Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Contessa Lara (Evelina Cattermole)

219980
Storie d'amore e di dolore 1 occorrenze
  • 1893
  • Casa editrice Galli
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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- — Ma, benedetta figliuola, — ribatteva Giulio Sermanni — non capisci che abbiamo finito proprio in questo momento e che un boccone di più ci rovinerebbe? - - Malanno in forma di demonio tentatore! — le schiccherò Montazzi, lanciandole, con un bacio, una pallottolina di pane tra' merletti del seno. — Non dubitate, vi raggiungiamo più tardi; in tanto, divertitevi, e lasciateci prendere in pace, senza strilli, senza urtoni, questa povera tazza di caffè...- - C'è anche Mimì d'Oro? — chiese Bertino Fragni accendendo un avana. - E allora, addio — ripetè in fretta, come per concludere, la giovane donna. Così dicendo, infilò di nuovo la mano inguantata nel braccio del suo accompagnatore, un ufficiale, ed aprì, per andarsene, la porta del gabinetto riservato, in cui cenavano bonariamente que' tre amici maschi, desiderosi di star tranquilli. Nel gabinetto a canto era già cominciato un baccano di voci e di risa da frastornare una caserma: baccano caratteristico che rivelava subito di quali mondani e semimondane si componesse la comitiva colà raccolta. Giulio Sermanni seguì con gli occhi l'onda di damasco e di trine che spariva dietro l'uscio; ne ascoltò un istante il fruscìo su 'l tappeto del corridoio; poi, appoggiati i gomiti su la tavola, in atto confidenziale, scrollò leggermente il capo. - Povera Matilde! — susurrò quasi a sè stesso. E voltandosi a' suoi commensali: - Chi direbbe, vedendola adesso — soggiunse — che quella stessa Matilde io l'ho conosciuta tale da far invidia alle mie sorelle e alle vostre, tanto era una cara e santa ragazza? — Bertino inarcò le ciglia ed allungò le labbra con una smorfia buffa imitata da un attore di operette, e Montazzi si lasciò sfuggire un: — Ah, da vero? — pieno d'educata incredulità. Ma Giulio Sermanni, con la sua tradizionale poesia, quando aveva fatto tanto d'entrar nel campo del sentimento, non lo abbandonava a quel modo senza un po' di sfogo, e specialmente dopo aver sorbito qualche bicchierino di più. — Sì, da vero. Matilde dieci anni fa era magra, bruna, palliduccia. Abitava in una stamberga attigua alla mia, nelle soffitte d'un vecchio palazzo a Porta Genova, e a traverso l'assito che ci separava ella poteva, osservando dalla mia parte, godersi lo spettacolo d'una confusione di tele, di cartoni, di gessi, in mezzo ai quali io badavo a tirar giù alla brava pennellate e freghi di matita. Ma aveva altro da pensare, poverina! In vece, per conto mio, quando udivo il suo passo svelto su' mattoni o la sua fresca vocetta che rispondeva al brontolìo della madre, non mi facevo per nulla scrupolo di curiosare dalle commettiture del legno nella camera della mia vicina. Questo accadeva sempre di mattina presto, o di sera. Nelle altre ore del giorno, silenzio perfetto: meno lo strascicar lento delle ciabatte della vecchia e la sua tosse ostinata. La ragazza, ch'era giornante da una sarta, s'alzava nel cuor dell'inverno verso le sei. Acceso un lumicino che spandeva su l'oscure pareti un barlume fioco fioco da stanza mortuaria, indossava un vestito a quadrelli che nella notte le aveva servito da coperta, e, ancor tutt' assonnata, si scioglieva le trecce guardandosi in un pezzo di specchio rotto che s' appoggiava su le ginocchia. Aveva de' capelloni lunghi, folti, bellissimi, ma che una volta acconciati non facevano più nessuna figura, perchè se li spartiva lisci lisci a sommo del capo, e se li fermava di dietro, come stretti da una morsa, con un brutto pettinaccio sdentato. Terminata quest'acconciatura, ella si metteva a spazzar la camera, a spolverare i tre o quattro mobili tarlati che c'eran dentro, ma pian pianino perchè non si destasse la madre, che russava ancora, raggomitolata in una specie di canile; poi, aperta la cassetta Contessa Lara. 9 del tavolino, prendeva da un foglio mezzo lacero un cucchiaio di caffè di ghiande, e lo metteva a bollire sopra un veggio. Questo modo di riscaldarsi lo stomaco era l'unico lusso di Matilde, allora! — Montazzi inghiottì quattro o cinque sorsi di chartreuse tutti di seguito, astrattamente, e Bertino Fragni s'accostò più che mai alla tavola. II pittore riprese: — Dopo queste faccende, la ragazza trottava lesta lesta verso il suo magazzino e fino a un'ora di notte era tutta una tirata di lavoro. Spesso, al suo ritorno, c'incontravamo per le scale. Io scendeva per recarmi in Galleria, al Gnocchi, dove s'era formata una combriccola di glorie in erba cui davamo il nome pomposo di cenacolo. C'era un po' di tutto: pittori, scultori, musicisti, uomini politici, e non mancava nè anche qualche poeta di genere pornografico; però una razzamaglia di buon umore e con un certo bagaglio di talentaccio, più che altro poi di sfacciataggine. On ne doutait de rien! Bisognava sentir che teorie strampalate, che sublimi paradossi difesi a forza di pugni su' tavolini!... Basta, so che adesso darei molte opere mie che il pubblico loda e paga, per l'entusiasmo pazzo d'una di quelle ore giovenili. Matilde, lei, povera piccina, saliva al nostro quinto piano intirizzita dal freddo, e ravvolta in uno scialletto a maglia che a pena le copriva le braccia; ma era un amore con quel visino livido sotto la paglia d'un cappello scolorito e sbertucciato da chi sa quanti acquazzoni, con quelle dita che facevan capolino in cima ai guanti, tutte rosse per le punture dell'ago e pe' geloni; era un amore tutta impacciata a dissimular sotto le gonnelle troppo corte i tronchi di certi stivaletti larghi e sformati dove il pieduccio le ballava; sicchè ci avevo preso gusto a fermarla. - Buona sera, come sta? Ha fatto tardi, eh? O non ha paura a girar sola a quest'ora? — Quasi sempre le stesse domande e sempre le stesse risposte: - Grazie, sì, stava bene. No, paura no, perchè sceglieva le strade con molti lampioni. Nel carnevale, si sa, c'era il lavoro a monti in magazzino, e non si poteva finir prima. Ma non era mica stanca! Quando si fatica si dorme meglio, nevvero? Buona notte, grazie. - - Buona notte! — E, sorridendo, correva su tutta contenta di appendere a un arpione lo scialletto a maglia e il cappello di paglia, e di mangiar finalmente quel po' di minestra su l'acqua che la mamma avea preparata. Qualche sera, quando la porta di Matilde s'era gia richiusa, io rientravo dietro a lei zitto e cheto nella mia stanza, e mi godevo un quadretto da innamorare un pennello fiammingo. Al lume d'un mozzicone di candela di sego infilato nel collo d'una bottiglia posta in mezzo alla tavola, cenavano le due donne: la vecchia, faccia caratteristica della popolana dalle fattezze ruvide, accentuate, con una pezzuola di cotone a fiorami gialli in testa, legata sotto il mento, e una a fiorami rossi incrociata su 'l seno, piegava il naso fin quasi al piatto, biasciando lentamente i bocconi; la giovanetta, con una cornice di capelli bruni su la fronte, due begli occhi d'un grigio d'acciaio brunito, allargati dalle ciglia lunghe, col profilo regolare, si coloriva e pareva rianimarsi al caldo della zuppa fumante. In un angolo della stanza brillava la nota rossa di qualche tizzo acceso dentro un fornello di terra; a una parete era un'asse con sopra un boccale e de' piatti sbocconcellati ma lucidi, puliti; più là il letto, con a capo un gran ramo d'ulivo ombreggiante una Madonna di carta colorata e un quadretto nero con una medaglia al valor militare: memoria del padre morto in guerra: una reliquia. Matilde, mangiando, raccontava il gran da fare che c'era in magazzino. Madama era diventata più stucca, più rigorosa che mai. E certe volte si metteva a descriver minutamente un abito che avea finito in giornata; era d'una signora forestiera, chi diceva una marchesa, chi una mantenuta, non si sapeva. — Eh!... Bisogna esser di quelle per aver fortuna! — filosofava tra un sospiro e l'altro la madre, scrollando la faccia ossuta. La ragazza terminava a dire: — Bisogna veder che vestito!... — E l'idea di quei monti di stoffe dalle morbidezze di velluto, da' riflessi di raso, di quell'onde di tralci e di merletti in cascate d'argento, era il contrasto più forte, l'antitesi più potente che si potesse opporre a quell'interno miserabile. Un giorno, il proprietario del nostro palazzo fece sloggiar le mie vicine co' loro quattro stracci, per un'unica, ma valida ragione: non avevano pagato l'affitto. Questo io lo seppi qualche giorno dopo dalla portinaia, che mi raccontò per filo e per segno tutti i fastidi sofferti da quel galantuomo del padrone per dare lo sfratto alle due donne. La ragazza, quando caricavan la roba sur un carretto a mano, stava lì ferma al portone con gli occhi rossi, più muta e più sbiancata d'una statua.... Ma, Dio mio, certe cose si sanno senza imparar l'abbaco! O che forse credevan di stare in casa gratis? Quanto a mance, non c'era pericolo che cascasse mai un soldo; po' poi la Matilde doveva guadagnar bene in quel gran magazzino... E la degna portinaia concludeva con una strizzatina d'occhi: — Quando si è giovani si trova sempre da far bene. - - Dove mai sarà andata a finire la povera Matilde? — mi domandavo io con un certo senso di tristezza. Passò più d'un anno senza che rivedessi la sartina. Non la cercai, è vero, perchè non c'era nulla di comune tra di noi; ma di tanto in tanto quella sua figura patita ed ingenua mi tornava nella memoria; massime poi da quando nella sua camera era venuta a star una famiglia d'operai carica di bambini che vociavano e piagnucolavano in tutte l'ore del giorno e della notte; a segno che una bella volta dovetti prender io pure le mie carabattole e andare ad alloggiare altrove. Ora, sentite. Una sera, al Gnocchi, mentre me ne stavo secondo il solito in mezzo al così detto cenacolo, viene una coppia, maschio e femmina, a sedersi al tavolino dirimpetto. Il maschio mostrava una cinquantina d'anni. Alto, con la barbetta ancora biondiccia tagliata corta e un po' calvo, con modi riservati, magari freddi, aveva in tutta la persona un'eleganza esotica, da gentiluomo russo o svedese. M'era ignoto. La femmina, in vece, mi ricordava un viso da me conosciuto, ma non mi sovvenivo nè dove nè quando. Bruna, snella, con due lunghe trecce penzoloni su le spalle, indossava un vestito d'ultima moda fatto di seta e di velluto color lontra: un vestito da signora autentica. Ma in pari tempo erano in lei delle stonature da non isfuggir a un occhio pratico di donne: per esempio, un cappello con delle penne rosee troppo vistose, e brillanti agli orecchi, al collo, ai polsi; sopra tutto poi una larga striscia nera giro giro agli occhi. Che volete? Sarò retrogrado, ma per me, lasciando da parte le voluttuose usanze orientali, ho un'idea fissa: le donne oneste non si tingono. Poi questa donna rideva, rideva da bimba sguaiata, e mangiava per due. Guardandola bene ravvisai la Matilde. Passarono circa altri quattro anni e la rividi quando proprio non mi ricordavo più che fosse al mondo, un inverno, di carnovale, ai veglioni della Scala. Ella tornava allora da Vienna o da Parigi dov'era andata a scuola; portava una parrucchina fulva come il granturco e s'era ingrassata a furia di mangiar dolci e di girare in carrozza. Aveva una stupenda pariglia di sauri e degli abiti di trine vere. — Bisogna esser di quelle per aver fortuna! — aveva filosofato sua madre. Un amico comune mi presentò alla nuova stella, una sera, al Manzoni. Per me pure, in tanto, era girata la ruota. Le mie tele cominciavano a vendersi bene; nel mio studio era già una profusione alla Makart di ninnoli eleganti e d'oggetti d'arte, e più d'una volta Matilde mi ha fatto volentieri da modella per raffigurare qualche baccante. Entrava da me con un incantevole sorriso com'è entrata or ora qui; toccava tutto, curiosava dovunque, poi sedendosi a canto a me mentre lavoravo, si metteva a narrarmi — chi sa perchè - le sue tante avventure amorose, con la franchezza, con l'abbandono d'una folle compagna d'infanzia. - Ma un amore non l'ho mai avuto, sai! — mi disse una volta facendosi triste d'un tratto; poi scrollò le spalle e soggiunse: - Chi sa se l'amore esiste! — Cosa strana! Matilde non ha mai voluto convenire d'esser lei la mia piccola vicina della soffitta a Porta Genova. Quando io, talvolta, gliene ho parlato, massime ne' tempi a dietro, insistendo su' particolari delle nostre prime relazioni e facendogliene vedere il lato gentile, ella protestava energicamente ch'io non l'avevo mai conosciuta, e al fine indispettita, nervosa, mi piantava lì senza salutarmi. Sostiene d'esser nata a Torino e di non saper nulla de' propri genitori. Un giorno, mi ricordo che a questo proposito fui crudele con lei; guardandola fisso fisso le chiesi a bruciapelo: — O della medaglia al valore ch'era a capo del tuo letto, che cosa n'hai fatto? — Ella impallidì, e mi rispose soltanto con una occhiata: un'occhiata che non dimenticherò più. Fu la sua sola vendetta, povera Matilde! - Il fragore delle voci e delle risa misto a un tintinnio di posate e di cristalli cresceva nel gabinetto a costo, simile alla marea. Sermanni ascoltava astrattamente; non parlava più. - Andiamo! — disse Bertino Fragni,voltandosi agli amici. Montazzi si versò dell'altro liquore. - Eh, che volete farci? Questa è la vita — dichiarò come per rispondere al baccano della vicina comitiva e al silenzio improvviso del narratore; quindi soggiunse a mo' di morale: - Matilde, però, nel suo genere, è una buona diavola. - - Dieci anni fa era un angiolo — pensava Giulio Sermanni. - Andiamo, andiamo! — ripetè Bertino — lo sapete che di là ci aspettano. Accesero degli altri sigari; s'infilarono i soprabiti e uscirono. Ma il pittore si fermò di botto. - Scusatemi se non vengo con voi — disse a' due giovanotti maravigliati. — Ho da fare. Proprio vi giuro che non mi sarebbe possibile.... — I compagni protestarono forte. No, perdio! che non doveva lasciarli. Che c'era di nuovo? Qualche convegno amoroso, si capisce. Ma per quella volta la sua bella poteva aspettare!... E a troncare il battibecco, Bertino spalancò l'uscio della stanza dove avea luogo la cena ed annunziò il tradimento meditato dal Sermanni. Allora sì che fu un vocio da stordire; e Sermanni era già in fondo al corridoio quando una donna mezz'ubriaca, con gli occhi lustri, con le labbra ardenti, gli corse dietro incespicando nello strascico di damasco del proprio vestito, e tra risa sgangherate gridò: — Disertore! disertore! — buttandogli il suo bicchiere colmo di sciampagna.

D'Ambra, Lucio

220357
Il Re, le Torri, gli Alfieri 3 occorrenze
  • 1919
  • Fratelli Treves
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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A poco a poco abbiamo potuto distinguere le voci di quegli uomini in corsa che urlavano a squarciagola l'annunzio delle edizioni speciali dei giornali della sera e la notizia della dichiarazione ufficiale della guerra. Il massiccio battaglione dei giornalai fu letteralmente preso d'assalto. Dai marciapiedi, dalle vetture, dalle automobili, dai portoni delle case, persino dai mezzanini più bassi le copie ancora umide del giornali, con le ultime notizie stampate in grassetto sotto titoli a lettere di scatola, erano strappate di mano ai rivenditori, aperte febbrilmente e lette immediatamente in gruppi e in capannelli improvvisati nella pallida luce crepuscolare. Ma le limousines continuavano a palpitare del loro ànsito pesante segnando il passo nelle quattro file di vetture in salita e in discesa tulle cariche d'eleganti signore nei priori chiari e freschi abiti di primavera, l'immensa folla continuava a muoversi, ad andare e venire lentamente sui marciapiedi, più densamente ancora assiepata d'innanzi ai grandi caffè sfavillanti di luce. Solo un gruppo di giovani, passando sotto il balcone del Circolo del Bridge che era situato di rimpetto alle finestre d'un grande, giornale, Il Conservatore, gridò ripetutamente: «Viva il Re! Viva Fantasia! Viva l'esercito!». Applaudii anch'io dal balcone e potei osservare che eravamo, in verità, pochini a provare il bisogno di fare un po' di rumore. La folla lasciò cadere le grida di quei pochi giovani come le parole di un discorso che non ci riguarda e che ancor meno c'interessa. Il gruppo di quei giovanotti, ricordando la scena finale di Nanà, cominciò allora a gridare «A Zarzuelopoli! A Zarzuelopoli!» Il nuovo grido non ebbe maggior fortuna. Evidentemente ogni cittadino, più che da quella d'andare a Zarzuelopoli, ipotesi remota, era adesso preoccupato dalla necessità, tesi immediata, d'andare a casa sua, a pranzare, a vestirsi per il teatro, per le riunioni mondane o per la solita partita. Già infatti la grande strada si sfollava. Si facevan dei vuoti nelle barricate umane d'innanzi ai caffè. Carrozze e automobili voltavano a dritta o a sinistra per le vie traverse. Le voci dei giornalai che annunziavano lo scoppio delle ostilità tra il nostro paese e Zarzuelopoli erano ormai monotone come quando, ogni sera, annunziavano i grandi tumulti, che non c'erano stati, alla seduta del Congresso dei deputati. Ognuno pensava oramai esclusivamente ai fatti suoi. La terribile notizia divulgata mezz'ora prima non aveva fatto più impressione di quella della caduta d'un aviatore e dell'arrivo al traguardo d'un intrepido ciclista. E fu così che Effemeris, capitale del regno di Fantasia, apprese tra le cinque e le sei di sera del 7 maggio dell'anno di grazia 1912 la notizia della guerra scoppiata tra il regno di Fantasia e l'impero di Silistria. Se i popoli felici non hanno storia, la felicità dei popoli risiede probabilmente nel segreto di non preoccuparsi di nulla e di dirsi che, guerra e pace, pace e guerra, tutto al mondo è vanità. Ho pranzato al Circolo, poichè il pensiero che eravamo giunti a una delle grandi tappe della storia del mondo, se pur mi preoccupava, non mi toglieva di sacrificare, come ogni sera a quella stessa ora, ad una delle mie e delle altrui più inveterate abitudini. Pranzai alla mia solita tavola, senza i miei soliti compagni di dispepsia, perchè contemporaneamente alla proclamazione della guerra c'era quella sera la prima rappresentazione molto attesa d'un celebre corpo di ballo annamita che aveva fatto furore a Parigi durante l'ultimo inverno. Mi serviva, nella sala da pranzo deserta, il mio solito cameriere che sapeva ancor meglio di me tutt'i miei gusti e tutt'i miei disgusti. Mentre mi somininistrava il mio solito pranzo sommario e versava all'ostinato bevitore d'acqua che io sono una complicata serie di acque ininerali estere e nazionali, il mio fedele cameriere mi sembrava preoccupato e come impacciato a trovare il modo di rivolgermi la parola per una domanda che doveva stargli molto a cuore. Fui allora io stesso a domandargli che cosa lo preoccupasse, poichè lo vedevo così insolitamente turbato; ed egli mi domandò se veramente la guerra era ormai dichiarata o se c'era ancora la speranza d'un accomodamento e d'una intesa tra le cancellerie di Effemeris e di Zarzuelopoli. E quand'ebbe saputo da me che gli ultimi comunicati parlavano chiaro e che già un primo corpo d'armata sarebbe partito nella notte per la frontiera occidentale, il povero vecchio asciugò una lacrima con la manica della giubba e mi raccontò che due suoi figliuoli facevano il loro servizio militare negli usseri del Dragone d'oro ed erano appunto di guarnigione in una delle città di confine che con maggiore probabilità sarebbero state teatro delle imminenti operazioni militari. «Ma non importa, aggiunse poi sorridendo. Noi tutti dobbiamo al nostro paese quello che abbiamo di più sacro. Io gli offro i miei due figliuoli, sebbene al mondo non abbia che loro. Se la Provvidenza vorrà conservarmeli, Iddio sarà benedetto. Se vorrà togliermeli, morirò anch'io, ma col conforto di sapere i miei due figliuoli morti da eroi per il loro paese e per il loro re». Queste parole un poco enfatiche erano dette con un tale accento di semplicità e di sincerità che io, tuttavia non facile alla commozione o per lo meno difficilmente pronto ad abbandonarmici non seppi rispondere al vecchio cameriere se non con una voce un po' tremante per dire tutte le sciocchezze che si dicono in queste occasioni avendo ancora l'aria di credere che cento grosse parole possano menomamente cambiare il più piccolo fatto. Dissi molte parole inutili e gli strinsi lungamente la mano. Ma la mia stretta di mano non fu inutile; fece almeno piacere a me e dandola provai una profonda ed improvvisa simpatia per quel vecchio domestico sbarbato e canuto che vedevo da anni, cosi indifferente, ogni sera, in quella stessa sala, e che ora sacrificava con tanta semplicità i suoi due figliuoli alla fortuna del suo paese mentre i miei compagni abituali di pranzo al Circolo non avevano saputo rinunziare, per sapere e osservare quello che accadeva, neppure alle prime piroette del meraviglioso mimo polacco ch'era la great attraction del corpo di ballo annamita. Sono uscito sùbito dopo pranzo per tornarmene a casa mia. Mi sembrava che in una sera siffatta non avrei avuto desiderio di veder gente, nè di parlare. Ma fuori l'aria era tiepida, quasi già calda, e la calma profonda della notte serena invitava alla marcia. Passai d'innanzi alla redazione d'un altro grande giornale che dalle sue finestre, con trasparenti luminosi, comunicava alla popolazione di Effemeris le ultime notizie della serata: l'ordine di mobilitazione era stato immediatamente trasmesso alle truppe di terra e di mare; il generale Paolo de Gonzales, capo dello Stato Maggiore, aveva preso il comando supremo delle truppe; reggimenti stavano per partire da ogni città per andarsi ad ammassare al confine occidentale. Una certa folla stazionava d'innanzi a quegli schermi luminosi, come d'innanzi al quadro bianco d'un cinematografo-réclame. Sentivo attorno a me qualche voce domandare: «E il Re? Del Re non si hanno notizie? Il Re non si muove?». E proprio in quel punto lo schema luminoso comunicò alla folla, da una delle finestre, che «le condizioni di salute di Sua Maestà il Re erano invariate». Ci fu un mormorio, un brontolio, manifestazione di poca entità, esuberanza di pochi individui isolati. Il popolo di Fantasia — lo conosco bene oramai — e specialmente quello di Effemeris, giocondissima capitate, non perde mai l'equilibrio della sua serena indifferenza, nè per esaltare nè per condannare. Gioie e sventure lo lasciano egualmente tranquillo. È da gran popolo, non scomporsi mai. E il popolo di Fantasia è un grande popolo: almeno lo dice la storia. Era veramente strano che a Sua Maestà non avessi pensato fino allora e che dopo l'annunzio della guerra dichiarata ci volessero quei commenti della folla per richiamarmelo in mente. Era certo che Sua Maestà non avrebbe potuto marciare al fuoco alla testa dei suoi eserciti. I più forti generali possono sdrucciolare su una buccia d'arancio, ed era precisamente, ammessa la metafora, quello ch'era capitato quindici giorni prima a Sua Maestà. La sua buccia d'arancio, provvida ed improvvida insieme, era stata la ripiegatura d'un tappeto mal tirato in cui giorni prima. Sua Maestà aveva malauguratamente inciampato andando a ruzzolare su lo scalino d'un caminetto ch'era lì presso e che gli aveva spezzato, come un biscottino, il femore sinistro. Già da quindici giorni almeno Sua Maestà era in letto e doveva rimanerci ancora almeno un mese, supino, con la gamba ingessata, distesa ed immobile, e con un diavolo per capello. Non che il Re dovesse essere desolato di non poter capitanare i suoi eserciti durante quella guerra in cui egli non aveva mai creduto: aveva un capo di Stato Maggiore eccellente, e lui invece, il giovane Re Rolando secondo, non ostante il bel nome eroico e cavalleresco, non aveva mai amato troppo i disagi della vita militare. La rivista passata col canocchiale alle più belle donnine del corpo di ballo lo aveva interessato sempre più di quella passata alle sue truppe, a cavallo, sotto un sole torrido d'agosto o di settembre, alla fine di tre settimane infernali di grandi manovre che aveva dovuto pur troppo conoscere quando, principe ereditario, comandava, per modo di dire, almeno nei bollettini militari e nelle cerimonie ufficiali, il corpo d'armata di Pulquerrima. Ma Rolando secondo era però coraggioso ed orgoglioso. Doveva seccargli di non poter essere alla testa delle sue truppe magari a costo di farsi ammazzare, e doveva turbarlo profondamente il pensiero che qualche giornale avesse potuto fare allusione alla comodità di certe coincidenze e al vantaggio, a prima vista misconosciuto, di non avere in casa propria i tappeti ben tirati e qualche facile possibilità d'inciampare. È vero che a questa possibile malignità dei giornali repubblicani, ch'erano poco letti ma appunto per questo motto numerosi, avrebbero fieramente risposto i giornali socialisti che nel regno di Fantasia, come in tutt'i regni di questo mondo, passato il periodo delle prime bizze infantili e messo il dente del giudizio, erano ministerialissimi e quanto, mai riguardosi per la monarchia e per le istituzioni. E infine Rolando secondo doveva anche provare un certo rimorso di non potere andare alla guerra poichè la guerra avveniva per causa sua, e di non potersi cavallerescamente battere con tutto il suo paese per ciò per cui tutt'il suo paese si batteva: voglio dire, una donna! Per una donna, precisamente. Diretto a casa avevo preso non so più come la via diametralmente opposta a quella di casa mia. Andavo, andavo diritto innanzi a me, per le grandi vie sonore e vuote dei nuovi quartieri che avevano fatto passare improvvisamente, in tre anni, l'avventurata capitale da un terribile rincaro delle pigioni a una non meno terribile crisi edilizia; andavo diritto, fumando, e, poichè non v'è antinomia tra il fumo del tabacco e quello del cervello, fumando pensavo e ricordavo fumando. E, tra tanti pensieri e tanti ricordi, un verso mi ronzava nel cervello e su le labbra, un verso italiano di Vincenzo Monti, il primo verso di Vincenzo Monti, se non per ordine cronologico o di merito, certo per ordine numerico nella traduzione dell'Iliade. Anche un lettore del tutto illetterato avrà potuto sospettare che il verso che mi accompagnava lungo la via come un ritornello era appunto:

Poichè abbiamo veduto la impossìbilità assoluta in cui si trova Sua Maestà di riparare l'ingiuria subita, bisogna evitare prima di tutto che lo spiacevole fatto possa ripetersi e allontanare inoltre da Sua Maestà la persona del suo offensore. Per raggiungere questo scopo una via ci deve essere. — Si tratta di trovarla, — spiegò il ministro delle Comunicazioni che fino allora non aveva aperto bocca. — Semplicemente! — annuì il dotto filologo — Pensiamo! Pensiamo! — opinarono contemporaneamente, con fiero cipiglio, i due ministri militari che, come si conviene in un paese libero alle più moderne riforme, erano la condanna vivente della superstizione delle competenze ed erano ambedue borghesi: ex-agente di cambio il ministro della Marina e ex-professore di filosofia nei licei regi il ministro della Guerra, entrato nella vita politica grazie ad una fervida propaganda antimilitarista che gli aveva fatto perdere il posto d'insegnante e guadagnare quello di ministro della Guerra. Poichè era evidente che se nell'esercito tutto era da riformare, il ministro meglio indicato per le riforme era l'apostolo antimilitarista che del militarismo aveva istruito minuziosamente il processo. Invitati a pensare dai loro due colleghi per cosi dire militari, i ministri si raccolsero in meditazione. E quando un ministro si mette a pensare e a meditare, non si sa mai quando lo scherzo potrà finire: lo sanno i deputati che proponendo al Governo un'utile riforma si senton rispondere che il ministro sta studiando su quella materia un disegno di legge. La cerimonia durava già da una diecina di minuti e già due ministri dei più attempati, esausti da quella levataccia cosi di buon'ora, cominciavano a russare, quando un gran colpo destò i dormienti e i cogitabondi. Era il presidente del Consiglio che con un gran colpo sul tavolino annunziava la nascita impreveduta ed improvvisa d'una grande idea. — Ho trovato! — gridò. Fu evidentemente una grande consolazione per tutti quelli altri poveri diavoli che si affaticavano a cercare, a costo d'una meningite per un eccessivo esercizio cerebrate cui non erano naturalmente abituati. L'opinione di tutti fu sintetizzata dal solito filologo con uno dei suoi soliti avverbii: — Fortunatamente! — Ho trovato! — ripetè il presidente del Consiglio che prima di persuadere gli altri provava il bisogno di persuadere addirittura sè stesso d'aver potuto trovare qualche cosa. E col gesto indicava il ministro degli Esteri, dignitoso e pettoruto, dalla bocca ermeticamente chiusa come se aprendola potessero scapparne fuori i segreti di tutte le cancellerie europee. Il ministro degli Esteri, atterrito all'idea che il presidente del Consiglio non avesse trovato di meglio che far risolvere il problema da lui, si grattò le onorate e brizzolate basette e il labbro glabro e con un fil di voce domandò: — Io? — Si, proprio lei. Il viso del povero ministro degli Esteri si disfece. Ma fortunatamente il presidente già spiegava: — Non è il duca don Alvaro di Frondosa ministro plenipotenziario a disposizione del Ministero? — Per l'appunto. — Ebbene, bisogna sùbito richiamarlo in servizio. Cosi tutto è accomodato. È semplicissimo. Mi sono spiegato? — Chiaramente. Era l'inevitabile filologo. Ma il ministro degli Esteri, che, rinsanguato, cominciava a riprendere i suoi colori, rispondeva: — Richiamarlo in servizio è presto detto. Ma comunicherò ai miei colleghi, poichè ho l'onore d'esser ministro degli Esteri da diversi anni, che egli fu messo a disposizione appunto sotto la mia amministrazione. Il duca di Frondosa sarebbe un diplomatico di primissimo ordine: gran nome, grande fortuna, riceve moltissimo, ha bellissimi cavalli, è elegantissimo, ha una bellissima signora.... e, per un diplomatico, le grazie della sua metà fanno valere il doppio il suo talento. Ma il duca di Frondosa è un uomo di carattere fermo e risoluto. È sembrato spesso impetuoso e impulsivo perchè era coerente. Ma loro tutti m'insegnano che in politica estera le due cose si confondono e che la coerenza di un diplomatico non e meno pericolosa della sua impulsività per il paese che egli rappresenta. — Perfettamente! — commentò il filologo che di avverbi ne consumava molti ma, per quanto filologo, ne aveva pochi, ed era perciò costretto a ricorrere sovente agli stessi, aggravando anche pia la monotonia delle sue interruzioni concise: — Già tre volte, lor signori lo sanno, — riprese il ministro degli Esteri, — già tre volte il duca di Frondosa ci mise in gravissimi imbarazzi, a Lisbona, a Pietroburgo, a Madrid. Anzi, l'ultima volta, la sua coerenza fu addirittura sul punto di far scoppiare la guerra; e fu proprio dopo questo gravissimo incidente che, per una prudenza elementare, decidemmo di rinunziare ai suoi servizi, di richiamarlo e di tenerlo, vita natural durante, indisponibilmente a disposizione del Ministero. Il presidente del Consiglio era uomo di poche parole, e, una volta che s'era deciso a una cosa, nulla più poteva rimuoverlo. Talchè alla bella orazione del suo collega degli Esteri egli rispose semplicemente: — Tutto ciò sta bene. Ma guardiamoci anche noi dai pericoli della coerenza. Sarebbe ingenuo, e però eminentemente antipolitico, non riparare a un danno certo per paura d'un danno ipotetico. Ora conviene richiamarlo in servizio e dargli un'ambasciata. Non c'è altra via per uscire da quest'impiccio. La volontà di Sua Maestà è esplicita su questo punto: per dire le cose col loro vero nome permettetemi di affermare che Sua Maestà non se lo vuole, insomnia, trovare più tra i piedi. Il ministro degli Esteri si strinse nelle spalle. Gli altri si strinsero attorno all'opinione del presidente del Consiglio; desiderosi oramai d'andare a far colazione e stanchi d'una discussione che li aveva letteralmente esauriti. — Dunque, — domandò il presidente, — si può sapere quale ambasciata è disponibile? — Non c'è che Zarzuelopoli. - Ahi, ahi! — esclamò don Pedro de Aldana grattandosi la fronte come già vi fossero insediati tutti i grattacapi futuri. — E se lo mandassimo invece a Londra? O a Vienna? O a Parigi? O a Pietroburgo? O a Washington? Riprese la parola il ministro degli Esteri. Per varie ragioni nessuno degli ambasciatori che occupavano quelle residenze poteva essere mosso. Uno era un antico ministro degli Esteri cui era stata promessa. Parigi a vita, un altro era graditissimo al sovrano della nazione presso la quale era accreditato, un terzo aveva sposato una signora imparentata a Corte nell'impero presso il quale rappresentava il regno di Fantasia, un quarto era coperto di debiti e solo l'immunità diplomatica poteva salvarlo da un fallimento sicuro. Non c'era dunque che Zarzuelopoli, dove il vecchio ambasciatore aveva chiesto il collocamento a riposo. A posti minori non c'era da pensare: il duca di Frondosa era ministro plenipotenziario di prima classe e li avrebbe certamente rifiutati. — Non c'è dunque che Zarzuelopoli: — Disogna pensarci su due volte, — ammonì il ministro degli Esteri. — Ci abbiamo pensato anche troppo. E poi non c'è da scegliere. Non c'è che Zarzuelopoli. Vada per Zarzuelopoli. Tutti i ministri, meno tre, quello degli Esteri e i sedicenti militari, fecero eco alle energiche parole del loro presidente. — Vada dunque per Zarzuelopoli! — Irrevocabilmente! — credette necessario di aggiungere il dotto filologo. Il povero ministro degli Esteri sudava freddo. L'ambasciata più delicata, più gelosa, più pericolosa toccava a quel rompicollo d'uomo di carattere ch'era il duca di Frondosa. Il povero ministro, già prevedeva le più spaventevoli complicazioni. Se quel diavolo di Frondosa ne faceva una delle sue! Anche i due ministri militari erano preoccupati e cogitabondi. Il diavolo era capace di metterci la coda e di mandare alla guerra sul serio, in redingote e cappello a staio, proprio l'agente di cambio che aveva paura anche dell'acqua dolce e il bollente antimilitarista che aveva una crisi di nervi solo a sentir sparare inaspettatamente una castagnola. Ma la volontà del presidente del Consiglio era dispotica. Aveva già preso un foglio da decreti e già l'aveva passato al ministro degli Esteri perchè vi scrivesse immediatamente, di suo stesso pugno, il decreto di nomina del duca di Frondosa, decreto che doveva essere immediatamente sottoposto all'augusta firma del Sovrano. Guardavo il povero vecchio ministro mentre scriveva. Le mani gli tremavano. Paventava per la sua cara patria le più terribili vicissitudini. E, consegnando il decreto a don Pedro de Aldana, raccomandò ancora con un fil di voce: — Onorevoli colleghi, pensateci - ancora una volta. Ma già don Pedro de Aldana s'era levato, aveva suonato un campanello e a un giovane ufficiale di servizio aveva chiesto di pregare Sua Maestà di volere onorare il Consiglio dei ministri della sua augusta e necessaria presenza. Poi si rivolse verso di me e mi diede congedo. — Ella può, marchese, abbandonare il suo posto. Sua Maestà il Re viene ad occuparlo. Il Re infatti entrava poco dopo, ristorato da alcune ore di sonno tranquillo, fresco, sorridente, allegro, indossando il più delizioso abito da mattina che mai sarto elegantissimo abbia cucito per un giovane re. Strinse la mano a don Pedro, sorrise e inchinò il capo a tutti gli altri, salutò me con un leggero cenno di mano e sedette su la poltrona Impero che io occupavo poco prima. Dalla comoda poltrona di marocchino rosso dove ero tranquillamente tornato, benevolo spettatore, dopo aver anch'io recitato la mia breve parte in commedia, vidi il mio regale amico trarre dalla tasca posteriore del suo pantalone il portasigarette dorato da cui prese una sottile sigaretta bionda che accese ad un fiammifero offertogli con sussiego dal presidente del Consiglio. Immediatamente, dopo aver scambiato poche parole indifferenti coi ministri su la bella giornata che si annunziava dal cielo limpidamente sereno, prese la penna e incominciò a firmare con la sua grossa scrittura diritta il pacco di decreti che don Pedro aveva rispettosamente posto d'innanzi a lui. Quando, dopo altri venti decreti, gli capitò davanti quello che riguardava don Alvaro e che il primo ministro aveva delicatamente insinuato tra gli altri, Sua Maestà lo scorse rapidamente e lo firmò sera muovere ciglio, con un'ombra appena di sorriso che poteva sfuggire agli altri ma che non sfuggiva a me. Il Re si levò sùbito dopo, mentre i ministri lo imitavano. M'ero levato anch'io e il caso m'aveva posto vicino al ministro della Guerra antimilitarista, che s'era avvicinato al presidente del Consiglio. — Io non mi sono opposto, — disse il ministro della Guerra — non mi sono opposto alla nomina di don Alvaro di Frondosa a Zarzuelopoli perchè conosco il vostro senno e sono sicuro che voi avrete già pensato a chiedere al Congresso i crediti per le nuove spese militari. Non si fa la guerra senza un esercito forte. Con mio rammarico perdetti la risposta del presidente del Consiglio poichè proprio in quel punto, mentre i ministri raccoglievano le loro carte e i loro cappelli a staio, Sua Maestà mi chiamava e mi manifestava con due parole succinte il suo compiacimento nel vedere che la difficile situazione era stata delicatamente spianata. — La soluzione, infatti, è un po' delicata, — risposi ricordando le parole del ministro degli Esteri. Sua Maestà, che è molto intelligente, capì tutto in un batter d'occhi. — Capisco. C'è il pericolo d'una nuova Iliade in pieno secolo ventesimo. Vuol dire che in tal caso lei ne detterà il poema. Il mio regale amico alludeva alle mie lontane velleità letterarie. — Non potrei tutt'al più che scrivere in prosa, Maestà, — risposi sorridendo con umiltà di prosatore. — Scusi, — rispose il re che è sempre pieno di spirito, — quel decreto è scritto in prosa ma, francamente, vale un poema.... Osservai in quel punto, volgendomi, che tutti i ministri s'erano radunati verso la finestra da dove potevano scorgere, esposti alla luce, la regale guancia e lo storico segno di cravache. Ma tutto era scoparso sotto un po' di cipria rosea, poichè, come c'insegna il Vangelo, torna alla cipria ciò che dalla cipria è venuto.

Dovrebbe sapere che noi abbiamo sempre resistito. Ed è per questo che le signore per bene non ci possono vedere. Noi costringiamo anche loro a farsi pregare, ed è una cosa di cui sono, poverine, assolutamente incapaci. Non c'era più che fare e, inchinatomi, m'allontanavo portandomi via il pendentif del principe; ed ero già sulla porta, quando Manon mi raggiunse, mi prose per mano e mi trattenne: — Ma se metto alla porta, — mi disse col suo incantevole sorriso, — se metto alla porta il latore della sconvenientissima ambasceria di Sua Altezza, prego il mio cortese amico, poichè tutti sanno che ambasciatore non porta pena, di rimanere. Ed è con voi che o sarò felicissima di bere in casa mia la tazza di tè che il principe m'aveva offerto a palazzo. Saprà cosi proprio da voi che io bevo quando ho sete e che a nessuno deve essere lecito insegnarmi come io debba o non debba bere. Non ho bisogno di suggeritore. Vado benissimo a memoria. Venne il tè e bevemmo. Fu un tè squisito, offerto senza cerimonie, veramente col cuore in mano, se posso esprimermi così. Quand'andai via, ringraziandola, confuso per la sua inattesa ospitalità, Manon Manette vide tra le mie mani il gioiello del principe ch'ella mi aveva sdegnosamente restituito. Con un incantevole sorriso la graziosa attrice mi disse: — Ed è dalle vostre mani, intendiamoci bene, solo dalle vostre mani che riprendo questo gioiello, considerandolo come un dono prezioso della vostra personale amicizia e come un attestato della vostra improvvisa riconoscenza. E, ripreso il pendentif, se lo riannodò attorno al collo con un terzo incantevole sorriso. Poi, ricordando il mio infelice discorso di poco prima: — Così Sua Altezza, — disse, — fra i tanti alfieri compiacenti e le tante facili pedine del suo giuoco di scacchi ha trovato finalmente anche una torre. Ed è finita come doveva finire... — Cioè?... — Con scacco al Re!

