel caso in cui si sia stati offesi, che invece di dar in escandescenze, è veramente prova di educazione il replicare con un motto un po' pungente, ma proferito con la massima calma e garbatezza, perchè l'arrabbiarsi, se è molto naturale e talvolta giusto, viceversa non è mai compatibile col galateo: rende ridicoli e ci fa dar torto anche quando abbiamo ragione. E ciò è naturale; i convegni di società si fanno allo scopo di passar aggradevolmente il tempo; chi disturba, è condannato se anche avesse ragione, perchè manca allo scopo dell'adunanza. I giovani non devono mai assumere tuono cattedratico nè parlar alla leggera; i vecchi fanno bene ad astenersi Galateo della Borghesia. - 5. dai consigli e dalla critica continua e generale. I ragazzi non devono interrompere nè se i genitori raccontano alcunchè, venir fuori con una versione diversa, che mette tutti nell'impaccio. I... Ma credo che mi convien smettere, altrimenti arriverei alle cento pagine a furia di non si deve...

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