Mitchell, Margaret

221985
Via col vento 41 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Dopo che abbiamo scacciato quei mascalzoni dal Forte Sumter? Pacifico? Il Sud mostrerà con le armi che non vuole essere insultato e che non si scinde dall'Unione per bontà di questa, ma per la propria forza! «Oh, Dio, ci siamo!» pensò Rossella. «Ora si rimane seduti qui fino a mezzanotte.» In un attimo la sonnolenza era scomparsa e qualche cosa di elettrico aveva attraversato l'aria. Gli uomini balzarono dai banchi e dalle sedie; furono braccia che si agitavano a larghi gesti e voci che proclamavano il diritto di farsi udire al di sopra delle altre. In tutta la mattina non si era parlato né di politica né di guerra perché il signor Wilkes aveva desiderato che non si annoiassero le signore. Ma ora Geraldo aveva urlato le parole «Forte Sumter» e tutti i presenti dimenticarono l'ammonimento dell'ospite. - Certo combatteremo... - Yankees ladri... - Ce ne sbarazzeremo in un mese... - Figuriamoci, un meridionale può tener testa a venti yankees... - Dargli una lezione che non dimenticheranno... - Pacifico? Ma sono loro che non ci lasciano in pace... - Avete visto come Mr. Lincoln ha insultato i nostri Commissari?... - Sí, li ha portati in giro per delle settimane, giurando che avrebbe fatto evacuare Forte Sumter!... - Vogliono la guerra: la avranno... - E sopra a tutte le voci, dominava quella di Geraldo. Tutto ciò che Rossella riusciva a udire era «Diritti di Stato, per Dio!» urlato sempre piú forte. Geraldo gongolava; ma non cosí sua figlia. Secessione... guerra... Da un pezzo queste parole erano diventate un vero incubo per Rossella; ma ora le odiava addirittura, perché il loro suono significava che ormai gli uomini sarebbero rimasti lí per delle ore a discutere; e lei non avrebbe avuto nessuna opportunità di trarre in disparte Ashley. Certamente la guerra non vi sarebbe, e gli uomini lo sapevano. Ma piaceva a loro di parlare e di ascoltarsi parlare. Carlo Hamilton non si era alzato con gli altri. Trovandosi relativamente solo con la ragazza, le si avvicinò e, con l'audacia nata dal nuovo amore, le sussurrò la sua confessione. - Miss O'Hara... io... ho già deciso che se faremo la guerra, dovrò andare nella Carolina del Sud e unirmi a quelle truppe. Si dice che il signor Wade Hampton stia organizzando uno squadrone di cavalleria e certamente io desidero andare con lui. È un grand'uomo ed era il migliore amico di mio padre. Rossella pensò: «E che cosa crede che io faccia adesso? Che gridi evviva?» L'espressione di Carlo mostrava che egli le stava rivelando i segreti del suo cuore; ma ella non seppe che cosa dirgli e si limitò a guardarlo, chiedendosi perché gli uomini sono tanto sciocchi da credere che le donne si interessano di queste storie! Egli credette che la sua espressione significasse muta approvazione e continuò rapidamente, audacemente: - Se andassi... vi dispiacerebbe, miss O'Hara? - Bagnerei di lagrime tutte le notti il mio guanciale - rispose Rossella facendo la disinvolta; ma Carlo prese le sue parole per moneta contante e arrossí di gioia. La mano di lei era nascosta fra le pieghe della sua veste; egli la cercò e la strinse, stupito della propria temerità e della condiscendenza di lei. - Pregherete per me? «Che idiota!» pensò amaramente Rossella, lanciando attorno uno sguardo furtivo, nella speranza che qualcuno venisse a salvarla da quella conversazione. - Sí o no? - Ma sí, certo, Mr. Hamilton! Almeno tre rosari per sera! Carlo si guardò attorno e irrigidí i muscoli del petto trattenendo il fiato. Erano praticamente soli; ed egli non avrebbe mai piú avuto una fortuna simile. E, anche se Domineddio gliel'avesse fatta avere, forse il coraggio gli sarebbe mancato. - Miss O'Hara... debbo dirvi una cosa... Vi... vi amo! - Hm? - fece Rossella distratta, cercando di vedere, attraverso la folla di uomini che ragionavano, se Ashley era ancora seduto ai piedi di Melania. - Sí - bisbigliò Carlo, in estasi perché ella non aveva riso, né era svenuta né aveva emesso un grido, come egli aveva sempre immaginato che ogni fanciulla dovesse fare in simili circostanze. - Vi amo! Siete la piú... la piú... - e per la prima volta in vita sua le parole non gli mancarono... la piú bella fanciulla che io abbia mai conosciuta, e la piú cara e la piú buona e la piú gentile; ed io vi amo con tutto il cuore. Non posso sperare che voi amiate uno come me, ma se voi, cara, vorrete darmi il piú piccolo incoraggiamento, io farò tutto al mondo per farmi amare da voi. Voglio... Si interruppe perché non riuscí a pensar nulla di abbastanza difficile per convincere Rossella della profondità dei propri sentimenti; quindi disse semplicemente: - Desidero sposarvi. Rossella tornò alla realtà con un sussulto, al suono della parola «sposarvi». Stava pensando al matrimonio e ad Ashley, e guardò Carlo con malcelata irritazione. Perché quel cretino col viso di vitello veniva ad annoiarla coi suoi sentimenti proprio in quel giorno in cui lei era cosí preoccupata che le sembrava di perdere il cervello? Guardò gli occhi bruni supplichevoli e non comprese affatto la bellezza del primo amore di un ragazzo timido, dell'adorazione di un ideale divenuto realtà, della felicità e della tenerezza che mettevano in quegli occhi una fiamma. Rossella era abituata agli uomini che le chiedevano di sposarla, uomini piú attraenti di Carlo Hamilton, uomini che avevano la delicatezza di non fare una domanda di matrimonio durante un convito all'aperto, mentre lei aveva da pensare a tante altre cose piú importanti. Vide soltanto un ragazzo di vent'anni, rosso come un peperone e con l'aria molto sciocca. Ebbe il desiderio di dirgli quanto era idiota. Ma automaticamente le salirono alle labbra le parole che Elena le aveva insegnato a dire in simili circostanze, e abbassando pudicamente gli occhi, per forza di abitudine, mormorò: - Mr. Hamilton, sono molto sensibile all'onore che mi fate chiedendomi di diventar vostra moglie; ma la cosa è per me talmente inattesa che non so che cosa dirvi. Era un modo grazioso di accarezzare la vanità di un uomo e di tenerlo sulla corda; e Carlo abboccò a quell'amo come se fosse nuovo ed egli fosse il primo a inghiottirlo. - Aspetterò quanto vorrete! Voglio che siate sicura di voi... Ditemi che posso sperare, miss O'Hara! - Hm - fece Rossella, i cui occhi di lince osservavano in quel momento Ashley, il quale non si era alzato per prender parte alla discussione degli uomini sulla guerra e stava sorridendo a Melania. Se questo stupido che stava cercando di ottenere la sua mano tacesse un minuto, forse le riuscirebbe di udire ciò che quei due stavano dicendo. Doveva udirlo. Che cosa diceva Melania per destare negli occhi di lui quell'espressione di interessamento? Le parole di Carlo soverchiavano le voci che ella anelava di udire. - Oh, ssst! - gli bisbigliò pizzicandogli una mano senza neanche guardarlo. Spaventato e vergognoso, Carlo arrossí al rabbuffo; poi, vedendo gli occhi di lei fissi su sua sorella, sorrise. Rossella temeva che qualcuno potesse udire le sue parole. Naturalmente era imbarazzata e timida, e l'idea che altri potessero udire la sgomentava. Carlo si sentí invadere da un'onda di mascolinità che non aveva mai provata, perché questa era la prima volta in vita sua che egli turbava una ragazza. L'emozione fu inebriante. Diede al suo volto quella che credeva essere un'espressione indifferente e prudentemente ricambiò il pizzicotto di Rossella per mostrarle che era uomo di mondo e che comprendeva e accettava il suo rimprovero. Ella non sentí neppure il pizzicotto, perché in quel momento udiva la dolce voce che costituiva il fascino principale di Melania: - Non sono d'accordo con te su Thackeray. È un cinico. E credo che non sia un signore come Dickens. «Che stupidi discorsi da fare a un uomo» pensò Rossella, pronta a ridere di sollievo. «Non è che una bas bleu, e tutti sanno che cosa pensano gli uomini delle bas bleu!» Per interessare un uomo e conservar vivo il suo interesse, bisognava parlargli di lui e poi gradatamente condurre la conversazione su se stessa... e mantenervela. Rossella si sarebbe allarmata se Melania avesse detto: «Sei straordinario!» oppure: «Come fai a pensare queste cose? Il mio cervellino scoppierebbe, se cercassi anch'io di pensarle!» Ed eccola lí, con un uomo ai suoi piedi, a parlare seriamente come se fosse in chiesa. La prospettiva apparve a Rossella piú brillante; tanto brillante che rivolse a Carlo degli occhi radiosi e un sorriso giocondo. Entusiasmato per questa prova di affetto, egli afferrò il suo ventaglio e lo richiuse con tanto ardore che ella si sentí drizzare i capelli. - Non ci avete favorito la vostra opinione, Ashley - disse Giacomo Tarleton volgendosi dal gruppo maschile vociferante; Ashley si scusò e si alzò. Nessuno era bello come lui - pensò Rossella osservando la grazia del suo atteggiamento negligente e i capelli e i baffi che il sole faceva scintillare. Anche gli uomini anziani si interruppero per ascoltare le sue parole. - Ebbene, signori miei, se la Georgia combatterà, andrò anch'io. Altrimenti perché fare parte dello Squadrone? - furono le sue parole. I suoi occhi grigi erano spalancati e la loro sonnolenza era scomparsa dando luogo a una vivezza che Rossella non aveva mai vista prima. - Ma, come il babbo, spero che gli yankees ci lasceranno in pace e che la guerra non si farà... - Alzò la mano con un sorriso, perché dai ragazzi Tarleton e dai Fontaine giungeva una babele di voci. - Sí sí, so che ci hanno insultati e che ci hanno mentito... ma se noi fossimo stati nei loro panni, come avremmo agito? Probabilmente nello stesso modo. «Eccolo, al solito» pensò Rossella. «Sempre la smania di mettersi nei panni degli altri.» Per lei, in ogni argomento non vi era che un solo lato. A volte non era punto d'accordo con Ashley. - Non ci scaldiamo troppo la testa e non cerchiamo la guerra. La maggior parte delle miserie del mondo è stata cagionata dalle guerre. E quando le guerre erano finite, nessuno sapeva piú la ragione che le aveva suscitate. Rosella arricciò il naso. Meno male che Ashley aveva una inattaccabile reputazione di coraggio; altrimenti le cose si sarebbero guastate. Mentre ella pensava questo, attorno ad Ashley si levò un clamore di voci dissenzienti e indignate. Sotto l'albero, il vecchio sordo percosse lievemente il ginocchio di Lydia. - Che c'è? - chiese. - Che stanno dicendo? - Guerra! - gli gridò Lydia nell'orecchio facendosi cornetto con la mano. - Vogliono far la guerra agli yankees! - La guerra? - gridò a sua volta il sordo cercando il suo bastone e alzandosi con maggiore energia di quanta ne avesse mostrata da anni. - Gliene parlerò io, della guerra. Vi sono stato. - Non capitava spesso a Mr. McRae l'occasione di poter parlare della guerra, perché le sue donne gli imponevano sempre il silenzio. Raggiunse rapidamente il gruppo, agitando il bastone e gridando e, siccome non udiva le voci degli altri, in breve fu padrone indisturbato del campo. - Ascoltatemi, giovani mangiatori di fuoco. Voi non potete volere la guerra. Io l'ho fatta e lo so. Quella contro i Seminoli; e fui tanto pazzo da fare anche la guerra messicana. Voialtri non sapete che cos'è la guerra. Credete che si tratti soltanto di cavalcare un bel cavallo, con le ragazze che vi gettano fiori chiamandovi eroe. Non è cosí, signori miei! Si tratta di soffrir la fame e di buscarsi polmoniti e malattie della pelle dormendo nell'umidità. E se non sono quelle, sono gli intestini che non vanno. Sí, signori; non potete immaginare che cos'è la guerra per gl'intestini degli uomini: dissenteria e cose del genere e... Le signore erano diventate rosse. Mr. McRae stava ricordando i momenti piú volgari della vita, come la nonna Fontaine con le sue sconcie flatulenze: momenti che ognuno preferiva dimenticare. - Corri a chiamare il nonno - sussurrò una delle figlie del vecchio gentiluomo a una bimba che le era accanto. - Vi assicuro - mormorò poi alle signore attorno - che va peggiorando ogni giorno. Credereste che stamattina ha detto a Maria (la quale ha solo sedici anni): «Ora, figliuola...» - e il resto della frase si perse in un sussurro, mentre la nipotina correva a cercar di indurre il nonno a tornare a sedere all'ombra. Nei gruppi che si affollavano intorno agli alberi, fanciulle che sorridevano e uomini che parlavano appassionatamente, una sola persona sembrava aver conservato la calma. Gli occhi di Rossella si volsero verso Rhett Butler che stava appoggiato a un albero con le mani sprofondate nelle tasche dei calzoni. Da quando John Wilkes si era allontanato, egli era rimasto solo e non aveva pronunciato parola mentre la conversazione si riscaldava. Le labbra rosse sotto i baffetti si increspavano e negli occhi neri passavano lampi di disprezzo divertito; come se ascoltasse delle chiacchiere infantili. «Un sorriso sgradevole» pensò Rossella. Egli continuò ad ascoltare tranquillamente, finché Stuart Tarleton, coi rossi capelli arruffati e gli occhi scintillanti, gridò: - Ce li leveremo dai piedi in un mese! I gentiluomini combattono sempre meglio della plebe. Un mese... macché, una battaglia... - Signori - interruppe senza muoversi dal suo posto Rhett Butler, con un accento strascicato che rivelava la sua nascita (Charleston) e senza togliersi le mani di tasca - posso dire una parola? Il gruppo si volse verso di lui e gli prestò ascolto con la cortesia dovuta a uno straniero. - Ha mai pensato, nessuno di voi, che non vi è una fabbrica di cannoni a sud della linea Mason-Dixon? E alle poche fonderie che vi sono nel Sud? E industrie per la lana o per il cotone o concerie? Avete mai pensato che non abbiamo una sola nave da guerra e che gli yankees possono imbottigliare i nostri porti in una settimana, sicché non potremmo piú vendere il nostro cotone all'estero? Ma... certamente avete pensato a queste cose. «Questo significa che i ragazzi sono una massa di stupidi!» pensò Rossella indignata; e il sangue le salí al volto. Evidentemente non era la sola ad aver quest'idea, perché parecchi giovinotti cominciavano a drizzar la cresta. John Wilkes lasciò il suo posto in maniera indifferente, ma avanzandosi rapidamente verso colui che aveva parlato, come per ricordare ai presenti che quell'uomo era suo ospite e che, inoltre, vi erano delle signore presenti. - Il torto di molti di noi meridionali - proseguí Rhett - è che non viaggiamo abbastanza e non approfittiamo abbastanza dei nostri viaggi. Tutti voi, certamente, avete viaggiato. Ma che cosa avete visto? L'Europa, Nuova York, Filadefia; e le signore, senza dubbio, sono state a Saratoga. - Si inchinò lievemente verso il gruppo sotto gli alberi. - Avete visto i musei, gli alberghi, i balli e le case da giuoco. E siete tornati a casa convinti che non vi fosse un altro luogo come il Sud. Quanto a me, sono nato a Charleston, ma ho passato questi ultimi anni nel Nord. - Un sorriso dei suoi denti candidi fece comprendere che egli era sicuro che tutti quanti sapevano perché egli non dimorava piú a Charleston, e non gl'importava nulla che lo sapessero. - Ho visto molte cose che voialtri non avete vedute. Migliaia di emigranti che sarebbero ben contenti di combattere per gli yankees avendone in cambio vitto e un po' di denaro; le fabbriche, le fonderie, i cantieri, le miniere di carbone e di ferro... tutte cose che noi non abbiamo. Quello che noi abbiamo è cotone, schiavi... e arroganza... In un mese ci batterebbero completamente. Un minuto di tensione silenziosa. Rhett Butler trasse dalla tasca della giubba un bel fazzoletto di lino e si spolverò distrattamente una manica. Quindi dalla folla sorse un mormorio minaccioso e da sotto gli alberi giunse un ronzio simile a quello di un'arnia disturbata. Benché Rossella sentisse ancora sulle guance il rosso calore della collera, pure qualche cosa nel suo spirito pratico le fece comprendere che quell'uomo aveva ragione e parlava con buonsenso. Infatti, ella non aveva mai visto una fabbrica né conosciuto nessuno che ne possedesse una. Ma anche se tutto ciò era vero, un gentiluomo non doveva fare queste dichiarazioni... soprattutto durante un ricevimento dove tutti si stavano divertendo. Stuart Tarleton si avanzò, con la fronte aggrottata, insieme con Brent. Senza dubbio, i gemelli erano dei ragazzi educati e non avrebbero fatto una scenata durante una riunione mondana, pur essendo provocati. Malgrado ciò, le signore erano piacevolmente eccitate, perché era ben raro, per loro, assistere a una scenata o a una lite. Di solito ne sentivano parlare di terza mano. - Che intendete dire, signore? - disse Stuart lentamente. Rhett lo guardò con occhio gentile ma beffardo. - Intendo dire che Napoleone... forse ne avete sentito parlare? dichiarò una volta «Dio è dalla parte del battaglione piú forte». - Quindi si volse a John Wilkes, con una gentilezza che non era finta: - Mi avevate promesso di mostrarmi la vostra biblioteca. Posso chiedervi il favore di mostrarmela adesso? Debbo tornare a Jonesboro piuttosto presto nel pomeriggio, a causa di un affare. Si volse fronteggiando la folla, batté i tacchi e si inchinò come un maestro di danza; un inchino grazioso in un uomo cosí forte, e insolente come un ceffone. Quindi attraversò il prato con John Wilkes, col nero capo eretto; e il suono della sua risata scoraggiante pervenne al gruppo che era rimasto presso le tavole. Vi fu un attimo di silenzio allarmato; quindi il ronzio ricominciò. Lydia si levò stancamente dalla sua sedia sotto l'albero e si avvicinò all'incollerito Stuart Tarleton. Rossella non udí le sue parole, ma l'espressione dei suoi occhi mentre ella lo fissava in volto diede una specie di rimorso alla sua coscienza. Era la stessa espressione di dedizione che aveva Melania quando guardava Ashley; ma Stuart non la vide. Dunque, Lydia lo amava. Rossella pensò che se lei non avesse civettato cosí sfacciatamente con Stuart l'anno scorso, a quella riunione politica, forse a quest'ora egli avrebbe sposato Lydia. Ma il rimorso si dileguò subito, col pensiero che dopo tutto non era colpa sua se le altre ragazze non sapevano trattenere gli uomini accanto a loro. Finalmente Stuart sorrise a Lydia, un sorriso involontario, e accennò di sí. Probabilmente Lydia lo aveva pregato di non seguire Mr. Butler e di non fare questioni. Un tumulto gentile si levò sotto agli alberi quando gli invitati si alzarono, scrollandosi dal grembo le briciole. Le signore maritate chiamarono le bambinaie e i bambini piccoli riunendo le loro covate per la partenza; gruppi di giovinette si misero in moto verso la casa, ridendo e chiacchierando, per recarsi nelle stanze da letto al piano di sopra a scambiar pettegolezzi e a fare un po' di siesta. Tutte le signore, eccetto la signora Tarleton, lasciarono l'ombra delle querce; Beatrice era trattenuta da Geraldo, da Calvert e da altri, che insistevano per aver da lei la risposta concernente i cavalli per lo Squadrone. Ashley si avviò lentamente verso il luogo ove sedevano Rossella e Carlo, con un sorriso curioso e divertito. - Un bell'arrogante, non è vero? - fece seguendo Butler con lo sguardo. - Sembra un Borgia. Rossella rifletté rapidamente, ma non ricordò nessuno della Contea o di Atlanta o di Savannah che si chiamasse cosí. - Non li conosco. È un loro parente? Chi sono? Una strana espressione si dipinse sul volto di Carlo, in cui incredulità e vergogna si trovarono a lottare con l'amore. Ma questo trionfò; egli si disse che per una ragazza bastava esser carina, dolce, e bella, anche se la sua istruzione era scarsa, e si affrettò a rispondere: - I Borgia erano italiani. - Ah, - fece Rossella disinteressandosi. - Stranieri. Rivolse ad Ashley il suo piú bel sorriso, ma egli non la guardava in quel momento. Guardava Carlo e sul volto era comprensione e un po' di compassione.

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. - Rossella, - riprese egli - non possiamo andar via e dimenticare che abbiamo detto queste cose? - No, - bisbigliò la fanciulla. - Non posso. Non desiderate... sposarmi? Egli replicò: - Sto per sposare Melania. Senza saper come, si accorse di esser seduta sulla bassa sedia di velluto; Ashley, sullo sgabello ai suoi piedi, le teneva ambo le mani in una stretta tenace. Le diceva delle cose... delle cose che non avevano senso. La mente di Rossella era vuota, completamente vuota di tutti i pensieri che vi si erano affollati solo un momento prima, e le sue parole le facevano cosí poca impressione come la pioggia sul vetro. Cadevano in un orecchio che non ascoltava; erano parole tenere e buone, piene di compassione come quelle di un padre che parla a un bambino offeso. Nella sua incoscienza afferrò il nome di Melania e allora lo fissò negli occhi grigi. Vide in essi quell'aria distante che l'aveva sempre contrariata... e anche un'espressione di odio verso se stesso. - Il babbo annunzierà il fidanzamento stasera. Ci sposeremo presto. Ve lo avrei detto, ma credevo che lo sapeste. Credevo che lo sapessero tutti... da tanti anni. Non ho mai supposto che voi... avete tanti corteggiatori. Immaginavo che Stuart... In lei tornavano ora la vita, il sentimento e la comprensione. - Ma avete detto or ora che mi volevate bene. Le sue mani ardenti le fecero male. - Cara, perché volete costringermi a dirvi delle cose che possono ferirvi? Il silenzio di lei lo costrinse a proseguire. - Come posso farvi capire queste cose? Siete cosí giovane e irriflessiva che non sapete che cos'è il matrimonio. - So che vi amo. - L'amore non basta per fare un matrimonio felice, quando due persone sono cosí diverse come noi. Voi, Rossella, da un uomo volete aver tutto: il corpo, il cuore, l'anima, i pensieri. E se non li aveste sareste infelice. Ed io non potrei darvi tutto di me. Non posso dar tutto a nessuno. E non desidererei tutto il vostro cuore e la vostra anima. Voi ne sareste offesa e arrivereste a odiarmi... oh, amaramente! Odiereste i libri che leggo e la musica che amo perché mi toglierebbero a voi anche per un momento, ed io... forse io... - La amate? - Essa è come me, è del mio sangue e ci comprendiamo a vicenda. Rossella, Rossella! Come posso farvi capire che un matrimonio può essere sereno e felice soltanto fra due persone simili? Qualchedun altro aveva detto questo: «I simili devono sposare i loro simili, altrimenti non vi sarà felicità». Chi era stato? Le sembrava che fosse passato un milione di anni da quando aveva udito queste parole, che pure non la convincevano. - Ma avete detto che mi volevate bene. - Non avrei dovuto dirlo. In fondo al suo cervello si accese una piccola fiamma e l'ira cominciò ad avvampare in lei. - Dal momento che siete stato tanto mascalzone da dirlo... Egli impallidí. - Sono stato un mascalzone, perché sto per sposare Melania. Ho fatto torto a voi, ma l'ho fatto ancor piú grande a Melania. Non avrei dovuto dirlo perché sapevo che non avreste capito. Come potevo fare a meno di volervi bene... a voi che avete tutta la passione di vivere che io non ho? Voi che potete amare e odiare con una violenza che per me è impossibile? Perché siete elementare come il fuoco e il vento e le cose selvagge, mentre io... Ella pensò a Melania e improvvisamente vide i suoi tranquilli occhi bruni con la loro espressione distante, le sue placide manine nei mezzi guanti neri di pizzo, i suoi dolci silenzi. E allora la sua ira proruppe, la stessa ira che aveva condotto Geraldo al delitto, ed altri irlandesi loro antenati ad azioni che avevano pagato con la loro testa. Non vi era adesso in lei piú nulla dei beneducati Robillard che sapevano sopportare in silenzio qualsiasi insulto. - Perché non lo dite, vigliacco! Avete paura di sposarmi! Preferite vivere con quella stupida cretina, che apre la bocca soltanto per dire «sí» e «no» e che alleverà una schiera di marmocchi sciocchi e melliflui come lei! Perché... - Non dovete parlare cosí di Melania! - Non debbo, che l'inferno vi sprofondi?! E chi siete voi per dirmi che non debbo? Vigliacco, mascalzone... Mi avete fatto credere che mi avreste sposata e... - Siate giusta - pregò la voce di lui. - Quando mai io vi ho... Ella non voleva essere giusta benché sapesse che egli diceva la verità. Non aveva mai oltrepassato i limiti dell'amicizia con lei; e, nel ricordare questo, una nuova collera l'invase, la collera dell'orgoglio ferito e della vanità femminile. Gli era corsa dietro mentre egli non la voleva. Preferiva a lei una stupidina, con la faccia linfatica come Melania. Oh, come sarebbe stato meglio se avesse seguito i precetti di Elena e di Mammy e non gli avesse mai rivelato neppure che le era simpatico... meglio qualunque cosa che affrontare questa ardente vergogna! Balzò in piedi coi pugni stretti ed egli si alzò col volto pieno della muta angoscia di chi è costretto a guardare in faccia alla realtà quando la realtà è dolore. - Vi odierò finché vivrete, mascalzone... abbietto, abbietto... - Che altra parola voleva dirgli? Non riusciva a trovarne nessuna abbastanza violenta. - Rossella... vi prego... Tese la mano verso di lei e in quel momento ella lo percosse sul viso con tutte le sue forze. Nella stanza silenziosa il rumore fu come uno schiocco di frusta; e improvvisamente la sua ira scomparve lasciandole il cuore pieno di desolazione. L'impronta rossa della sua mano risaltava sul volto pallido e stanco. Egli non disse nulla, ma le prese la mano sinistra, la portò alle labbra e la baciò. Poi, prima che ella avesse potuto dire ancora una parola, uscí chiudendo piano la porta. Ella sedette di nuovo, perché la reazione le fece piegare le ginocchia. Se n'era andato e la memoria del suo viso addolorato l'avrebbe perseguitata fino alla morte. Udí il rumore attenuato dei suoi passi allontanarsi lungo il vestibolo, e l'enormità della sua azione le apparve. Lo aveva perduto per sempre. Ora egli la odierebbe, e ogni qualvolta la vedesse, si ricorderebbe che ella gli aveva dichiarato il suo amore senza essere stata menomamente incoraggiata da lui. «Sono come Gioia Wilkes» pensò all'improvviso; poi ricordò che tutti quanti, e lei piú degli altri, avevano riso con disprezzo della condotta di Gioia. Vide la goffa agitazione di Gioia e udí le sue sciocche risatine quand'era al braccio di qualche giovanotto; e questo pensiero destò in lei una nuova ira, ira contro se stessa, ira contro Ashley, ira contro il mondo. Odiando se stessa, odiava tutti quanti con la forza dell'umiliato e contrastato amore dei sedici anni. Solo una briciola di vera tenerezza era mescolata a quell'amore. In massima parte esso era composto di vanità e di compiacente fiducia nel proprio fascino. Ora aveva perduto e, piú grande del dolore della perdita, era in lei il timore di aver dato spettacolo di se stessa. La sua simpatia era stata palese? Chi sa se tutti ormai ridevano di lei? Questo pensiero la fece tremare. La sua mano si posò su un tavolino lí accanto, giocherellando con un piccolo portafiori di porcellana sul quale sorridevano due amorini. La stanza era cosí silenziosa che le venne voglia di gridare per rompere il silenzio. Doveva fare qualche cosa, altrimenti sarebbe impazzita. Prese il vasetto e lo scagliò violentemente attraverso la camera contro il caminetto. Esso oltrepassò l'alta spalliera del sofà e andò a infrangersi contro il marmo del caminetto. - Questo è troppo - disse una voce dalla profondità del divano. Nulla l'aveva mai spaventata tanto. E la sua bocca divenne troppo arida per permetterle di emettere un suono. Si afferrò alla spalliera della sedia sentendosi mancare le ginocchia, mentre Rhett Butler si alzava dal divano dov'era sdraiato e le faceva un inchino esageratamente cortese. - È già abbastanza noioso avere la propria siesta disturbata da un colloquio come quello che sono stato costretto a udire; ma perché anche la mia vita dovrebbe correre pericolo? Era proprio vero. Non era uno spettro. Ma, Dio ne guardi, egli aveva dunque udito tutto! Rossella raccolse tutte le sue forze in un tentativo di assumere una certa dignità. - Signore, avreste dovuto palesare la vostra presenza. - Davvero? - I suoi bianchi denti brillarono e i suoi audaci occhi neri risero. - Ma eravate voi l'intrusa. Io sono costretto ad aspettare Mr. Kennedy; e avendo la sensazione di essere forse individuo non grato alla società, ho avuto il tatto di allontanare la mia persona poco gradita e ritirarmi qui dove credevo di essere indisturbato. Ma ahimé! - Crollò le spalle e rise dolcemente. La collera stava ricominciando a invadere Rossella al pensiero che quell'uomo rozzo e impertinente aveva udito tutto; udito delle cose che per le quali ella avrebbe preferito esser morta piuttosto che averle pronunciate. - Spione... - cominciò furibonda. - Gli spioni odono spesso delle cose molto divertenti e istruttive - sogghignò l'uomo. - Avendo una lunga esperienza nell'origliare, posso... - Non siete un gentiluomo! - Osservazione giustissima - replicò egli allegramente. - E voi, Miss O'Hara, non siete una signora. - Sembrò trovare la cosa molto divertente, perché rise di nuovo. - Nessuna donna può considerarsi una signora dopo aver detto e fatto quello che ho udito. Però le signore hanno raramente avuto un fascino ai miei occhi. Io so ciò che esse pensano; ma esse non hanno mai il coraggio o la mancanza di educazione di dire il loro pensiero. E questo, coll'andar del tempo, diventa una noia. Ma voi, mia cara Miss O'Hara, siete una ragazza di spirito, di una spirito veramente ammirevole, ed io vi faccio tanto di cappello. Capisco benissimo quale simpatia l'elegante Mr. Wilkes può provare per una ragazza che ha la vostra natura impetuosa. Egli deve ringraziare Dio in ginocchio, perché una ragazza col vostro... Come ha detto? Con la vostra «passione di vivere», ma povera di spirito.... - Non siete degno di pulirgli le scarpe! - urlò esasperata. - E voi lo odierete tutta la vita! - Egli ripiombò a sedere sul sofà e rise. Se avesse potuto ucciderlo, Rossella lo avrebbe fatto. Invece chiamando a raccolta tutta la dignità che le fu possibile, uscí dalla stanza, sbattendo dietro di sé la porta pesante.

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Abbiamo bisogno di denaro per provvedere al rifornimento dei medicinali che vengono dall'Inghilterra; e stasera abbiamo qui con noi l'intrepido capitano che con tanto successo attraversa il blocco da un anno e che lo attraverserà per portarci le medicine che ci occorrono. Il capitano Rhett Butler! Benché preso alla sprovvista, questi fece un grazioso inchino. Troppo grazioso, pensò Rossella cercando di analizzarlo. Era quasi come se egli esagerasse in cortesia, proprio a causa del grande disprezzo che nutriva per tutti i presenti. Vi fu uno scoppio di applausi e un gran rigirarsi da parte delle signore che erano nell'angolo. Era dunque con quello che la vedova del povero Carlo Hamilton chiacchierava! E Carletto era morto appena da un anno! - Abbiamo bisogno di altro denaro ed io ve lo chiedo - continuò il dottore. - Chiedo un sacrificio, che però è molto piccolo a paragone di quelli che compiono i nostri uomini in uniforme grigia. Signore, desidero i vostri gioielli. Li desidero io? No, è la Confederazione che ve li chiede, e so che nessuna rifiuterà. Come è bello l'effetto di una gemma su un bel polso! Come scintillano le spille d'oro sul seno delle nostre patriottiche dame! Ma quanto è piú bello il sacrificio di tutto l'oro e di tutte le gemme d'oriente! L'oro sarà fuso e le pietre vendute; e il denaro, adoperato per comprare medicinali e altri generi di massima necessità. Signore, due dei vostri valorosi feriti passeranno fra voi coi cestini e... - ma il resto del discorso si perse nello scroscio di applausi e di voci. Il primo pensiero di Rossella fu di profonda gratitudine perché il lutto le impediva di portare i preziosi pendenti e la pesante catena d'oro che era stata della nonna Robillard, e i braccialetti d'oro e smalto nero e la spilla di granate. Vide il piccolo zuavo con un cestello sotto il braccio sano, che faceva il giro della folla, dalla parte della sala dove lei si trovava, e vide le donne giovani e vecchie, ridenti e agitate, che si sfilavano i braccialetti e si toglievano gli orecchini fingendo di farsi male alle orecchie, aiutandosi l'una con l'altra a slacciarsi le collane e a spuntarsi le spille. Vi fu un leggero tintinnar di metalli ed esclamazioni di: - Aspettate, aspettate, sono riuscita ad aprire la molla! Eccolo! - Maribella Merriwether si stava togliendo i suoi bei braccialetti gemelli da sopra e sotto il gomito. Fanny Elsing, gridando: - Mamma, posso? - si stava togliendo dai riccioli l'ornamento di perline montate in oro pesante che era nella famiglia da parecchie generazioni. Ad ogni offerta che cadeva nel cestino le grida e gli applausi raddoppiavano. Il piccolo uomo sorridente giungeva adesso accanto al loro banco, col cestino che già pesava sul braccio; mentre passava davanti a Rhett Butler, un bel portasigari d'oro fu gettato incurantemente fra gli altri oggetti. Quando giunse dinanzi a Rossella e posò il cestino sul banco, ella crollò la testa mostrandogli le mani aperte per fargli comprendere che non aveva nulla da dare. Era imbarazzante essere l'unica persona che non dava nulla, e in quell'istante vide brillare al suo dito la larga vera d'oro. Per un attimo cercò di ricordare il volto di Carlo, com'era quando glie l'aveva infilata al dito, ma la sua memoria era offuscata; offuscata dal subitaneo senso d'irritazione che il ricordo di lui le dava sempre. Carlo... era lui la ragione per cui la vita era finita per lei, per cui essa era una vecchia donna. Con un rapido gesto afferrò l'anello, ma questo aderiva. Lo zuavo si muoveva verso Melania. - Aspettate! - esclamò Rossella. - Ho una cosa per voi! - L'anello uscí dal dito e mentre ella lo gettava nel cestino pieno di catene, orologi, anelli, spille e braccialetti, incontrò lo sguardo di Rhett Butler. Le sue labbra erano piegate ad un lieve sorriso. Con atto di sfida lo lasciò cadere sul mucchio delle offerte. - Oh, cara! - sussurrò Melly afferrandole il braccio, con gli occhi splendenti di amore e di orgoglio. - Brava, coraggiosa figliola! Aspettate... vi prego, luogotenente Picard, aspettate! Anch'io ho qualche cosa per voi. Si stava sfilando anche lei l'anello nuziale, quell'anello che Rossella sapeva non aver mai lasciato il suo dito da quando Ashley glie lo aveva posto. Meglio di chiunque, ella sapeva che cosa significava quell'anello per Melania. Uscí con difficoltà e per un breve istante rimase stretto nel piccolo pugno. Quindi fu posato dolcemente sul mucchio di gioielli. Le due fanciulle rimasero a guardare lo zuavo che muoveva verso il gruppo di signore anziane, Rossella con aria di sfida, Melania con un'espressione piú dolorosa che se avesse pianto. E nessuna delle due espressioni andò perduta per l'uomo che era accanto a loro. - Se non avessi avuto tu il coraggio di farlo, io non ne sarei stata capace - disse Melly mettendo un braccio attorno alla cintura di Rossella e stringendola dolcemente. Per un attimo Rossella ebbe il desiderio di respingerla e di gridare: «In nome di Dio!» con tutta la forza dei suoi polmoni, come faceva Geraldo quand'era irritato. Ma vide Io sguardo di Rhett Butler, e riuscí ad atteggiare le labbra ad un sorriso agrodolce. Era spiacevole che Melly fraintendesse sempre i motivi che la spingevano ad agire... ma forse sarebbe stato peggio se avesse sospettato la verità. - Un bel gesto - mormorò dolcemente Butler. - Sono i sacrifici come il vostro che rinsaldano il cuore dei nostri valorosi ragazzi in grigio. Parole ardenti le salirono alle labbra; ella le ringhiottí con difficoltà. In tutto ciò che egli diceva si sentiva la canzonatura. E Rossella lo trovava singolarmente antipatico, vedendolo lí appoggiato negligentemente al loro banco. Ma in lui era peraltro qualche cosa di stimolante: qualcosa di vitale, di elettrizzante. Tutto quanto vi era in lei di irlandese si ridestò, alla sfida di quegli occhi neri. Decise quindi di fare abbassare alquanto la cresta a quell'uomo. La sua conoscenza del di lei segreto gli dava un vantaggio esasperante; bisognava dunque trovar modo di metterlo al di sotto. Dominò l'impulso di dirgli schiettamente ciò che pensava di lui. Si prendono piú mosche con lo zucchero che con l'aceto, come diceva spesso Mammy, e lei si disponeva adesso ad acchiappare e sottomettere quel moscone in modo che egli non potesse piú averla in suo dominio. - Grazie - gli rispose dolcemente, - fraintendendo deliberatamente la sua ironia. - Un complimento come questo, da una celebrità come il capitano Butler è davvero prezioso. Egli gettò indietro il capo e rise francamente; abbaiò - pensò Rossella con asprezza, mentre il rosso le tornava sul volto. - Perché non dite quello che pensate veramente? - le chiese egli abbassando la voce in modo che, nel vocio generale, giunse soltanto alle sue orecchie. - Perché non dite che sono un fiero mascalzone e non sono un signore, e che debbo andarmene o mi farete cacciar via da uno di quei valorosi giovinotti in uniforme? La risposta aspra era già sulla punta della sua lingua; ma dominandosi eroicamente, Rossella replicò: - Macché, capitano Butler! Come correte! Come se tutti ignorassero che siete famoso, che siete coraggioso e che... che... - Sono deluso sul vostro conto. - Deluso? - Sí. In occasione del nostro primo fausto incontro avevo supposto di aver finalmente trovato una ragazza che fosse non soltanto bella, ma anche coraggiosa. Ora vedo che siete soltanto bella. - Vorreste dirmi che sono codarda? - Si agitava come una gallina. - Precisamente. Vi manca il coraggio di dire quello che sentite. Quando vi conobbi, pensai: questa è una ragazza come ce n'è una in un milione. Non è come quelle altre stupidine che credono a tutto ciò che le mamme e le bambinaie dicono, e agiscono in conseguenza, quali che siano i loro sentimenti. E nascondono sentimenti e desideri e piccoli dolori sotto una quantità di parole gentili. Pensai: Miss O'Hara è una ragazza di uno spirito raro. Sa che cosa vuole e non ha riguardo a dire quel che le passa per la mente... o a gettare dei portafiori. - Oh! - esclamò ella lasciandosi vincere dall'ira. - Allora vi dirò proprio quello che penso. Se aveste avuto un briciolo di superiorità non vi sareste avvicinato a parlare con me. Avreste compreso che desideravo non avervi mai piú sotto gli occhi! Ma non siete un gentiluomo! Siete un individuo villano e ripugnante. E siccome le vostre luride e piccole navi riescono a passare sotto il naso agli yankees, voi credete di avere il diritto di venire qui a beffarvi di uomini coraggiosi e di donne che sacrificano tutto per la Causa... - Basta, basta, - pregò egli con un sorriso. - Siete partita ottimamente, dicendo quel che pensavate; ma ora non cominciate a parlarmi della Causa. Sono stufo di sentirne parlare e scommetto che lo siete anche voi... - Ma come potete... - ricominciò Rossella perdendo il controllo; quindi si trattenne subito, irritatissima contro se stessa per essere caduta in quella trappola. - Ero sulla soglia della porta prima che voi mi vedeste e osservavo le altre giovani. Sembrava che il volto di tutte fosse fuso in uno stesso modello. Il vostro no. Voi avete un viso sul quale si legge facilmente. Eravate svagata e potrei garantire che non pensavate né alla Causa né all'ospedale. Sul vostro volto era scritto che desideravate ballare, divertirvi, e che non potevate. Ed eravate furibonda di questo. Ditemi la verità. Ho ragione? - Non ho altro da dirvi, capitano Butler - ella rispose il piú cerimoniosamente possibile, cercando di raccogliere attorno a sé i brandelli della propria dignità. - Pavoneggiatevi quanto vi pare perché siete il «grande sforzatore del blocco» ma astenetevi dall'insultare le donne. - Il «grande sforzatore del blocco»! È uno scherzo. Vi prego di darmi ancora un attimo del vostro tempo prezioso prima di sprofondarmi nelle tenebre. Non vorrei che una cosí graziosa patriota facesse un errato apprezzamento su quello che è il mio contributo alla Causa della Confederazione. - Non tengo affatto ad ascoltare le vostre vanterie. - Il blocco per me è un affare che mi fa guadagnare dei quattrini. Quando non mi renderà piú lo abbandonerò. Che ve ne pare? - Penso che siete un mascalzone mercenario... proprio come gli yankees. - Infatti - sogghignò il capitano. - E gli yankees mi aiutano a far quattrini. Figuratevi che il mese scorso ho ancorato la mia nave proprio nel porto di Nuova York per caricare della mercanzia. - Come? - esclamò Rossella eccitata e interessata suo malgrado. - E non vi hanno sparato addosso? - Povera innocente! Neppur per sogno. Vi sono nell'Unione molti bravi patrioti che non sono affatto alieni dal guadagnare del denaro vendendo merci alla Confederazione. Io ancoro la mia nave dinanzi a Nuova York, compro dalle ditte yankee (naturalmente per contanti) e me ne vado. E quando la cosa diventa un po' pericolosa, vado a Nassau, dove gli stessi bravi patrioti hanno portato per me munizioni e articoli di moda. È piú comodo che andare in Inghilterra. A volte non è tanto facile riuscire a penetrare a Charleston o a Wilmington.... Ma non potete immaginare come si arriva lontani con un po' di denaro... - Oh, sapevo che gli yankees erano abietti; ma ignoravo... - Perché sofisticare sugli yankees che guadagnano onestamente qualche quattrinello vendendo il loro Paese? Fra cento anni nessuno se ne ricorderà piú. E il risultato sarà lo stesso. Essi sanno che la Confederazione sarà battuta: perché non dovrebbero guadagnarci sopra? - Battuti... noi? - Senza dubbio. - Volete farmi il favore di lasciarmi... o dovrò chiamare la mia carrozza e andarmene a casa per liberarmi di voi? - Un'ardente piccola ribelle - fece egli con un altro sogghigno. Si inchinò e si allontanò lasciandola ansimante di indignazione e di collera impotente. In lei era un amaro dispetto che non riusciva ad analizzare; simile a quello di un bimbo che vede crollare una sua illusione. Come aveva osato, colui, oscurare la gloria di quelli che attraversavano il blocco e come osava dire che la Confederazione sarebbe battuta? Bisognava fucilarlo per questo; fucilarlo come un traditore. Si guardò attorno e vide i visi noti, cosí sicuri del successo, cosí coraggiosi, cosí devoti; un piccolo brivido freddo le passò attraverso il cuore. Battuti? Ah no; non costoro! Certamente no! Il solo pensarlo era impossibile e sleale. - Che cosa stavate mormorando? - chiese Melania volgendosi a lei appena i suoi clienti si furono allontanati. - Ho visto che Mrs. Merriwether non ti lasciava con gli occhi; e sai che ha la lingua lunga... - Ah, quell'uomo è insopportabile! Un vero villanzone! - rispose Rossella. - Quanto alla vecchia Merriwether, lascia pure che parli. Sono stufa di far la bambina per suo uso e consumo. - Ma via, Rossella! - esclamò Melania scandalizzata. - Ssst! - fece Rossella. - Il dottor Meade sta per fare un altro discorso. Il chiacchiericcio si interruppe nuovamente e la voce del dottore si alzò ancora una volta, prima di tutto per ringraziare le signore che avevano dato cosí volenterosamente i loro gioielli. - Ed ora, signore e signori, vi proporrò una sorpresa: un'innovazione che forse potrà urtare qualcuna di voi. Ma vi prego di considerare che tutto ciò si fa per l'ospedale e a beneficio dei nostri giovani feriti o ammalati. Tutti si tesero in avanti cercando di immaginare che cosa avrebbe potuto proporre il dottore, un uomo cosí serio. - Stanno per cominciare le danze; e il primo numero, senza dubbio sarà una danza scozzese, un reel seguito da un valzer. Le danze seguenti, polke, mazurke e scottish, saranno precedute da brevi reels Reel (pron. riil): è una danza scozzese abbastanza vivace, ballata da due o piú coppie; la sua musica è scritta generalmente in tempo ordinario (quattro quarti) ma qualche volta anche in tempo di giga di sei per otto, o due terzine di crome. (N. d. T.). Conosco la gentile rivalità per condurre bene i reels, e perciò... - Il dottore inarcò le sopraciglia e lanciò uno sguardo canzonatorio verso l'angolo dove sua moglie sedeva insieme alle signore anziane. - Se voi, signori, desiderate condurre un reel con la dama di vostra scelta, dovete concorrere in un'asta di cui io sarò il banditore. Le dame saranno aggiudicate ai migliori offerenti e il ricavato andrà all'ospedale. I ventagli si fermarono improvvisamente e la sala fu attraversata da un'ondata di mormorii eccitati. L'angolo delle signore era in pieno tumulto e la signora Meade, desiderosa di sostenere suo marito in un'azione che in cuor suo disapprovava, si trovava in assoluto svantaggio. Le signore Elsing, Merriwether e Whiting erano rosse d'indignazione. Ma improvvisamente la Guardia Nazionale lanciò un'evviva che fu seguito da tutti i presenti. Le ragazze batterono le mani e saltarono eccitate. - Non ti pare che sia... che sia... come una piccola asta di schiavi? - sussurrò Melania, guardando incerta il bellicoso dottore che fino ad ora le era sempre apparso perfetto. Rossella non disse nulla, ma i suoi occhi brillarono e il suo cuore fu contratto da una pena leggera. Se almeno non fosse stata una vedova! Se fosse ancora Rossella O'Hara, con un abito verde mela guarnito di velluto verde scuro, e delle tuberose nei capelli neri... sarebbe lei a condurre quella danza. Sí, senza dubbio. Vi sarebbero una dozzina di uomini a battersi per lei e a pagare al dottore delle belle cifre. Oh, dover sedere qui a far da tappezzeria contro la sua volontà e vedere Fanny o Maribella condurre la danza come la piú bella ragazza di Atlanta! Al di sopra del tumulto risuonò la voce del piccolo zuavo col suo accento creolo: - Se posso... venti dollari per Miss Maribella Merriwether. Maribella si nascose arrossendo dietro la spalla di Fanny e le due fanciulle celarono il volto ognuna nel collo dell'altra ridacchiando mentre altre voci cominciavano a gridare altri nomi ed altre cifre. Il dottor Meade aveva ricominciato a sorridere, ignorando completamente i bisbigli indignati che venivano dalle signore del Comitato ospedaliero. Da principio la signora Merriwether aveva dichiarato fermamente e ad alta voce che la sua Maribella non avrebbe mai partecipato ad una simile gara; ma poiché il nome di sua figlia veniva gridato sempre piú spesso e la cifra aveva già superato i settantacinque dollari, le proteste cominciarono a diminuire. Rossella teneva i gomiti appoggiati al banco e guardava quasi ferocemente la folla eccitata che rideva affollandosi attorno alla piattaforma con le mani piene di banconote della Confederazione. Ora tutte ballerebbero, tranne lei e le vecchie signore. Tutti si divertirebbero, meno lei. Vide Rhett Butler dietro il dottore, e prima che potesse mutare l'espressione del suo volto, egli la scorse e abbassò un angolo della bocca sollevando un sopracciglio. Ella sollevò il mento e si volse altrove. In quel momento udí il proprio nome... pronunciato da un'inconfondibile voce charlestoniana che superò il frastuono. - Mrs. Carlo Hamilton... centocinquanta dollari... in oro. Un improvviso zittio attraversò la folla all'udire la somma e il nome. Rossella fu cosí sbalordita che non riuscí neanche a muoversi. Rimase seduta col mento fra le mani e gli occhi spalancati di meraviglia. Tutti si volsero a guardarla. Ella vide il dottore curvarsi sulla piattaforma e mormorare qualche cosa a Butler. Probabilmente gli diceva che essa era in lutto e non poteva ballare. Ma Rhett crollò le spalle incurante. - Forse un'altra delle nostre bellezze? - suggerí il dottore. - No - rispose Rhett ostinato, guardando la folla. - Mrs. Hamilton. - Vi dico che è impossibile - insistette il dottore. - Mrs. Hamilton non vorrà... La voce di Rossella le uscí di bocca quasi senza sua volontà, irriconoscibile. - Sí, son pronta! Balzò in piedi col cuore che le martellava cosí violentemente che temette di non potersi reggere; l'eccitazione di esser nuovamente il centro dell'attenzione, di esser la piú desiderata e - soprattutto! - la prospettiva di ballare... - Non me ne importa! Non m'importa quello che diranno! - mormorò trascinata da una specie di follia. Drizzò la testa e uscí dal banco battendo i tacchi come nacchere e tenendo il suo ventaglio nero completamente spiegato. Per un attimo scorse il volto incredulo di Melania, l'espressione delle vecchie signore, le fanciulle petulanti, i soldati che approvavano con entusiasmo. Quindi si trovò in mezzo alla sala e vide Rhett Butler che avanzava verso di lei, fra due ali di folla, col suo beffardo e detestabile sorriso. Ma non gliene importava... Stava per ballare... Per condurre il reel. Gli rivolse un piccolo cenno e un sorriso abbagliante; egli si inchinò con una mano sul petto. Levi, benché inorridito, si rimise rapidamente e urlò: - Scegliete le vostre dame! E l'orchestra intonò il reel più bello di tutti: «Dixie».

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Scommetto che ho fatto guadagnare piú denari per l'ospedale di tutte le altre... e anche di piú che con tutto quel vecchiume che abbiamo venduto. - Ma che importa il denaro, tesoro mio? - gemeva Pittypat torcendosi le mani. - Non potevo credere ai miei occhi... Dire che il povero Carlo è morto appena da un anno... E quel tremendo capitano Butler che ti ha messa cosí in vista... ed è una persona impossibile, Rossella! La cugina di Mrs. Whiting, una certa Mrs. Coleman il cui marito è venuto da Charleston, mi ha raccontato che è la pecora nera di un'ottima famiglia. Oh, com'è possibile che un simile individuo sia uscito dalla famiglia Butler? Nessuno lo riceve a Charleston; ha una pessima reputazione e c'è anche stata una storia con una ragazza... qualche cosa di cosí orribile che neanche Mrs. Coleman sapeva bene... - Non credo poi che sia questo orrore - interruppe Melly dolcemente. - Sembra un perfetto gentiluomo; e se si pensa al coraggio che dimostra passando attraverso il blocco... - Non è punto coraggioso - ribatté Rossella con perversità versandosi un po' di sciroppo sui cialdoni. - Lo fa per guadagnare del denaro. Me lo ha detto lui. Non gl'importa nulla della Confederazione e dice che saremo battuti. Ma balla divinamente. Le altre due donne erano ammutolite dall'orrore. - Sono stufa di rimanere in casa e non voglio rimanervi piú. Se ieri sera si è sparlato di me, la mia reputazione è già rovinata; e allora non m'importa nulla di ciò che potranno dire ancora. Non le venne in mente che quest'idea era di Rhett Butler. Era cosí semplice e si adattava cosí bene ai suoi sentimenti! - Ma che dirà tua madre quando lo saprà? Che cosa penserà di me? Un freddo turbamento prese Rossella al pensiero della costernazione di Elena qualora venisse a conoscere la scandalosa condotta di sua figlia. Ma si rincorò pensando alle venticinque miglia di distanza fra Atlanta e Tara. Certamente Pitty non direbbe nulla ad Elena, per non esser posta lei in cattiva luce come accompagnatrice. E se Pitty non spettegolava, Rossella era salva. - Credo - rispose Pitty - che farei bene a scrivere ad Enrico in proposito... per quanto mi dia fastidio farlo... Ma è l'unico nostro parente; e lo pregherò di far le sue rimostranze al capitano Butler... Dio mio; se Carlo fosse vivo... Non devi parlare mai piú con quell'uomo, Rossella! Melania sedeva silenziosa, con le mani in grembo; le frittelle si raffreddavano nel suo piatto. Si alzò e mettendosi dietro a Rossella le pose le braccia intorno al collo. - Tesoro - le disse - non ti crucciare. Capisco che ciò che hai fatto ieri sera è stato un gesto coraggioso e che porterà un grande aiuto all'ospedale. E se qualcuno osa dire una parola contro di te, provvederò io. Non piangere, zia Pitty. È doloroso per Rossella non andare in nessun posto: pensa che è una bambina. - Giocherellava lievemente coi capelli neri di Rossella. - E forse faremmo bene tutte quante ad andare ogni tanto a qualche ricevimento. Siamo state troppo egoiste a rimanere rinchiuse nel nostro, dolore. Vivere in tempo di guerra è diverso. Quando penso a tutti i soldati che sono in questa città, lontani dalle loro famiglie e senza amici coi quali passar la sera... e quelli ricoverati in ospedale che stanno tanto bene da poter lasciare il letto ma non abbastanza da tornare al reggimento... Sí, siamo state egoiste. Dovremmo avere attualmente tre convalescenti in casa, come tutti quanti, e qualcuno dei soldati che sono qui in servizio, a pranzo ogni domenica. Via, Rossella, non ti agitare. La gente non farà chiacchiere, quando avrà compreso. Noi sappiamo che tu amavi Carlo. Rossella era ben lontana dall'essere agitata, e le dolci mani di Melania fra i suoi capelli la irritavano. Aveva voglia di gettare indietro la testa e di gridare: «Oh, quante storie!» perché in lei era ancora vivo il ricordo di come i militi delle Guardie Nazionali, la milizia e i soldati dell'ospedale si erano disputati il piacere di ballare con lei la sera prima. Melly era la persona che meno di chiunque altro al mondo ella avrebbe voluto come difensore. Pensasse a difendere se stessa; e se quelle vecchie streghe avevano voglia di graffiare... beh, lei avrebbe fatto a meno di occuparsi di loro. C'erano al mondo troppi begli ufficiali perché valesse la pena di turbarsi per quello che dicevano quattro vecchie. Pittypat si stava asciugando gli occhi, un po' calmata dalle parole di Melania, quando Prissy entrò con una grossa lettera. - Per te, Miss Melly. Aver portato biccolo negro. - Per me? - fece Melly stupita mentre lacerava la busta. Rossella stava mangiando le sue frittelle, senza badare a nulla finché uno scoppio di pianto di Melly le fece alzar la testa e vedere zia Pittypat che si portava la mano al cuore. - Ashley è morto! - gridò la zitellona gettando indietro la testa e lasciando ricadere le braccia inerti. - Oh Dio! - esclamò Rossella sentendosi gelare il sangue. - No, no! - gridò Melania. - Presto, i sali! Via, cara, tesoro, ti senti meglio? Respira profondamente. No, non è Ashley. Mi dispiace tanto di averti spaventata; piangevo perché sono felice... - Aperse il pugno che teneva stretto e portò alle labbra qualche cosa che brillò per un attimo. Rossella vide che era un largo anello d'oro. - Sono tanto felice! - E scoppiò nuovamente a piangere. - Leggi, leggi - riprese poi indicando la lettera che era caduta a terra. - Oh, com'è caro, com'è buono! Rossella, stupita, raccolse il foglio e lesse queste righe, scritte da una ferma mano virile: «La Confederazione può aver bisogno del sangue dei suoi uomini, ma non richiede ancora quello del cuore delle sue donne. Accettate, cara signora, questo attestato di riverenza per il vostro coraggio e non crediate che esso sia stato inutile, perché questo anello è stato riscattato per dieci volte il suo valore. Capitano Rhett Butler». Melania si infilò l'anello e lo guardò con tenerezza. - Non te lo avevo detto che è un gentiluomo? - disse poi volgendosi a Pittypat, con un sorriso che brillava sul volto inondato di lagrime. - Solo un uomo pieno di delicatezza e di sensibilità poteva comprendere come mi si era spezzato il cuore... Manderò invece la mia catena. Zia Pitty, devi scrivergli un biglietto invitandolo a pranzo per domenica, perché io possa ringraziarlo. Nell'eccitazione del momento, nessuno pensò che il capitano non aveva restituito anche l'anello nuziale di Rossella. Ma ella lo notò, seccata. E sapeva che il gesto gentile del capitano non era dettato dalla sua delicatezza. Egli voleva essere invitato in casa di Pittypat e ne aveva abilmente trovato il mezzo.

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. - Lo abbiamo saputo. Sono guariti? - No, sono stati feriti gravemente. Stuart ha avuto una pallottola in un ginocchio e Brent in una spalla. Avete anche saputo che sono stati citati all'ordine del giorno, per il loro coraggio? - No, raccontaci! - Sono due scervellati... tutti e due. Credo che in loro vi sia del sangue irlandese - proseguí Geraldo compiaciuto. - Non mi ricordo piú che cosa hanno fatto, ma Brent adesso è luogotenente. Rossella fu contenta di apprendere le loro imprese; contenta alla maniera di una proprietaria. Una volta che un uomo era stato suo spasimante ella era convinta che continuasse ad appartenerle; e tutte le buone azioni di lui risultavano a suo favore. - E ho sentito anche dire che vi stanno dimenticando entrambe. Pare che Stuart abbia ricominciato a corteggiare alle Dodici Querce. - Gioia o Lydia? - interrogò Melania eccitata, mentre Rossella spalancava tanto d'occhi, quasi indignata. - Naturalmente, Lydia. Non le faceva già la corte prima che questa mia civetta gli strizzasse l'occhio? - Oh! - esclamò Melania imbarazzata dall'espressione di Geraldo. - E oltre a questo, il giovine Brent ha preso a girare intorno a Tara. Rossella non trovò parole. La defezione dei suoi spasimanti le sembrò quasi un insulto. Specialmente se ricordava come erano stati furibondi i due gemelli, quando ella aveva detto che avrebbe sposato Carlo. Stuart aveva perfino minacciato di ammazzare Carlo o Rossella, o se stesso o tutti e tre. Era stata una cosa divertentissima. - Súsele? - chiese Melly con un lieto sorriso. - Ma credevo che Mr. Kennedy... - Quello? - fece Geraldo. - Franco Kennedy se la prende comoda. Ha paura della sua ombra. Se non si decide a parlare gli domanderò quali sono le sue intenzioni. No, si tratta della mia piccola. - Carolene? - Ma è una bambina! - esclamò aspramente Rossella ritrovando la parola. - Ha circa un anno di meno di quello che avevi tu quando ti sei sposata - ritorse Geraldo. - Invidii forse alla tua sorellina il tuo antico spasimante? Melly arrossí, non essendo abituata a quella franchezza; e accennò a Pietro di portare la torta dolce di patate. Cercò freneticamente un altro argomento di conversazione che fosse un po' meno personale e che distogliesse il signor O'Hara dallo scopo del suo viaggio. Non riuscí a trovar nulla, ma Geraldo una volta preso l'aire non aveva bisogno di altro stimolo, se non di un uditorio. Parlò dei rubalizi del commissario dipartimentale, che ogni mese aumentava le sue richieste; della supina stupidità di Jefferson Davis e della volgarità degli irlandesi che si erano arruolati nell'esercito yankee per il vile denaro. Quando fu portato il vino sulla tavola e le due ragazze si alzarono per lasciarlo solo a bere, Geraldo fissò uno sguardo severo su sua figlia e le ordinò di rimanere con lui alcuni minuti. Rossella lanciò un'occhiata disperata a Melly, la quale torse il fazzoletto, impotente, e uscí richiudendo piano la porta scorrevole. - Dunque, signorina! - muggí Geraldo versandosi un bicchiere di Porto. - Avete un bel modo di agire! Cercate già un altro marito mentre siete vedova da cosí poco tempo? - Non gridar tanto, babbo. I servi... - Certamente sono già al corrente, e tutti quanti sanno la nostra disgrazia; la tua povera mamma si è dovuta mettere a letto ed io non ho piú il coraggio di tener alta la fronte. È una vergogna. No, gattina, è inutile che cerchi di venirmi intorno con le lagrime questa volta - aggiunse in fretta e con un certo panico nella voce, vedendo Rossella battere le palpebre e torcere la bocca. - Ti conosco, hai civettato perfino alla veglia funebre di tuo marito. Non piangere. Stasera non dirò altro perché devo vedere questo bravo capitano Butler che fa cosí poco conto della reputazione di mia figlia. Ma domattina... via non piangere. Non serve proprio a nulla. Quel ch'è sicuro è che ti riporterò domani a Tara prima che tu ci disonori tutti un'altra volta. Non piangere, tesoro. Guarda che cosa ti ho portato. Non è un bel regalo? Guarda, ti dico! Come hai fatto a creare tutto questo impiccio, costringendomi a venir qui con tutto il mio da fare? Non piangere!

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«Se noi vinciamo questa guerra e abbiamo il Regno del Cotone dei nostri sogni, avremo ugualmente perduto, perché diventeremo diversi e l'antica tranquillità sarà scomparsa. Il mondo sarà alle nostre porte a chiedere il cotone e noi potremo dettare i nostri prezzi. E allora temo che diventeremo come gli yankees, di cui oggi scherniamo l'attività per far quattrini e l'abilità commerciale. E se perdiamo, Melania, se perdiamo... «Non temo il pericolo di essere preso prigioniero o ferito o anche ucciso, se la morte deve venire; ma temo che una volta finita la guerra non torneremo piú agli antichi tempi. Non so che cosa ci porterà il futuro, ma certamente non potrà essere cosí bello come il passato. Guardo i ragazzi che dormono accanto a me e mi domando se i gemelli o Alessandro o Cade hanno gli stessi pensieri. Chi sa se essi sanno che combattono per una Causa che è stata perduta fin dalla prima fucilata. Ma non credo che vi pensino; quindi saranno felici. «Non prevedevo questa vita per noi, quando ti chiesi di sposarmi. Pensavo alla vita alle Dodici Querce, tranquilla, facile, immutata, come sempre. Noi ci somigliamo, Melania, perché amiamo le stesse cose; ed io vedevo dinanzi a noi una lunga serie di anni privi di avvenimenti, dedicati a leggere, ascoltar musica e sognare. Ma non questo! Non questo sconvolgimento, questo sangue, questo odio! Né i Diritti di Stato né gli Schiavi né il Cotone meritano questo. Nulla merita ciò che ci sta accadendo e che ci può accadere, perché se gli yankees vincono, il futuro sarà di un incredibile orrore. «Non dovrei scrivere questo, e neanche pensarlo. Ma tu mi hai chiesto che cosa avevo nel cuore; ed esso è pieno del timore della disfatta. Ti ricordi al banchetto, il giorno in cui fu annunziato il nostro fidanzamento, che un certo Butler suscitò quasi una questione con le sue osservazioni sull'ignoranza dei meridionali? Ricordi che i gemelli volevano ammazzarlo perché egli aveva detto che avevano poche fonderie, poche fabbriche, poche navi, arsenali e industrie meccaniche? Ti ricordi quando disse che la flotta yankee poteva imbottigliarci cosí strettamente che noi non avremmo piú potuto mandar fuori il nostro cotone? Egli aveva ragione. Noi combattiamo contro i nuovi fucili degli yankees, coi moschetti della Guerra Rivoluzionaria; e fra poco il blocco sarà troppo stretto per lasciar entrare anche i medicinali occorrenti. Dovevano dar retta a un cinico come Butler, che sapeva, invece che ad uomini di Stato che parlavano... e ignoravano. Infatti egli disse che il Sud non aveva nulla con cui iniziare la guerra, se non cotone e arroganza. Il nostro cotone oggi non val nulla ed è rimasto soltanto ciò che egli ha chiamato arroganza. Ma secondo me questa arroganza è coraggio incommensurabile e se...» Rossella ripiegò attentamente la lettera senza terminarla e la ficcò nella busta, troppo annoiata per continuare la lettura. Inoltre il tono di quelle parole e quegli sciocchi discorsi di disfatta la deprimevano alquanto. Dopo tutto, ella non leggeva la posta per apprendere le idee poco interessanti di Ashley. Ne aveva avuto abbastanza di ascoltarle quando in altri tempi egli sedeva sotto il porticato di Tara. La sola cosa che ella desiderava conoscere era se Ashley scriveva a sua moglie delle lettere appassionate. Fino ad ora non ne aveva scritte. Ella aveva letto tutte quelle che erano nella scatola di legno e in nessuna di esse era una frase che un fratello non avrebbe potuto scrivere a sua sorella, affettuose, umoristiche, discorsive, ma non certo le lettere di un innamorato. Rossella aveva ricevuto troppe ardenti lettere d'amore per non riconoscere a prima vista l'autentica nota della passione. E questa nota mancava. Come sempre, dopo le sue segrete letture, provò un senso di profonda soddisfazione, sentendosi sicura che Ashley l'amava ancora. La stupiva che Melania non si accorgesse che suo marito le voleva bene soltanto come a un'amica. Evidentemente non si accorgeva di ciò che mancava in quei messaggi; ma Melania non aveva ricevuto altre lettere d'amore per poter fare il confronto. «Che buffe lettere!» pensò Rossella. «Se un mio marito dovesse scrivermi di queste sciocchezze, mi farei sentire. Perfino Carlo scriveva delle lettere migliori di queste.» Fece scorrere i fogli guardando le date e ricordando il loro contenuto. E nessuno di essi conteneva descrizioni di bivacchi e di cariche come quelle che Darcy Meade scriveva ai suoi parenti o il povero Dallas McLure aveva scritto alle sorelle zitellone, Fede e Speranza. I Meade e i McLure leggevano orgogliosamente queste lettere a tutto il vicinato e Rossella aveva spesso provato un segreto senso di vergogna perché Melania non aveva lettere di Ashley da leggere ad alta voce nelle riunioni di lavoro. Sembrava che nello scrivere a Melania Ashley dimenticasse la guerra e cercasse di tracciare attorno a loro due un cerchio magico fuori del tempo, scrollando lontano da sé tutto ciò che era avvenuto da quando il Forte Sumter era il discorso del giorno. Parlava di libri che egli e Melania avevano letto, di canzoni che avevano cantato, di vecchi amici, di luoghi che egli aveva visitato in Europa. E attraverso le lettere era una malinconica nostalgia delle Dodici Querce; lunghe pagine egli dedicava a rievocare le gelide stelle di un cielo autunnale; i banchetti con la porchetta arrostita, le riunioni di pesca, le quieti notti bagnate di chiaro di luna e il fascino sereno della vecchia casa. Ella ripensò alle parole di quest'ultima lettera: «non questo!» E le sembrarono il grido di un'anima tormentata dinanzi a qualche cosa che non avrebbe voluto, eppure doveva affrontare. Ma se non temeva le ferite e la morte, che cosa erano i suoi timori? Completamente priva di spirito analitico, ella scrollò da sé questo pensiero complesso. - La guerra gli dà noia... ed egli detesta le cose che lo annoiano. Per esempio, io... Mi amava, ma ebbe paura di sposarmi perché... forse temeva che io avrei turbato il suo modo di pensare e di vivere. No; neanche precisamente paura. Ashley non è vile. Non può esserlo, dal momento che è citato all'ordine del giorno e che il colonnello Sloan ha scritto a Melly una lettera di elogi per il suo valoroso contegno nel guidare le truppe all'assalto. Quando si è messo in mente di fare una cosa, nessuno è piú deciso e piú coraggioso di lui, ma... Vive dentro di sé invece di viver fuori e detesta esser trascinato nel mondo... Mah! Non capisco. Se avessi capito questo allora, sono certa che mi avrebbe sposata. Rimase un istante a stringersi le lettere al seno, pensando con nostalgia ad Ashley. I suoi sentimenti verso di lui non erano mutati dal giorno in cui se n'era innamorata. Era la stessa emozione che l'aveva ammutolita quel giorno, - aveva quattordici anni - quando sotto il portico di Tara lo aveva visto giungere a cavallo, e sorriderle coi capelli che brillavano al sole. Il suo amore era ancora l'adorazione della giovinetta per un uomo che non riusciva a comprendere; un uomo che possedeva tutte le qualità che a lei mancavano; ma che destavano la sua ammirazione. Egli era ancora il Principe Azzurro sognato da una fanciulla, la quale non chiedeva altro guiderdone per il suo amore se non un bacio. Dopo aver letto quelle lettere, ebbe la sicurezza che egli amava lei, Rossella, benché avesse sposato Melania; e questo era quasi tutto ciò che ella poteva desiderare. Era ancora giovine e intatta. Se Carlo, con la sua goffaggine e inettitudine e con la sua imbarazzante intimità, si fosse imbattuto in una delle vene profonde di passione che erano nascoste entro di lei, i sogni della giovinetta non si sarebbero limitati a desiderare da Ashley un bacio. Ma le poche notti trascorse con Carlo non avevano toccato nulla nel suo intimo né l'avevano menomamente maturata. Suo marito non le aveva fatto comprendere che cosa poteva essere la passione, la tenerezza, la vera intimità del corpo e dello spirito. La passione a lei sembrava soltanto una servitú a un'inesplicabile follia maschile, non condivisa dalle donne; qualche cosa di doloroso e di imbarazzante che era stato una sorpresa per lei, perché prima delle nozze Elena le aveva fatto comprendere che il matrimonio è una cosa che le donne debbono sopportare con dignità e fermezza; e i commenti bisbigliati dopo la sua vedovanza dalle altre donne, avevano confermato in lei quest'idea. Rossella era dunque ben contenta di non aver piú a che fare con la passione e col matrimonio. Non aveva piú a che fare col matrimonio; ma con l'amore sí, perché il suo amore per Ashley era diverso; era qualche cosa di sacro che le toglieva il respiro, un'emozione che andava crescendo durante le lunghe giornate di silenzio forzato, e si nutriva di ricordi e di speranze. Sospirò nel legare nuovamente il nastro attorno al pacchetto e nel rimetterlo a posto. Allora aggrottò le ciglia perché le venne in mente l'ultima parte della lettera, quella che riguardava il capitano Butler. Strano che Ashley fosse rimasto impressionato da ciò che quel furfante aveva detto un anno fa. Innegabilmente il capitano Butler era un furfante, ma ballava divinamente. Solo un mascalzone poteva dire quello che egli aveva detto della Confederazione quella sera alla vendita di beneficenza. Si avvicinò allo specchio e si lisciò i capelli soddisfatta di sé. Si sentí sollevata come sempre quando vedeva la sua pelle di magnolia e i suoi occhi verdi, e sorrise per far apparire le due fossette. Quindi scacciò dalla sua mente il capitano Butler, ricordando soltanto che ad Ashley le sue fossette piacevano molto. Nessun rimorso per il fatto di amare il marito di un'altra o di leggere la posta di quest'altra turbò la gioia di vedersi giovine e bella e di sentirsi sicura dell'amore di Ashley. Riaperse l'uscio e discese a cuor leggero la scala tenuta in una semioscurità che dava un senso di fresco. A metà scala cominciò a cantare: «Quando questa guerra crudele sarà finita».

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È un serpe che abbiamo nutrito nel nostro seno! Rhett, in anticamera e col cappello in mano, udí ciò che era stato detto appunto perché lo udisse e si volse ad esaminare un istante il salone. Fissò impertinentemente il seno piatto della signora Elsing, sogghignò e, facendo ancora un inchino, uscí.

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Oggi abbiamo marciato attraverso i piú grandi campi di grano che io abbia mai visto. È di una qualità diversa dal nostro. Debbo confessare che abbiamo fatto un po' di bottino di questo grano perché abbiamo molta fame e quello che si fa senza che il generale veda, non può meritar punizione. Ma il grano verde ci ha fatto male. Tutti i miei compagni avevano la dissenteria e quel grano l'ha aggravata. È piú facile camminare con una gamba ferita che con la dissenteria. Ti raccomando, papà; cerca di procurarmi le scarpe. «Ora son capitano e un capitano dovrebbe essere calzato, anche se non ha un'uniforme nuova e le spalline.» Ma l'esercito era in Pennsylvania, e questo era l'importante. Ancora una vittoria e la guerra sarebbe finita; e allora Darcy Meade potrebbe avere tutte le scarpe che voleva e i ragazzi tornerebbero a casa e tutti sarebbero felici. Gli occhi della signora Meade si riempivano di lagrime quando ella si raffigurava il figliolo soldato, finalmente di ritorno per rimanere a casa. Il tre di luglio il telegrafo tacque improvvisamente. Fu un silenzio che durò sino al mezzogiorno del quattro, quando notizie frammentarie cominciarono a giungere al quartier generale di Atlanta. Vi era stata una violenta battaglia in Pennsylvania, presso una piccola città chiamata Gettysburg; una grande battaglia a cui aveva preso parte tutto l'esercito di Lee. La notizia era incerta perché la battaglia era stata combattuta in territorio nemico; e l'informazione era venuta attraverso Maryland, poi era giunta a Richmond e da qui ad Atlanta. L'attesa divenne ansiosa e un certo spavento cominciò a serpeggiare per la città. Le famiglie che avevano dei figlioli al fronte pregavano ardentemente che essi non si trovassero in Pennsylvania, ma coloro che li sapevano nello stesso reggimento di Darcy Meade, stringevano i denti e dicevano che era un onore per essi trovarsi alla grande battaglia che avrebbe sconfitto gli yankees per sempre. Nella casa della zia Pitty le tre donne si guardavano negli occhi con un terrore che non riuscivano a nascondere. Ashley era nel reggimento di Darcy. Il giorno cinque giunsero cattive informazioni, non dal nord, ma dall'ovest. Vicksburg era caduta, dopo lungo e amaro assedio; e praticamente tutto il Mississippi, da Saint-Louis a Nuova Orléans, era nelle mani degli yankees. La Confederazione era tagliata in due. In qualsiasi altro momento la notizia di questo disastro avrebbe dato luogo a paura e lamentazioni. Ma ora non si poteva troppo pensare a Vicksburg; vi era la preoccupazione di Lee in Pennsylvania. La perdita di Vicksburg non sarebbe stata una catastrofe se Lee avesse vinto. Da quella parte, ad est, erano Filadelfia, Nuova York, Washington. La loro cattura paralizzerebbe il nord e neutralizzerebbe la disfatta sul Mississippi. Le ore passavano e l'ombra cupa della calamità si addensava sulla città. Dovunque capannelli di donne si formavano dinanzi ai porticati, sui marciapiedi, perfino in mezzo alla strada, dicendosi che nessuna nuova è buona nuova, tentando di confortarsi a vicenda, cercando di darsi coraggio. Ma la voce spaventosa che Lee era ucciso, la battaglia perduta, e che vi era un'enorme quantità di morti e feriti si diffuse nelle strade tranquille della città come un stormo veloce di pipistrelli. Benché increduli, tutti, agitati dal panico, si precipitarono ai giornali, al Quartier Generale, chiedendo notizie, qualsiasi notizia, anche cattiva. Al deposito si formò una vera folla che sperava avere informazioni dai treni in arrivo; all'ufficio telegrafico, dinanzi al Quartier Generale, erano strane folle silenziose e che diventavano sempre piú dense. Nessuno parlava. A quando a quando la voce tremante di un vecchio chiedeva se si sapeva nulla; ma l'inesorabile risposta era sempre uguale: - Nessun telegramma ancora dal nord, se non la conferma che stanno combattendo. - Le donne che giungevano a piedi e in carrozza erano sempre piú numerose, e il calore che emanava quella moltitudine e la polvere sollevata dai piedi irrequieti erano soffocanti. Nessuna parlava, ma i volti pallidi avevano una muta eloquenza piú efficace di ogni lamento. Ben poche erano le famiglie in città che non avevano al fronte un figlio, un fratello, un padre, un amante, un marito. Tutti attendevano di udire che la morte aveva bussato alla loro casa. Attendevano la morte, non la sconfitta. Questo era un pensiero che non entrava nelle loro menti. Potevano morire a migliaia; ma, come i denti del dragone, altre migliaia di uomini, col grido dei ribelli sulle labbra, scaturirebbero dalla terra a prendere il loro posto. Nessuno sapeva da dove questi uomini sarebbero venuti. Ma erano certi, come erano certi che in Cielo regnava un Dio giusto e vigilante, che Lee era miracoloso, e l'esercito della Virginia invincibile.

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La maggior parte dei prigionieri che abbiamo preso ultimamente non sanno neanche una parola d'inglese. Sono tedeschi, polacchi, o irlandesi che parlano gaelico. Ma quando noi perdiamo un uomo, non si può sostituirlo. E quando le nostre scarpe sono consumate, non ve ne sono altre. Siamo imbottigliati, Rossella. E non possiamo lottare contro tutto il mondo. Ella pensò: «crolli la Confederazione, finisca il mondo, purché tu non muoia! Non potrei vivere se tu morissi!» - Spero che non ripeterete ciò che vi ho detto, Rossella. Non voglio allarmare gli altri. E non avrei voluto spaventare neanche voi; ma ho dovuto spiegarvi perché vi chiedevo di aver cura di Melania. È debole mentre voi siete cosí forte, Rossella! Sarà un conforto per me pensare che qualunque cosa possa accadermi, voi due siete insieme. Me lo promettete? - Oh sí! - ella esclamò, perché in quel momento, vedendogli la morte accanto, avrebbe promesso qualunque cosa. - Ashley, Ashley, non posso lasciarvi partire! Non posso aver tanto coraggio! - Dovete averlo - replicò egli; e la sua voce mutò. Era piú sonora, piú profonda, e le sue parole sgorgarono rapide. - Dovete essere coraggiosa. Altrimenti, come potrei resistere? Gli occhi di lei cercarono il suo volto con gioia, perché ella credeva di comprendere che la separazione da lei gli spezzava il cuore. Il volto di lui era cupo come quando era sceso dalla camera di Melania, ma nei suoi occhi ella non riuscí a decifrare nulla. Egli si chinò un poco, le prese il volto fra le mani, la baciò lievemente in fronte. - Rossella, Rossella! Siete cosí bella, forte e buona. Bella non per il vostro visino cosí dolce, ma per tutta voi stessa, per il vostro spirito e la vostra anima. - Oh Ashley - bisbigliò Rossella felice delle sue parole e commossa nel sentirsi le sue mani sul volto - nessun altro mi ha mai... - Mi piace credere che forse vi conosco meglio degli altri e vedo le belle cose nascoste entro di voi e che altri, troppo frettolosi osservatori, non sanno scorgere. Si interruppe lasciando ricadere le mani, ma continuando a fissarla. Ella rimase un istante, col respiro affannoso, attendendo le due parole magiche. Ma queste non vennero. Questo secondo crollo delle sue speranze fu più di quanto il suo cuore potesse sopportare. Ella sedette, con un «oh!» di disperazione infantile sentendo le lagrime che le pungevano gli occhi. E in quella udí nel viale d'accesso un rumore che la riempí di terrore. Era la carrozza che zio Pietro conduceva dinanzi alla porta per accompagnare Ashley al treno. - Addio - mormorò piano Ashley. Prese dalla tavola il feltro a larghe tese che essa si era procurato facendo delle moine a Rhett e si avviò per il vestibolo semibuio. Con la mano sulla maniglia della porta si volse, e la fissò con uno sguardo lungo, disperato, come se avesse voluto portar via con sé tutti i particolari del suo volto e della sua figura. Attraverso una nebbia di lagrime ella scorse il suo viso e, con uno strazio che la soffocava, sentí che egli se ne andava, lontano da lei, lontano dal rifugio sicuro della sua casa, fuori dalla sua vita, forse per sempre, senza aver detto le parole che ella anelava di udire. Il tempo era passato ed ora era troppo tardi. Ella corse attraverso il salotto ed afferrò i lembi della sua sciarpa. - Baciatemi - gli disse in un soffio. - Baciatemi per dirmi addio. Le sue braccia la circondarono dolcemente ed egli si curvò sul suo visino. Al primo contatto delle loro labbra, le braccia di lei si avvolsero freneticamente al suo collo. Per un attimo incommensurabile, egli strinse al suo il corpicino di lei. Quindi ella sentí i suoi muscoli irrigidirsi; e, lasciando cadere a terra il cappello, egli staccò vivamente le morbide braccia dal suo collo. - No, Rossella, no - disse a bassa voce serrandole i polsi in una stretta che le fece male. - Vi amo - bisbigliò lei soffocando. - Vi ho sempre amato. Non ho mai amato nessun altro. Sposai Carlo per... farvi dispetto. Oh, Ashley, vi amo tanto che verrei nella Virginia... a pulirvi le scarpe e cucinare per voi e strigliare il vostro cavallo... Ashley, dite che mi amate! Vivrò di queste parole fino al mio ultimo giorno! Egli si chinò rapidamente a raccogliere il suo cappello, ed ella scorse di sfuggita il suo viso: il piú infelice che ella avesse mai visto, ma da cui era scomparso ogni senso di distanza. La sua espressione rivelava il suo amore per lei, e la sua gioia che anche lei lo amasse, ma tutto ciò in un misto di vergogna e di disperazione. - Addio - disse con voce rauca. La porta si aperse e un soffio di vento freddo entrò in casa, agitando le cortine. Rossella rabbrividí vedendolo correre verso la carrozza, con la sciabola che brillava al pallido sole invernale e la sciarpa che ballonzolava gaiamente sul suo fianco.

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E vi erano coloro che, pur essendo portati sui ruoli come disertori, non avevano intenzione di disertare permanentemente; gente che da tre anni non aveva mai avuto una licenza, mentre ricevevano da casa lettere che dicevano: «Abbiamo fame. Non c'è raccolto perché non c'è nessuno per arare i campi e seminare». E il coro era sempre lo stesso: «abbiamo fame, fame, fame». Quando a costoro fu rifiutata la licenza, essi andarono a casa facendone a meno, per arare i loro campi e seminarli, per riparare le loro case e riattare le siepi. Gli ufficiali, comprendendo la situazione, scrissero allora a quegli uomini che se avessero raggiunto le loro compagnie, nessuno avrebbe detto loro nulla. E generalmente i soldati tornavano, dopo aver fatto sí che per qualche mese le loro donne e i loro bambini avessero da sfamarsi. Queste licenze «per arare» non erano considerate come «diserzione di fronte al nemico», ma indebolivano ugualmente l'esercito. Il dottor Meade si affrettò a interrompere la pausa di disagio che aveva seguito le parole di Butler. - La differenza numerica fra i due eserciti non ha mai avuto importanza, capitano Butler. Un confederato vale una dozzina di yankees. - Questo era vero prima della guerra - ribatté Butler. - E forse è ancora vero, purché il soldato confederato abbia munizioni per il suo fucile, scarpe ai piedi e cibo nello stomaco. Non è cosí, capitano Ashburn? La sua voce era dolce e piena di speciosa umiltà. Carey Ashburn si sentí a disagio. Egli pure aveva antipatia per Rhett e si sarebbe schierato volentieri col dottore; ma non poteva mentire. La ragione per cui aveva chiesto di tornare al fronte, malgrado il suo braccio invalido, era perché, a differenza dei borghesi, si rendeva conto della difficoltà della situazione. Altri uomini con una gamba di legno, ciechi da un occhio, senza un braccio o mutilati di una mano, avevano chiesto di lasciare i commissariati, i servizi ospedalieri, postali o ferroviari per raggiungere le loro unità combattenti. Sapevano che il Vecchio Joe aveva bisogno di tutti gli uomini, anche poco validi. Non rispose; e il dottor Meade, perdendo il controllo, tuonò: - I nostri uomini hanno combattuto senza scarpe e senza cibo e hanno vinto! E combatteranno e vinceranno ancora! Vi ho detto che Johnston non può essere sloggiato! I passi delle montagne sono sempre stati la difesa piú sicura di un paese. Ricordatevi... le Termopili! Rossella cercò di ricordarsi che cosa volesse dire quella parola, ma non vi riuscí. - Morirono tutti, fino all'ultimo, non è vero? - chiese Rhett, con le labbra impercettibilmente stirate da un riso represso. - Mi state insultando, giovinotto? - Dio me ne guardi, dottore! Mi fraintendete! Ho chiesto solo per informazione. Non ho molta memoria per la storia antica. - Se sarà necessario, il nostro esercito morirà fino all'ultimo uomo prima di permettere agli yankees di entrare in Georgia - ribatté il dottore con aria di sfida. - Ma non sarà necessario. Li scacceranno dalla regione con qualche scaramuccia. Vedendo che la conversazione rischiava di degenerare, zia Pitty si alzò in fretta e pregò Rossella di suonare e cantare qualche cosa. Aveva preveduto che invitando Rhett a cena avrebbe avuto qualche noia. Succedeva sempre cosí, quando egli era presente. Dio, Dio, ma che cosa trovava Rossella in quell'uomo? E Melania, perché lo difendeva sempre? Rossella rientrò in salotto e nel porticato fu un silenzio denso di risentimento contro Rhett. Credere nell'invincibilità del generale Johnston era un dovere; ma chi era tanto traditore da non credere, doveva almeno avere il buon senso di tacere. Rossella trasse qualche accordo, quindi la sua voce si levò, dolce e triste, nelle parole di una canzone popolare. «In una corsia dalle pareti imbiancate ove giacciono morti e moribondi... - feriti di baionetta, di proiettili, di schegge - in un giorno lontano nacque una creatura. «Una creatura cara a qualcuno giovine e coraggioso!, che aveva ancora sul volto pallido e dolce - fra poco celato nella polvere della tomba - la luce languida della sua grazia adolescente.» - «I riccioli d'oro sono opachi e impolverati...» - continuò malinconicamente Rossella con la sua voce di soprano un po' tremula; ma Fanny si levò a metà esclamando con voce debole e soffocata: - Canta un'altra cosa! Il piano tacque a un tratto; Rossella era rimasta stupita e confusa. Quindi si affrettò ad accennare alle battute d'introduzione di «Tunica grigia», ma si fermò all'improvviso, ricordando che anche questa canzone era troppo descrittiva. Inutile: tutte le canzoni parlavano di morte, di separazione, di dolore. Rhett si alzò in fretta, depose Wade nel grembo di Fanny ed entrò rapidamente nel salotto. - Suonate «La mia vecchia casa nel Kentucky» suggerí piano; e Rossella ubbidí, riconoscente. Alla sua voce si uní l'ottimo basso di Rhett, e quando essi cominciarono la seconda strofa, quelli che erano rimasti nel portico respirarono piú liberamente, benché anche quella non fosse una canzone eccessivamente gaia. «Ancora pochi giorni, per trasportare il pesante fardello! Impossibile renderlo piú leggero! Ancora pochi giorni, finché vacilleremo sulla strada... e poi, mia vecchia casa del Kentucky, buona notte!»

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«No, signora, abbiamo costruito troppe fortificazioni intorno alla città.» Ho sentito il Vecchio Joe dirmi personalmente: posso tenere Atlanta indefinitamente.» «Sí, se ci fosse il Vecchio Joe. Ma...» «Sta' zitto, imbecille! Che bisogno hai di spaventare le signore?» «Gli yankees non potranno mai conquistare Atlanta.» «Ma perché non andate a Macon o in qualche altro posto? Non avete parenti?» «Gli yankees non possono prendere Atlanta; ma certo sarebbe meglio che le donne non rimanessero qui, sia pure per assistere al tentativo.» L'indomani, in una giornata soffocante e piovosa, l'esercito sconfitto affluí ad Atlanta: migliaia di uomini esauriti dalla fame e dalla debolezza, demoralizzati da 70 giorni di battaglie e di ritirate, coi cavalli macilenti e spauriti, i cannoni e i cassoni tenuti insieme da pezzi di corda e strisce di vecchio cuoio. Ma non venivano col disordine di un esercito in rotta. Marciavano in buon ordine, malgrado i loro stracci, con le rosse e lacere bandiere di battaglia sventolanti sotto la pioggia. Avevano imparato a ripiegare col Vecchio Joe, il quale aveva fatto della ritirata un elemento strategico come un'avanzata. Le file di uomini barbuti e laceri percorsero la via dell'Albero di Pesco, cantando: «Maryland! O mia Maryland!»; e tutta la città venne fuori a salutarli. Vincitori o sconfitti erano i suoi soldati. La Milizia di Stato, che era andata in campo poco tempo prima, splendente nelle sue nuove uniformi, si distingueva a malapena dalle truppe stagionate, tanto i suoi componenti erano in disordine. Nei loro occhi era una nuova espressione. I tre anni, durante i quali non avevano fatto che giustificarsi, spiegando la loro assenza dal fronte, erano ormai dietro di loro. Essi avevano abbandonato la sicurezza delle retrovie per i pericoli della battaglia; molti di loro avevano lasciato una vita facile per una morte dolorosa. Ora erano dei veterani, veterani di un servizio breve, ma veterani ugualmente per la maniera in cui s'erano comportati. E cercavano nella folla i volti degli amici, fissandoli con fierezza. Adesso potevano tenere la fronte alta. I vecchi e i ragazzi della Guardia Nazionale marciavano: i primi movendo a stento il passo, e i secondi col volto di bimbi stanchi che avevano troppo presto conosciuto le tristezze della vita. Rossella scorse Phil Meade e stentò a riconoscere il suo volto nero di polvere e di sudiciume, irrigidito dallo sforzo e dalla stanchezza. Zio Enrico si avanzava zoppicando, senza cappello sotto la pioggia, col capo riparato alla meglio da un pezzo di tela impermeabile. Il nonno Merriwether era in un carro d'artiglieria coi piedi nudi avvolti in ritagli di coperte. Ma per quanto guardasse non riuscí a scorgere John Wilkes. I veterani di Jonhson, però, camminavano col passo instancabile che avevano avuto per tre anni, ed avevano ancora la forza di sorridere alle belle ragazze e di insolentire gli uomini senza uniforme. S'avviavano alle trincee che circondavano la città; non fossati scavati in fretta, ma trincee costruite in piena regola, con parapetti all'altezza del petto, rinforzati con sacchi di terra e travi di legno. Erano miglia e miglia di solchi purpurei, che attendevano gli uomini che dovevano riempirli. La folla salutava le truppe come le avrebbe salutate se fossero state vittoriose. In ogni cuore era la paura; ma ora che si conosceva la verità, ora che il peggio era accaduto, ora che la guerra era tra loro, un mutamento sopravvenne. Non vi era piú panico né isterismo. Ciò che era nel cuore non si leggeva sul volto. Ciascuno cercava di mostrarsi coraggioso e fiducioso dinanzi ai soldati. E tutti ripetevano ciò che il Vecchio Joe aveva detto proprio prima di essere esonerato dal comando: «Terrò Atlanta indefinitamente.» Ora che Hood si era dovuto ritirare, molti desideravano, come i soldati, il ritorno del Vecchio Joe; ma non osavano dirlo e si limitavano a ripetere la sua frase: «Conserverò Atlanta indefinitamente!»

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«Pioggia» pensò in un primo momento; e il suo spirito campagnolo aggiunse: «Ne abbiamo proprio bisogno». Ma dopo un attimo: «Pioggia? Ma no! È il cannone!» Col cuore che le batteva si affacciò tendendo l'orecchio al brontolio lontano, cercando di distinguerne la provenienza. Ma era cosí distante che per un momento non riuscí a capire. - Fate che venga da Marietta, Signore; - supplicò - o da Decatur. O dal Fiumicello del Pesco. Ma non dal Sud! Non dal Sud! - Si aggrappò al davanzale e in quel momento il rombo le sembrò piú forte. Veniva dal Sud. Il cannone laggiú! Al sud era Jonesboro, Tara... e Elena. Forse in questo momento gli yankees erano a Tara! Ascoltò ancora, ma il ronzio del suo sangue nelle orecchie le impedì di udire. No, non potevano essere ancora a Jonesboro. Il suono sarebbe piú indistinto. Ma dovevano essere almeno a dieci miglia sulla strada verso Jonesboro. Il cannone nel Sud poteva significare i rintocchi funebri per la caduta di Atlanta. Ma per Rossella una battaglia al Sud significava soltanto battaglia vicino a Tara. Si torse le mani e per la prima volta pensò che l'armata grigia poteva essere battuta. Fu il pensiero delle migliaia di soldati di Sherman, cosí vicini a Tara, che le fece comprendere l'orrore della guerra, piú che non l'avessero fatto il rombo dei cannoni che infrangeva i vetri delle finestre, le privazioni di cibo e di vestiario, le file interminabili di moribondi. Se anche gli yankees fossero battuti, forse indietreggerebbero sulla strada di Tara. E Geraldo non poteva fuggire con tre donne ammalate. Dalla cucina le giunse l'acciottolio di tazze: era Prissy che preparava la colazione. Ma non si udí la voce di Betsy. L'acuta e malinconica vocetta di Prissy accennò le prime note di una mesta canzone popolare... La canzone rattristò maggiormente Rossella, la quale si avvolse in uno scialle e scese nel vestibolo gridando: - Smettila di cantare, Prissy. Un malinconico «Sí, padrona» le giunse, ed ella respirò profondamente, ma con un lieve senso di vergogna. - Dov'è Betsy? - Non sapere. Non essere venuta. Rossella andò sino alla porta di Melania e aperse una fessura per guardare nella camera soleggiata. Melania era a letto, con gli occhi chiusi cerchiati di nero, il visino triangolare gonfio, e il corpo sottile completamente deformato. Rossella si augurò perfidamente che Ashley potesse vederla in quello stato, Era piú brutta di qualsiasi altra donna nelle sue condizioni. Mentre la guardava, Melania aperse gli occhi e un dolce sorriso le illuminò il volto. - Entra, - la invitò volgendosi faticosamente su un fianco. - Sono sveglia dall'alba. Vorrei chiederti una cosa. Rossella entrò e sedette sul letto, su cui battevano i raggi del sole. Melania le prese la mano, stringendola affettuosamente. - Sono preoccupata per il cannone - disse. - È verso Jonesboro, non è vero? - Uhm! - fece Rossella; e il cuore ricominciò a batterle piú in fretta. - So quanto sei turbata. La settimana scorsa, quando hai saputo che la tua mamma stava male, saresti andata a casa se non fosse stato per me! Non, è vero? - Sí - rispose Rossella sgarbata. - Cara Rossella! Sei stata cosí buona. Nessuna sorella avrebbe potuto essere piú coraggiosa e piú gentile. E io ti voglio bene per questo. Rossella la fissò. Le voleva bene? Che sciocca! - E sono stata qui a riflettere, e voglio chiederti un grande favore. - Le strinse la mano piú forte. - Se muoio, prenderai tu il mio bambino? Gli occhi di Melania erano dilatati e supplichevoli. - Lo prenderai? Rossella respinse la sua mano, presa dal terrore. Terrore che le indurí la voce. - Non essere sciocca, Melly. Non morirai. Tutte le donne credono di dover morire quando hanno il primo bambino. L'ho creduto anch'io. - No, tu non hai mai avuto paura di nulla. Lo dici per darmi coraggio. Io non ho paura di morire, ma di lasciare il bimbo se Ashley è... Rossella, promettimi di prendere il bimbo con te, se muoio. Allora non avrò piú paura. Zia Pitty è troppo vecchia; Gioia e Lydia sono buone ma... desidero che tu mi prometta di occuparti di mio figlio. E se è maschio, educalo come Ashley; se è una bambina... cara, vorrei che fosse come te. - Per la camicia di Giove! - esclamò Rossella balzando dal letto. - Ma non ci sono abbastanza tristezze perché tu debba anche parlar di morire? - Perdonami, cara. Ma promettimi. Credo che sarà per oggi. Ne sono sicura. Promettimi. - E va bene, prometto. - disse Rossella guardandola stupita. Possibile che Melania fosse tanto sciocca da ignorare veramente che voleva bene a Ashley? O sapeva tutto e pensava che appunto a causa di quell'amore Rossella avrebbe avuto cura del bambino di Ashley? Ebbe l'impulso di rivolgerle queste domande, ma tacque quando Melania le riprese la mano e la tenne per un attimo su la sua guancia. I suoi occhi erano tornati tranquilli. - Perché credi che sarà per oggi, Melly? - Perché ho avuto dei dolori fin dall'alba, ma non molto forti. - Davvero? E perché non mi hai chiamata? Mando Prissy a cercare il dottor Meade. - No, non ancora. Sai che ha tanto da fare. Gli manderai un biglietto dicendogli che a un'ora qualunque della giornata si faccia vedere. Manda a chiamare la signora Meade e pregala di stare qui. Vedrà lei quando occorrerà veramente la presenza di suo marito. - Oh, finiscila di essere cosí altruista! Sai che hai bisogno del dottore non meno di quelli che si trovano all'ospedale. Lo mando a chiamare subito. - No, ti prego. A volte ci vuole tutta una giornata prima che il bambino nasca e io non posso trattenerlo qui delle ore, mentre quei poveri ragazzi hanno bisogno di lui. Manda a chiamare la signora. Vedrà lei. - Va bene.

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Ma non abbiamo tempo di parlare. Dobbiamo andar via. - Al vostro servizio. Ma dove vi figurate di potere andare? Io sono venuto fin qui per semplice curiosità; proprio per sentire le vostre intenzioni. Non si può andare in nessuna direzione; gli yankees sono tutt'attorno. Vi è solo una strada di cui non si sono impadroniti; ed è la strada per la quale si sta ritirando l'esercito. La cavalleria del generale Steve Lee combatte verso McDonough per proteggere la ritirata dei soldati. E se voi li seguite sulla strada di McDonough, vi prenderanno il cavallo; e benché si tratti di una bestia malandata, mi è stato ben difficile rubarla. Dove volete andare, dunque? Lo guardava, ascoltando le sue parole senza udirle. Solo a questa domanda si scosse e improvvisamente vide dove doveva andare. Non vi era che un luogo, per lei. - A casa mia. - A casa vostra? A Tara? - Sí, a Tara! Oh, facciamo presto, Rhett! La guardò, come si guarda chi ha perso il cervello. - Dio benedetto! Ma non sapete che hanno combattuto tutto il giorno a Jonesboro? Per dieci miglia a nord e dieci a sud, e perfino nelle strade della città? Gli yankees debbono essere a Tara, oramai; debbono avere occupato tutta la contea. Nessuno sa dove sono, ma sono in quei pressi. Non potete andare a casa vostra! Non potete andarvi a gettare proprio nell'esercito yankee! - Voglio andare a casa mia! Voglio andare!! - Pazzerella. - Le sue parole erano rapide e la voce aspra. - Non potete andare. Anche se non vi imbattete negli yankees, sappiate che i boschi sono pieni di sbandati e di disertori di tutt'e due le parti. L'unica possibilità, è tentar di seguire le truppe per la strada di McDonough, pregando Dio che nel buio non vi vedano. Ma non potete andare a Tara. Se vi arrivate, probabilmente troverete che hanno incendiato tutto. Non vi lascerò andare. È una follia. - Voglio andare a casa mia! - E la sua voce si spezzò in un urlo. - Voglio andare a casa mia! Non potete trattenermi! Ho bisogno di mia madre! Vi ucciderò se tentate di trattenermi! Lagrime isteriche le rigavano il volto. Gli picchiò i pugni sul petto urlando ancora: - Voglio andare a casa mia! Dovessi fare tutta la strada a piedi! E improvvisamente fu tra le sue braccia, con la guancia premuta contro il suo petto e le manine che tentavano ancora di batterlo. Egli le accarezzò dolcemente i capelli scompigliati; anche la sua voce era dolce. Cosí dolce e cosí priva di scherno, che non sembrava piú la voce di Rhett Butler, ma la voce di un estraneo che sentiva di tabacco, di cognac e di cavalli; odori confortanti perché le ricordavano Geraldo. - Buona, cara, state buona. Non piangete. Andrete a casa vostra, mia povera piccola coraggiosa. Andrete a casa vostra. Non piangete. Ella sentí qualche cosa sui suoi capelli e nel suo orgasmo pensò che fossero le labbra di lui. Era cosí tenero, cosí affettuoso che Rossella desiderò di poter rimanere per sempre fra le sue braccia. Certo non potrebbe accaderle nulla di male, con quelle braccia cosí forti per proteggerla! Egli frugò in tasca, trasse un fazzoletto, le asciugò gli occhi. - Avanti, soffiatevi il naso come una brava bambina - le ordinò sorridendo - e ditemi che cosa bisogna fare. Occorre far presto. Ella si soffiò il naso ubbidiente, tremando ancora, ma non seppe dirgli nulla. Vedendo che le sue labbra tremavano e gli occhi lo fissavano smarriti, egli prese il comando. - La signora Wilkes ha avuto il bambino? Sarà pericoloso farla muovere... farle fare venticinque miglia in quel carrettino sconquassato. Meglio lasciarla con Mrs. Meade. - I Meade non sono in casa. Non posso lasciarla. - E va bene. La porteremo. Dov'è quella stupidina negra? - Sta preparando il baule. - Non si può portare un baule su quel veicolo. È quasi troppo piccolo per caricare tutte voialtre e le ruote minacciano di staccarsi senza farsi pregare. Chiamatela e ditele di prendere il piú piccolo materasso di piume che è in casa e metterlo nel carro. Rossella si sentí nuovamente incapace di muoversi; ma egli le afferrò il braccio e un po' della vitalità che lo animava sembrò passare nel corpo di lei. Se potesse lei pure essere cosí fredda e positiva! Sulla soglia del vestibolo si fermò ancora, esitante; ma egli, con leggera beffa, le disse: - E questa è l'eroica donna che mi assicurava di non temere né Dio né gli uomini? Lo fissò, con odio. - Non ho paura. - Sí, avete paura. State per svenire e io non ho sali con me. Ella batté i piedi impotente; e senza una parola prese la lampada e cominciò a salire le scale. Egli la seguiva dappresso e Rossella lo udí ridere piano tra sé. Entrò nella stanza di Wade e lo trovò rannicchiato fra le braccia di Prissy, mezzo vestito e singhiozzante sommessamente. Prissy piagnucolava. Il materassino del letto di Wade era abbastanza piccolo, sicché Prissy ricevette l'ordine di portarlo giú e metterlo nella vettura. Wade la seguí; l'interesse di ciò che accadeva calmava alquanto i suoi singhiozzi convulsi. - Venite - disse Rossella avvicinandosi verso la porta di Melania seguita da Rhett, che teneva il cappello in mano. Melania giaceva tranquilla col lenzuolo tirato su fino al mento. Era mortalmente pallida, ma i suoi occhi incavati e cerchiati di nero, erano sereni. Non parve sorpresa di vedere Rhett nella sua camera, come se fosse una cosa naturale. Cercò di sorridere, ma il sorriso le morí sulle labbra. Andiamo a casa mia a Tara - spiegò Rossella rapidamente. - Gli yankees stanno arrivando. Rhett ci accompagna. È l'unica salvezza, Melly. Melania cercò di annuire debolmente e fece un gesto verso il piccolo, Rossella prese in braccio il piccino e lo avvolse in un panno pesante. Rhett si avvicinò al letto. - Cercherò di non farvi male - disse raccogliendole intorno il lenzuolo. - Cercate di cingermi il collo con le braccia. - Melania tentò ma le sue braccia ricaddero. Egli si chinò, le passò un braccio sotto le spalle, un altro sotto le ginocchia e la sollevò dolcemente. Ella non fiatò; ma Rossella vide che si morse le labbra diventando anche piú pallida. Rhett si avviò verso la porta e mentre Rossella alzava la lampada per fargli lume, Melania fece un debole gesto verso la parete. - Che cos'è? - chiese Rhett dolcemente. - Vi prego - bisbigliò Melania cercando di indicare. - Carlo. Rhett la guardò credendo che delirasse, ma Rossella comprese e ne fu irritata. Melania desiderava il dagherrotipo di Carlo che era tra la sua sciabola e la pistola. - Ti prego - bisbigliò ancora Melania - la sciabola. - Va bene - rispose Rossella; e dopo avere fatto lume a Rhett che scendeva con precauzione, tornò indietro e staccò la sciabola e la cintura con la pistola. Sarebbe stato scomodo portar le armi insieme alla lampada avendo in braccio anche il bambino. Erano sempre le idee di Melania, che pure essendo moribonda e con gli yankees alle calcagna, si preoccupava dei ricordi di Carlo. Nel prendere il dagherrotipo vi gettò uno sguardo. Quell'uomo era stato suo marito, aveva dormito con lei alcune notti, le aveva dato un bimbo con gli occhi neri e dolci come i suoi; ed ella stentava a ricordarselo. Il piccino agitò i piccoli pugni ed emise un lieve vagito; Rossella lo guardò e per la prima volta pensò che era il bambino di Ashley. E in quell'attimo desiderò con tutte le forze che le erano rimaste che fosse suo: suo e di Ashley. Prissy risalí le scale e Rossella le porse il bambino. Discesero in fretta, con la lampada che faceva danzare ombre incerte. Nel vestibolo Rossella vide un cappello e se lo mise in fretta annodando i nastri sotto al mento. Era il cappello di lutto di Melania, e non le stava in testa, ma Rossella non riuscí a ricordarsi dove aveva messo il suo. Uscí dalla casa portando la lampada e la sciabola. Melania era sdraiata nel fondo del carro e accanto a lei erano Wade e il neonato che Prissy aveva deposto sul materasso e che ora riprese in braccio. Il carro era realmente piccolo e le sponde erano molto basse. Le ruote erano inclinate in dentro e davano l'impressione che al primo movimento si potessero staccare. Rossella diede un'occhiata al cavallo e si sentí venir meno. Era un animale piccolo e magro con la testa che pendeva quasi fino a toccare le gambe anteriori. Il suo dorso era tutto cicatrici e il respiro era quello di un cavallo bolso. - Non è un cavallo di razza, vero? - rise Rhett. - Pare che stia per esalare l'ultimo respiro fra le stanghe. Ma è quel che ho trovato di meglio. Un giorno o l'altro vi racconterò con tutti i particolari dove e come l'ho rubato, e come c'è mancato poco che mi buscassi una fucilata. Solo il mio affetto per voi mi ha fatto diventare, a questo punto della mia brillante carriera, ladro di cavalli... e di un cavallo simile. Lasciate che vi aiuti. Le prese di mano la lampada e la posò a terra. Il sedile davanti era soltanto un'assicella appoggiata sulle due sponde. Rhett prese in braccio Rossella e la posò sul sedile. «Che bellezza essere un uomo cosí forte,» pensò mentre si raccoglieva le ampie gonne. Accanto a lui non temeva nulla: né il fuoco né le esplosioni né gli yankees. Egli si arrampicò sul sedile accanto a lei e raccolse le redini. - Aspettate! - esclamò Rossella. - Ho dimenticato di chiudere la porta. Rhett scoppiò in una risata e frustò il cavallo con le briglie. - Di che ridete? - Di voi... che volete chiudere fuori gli yankees. Il cavallo si avviò lentamente, con riluttanza. La lampada sulla soglia continuava ad ardere, facendo un piccolo cerchio giallo di luce che divenne piú piccolo a misura che essi si allontanavano.

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Lo abbiamo visto ieri, come te ne intendi di bambini! Sbrigati. Io vado a cercare qualche cosa da mangiare. La ricerca fu vana, finché nell'orto trovò alcune mele. I soldati erano passati prima di lei e sugli alberi non vi era piú nulla. Quelle che trovò a terra erano per la maggior parte marce. Sollevando la gonna, si riempí il grembo delle migliori e tornò verso il carretto, sentendo che nelle scarpine le penetravano terriccio e sassolini. Perché non aveva pensato a mettere delle scarpe piú pesanti, iersera? Perché non aveva preso il cappello da sole? Perché non aveva portato qualche cosa da mangiare? Si era comportata come una stupida. Ma aveva creduto che a tutte quelle cose pensasse Rhett. Rhett! Sputò a terra, per il disgusto di quel nome. Come lo odiava! Com'era stato spregevole! E lei si era lasciata baciare... i suoi baci le erano quasi piaciuti. Doveva essere pazza... Che individuo abbietto! Giunta al carretto, divise le mele e gettò quelle che avanzavano nella parte posteriore del veicolo. Il cavallo ora era in piedi, ma pareva che l'acqua non lo avesse ravvivato molto. Di giorno sembrava anche piú miserevole che di notte. Aveva tutte le ossa fuori e il dorso era ridotto una sola piaga. Nel mettergli i finimenti, Rossella si ritraeva per non toccarlo e quando gli mise il morso in bocca vide che era completamente sdentato. Cosí vecchio? Non avrebbe potuto, Rhett, dal momento che rubava un cavallo, rubarne uno migliore? Salí sulla cassetta e lo frustò col ramo di noce americano. La bestia si avviò, respirando con difficoltà; ma cosí lentamente che Rossella si disse che certo avrebbe progredito piú velocemente a piedi. Se non avesse dovuto occuparsi di Melania e di Wade, di Prissy e del pupo! Avrebbe percorso a passo veloce la distanza che la separava da Tara e dalla mamma. Non potevano esservi piú di quindici miglia; ma col passo di quella rozza sfiancata ci vorrebbe tutto il giorno, perché sarebbe necessario fermarsi ogni tanto per farla riposare. Tutto il giorno! Guardò la strada rossigna e i solchi profondi prodotti dalle ruote dei carriaggi e delle ambulanze. Passerebbero delle ore prima di sapere se Tara esisteva ancora e se Elena vi era. Lunghe ore prima di terminare quel viaggio sotto il sole ardente. Guardò Melania che giaceva con gli occhi chiusi sotto quel sole; sciolse i nastri del suo cappello e lo porse a Prissy. - Mettiglielo sul viso. Almeno le riparerà gli occhi. - E sentendo il calore violento sul capo scoperto pensò: «Prima di sera sarò piena di lentiggini come un uovo di faraona». Non era mai stata al sole senza cappello o velo, non aveva mai tenuto le redini senza guanti, per proteggere la candida pelle delle sue mani. Eppure adesso era esposta al sole in un carretto sconquassato, con un cavallo bolso; assetata, affamata, lorda di polvere e di sudore, incapace di fare altro se non di procedere a passo lento per quella landa deserta. E dire che poche settimane prima era cosí sicura e tranquilla, nella certezza che Atlanta non sarebbe mai caduta e la Georgia non sarebbe mai invasa! Chi sa se Tara era ancora in piedi? O se anch'essa era stata spazzata via dal vento che si era scatenato sulla Georgia? Percosse con la frusta il dorso del cavallo e cercò di fargli affrettare il passo, mentre le ruote sconnesse sbalzavano lei e gli altri da un lato all'altro del carretto.

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. - Non abbiamo il tempo... - Capisci, Melania, che questo denaro significa che potremo mangiare? - Sí, cara. Lo so; ma ora non abbiamo tempo. Guarda nelle altre tasche mentre io frugo nella giberna. Le tasche dei calzoni contenevano soltanto un mozzicone di candela, un temperino, una borsa da tabacco e un pezzo di spago. Melania trasse dalla giberna un pacchetto di caffè che annusò come se fosse il piú soave dei profumi, un rimasuglio di galletta e la miniatura di una bambina in una cornicetta d'oro ornata di perline, una spilla di granati, due larghi braccialetti d'oro, due catenelle e un ditale anche d'oro, una tazza d'argento da bambino, un anello con un solitario, un paio di forbici d'oro e un paio di pendenti di brillanti a forma di pera che anche ai loro occhi inesperti sembrarono essere non meno di un carato ciascuno. - Un ladro! - mormorò Melania ritraendosi con ribrezzo. - Deve aver rubato tutto questo! - Senza dubbio. Ed era venuto qui sperando di rubare ancora qualche altra cosa. - Hai fatto bene a ucciderlo - e i dolci occhi di Melania s'indurirono. - Ma ora bisogna sbrigarsi. Rossella si chinò e afferrò i piedi del morto. Ma com'era pesante e come si sentí improvvisamente debole! E se non riuscisse a smuoverlo? Si volse di spalle e mettendosi sotto le braccia quei piedi, cominciò a tirare. Il suo piede ammalato che nell'eccitazione aveva dimenticato, ora le dava una sofferenza che le faceva stringere i denti, costringendola a portare tutto il proprio peso sul calcagno. Sforzandosi e sudando riuscí a trascinarlo per tutto il vestibolo, lasciandosi dietro una traccia rossa. - Se fa sangue nel cortile, non potremo nasconderlo - disse rabbrividendo. - Dammi il tuo accappatoio, Melania, glie lo avvolgerò intorno alla testa. Il volto pallido di Melania divenne vermiglio. - Non fare la sciocca, nessuno ti guarda. Se io avessi una sottoveste o delle mutandine, le adoprerei. Accoccolandosi presso la parete, Melania si sfilò l'accappatoio cencioso e lo porse a Rossella, cercando di coprirsi il seno alla meglio con le braccia. «Meno male che io non ho tanto pudore» pensò Rossella sentendo piú che vedere, l'imbarazzo di Melania, mentre ella avvolgeva la tela attorno al viso in poltiglia. Riuscí a trascinare il corpo fino al porticato posteriore e, fermandosi per asciugarsi la fronte col dorso della mano, diede un'occhiata verso Melania che era rannicchiata contro la parete con le ginocchia piegate contro il petto nudo. «Era proprio il momento di stare a pensare al pudore!» disse fra sé Rossella; ma subito dopo si vergognò. Dopo tutto... dopo tutto Melania si era trascinata fuori dal letto per venire in suo aiuto con un'arme troppo pesante per lei. C'era voluto del coraggio, quella specie di coraggio che Rossella riconosceva lealmente di non possedere; quel coraggio tutto d'un pezzo che aveva caratterizzato Melania nella terribile notte della resa di Atlanta e durante il lungo viaggio verso casa. Era l'intangibile, incrollabile coraggio dei Wilkes, qualità che Rossella non possedeva, ma a cui rendeva omaggio. - Torna a letto - le disse voltandosi. - In questo modo arrischi la vita. Pulirò io dopo averlo sepolto. - Ma no; strofinerò con uno di quei tappeti vecchi - sussurrò Melania guardando la pozza di sangue col viso sconvolto. - Ah, be', se vuoi proprio star male, io poi non verrò a curarti! Piuttosto, se qualcuno ritorna prima che io abbia finito, trattienilo in casa e digli che il cavallo è venuto qui non si sa da dove. Melania rimase rannicchiata contro la parete e si coperse le orecchie per non udire la serie di colpi prodotti dalla testa del morto che batteva contro i gradini. Nessuno domandò da dove era venuto il cavallo; era ovvio che fosse un superstite della recente battaglia e tutti furono troppo contenti di averlo. Nessuno spettro si levò dalla tomba scavata da Rossella per spaventarla durante le lunghe notti in cui la stanchezza le impediva di dormire. Nessun sentimento di orrore o di rimorso l'assaliva; e ciò la stupiva perché ella sapeva che fino a un mese prima sarebbe stata incapace di quel gesto. La graziosa e giovane signora Hamilton, con le sue fossette e i suoi pendenti sempre in moto, che riduceva in poltiglia il viso di un uomo e poi lo seppelliva in una fossa scavata frettolosamente! Rossella sogghignò pensando alla costernazione che una simile idea avrebbe dato a coloro che la conoscevano. - Non voglio piú ricordarmene - decise. - Oramai la cosa è fatta e sarei stata molto stupida se non l'avessi ammazzato. Ma credo di essere cambiata parecchio da quando sono tornata a casa, altrimenti non avrei potuto. Era effettivamente cambiata piú di quanto non immaginasse, e la corazza che aveva cominciato a formarsi attorno al suo cuore quel giorno in cui ella giaceva nell'orto degli schiavi alle Dodici Querce, si andava a poco a poco indurendo. Ora che aveva un cavallo, Rossella poteva pensare a informarsi di quel che fosse accaduto ai vicini. Da quando era arrivata a casa si era chiesta disperatamente mille volte: «Ma siamo proprio i soli rimasti nella Contea? Tutto è stato incendiato, tutti si sono rifugiati a Macon?» Con la memoria fresca della rovina delle Dodici Querce e delle abitazioni dei MacIntosh e degli Slattery, aveva paura, quasi, di apprendere la verità. Ma era meglio sapere il peggio che ignorarlo. Decise quindi recarsi prima alla casa dei Fontaine, non perché fossero i piú vicini, ma perché poteva esservi il vecchio dottor Fontaine; e Melania aveva bisogno di un medico. Non si andava rimettendo come avrebbe dovuto e Rossella era spaventata del suo pallore e della sua debolezza. Non appena il suo piede le permise d'infilare una scarpina, ella montò quindi il cavallo dello yankee. Con un piede in una staffa accorciata e l'altra gamba di traverso sul pomo della sella, ella si avviò attraverso i campi, verso Mimosa. Con sua sorpresa e piacere vide che la casa giallo-pallido era ancora ritta fra gli alberi di mimosa. Una felicità che le fece quasi venire le lagrime la invase quando vide uscire dalla casa le tre signore Fontaine che le diedero il benvenuto con baci ed esclamazioni di gioia. Ma quando i primi saluti affettuosi furono scambiati, e tutte si riunirono nella sala da pranzo, Rossella ebbe un brivido. Gli yankees non erano arrivati a Mimosa, perché questa era lontana dalla strada principale; perciò i Fontaine avevano ancora la loro casa e le loro provviste. Ma a Mimosa regnava lo stesso strano silenzio che opprimeva Tara e tutta la regione. Tutti gli schiavi, ad eccezione di quattro serve, erano fuggiti, spaventati dall'avvicinarsi degli yankees. Non un uomo in casa a meno che non si volesse calcolare come tale il bambino di Sally, il piccolo Joe appena fuori dalle fasce. Nella grande casa erano sole la nonna Fontaine, ormai settantenne, sua nuora che era sempre stata chiamata la signora giovane, benché avesse compiuto i cinquant'anni, e Sally che ne aveva appena compiuto venti. Quantunque isolate e prive di qualsiasi protezione, non mostravano terrore; probabilmente, - pensò Rossella - perché Sally e la signora giovane troppo temevano l'indomabile nonna che aveva sempre avuto occhi e lingua ugualmente acuti, per osare lamentarsi. Fra le tre donne non esisteva parentela di sangue, ed esse erano di età assai diversa; ma pure erano unite da un legame di spirito e di esperienza. Tutte portavano abiti neri tinti in casa, tutte erano tristi, preoccupate e amareggiate; ma questi sentimenti non trapelavano dai loro sorrisi e dalle loro parole. I loro schiavi erano fuggiti, il loro denaro non valeva nulla, il marito di Sally era morto a Gettysburg e anche la signora giovane era vedova, essendo il giovane dottor Fontaine morto di dissenteria a Vicksburg. Gli altri due ragazzi, Alex e Toni, erano nella Virginia; e nessuno sapeva se erano vivi o morti; il vecchio dottor Fontaine era rimasto con la cavalleria di Wheeler. - E quel vecchio pazzo, a settantatré anni cerca di fare il giovinotto benché sia pieno di reumatismi - disse la nonna, fiera di suo marito, con gli occhi che smentivano le parole aspre. - Sapete nulla di ciò che sta succedendo ad Atlanta? - chiese Rossella dopo che si furono messi a sedere. - Noi a Tara siamo completamente privi di ogni notizia. - Qui siamo nella stessa condizione, figliola - rispose la vecchia. - Sappiamo soltanto che Sherman si è finalmente impadronito della città. - Ed ora che sta facendo? Dove sta combattendo? - Come vuoi che tre povere donne isolate in campagna sappiano qualche cosa della guerra, quando da settimane non abbiamo visto né una lettera né un giornale? - replicò la vecchia aspramente. - Uno dei nostri negri ha parlato con un altro che ne aveva visto un terzo che era stato a Jonesboro. Hanno detto che gli yankees si erano acquartierati ad Atlanta per far riposare uomini e cavalli; ma non so se sia vero. - Pensare che eravate a Tara e non lo sapevamo! - esclamò la signora giovane. - Come mi rimprovero di non essere mai venuta a vedere! Ma qui c'è tanto da fare dopo che i negri sono andati via, che non mi sono mai potuta muovere. Avrei pur dovuto trovare il tempo; era un dovere. In verità credevamo che gli yankees avessero bruciato Tara, come hanno fatto per le Dodici Querce e per la casa di MacIntosh, e che i vostri si fossero rifugiati a Macon. Non immaginavamo mai che voi, Rossella, foste tornata. - E come potevamo pensare diversamente, se i negri del signor O'Hara, quando passarono di qui, erano tutti spaventati e ci dissero che gli yankees stavano per incendiare Tara? Una sera, poi, vedemmo i riflessi del fuoco da quella parte, e durarono per delle ore; e i nostri stupidi schiavi si spaventarono tanto che fuggirono. Che cosa fu bruciato? - Tutto il nostro cotone: un valore di centocinquantamila dollari - rispose Rossella amaramente. - Ringrazia Dio che non abbiano bruciato la tua casa - replicò la nonna, appoggiando il mento al suo bastone. - Il cotone si può coltivare ancora, mentre la casa non si ricostruisce. A proposito, avete cominciato a raccogliere il cotone, voialtri? - No, - rispose Rossella; - ma è quasi tutto rovinato. Non credo che ve ne sia piú di tre balle. E poi, tutti i nostri negri-contadini se ne sono andati e non c'è nessuno per raccoglierlo. - Dio mio, tutti i contadini andati via e nessuno per raccoglierlo! - scimmiottò la nonna, lanciando a Rossella uno sguardo satirico. - E le tue belle manine, e quelle delle tue sorelle? - Io raccogliere il cotone? - esclamò Rossella inorridita, come se la nonna avesse suggerito un delitto. - Come una contadina? Come una stracciona? Come le donne di Slattery? - Straccioni! Dio mio, com'è delicata e signorile questa generazione! Ti dirò che quando io ero una bambina, mio padre perse tutto il suo patrimonio, e io non ebbi paura di lavorare con le mie mani, anche nei campi, finché papà non mise assieme abbastanza denaro per comprare degli altri schiavi. Ho zappato la terra, ed ho raccolto il cotone, e se sarà necessario, lo farò ancora. - Ma allora - esclamò la nuora lanciando sguardi imploranti alle due ragazze perché la aiutassero a lisciare le penne rabbuffate della vecchia, - erano altri tempi, e adesso tutto è cambiato! - I tempi non cambiano mai quando c'è bisogno di lavorare - affermò la vecchia senza lasciarsi addolcire. - Ed io mi vergogno per te, Rossella, di sentirti parlare come se il lavoro onesto fosse una cosa indegna. Per cambiare argomento Rossella si affrettò a chiedere: - E che notizie dei Tarleton e dei Calvert? Si sono rifugiati a Macon? Hanno avuto la casa incendiata? - Gli yankees non sono arrivati a casa Tarleton, perché come la nostra, è lontana dalla strada maestra; ma sono andati dai Calvert e hanno rubato tutte le provviste e il pollame, e hanno fatto fuggire tutti i negri. Era Sally che aveva cominciato a parlare, ma la nonna l'interruppe. - Sicuro! Promisero a tutte le negre abiti di seta e orecchini d'oro! E Catina Calvert ha raccontato che alcuni soldati son partiti portando in groppa delle stupide negre. I risultati saranno dei bambini gialli, e non credo che il sangue yankee migliorerà. - Oh, mamma! - Non fare quella faccia scandalizzata, Giovanna. Siamo tutte maritate, no? E Dio sa che abbiamo visto dei bambini mulatti anche prima di ora! - Come mai non hanno bruciato la casa dei Calvert? - La casa è stata salvata per gli sforzi combinati della seconda signora Calvert e di quel suo sorvegliante yankee, Hilton - rispose la vecchia signora, la quale parlava sempre della ex- governante come della o seconda signora Calvert» benché la prima fosse oramai morta da venti anni. «Noi siamo simpatizzanti con l'Unione» - continuò con voce nasale e strascicata rifacendo l'accento yankee. Ed affermò che tutti i Calvert erano yankees. Pensare che il signor Calvert è morto nel Wilderness! E Raiford a Gettysburg e Cade è nella Virginia, con l'esercito! Catina era cosí mortificata che avrebbe preferito che la casa fosse incendiata! Disse che Cade diventerebbe idrofobo il giorno in cui, tornando a casa, venisse a saperlo. Ma questo è ciò che accade quando un uomo sposa una yankee: né orgoglio né dignità; non pensano che alla loro pelle... Ma come mai non hanno incendiato Tara, Rossella? Per un attimo Rossella tacque. Sapeva che la domanda seguente sarebbe: «E come state tutti? Come sta la cara mamma?» E non poteva, no, non poteva dire che Elena era morta. Sapeva che se avesse pronunciato quella parola dinanzi a quelle donne simpatiche sarebbe scoppiata in lagrime; e non doveva piangere. Non aveva pianto da quando era arrivata a casa; ed era certa che se aprisse la via alle lagrime, tutto il suo coraggio svanirebbe. Ma capiva anche che se taceva, le Fontaine non le perdonerebbero mai di aver loro nascosto quella notizia. - Suvvia, parla - proseguí con asprezza la vecchia. - Non lo sai? - Ecco: io sono arrivata a casa l'indomani della battaglia - rispose in fretta - e gli yankees erano andati via. Il babbo mi disse che... non avevano bruciato la casa perché Súsele e Carolene stavano tanto male che non si poteva trasportarle altrove. - È, la prima volta che sento dire che uno yankee si è comportato come si deve. - La vecchia signora sembrava si rammaricasse di dovere riconoscere un sentimento umano negli invasori. - E ora come stanno le ragazze? - Molto meglio; ma sono debolissime. - Poi, vedendo la domanda sulle labbra della vecchia signora, si affrettò a cambiare conversazione. - Volevo appunto... volevo chiedervi se potete prestarci qualche cosa da mangiare. Gli yankees hanno distrutto tutto, come uno stormo di cavallette. Ma se siete poco provviste, ditemelo francamente e... - Manda Pork con un carretto e ti daremo la metà di quello che abbiamo: riso, farina, prosciutto, qualche pollo. - No, questo è troppo! Io... - Non una parola! Non voglio sentirla. Altrimenti, perché si sarebbe vicini? - Siete cosí buona che non so... Ma ora debbo andare. A casa saranno preoccupati di non vedermi ancora tornare. La nonna si alzò bruscamente e prese Rossella per un braccio. - Voi due rimanete qui - disse alle altre. - Debbo dire una parola a Rossella. Aiutami a scendere gli scalini, Rossella. La signora giovane e Sally salutarono Rossella, promettendo di andare presto a trovarla. Erano divorate dalla curiosità di sapere di che cosa dovesse parlare la nonna; ma sapevano che questa non lo avrebbe mai detto. Con la mano sulla briglia del cavallo, Rossella attendeva, col cuore angosciato. - Ora dimmi: - cominciò la vecchia - che cosa c'è che non va bene a Tara? Che cosa ci nascondi? Rossella fissò gli occhi acuti che la guardavano e comprese che potrebbe parlare senza piangere. Nessuno piangeva dinanzi alla nonna Fontaine, a meno che non ne avesse il permesso da lei. La mamma è morta - disse piano. La mano appoggiata al suo braccio si strinse e le palpebre grinzose ebbero un battito. - L'hanno uccisa gli yankees? - È morta di tifo. Il giorno prima del mio arrivo. - Non ci pensare. - La voce era severa; e Rossella vide che la nonna inghiottiva con sforzo. - E tuo padre? - Il babbo è... il babbo non è piú lo stesso. - Che vuoi dire? È ammalato? - Il colpo... è cosí stranito... non è... - Non dirmi che non è piú in sé. Il colpo gli ha toccato il cervello? Fu un sollievo per lei udire enunciare cosí schiettamente la verità. Com'era buona la vecchia a non dirle parole di simpatia che l'avrebbero fatta piangere! - Sí - rispose con tristezza - ha perduto il senno. Sembra come addormentato e a volte non si ricorda che la mamma è morta. Rimane delle ore ad aspettarla pazientemente, lui che era cosí impaziente! Ma è peggio quando si ricorda... Improvvisamente balza in piedi e corre fuori di casa, fino al nostro cimitero. Ritorna trascinandosi, con gli occhi pieni di lagrime e dice: «Caterina Rossella, la mamma è morta. La mamma è morta». E lo ripete all'infinito, tanto che mi par di impazzire. Di notte, qualche volta, sento che la chiama; allora scendo dal letto e vado a dirgli che è andata a trovare uno schiavo ammalato. E lui brontola perché dice che si strapazza sempre per curare gli altri. È difficile farlo tornare a letto: è come un bambino. Come vorrei che il dottor Fontaine fosse qui! So che farebbe qualche cosa per il babbo. E anche Melania ha bisogno del medico. Non si è rimessa come dovrebbe dopo il parto e... - Melly... un bambino? Ed è con te? - Sí. - E perché non è a Macon con sua zia e i suoi parenti? Non mi pareva che tu avessi gran simpatia per lei, benché fosse sorella di Carlo. Andiamo, via, raccontami. - È un po' lungo, nonna Fontaine. Non volete rientrare in casa e mettervi a sedere? - Posso stare in piedi - fu la breve risposta. - E se racconti la storia dinanzi alle altre, si mettono a piangere e ti fanno commuovere e dopo ti senti male. Avanti, racconta. Rossella cominciò semplicemente a narrare l'assedio e lo stato di Melania; e mentre andava avanti, trovava negli occhi che la fissavano le parole di sgomento e di orrore che da principio le erano mancate. Tutto le tornò in mente: il calore estenuante della giornata in cui era nato il bimbo, il terrore, la fuga, l'abbandono di Rhett. Parlò dell'oscurità della notte, dei fuochi che potevano essere di amici o di nemici, degli uomini e dei cavalli morti che aveva incontrato lungo la strada, delle rovine fumiganti, della fame, della desolazione, della paura che anche Tara fosse bruciata. - Credevo che arrivando a casa avrei deposto il tremendo fardello. Credevo che mi fosse già accaduto quanto di peggio poteva accadere; ma quando seppi che era morta, compresi che cosa era veramente il peggio. Abbassò gli occhi e attese che la nonna dicesse una parola. Il silenzio era cosí prolungato che temette di non essere stata compresa. Finalmente udí la voce; parlava con un tono di bontà assolutamente nuovo. - Figliuola, è male per una donna trovarsi di fronte al peggio che le può accadere, perché dopo di questo non ha piú paura di nulla. Ed è male, per una donna, non aver paura di nulla. Credi che non capisca tutto quello attraverso cui sei passata? Ho capito benissimo. Avevo circa la tua età quando avvenne la rivolta degli indiani, dopo il massacro del Forte Mims... - la sua voce era stranamente lontana - e riuscii a nascondermi fra i boschi e vidi la nostra casa incendiata e i miei fratelli e sorelle scotennati dagli indiani. E io non potevo fare altro che supplicare il Cielo perché la luce delle fiamme non rivelasse il mio nascondiglio. Trascinarono fuori mia madre e la uccisero a pochi metri dal luogo dove io ero sdraiata nel sottobosco. E anche a lei tolsero il cuoio capelluto; e ogni indiano le ficcava il suo tomahawk nel cranio. Io ero la beniamina della mamma... e vidi tutto questo. La mattina mi avviai all'accampamento piú vicino, che era a circa trenta miglia. Mi ci vollero tre giorni, attraverso le paludi e gli indiani; i nostri, quando li trovai, mi credettero pazza... Là conobbi il dottor Fontaine, che si occupò di me. Sono passati cinquant'anni; e da allora non ho mai piú avuto paura di nulla, perché sapevo che nulla di peggio potrebbe ormai accadermi. Dio vuole che le donne siano creature timide; in una donna che non ha paura è qualche cosa di innaturale... Rossella, cerca che ti rimanga sempre qualche cosa di cui temere... e cerca che ti rimanga qualche cosa da amare... Tacque e rimase con gli occhi fissi, come se rivedesse il giorno in cui aveva avuto paura, mezzo secolo prima. Rossella si mosse impaziente. Aveva creduto che la nonna l'avrebbe compresa e forse l'avrebbe aiutata a risolvere i suoi problemi. Ma, come tutti i vecchi, si era messa a parlare di cose avvenute tanto e tanto tempo prima; cose che non interessavano nessuno. Si pentí di essersi confidata a lei. - Ora vai, bambina; altrimenti a casa staranno in pensiero - riprese a un tratto la vecchia signora. - Manda Pork col carretto oggi nel pomeriggio... E non credere di poter deporre il tuo fardello, perché non lo puoi. Lo so.

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Non debbono sapere che abbiamo paura. E poiché il bimbo continuava a stringerle la sottana, gli disse: - Sii un bravo omino, Wade. Non è altro che un pugno di maledetti yankees. E discese i gradini per andare a incontrarli.

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Quella strega che abbiamo visto a cavallo deve aver dato l'allarme. - Avete scavato sotto alla dispensa? Di solito è lí che nascondono i valori... - Non c'è dispensa. - E nelle capanne dei negri? - Solo del cotone. Lo abbiamo incendiato. Rossella rivide le lunghe giornate ardenti nel campo di cotone, sentí nuovamente il tremendo dolore alla schiena e alle spalle. Tutto invano. Il cotone era distrutto. - Non siete molto provvista, eh, signora? - Il vostro esercito è già stato qui, prima - rispose ella freddamente. - Infatti. Eravamo in questi paraggi nel settembre - disse uno degli uomini rigirando tra le mani qualche cosa. - Me n'ero dimenticato. Rossella vide che era il ditale d'oro di Elena. Quante volte lo aveva visto brillare mentre Elena lavorava! Ed eccolo nella mano callosa e sudicia di uno yankee e fra breve nel dito di una donna yankee che sarebbe fiera di usare una cosa rubata! Il ditale di Elena! Rossella chinò la testa perché il nemico non la vedesse piangere, e le sue lagrime caddero sul capo del piccino. Come attraverso una nebbia vide gli uomini muovere verso la porta, udí i comandi del sergente. Se ne andavano e Tara era salva... Ma tormentata dal ricordo di Elena, non riuscí ad esserne contenta. Il rumore delle sciabole e degli zoccoli le diede scarso sollievo ed ella si sentí improvvisamente stanca ed abbattuta, mentre la pattuglia percorreva il viale, tutti gli uomini carichi di oggetti di vestiario, coperte, quadri, galline ed anatre; e la scrofa. Alle sue narici giunse un odore di fumo ed ella si volse, troppo stanca per preoccuparsi del cotone. Attraverso le finestre aperte della sala da pranzo vide il fumo alzarsi pigramente dalle capanne dei negri. Era il cotone che ardeva. Il denaro delle tasse e parte del denaro che doveva aiutarli a trascorrere quel terribile inverno. Non vi era nulla da fare: solo guardare. Aveva visto altre volte ardere del cotone, e sapeva com'era difficile spegnerlo, anche con l'aiuto di parecchi uomini. Grazie a Dio, il quartiere degli schiavi era abbastanza lontano dalla casa! E non vi era vento che portasse le scintille sul tetto di Tara! A un tratto balzò in piedi irrigidita, fissando con orrore l'estremità del vestibolo, dove sboccava il passaggio coperto che conduceva alla cucina. Da quella parte veniva del fumo! Posò un attimo il bambino. Si liberò dalla stretta di Wade, balzò nella cucina piena di fumo, indietreggiò tossendo, con gli occhi pieni di lagrime. Entrò di nuovo, tenendosi la gonna contro il naso: la stanza, illuminata solo da una finestrella, era quasi buia; il fumo era talmente denso che non si vedeva nulla attraverso. Però udiva il crepitio delle fiamme, e cercando di ripararsi gli occhi con la mano, scorse sottili lingue di fiamme che dal pavimento correvano verso le pareti. Qualcuno aveva sparso per la stanza i pezzi di legno che ardevano nel focolare, e il pavimento di legno di pino si stava bruciando rapidamente. Tornò di corsa nella sala da pranzo e afferrò un grosso tappeto, facendo cadere con fracasso due sedie. - Non riuscirò a spegnerlo... Dio, Dio se ci fosse qualcuno per aiutarmi! Tara è finita... finita! Dio, Dio! - Ecco che cos'era il ricordo che le aveva lasciato quel farabutto... - Avrei fatto meglio a lasciargli la spada! Riattraversando il vestibolo vide suo figlio giacente nell'angolo con la sua spada: aveva gli occhi chiusi e il suo visino aveva un'espressione di pace indicibile. «Dio mio! È morto! Morto di paura!» pensò con angoscia. Ma balzò al secchio d'acqua che era sempre nel corridoio. Immerse nell'acqua l'estremità del tappeto e trattenendo il respiro penetrò nuovamente nella stanza piena di fumo, sbattendo la porta dietro di sé. Due volte le sue lunghe gonnelle presero fuoco, ed ella spense le fiamme stringendole tra le mani. Sentiva l'odore dei suoi capelli che ardevano, perché le forcine erano cadute e le trecce le ondeggiavano sulle spalle. Le fiamme correvano intorno a lei, verso i muri del passaggio coperto, serpenti rossi che si contorcevano e balzavano; vinta dall'esaurimento, comprese che non vi era piú speranza. L'uscio si spalancò e il soffio d'aria fece balzare le fiamme piú in alto. Mezza accecata, Rossella vide Melania che calpestava le fiamme, le batteva con qualche cosa di oscuro e di pesante. La vide vacillare, la sentí tossire, vide il suo corpicino agitarsi. Per un'altra eternità lottarono, fianco a fianco; e Rossella vide che le strisce di fiamma diventavano piú brevi. A un tratto Melania si volse verso di lei e con un grido la percosse violentemente tra le spalle. Poi Rossella cadde in un vortice di fumo e di oscurità. Quando riaperse gli occhi, era coricata nel porticato posteriore, col capo posato sulle ginocchia di Melania; sul suo volto brillava il sole pomeridiano. Le capanne degli schiavi erano avvolte in dense nuvole di fumo e l'odore del cotone che bruciava era intollerabile. Rossella vide nuvolette di fumo levarsi anche dalla cucina e fece per alzarsi freneticamente. Ma fu respinta dalla voce tranquilla di Melania. - Resta coricata, cara. Il fuoco è spento. Rimase quieta per un momento, sospirando di sollievo, con gli occhi chiusi, e udí accanto a sé il gemito sottile del piccino e il rassicurante singulto di Wade. Non era morto, grazie a Dio! Aperse gli occhi e guardò Melania. Aveva i riccioli abbruciacchiati e il viso nero di fuliggine, ma i suoi occhi brillavano di eccitazione e la bocca sorrideva. - Sembri una negra - mormorò Rossella riappoggiando il capo sul morbido guanciale. - E tu, uno spazzacamino. - Perché mi hai battuta? - Perché avevi il dorso in fiamme. Non pensavo che saresti svenuta, benché oggi tu ne abbia sopportate abbastanza da far morire chiunque... Sono tornata indietro appena ho messo tutto in salvo nel bosco. Mi sentivo morire, sapendoti sola qui col piccolo... Ti... ti hanno fatto male? - Se intendi che mi abbiano violentata, posso assicurarti di no. - Ed emise un gemito mentre tentava di sollevarsi a sedere. Il grembo di Melania era morbido, ma il pavimento del porticato era tutt'altro che comodo. - Ma hanno rubato tutto, tutto. Abbiamo perduto tutto... Ma perché hai quell'aria contenta? - Perché ci siamo ancora noi, una per l'altra, e abbiamo i nostri bimbi... e un tetto. E nessuno al giorno d'oggi può sperare di aver di piú... Dio mio, Beau è bagnato! Immagino che avranno rubato anche i suoi pannolini di ricambio... Ma... che diamine c'è nelle sue fasce, Rossella? Spaventata, ficcò la mano tra le fasce del piccolo e trasse il portafogli. Per un attimo lo guardò come se non lo avesse mai visto; poi cominciò a ridere, a ridere di un riso isterico. - Nessun altro sarebbe stato capace di pensarlo! - esclamò; e gettando le braccia al collo di Rossella la baciò. - Sei un vero tesoro! Rossella si lasciò abbracciare perché era troppo stanca per lottare; perché le parole di lode erano un balsamo per il suo cuore e perché, nella cucina piena di fumo, aveva provato un immenso rispetto per sua cognata, e uno stretto senso di cameratismo. «Bisogna ammettere» disse fra sé rimuginando «che è sempre presente quando c'è bisogno di lei.»

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La guerra non può piú durare a lungo: non abbiamo piú uomini e i disertori sono numerosissimi; molto di quanto si voglia riconoscere. Non vi sono viveri, e senza mangiare non si può combattere. Lo so perché sono addetto appunto al vettovagliamento. Ho percorso in tutti i sensi questa regione da quando abbiamo ripreso Atlanta: non vi è di che nutrire un uccellino. E lo stesso è per trecento miglia a sud di Atlanta. Il popolo muore di fame; le ferrovie sono distrutte; non abbiamo piú fucili, le munizioni si stanno esaurendo e non vi è cuoio per le scarpe... Perciò, siamo alla fine. La fine delle speranze della Confederazione turbò Rossella meno delle notizie sulla scarsità di viveri. Se quanto diceva Franco era vero, era inutile mandare Pork col denaro degli Stati Uniti a cercare di procurare qualche cosa... Ma Macon non era caduta. A Macon dovevano esservi dei viveri. Appena il commissario del dipartimento fosse ripartito, ella manderebbe Pork a Macon. Pazienza: correrebbe il rischio che il cavallo fosse requisito dall'esercito! Ma valeva la pena di tentare. - Bene, non parliamo di cose spiacevoli stasera, Mr. Kennedy - disse. - Andate nello studietto della mamma; vi manderò Súsele, cosí potrete... insomma, avrete un colloquio con lei. Sorridendo, rosso di emozione, Franco uscí dalla stanza: Rossella lo seguí con lo sguardo. «Peccato che non possa sposarla adesso» pensò. «Sarebbe una bocca di meno in casa.»

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Perché abbiamo combattuto? Il mio povero Joe? Il mio povero bimbo! - Non so perché abbiamo combattuto - rispose Rossella - e non me ne importa. Non mi ha mai interessato. È cosa che riguarda gli uomini, non le donne. Quello che m'importa, adesso, è di fare un buon raccolto di cotone. Ora prendi questo dollaro e compra un vestitino al piccolo che ne ha bisogno. Malgrado tutta la cortesia di Alex e di Toni, non intendo di privarvi del vostro granturco. I giovinotti l'accompagnarono al carro, l'aiutarono a salire, cortesi malgrado i loro stracci, gai con la volubile gaiezza dei Fontaine; ma ella partí da Mimosa portando dinanzi agli occhi il quadro della loro indigenza. Cade Calvert era a casa; nel salire le scale della casa dov'era stata tante volte a ballare, Rossella vide che egli aveva la morte scritta sul viso. Era emaciato e tossiva, sdraiato in una poltrona al sole, con uno scialle sulle ginocchia; ma i suoi occhi si illuminarono quando la videro. Cercò di alzarsi per salutarla, dicendo che aveva un po' di bronchite, dovuta all'aver dormito sotto la pioggia. Ma guarirebbe presto e darebbe anche lui una mano a lavorare. Catina Calvert uscí dalla casa udendo le voci; Rossella incontrò il suo sguardo al disopra della testa del fratello e vi lesse un'amara disperazione. Forse Cade ignorava, ma Catina sapeva. La casa aveva un'aria desolata e trascurata; Catina era magra e sciupata. Nella casa vivevano, oltre a loro due, le quattro piccole sorellastre, la matrigna yankee e il sorvegliante Hilton, per il quale Rossella aveva sempre nutrito la stessa antipatia che nutriva per il proprio sorvegliante, Giona Wilkerson. Lo trovò anche piú antipatico adesso che venne fuori a salutarla come un uguale. Prima aveva lo stesso misto di servilismo e di impertinenza di Wilkerson; ma ora, con la morte del signor Calvert e di Raiford, e con Cade ammalato, il servilismo era scomparso. La seconda signora Calvert non era mai riuscita a farsi rispettare dai suoi negri; non ci si poteva dunque aspettare che si facesse rispettare da un bianco. - Il signor Hilton è stato molto buono a rimanere con noi in questi momenti difficili - disse nervosamente la signora Calvert, lanciando rapide occhiate alla sua silenziosa figliastra. - Molto buono. Avrete saputo che ha salvato la nostra casa due volte quando Sherman è stato qui. Non so come avremmo fatto senza di lui, prive di denaro e... Rossella vide una vampa di rossore salire al viso di Cade; Catina abbassò le palpebre mentre la sua bocca s'induriva; per entrambi era un'atroce sofferenza il dovere gratitudine al loro sorvegliante yankee. La signora Calvert era lí per piangere. Aveva commesso una goffaggine, come sempre. Non riusciva ancora a comprendere i meridionali, benché vivesse in Georgia da vent'anni. Non sapeva mai come doveva parlare. Si augurò silenziosamente di poter tornare al Nord presso i suoi, portandosi le sue bambine e lasciando questi stranieri rigidi e incomprensibili. Dopo queste visite, Rossella non ebbe piú alcun desiderio di recarsi dai Tarleton. Sapeva che la loro casa era bruciata, i quattro ragazzi morti e la famiglia ridotta a vivere nella casetta del sorvegliante; tutto ciò le toglieva il coraggio di andare. Ma le sue sorelle la pregarono e Melania disse che era il loro dovere di vicine; quindi una domenica si decisero e andarono. Fu la visita piú penosa. Avvicinandosi alle rovine della casa, videro Beatrice Tarleton, vestita di una logora amazzone, con un frustino sotto il braccio, seduta su una delle sbarre superstiti della palizzata che correva intorno al prato; aveva gli occhi fissi nel vuoto. Accanto a lei era arrampicato il piccolo negro con le gambe storte che si era sempre occupato dei suoi cavalli e che appariva cupo come la sua padrona. Il pascolo, una volta pieno di giumente e di cavallini, era vuoto; non vi era che un mulo; quello su cui il signor Tarleton era tornato a casa. - Giuro che non so piú che cosa fare ora che i miei cari sono tutti morti - disse la signora Tarleton scendendo dalla palizzata. Un estraneo avrebbe potuto credere che parlasse dei suoi figli; ma le ragazze di Tara sapevano che pensava ai suoi cavalli. - Tutti morti. E Nellie! La mia povera Nellie! Almeno mi fosse rimasta lei! Soltanto quel maledetto mulo... Maledetto... - E lo guardava indignata. - È un insulto alla memoria dei miei purosangue, avere un simile animale nel loro pascolo. I muli sono dei bastardi e non bisognerebbe allevarli. Giacomo Tarleton, completamente trasformato da una barba cespugliosa, uscí dalla casa del sorvegliante per venire a salutarle; attorno a lui sciamarono le quattro ragazze coi capelli rossi, vestite di abiti rammendati, accompagnate dagli abbaiamenti di una dozzina di cani neri pezzati di marrone. In tutta la famiglia era un'aria di voluta e decisa allegria che fece scorrere il freddo nelle ossa di Rossella, piú che non avessero fatto l'amarezza di Mimosa e l'attesa della morte nella casa Calvert. I Tarleton insistettero perché le ragazze rimanessero a pranzo, dicendo che non vedevano mai nessuno ed erano desiderosi di notizie. Rossella non si sarebbe voluta trattenere, perché quell'atmosfera la opprimeva; ma Melania e le sue sorelle desiderarono prolungare la visita, e quindi tutt'e quattro rimasero a pranzo e mangiarono parcamente la carne secca e i piselli che furono serviti. Si rise delle porzioni misurate, e le ragazze Tarleton scherzarono sulla mancanza di vestiti, come se fosse una cosa divertentissima. Melania le assecondò, con grande stupore di Rossella, parlando di quello che si faceva a Tara con inattesa vivacità. Rossella invece non riusciva quasi a spiccicar parola. Il luogo sembrava deserto senza i quattro ragazzoni che fumavano, giocavano, chiacchieravano. E se sembrava vuoto a lei, che cosa doveva essere per i Tarleton che mostravano alle loro vicine un volto sorridente? Carolene aveva parlato poco durante il pranzo; ma quando ebbero finito scivolò accanto alla signora Tarleton e le disse sottovoce qualche cosa. Il sorriso scomparve dalle labbra della signora, la quale pose un braccio intorno alla vita sottile della giovinetta. Lasciarono la stanza, e Rossella, non potendo piú oltre sopportare quell'atmosfera, le seguí. Presero il sentiero che attraversava il giardino e Rossella vide che si dirigevano al sepolcreto. Avrebbe voluto fermarsi, ma era troppo tardi. Che idea, però, quella di Carolene, di trarre la signora Tarleton, che cercava di mostrarsi cosí coraggiosa, alla tomba dei suoi ragazzi? Vi erano due nuove lapidi di marmo; cosí nuove che la pioggia non le aveva ancora insudiciate di fango rossigno. - Le abbiamo avute la settimana scorsa - disse con orgoglio la signora Tarleton. - Mio marito le ha riportate da Macon nel carrozzino. Due pietre tombali! Rossella sentí diminuire la sua compassione per i Tarleton. Chi poteva sciupar denaro a comprare delle lapidi mentre i viveri erano tanto cari, non meritava compatimento. E vi erano molte righe incise su ogni lapide: tante righe, tanto denaro di piú. Senza contare quello che doveva esser costato il trasporto delle salme di tre ragazzi. Il corpo di Boyd non si era ritrovato. Fra le tombe di Brent e di Stuart era una pietra su cui era inciso: «Furono in vita, simpatici ed affettuosi, e la morte non li ha divisi». Sull'altra lapide erano i nomi di Boyd e di Tom, seguiti da parole latine che cominciavano «Dulce et...»; naturalmente Rossella non ne comprese un'acca, perché all'accademia di Fayetteville si era ben guardata dal seguire i corsi di latino. Gli occhi di Carolene brillavano stranamente. - Mi piace - disse indicando la prima pietra. Sicuro: a Carolene piaceva tutto ciò che era sentimentale. - Sí - mormorò la signora Tarleton con voce dolce. - Ci è sembrata la cosa piú adatta... Sono morti quasi insieme: prima Stuart e poi Brent che impugnava la bandiera. Nel ritorno a casa, Rossella tacque a lungo, ripensando a ciò che aveva visto nelle diverse case, e ricordando la Contea quando era nella sua gloria, con le case affollate di ospiti, i negri che si accalcavano nei quartieri degli schiavi e i fertili campi bianchi di cotone. «Un altr'anno vi saranno dei piccoli pini intorno a questi campi» pensò guardando verso la foresta che li circondava. «È impossibile fare andare avanti una grande piantagione senza negri; vi saranno molti campi che rimarranno incolti e i boschi torneranno a estendersi sui terreni. Nessuno può coltivare molto cotone; e allora che cosa faremo? Che cosa avverrà dei proprietari campagnoli? Quelli di città riescono sempre a cavarsela. Ma noi torneremo indietro di cento anni, come all'epoca dei primi pionieri, con qualche capanna e pochi iugeri di terreno coltivato; tanto da strappare la vita.» «No» continuò poi a riflettere; «questo non deve avvenire per Tara. Tutta la regione, tutto lo Stato può lasciarsi invadere dai boschi; ma non permetterò che lo sia Tara. E non sciuperò il denaro a comprare delle lapidi, né il mio tempo a piangere per la guerra. So che si potrebbe fare qualche cosa se gli uomini non fossero tutti morti. La perdita dei negri non è il peggio, in tutto questo. Peggio di tutto è la morte degli uomini, dei giovani.» Un altro pensiero la colpí. Se avesse voluto rimaritarsi? Certo non ne aveva alcun desiderio: ne aveva avuto abbastanza di una volta. Del resto, il solo uomo che avesse mai desiderato era Ashley; e questi, se anche viveva ancora, era sposato. Ma se volesse rimaritarsi... chi la sposerebbe? Era un pensiero atroce. - Melly - esclamò - che cosa accadrà delle ragazze del Sud? - Che vuoi dire? - Non c'è piú nessuno che possa sposarle. Tutti i giovinotti sono morti; vi saranno migliaia di ragazze che moriranno zitelle. - E che non avranno bambini - aggiunse Melania per la quale questa era la cosa piú importante. Evidentemente questo pensiero non era nuovo per Súsele, la quale cominciò a piangere. Da Natale non aveva piú avuto notizie di Franco Kennedy. Non sapeva se era colpa del servizio postale che non funzionava, oppure se egli l'aveva dimenticata. O forse era stato ucciso negli ultimi giorni di guerra! Avrebbe preferito quest'ultima ipotesi a quella di essere stata dimenticata; perché almeno vi era una certa dignità nell'aver perduto il fidanzato, come Carolene e Gioia Wilkes, piuttosto che essere stata abbandonata. - Sssst! - fece Rossella. - Già, tu puoi parlare - singhiozzò Súsele - perché tu sei stata sposata e hai un bambino e tutti sanno che hai avuto la tua parte... Ma venire a farmi capire che morirò zitellona! Sei odiosa, ecco! - Smettila! Com'è insopportabile la gente che piange sempre! Sai benissimo che il tuo vecchio non è morto e che tornerà per sposarti. Quantunque, io personalmente preferirei rimaner zitella piuttosto che sposarlo! Vi fu un silenzio durante il quale Carolene cercò di confortare la sorella accarezzandola, ma con lo spirito assente, tutta al ricordo delle sue cavalcate di tre anni prima con Brent Tarleton accanto. - Ah - sospirò Melania - che cosa sarà il Sud senza tutti i nostri bei ragazzi? Pensa, invece, se potessimo usare il loro coraggio, la loro energia, i loro cervelli! Tutte noi che abbiamo dei bambini, Rossella, dobbiamo educarli per prendere il loro posto, per essere bravi e coraggiosi come loro. - Come loro non ve ne saranno mai piú - disse Carolene sottovoce. - Nessuno può sostituirli. E percorsero il resto della strada in silenzio.

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Non le abbiamo già pagate? - Sí. Ma dicono che non avete pagato abbastanza. Ne ho sentito parlare oggi a Jonesboro. - Non capisco, Will. Che volete dire? - Non vorrei darvi maggiori preoccupazioni di quelle che già avete, miss Rossella; ma sono costretto a informarvi. Dicono che dovete pagare molto di piú. Stanno facendo la revisione delle imposte; e quelle di Tara arrivano alle stelle. - Ma non possono farci pagare ancora, se abbiamo già pagato una volta! - Voi non andate spesso a Jonesboro, miss Rossella; e fate benissimo. Non è un luogo adatto per una signora. Ma se vi foste stata, sapreste che da qualche tempo chi governa è un potente nucleo di repubblicani, di rinnegati e di «carpetbaggers» Carpetbaggers - Avventurieri e mestatori calati dal Nord e chiamati cosí perché tutti i loro averi e i loro documenti erano contenuti in un carpet-bag, cioè sacca da viaggio: le vecchie sacche ottocentesche di stoffa da tappeto (carpet - tappeto; bag - sacca). (N. d. T.). E i marciapiedi sono affollati di negri... - Ma che c'entra questo con le tasse? - Adesso ve lo dico. Per qualche loro ragione, questi furfanti hanno elevato le tasse di Tara, come se si trattasse di un luogo che produce mille balle di cotone. Avendo avuto sentore di questo, sono andato in giro per i caffè a raccogliere le chiacchiere; e sono venuto a sapere che c'è qualcuno che ha l'intenzione di comprare Tara per quattro dollari, appena sarà messa all'asta. Ciò che avverrà indubbiamente se voi non potrete pagare le tasse straordinarie. Ora, tutti sanno benissimo che voi non siete in grado di pagarle. Non sono riuscito a sapere chi è il presunto acquirente; credo che quel pusillanime di Hilton, quel tale che ha sposato miss Catina, lo sappia, perché ha fatto una stupida risata quando ho cercato di farlo cantare. Will sedette sul divano e si stropicciò il moncherino. Questo gli doleva sempre quando il tempo era umido, tanto piú che la gamba di legno non era ovattata. Rossella lo fissò cupamente. Quell'uomo sembrava indifferente, mentre suonava l'agonia di Tara. Vendere all'asta? E dove andrebbero? E Tara dovrebbe appartenere ad estranei! No, non era credibile! Si era talmente affannata per rendere nuovamente la piantagione produttiva, che non aveva piú badato a ciò che accadeva nel mondo esterno. Ora che vi erano Will e Ashley per occuparsi di qualsiasi faccenda a Jonesboro o a Fayetteville, Rossella non si muoveva quasi mai dalla piantagione. E nella stessa maniera in cui in altri tempi aveva ascoltato senza porvi mente i discorsi di suo padre intorno alla guerra, oggi prestava poca attenzione alle discussioni fra Will e Ashley riguardanti gli inizi della Ricostruzione. Certamente aveva sentito parlare dei rinnegati - meridionali che erano diventati repubblicani per opportunismo - e dei «carpetbaggers» che erano piombati sugli Stati del Sud come avvoltoi portando tutti i loro averi in una borsetta. Ella aveva anche fatto qualche spiacevole esperienza col «Freedmen's Bureau» (Ufficio per gli Emancipati); e aveva inoltre udito dire che alcuni dei negri liberati stavano diventando insolenti. Ciò le sembrava incredibile perché in vita sua non aveva mai visto un negro ribelle. Ma vi erano molte cose che Will e Ashley avevano cercato di lasciarle ignorare. La tortura della guerra era stata seguita dalla peggior tortura della Ricostruzione. Ella aveva udito Ashley affermare che il Sud veniva trattato come terra di conquista e che la politica dominante dei conquistatori era basata sullo spirito di vendetta. Ma questo non la interessava: la politica riguardava gli uomini. Aveva anche udito Will affermare che sembrava che il Nord non volesse permettere al Sud di rimettersi in piedi; ma ella pensava che gli uomini cercavano sempre qualche cosa di cui preoccuparsi. L'unica cosa da fare era lavorare, senza curarsi del governo yankee. Tanto, la guerra era ormai finita. Rossella non si rendeva conto che tutte le regole del gioco erano sovvertite e che il lavoro onesto non poteva piú avere una onesta ricompensa. La Georgia era virtualmente sotto la legge marziale. I soldati yankee presidiavano tutta la regione e il «Freedmen's Bureau» disponeva di ogni cosa e stabiliva le regole che piú gli convenivano. Questo ufficio, organizzato dal Governo Federale per tutelare gli infingardi ed eccitati schiavi liberti, li trasferiva a migliaia dalle piantagioni nei villaggi e nelle città. L'Ufficio dava loro da mangiare e nel contempo li istigava contro i loro antichi padroni. L'ex-sorvegliante di Geraldo, Giona Wilkerson, dirigeva la succursale locale dell'ufficio e aveva come assistente Hilton, il marito di Catina Calvert. Questi due andavano spargendo ad arte la voce che i meridionali e i democratici aspettavano un'opportunità per rimettere i negri in schiavitú; e che l'unica speranza per i negri di sfuggire a questo fatto era la protezione data a loro dall'Ufficio e dal Partito Repubblicano. Inoltre Wilkerson e Hilton dicevano continuamente ai negri che essi valevano quanto i bianchi in tutto e per tutto; che ben presto sarebbero permessi i matrimoni fra bianchi e negri, e che le proprietà dei loro antichi padroni verrebbero ripartite in modo che ogni negro ricevesse quaranta jugeri e un mulo. Istigavano i negri con narrazioni fantasiose di crudeltà perpetrate dai bianchi; sicché in questa regione che era sempre stata conosciuta per le relazioni affettuose tra schiavi e padroni, cominciò a diffondersi l'odio e il sospetto. L'ufficio era governato da militari; i quali avevano emanato numerosi ordini - spesso contradittorii - per regolare la situazione del Paese. Tali ordini concernevano le scuole, gli ospedali, i bottoni che bisognava portare sugli abiti, la vendita delle derrate e quasi tutto il resto. Wilkerson e Hilton avevano il diritto d'intervenire in qualsiasi contratto di compra o di vendita, e potevano fissare i prezzi. Fortunatamente Rossella aveva avuto ben poco contatto coi due uomini, perché Will l'aveva persuasa a lasciargli trattare la parte commerciale, mentre lei si occupava della produzione. Col suo modo di fare calmo e temperato, Will aveva appianato molte difficoltà di questo genere, senza nemmeno parlarne con Rossella. Ma l'attuale problema era troppo grave. Le tasse supplementari e il pericolo di perdere Tara erano faccende di cui Rossella doveva essere messa al corrente. Ella lo fissò con occhi fiammeggianti. - Oh, maledetti gli yankees! - esclamò. - Non basta che ci abbiano sconfitti e ridotti alla miseria? Devono anche agire. da furfanti? La guerra era finita, la pace era stata dichiarata, ma gli yankees potevano ancora derubarla, farla morir di fame, cacciarla dalla sua casa. - E io credevo che con la fine della guerra, tutti i guai fossero terminati! - No, signora. I guai non fanno che cominciare. - E quanto vogliono farci pagare di tasse supplementari? - Trecento dollari. Rimase un attimo come colpita dal fulmine: trecento dollari! Era lo stesso come se avesse detto tre milioni. - Ma... allora... bisognerà che mettiamo assieme trecento dollari in qualche modo! - Sí, signora... e anche un arcobaleno, una luna e un sole. - Ma Will! Non possono vendere Tara! In che modo... Gli occhi chiari di lui espressero piú odio e piú amarezza di quanto ella potesse immaginare. - Non possono? Possono fare tutto ciò che vogliono, e lo faranno! Il paese, cara miss Rossella, è rovinato. Questi politicanti e questi rinnegati hanno il diritto di votare e la maggior parte di noi democratici no. Nessun democratico può votare, se nel 1865 era iscritto nei registri delle tasse per piú di 2000 dollari. Cosí rimangono escluse persone come vostro padre, Mr. Tarleton, i McRae e i ragazzi Fontaine. Nessuno che abbia avuto il grado di colonnello o un grado superiore durante la guerra, può votare; e scommetto che qui vi erano piú colonnelli che in qualsiasi altro Stato della Confederazione. E sono esclusi tutti coloro che avevano qualche ufficio nel governo confederato: nonché giudici e notai. Insomma, chiunque abbia avuto una carica prima della guerra non ha diritto di voto. Né le persone di qualità, né i ricchi, né l'aristocrazia. Io potrei votare se prestassi il loro maledetto giuramento. Non avevo un soldo nel '65, e non ero colonnello né altro di notevole. Ma non voglio giurare. No, che il diavolo li porti! Se gli yankees avessero agito bene, avrei fatto giuramento di fedeltà; ma non lo farò. Anche se non dovessi mai piú votare. Ma gentaglia come Hilton può votare e farabutti come Giona Wilkerson, e proletari come gli Slattery, e gente da nulla come McIntosh; tutti questi possono votare. E dirigere la cosa pubblica. E se vogliono richiedervi delle tasse supplementari anche dieci volte maggiori, sono padroni di farlo. Tale e quale come un negro può uccidere un bianco senza essere impiccato, oppure... - S'interruppe imbarazzato, e il ricordo di ciò che era accaduto a una donna bianca che viveva sola in una fattoria isolata presso Lovejoy apparve ad entrambi... - Codesti negri possono fare contro di noi qualunque cosa; e il «Freedmen's Bureau» e i soldati li proteggono con le armi, mentre noi non abbiamo diritto di votare né di ribellarci. - Votare! - esclamò Rossella. - Cosa c'entra il votare con tutto questo? Stavamo parlando delle tasse... Tutti quanti, Will, sanno che Tara è un'ottima piantagione. Possiamo ipotecarla per una cifra sufficiente a pagare le tasse, se è necessario. - Miss Rossella, voi non siete stupida; ma a volte parlate come se lo foste. Chi ha del denaro da prestarvi? Chi, eccettuato i «carpetbaggers» che stanno cercando di spodestarvi? - Ho gli orecchini di brillanti dello yankee. Potremmo venderli. - Ma chi volete che abbia dei quattrini per comprarli? La gente non ha denaro per comprare un po' di carne. Se voi avete dieci dollari in oro, giuro che è piú di quanto abbia qualunque altro dei vostri vicini. Rimasero nuovamente in silenzio e Rossella ebbe l'impressione di urtare contro un muro di pietra. E questo le era accaduto tante altre volte in quest'ultimo periodo. - Che dobbiamo fare, miss Rossella? - Non lo so - rispose cupamente. E in quel momento le parve che non glie ne importasse nulla. Si sentí improvvisamente cosí stanca che tutte le sue ossa le dolsero. Perché lavorare e lottare e affaticarsi disperatamente? Al termine di ogni lotta le sembrava che la sconfitta l'attendesse per schernirla. - Non lo so - ripeté. - Ma non diciamolo al babbo. Si turberebbe. - Non lo dirò. - L'avete detto a nessuno? - No, sono venuto subito da voi. Sí, tutti venivano direttamente da lei quando vi erano delle cattive notizie. Ed oramai non ne poteva piú. - Dov'è il signor Wilkes? Forse potrà darci qualche idea. Will rivolse verso di lei il suo sguardo dolce ed ella sentí, come nel giorno in cui era giunto Ashley, che egli sapeva tutto. - È nell'orto a spaccare legna. Ho sentito il rumore della scure mentre rimettevo il cavallo. Ma certo non ha piú denaro di quanto ne abbiamo noi. - Se voglio parlare di questo con lui, ne avrò bene il diritto, no? - ribatté aspramente Rossella alzandosi e respingendo con un calcio il pezzetto di tappeto. Will non si offese, ma continuò a stropicciarsi le mani dinanzi al fuoco. - È meglio che prendiate il vostro scialle, miss Rossella; fuori fa freddo. Ma ella uscí senza mettere nulla sulle spalle, perché lo scialle era al piano di sopra, e il suo bisogno di vedere Ashley per sfogarsi era troppo urgente. Che fortuna se lo trovasse solo! Da quando era tornato non aveva mai avuto modo di scambiare una parola con lui in particolare. C'era sempre la famiglia intorno; sempre Melania che ogni tanto gli toccava una manica, come per assicurarsi della sua presenza. La vista di quel gesto aveva rianimato in Rossella tutta la gelosia che era rimasta sopita durante i mesi in cui aveva ritenuto che Ashley fosse morto. Ora era decisa a parlare con lui solo e nessuno potrebbe impedirglielo.

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Lo abbiamo detto tante volte, Melly ed io, mentre tutti quanti affermavano che eri una civetta senza cuore. Rossella passò sopra alla mancanza di tatto di questa confidenza; e abilmente condusse Pitty a parlare dell'uno o dell'altro, attendendo con impazienza di poter giungere a parlare di Rhett. Zia Pitty chiacchierava, felice di avere qualcuno che l'ascoltasse. Le cose ad Atlanta andavano malissimo, diceva; tutto a causa dei sistemi usati dai repubblicani. - Figurati, vogliono accordare il voto ai negri! Hai mai sentito una cosa simile? Quantunque... non so... Ora che ci penso, mi pare che zio Pietro abbia molto piú buon senso di tutti i repubblicani che ho conosciuto ed è molto piú educato. Ma quest'idea ha messo sottosopra tutti i negri. Alcuni di loro sono terribilmente insolenti. In istrada, perfino di pieno giorno, spingono le signore giú dal marciapiedi nel fango. E se un gentiluomo osa protestare lo arrestano e... A proposito, ti ho detto che il capitano Butler è in prigione? - Rhett Butler? Rossella fu grata a zia Pitty di averle risparmiato di essere la prima a pronunciare quel nome. - Ma sicuro! - L'eccitazione coloriva le guance di Pitty. - È in prigione per aver ucciso un negro; e vogliono impiccarlo! Pensa, il capitano Butler impiccato! Per un attimo Rossella sentí che il respiro le mancava, e non poté fare altro che fissare la vecchia e grassa signora che era evidentemente soddisfatta dell'effetto prodotto. - Non sono ancora riusciti a provarlo, ma certo qualcheduno ha ucciso il negro che aveva insultato una donna bianca. E gli yankees sono sottosopra, perché recentemente sono stati uccisi parecchi negri. Non hanno prove contro il capitano Butler; ma desiderano dare un esempio; cosí dice il dottor Meade. E dice anche che se lo impiccano, sarà la prima buona azione degli yankees; ma veramente io non so... Pensare che il capitano Butler era stato qui una settimana fa e mi ha portato la piú bella quaglia del mondo! Mi ha anche chiesto di te, dicendo che temeva di averti offesa durante l'assedio e che tu non gli avresti mai perdonato. - E quanto tempo starà in prigione? - Chi lo sa? Forse finché lo impiccheranno; ma può darsi che non riescano a provare che è colpevole d'omicidio. Però gli yankees non si preoccupano molto se una persona è colpevole o no, quando si tratta d'impiccarla. Sono molto in pensiero... - Pitty abbassò la voce misteriosamente - per il Ku Klux Klan. L'avete anche voialtri in campagna? Sono sicura di sí; ma Ashley non ve ne avrà parlato. Vanno in giro la notte vestiti come fantasmi e vanno dai «carpetbaggers» che hanno rubato del denaro o dai negri che si sono mostrati sfacciati. A volte si limitano a spaventarli e ad imporre loro di lasciare Atlanta. Ma quando non si comportano come essi vogliono, li frustano e magari li uccidono. E li lasciano in un luogo dove possono essere trovati facilmente col biglietto del Ku Klux appuntato addosso... Gli yankees sono molto irritati di questo e vogliono dare un esempio... Ma Ugo Elsing mi ha detto che non crede che impiccheranno il capitano Butler, perché sono convinti che egli sappia dov'è il denaro e non voglia dirlo; e cercano di farlo parlare. - Che denaro? - Non lo sai? Non te l'ho scritto? Figúrati che quando il capitano Butler è tornato qui con le tasche piene di quattrini, mentre nessuno di noi sapeva come fare per mangiare, tutti quanti cominciarono a mormorare. Erano furibondi perché quello speculatore che aveva sparlato della Confederazione era cosí ricco, mentre tutti quanti erano poveri. Nessuno osava chiedergli come aveva fatto per mettere a parte quel denaro; soltanto io osai accennargliene. Egli rise e mi rispose: «Certo non in un modo onesto!» Sai che non si può mai farlo parlare ragionevolmente! - Ma era notorio che guadagnava molto col contrabbando... - Senza dubbio, tesoro. Ma è una miseria, a confronto di quello che possiede realmente! Tutti, compresi gli yankees, sono convinti che egli abbia nascosto chi sa dove dei milioni in oro, appartenenti al governo della Confederazione. - Milioni... in oro? - Diamine, tesoro, dove vuoi che sia andato tutto l'oro del nostro paese? Qualcuno deve averlo avuto; e il capitano Butler è uno di costoro. Gli yankees credevano che lo avesse portato via il presidente Davis quando lasciò Richmond; ma quando lo catturarono, il pover'uomo non aveva neanche un quattrino. E a guerra finita, si è detto che i contrabbandieri del blocco dovevano averlo portato via, e si guardavano bene dal parlare. - Milioni... in oro! Ma come... - Non portò forse il capitano Butler migliaia di balle di cotone a Nassau e in Inghilterra per venderle per conto del governo? - chiese Pitty trionfante. - Non solo cotone suo, ma anche cotone del governo? E ti ricordi a che prezzi arrivò il cotone in Inghilterra in quel periodo! Pare che Butler fosse agente del governo; che dovesse vendere il cotone ed acquistare armi per noi. In breve: quando il blocco si fece troppo stretto, egli non poté piú portare dentro armi; e siccome non poteva avere speso neanche la centesima parte del denaro riscosso per il cotone, sono semplicemente milioni di dollari depositati nelle banche inglesi da Butler e da altri come lui, in attesa che il blocco si allentasse. E certamente il denaro non è stato depositato a nome del governo ma in proprio... Tutti ne hanno parlato, dopo la resa, criticando severamente questa gente che allora faceva il contrabbando attraverso il blocco; e quando gli yankees hanno arrestato Butler sotto l'imputazione di avere ucciso il negro, le voci debbono essere giunte anche al loro orecchio; infatti hanno chiesto a Butler dov'è il denaro. Perché, sai, gli yankees dicono che tutti i fondi della Confederazione ora appartengono a loro. Ma il capitano Butler dice che non sa nulla... E il dottor Meade dice che finiranno con l'impiccarlo; ma che l'impiccagione è una pena troppo mite per un ladro e un profittatore... Dio, cara, che faccia! Ti senti male? Ti ha fatto impressione sentire questa storia? Sapevo che era un tuo spasimante, ma credevo che la cosa fosse finita da un pezzo. Personalmente non mi piaceva che ti facesse la corte, perché è un tale furfante... - Non è mio amico - profferí Rossella con sforzo. - Anzi ebbi una disputa con lui durante l'assedio, dopo che tu eri andata a Macon. E... dov'è? Nel deposito degli attrezzi dei pompieri vicino alla piazza. - Nel deposito...? Zia Pitty rise. - Sí; gli yankees lo usano come carcere militare. I soldati sono accampati nelle tende che hanno collocato intorno alla piazza; e siccome il deposito è a una delle estremità, hanno stabilito lí le prigioni. A proposito: devo raccontarti una cosa buffa riguardo al capitano Butler... non so piú chi me l'ha detta. Dunque: ti ricordi com'era elegante e accurato? Nel deposito non gli hanno permesso di fare il bagno. E siccome lui insisteva ogni giorno, finalmente lo hanno condotto fuori dalla cella nel cortile, e c'era un abbeveratoio per i cavalli dove tutto il reggimento si era lavato nella stessa acqua! E volevano che si bagnasse lí dentro; allora lui rispose che preferiva il proprio sudiciume meridionale al sudiciume yankee! E... Rossella udiva la voce continuare gaiamente; ma non distingueva piú le parole. Non riusciva a pensare che due cose: Rhett aveva piú denaro di quanto lei credesse, ed era in prigione. Il fatto che quell'uomo fosse in carcere e forse in procinto di essere impiccato mutava alquanto la prospettiva, rendendola anche piú brillante. A lei, in verità, non importava nulla che Rhett andasse a penzolare all'estremità di una forca. Condivideva, in fondo, l'opinione del dottor Meade... Ma se riusciva a sposarlo mentre era in carcere, tutti i milioni diventerebbero suoi il giorno in cui egli fosse impiccato. E se il matrimonio non era possibile, forse ella riuscirebbe ad ottenere un prestito con la promessa di sposarlo quando fosse liberato, o promettendogli... sí, promettendogli qualunque cosa! E se lo impiccavano, il giorno della restituzione non verrebbe mai. Per un momento inorridí al pensiero di diventar vedova per il benigno intervento del governo yankee. Milioni in oro! Poter riparare Tara, ingaggiare degli agricoltori, piantare miglia e miglia di cotone... E avrebbe dei bei vestiti, e tutto quello che le faceva piacere, e mangerebbe a volontà; e cosí anche Súsele e Carolene. E Wade avrebbe dei buoni cibi e ingrasserebbe un pochino; avrebbe dei vestiti caldi e una governante, e piú tardi andrebbe all'università... invece di crescere scalzo e ignorante come un boscaiolo! E potrebbe far curare il babbo da un buon medico; e per Ashley... Dio, quante cose potrebbe fare per Ashley! Il monologo di zia Pitty si interruppe bruscamente con un: - Ebbene, Mammy?, e destandosi dai suoi sogni Rossella vide Mammy sulla soglia, con le mani sotto al grembiule, che la fissava col suo sguardo penetrante. Chi sa da quanto tempo si trovava lì, e chi sa quante cose aveva udite e osservate! - Miss Rossella sembrare stanca. Essere meglio che andare a letto. - Sí, sono stanca - e Rossella si alzò e guardò Mammy con uno sguardo infantile e un po' smarrito - e temo che mi stia anche venendo un raffreddore. Zia Pitty, ti dispiace se domani rimango a letto e non ti accompagno a fare le tue visite? Vorrei proprio andare al matrimonio di Fanny domani sera; e se il mio raffreddore peggiora, non potrò uscire. Invece, con una giornata di letto me la caverò. L'espressione di Mammy mutò; ella apparve preoccupata quando prese le mani di Rossella e la guardò in faccia. Era pallida e disfatta; tutta la sua eccitazione era caduta. - Avere mani di ghiaccio, tesoro. Venire subito a letto. Io preparare tè di sassifraga e portare mattone caldo per farti sudare. - Dio, come sono sciocca! - esclamò la vecchia signorina balzando in piedi e accarezzando il braccio di Rossella. - Ho chiacchierato senza pensare alla tua stanchezza... Domani resterai a letto a riposarti e io verrò a farti compagnia... Oh Dio, no; non posso! Ho promesso alla signora Bonnell di andare da lei. Ha la grippe, e anche la sua cuoca sta poco bene. Mammy, sono felice che tu sia qui; cosí domattina verrai con me ad aiutarmi. Mammy accompagnò Rossella su per le scale, borbottando contro il raffreddore e le scarpine troppo sottili e altre osservazioni del genere. Rossella fu molto contenta pensando che forse la mattina dopo potrebbe liberarsi di Mammy e andare alla prigione yankee per vedere Rhett. Mentre saliva le scale sentì in distanza il brontolio del tuono che le ricordò il rombo lontano delle cannonate. Rabbrividì. Per tutta la vita il tuono le ricorderebbe ormai il cannone e la guerra.

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Certo, abbiamo passato dei brutti momenti dopo la venuta di Sherman; ma per fortuna la casa non fu bruciata, e i negri salvarono la maggior parte delle nostre provviste nascondendole nella palude. Abbiamo anche fatto un discreto raccolto: venti balle. Senza dubbio, è un'inezia in confronto di quello che potrebbe produrre Tara; ma abbiamo pochi contadini. Il babbo dice che l'anno venturo andrà meglio. Ma com'è malinconica adesso la campagna, se sapeste! Né balli né riunioni; e non si parla d'altro che della tristezza dei tempi! Vi assicuro che non ne posso piú! Finalmente, la settimana scorsa ho sentito che proprio ero stufa, e allora il babbo mi ha consigliato di fare un viaggetto per distrarmi un poco. Perciò sono venuta qui a farmi qualche abito e poi andrò a Charleston da mia zia. Sarà piacevole frequentare di nuovo qualche ballo! «Bene» pensò con soddisfazione «gliel'ho detto proprio come dovevo! Senza aver l'aria troppo ricca, ma neanche troppo povera!» - Siete molto bella vestita da ballo, mia cara; e quel ch'è peggio, è che lo sapete! Probabilmente la vera ragione per cui andate a far visita alle vostre parenti è perché avete esaurito tutti i corteggiatori della Contea e avete bisogno di andare a mietere altre conquiste in campi lontani! Rossella fu ben lieta al pensiero che Rhett avesse trascorso gli ultimi mesi all'estero. Altrimenti, non avrebbe fatto quella ridicola affermazione. Pensò con amarezza ai corteggiatori della Contea: i piccoli Fontaine vestiti di abiti logori, i poveri Munroe, i giovinotti di Jonesboro e di Fayetteville, tanto occupati ad arare, spaccare legna, curare vecchi animali infermi, che avevano completamente dimenticato l'esistenza di cose piacevoli come balli e corteggiamenti. Ma respinse questo pensiero e sorrise ammettendo la verità dell'asserzione. - Andiamo, via! - esclamò. - Siete una creatura senza cuore, Rossella; ma forse questo fa parte del vostro fascino. - Sorrise del suo vecchio sorriso un po' beffardo. - È un fascino veramente eccessivo, il vostro. L'ho sentito perfino io, benché sia cosí indurito... Spesso mi sono chiesto perché avevo cosí vivo il vostro ricordo, mentre ho conosciuto tante signore piú belle di voi, piú intelligenti e, probabilmente, piú buone e moralmente piú oneste di voi. Eppure, non vi ho mai dimenticata. Anche quando, dopo la sconfitta, sono stato in Inghilterra e in Francia, e ho conosciuto tante donne piacevoli, mi è accaduto spesso di pensare a voi e di chiedermi che cosa stavate facendo. Per un momento fu indignata nel sentirgli dire che altre donne erano piú belle, piú intelligenti e piú buone di lei, ma questo pensiero svaní dinanzi alla gioia di sapere che aveva sempre ricordato lei e il suo fascino. Questo le facilitava il compito. Ora bisognava parlare di lui, fargli comprendere che anche lei non aveva dimenticato e poi... Gli strinse dolcemente il braccio e sorrise ancora. - Oh Rhett, perché prendere in giro una ragazza di campagna come me! So benissimo che non vi siete piú ricordato che io fossi al mondo dopo quella notte... Con tutte quelle belle inglesine e francesine... Ma non sono venuta qui per sentirvi dire delle galanterie. Sono venuta... sono venuta... perché... - Perché...? - Perché... ero tanto preoccupata per voi! Tanto spaventata! Quando uscirete da questo orribile luogo? Rapidamente egli le coperse la mano con la sua e la trattenne contro il proprio braccio. - Siete molto carina. Non so dirvi quando potrò uscire. Probabilmente quando avranno tirato un poco piú la corda. - La corda? - Ma sí; immagino che uscirò da qui sospeso a una corda! - Non volete dire che vi impiccheranno...? - Lo faranno se riusciranno ad avere qualche prova di piú a mio carico. - Rhett! - e Rossella si portò la mano al cuore. - Ne avrete dolore? Se sarete abbastanza addolorata, mi ricorderò di voi nel mio testamento. Gli occhi neri ridevano incuranti. Le strinse la mano. «Il suo testamento!» pensò Rossella. E abbassò gli occhi per tema che la tradissero. Ma non abbastanza rapidamente: e gli occhi di lui improvvisamente si accesero di curiosità. - Secondo gli yankees, dovrei fare un bellissimo testamento. Si interessano molto dello stato delle mie finanze. Tutti i giorni mi rivolgono un'infinità di domande stupide. A quanto pare, corre voce che io abbia portato via il mitico oro della Confederazione... - E... non lo avete fatto? - Che domanda! Voi sapete meglio di me che la Confederazione aveva una macchina litografica invece di una zecca. - E da dove veniva tutto il vostro denaro? Speculazioni. Zia Pitty dice... - Che domande insidiose? Dio lo benedica! Certamente aveva il denaro... Rossella era cosí eccitata che ormai trovava difficile parlargli con dolcezza. - Rhett, sono tanto sconvolta all'idea che siate rinchiuso qui dentro... Non vi è nessuna possibilità di uscirne? - Il mio motto è "nihil desperandum". - E che significa? - Significa "forse", mia graziosa ignorantella. Rossella agitò le palpebre frangiate come ali di farfalla. - Siete troppo abile per lasciarvi impiccare! Certo troverete il modo di cavarvela. E quando sarete riuscito... - Ebbene? - chiese Rhett dolcemente, chinandosi ancor di più - Ebbene, io... - Riuscí a fingere un grazioso imbarazzo e ad arrossire. Il rossore non le riuscí troppo difficile, perché era ansimante e il cuore le batteva come un tamburo. - Rhett, sono cosí spiacente di... di quello che vi dissi quella sera... lí, sulla strada. Ero... tanto spaventata e sconvolta e voi... - Abbassò gli occhi e vide le mani brune di lui sulle sue.... E credetti... che non vi avrei mai piú perdonato! Ma quando zia Pitty ieri mi ha detto che voi... che potrebbero impiccarvi... io... io... - Gli lanciò un rapido sguardo d'implorazione in cui mise tutta l'angoscia di un cuore spezzato - Oh, Rhett, se vi impiccassero morirei! Non potrei resistere! Io... - E non potendo sostenere la luce ardente degli occhi di lui, abbassò nuovamente le palpebre. «Sento che sto per piangere» pensò eccitata, frenetica. «Debbo dar corso alle lagrime? Sembrerà piú naturale? Rhett le strinse le mani cosí forte da farle male, mentre mormorava: - Dio mio, Rossella, non volete dire che... Ella chiuse gli occhi cercando di spremerne qualche lagrima, ma volgendo lievemente in alto il viso perché egli potesse baciarla piú facilmente. Fra un secondo la sua bocca sarebbe sulla sua; quella bocca dura che improvvisamente ricordò con un'intensità che parve la svuotasse di tutto il sangue. Ma egli non la baciò. Delusa e stupita, riaperse gli occhi e arrischiò una breve occhiata. Il capo bruno era chino sulle sue mani; egli ne sollevò una e la baciò; poi, prendendo l'altra, se la posò per un momento sulla guancia. Aspettandosi qualche cosa di violento, questo gesto gentile e affettuoso la stupí. Avrebbe voluto vedere l'espressione del suo volto, ma non poté scorgerlo. Riabbassò in fretta gli occhi per timore che egli sollevasse i suoi e vedesse la sua espressione. Era sicura di non poter celare la gioia per il trionfo imminente. Certo fra un minuto le chiederebbe di sposarlo o perlomeno le direbbe che l'amava; e allora... Mentre attraverso le folte ciglia abbassate ella lo guardava, Rhett le rivoltò la mano per baciarne anche il palmo, e a un tratto respirò piú velocemente. Anche Rossella in quel momento vide il palmo della propria mano, come se non lo avesse mai visto, e si sentí mancare il cuore. Era la mano di un'estranea, non la mano bianca, morbida, tutta fossette di Rosella O'Hara. Era una mano indurita dal lavoro, arsa dal sole, screpolata e incallita. Le unghie erano spezzate e irregolari; nel pollice era una vescica in via di guarigione. La cicatrice della bruciatura prodotta il mese scorso dal grasso bollente era lucida e rossa. Rossella vide tutto ciò in un lampo, con orrore, e istintivamente strinse il pugno. Neanche adesso Rhett levò il capo. Neanche adesso ella vide il suo volto. Le riaperse il pugno senza pietà, le prese l'altra mano e rimase a fissarle senza parlare. - Guardatemi - disse finalmente alzando la testa; la sua voce era tranquilla. - E smettete quell'aria umiliata. Involontariamente ella lo guardò con un'espressione di sfida e di turbamento. Gli occhi di lui scintillavano e le sue sopracciglia brune erano inarcate. - Dunque le cose vanno benino a Tara, non è vero? E il raccolto del cotone rende tanto che voi potete andare in giro a visitare i parenti. Che cosa avete fatto con queste mani...? Vangato? Ella cercò di svincolarsi; ma Rhett la trattenne e le posò un dito sui calli. - Queste non sono le mani di una signora - e gliele posò nuovamente in grembo. - Tacete! - ella esclamò provando un attimo di sollievo nel sentirsi nuovamente capace di esprimere i propri sentimenti. - Che cosa v'importa di quello che faccio con le mani? «Che sciocca!» pensò frattanto con ira. «Dovevo farmi prestare i guanti di zia Pitty o rubarglieli. Ma non mi ero accorta che le mie mani fossero in questo stato. E ora ho perso il controllo di me stessa ed ho rovinato ogni cosa!» E questo proprio nel momento in cui stava per fare la sua dichiarazione! - Senza dubbio le vostre mani non mi riguardano - rispose Rhett freddamente e si appoggiò indolentemente alla spalliera della sua sedia con aria ingenua. La faccenda diventava difficile. Chi sa, forse parlandogli con dolcezza... - Siete poco gentile a respingere le mie povere mani, soltanto perché la settimana scorsa sono andata a cavallo senza guanti e me le sono sciupate... - Accidempoli, che cavallo! - La voce di lui era ugualmente calma e dolce. Avete lavorato come un negro, con quelle mani. Perché non dite la verità? Perché darmi ad intendere che le cose a Tara vanno bene? - Ma insomma, Rhett... - Qual'è il vero scopo della vostra visita? Avevo quasi creduto alle vostre moine e stavo per convincermi che eravate addolorata che io... - Ma sí, Rhett, sono addolorata! Davvero... - Niente affatto. Se anche mi appiccassero a non so che altezza, non ve ne importerebbe nulla. È scritto chiaramente sul vostro viso, cosí come il lavoro faticoso è scritto sulle vostre mani. Voi volete qualchecosa da me e perciò avete inscenato questa commedia. Perché non siete venuta a dirmelo francamente? Avreste avuto piú probabilità di raggiungere il vostro scopo, perché se vi è una virtú che stimo in una donna è la franchezza. Ma no: siete venuta qui a far dondolare i vostri orecchini e a fare delle smorfie come una prostituta che spera di accaparrarsi un cliente. Non aveva alzato la voce pronunciando queste ultime parole, ma per Rossella furono come una frustata; ed ella vide con disperazione il naufragio di tutte le sue speranze. Se egli avesse avuto uno scoppio d'ira come a molti altri uomini sarebbe accaduto, Rossella avrebbe ancora trovato modo di prenderlo. Ma la calma mortale della sua voce la sgomentò. Benché fosse un detenuto e nella stanza accanto vi fossero gli yankees, ella comprese improvvisamente che era pericoloso mettersi in contrasto con Rhett Butler. - Evidentemente la memoria mi ha fatto difetto. Dovevo ricordarmi che voi siete come me e non fate mai nulla senza uno scopo. Vediamo, dunque. Che diamine potevate avere in mente, signora Hamilton? Possibile che abbiate supposto che vi avrei chiesta in moglie? Ella divenne di porpora e non rispose. - Eppure non potete aver dimenticato che molte e molte volte ho affermato che non sono tipo da matrimonio! Poiché ella non rispondeva, egli riprese con subitanea violenza. - Non lo avevate dimenticato? Rispondetemi! - Non lo avevo dimenticato - rispose Rossella miserabilmente. - Siete una giocatrice, Rossella - rise Rhett. - Avete creduto che l'essere chiuso qui, lontano da ogni contatto femminile, mi avrebbe messo in tale stato che avrei abboccato all'amo come un povero pesciolino... «E se non fosse stato per le mie mani...!» pensò Rossella con ira. - Ora la verità è venuta fuori; mi manca soltanto conoscere i vostri motivi. Vedete un po' se siete capace di dirmi perché volevate accalappiarmi nella rete matrimoniale. Nella sua voce era una nota soave, quasi beffarda, ed ella riprese un po' di coraggio. Forse tutto non era ancora perduto. Certo non vi era piú da pensare al matrimonio; ma di questo, malgrado la sua disperazione, fu quasi contenta. Vi era qualche cosa, in quell'uomo immobile, che la sgomentava; sicché ora il pensiero di sposarlo le appariva spaventoso. Ma forse, con un po' di abilità e sapendo toccare il tasto dei ricordi, potrebbe ottenere il prestito. Diede al suo viso un'espressione infantile e supplichevole. - Oh, Rhett... potreste aiutarmi... se voleste esser buono! - Non c'è nulla che mi piaccia di piú che l'esser buono. - Rhett, per la nostra vecchia amicizia, vorrei che mi faceste un favore. - Oh, finalmente la signora dalle mani callose viene a dirmi il vero scopo della sua visita. Mi pareva bene che «visitare gli infermi e i carcerati» non fosse il vostro genere. Di che avete bisogno? Denaro? La rudezza di questa domanda distrusse ogni speranza di condurre la faccenda in maniera guardinga e sentimentale. - Non siate cosí cattivo, Rhett! - La sua voce era lusingatrice. - Ho bisogno di un prestito da voi... Trecento dollari. - Finalmente la verità! Si parla d'amore ma si pensa ai quattrini. Com'è femminile questo! E vi occorrono assolutamente? - Sí... Cioè, non assolutamente, ma mi farebbero comodo. - Trecento dollari. È una bella somma. Per che cosa vi serve? - Per pagare le imposte su Tara. - Dunque, vi occorre una sovvenzione. Giacché siete qui per affari, parlerò anch'io da uomo d'affari. Che garanzia mi date? - Come? - Garanzia. Sicurezza della restituzione. Non ho nessuna voglia di perdere una simile cifra. - La sua voce aveva una falsa dolcezza; ma Rossella non la rilevò. Sperava ancora che la faccenda potesse aggiustarsi. - I miei orecchini. - Non mi interessano. - Vi darò un'ipoteca su Tara. - Che volete che ne faccia di una proprietà fondiaria? - Potreste... potreste... è un'ottima piantagione. E non perderete nulla. Vi rimborserò col ricavato del prossimo raccolto. - Non ne sono molto sicuro. - Si appoggiò indietro, alla spalliera della sedia, e si mise le mani in tasca. - I prezzi del cotone stanno scendendo. I tempi sono difficili e il denaro è scarso. - Mi prendete in giro, Rhett! Coi milioni che avete... Gli occhi neri di lui brillavano maliziosamente mentre egli la fissava. - Dunque, tutto va bene e voi non avete un bisogno assoluto di questo denaro. Mi fa piacere di saperlo. Sono ben contento che per i vecchi amici la vita sia abbastanza facile. - Rhett, per l'amor di Dio... - riprese Rossella disperata, perdendo il coraggio e il controllo di sé. - Parlate piú sommessa. Spero che non vorrete che gli yankees vi sentano. Vi hanno mai detto che avete gli occhi di un gatto... di un gatto nell'oscurità? - Non mi tormentate, Rhett! Vi dirò tutto. Ho assoluto bisogno del denaro. Ho... ho mentito in tutto e per tutto. Le cose... vanno alla peggio. Il babbo è... non è piú in sé, da quando è morta la mamma; e non può aiutarmi in nessun modo; è ridotto come un bambino. Non abbiamo un solo contadino per coltivare il cotone e siamo in tanti a mangiare: tredici persone! Le tasse sono altissime. Voglio dirvi tutto, Rhett! Per un anno siamo stati sempre in procinto di morire di fame. Oh, non potete sapere! È terribile svegliarsi con la fame e andare a letto con la fame... E non avere un vestito che dia un po' di calore; i bambini sono sempre raffreddati e sofferenti... - Dove avete preso questo bel vestito? - È fatto con le tende della mamma - rispose, troppo disperata per tacere questa vergogna. - Ho resistito al freddo e alla fame, ma ora... i «carpetbaggers» hanno aumentato le tasse. E bisogna pagare! Non ho che una moneta d'oro da cinque dollari. E se non pago... mi prenderanno Tara! E io... noi non possiamo perdere la nostra terra, la nostra casa! - Perché non mi avete detto subito tutto questo invece di far languire il mio cuoricino suscettibile... sempre debole quando si tratta di belle signore? No, Rossella, non piangete. Avete usato tutti i trucchi possibili, meno questo; e non so se potrei resistere. Ho già il cuore abbastanza lacerato dalla delusione di avere scoperto che volevate il mio denaro e non la mia affascinante persona. Ella ricordò che Rhett spesso diceva delle verità scherzando e lo guardò per comprendere se egli era veramente addolorato. Si interessava davvero a lei? Era realmente stato in procinto di farle una proposta quando si era accorto delle sue mani callose? Ma gli occhi neri la guardavano con un'espressione che non era amorosa, e la bocca rideva beffarda. - Non mi piace la vostra garanzia. Non sono un piantatore. Che altro potete offrirmi? Finalmente era giunto il momento... Coraggio! Trasse un profondo respiro e lo guardò schiettamente, senza civetteria, mentre la sua mente cercava di non indietreggiare dinanzi a ciò che temeva di piú. - Ho... ho me stessa. - Davvero? La linea della mascella di lei si assottigliò e i suoi occhi divennero di smeraldo. - Vi ricordate quella sera, durante l'assedio, sotto al porticato di zia Pitty? Mi diceste... che mi desideravate. Egli si gettò nuovamente indietro, appoggiando la spalliera della seggiola alla parete; il suo volto bruno era impenetrabile. Una luce si agitò un attimo nei suoi occhi, ma egli tacque. - Diceste... che non avevate mai desiderato tanto nessuna donna. Se mi desiderate ancora, Rhett, potete avermi. Farò tutto ciò che vorrete; ma per carità, scrivetemi un ordine per il denaro! La mia parola vi deve bastare. Giuro che non mi trarrò indietro. Se volete, ve lo metterò in iscritto. Egli la guardò in modo strano, sempre impenetrabile; Rossella non avrebbe saputo dire se era divertito o disgustato. Se almeno avesse pronunciato una parola! Ella sentí le fiamme salirle al viso. - E bisogna che io abbia il denaro senza indugio, Rhett. Altrimenti ci metteranno in mezzo alla strada; quel maledetto sorvegliante che era alle dipendenze del babbo vuoi diventare proprietario di Tara... - Un momento. Che cosa vi fa credere che io vi desideri ancora? Che cosa vi fa supporre che potete valere trecento dollari? Generalmente le donne non raggiungono questo prezzo. Ella arrossí fino alla radice dei capelli; non poteva essere piú umiliata di cosí. - Perché fate questo? Perché non lasciate perdere la proprietà e non ve ne andate ad abitare con miss Pittypat? Metà della casa vi appartiene... - Dio benedetto! - esclamò Rossella. - Siete pazzo? Io non posso lasciar perdere Tara. È la mia casa. Non la lascerò finché avrò respiro! - Gli irlandesi - e riabbassò i piedi anteriori della sedia togliendosi le mani di tasca - sono la razza piú infernale che vi sia. Mettono un ardore inverosimile nelle cose piú sbagliate. Per esempio, la terra. Come se una zolla non fosse identica a un'altra zolla... Dunque, stabiliamo chiaramente questa faccenda. Siete venuta da me con una proposta commerciale. Io vi darò trecento dollari e voi diventerete la mia amante. - Sí. Ora che la parola ripugnante era stata detta, ella si sentí sollevata; la speranza si ridestò in lei. Rhett aveva detto «vi darò». Nei suoi occhi era una luce diabolica, come se la cosa lo divertisse sommamente. - Eppure, quando ho avuto la sfacciataggine di farvi la stessa proposta, mi avete messo alla porta. E mi avete gratificato di un certo numero di insulti, aggiungendo che non volevate arrischiare di mettere al mondo «un mucchio di bastardi». Questo lo dico soltanto perché sto cercando di capire le stranezze della vostra mentalità. E tutto questo mi convince una volta di piú che la virtú è semplicemente una questione di prezzo. - Oh, Rhett, continuate pure! Se avete voglia di insultarmi, dite tutto quello che volete, ma datemi il denaro! Ora si sentiva piú tranquilla. Conoscendo Rhett, era certa che egli l'avrebbe tormentata e insultata per vendicarsi del passato e anche del suo recente tentativo. Ebbene, sopporterebbe tutto. Per Tara, valeva la pena. Tutto si poteva sopportare. Rialzò il capo. - Me lo darete? Egli la fissò come se si stesse divertendo, e quando rispose la sua voce ebbe una soave brutalità: - No, non ve lo darò. Le sembrò quasi di non capire. - Non potrei darvelo, anche se volessi. Non ho un quattrino con me. E non ho un dollaro ad Atlanta. Ho un po' di denaro, sí, ma non qui. E non vi dirò quanto né dove. Ma se io cercassi di fare un assegno, gli yankees vi si avventerebbero sopra e non prenderemmo piú nulla, né voi né, io. Che ne dite? Il volto di lei divenne verdastro, e la sua bocca si contorse come quella di Geraldo in una rabbia omicida. Balzò in piedi con un grido incoerente che fece immediatamente cessare il mormorio di voci nella stanza accanto. Con un guizzo di pantera Rhett le fu vicino, mettendole una mano sulla bocca e afferrandola alla vita con l'altro braccio. Ella lottò violentemente, cercando di mordergli la mano, di dargli dei calci, di urlare la sua ira, la sua disperazione, il suo odio, la sua angoscia, il suo orgoglio ferito. Si dibatté e si torse su quel braccio di ferro, ma egli la teneva cosí stretta da farle male; anche la mano che le aveva posto sulla bocca le serrava crudelmente le mascelle. Era pallidissimo sotto il suo colore abbronzato e i suoi occhi erano ansiosi mentre la sollevava completamente da terra; sedette nuovamente, stringendosela al petto, raccogliendola sulle sue ginocchia tutta contorta. - Cara, per l'amor di Dio! Zitta! Non urlate! Altrimenti entreranno qui... Calmatevi! Volete che gli yankees vi vedano in questo stato? Non le importava nulla di essere vista da chiunque; non aveva altro che un feroce desiderio di ucciderlo. Ma si sentí prendere dal capogiro: stentava a respirare; Rhett la soffocava; il busto la stringeva come una morsa di ferro. Udí la sua voce diventare piú fievole e lontana e il volto di lui chino sul suo fu avvolto da una specie di nebbia sempre piú densa, finché non lo vide piú. Tornando in sé, fece qualche lieve movimento: le dolevano tutte le ossa e si sentiva debole e sbalordita. Semisdraiata sulla sedia, era senza cappello; Rhett le dava dei lievi colpetti sul polso, mentre i suoi occhi neri la scrutavano ansiosamente. Il giovine capitano cercava di farle inghiottire un bicchierino di acquavite; gliene aveva sparso metà sul collo. Gli altri ufficiali giravano intorno senza saper che fare, parlando sottovoce e agitando le mani. - Credo... di essere svenuta. - E la propria voce le parve cosí lontana che la spaventò. - Bevi questo - disse Rhett prendendo il bicchiere e accostandoglielo alle labbra. Ella ricordò l'accaduto e lo guardò; ma era troppo stanca per adirarsi. - Ti prego, per amor mio. Inghiottí un sorso e cominciò a tossire; ma egli la costrinse ad inghiottire ancora. Ingoiò e il liquido ardente le bruciò la gola. - Ora mi pare che stia meglio, signori - disse Rhett - ed io vi ringrazio molto. L'idea che io debba essere giustiziato l'ha sconvolta. Il gruppo in uniformi azzurre si agitò un poco confusamente; vi fu qualche sguardo imbarazzato, qualche colpetto di tosse, poi tutti uscirono. - Se posso ancora esservi utile... - disse il giovine capitano soffermandosi sulla soglia. - No, grazie. Uscí e richiuse l'uscio. - Bevete un altro sorso. - No. - Bevete. Bevve ancora; il calore si diffuse per il suo corpo e le diede un po' di forza. Fece per alzarsi in piedi, ma egli la trattenne. - Lasciatemi. Ora me ne vado. - Non ancora. Aspettate un momento. Potreste svenire di nuovo. - Preferisco svenire per istrada piuttosto che stare qui con voi. - Ma io non voglio che vi sentiate male per istrada. - Lasciatemi andare. Vi odio. Egli accennò un debole sorriso. - Questo vi somiglia. Si vede che state meglio. Rossella cercò per un momento di richiamare la sua collera; ma era troppo stanca e debole per potere odiare e provare qualsiasi sentimento violento. La sconfitta le pesava come il piombo. Aveva giocato e aveva perduto tutto. Questa era la fine della sua ultima speranza; la fine di Tara e di ogni cosa. Rimase a lungo con gli occhi chiusi, sentendo vicino a sé il respiro di lui; il calore dell'acquavite diffondendosi nel suo corpo le diede una fittizia energia. Quando finalmente riaperse gli occhi e lo vide, la collera la invase nuovamente. Vedendole aggrondare le sopracciglia, Rhett sorrise. - State meglio. Si vede dal vostro cipiglio. - Sí, sto bene. Ma voi, Butler, siete un odioso farabutto, il piú gran mascalzone che io abbia mai conosciuto! Sapevate benissimo quello che vi avrei detto e sapevate che non potevate darmi il denaro. Avreste dunque potuto evitarmi... - Evitarvi di dire quello che avete detto? Neanche per sogno. Ho cosí poche distrazioni qui! E non ho mai udito nulla di piú piacevole. - Improvvisamente rise del suo vecchio riso beffardo. Udendolo ella balzò in piedi afferrando il suo cappello. Egli la prese per le spalle. - Non ancora! Vi sentite abbastanza bene da poter parlare con un po' di senso comune? - Lasciatemi andare! - Vedo che state bene. E allora ditemi una cosa. Ero io la sola cartuccia che potevate sparare? - I suoi occhi erano attenti e pronti a spiare ogni mutamento del volto di lei. - Che volete dire? - Ero il solo uomo col quale potevate tentare...? - Che ve ne importa? - Piú di quello che immaginate. Ditemi dunque. Avete altri uomini a cui ricorrere? - No! - Incredibile. Non riesco a immaginarvi senza una riserva di cinque o sei innamorati. Certamente qualcuno potrebbe accettare la vostra proposta. Ne sono tanto sicuro che vorrei darvi un piccolo consiglio. - Non so che farmene dei vostri consigli. - Voglio darvelo lo stesso. È la sola cosa che posso darvi adesso. Quando volete ottenere qualche cosa da un uomo, non siate cosí schietta come siete stata con me. Siate piú insinuante, piú seducente. Il risultato sarà migliore. Una volta eseguivate questo gioco alla perfezione. Ma poco fa, quando mi avete offerto la vostra... hm.... garanzia per il mio denaro, siete stata troppo dura. Ho visto degli occhi come i vostri una volta, a venti passi di distanza, durante un duello alla pistola; e vi assicuro che non è una vista piacevole. Ciò non risveglia l'ardore nel petto di un uomo. Non è cosí che si trattano gli uomini, mia cara. Voi state dimenticando la vostra educazione e tutte le arti che vi sono state insegnate. - Non ho bisogno che mi diciate come devo comportarmi - replicò Rossella; e si mise il cappello con le mani tremanti di stanchezza. Fu stupita che egli avesse voglia di scherzare, sentendosi la corda intorno al collo, e sapendo lei in condizioni cosí pietose. Non si accorse neppure che egli aveva le mani sprofondate in tasca, coi pugni stretti, come se facesse uno sforzo contro la propria impotenza. - Allegra - le disse mentre ella si annodava i nastri del cappello. - Potrete venire ad assistere alla mia impiccagione; questo vi farà bene. Salderà tutti i vostri vecchi rancori contro di me... anche quest'ultimo. E io vi nominerò nel mio testamento. - Grazie; ma c'è il pericolo che vi impicchino quando sarà troppo tardi per pagare le tasse - rispose Rossella con una subitanea malizia che superò quella di lui.

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. - La sola ragione per cui abbiamo resistito tanto è perché le nostre donne non volevano cedere. - E non cederanno mai! - continuò Ugo con un sorriso fiero ma triste. - Per loro è un dolore vedere noi tutti scesi cosí in basso... - Pensate, Rossella - riprese Tommy: - Ugo doveva essere un magistrato; Renato avrebbe dovuto suonare il violinò dinanzi alle teste coronate d'Europa; io studiavo medicina... - Date tempo al tempo! - interruppe Renato. - Io diventerò il Re delle Focacce; e voi, Tommaso, avrete degli schiavi irlandesi invece che degli schiavi negri. Ma ditemi di voi, miss Rossella, e di miss Melly. Come va? Che cosa fate: mungete le mucche, raccogliete il cotone? - No davvero! - rispose freddamente Rossella, incapace di comprendere l'allegria con la quale Renato accettava lavoro e privazioni. - Sono cose che fanno i nostri negri. - Ho saputo che miss Melly ha messo nome al suo bambino «Beauregard». Ditele che l'approvo, perché eccettuato «Gesú» non vi è un nome migliore. Benché sorridesse, i suoi occhi neri brillavano fieramente al ricordo dell'ardito eroe della Luisiana. - Vi è quello di Roberto Edoardo Lee - notò Tommy. - E non per menomare la reputazione del bravo Beau, vi assicuro che il mio primo figlio si chiamerà «Bob Lee Wellburn»! - Ora vi racconto una storiella, ma è vera - rise Renato. - È per farvi vedere come i nostri creoli la pensano sul conto del nostro Beauregard e del vostro Lee. Sul treno della Virginia un uomo del generale Lee incontra un creolo delle truppe di Beauregard. E quello della Virginia parla, parla, parla: e il generale Lee faceva questo e il generale Lee faceva quest'altro. Il creolo lo guardava aggrottando la fronte per cercare di ricordarsi; finalmente sorrise esclamando: «Ah, sí, il generale Lee! Ho capito! È quel tale di cui il generale Beauregard parla con benevolenza!» Rossella cercò di unirsi alla risata generale, ma senza capire lo spirito della storiella. Per di piú, ella trovava che il figlio di Ashley si sarebbe dovuto chiamare come il padre. I musicanti, dopo qualche accordo preliminare, attaccarono un «reel»; Tommy si volse a Rossella. - Volete ballare, Rossella? Io non posso farvi da cavaliere; ma Ugo o Renato... - No, grazie. Sono ancora in lutto per mia madre. Starò a guardare. I suoi occhi scorsero Franco Kennedy accanto alla signora Elsing e gli accennarono impercettibilmente di avvicinarsi. - Rimango a sedere in quest'angolo se potete portarmi qualche cosa da bere - gli disse quando gli altri si furono allontanati - e faremo due chiacchiere. Franco si affrettò ad andarle a cercare un bicchiere di vino e una fettolina di torta; intanto ella si acconciò in una specie di nicchia in fondo al salotto, disponendo la sua gonna in modo che le macchie non si vedessero. L'umiliazione della mattina si andava dileguando dalla sua mente, scacciata dall'eccitazione di veder gente e di udire la musica. Domani ripenserebbe al contegno di Rhett e si sentirebbe nuovamente piena d'ira e di vergogna. Domani cercherebbe anche di comprendere se aveva prodotto una buona impressione sul cuore ferito di Franco. Ma non stasera. Stasera era tutta vibrante di speranza, con lo spirito sveglio e gli occhi luminosi. Guardò la sala e ricordò com'era bella quando l'aveva vista la prima volta durante la guerra. Allora il pavimento di legno era lucido come uno specchio e il lampadario coi suoi mille pendagli sfaccettati rifletteva vividamente le luci da dozzine e dozzine di candele, rifrangendole in sprazzi di porpora e d'azzurro. I vecchi ritratti alle pareti avevano un aspetto dignitoso e gentile come se dessero il benvenuto agli ospiti. I divani di legno di rosa erano morbidi e accoglienti; uno di essi, il piú grande, era al posto d'onore nella nicchia ove ella sedeva presentemente. Era stato il sedile preferito di Rossella, che da lí godeva la vista del salone e della sala da pranzo, con le credenze di mogano cariche d'argenteria: candelabri a sette bracci, coppe, vassoi, bottiglie e bicchierini. Ora il lampadario era opaco; la maggior parte dei pendagli erano rotti e la stanza era rischiarata solo da una lampada a olio e da poche candele; la maggiore illuminazione era forse quella che proveniva dalla fiamma accesa nel caminetto. Il pavimento era irreparabilmente spaccato e scorticato; sulle pareti larghe chiazze chiare mostravano dove erano stati sospesi i quadri, e grandi fessure ricordavano che durante la guerra una cannonata aveva demolito il tetto e il secondo piano. La grande tavola di mogano era ancora nella sala da pranzo, con le gambe riparate alla meglio; le credenze e l'argenteria erano scomparse. I pesanti drappeggi di damasco giallo oro che ornavano le finestre ad arco in fondo alla stanza mancavano esse pure; vi erano soltanto i resti delle tendine di pizzo, pulite ma con visibili rammendi. Al posto del divano intagliato che le piaceva tanto era adesso un banco duro non molto comodo. Vi sedette con la miglior grazia possibile, rammaricandosi che lo stato della sua gonna non le consentisse di ballare. Come le piacerebbe danzare! Ma senza dubbio potrebbe fare molto di piú, nei riguardi di Franco, in quella nicchia, che durante l'ansimare di un valzer; qui potrebbe ascoltarlo affascinata dalla sua parola e incoraggiarlo a maggiori espansioni. Certamente la musica era invitante. Ella batteva il tempo col piede, con desiderio, come faceva il vecchio Levi mentre pizzicava un banjo stridente e chiamava le figure del «reel». I piedi scivolavano; le due file di danzatori avanzavano una verso l'altra, si ritraevano, giravano, facevano archi con le braccia. «Il vecchio Dan Tucker era ubriaco... (Oscillate in cadenza con le dame!) «... cadde nel fiume e bevve dell'acqua!» (Saltate leggermente, signore!) Dopo i malinconici mesi trascorsi a Tara, era piacevole udire nuovamente un po' di musica, e lo stropiccio dei piedi che ballavano; rivedere dei volti amici, ricordare antichi scherzi, fare la burletta, motteggiare, civettare. Era come se la vita tornasse in un corpo morto; come se si ritrovasse ai bei giorni di cinque anni prima. Se avesse potuto chiudere gli occhi e non vedere gli abiti sciupati, e le scarpe rattoppate; se la mente non avesse ricordato i volti dei giovani che mancavano ella avrebbe quasi potuto credere che nulla fosse mutato. Ma guardando gli uomini raggruppati in sala da pranzo, le signore che facevano tappezzeria e chiacchieravano coprendosi la bocca con le mani in mancanza di ventaglio, e le coppie dei ballerini, ebbe improvvisamente un senso di terrore come se quelle figure familiari fossero spettri. Erano gli stessi, eppure erano diversi. Perché? Perché avevano cinque anni di piú? No, era qualche altra cosa oltre al trascorrere del tempo; qualche cosa che li aveva abbandonati. Cinque anni prima essi avevano una sicurezza di cui erano ignari; ora questa era scomparsa e con essa era scomparsa la gioia e la gaiezza del loro modo di vivere. Anche lei era cambiata, ma non come questi altri; e ciò la rendeva perplessa. Li guardava come se fosse una straniera, giunta da un altro mondo, con un linguaggio che essi non comprendevano, come essa non comprendeva il loro. Era lo stesso sentimento che provava accanto ad Ashley; con lui e con le persone simili a lui. I volti erano poco cambiati e i modi non lo erano affatto; ma questo era tutto ciò che rimaneva dei suoi vecchi amici. In loro era ancora una dignità e una galanteria immutate, che avrebbero conservato sino alla morte; ma con questa avrebbero portato nella loro tomba un'amarezza troppo profonda per essere espressa in parole. Era un popolo ardito, ma stanco, che era stato sconfitto e non voleva accettare la sconfitta; abbattuto, ma pure deciso a rimanere in piedi. Costoro vivevano nel paese che amavano, lo vedevano calpestato dal nemico; vedevano furfanti che s'infischiavano della legge, i loro antichi schiavi divenuti una minaccia, i loro uomini privati dei diritti politici, le loro donne insultate. Tutto era dunque mutato meno le antiche forme. Le vecchie usanze continuavano, poiché rappresentavano tutto ciò che rimaneva loro. Sí, essi restavano aggrappati a ciò che avevano amato: la cortesia, le maniere galanti, la piacevole superficialità nei rapporti sociali, e, piú di tutto, l'atteggiamento protettore degli uomini verso le donne. Questo, pensava Rossella, era il sommo dell'assurdità, perché vi era ben poco ormai che anche le donne piú riservate non avessero veduto e conosciuto in quegli ultimi cinque anni. Avevano curato i feriti, chiuso gli occhi ai moribondi, sofferto la guerra, l'incendio, la devastazione, conosciuto il terrore, la fuga e la fame. Ma, qualunque cosa avessero veduto, a qualunque lavoro si fossero assoggettati, rimanevano signore e gentiluomini, regalità in esilio; amari, distanti, incuriosi, buoni gli uni per gli altri, duri come il diamante, e brillanti come i cristalli del lampadario deteriorato sulle loro teste. Rossella sapeva che ella pure era mutata. Altrimenti non avrebbe potuto compiere ciò che aveva fatto da quando era arrivata ad Atlanta. Né avrebbe contemplato la possibilità di compiere ciò a cui disperatamente agognava. Ma vi era una differenza tra la sua asprezza e quella di loro; una differenza di cui non si rendeva conto. Forse era questa: che non vi era nulla che ella non avrebbe fatto, mentre vi erano tante cose che quella gente avrebbe preferito morire piuttosto che compiere. Forse non speravano piú nulla, ma sorridevano ugualmente alla vita; ciò che Rossella non poteva fare. Quelli che ella vedeva non erano volti erano maschere che non sarebbero mai cadute. Ed improvvisamente li detestò, appunto perché erano diversi da lei, perché sopportavano le loro perdite in una maniera che a lei sarebbe per sempre vietata. Detestò quegli estranei sorridenti e leggeri, quei pazzi orgogliosi, che attingevano la loro fierezza in ciò che avevano perduto. Le donne avevano un atteggiamento di signore, benché quotidianamente si dedicassero a umili lavori e non sapessero quando e come potrebbero avere un abita nuovo. Ma erano signore! E lei non riusciva a sentirsi signora, malgrado il suo abito di velluto e i capelli profumati, malgrado l'orgoglio dei suoi natali, e della sua ricchezza di un tempo. Il duro contatto con la rossa argilla di Tara, l'aveva privata di ogni dolcezza, ed ella era sicura che non si sentirebbe mai piú una signora, finché la sua tavola non fosse coperta di argenteria e cristalli, finché carrozze e cavalli non riempissero le sue scuderie, finché il cotone di Tara non venisse colto da mani nere e non bianche. «Ah!» pensò irritata. «Eccola la differenza! Benché siano povere, loro si sentono ancora delle signore, ed io no. Queste sciocche non capiscono che non si può essere una signora senza denaro!» Pure avendo compreso questo, aveva vagamente la sensazione che coloro, sciocchi com'erano, avevano il giusto atteggiamento. Elena avrebbe pensato cosí. Questo la turbò. Ella sapeva che avrebbe dovuto credere, come loro, che quando una nasce signora, rimane signora anche se ridotta in povertà; ma non riusciva a convincersene. Crollò le spalle irritata. Forse questa gente aveva ragione e lei aveva torto; ma costoro non guardavano verso l'avvenire come faceva lei, lottando con ogni energia, arrischiando perfino l'onore e il buon nome per riconquistare ciò che avevano perduto. La maggioranza di coloro riteneva che dibattersi per il denaro fosse al di sotto della loro dignità. Riteneva che lo sforzarsi a guadagnare, e anche il parlare di denaro fosse cosa volgare. Vi erano delle eccezioni: per esempio la signora Merriwether, che faceva le focacce, e Renato che andava in giro a venderle. E Ugo Elsing che vendeva legname, e Tommy che faceva l'appaltatore. E anche Franco che aveva una bottega. Ma la maggioranza? I piantatori si limitavano a coltivare qualche zolla di terreno e vivevano in povertà. Alcuni avvocati e dottori erano tornati alla loro professione ad aspettare clienti che non arriverebbero mai. E gli altri, quelli che vivevano interamente di rendita? Che sarebbe di loro? No, non voleva rimaner povera. Non aspetterebbe il miracolo. Si getterebbe a capo fitto e cercherebbe di afferrare ciò che poteva. Suo padre aveva cominciato con l'essere un povero immigrante, e finito col possedere Tara. Ciò che egli aveva fatto, anche sua figlia potrebbe farlo. Non era come costoro che avevano giocato tutto su una Causa perduta, e ne erano fieri, ritenendo che la Causa meritasse ogni sacrificio. Essi traevano il loro coraggio dal passato; ella traeva il suo dall'avvenire. Franco Kennedy era in questo momento il suo avvenire. Se riusciva a sposarlo, l'anno venturo potrebbe sistemare le faccende di Tara. Dopo... Franco doveva comprare la segheria. Le tornarono in mente dal fondo della memoria le parole che Rhett aveva detto un giorno a proposito del denaro che guadagnava col contrabbando. Ella non si era presa il disturbo di capirle allora, ma adesso il loro significato le appariva chiarissimo. «Si può guadagnare tanto denaro nel crollo di una civiltà, come nella ricostruzione di un'altra.» «Aveva ragione» pensò. «C'è da fare una quantità di quattrini per chi non ha paura di lavorare... o di impadronirsi di sorpresa delle situazioni.» Vide Franco che veniva verso di lei portando in una mano un bicchiere di vino di more e nell'altra un piattino con una fettina di torta, e si sforzò a sorridere. Non si chiese neppure se per la salvezza di Tara valeva la pena di sposare Franco. Era sicura di sí; e non si soffermava mai a pensare una seconda volta alle cose. Gli sorrise e sorseggiò il vino, sapendo che il suo volto era piú graziosamente roseo di quello di qualsiasi altra ballerina. Raccolse le gonne per farlo sedere accanto a lei, e agitò lievemente il fazzoletto, per fargli giungere il profumo leggero dell'acqua, di Colonia. Era molto contenta di averla comprata, perché nessun'altra donna, nella sala, era profumata, e Franco l'aveva notato. In un momento di audacia le aveva sussurrato che era fresca e fragrante come una rosa. Se non fosse cosí timido! Le dava l'idea di un vecchio coniglio selvatico. Se almeno avesse la galanteria e l'ardore dei ragazzi Tarleton, o magari la sfacciata impudenza di Rhett Butler! Ma se avesse avuto queste qualità, probabilmente sarebbe stato abbastanza intelligente da accorgersi della disperazione che si annidava sotto le sue palpebre pudicamente abbassate. Cosí com'era, egli non conosceva tanto le donne da poter menomamente sospettare ciò che Rossella pensava. Per lei, questa era una fortuna; ma senza dubbio non aumentava la sua stima per Franco.

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Credono a tutto ciò che dicono quei farabutti e dimenticano ciò che noi abbiamo fatto per loro. Adesso vogliono dar loro i diritti politici e li negano a noi. E se fanno questo, sarà finita per noi! Per Bacco, lo Stato è nostro! Non appartiene agli yankees! Perdio, Rossella, non si può tollerare! E non sarà tollerata. Faremo qualunque cosa, magari anche un'altra guerra. Fra poco avremo giudici negri, legislatori negri, scimmie nere uscite dalla giungla... - Ma presto, ditemi! Che avete fatto? - Datemi un altro di quei panini prima di fare il pacchetto. Dunque: si era venuti a sapere che Wilkerson era andato un po' troppo oltre con la faccenda dell'uguaglianza dei negri. Ma sí, tiene a quegli idioti dei discorsi che durano delle ore! E ha avuto la sfacciataggine di... - Toni stentava a esprimersi - di dire che i negri hanno diritto... su... sulle donne bianche. - No, Toni! - Sí, perdio! Vi fa impressione, eh? Eppure non dovrebbe riuscirvi nuovo. Glie lo hanno detto anche qui ad Atlanta. - Non... non lo sapevo. - Si vede che Franco ha evitato di farvelo sapere. Ad ogni modo, dopo di questo, avevamo pensato che una sera avremmo chiamato in disparte il signor Wilkerson, per fare i conti con lui; ma prima che potessimo far ciò... Vi ricordate quel giovinotto negro, Eustacchio, che faceva da capoccia ai nostri? - Sí. - Si è presentato oggi alla porta della cucina mentre Sally preparava il pranzo e... non so che cosa le ha detto. Credo che non lo saprò mai. Ma l'ho udita urlare e sono corso in cucina dove l'ho trovato ubriaco fradicio... L'ho steso a terra, e quando la mamma è venuta in cucina per occuparsi di Sally, sono saltato a cavallo e ho galoppato verso Jonesboro in cerca di Wilkerson. La colpa era sua. Quel maledetto negro non avrebbe mai pensato di fare una cosa simile se lui non glie lo avesse detto. Passando davanti a Tara ho incontrato Ashley che naturalmente è venuto con me. Voleva che lasciassi fare a lui per vendicarsi del modo in cui Wilkerson aveva agito nella faccenda di Tara, ma io gli ho detto che spettava a me perché Sally era la moglie di mio fratello morto. E abbiamo discusso per tutta la strada. Arrivati in città, figurati, Rossella, che non avevo neanche la pistola con me. L'avevo lasciata nella stalla. Con la furia che avevo avuto... Fece una pausa e addentò il panino; Rossella ebbe un brivido. L'ira sanguinaria dei Fontaine era ben conosciuta nella Contea. - Quindi mi è toccato servirmi del coltello. Ho trovato quell'individuo all'osteria. L'ho spinto in un angolo, mentre Ashley teneva indietro gli altri, e gli ho detto il fatto suo prima di bucargli la pancia. È stato affare d'un momento. La prima cosa di cui mi sono accorto è che Ashley mi ha messo sul cavallo dicendomi di venire da voi. Ashley conserva il sangue freddo in questi casi. Franco entrò portando sul braccio il suo pastrano che porse a Toni. Era il solo indumento pesante che possedesse, ma Rossella non protestò. - Ma Toni... - mormorò. - A casa hanno bisogno di voi. Se tornaste indietro a spiegare... - Franco, voi avete sposato una pazza - rise Toni mentre infilava le maniche. - Crede che gli yankees ricompensino un uomo che impedisce ai negri di toccare le sue donne. Sí, lo ricompensano, ma con un nodo scorsoio. Datemi un bacio, Rossella. Può darsi che non vi veda mai piú, e certo a Franco non dispiacerà. Il Texas è lontano. Non oso scrivere; quindi pensate voi a informare i miei che fino a qui sono giunto sano e salvo. Ella si lasciò baciare; quindi i due uomini uscirono sotto la pioggia torrenziale e si fermarono un attimo a discorrere nel porticato posteriore. Dopo un momento udí un trepestio di zoccoli: Toni era partito. Aperse una fessura dell'uscio e vide Franco che conduceva nella stalla un grosso cavallo zoppicante. Richiuse e sedette con le ginocchia che le tremavano. Ora comprendeva che cos'era la Ricostruzione; le sembrava che la casa fosse circondata da selvaggi nudi, accoccolati sui calcagni. Ora le tornavano in mente tante cose a cui non aveva badato: conversazioni che aveva sorpreso, ma non ascoltato, discorsi fra uomini interrotti al suo arrivo, piccoli incidenti a cui non aveva dato importanza. E anche gli ammonimenti di Franco quando non voleva che ella andasse allo stabilimento protetta unicamente dal vecchio zio Pietro. Tutte queste cose si riunivano a formare un quadro terrificante. I negri erano in alto, e dietro a loro erano le baionette degli yankees. Ella poteva essere uccisa, violentata, e probabilmente nessuno se ne occuperebbe. E se qualcuno volesse vendicarla, sarebbe impiccato dagli yankees senza neppure la soddisfazione di un processo e di un giurí. Gli ufficiali yankee che non conoscevano leggi e non si curavano delle circostanze in cui un delitto veniva commesso, facevano a meno di ogni procedura e non esitavano a mettere la corda al collo di un meridionale. «Che possiamo fare?» pensò torcendosi le mani in un'agonia di terrore. «Che possiamo fare contro questi dèmoni che sarebbero capaci di impiccare un simpatico ragazzo come Toni perché, per proteggere le sue donne, ha ucciso un furfante ubriaco e un mascalzone rinnegato?» - Non si può sopportare! - aveva esclamato Toni; e aveva ragione. Non si poteva sopportare; e intanto non vi era altro da fare. Cominciò a tremare, e per la prima volta in vita sua vide le persone e gli avvenimenti come qualche cosa che era completamente staccato da lei; vide che Rossella O'Hara, debole e spaventata, non era la creatura piú importante del mondo. Vi erano nel sud migliaia di donne come lei, spaventate e smarrite. Ed anche migliaia di uomini che avevano posato le armi, ma ora le avevano riprese, pronti a rischiare le loro teste per difendere queste donne. Nel volto di Toni era qualche cosa che ella aveva visto rispecchiata in altri volti ad Atlanta, senza essersi soffermata ad analizzarla. Era un'espressione assai diversa dalla stanchezza che aveva visto in coloro che erano tornati dalla guerra. Questi non pensavano allora ad altro che a giungere a casa. Ora avevano altri pensieri: i nervi rilassati cominciavano a riprender vigore e il vecchio spirito tornava a infiammarli. E come Toni, essi pensavano: «È cosa che non si può sopportare!» Per la prima volta sentí una vera comunanza con le persone che aveva intorno, si sentí unita ai loro timori, alla loro amarezza, alla loro determinazione. Il Sud era troppo bello per poter essere abbandonato senza lotta, troppo amato per essere calpestato dagli yankees che odiavano i meridionali sino al punto di esser felici di trascinarli nel fango, troppo diletto per essere lasciato in potere di negri ignoranti, ebbri di whisky e di libertà. Ripensando al subitaneo arrivo di Toni e alla sua rapida partenza, ella si sentí affine a lui, ricordando la vecchia storia della partenza di suo padre dall'Irlanda, in fretta e furia e di notte, dopo un omicidio che per lui e per la sua famiglia non era stato delitto. Il sangue violento di Geraldo era in lei. Ricordò la sua gioia ardente nell'uccidere il ladro yankee. Il sangue violento era in tutti loro, pericolosamente a fior di pelle, sotto la cortesia esteriore. Tutti gli uomini che ella conosceva, perfino il sonnolento Ashley e l'irrequieto Franco, erano cosí nel loro intimo: pronti a uccidere in caso di necessità. Anche Rhett, benché fosse un farabutto senza coscienza, aveva ucciso un negro perché era stato «insolente verso una signora». Quando Franco rientrò tossendo, gocciolante di pioggia, ella balzò in piedi. - Oh, Franco, quanto durerà? - Finché gli yankees ci odieranno cosí. - E non si può far nulla? Franco passò la mano stanca sulla sua barba bagnata. - Stiamo facendo qualche cosa. - Che cosa? - Perché parlarne prima di averla compiuta? Può darsi che ci vogliano degli anni. Forse... forse il Sud sarà sempre cosí. - Oh, no! - Vieni a letto, tesoro. Devi essere infreddata. Tremi. - Quando finirà? - Quando potremo ancora votare. Quando ogni uomo che ha combattuto per il Sud potrà mettere il suo voto nell'urna per un meridionale democratico. - Un voto? - ella esclamò disperata. - E a che può servire quando i negri hanno perso il cervello... quando gli yankees li aizzano contro di noi? Franco continuò a spiegare con pazienza; ma l'idea che i voti potessero porre rimedio a tutto quello, era troppo complicato per lei. Ella pensava soltanto con soddisfazione che Giona Wilkerson non potrebbe piú minacciare Tara; e di questo era grata a Toni. - Quei poveri Fontaine! È rimasto il solo Alex, e a Mimosa c'è tanto da fare! Perché Toni non ha avuto il buon senso di... di farlo di notte quando nessuno poteva vederlo? Franco le passò un braccio attorno alla vita. Di solito ella diventava nervosa quando egli la prendeva in quel modo; ma stanotte vi era negli occhi di suo marito una strana espressione, e il suo braccio era fermo. - Non è cosa di poca importanza spaventare i negri e dare una lezione ai rinnegati nella persona di uno di loro. Finché vi sono dei giovinotti come Toni, non avremo bisogno di preoccuparci troppo per il Sud. Se riusciamo a stare uniti e a non cedere di un pollice agli yankees, forse un giorno vinceremo. Ma non preoccuparti, tesoro. Lascia che pensino gli uomini. Forse noi non vedremo piú questo; ma certo un giorno verrà. Gli yankees si stancheranno di molestarci quando vedranno che non riescono a spuntarla; e allora potremo vivere e allevare i nostri figlioli. Ella pensò a Wade e al segreto che da qualche giorno teneva chiuso in sé. No, non desiderava che i suoi figlioli crescessero in questo lievito di odio e di incertezza, di amarezza e di violenza, di miseria e di disperazione. Per i suoi figlioli desiderava un mondo sicuro e ordinato in cui poter guardare all'avvenire e sapere che questo era sicuro per loro; un mondo in cui i suoi figlioli conoscessero solo dolcezza, tepore, abiti caldi e cibi nutrienti. Franco credeva che ciò si sarebbe ottenuto coi diritti politici. Ma a che serviva il voto? Alle persone per bene nel Sud non sarebbe mai piú concesso di votare. Una sola cosa al mondo poteva essere un baluardo sicuro contro le calamità del destino: il denaro. Ella pensò febbrilmente che bisognava guadagnarne molto e metterlo al sicuro. E bruscamente disse a suo marito che aspettava un bambino.

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Voi ci avete mandato il denaro ed io e Ashley abbiamo pagato le tasse, comprato le mule, le sementi e poi qualche maiale e dei polli. Miss Melly si occupa delle galline e fa molto bene. È una brava donna, miss Melly. Insomma, dopo aver comprato tutto quello che occorreva, era rimasto ben poco. Ma nessuno di noi si lamentava, eccetto Súsele. Miss Melania e Carolene stavano in casa e portavano i loro abiti vecchi con orgoglio; ma voi conoscete Súsele. Non si è mai abituata alle privazioni. Si seccava moltissimo di essere cosí mal vestita quando io la conducevo a Jonesboro o a Fayetteville; specialmente perché alcune di quelle signo... donne dei «Carpetbaggers» andavano in giro in gran lusso. E le mogli di quei maledetti yankees! Insomma, per le signore della Contea è un punto d'onore, il portare quello che hanno di peggio; ma per Súsele no. E si era anche messa in mente di avere un cavallo e una carrozza, dicendo che anche voi ne avete una. - Non è una carrozza: è un vecchio calessino - disse Rossella sdegnata. - Non ha importanza. Tanto vale che io vi dica anche che Súsele non ha mai digerito il fatto che voi avete sposato Franco Kennedy; e non le posso dare tutti i torti. Dovete convenire voi pure che non è stato un bello scherzo da fare a una sorella. Rossella si sollevò dalla sua spalla, furibonda come un serpente pronto a scattare. - Un bello scherzo? Vi prego di moderare i termini, Will Benteen! Potevo forse evitare che mi preferisse a lei? - Voi siete una ragazza coraggiosa, Rossella; e sono sicuro che avreste potuto evitarlo. Le ragazze vi riescono sempre, se vogliono. E invece dovete averlo lusingato. Ed era lo spasimante di Súsele. Una sua lettera scritta una settimana prima che voi giungeste ad Atlanta, era tutta zucchero e miele e diceva che pensava di sposarla appena avesse messo assieme un po' di denaro. Súsele mi ha fatto leggere la lettera. Rossella tacque perché sapeva che egli diceva la verità. Non si sarebbe mai aspettata di essere giudicata da Will. E la menzogna detta a Franco non le era mai pesata molto sulla coscienza. Se una ragazza non sapeva trattenere un corteggiatore, voleva dire che meritava di perderlo. - Non dite cattiverie, Will. Credete che se Súsele lo avesse sposato avrebbe speso un centesimo per Tara o per uno di noi? - No, non credo che avremmo mai visto un penny del vecchio Franco. Ma il vostro è stato lo stesso un brutto scherzo; e se volete dire che il fine giustifica i mezzi, la cosa non mi riguarda. Insomma, Súsele dopo di allora è diventata noiosa e pungente come una vespa. Non credo che gli volesse bene, ma era stata ferita nella sua vanità; e poi la tormentava il fatto che voi avevate abiti e carrozza e vivevate ad Atlanta mentre lei era sepolta a Tara. E a lei piace andare a ricevimenti e visite... Le donne sono cosí. Breve: un mese fa la condussi a Jonesboro e la lasciai andare a far delle visite mentre io mi occupavo di affari; quando tornammo a casa era silenziosa ma vidi che era cosí eccitata che stava per scoppiare. Credetti che avesse sentito qualche pettegolezzo interessante e non vi feci molta attenzione. Per circa una settimana la vidi girare per casa sempre eccitata ma senza dir nulla. Poi, andò a far visita a miss Catina Calvert... Oh, se la vedeste, Rossella! Povera figliuola, era meglio che morisse piuttosto che sposare quel pusillanime yankee, quell'Hilton. Sapevate che egli aveva ipotecato la casa e che ora l'ha perduta e debbono andar via? - Non lo so e non m'importa di saperlo. Voglio sapere del babbo. - Ora ci arrivo - continuò Will con pazienza. - Quando tornò a casa disse che tutti quanti avevamo mal giudicato Hilton. Disse che era una persona perbene, ma tutti noi ridemmo di questo. Allora cominciò a condurre a spasso vostro padre nel pomeriggio; e molte volte tornando a casa li vedevo seduti sul muricciolo attorno al cimitero, e vedevo che gli parlava con vivacità agitando le mani. E lui la guardava perplesso scuotendo la testa. Voi sapete com'era ridotto, Rossella. Sempre piú stordito, senza piú sapere dov'era e chi erano le persone attorno a lui. Una volta la vidi che indicava la tomba di vostra madre e il signor O'Hara cominciò a piangere. E quando tornò a casa tutta eccitata e felice, io le parlai molto aspramente. «Che cosa vi viene in mente» le dissi «di tormentare il vostro povero babbo parlandogli della mamma?» Lei si mise a ridere e mi rispose: «Occupatevi dei vostri affari. Un giorno sarete contento di quello che faccio.» Quella sera miss Melly mi disse che Súsele le aveva raccontato il suo progetto ma lei non credeva che avesse parlato sul serio. E non ne aveva accennato a nessuno di noi perché la sola idea la sconvolgeva. - Ma che idea? Volete spiegarmi una buona volta? A momenti siamo a casa. Ed io voglio sapere. - Sto cercando di dirvelo. E siamo cosí vicini che sarà meglio fermarci finché non ho finito. Tirò le redini e il cavallo si fermò. Erano presso la siepe di serenella che segnava il limite della proprietà dei MacIntosh. Attraverso gli alberi Rossella scorgeva i grandi comignoli spettrali ancora ritti sulle rovine silenziose. Avrebbe preferito che Will avesse scelto un altro luogo per fermarsi. - Insomma, la sua idea era questa: far ripagare agli yankees il cotone che hanno bruciato, la roba che hanno portato via e le barriere e le tettoie che hanno demolite. - Agli yankees? - Non ne avete sentito parlare? Il governo yankee indennizza tutti gli abitanti del Sud simpatizzanti con l'Unione che hanno avuto danni nelle loro proprietà. - Sí; l'ho sentito dire. Ma, noi che c'entriamo? - Secondo Súsele, c'entriamo moltissimo. Quel giorno che venne a Jonesboro incontrò la signora MacIntosh, e mentre discorrevano Súsele notò che la signora aveva un bel vestito e le chiese come mai... Allora la MacIntosh si diede molte arie dicendo che suo marito aveva reclamato presso il governo federale perché era stata distrutta la proprietà di un leale simpatizzante per l'Unione, il quale non aveva mai dato aiuto alla Confederazione in nessun modo. - Oh, non hanno mai dato niente a nessuno, quegli scozzesi! - interruppe Rossella con violenza. - Può darsi. Io non li conosco. Ad ogni modo, il governo ha dato loro non so piú quante migliaia di dollari. Una bella cifra. Questo impressionò Súsele, la quale vi pensò su tutta la settimana, senza dirci nulla perché sapeva che ne avremmo riso. Ma bisognava pure che parlasse con qualcuno; fu allora che andò da miss Catina e parlò con quel maledetto straccione di Hilton, il quale le diede una quantità di altre idee. Le disse che vostro padre non era nato in questo paese; non aveva combattuto, non aveva avuto figli in guerra e non aveva mai coperto nessun ufficio sotto la Confederazione. E dato tutto questo si poteva affermare che il signor O'Hara era simpatizzante per l'Unione. Le riempí la testa: sicché, venuta a casa, Súsele cominciò a parlare col signor O'Hara il quale, ci scommetterei, non sapeva neanche che cosa sua figlia gli dicesse. E certamente lei faceva assegnamento su questo per condurlo a fare il giuramento di fedeltà senza che egli se ne accorgesse neppure. - Papà pronunciare il giuramento! - Era cosí indebolito di mente che certamente lei vi contava. E nessuno di noi ha sospettato nulla di tutto questo. Vedevamo che stava combinando qualche cosa, ma non avremmo mai supposto che si sarebbe servita della vostra defunta mamma per rimproverargli di lasciare che le sue figlie fossero vestite di stracci mentre poteva avere dagli yankees centocinquantamila dollari. - Centocinquantamila dollari - mormorò Rossella sentendo diminuire il suo orrore per il giuramento. Quanto denaro! E per averlo bastava firmare un giuramento di fedeltà al governo degli Stati Uniti, un giuramento che stabiliva che il firmatario aveva sempre subíto il governo precedente, senza mai dargli aiuto. Centocinquantamila dollari! Per una piccola menzogna! Davvero, non poteva biasimare Súsele. E Alex aveva detto che si sarebbe dovuto frustarla?! Erano pazzi, tutti quanti. Quante cose farebbe, lei, con quel denaro! Quante cose farebbero tutti quei pazzi della Contea! Che importava una piccola menzogna? Dopo tutto, qualunque cosa si potesse togliere agli yankees, era denaro bene acquistato, in qualunque modo. - Ieri, verso mezzogiorno, mentre Ashley ed io eravamo a spaccar legna, Súsele prese questo carretto, vi mise sopra vostro padre e andò con lui in città senza dir nulla a nessuno. Miss Melly ebbe un sospetto, ma sperando che Súsele avrebbe mutato idea, non ci pose sull'avviso. Non credeva che Súsele sarebbe stata capace... Oggi ho saputo che cosa era successo. Quel pusillanime Hilton pare che sia in buoni rapporti con gli altri repubblicani della città e Súsele gli aveva promesso di dar loro una parte del denaro - non so quanto - se essi acconsentivano a riconoscere che il signor O'Hara, da buon irlandese era stato un leale simpatizzante per l'Unione, e non aveva appartenuto all'esercito, eccetera eccetera; e se avessero firmato delle raccomandazioni. Vostro padre non doveva fare altro che giurare e firmare la carta che sarebbe poi stata mandata a Washington. La faccenda del giuramento fu rapida; vostro padre non disse nulla e tutto andò bene fino al momento di firmare. Allora parve che tornasse in sé per un istante e crollò il capo. Non credo che sapesse di che si trattava; ma la cosa non gli piaceva. Súsele lo prendeva sempre al contrario, e l'esitazione di lui la irritò, dopo tutta la fatica che aveva fatta. Lo condusse via dall'ufficio e camminò con lui su e giú per la strada, dicendogli che vostra madre gridava contro di lui dalla tomba perché egli lasciava soffrire le sue figlie mentre avrebbe potuto provvedere a loro. Mi hanno detto che vostro padre piangeva come un bambino, come sempre quando udiva il nome di miss Elena. Tutti li videro, e Alex Fontaine si avvicinò a chiedere che cos'era successo; ma Súsele gli rispose male dicendogli di occuparsi dei fatti suoi, sicché egli se ne andò furibondo. Non so come le venne l'idea; ma so che nel pomeriggo si provvide di una bottiglia di acquavite, condusse il signor O'Hara nell'ufficio e cominciò a farlo bere. Da un anno, Rossella, non abbiamo alcool a Tara, eccetto un po' di vino di more che fa Dilcey; quindi vostro padre non c'è piú abituato. In breve fu ubriaco; e dopo che Súsele ebbe ancora discusso e argomentato per un pezzo, finalmente disse di sí e acconsentí a firmare. Ma mentre stava per metter la penna sulla carta, Súsele commise un errore. «Adesso» esclamò «gli Slattery e i Maclntosh la finiranno di darsi delle arie di superiorità con noi!» Dovete sapere che gli Slattery hanno fatto una richiesta di indennizzo molto elevata per quella catapecchia incendiata dagli yankees e il marito di Emma ha ottenuto il pagamento. Dunque, mi hanno detto che all'udire quei nomi il vostro babbo si è raddrizzato e l'ha guardata con occhio penetrante. Non era piú smarrito; e le chiese: «Gli Slattery e i MacIntosh hanno firmato una carta come questa?» Súsele cominciò a dire di sí e di no e a balbettare; e allora egli gridò ad alta voce: «Dimmi se quel maledetto orangista e quel maledetto straccione bianco hanno firmato una carta come questa!» E allora Hilton, credendo di calmarlo: «Sissignore, ed hanno avuto dei bei quattrini come li avrete voi.» Il vecchio signore emise un ruggito come un toro. Alex Fontaine dice che lo sentí dalla bettola dove si trovava. E poi gridò: «E voi credete che O'Hara di Tara voglia seguire il sudicio esempio di un maledetto orangista e di un maledetto straccione bianco?» Lacerò la carta in due pezzi e la gettò sul viso di Súsele urlando: «Tu non sei mia figlia!» e fu fuori dall'ufficio prima che i presenti potessero riaversi dalla sorpresa. Alex racconta che lo vide scendere in istrada come un toro infuriato; sembrava di nuovo quello di una volta e urlava e bestemmiava a piena voce, benché fosse ubriaco fradicio. Davanti alla bettola era il cavallo di Alex; vostro padre vi si arrampicò sopra in un batter d'occhio e scomparve in una nuvola di polvere continuando a bestemmiare con tutte le sue forze. Verso il crepuscolo Ashley ed io eravamo seduti in attesa, sui gradini del porticato, preoccupati di non vederlo tornare; miss Melania, al piano di sopra, piangeva gettata sul letto; non aveva voluto dirci nulla. A un tratto udimmo uno scalpitar di cavallo sulla strada e qualcuno che gridava come alla caccia della volpe; e Ashley disse: «Strano! Sembra il signor O'Hara quando veniva a trovarci prima della guerra.» Dopo un attimo lo vedemmo apparire all'estremità del pascolo. Doveva aver saltato la siepe proprio in quel punto. E venne di gran carriera su per l'altura, cantando con quanta voce aveva in gola. Non sapevo che vostro padre avesse una voce cosí forte. Cantava una vecchia canzone irlandese, come se fosse l'uomo piú contento del mondo, e batteva il cavallo col cappello; il cavallo andava di carriera. Avvicinandosi all'altro limite del pascolo non tirò le redini e comprendemmo che stava per saltare anche quell'altra barriera. Ci alzammo spaventatissimi e in quell'attimo lo udimmo gridare: «Guarda, Elena! Guarda come salto anche questa!» Ma il cavallo si fermò bruscamente senza saltare; e vostro padre gli passò fra le orecchie. Non sofferse affatto. Quando lo raccogliemmo era già morto. Doveva essersi rotto il collo.» Will attese per un momento che Rossella parlasse; quando vide che taceva, raccolse le redini. - Vai, Sherman - disse; e il cavallo si avviò verso casa.

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Se essi dicono qualche cosa, ci toccherà prendere le sue difese; e abbiamo già abbastanza seccature a Tara, senza doverci anche guastare coi vicini. Ashley sospirò. Egli conosceva i caratteri di tutti coloro anche meglio di Will; e ricordava che metà delle questioni e delle risse prima della guerra, sorgevano appunto per l'abitudine della Contea di pronunciare dei discorsi dinanzi alla bara dei vicini. Generalmente erano parole di elogio; ma qualche volta non lo erano. E allora i parenti del morto attendevano a stento che le ultime palate di terra fossero state gettate nella fossa. In assenza di un sacerdote, Ashley doveva dirigere il servizio funebre con l'aiuto del libro di preghiere di Carolene, avendo rifiutato cortesemente l'assistenza dei predicatori metodisti e battisti di Jonesboro e di Fayetteville. Carolene, piú devotamente cattolica delle sue sorelle, era stata molto turbata perché Rossella non aveva condotto un prete da Atlanta; si era poi tranquillizzata pensando che il prete che sarebbe venuto per sposare Will e Súsele, avrebbe anche potuto celebrare il servizio funebre per Geraldo. Fu lei che non volle i predicatori protestanti, e affidò la cosa ad Ashley segnando nel libro i passaggi che egli doveva leggere. Ora Ashley, appoggiato alla vecchia scrivania, sapeva che la responsabilità di evitare questioni era sua; e conoscendo i caratteri litigiosi della Contea, non sapeva come comportarsi. - Non vi è nulla da fare, Will - disse grattandosi in capo. - Non posso mandar via la nonna Fontaine né il vecchio McRae né posso tener la mano sulla bocca della signora Tarleton. E la cosa piú gentile che diranno sarà che Súsele è un'assassina e una traditrice, e che se non fosse per lei, il signor O'Hara sarebbe ancora vivo. Maledetta abitudine di parlare sulle bare. È una barbarie! - Sentite, Ashley, - disse Will lentamente. - Io non permetto che alcuno parli contro Súsele, qualunque cosa pensino. Lasciate fare a me. Quando avrete finito la lettura e la preghiera, e dovrete dire: «Se qualcuno vuol dire poche parole», guardatemi; cosí io parlerò per primo. Rossella, mentre osservava la difficoltà con la quale i portatori facevano passare la bara attraverso l'angusto ingresso del cimitero, non pensava che al funerale potesse seguire qualche incidente. La sepoltura di Geraldo significava per lei la scomparsa di uno degli ultimi legami che la univano agli antichi giorni di felicità e di spensieratezza: e il suo pensiero si soffermava su questo. Finalmente la bara fu posata accanto alla fossa. Ashley, Melania e Will entrarono nel recinto e si collocarono dietro alle ragazze O'Hara. I vicini che riuscirono a entrare rimasero dietro a loro; gli altri si fermarono al di là del muretto di mattoni. Rossella, accorgendosi di loro per la prima volta, fu sorpresa e commossa dalla quantità di gente. Data la scarsità dei mezzi di trasporto, erano stati veramente buoni ad accorrere cosí numerosi. Erano cinquanta o sessanta persone, alcune delle quali venivano da tanto lontano che ella fu stupita che avessero fatto in tempo. Vi erano famiglie intere che avevano condotto anche i loro servi; e poi piccoli fattori, gente dei boschi e delle paludi. Questi ultimi erano giganti barbuti, coi berretti di pelo di tasso e i fucili imbracciati; con loro erano le mogli, coi piedi nudi sprofondati nella terra rossa e i volti giallicci e malarici sotto ai capelli mal puliti. I vicini piú prossimi erano al completo. La nonna Fontaine, gialla e grinzosa, era appoggiata al bastone; dietro a lei erano la nuora e Sally Munroe Fontaine. Queste due cercavano inutilmente di convincere la vecchia a sedere sul muricciolo. Il dottore era morto due mesi prima e dagli occhi della nonna era scomparso il lampo di malizia che vi brillava un tempo. Catina Calvert Hilton era sola, e veniva considerata come quella il cui marito aveva contribuito alla tragedia; la cuffia scolorita nascondeva il suo volto timido. Rossella notò con stupore che il suo abito di percalle era macchiato e le mani erano poco pulite. Non aveva piú l'aria di una signora: sembrava una «proletaria bianca» trascurata e negligente. «Dio mio! Che crollo!» pensò Rossella con orrore. Rabbrividí volgendo altrove gli occhi nell'accorgersi come era angusto il baratro che separava le persone per bene dai rifiuti della società. E provò un senso d'orgoglio nel dire a se stessa che lei e Catina erano partite dopo la sconfitta, con gli stessi mezzi; eppure lei era riuscita a farsi una posizione. Alzò il mento e sorrise; ma mozzò il sorriso incontrando lo sguardo scandalizzato della signora Tarleton. Questa aveva gli occhi rossi dal pianto e dopo avere guardato Rossella con biasimo, si volse a fissare Súsele con espressione di ira furibonda. Dietro a lei e a suo marito erano le quattro ragazze Tarleton, i cui riccioli rossi sembravano poco adatti alla triste circostanza. Tutti si immobilizzarono; gli uomini si tolsero i cappelli, le donne giunsero le mani e Ashley si avanzò di un passo aprendo il logoro libro di preghiere di Carolene. Si fermò con gli occhi bassi, mentre il sole faceva brillare i suoi capelli biondi. Un profondo silenzio piombò sulla folla, cosí profondo che si udí il frusciare del vento tra le foglie della magnolia; e il fischio lontano e ripetuto di un merlo sembrò insopportabilmente acuto e triste. Quando Ashley cominciò a leggere le preghiere, tutte le teste si chinarono; la sua voce sonora e modulata, pronunciò con dignità le parole sacre. «Oh!» pensò Rossella, sentendo un nodo alla gola «che bella voce! Sono contenta che sia Ashley piuttosto che un prete... e mi fa piacere che il babbo sia sepolto da uno dei suoi, piuttosto che da un estraneo.» Quando Ashley giunse alla parte delle preghiere concernente le anime del Purgatorio, chiuse bruscamente il libro. Solo Carolene si accorse dell'omissione e lo guardò perplessa, mentre egli cominciava a recitare il Pater noster. Ashley sapeva che metà dei presenti ignoravano che cosa fosse il Purgatorio; e coloro che lo sapevano avrebbero preso come un'offesa personale, se egli avesse insinuato, sia pure in una preghiera, che un uomo come Geraldo O'Hara non era andato dritto in Paradiso. Quindi, per deferenza alla pubblica opinione, egli preferí evitare ogni menzione del Purgatorio. Il mormorío delle voci si uní alla sua nel Pater Noster; ma quando egli cominciò l'Ave Maria, vi fu un silenzio imbarazzato fra i presenti. Essi non avevano mai udito quella preghiera, e si guardarono furtivamente fra loro, quando le ragazze O'Hara, Melania e la servitú di Tara risposero: «Prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Cosí sia». Quindi Ashley levò il capo e rimase per un attimo incerto. Gli occhi dei vicini erano sopra di lui, mentre ognuno si disponeva ad ascoltare un lungo discorso. Nessuno immaginava che egli fosse già alla fine delle preghiere cattoliche; i funerali della Contea erano sempre molto lunghi. I ministri battisti e metodisti non avevano preghiere preparate ma le improvvisavano secondo le circostanze, e raramente si fermavano finché non vedevano tutta la famiglia in lagrime. I vicini sarebbero dunque rimasti indignati se tutto il servizio funebre per il loro diletto amico si fosse limitato a quelle brevi orazioni. Tutti quanti avrebbero detto che le ragazze O'Hara non avevano mostrato abbastanza rispetto per il loro padre. Quindi egli lanciò un rapido sguardo di scusa a Carolene, e chinando nuovamente la testa, cominciò a recitare a memoria il servizio funebre episcopale che aveva letto tante volte alle Dodici Querce, quando si seppellivano gli schiavi. «Io sono la Via, la Resurrezione e la Vita... e chiunque crede in me vivrà in eterno.» Non se ne ricordava con prontezza, quindi parlava adagio, fermandosi ogni tanto in attesa che le frasi gli tornassero alla memoria, ma queste pause rendevano le sue parole piú impressionanti; e coloro che fino a pochi momenti prima avevano avuto gli occhi asciutti, furono persuasi che quella fosse la cerimonia cattolica; e senza indugio si ricredettero sulla loro primitiva opinione, che i servizi cattolici fossero freddi e privi di commozione. Rossella e Súsele, ugualmente ignoranti, trovarono le parole belle e confortanti. Solo Melania e Catina compresero che si stava seppellendo un irlandese profondamente cattolico col servizio funebre della Chiesa inglese. E Carolene era troppo abbattuta dal dolore e dall'offesa per quel tradimento di Ashley per intervenire. Alla fine, Ashley aperse i suoi malinconici occhi grigi e guardò la folla. Dopo una pausa incontrò lo sguardo di Will e disse: - Qualcuno dei presenti desidera dire poche parole? La signora Tarleton si agitò nervosamente; ma prima che avesse potuto aprir bocca, Will fece un passo avanti e cominciò a parlare. - Amici - cominciò con la sua voce incolore - forse vi sembrerà una pretensione la mia di voler parlare del signor O'Hara... parlarne io che lo conoscevo soltanto da un anno, mentre tutti voi eravate suoi amici da oltre vent'anni. Ma ecco la mia giustificazione: se egli avesse vissuto un altro mese, avrei avuto il diritto di chiamarlo «babbo». Un fremito di stupore serpeggiò tra la folla. Tutti erano troppo bene educati per mormorare; ma si drizzarono in punta di piedi per guardare il capo chino di Carolene. Tutti sapevano la cieca devozione di Will per lei. Vedendo la direzione di tutti gli sguardi, Will riprese, come se non si fosse accorto di nulla. - Avendo l'intenzione di sposare la signorina Súsele O'Hara appena giungerà il sacerdote che abbiamo chiamato da Atlanta, ho ritenuto che questo mi desse il diritto di parlare per primo. Le sue ultime parole andarono perdute fra il mormorio che venne dalla folla, simile al ronzare di un alveare disturbato. Tutti erano indignati e delusi perché volevano bene a Will e lo rispettavano per quello che aveva fatto per Tara; e tutti sapevano che egli amava Carolene; sicché la notizia che egli sposava quella perfida e antipatica Súsele fu come un fulmine per il vicinato. Fu un momento di tremenda tensione. Gli occhi della signora Tarleton fiammeggiarono e le sue labbra si agitarono in parole inespresse. Nel silenzio si udí la voce del vecchio McRae che supplicava suo nipote di dirgli che cosa era stato annunciato. Will li guardò tutti; il suo viso era dolce ma nei suoi occhi azzurri era qualche cosa che li ammoní a non pronunciar parola contro la sua fidanzata. Per un attimo la bilancia oscillò tra la simpatia che tutti nutrivano per Will e il disprezzo per Súsele. Ma Will vinse. E continuò come se la sua interruzione fosse stata una pausa naturale del discorso. - Non ho conosciuto il signor O'Hara nella sua giovinezza come tutti voialtri. Personalmente l'ho conosciuto come un brav'uomo un po' svanito; ma voi tutti mi avete detto com'era prima. E desidero affermare questo: egli era un irlandese bellicoso e in pari tempo un gentiluomo del Sud; e il piú leale confederato che sia mai esistito. E non vedremo mai piú uomini come lui, perché i tempi sono mutati. Egli era nato in paese straniero; ma l'uomo cui oggi diamo sepoltura era piú georgiano di tutti noi. Amava la nostra vita e la nostra terra; e se ci pensate bene, riconoscerete che è morto per la nostra Causa come i soldati. Era uno di noi; aveva le nostre qualità e i nostri difetti, la nostra forza e le nostre debolezze. Fra le nostre qualità aveva queste: nulla poteva fermarlo quando si metteva in mente di fare una cosa; e non aveva paura di nessun nato di donna. Nulla di ciò che veniva dall'esterno poteva abbatterlo. Non ebbe paura degli inglesi quando il loro governo voleva impiccarlo. Si limitò ad andarsene di casa. E quando giunse in questo paese era povero, ma la povertà non lo sgomentò. Lavorò e guadagnò. E venne in questa regione senza timore, quando essa era ancora selvaggia; e in questo luogo inospite creò una grande piantagione. Né ebbe paura quando venne la guerra e il suo denaro cominciò a dileguare; né quando vennero gli yankees e minacciarono di incendiare Tara e di ucciderlo. Rimase dritto in piedi a guardarli in faccia. Perciò vi dico che ciò che veniva dall'esterno non poteva abbatterlo. E questa è una nostra qualità. Ma egli aveva anche una nostra debolezza: la possibilità di essere abbattuto da qualche cosa che proveniva dall'interno. Quando morí la signora O'Hara, anche il cuore di suo marito morí; ed egli non si rialzò piú. E colui che vedevamo camminare non era lui. Will si interruppe; i suoi occhi girarono a guardare gli ascoltatori. La folla sembrava incantata; ogni rancore verso Súsele era dimenticato. Lo sguardo di Will si posò un istante su Rossella come per darle coraggio. E Rossella provò veramente un senso di conforto perché Will parlava con buon senso, invece di ripetere i soliti luoghi comuni sul mondo migliore e sulla rassegnazione alla volontà di Dio. - Noi tutti siamo come lui. Nulla può sopraffarci, come nulla ha potuto sopraffare lui: né yankees né «Carpetbaggers» né i tempi difficili né la miseria. Ma la debolezza che è nei nostri cuori può sopraffarci in un batter d'occhi. Non è soltanto la perdita di un essere caro, com'è stato nel caso del signor O'Hara. Ciascuno ha una molla diversa; ma voglio dirvi questo: per coloro la cui molla non funziona, è meglio esser morti; nel mondo d'oggi non vi è posto per loro. E vi dico ancora una cosa: che oggi non dovete affliggervi per il signor O'Hara. Ora il suo corpo è andato a raggiungere il suo cuore; quindi non vi è ragione di piangerlo, a meno di non essere egoisti... Ve lo dico io, che gli volevo bene come se fosse mio padre... Credo che non vi sia altro da dire. La famiglia è troppo depressa per ascoltare altre parole che non darebbero loro alcun conforto. Quindi si volse alla signora Tarleton e le disse sommessamente: - Vi dispiacerebbe, signora, accompagnare in casa Rossella? Non le fa bene rimanere tanto tempo in piedi e per di piú al sole. E, salvo il dovuto rispetto, consiglierei lo stesso alla nonna Fontaine. Rossella arrossí e tutti gli sguardi si volsero a lei. Ma perché Will faceva quella specie di pubblicità alla sua gravidanza? Gli lanciò un'occhiata piena di vergogna e d'indignazione; ma lo sguardo di Will sembrò risponderle senza turbarsi: «Vi prego, ubbidite... Io so quello che faccio». Era già il capo della famiglia; e volendo evitare scenate, Rossella si volse alla signora Tarleton. Questa, immediatamente distolta dal pensiero di Súsele - come Will aveva preveduto - dal fatto di una nuova nascita, sempre affascinante per lei, fosse umana o animale, prese il braccio di Rossella. - Vieni in casa, cara. Aveva un'espressione di affettuoso interessamento e Rossella si lasciò condurre atttraverso la folla che si aperse per lasciarla passare. Vi fu un mormorio di simpatia e parecchie mani si tesero ad accarezzarla. Quando giunse dinanzi alla nonna Fontaine, questa avanzò il mento e disse: - Dammi il braccio, bambina - e poi soggiunse guardando fieramente la nuora e Sally: - No, voialtre non venite. Non ho bisogno di voi. - Ma perché Will ha fatto questo?! - gridò Rossella appena furono fuori portata d'udito. - È come se avesse detto a tutti: «Guardatela! Aspetta un bambino!» - E non è forse vero? - ribatté la signora Tarleton. - Will ha fatto benissimo. Era una pazzia per te rimanere lí al sole a rischio di cadere svenuta e magari provocare un aborto. - Will non ha affatto pensato a questo - interloquí la nonna, un po' ansimante mentre si avviava verso i gradini. Sul suo volto era un sorriso arcigno. - Soltanto non voleva che rimanessimo accanto alla tomba né io né voi, Beatrice. Temeva ciò che avremmo potuto dire; e sapeva che questo era il solo mezzo per liberarsi di noi... E poi non voleva che Rossella udisse le palate di terra sulla bara. Ha fatto bene. Ricorda, Rossella, che finché non senti quel rumore tremendo, le persone non sono veramente morte... È il rumore piú terribile del mondo... Aiutami a salire i gradini, bambina; e voi, Beatrice, datemi una mano. Rossella non ha bisogno del vostro braccio... Will sa che tu eri la beniamina di tuo padre e non ha voluto rendere anche peggiore la tua sofferenza. Per le tue sorelle è piú facile. Súsele ha la sua onta per sostenerla, e Carolene il suo Dio. Ma tu non hai nulla, non è vero, bambina? - No - rispose Rossella aiutandola a salire i gradini, un po' sorpresa della verità che la vecchia voce aveva pronunciata. - Non ho mai avuto nulla che mi sostenesse... eccetto la mamma. - Ma quando l'hai perduta, hai trovato che potevi anche vivere sola, non è vero? Ebbene, alcune persone non possono. Tuo padre era uno di questi. Will ha avuto ragione. Non addolorarti. Egli non poteva esistere senza Elena; ed ora, dove si trova, è piú felice. Come io sarò felice quando raggiungerò il vecchio dottore. Parlava naturalmente come se suo marito fosse vivo e si fosse recato a Jonesboro, dove una breve corsa in carrozza le avrebbe permesso di ritrovarlo. La nonna era troppo vecchia e aveva visto troppe cose per temere la morte. - Ma... anche voi potete vivere sola - replicò Rossella. - Sí; ma a volte si prova non poca difficoltà. - Non dovreste parlare cosí a Rossella, nonna - interruppe la signora Tarleton. - È già abbastanza sconvolta. Col viaggio da Atlanta, quell'abito stretto, il caldo e il dispiacere, ce n'è abbastanza per abortire senza che anche voi aggiungiate alla misura venendo a discorrere di dolori e di guai. - Per la camicia di Giove! - esclamò Rossella irritata. - Non sono affatto sconvolta! E non sono una di quelle stupidine che abortiscono per nulla! - Non si può mai dire - ribatté la signora Tarleton onnisciente. - Io abortii del mio primo vedendo un toro che inseguiva uno dei nostri negri; e... ti ricordi la mia giumenta Nellie? Era la piú sana e robusta che si potesse vedere; ma era nervosissima; e se io non fossi stata attenta... - Smettetela, Beatrice - interruppe la nonna. - Rossella non è tipo da abortire. Sediamoci qui nel vestibolo dove fa fresco; c'è un po' di corrente. E voi, Beatrice, andate in cucina a vedere se c'è un bicchiere di siero. Oppure guardate in dispensa se vi fosse un po' di vino. Staremo qui ad aspettare che tutti vengano ad accommiatarsi. - Rossella dovrebbe andare a letto - insisté la signora Tarleton. - Suvvia, sbrigatevi. - E la nonna le diede un colpetto col suo bastone. La signora Tarleton si avviò verso la cucina gettando il suo cappello sulla credenza e lisciandosi i capelli con le mani. Rossella si appoggiò alla spalliera della sedia e sbottonò i due primi bottoni del corpetto. Si stava bene, nell'alto vestibolo; il soffio d'aria fresca e fragrante che penetrava dalla porta posteriore era piacevole dopo il sole ardente. Guardò attraverso il vestibolo nel salotto dov'era stata la salma di Geraldo e distogliendo il pensiero da lui alzò gli occhi al ritratto della nonna Robillard che, con la sua pettinatura alta, il seno largamente esposto e la sua fredda insolenza, aveva sempre sopra di lei un effetto tonico. - Non so che cosa ha colpito di piú Beatrice, se la perdita dei suoi figli o quella dei suoi cavalli - cominciò la nonna Fontaine. Come sai, non si è mai occupata molto di Giacomo né delle ragazze. È una di quelle persone di cui parlava dianzi Will: la sua molla non funziona. A volte penso che finirà ad essere com'era tuo padre... La sola cosa che le ha dato gioia è stata la venuta al mondo di esseri umani o di animali; e nessuna delle sue figlie si è sposata né ha probabilità di farlo; quindi ella non ha nulla che occupi la sua mente. Se non fosse una vera signora, si lascerebbe andare... Will ti ha detto la verità sul suo fidanzamento con Súsele? Sí - rispose Rossella fissando la vecchia signora negli occhi. Era passato il tempo in cui la nonna Fontaine le faceva paura! E ora si sentiva anche disposta a dirle che andasse al diavolo, se quella voleva immischiarsi negli affari di Tara. - Poteva trovare di meglio - riprese la vecchia candidamente. - Davvero? - fece Rossella con alterigia. - Non darti tante arie, madamigella - ammoní aspramente la nonna Fontaine. - Non ho nessuna intenzione di attaccare la tua preziosa sorella; cosa che avrei fatto se fossi rimasta alla sepoltura. Voglio dire soltanto che con la scarsità di uomini nel nostro paese, Will avrebbe potuto sposare chiunque. Vi erano le quattro Tarleton, le Munroe, le McRae.... - Invece sposerà Súsele; e questo è quanto. - È una fortuna per lei! - È una fortuna per Tara. - Tu ami questo luogo, non è vero? - Sí. - E perciò non t'importa che tua sorella sposi uno che non è della sua classe, purché vi sia un uomo che si occupi di Tara? - La sua classe? E che importa la classe al giorno d'oggi, quando una ragazza trova un marito che può aver cura di lei? - Questo è discutibile. Alcuni direbbero che tu parli con buon senso. Altri direbbero che tu distruggi delle barriere che non avrebbero mai dovuto essere abbassate di un centimetro... Certamente Will non è dell'aristocrazia, mentre alcune persone della tua famiglia vi hanno appartenuto. I suoi occhi penetranti corsero al ritratto della nonna Robillard. Rossella pensò a Will, scarno, incolore, dolce, con la sua eterna pagliuzza in bocca, il suo aspetto completamente privo di energia, come la maggior parte dei «crackers». Certo non aveva dietro di sé una lunga fila di antenati dotati di ricchezza, di autorità, di aristocrazia. Il primo della sua famiglia che aveva messo piede sul suolo di Georgia era stato probabilmente un bancarottiere o un servo. Will non era stato in collegio; come istruzione non aveva avuto che quattro anni di scuola rurale. Però era onesto e leale, paziente e lavoratore. Ma non era un signore; e secondo le idee dei Robillard, Súsele faceva un matrimonio al disotto della sua condizione. - Dunque tu approvi l'entrata di Will nella tua famiglia? - Sí - rispose Rossella brutalmente, pronta a rispondere male alla vecchia signora alla prima parola di biasimo. - Dammi un bacio - disse invece con suo stupore la nonna, sorridendo con approvazione. - Non ti ho mai voluto bene come adesso, Rossella. Sei sempre stata aspra, anche da bambina, e a me non piacciono le donne aspre; dato che sono abbastanza dura anch'io. Ma mi piace il tuo modo di affrontare le cose. Non perdi il tempo in lamentele quando una cosa non si può evitare, anche se è sgradevole. Salti gli ostacoli coraggiosamente come un buon cavallerizzo. Rossella sorrise incerta e baciò ubbidiente la guancia grinzosa che le si presentava. Era piacevole udire delle parole di approvazione, anche se il loro significato era un po' oscuro. - Molta gente troverà da ridire perché tu permetti a Súsele di sposare un «cracker», benché tutti vogliano bene a Will. Ma tu non te ne curare. - Non mi sono mai curata di quello che dice la gente. - Lo so. - Nella voce della vecchia era una sfumatura di acidità. - Dunque, lascia dire. Probabilmente sarà un matrimonio felice. Certamente, Will non muterà mai aspetto e anche se guadagnerà molto denaro non renderà mai Tara un luogo com'era ai tempi di tuo padre. Ma in fondo è un signore; per lo meno ne ha l'istinto. Solo un signore di nascita avrebbe potuto dire le cose che egli ha detto dianzi... È vero; nessuno ci può sopraffare; ma noi possiamo essere prostrati dalla nostalgia di cose che non abbiamo piú... e dal ricordo. Sí, Will farà del bene a Súsele e a Tara. - Allora mi approvate perché permetto questo matrimonio? - Dio mio, no! Come potrei approvare l'entrata di un «cracker» in una vecchia famiglia? Ma Súsele ha bisogno di un marito; e dove lo troverebbe? E tu dove troveresti un buon intendente per Tara? Questo però non vuol dire che la cosa mi piaccia piú di quanto piaccia a te. «A me piace» pensò Rossella cercando di comprendere il significato di quanto la vecchia signora stava dicendo. «E sono contenta che Will la sposi. Perché dovrebbe dispiacermi?» Era perplessa e un po' vergognosa come sempre quando le venivano attribuite emozioni e sentimenti che gli altri provavano e che lei non condivideva. La nonna si sventagliò con un ventaglio di palma e continuò: - Non approvo il matrimonio; ma sono anch'io pratica come te. So anch'io che è inutile protestare e lamentarsi. Nella mia famiglia c'è un detto: «Sorridi e sopporta». E noi abbiamo sopportato sorridendo tante di quelle cose, perché era necessario. Siamo scappati dalla Francia con gli Ugonotti, dall'Inghilterra coi Cavalieri, dalla Scozia col principe Carlo, da Haiti davanti ai negri e ora siamo stati battuti dagli yankees. E sai perché? Drizzò la testa e Rossella pensò che somigliava a un vecchio pappagallo. - Non lo so - rispose cortesemente ma profondamente annoiata. - Te lo dico io. Perché noi ci pieghiamo dinanzi all'inevitabile. Noi non siamo come l'avena che quando è matura si irrigidisce e non si piega secondo il vento; siamo come il grano saraceno che ondeggia, e quando il vento è passato si rialza dritto e forte quasi come prima. Quando vengono le disgrazie, noi ci pieghiamo dinanzi all'inevitabile e sopportiamo sorridendo. E quando siamo nuovamente forti, diamo un calcio alle persone dinanzi alle quali ci siamo piegati. Questo è il segreto per sopravvivere. Fece una pausa come se attendesse un commento di Rossella; ma questa non sapeva che cosa dire e tacque. La vecchia riprese: - Sí, i nostri rialzano la testa; mentre qui vi sono tante persone che ne sono incapaci. Guarda per esempio che cos'è diventata la povera Catina Calvert. Piú abietta di suo marito! Guarda la famiglia McRae. Schiacciata, smarrita, senza saper che fare se non piagnucolare sui tempi passati. Guarda... sí, quasi tutti nella Contea, eccetto il mio Alex e la mia Sally, tu, Giacomo Tarleton, le sue figlie e pochi altri. Il resto è andato a fondo perché mancava di linfa, perché non è riuscito a risollevarsi. Gente che non ha capito mai altro che denaro e schiavi; e senza questi due elementi, fra un'altra generazione saranno diventati dei «proletari bianchi». - Dimenticate i Wilkes. - No, non li dimentico. Ho avuto la cortesia di non nominarli, perché Ashley è ospite di questa casa. Ma giacché sei stata tu a fare il loro nome... guardali! C'è Lydia che, da quanto mi hanno detto, è una zitellona rinsecchita con degli atteggiamenti di vedova perché Stuart Tarleton è stato ucciso; non fa nulla per dimenticarlo e cercare un altro uomo. Certo non è giovine; ma forse, se si desse un po' di pena, potrebbe trovare un vedovo magari con figli. La povera Gioia ha sempre avuto il cervello di un passerotto. E quanto ad Ashley... guardalo un po'! - Ashley è un bravissim'uomo! - lo difese Rossella con fervore. - Non ho mai detto il contrario; ma è bisognoso di aiuto come una tartaruga coricata sul dorso. Se la famiglia Wilkes riesce a superare questo periodo difficile, è perché c'è Melania che vince le difficoltà; non Ashley. - Melly? Dio mio, nonna! Che dite? Io ho vissuto abbastanza con Melly per sapere che è timida e malaticcia e non ha il coraggio di fare «sciò» a una gallina! - E a che serve fare «sciò» a una gallina? Mi è sempre sembrata una vera perdita di tempo... Sarà incapace di fare «sciò» a una gallina, ma è capacissima di farlo a tutto il mondo, al governo yankee, o a chiunque minacci il suo Ashley o il suo bimbo o le sue nozioni di distinzione. Lei ha un modo di fare che non è il tuo, Rossella, né il mio. È la maniera che avrebbe usato tua madre. Sí, Melly mi ricorda la tua mamma quando era giovine... E forse riuscirà a rimettere in piedi la famiglia Wilkes. - Oh, Melly è piena di buon senso. Ma fate torto ad Ashley... - Smettila, via! Ashley era nato per leggere dei libri e nient'altro. Questo non aiuta un uomo a togliersi dagli impicci. Ho sentito dire che è il peggior aratore della Contea. Confrontalo al mio Alex! Prima della guerra, Alex era il giovinotto piú inutile del mondo; non aveva mai pensato ad altro che ad aver delle belle cravatte, a ubriacarsi, a litigare e a stuzzicare le ragazze. Guardalo adesso! Ha imparato a fare il coltivatore perché altrimenti sarebbe morto di fame, e con lui tutti noi. Adesso coltiva il miglior cotone della Contea... sicuro! È meglio del cotone di Tara! E s'intende di porci e di pollame. E vedrai che quando tutto questo tremendo periodo della ricostruzione sarà finito, il mio Alex sarà ricco come suo padre e come suo nonno. Ma Ashley... Rossella si strinse nelle spalle. - Tutto questo non mi fa né caldo né freddo. - Hai torto - disse la nonna fissandola con lo sguardo penetrante. - Questa è la via che hai seguito da quando sei andata ad Atlanta. Non credere che pure essendo seppelliti in provincia, non si sappiano le cose. Anche tu sei mutata col mutar dei tempi. Sappiamo che hai relazione con gli yankees e con tutti i nuovi ricchi per cercare di guadagnar denaro con loro. Fai pure. Ma quando avrai guadagnato tutto quello che potrai, prendili a calci perché non ti serviranno piú. Sono sicura che lo farai come va fatto, altrimenti correrai il rischio di rovinarti. Rossella la guardò cercando di comprendere queste parole. Le sembravano arabo; inoltre ella era ancora irritata per aver sentito Ashley paragonato a una tartaruga rovesciata. - Credo che abbiate torto a proposito di Ashley - disse bruscamente. - Non sei abbastanza scaltra, Rossella. - Questa è la vostra opinione - ribatté Rossella seccamente, col desiderio di darle uno schiaffo. - Oh, sei scaltra per quel che riguarda dollari e centesimi. Questa è una scaltrezza maschile. Ma non hai la furberia delle donne. Non hai abilità nel giudicare le persone. Gli occhi di Rossella cominciarono a lanciare fiamme mentre le sue mani si aprivano e si chiudevano con movimento convulso. - Ti ho fatto arrabbiare, vero? - chiese la vecchia signora sorridendo. - È proprio quello che volevo. - Davvero? E perché, se è lecito? - Avevo le mie buone ragioni. La nonna si appoggiò alla spalliera della poltrona e Rossella ebbe improvvisamente l'impressione che fosse stanca e incredibilmente vecchia. Le piccole mani che stringevano il ventaglio, erano gialle e ceree come quelle di un morto. La collera svaní dal cuore della giovane, la quale si curvò in avanti e prese fra le sue una di quelle mani. - Siete una cara, vecchia bugiarda - disse. - Tutte queste storie le avete dette unicamente per, distogliermi dal pensiero del babbo, non è vero? - Non fare la sciocca! - esclamò burberamente la vecchia signora ritraendo la mano. - In parte è stato per questo, in parte perché ti ho detto la verità; e tu sei troppo stupida per capirlo. Ma sorrise un poco, sicché il cuore di Rossella si vuotò di ogni pensiero di collera. - Grazie lo stesso. Siete stata molto buona a parlare con me... e sono contenta che siate d'accordo meco per il matrimonio di Will con Súsele, anche se... molta altra gente lo disapprova. La signora Tarleton rientrò nel vestibolo portando due bicchieri di siero. Non era molto abile nelle faccende domestiche, quindi i bicchieri traboccavano. - Sono andata fino alla capanna del burro per prenderlo - disse. - Bevetelo subito, perché stanno tornando dalla sepoltura. Ma davvero, Rossella, permetti che Súsele sposi Will? Magari è anche troppo buono per lei; ma è un campagnolo e... Gli occhi di Rossella incontrarono quelli della nonna. In questi era una scintilla di malizia in risposta al suo sguardo.

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Ma potremo ricostruire, perché abbiamo dei cuori come il vostro su cui posare le fondamenta. E fintanto che abbiamo questa ricchezza, si prendano pure tutto il resto, gli yankees!

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Tempo fa ho parlato con Johnnie Gallegher, il capomastro di Tommy Wellburn, delle difficoltà che abbiamo per far lavorare i negri; e mi disse perché non prendevo dei condannati. Dice che si pagano pochissimo e si nutrono a buon mercato. E dice che posso farli lavorare come voglio senza ingerenze dell'Ufficio per l'Emancipazione. Appena il contratto di Johnnie Gallegher con Wellburn sarà terminato, penso di prendere lui al posto di Ugo. Un uomo che è capace di far lavorare quel pugno di fannulloni irlandesi, otterrà il miglior rendimento possibile dai galeotti. Galeotti! Franco rimase senza parola. Assumere dei delinquenti era il peggior progetto che Rossella avesse mai avuto; anche peggiore di quello di costruire una bettola. Questo sistema di assumere dei criminali era venuto in uso a causa della povertà dello Stato dopo la guerra. Non potendo mantenerli, lo Stato li faceva assumere da chi aveva bisogno di un grande numero di braccianti per la costruzione di ferrovie, nelle foreste di terebinti e nell'industria del legname. Franco e i suoi amici comprendevano la necessità di questo sistema, ma lo deploravano, trovandolo assai peggiore della schiavitú. E Rossella voleva assumere dei galeotti! Franco pensò che se lo avesse fatto, egli non avrebbe piú potuto alzare la fronte. Peggio che essere proprietaria di stabilimenti; peggio che gestirli; peggio di tutto ciò che Rossella aveva fatto finora. Le sue precedenti obiezioni erano collegate con la frase: «Che ne dirà la gente?» Ma questo... questo era anche piú grave del timore dell'opinione pubblica. Questo era un traffico di corpi umani simile alla prostituzione; un peccato che peserebbe sulla sua anima qualora egli le permettesse di farlo. Da questa convinzione Franco trasse il coraggio di proibire a Rossella di fare una cosa simile: e le sue osservazioni furono cosí aspre da ridurla al silenzio. Finalmente per tranquillizzarlo, ella protestò dolcemente che non aveva avuto veramente l'intenzione di giungere a quell'estremo; ma era cosí esasperata contro Ugo e i negri che aveva perso il controllo di sé. Ma segretamente continuò a pensarvi con rimpianto. Il lavoro dei galeotti avrebbe risolto il problema piú difficile; ma se Franco la prendeva in quel modo... Sospirò. Se almeno uno degli stabilimenti rendesse, si potrebbe andare avanti. Ma Ashley non produceva gran che meglio di Ugo. Da principio Rossella fu assai delusa che Ashley non riuscisse subito a far rendere all'azienda il doppio di quanto rendeva sotto la gestione di lei. Egli era cosí intelligente e aveva letto tanti libri che non vi era ragione che non avesse un brillantissimo successo. Ma la sua inesperienza, i suoi errori, la sua mancanza di senso degli affari e i suoi scrupoli nel concludere i contratti erano gli stessi di quelli di Ugo. L'amore di Rossella non tardò a trovare delle scuse per lui; ed ella non considerò i due uomini sotto la stessa luce. Ugo era stupido senza speranza, mentre Ashley era soltanto nuovo agli affari. Però spontaneamente le venne il pensiero che Ashley non sarebbe mai stato capace di fare mentalmente una rapida stima e dire un prezzo esatto, come faceva lei. E chi sa se riuscirebbe mai a distinguere fra assicelle e tavole? Inoltre, siccome era onesto, credeva che anche gli altri lo fossero e si fidava di chiunque: piú di una volta avrebbe perduto del denaro se lei non fosse intervenuta con tatto. E se qualcuno gli era simpatico - e aveva simpatia per tante persone! - gli vendeva la merce a credito senza neppure informarsi se aveva denaro in banca o se era comunque solvibile. Da questo punto di vista era come Franco. Ma certo imparerebbe! E frattanto, ella aveva un'affettuosa e materna indulgenza per i suoi errori, Ogni sera, quando egli veniva a casa stanco e scoraggiato, Rossella gli dava delicatamente una quantità di suggerimenti. Ma negli occhi di lui era sempre una strana espressione che ella non comprendeva e che la spaventava. Com'era diverso da quello di una volta! Forse, se potesse vederlo da solo, riuscirebbe a scoprirne la ragione... La situazione le procurava molte notti insonni. Era preoccupata perché sapeva Ashley infelice e capiva che quest'infelicità non lo aiuterebbe a diventare un buon commerciante. Era un tormento aver le proprie aziende nelle mani di due incapaci; si sentiva spezzare il cuore nel vedere che i suoi concorrenti le toglievano i migliori clienti mentre lei aveva tanto faticato per assicurarseli. Se almeno avesse potuto tornar presto a lavorare! Sotto la sua guida, Ashley imparerebbe; e Johnnie Gallegher gestirebbe l'altro stabilimento, mentre lei si occuperebbe delle vendite e tutto andrebbe bene. Quanto a Ugo, se voleva ancora lavorare per lei, potrebbe interessarsi delle consegne. Tanto, non era capace di fare altro. Senza dubbio, Gallegher, con tutta la sua abilità, sembrava un uomo privo di scrupoli; ma... a chi rivolgersi? Perché gli altri uomini, abili e onesti, non volevano lavorare per lei? Basterebbe averne uno, al posto di Ugo... Tommy Wellburn, benché sciancato, passava per essere il costruttore piú ricercato della città; si diceva che guadagnasse moltissimo denaro. La signora Merriwether e Renato prosperavano e avevano aperto una pasticceria; Renato la gestiva con abilità, e il nonno Merriwether portava in giro il carretto delle focacce. I ragazzi Simmon avevano tanto da fare che nella loro fornace erano costretti ad avere tre turni di lavoro al giorno. E Kells Whiting guadagnava bene col suo preparato per lisciare i capelli crespi, perché diceva ai negri che non sarebbe mai concesso il diritto di voto a chi aveva i capelli lanosi. Lo stesso era per tutti i giovani intelligenti di sua conoscenza: medici, avvocati, negozianti. L'apatia che li aveva immobilizzati nell' immediato dopoguerra era scomparsa; ed essi erano troppo occupati a ricostruire i propri patrimoni per poter aiutare lei a costruire il suo. I soli che non erano occupati erano gli uomini del tipo di Ugo... o di Ashley. Che disastro aspettare un bambino mentre c'è bisogno di far progredire un'azienda! «Non ne avrò mai piú» decise fermamente. «Non voglio fare come le altre donne che hanno un figlio all'anno. Per carità: significherebbe rimanere sei mesi dell'anno lontana dagli stabilimenti! E vedo che non dovrei allontanarmene neanche per un giorno... Dirò semplicemente a Franco che non voglio piú bambini. Franco desiderava una famiglia numerosa; ma ella lo convincerebbe. Ormai era decisa. Questo sarebbe il suo ultimo figlio. Gli stabilimenti erano molto piú importanti.

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Non abbiamo mai avuto simpatia per loro e non ne abbiamo mai posseduti. Sono stati loro che hanno cominciato la guerra. Li odio anche per questo. - Ma voi avete combattuto. - Ritengo che questo sia il privilegio di ogni uomo. Odio anche gli yankees, piú di quanto odio i negri. Quasi quanto odio le donne chiacchierone. Queste villanie irritavano Rossella oltre ogni dire. Ma come avrebbe fatto senza di lui? Come le sarebbe stato possibile girare liberamente? Egli era sgarbato e sudicio, e a volte poco profumato; ma le serviva. La conduceva agli stabilimenti e a visitare i clienti, sputando e guardando nel vuoto mentre lei parlava e dava ordini. Se ella scendeva dal calessino, scendeva dietro di lei e la seguiva a passo a passo. Quando Rossella si trovava fra braccianti negri o soldati yankee, raramente rimaneva a piú di un passo dal suo gomito. Atlanta si abituò ben presto a vedere Rossella con la sua guardia del corpo; e in breve le signore cominciarono a invidiare la sua libertà di movimenti. Da quando il Ku Klux aveva cominciato i linciaggi, esse vivevano praticamente murate; non si recavano neanche a fare spese in città, se non erano almeno in gruppo di mezza dozzina. Socievoli di natura, la reclusione forzata le rendeva inquiete; quindi esse cominciarono a chiedere Baldo in prestito a Rossella. E questa, quando non ne aveva bisogno, era tanto gentile da concederlo alle sue conoscenti. Cosí Baldo diventò un'istituzione ad Atlanta; e le signore si disputavano il suo tempo libero. Raramente passava una mattina senza che un bimbo o un servo negro giungesse con un biglietto che diceva: «Se nel pomeriggio non avete bisogno di Baldo, vi prego di mandarmelo. Vorrei andare a portare dei fiori al Camposanto». «Devo andare dalla modista.» «Sarei lieta se Baldo potesse accompagnare zia Nelly a prendere un po' d'aria.» «Debbo andare a fare una visita e il nonno non mi può accompagnare perché sta poco bene. Se Baldo potesse...» Le accompagnava tutte, ragazze, maritate e vedove, avendo per tutte lo stesso inflessibile disprezzo. Era evidente che, ad eccezione di Melania, detestava le donne come detestava i negri e gli yankees. Da principio esse furono urtate dalla sua scortesia, ma finirono con l'abituarsi a lui e a considerarlo come i cavalli che guidava. Infatti, la signora Merriwether raccontò alla signora Meade tutti i particolari del puerperio di sua nipote, senza neanche ricordarsi che Baldo poteva udire ogni parola. In nessun altro momento una simile situazione sarebbe stata possibile. Prima della guerra, egli non sarebbe stato ammesso neanche nelle cucine. Ma ora era il benvenuto. Rude, illetterato, sudicio, rappresentava un baluardo fra le signore e i terrori della Ricostruzione. Non era né un amico né un servo. Era una guardia del corpo che proteggeva le donne quando i loro mariti lavoravano di giorno, o erano assenti di notte. Rossella ebbe l'impressione che da quando c'era Baldo, Franco si assentasse spesso la sera. Diceva che bisognava mettere in ordine la contabilità del negozio e che di giorno vi era abbastanza da fare e quindi non aveva la possibilità di occuparsene. E vi erano degli amici ammalati che bisognava andare a visitare. Si era anche costituita un'associazione di democratici che si riunivano tutti i mercoledí per discutere sulla maniera di riacquistare i diritti politici, e Franco non mancava a nessuna riunione. Anche Ashley andava a visitare gli ammalati e frequentava le sedute dei democratici, era quindi assente le stesse sere in cui mancava Franco. In quelle occasioni Baldo scortava zia Pitty, Rossella e i bambini attraverso il cortile fino alla casa di Melania e le due famiglie passavano la serata insieme. Le signore cucivano mentre Baldo sdraiato sul divano del salotto russava sonoramente. Nessuno lo aveva invitato ad occupare il divano che era il miglior mobile della casa e le signore gemevano nascostamente ogni volta che egli vi si adagiava, posando lo stivalone sul grazioso arazzo. Ma nessuna di loro osava protestare. Specialmente dopo che egli ebbe osservato che, grazie al cielo, si addormentava con facilità, altrimenti le chiacchiere delle donne, che sembravano un branco di galline, lo avrebbero fatto impazzire. A volte Rossella si domandava da dove poteva esser venuto Baldo e quale era stata la sua vita prima di venire ad abitare nella cantina di Melly; ma non gli rivolse mai alcuna domanda. Vi era qualche cosa nel suo viso monocolo che disarmava ogni curiosità. Tutto ciò che sapeva era che il suo accento lo rivelava proveniente dalle montagne del nord; che aveva fatto la guerra ed aveva perduto l'occhio e la gamba poco tempo prima della resa. Furono certe parole pronunciate in uno scoppio di collera contro Ugo Elsing che portarono la luce sul passato di Baldo. Una mattina in cui il vecchio monco l'aveva accompagnata alla segheria di Ugo, Rossella aveva trovato lo stabilimento silenzioso; i negri se n'erano andati e Ugo sedeva sconsolato sotto un albero. Nessuno si era presentato quella mattina al lavoro ed egli non sapeva che fare. Rossella andò su tutte le furie e non si fece scrupolo di rovesciare la sua ira su Ugo: ella aveva per l'appunto ricevuto una forte ordinazione per strappare la quale le erano occorsi tutta la sua energia e tutto il suo fascino. Ed ora ecco che lo stabilimento era fermo. - Conducetemi all'altro stabilimento - disse a Baldo. - So che è lontano e che non riusciremo a pranzare; ma perché vi pago? Debbo dire al signor Wilkes che interrompa quello che sta facendo e prepari quest'altro legname. Purché i suoi operai non abbiano fatto lo stesso! Massa di fannulloni! Non ho mai visto un buono a nulla come Ugo Elsing! Me lo leverò di torno appena Johnnie Gallegher sarà libero. Che m'importa se ha servito nell'esercito yankee? Lavorerà. Non ho mai visto un irlandese pigro. E sono stufa di negri emancipati. Non ci si può fidare di loro. Dirò a Johnnie Gallegher che prenda dei galeotti. Sono sicura che li farà lavorare. Baldo volse verso di lei il suo occhio malevolo e parlò con una collera fredda nella voce aspra. - Il giorno in cui prenderete dei galeotti sarà il giorno in cui vi lascerò. Rossella fu sbalordita. - Dio mio! E perché? - So che cos'è far lavorare i galeotti. Significa ucciderli. Trattarli come muli; anzi peggio. Batterli, farli morire di fame, ammazzarli. Che importa? Lo Stato se ne infischia. Prende i soldi delle paghe. E a chi li assume, non importa nulla. Tutto quello che si cerca, è di nutrirli spendendo poco e ottenere il massimo di lavoro possibile. Accidenti, signora! Non ho mai pensato molto bene delle donne; ma ora penserò anche peggio! - E che c'entrate voi? - C'entro - rispose laconicamente Baldo. E dopo una pausa soggiunse: - Sono stato galeotto per quarant'anni. Rossella sussultò e per un attimo si appoggiò indietro sui cuscini. Questa era dunque la soluzione dell'enigma rappresentato da Baldo, la ragione per cui non aveva voluto dire il suo cognome, il suo luogo di nascita o altro che riguardasse la sua vita passata; questo il motivo per cui parlava con difficoltà e per cui odiava tutto il mondo. Quarant'anni! Doveva essere andato in prigione molto giovine. Quarant'anni! Perché... Doveva essere stato condannato a vita; e i condannati a vita erano... - È stato per... omicidio? - Sí - fu la breve risposta mentre Baldo percuoteva con le redini il dorso del cavallo. - Mia moglie. Le palpebre di Rossella batterono rapidamente. Parve che la bocca di lui nascosta tra la barba si muovesse, come se egli sorridesse del suo terrore. - Non ho l'intenzione di uccidervi, signora, se è di questo che avete paura. Non vi è che una ragione per uccidere una donna. - Avete ammazzato vostra moglie! - Andava a letto con mio fratello. Lui si salvò. Non sono affatto pentito di averla ammazzata. Le donnacce dovrebbero essere uccise. La legge non ha il diritto di mettere un uomo in prigione per questo; ma io fui condannato. - Ma... come siete uscito? Siete scappato? Avete avuto la grazia? - Chiamatela pure grazia! - Le folte sopracciglia si unirono come se il mettere assieme le parole fosse una difficoltà. - Nel '64, quando venne Sherman, ero nel carcere di Milledgeville, dove sono stato per quarant'anni. Il governatore ci chiamò tutti e ci disse che stavano venendo gli yankees, i quali incendiavano e uccidevano. Ora, se vi è una cosa che odio piú dei negri e delle donne, sono gli yankees. - Perché? Avevate... avete conosciuto degli yankees? - No, signora. Ma ho sentito parlare di loro. So che sono incapaci di pensare ai fatti loro. E io detesto le persone che non si occupano dei loro affari. Che cosa venivano a fare in Georgia, a liberare i negri, e bruciare le nostre case, a uccidere la nostra gente? Dunque, il governatore disse che l'esercito aveva molto bisogno di soldati e che chi di noi voleva andare, sarebbe libero alla fine della guerra... se ne usciva vivo. Ma il governatore disse che noialtri condannati a vita... noi omicidi, non eravamo desiderati. Dovevamo essere mandati altrove, in un altro carcere. Ma io dissi al governatore che io non ero come tutti gli altri galeotti. Ero dentro perché avevo ucciso mia moglie, e questo era ben fatto. E volevo combattere contro gli yankees. Il governatore comprese e mi fece uscire con gli altri detenuti. Fece una pausa e grugní. - Hum... Una cosa buffa. Mi avevano messo in prigione perché avevo ucciso e mi liberavano dandomi un fucile perché andassi ad uccidere. Tutti noi di Milledgeville siamo stati buoni soldati e abbiamo ucciso una quantità di yankees; e molti di noi furono uccisi. Non ne ho mai conosciuto nessuno che abbia disertato. Dopo la resa, siamo rimasti liberi. Io ho perduto questa gamba e quest'occhio. Ma non li rimpiango. - Oh - fece Rossella debolmente. Cercò di ricordarsi quello che aveva sentito dire a proposito della liberazione dei detenuti di Milledgeville nell'ultimo disperato sforzo di arginare l'invasione di Sherman. Ne aveva parlato Franco nel Natale del 1864. Che aveva detto? Ma i suoi ricordi di quel periodo erano troppo confusi. Sentí nuovamente lo spavento di quei giorni, udí il rombo dei cannoni, vide le file di carri che si lasciavano dietro una scia di sangue, la partenza della Guardia Nazionale, i cadetti e i ragazzi come Phil Meade e i vecchi come zio Enrico e il nonno Merriwether. E anche i galeotti avevano marciato, per morire nel tramonto della Confederazione, per basire dal freddo nella neve e nel gelo di quell'ultima campagna nel Tennessee. Per un momento pensò che quell'uomo era stato un imbecille, recandosi a combattere per uno Stato che gli aveva preso quarant'anni di vita. La Georgia lo aveva privato della giovinezza e della maturità a cagion di un delitto che per lui non era tale; eppure egli aveva liberamente dato una gamba e un occhio alla Georgia. Le tornarono in mente le amare parole di Rhett nei primi giorni della guerra, quando egli aveva detto che non combatterebbe mai per una società che lo aveva bandito. Ma poi che era stato necessario, anche lui era andato a combattere, come Baldo. E pensò che tutti i meridionali erano dei pazzi sentimentali che davano meno importanza alla loro pelle che a parole senza significato. Guardò le mani nocchiute di Baldo, le sue pistole e il suo pugnale e si sentí nuovamente presa dallo spavento. Dov'erano gli altri galeotti liberati, assassini, ladri, furfanti graziati per i loro delitti in nome della Confederazione? Chiunque si incontrava poteva essere un delinquente! Se Franco venisse a sapere la verità su Baldo, sarebbe l'inferno. E se zia Pitty... no; il colpo la ucciderebbe. Quanto a Melania... Rossella ebbe voglia di informarla. Vedrebbe cosí che cosa voleva dire raccogliere degli straccioni e poi introdurli presso i propri amici e parenti. - Sono... sono contenta che mi abbiate raccontato questo, Baldo. Non... non lo dirò a nessuno. Alla signora Wilkes e alle altre signore farebbe impressione se lo sapessero. - Hum... Miss Wilkes lo sa. Glielo dissi la notte in cui mi diede da dormire nella sua cantina. Non penserete mica che avrei permesso che una signora come lei mi accogliesse in casa senza sapere? - Madonna Santissima! - esclamò Rossella atterrita. Melania sapeva che quell'uomo era un omicida e non lo aveva messo alla porta! Gli aveva affidato suo figlio e poi sua zia, sua cognata e tutte le sue amiche. E lei, la piú timida delle donne, non aveva paura di stare sola in casa con lui! - Miss Wilkes è molto ragionevole, per essere una donna. Ha ammesso che avevo ragione. Ha capito che un ladro continua a rubare e che un bugiardo continua a mentire tutta la vita; ma non si commette piú di un omicidio nella vita. E ritiene che chi ha combattuto per la Confederazione ha spazzato con questo tutto il male che ha commesso prima. Benché io non creda di aver fatto male uccidendo mia moglie... Sí, miss Wilkes è molto ragionevole, per essere una donna... E vi ripeto che il giorno in cui assumerete dei galeotti, vi lascerò. Rossella non rispose, ma pensò: «Piú presto mi lascerete e piú sarò contenta. Un omicida!» Come aveva potuto Melania essere cosí... cosí... No, non vi era parola per definire il modo di agire di Melania nell'accogliere quel vecchio delinquente e nel non dire ai suoi amici che era un ex-galeotto! Dunque, il servizio nell'esercito lavava le antiche colpe! Era troppo sciocca Melania per tutto ciò che concerneva la Confederazione e i suoi veterani. Silenziosamente Rossella maledisse gli yankees e aggiunse un nuovo motivo al suo rancore verso di loro. Erano essi i responsabili della situazione che costringeva una donna a tenersi accanto, per proteggerla, un assassino.

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E se avessimo una legge militare anche piú dura di quella che abbiamo oggi? Gli occhi di Rossella si spalancarono dal terrore, mentre ella cominciava a comprendere qualche cosa. - Sto cercando di capire che cosa sarebbe meglio per la Georgia. - Il volto di Ashley aveva un'espressione irresoluta. - Se è piú saggio combattere questa cosa come ha fatto il Parlamento, sollevando il nord contro di noi, e mettendo contro di noi tutto l'esercito yankee per costringerci ad accordare il voto ai negri. Oppure... reingoiare la nostra dignità meglio che possiamo, sottometterci e accettare l'emendamento senza proteste. Il risultato è lo stesso. Non possiamo far nulla. Dobbiamo prendere la medicina che hanno deciso di darci. Forse sarebbe meglio per noi prenderla senza recalcitrare. Rossella udí a malapena queste parole, e certo la loro importanza le sfuggí. Come sempre, Ashley vedeva i due lati della questione. Ella ne vedeva uno solo: fino a che punto questo schiaffo dato agli yankees poteva interessarla. - Allora. secondo voi bisognerebbe diventare radicali e votare per i repubblicani? - scherní con voce rauca il nonno Merriwether. Vi fu un silenzio pieno di tensione. Rossella vide la mano di Baldo fare un rapido movimento verso la pistola e poi fermarsi. Baldo riteneva, e lo diceva spesso, che il nonno era un vecchio pallone gonfiato; e certo egli non avrebbe permesso che colui insultasse il marito di miss Melania, anche se questi parlava come un imbecille. La perplessità scomparve dagli occhi di Ashley, che arsero di collera. Ma prima che egli avesse aperto bocca, lo zio Enrico aveva investito il nonno. - Perdio... Oh, scusa, Rossella!... Pezzo d'imbecille, come potete dire questo ad Ashley? - Ashley non ha bisogno di voi per prendere le sue difese - ribatté il vecchio freddamente. - E sta parlando come un rinnegato... Sottomettersi, eh? Per l'inferno! (Scusate, vero, Rossella?) - lo non credo nella secessione - riprese con voce tremante di collera Ashley. - Ma quando la Georgia si è separata, io sono andato con lei. Non credevo nella guerra, ma ho combattuto. E non credo che si debba rendere gli yankees piú furenti di quanto sono. Ma se il Parlamento ha deciso di farlo, io sono con lui. E... - Baldo - disse bruscamente zio Enrico - conducete miss Rossella a casa. Questo non è posto per lei. La politica non è per le donne. E qui a momenti vi sarà questione. Andate, Baldo. Buona notte, Rossella. Mentre si avviavano verso la Via dell'Albero di Pesco, il cuore di Rossella batteva per il nuovo spavento. Che effetto avrebbe sulla sua sicurezza quel pazzo gesto del Parlamento? Vi sarebbe pericolo che gli yankees, irritati, le portassero via gli stabilimenti? - Beh! - borbottò Baldo. - Ho sentito parlare di conigli che sputano in faccia ai bulldogs, ma fino ad ora non ne avevo mai visti. Il Parlamento avrebbe potuto addirittura mettersi a urlare: «Viva Jeff Davis e la Confederazione!» e avrebbe avuto lo stesso risultato. Questi yankees che amano i negri si sono messi in mente di farli nostri padroni. Ma bisogna ammirare il coraggio del Parlamento! - Ammirarlo? Sono degli imbecilli! Spararli, bisognerebbe! Renderanno furibondi gli yankees. Non era meglio se radi... rati... come si dice? E tranquillizzare gli yankees invece di eccitarli maggiormente? Tanto, riusciranno lo stesso a sottometterci; e allora tanto vale arrenderci adesso. Baldo la fissò col suo occhio gelido. - Arrendersi senza combattere? Le donne non hanno piú dignità di quanto ne abbia una capra.

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Naturalmente mi sono fermato e abbiamo chiacchierato. - Davvero? - Sí; abbiamo avuto una piacevole conversazione. Mi ha detto che aveva sempre desiderato esprimermi la sua ammirazione pel fatto che anch'io mi sono unito a combattenti, sia pure nell'ultima ora. - Che stupidaggine! Melly è una sciocca. Quella notte c'è mancato poco che morisse, a causa della vostra eroica condotta. - Probabilmente avrebbe pensato che sacrificava la sua vita per la buona causa. Quando le ho chiesto che cosa faceva ad Atlanta, è rimasta sorpresa della mia ignoranza e mi ha raccontato che adesso abita qui e che voi siete stata tanto buona da associarvi il signor Wilkes nella vostra azienda. - Ebbene? - Quando vi prestai il denaro per acquistare la segheria feci un patto espresso che voi accettaste; e cioè che lo stabilimento non doveva servire per mantenere Ashley Wilkes. - State diventando insolente. Vi ho restituito il denaro; lo stabilimento è mio e ne faccio quello che mi pare. - Vorreste dirmi come avete guadagnato il denaro che mi avete restituito? - Vendendo il legname, naturalmente. - Col denaro che vi ho prestato io perché poteste cominciare. Dunque il mio denaro è stato adoperato per il mantenimento di Ashley. Siete una donna senza onore e se non mi aveste restituito quello che vi prestai, sarebbe per me una gioia richiedervelo adesso e mettere il vostro stabilimento all'asta se non poteste pagarmi. Parlava leggermente ma i suoi occhi ardevano di collera. Rossella si affrettò a portare le ostilità nel territorio nemico. -Perché odiate tanto Ashley? Siete geloso di lui? Si sarebbe morsa la lingua dopo queste parole, perché egli gettò indietro la testa e rise clamorosamente facendola arrossire di mortificazione. - Aggiungete la presunzione alla disonestà - disse poi. - Non la finirete mai di sentirvi la bella della Contea? Crederete sempre di essere la piú graziosa delle birichine, e che tutti gli uomini muoiono d'amore per voi. - Neanche per sogno! - ella esclamò con calore. - Ma non capisco perché odiate tanto Ashley; e questa è la sola spiegazione a cui posso pensare. - Bene; pensate qualche altra cosa, deliziosa incantatrice, perché questa è una spiegazione sbagliata. Quanto a odiare Ashley... non lo odio come non lo amo. Il mio solo sentimento verso di lui e verso quelli che sono come lui è la pietà. - Pietà? - Sí; e anche un po' di disprezzo. Suvvia, gonfiatevi di rabbia come un tacchino e ditemi che egli vale mille mascalzoni come me, e che io non dovrei essere presuntuoso da provare per lui pietà o disprezzo. E quando avrete finito di bollire, vi dirò il mio pensiero, se vi interessa. - Non mi interessa affatto. - Ve lo dirò lo stesso, perché non posso permettere che voi continuiate ad alimentare la vostra buffa illusione sulla mia gelosia. Ho pietà di lui perché avrebbe dovuto morire e non è morto. E lo disprezzo perché non sa che cosa fare di se stesso ora che il suo mondo è crollato. Nell'idea che egli esprimeva era qualche cosa che non le riusciva nuovo. Ricordava confusamente di aver udito delle parole simili, ma non sapeva né dove né quando. Ma la collera le impedí di fermarsi a riflettere. - Se aveste libertà d'azione, tutte le persone per bene negli Stati del Sud sarebbero morte. - E se avessero loro libertà d'azione, credo che tutti quelli come Ashley preferirebbero essere morti. Morti e collocati sotto una bella pietra su cui è scritto: "Qui giace un soldato della Confederazione morto per il suo paese" oppure "Dulce et decorum est" o qualche altro epitaffio del genere. - Non vedo il perché! - Voi non vedete mai nulla se non è scritto a lettere di scatola e a distanza del vostro naso! Se fossero morti non avrebbero pensieri, e non vi sarebbero per loro problemi insolubili. E le loro famiglie sarebbero fiere di loro per molte generazioni. Per soprappiú, ho sempre sentito dire che i morti sono felici. Voi credete che Ashley Wilkes sia felice? - Ma, certamente... - Ricordò l'espressione degli occhi di Ashley e s'interruppe. - E Ugo Elsing o il dottor Meade sono felici? Come erano felici mio padre e vostro padre? - Forse non son felici come potrebbero perché hanno perduto tutto il loro denaro. Egli rise. - Non si tratta del denaro, mia cara. Vi dico che hanno perduto il loro mondo, il mondo in cui erano cresciuti, e sono come pesci fuor d'acqua o gatti con le ali. Avrebbero dovuto fare certe date cose, occupare certe date posizioni, e cosí via. Cose, posizioni e tutto scomparvero per sempre quando il generale Lee giunse ad Appomattox. Oh, non abbiate quell'aria stupida, Rossella. Che cosa volete che faccia Ashley Wilkes, ora che la sua casa è scomparsa, la sua piantagione è stata sequestrata per via delle tasse e i gentiluomini vanno a venti per un penny? Può forse lavorare con la testa o con le mani? Scommetto che avete perduto una quantità di denaro da quando egli gestisce l'azienda. - Non è vero. - Siete molto carina. Posso venire a vedere i vostri libri qualche domenica sera quando non avete da fare? - Potete andare al diavolo. E anche adesso, per far piú presto. - Tesoro, sono stato dal diavolo ed è un compagno malinconico. Non ho affatto l'intenzione di tornarvi, neanche per voi... Dunque: voi avete preso il mio denaro perché ne avevate disperatamente bisogno. Abbiamo fatto un accordo per lo scopo a cui doveva servirvi e voi non avete mantenuto questo accordo. Ricordatevi, deliziosa creatura, che verrà il tempo in cui avrete ancora bisogno di farvi prestare da me del denaro. Mi chiederete di finanziarvi, ad interesse incredibilmente basso, per poter comprare altre aziende ed altre mule. E potete contarci poco su quei quattrini. - Quando avrò bisogno di denaro me lo farò prestare dalla banca, - ribatté Rossella freddamente, mentre dentro di sé ardeva di collera. - Davvero? Provateci. Io ho molti capitali in banca. - Proprio? - Sí; sono cointeressato in parecchie imprese. - Vi sono delle altre banche... - Oh, una quantità. E se vi riesco, farò in modo che non possiate avere un centesimo da nessuno. Se avete bisogno di denaro potrete andare dagli usurai «Carpetbaggers». - Vi andrò con piacere. - Vi andrete, ma con poco piacere quando sentirete il loro tasso d'interesse. Tesoro mio, nel mondo degli affari si paga il fio delle azioni poco oneste. Avreste dovuto giocare con me a carte scoperte. - Siete proprio un gentiluomo! Cosí ricco e potente andate a stuzzicare dei poveri diavoli come siamo Ashley ed io! - Non mettetevi al suo livello. Voi non siete ancora vinta. Nessuno può vincervi. Ma lui è completamente a terra e vi resterà finché non avrà dietro di sé una persona energica che lo guidi e lo protegga. E io non intendo che il mio denaro vada a beneficio di un simile individuo. - Eppure avete aiutato me, mentre anch'io ero a terra. - Ma voi, mia cara, eravate un rischio interessante. Perché non vi appoggiavate ai vostri parenti maschi singhiozzando nel rimpianto degli antichi tempi. Vi siete drizzata e vi siete fatta avanti a gomitate; la vostra fortuna è stata solidamente fondata sul denaro rubato dal portamonete di un morto e quello rubato alla Confederazione. Avete al vostro attivo un omicidio, il furto di un marito, un tentativo di prostituzione, e poi menzogne e durezze e altre cose che richiederebbero esame piú accurato. Tutto ciò mostra che voi siete una persona energica e risoluta; valeva la pena di arrischiare del denaro per voi, perché è divertente aiutare chi si aiuta. Presterei diecimila dollari senza neanche una ricevuta, a quella vecchia matrona romana che è la signora Merriwether. Ha cominciato con un cestello di focaccine, e guardatela adesso! Ha una pasticceria che dà lavoro a mezza dozzina di persone; il vecchio nonno è felice col suo carretto delle consegne e quel piccolo creolo indolente, Renato, lavora indefesso e con piacere... Guardate anche quel povero Tommy Wellburn, che fa il lavoro di due uomini, avendo il corpo di mezzo uomo e lo fa bene; oppure... ma non voglio continuare ad annoiarvi. - Sí, mi annoiate. Ma mi distraete - disse Rossella freddamente, sperando di irritarlo e di sviarlo dall'argomento di Ashley. Ma egli rise brevemente e rifiutò di raccogliere il guanto. - Gente come quella merita di essere aiutata. Ma Ashley Wilkes... Bah! La sua razza non ha utilità né valore in un mondo sconvolto come il nostro. In un mondo rinnovato, quelli come lui sarebbero i primi a morire. È gente che non merita di sopravvivere perché incapace di lottare. Questa non è la prima volta che il mondo è stato messo a soqquadro e non sarà l'ultima. E quando accadrà nuovamente, ciascuno perderà ogni cosa, e tutti saranno uguali: allora tutti ricominceranno dal principio senza aver nulla se non la loro scaltrezza e la forza delle loro mani. Ma vi sono di quelli, come Ashley, che non posseggono né astuzia né forza, o, se ne posseggono, hanno scrupolo ad adoperarla. E cosí vanno a fondo e meritano di andarvi. È una legge naturale e il mondo cammina meglio senza di loro. Ma vi sono sempre quei pochi che si salvano e col tempo ritornano ad essere ciò che erano prima che il mondo andasse sottosopra. - Anche voi siete stato povero; avete detto voi stesso che vostro padre vi ha messo fuori casa senza un centesimo! - disse Rossella furibonda. - Dovreste dunque comprendere Ashley e simpatizzare con lui! - Comprendo ma non simpatizzo. Dopo la resa, Ashley aveva molto di piú di quanto avevo io quando sono stato scacciato di casa. Per lo meno ha avuto molti amici che lo hanno aiutato, mentre io ero «Ismaele». Ma che cosa ha fatto Ashley? - E osate paragonarvi a lui, presuntuoso che non siete altro! Grazie a Dio, egli non vi somiglia! Non s'insudicerebbe le mani come voi, guadagnando denaro coi «Carpetbaggers» e con gli yankees! È scrupoloso e onesto. - Ma non tanto scrupoloso e onesto da non accettare denaro e aiuto da una donna. - Che altro avrebbe potuto fare? - Debbo dirlo io? Io so soltanto ciò. che ho fatto io, tanto quando sono stato scacciato da mio padre, quanto oggi. E so ciò che hanno fatto altri uomini. Nella rovina di una civiltà abbiamo visto l'opportunità di fare qualche cosa e ne abbiamo approfittato: alcuni onestamente, altri sott'acqua; e lo stiamo ancora facendo. Ma gli Ashley hanno avuto le stesse possibilità e non ne hanno approfittato. Non sono abili, Rossella, e solo chi è abile merita di sopravvivere. Ella udiva vagamente le sue parole perché ora le stava tornando preciso il ricordo che le era appena balenato, quando egli aveva cominciato a parlare. Rivide il frutteto di Tara battuto dal freddo vento invernale, e Ashley dinanzi a un mucchio di legna con lo sguardo fisso lontano. Aveva detto... che cosa? Qualche parola straniera che poi aveva spiegato e aveva parlato della fine del mondo. Allora non aveva compreso ciò che egli aveva voluto dire, ma ora cominciava a vederlo chiaramente, con un senso di sbalordimento e di stanchezza. - Eppure Ashley disse... - Che cosa? - Sí, una volta a Tara disse qualche cosa di... non so... tramonto di dèi e della fine del mondo e altre sciocchezze di questo genere. - Ah, il «Götterdämmerung!!» Gli occhi di Rhett brillarono d'interessamento. «E che altro?» - Oh, non ricordo bene. Non stavo molto attenta. Ma... sí, qualche cosa a proposito dei forti che rimangono in piedi e dei deboli che vengono stroncati. - Ah, dunque lo sa! Quindi la cosa è ancor piú penosa per lui. Molti di loro non lo sanno e non lo sapranno mai. E per tutta la vita si chiederanno come mai l'antico incanto è svanito. Lui invece sa di essere stato stroncato. - No, non lo è! E non lo sarà finché io avrò respiro! Rhett la guardò tranquillamente; il suo volto bruno era raddolcito. - Come avete fatto, Rossella, a fargli acconsentire a venire ad Atlanta a impiegarsi nella vostra azienda? Ha resistito molto? Come in un lampo ella rivide la scena dopo i funerali di Geraldo ma la ricacciò dalla sua mente. - No davvero - rispose indignata. - Gli spiegai che avevo bisogno del suo aiuto perché non mi fidavo di quel furfante che gestiva la segheria e Franco era troppo occupato... e io aspettavo Ella Lorena... Fu ben contento di venire in mio soccorso. - Com'è comoda la maternità! Vi siete dunque servita di questo... E cosí siete riuscita a condurlo, povero diavolo, dove volevate; ed eccolo lí legato a voi dalla gratitudine come i galeotti lo sono dalle loro catene. Tanti auguri a tutti e due. Ma, come vi ho detto al principio di questa discussione, non avrete mai piú un centesimo da me per nessuno dei vostri progettini cosí poco signorili, mia piccola ingannatrice. Ella si sentiva punta dalla collera e dalla delusione. Infatti, da qualche tempo. meditava di farsi prestare ancora del denaro da Rhett per comprare un terreno in città e installarvi un deposito di legname. - Non ho bisogno del vostro denaro - esclamò; - ne guadagno abbastanza con lo stabilimento gestito da Johnnie Gallegher, ora che non mi servo piú di operai negri. E poi ho dato del denaro contro ipoteche e anche il negozio rende bene, adesso. - Sicuro, l'ho sentito dire. Avete una bell'abilità nell'imbrogliare l'innocente, la vedova e l'orfano, e l'ignorante! Ma dal momento che dovete rubare, perché non derubate il ricco e forte anziché il povero e debole? Da Robin Hood in poi, questo è stato considerato altamente morale! - Perché è molto piú facile e sicuro derubare, come dite voi, i poveri. Egli rise silenziosamente, stringendosi nelle spalle. - Siete un'elegante delinquente, Rossella! Una delinquente! Strano che quel termine la offendesse. Non era una delinquente, disse fra sé con ira. Almeno, non aveva l'intenzione di esserlo. Voleva essere una gran signora. Per un attimo la sua mente tornò indietro negli anni ed ella rivide la madre col suo lieve ondeggiar di gonne e il soave profumo di verbena, le sue manine instancabili sempre occupate al servizio degli altri, amata e rispettata. E a un tratto sentí male al cuore. - È inutile che cerchiate di tormentarmi - disse stancamente. - So che non sono... scrupolosa come dovrei. E non sono buona e dolce come mi è stato insegnato ad essere. Ma non posso farne a meno, Rhett. Sinceramente, non posso. Che altro avrei potuto fare? Che sarebbe avvenuto di me, di Wade, di Tara, di tutti noi se io fossi stata... gentile quando quello yankee venne in casa? Avrei dovuto... non voglio neanche pensarlo! E se io fossi stata buona e scrupolosa quando... quando Giona Wilkerson voleva metterci in mezzo alla strada? Dove saremmo adesso? E se fossi stata semplice e tranquilla e non avessi tormentato Franco a proposito di tutti quei debitori... Beh, lasciamo andare. Può darsi che io sia una delinquente; però non lo sarò sempre, Rhett. Ma in questi ultimi anni... che avrei dovuto e potuto fare? Ho cercato di dirigere attraverso la burrasca un battello con un carico pesante. E ho avuto tanto da fare per tenerlo a galla che non potevo preoccuparmi di molte cose che non erano importanti, come buone maniere, signorilità e... sí, insomma cose di questo genere. Ho avuto troppa paura che la mia navicella andasse a fondo; quindi ho gettato a mare quello che mi sembrava peso inutile. - Cioè orgoglio, onorabilità, onestà, virtú e bontà - enumerò egli. - Avete ragione, Rossella. Non sono cose importanti quando una nave sta per affondare. Ma guardatevi attorno; osservate i vostri amici. O riescono a portare i loro battelli in porto col carico intatto, oppure preferiscono affondare con le bandiere al vento. - Sono una massa di imbecilli - replicò ella brevemente. - C'è tempo per tutto. Quando avrò messo assieme molto denaro, sarò gentile e dolce quanto vorrete. Allora me lo potrò permettere. - Vorrete permettervelo, ma non vi riuscirete. È difficile ripescare un carico gettato a mare; e quando vi si riesce, di solito lo si ritrova irreparabilmente danneggiato. E temo che quando potrete darvi il lusso di ripescare l'onore, la virtú e la bontà che avete gettato a mare, troverete che si sono mutati non precisamente in qualche cosa di bello e di strano... Si alzò improvvisamente e prese il suo cappello. - Ve ne andate? - Sí. Non siete contenta? Vi lascio coi rimasugli della vostra coscienza. Fece una pausa e guardò la bimba, tendendole un dito perché lo afferrasse. - Immagino che Franco sia gonfio di orgoglio. - Oh, senza dubbio! - Ed ha un sacco di progetti per la piccina, no? - Sapete bene come sono sciocchi gli uomini quando si tratta dei loro bimbi... - E allora ditegli... - Si interruppe bruscamente, con una strana espressione sul volto. -... ditegli che se vuole realizzare i suoi progetti per la bambina, farà bene a rimanere piú spesso a casa la sera. - Che volete dire? - Quello che ho detto. Ditegli di restare in casa. - Oh, infame creatura!... Vorreste insinuare che il povero Franco... - Oh Dio! - Rhett scoppiò in una risata clamorosa. - Non ho affatto voluto dire che va in giro con delle donne! Franco! Oh Dio! E scese i gradini continuando a ridere.

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L'odiavamo tanto e glielo abbiamo sempre dimostrato cosi chiaramente che ora egli ci ha messi in questa condizione: o ammettere che eravate in casa della Watling e quindi lasciarvi svergognare tutti quanti - e con voi le vostre mogli - dinanzi agli yankees... oppure dire la verità ed essere impiccati. Ed egli sa che dovremo tutti essere grati a lui e alla sua... amante e che preferiremmo essere impiccati piuttosto che aver della gratitudine per loro. Oh, sono sicuro che questo lo diverte. Il dottore grugní: - Infatti, sembrava divertito quando ci condusse in quel locale. - Senti... - La signora Meade esitò. - Com'è? - Che cosa? - La casa. Com'è? Vi sono lampadari di vetro? E tende di velluto rosso e dozzine di specchiere dorate grandi come la parete? E le ragazze... erano svestite? - Dio mio! - esclamò il dottore atterrito, poiché non aveva mai supposto che la curiosità di una donna casta per le sue sorelle impudiche potesse essere cosí divorante. - Come puoi rivolgermi delle domande cosí invereconde? Sei fuori di te. Ti darò un calmante. - Non lo voglio. Voglio sapere. Dio mio, è l'unica volta che ho la possibilità di sapere com'è fatto un luogo di piacere, e tu sei tanto perverso da non volermelo dire! - Non ho osservato nulla. Ti assicuro che ero troppo imbarazzato nel trovarmi in quel luogo per badare a ciò che mi circondava - disse il dottore solennemente, piú sconvolto da quella inattesa rivelazione del carattere di sua moglie che non fosse stato dagli eventi della serata. - Ma ora scusami... vorrei cercar di dormire un poco. - E allora dormi - e nella voce di lei si sentiva la delusione. Poi, mentre il dottore si chinava a togliersi le scarpe, riprese con nuova gaiezza: - Immagino che Dolly si sarà fatta raccontar tutto dal vecchio Merriwether; e potrà dirmi ogni cosa. - Dio santissimo! Vuoi dire che fra signore per bene si parla di cose simili? - Oh, vai, vai a letto!

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. - Abbiamo licenziato il nostro sorvegliante ed Elena è rimasta a casa per verificare i conti. E vostro marito? E i ragazzi? - Oh, sono andati alle Dodici Querce già da un pezzo, per assaggiare il ponce e sentire se era abbastanza forte; come se non vi fosse tempo fino a domattina per questo! Pregherò John Wilkes di ospitarli stanotte, anche se, deve metterli nella stalla. Cinque uomini ubriachi sono troppi per me. Fino a tre me la cavo, ma... Geraldo la interruppe in fretta per mutare argomento. Sentiva dietro le sue spalle le figlie che ridacchiavano di lui, ricordando in che condizioni era tornato a casa l'autunno precedente dal banchetto dei Wilkes. - E come mai oggi non siete a cavallo, Mrs. Tarleton? Non mi sembrate voi, senza Nelly. Quando siete a cavallo vi si direbbe uno Sténtore. - Uno Sténtore! Ignorante che siete! - esclamò Mrs. Tarleton rifacendogli il verso. - Volete dire un centauro. Sténtore era un uomo che aveva la voce come un tamburo di bronzo. - Sténtore o centauro, fa lo stesso - rispose Geraldo senza scomporsi per il suo errore. - Del resto, anche voi avete una voce come un tamburo di bronzo quando chiamate i vostri cani. - Ti sta bene, mamma, - disse Etta. - Te l'avevo detto che urli come un indiano quando vedi una volpe. - Ma non cosí forte come urli tu quando Mammy ti lava le orecchie - ribatté Mrs. Tarleton. - E hai sedici anni! Quanto al non cavalcare oggi, è perché Nelly stamattina presto ha partorito. - Davvero? - esclamò Geraldo con vero interesse e con gli occhi brillanti della passione irlandese per i cavalli; e Rossella si sentí nuovamente urtata paragonando sua madre alla signora Tarleton. Per Elena né giumente né mucche partorivano mai. Quasi quasi neanche le galline facevano le uova. Elena ignorava completamente queste cose. Ma la Tarleton non aveva di queste reticenze. - Una puledra? - No; un piccolo stallone con delle gambe lunghe due metri. Dovete venire a vederlo, Mr. O'Hara. È un vero cavallo Tarleton: rosso come i riccioli di Etta. - E le somiglia anche molto - soggiunse Camilla; e scomparve gridando in mezzo a un piccolo vortice di sottane, sottovesti e cappelli che si agitavano, mentre Etta, imbronciata, le dava dei pizzicotti. - Le mie puledrine sono tutte eccitate, stamattina - riprese la signora Tarleton. - Hanno cominciato ad essere impazienti da quando abbiamo avuto la notizia del fidanzamento di Ashley con quella sua cuginetta di Atlanta. Come si chiama? Melania? Dio la benedica, è una cara creatura, ma non riesco mai a ricordarmi né il suo nome né il suo viso. La nostra cuoca è la moglie del cameriere dei Wilkes e ierisera ha portato a casa la notizia che stasera si annunzierà il fidanzamento; Cuochetta ce lo ha detto stamane. E come vi dico, le ragazze sono tutte eccitate; non ne capisco la ragione. Tutti sappiamo da anni che Ashley avrebbe fatto questo matrimonio, a meno che non avesse sposato una delle sue cugine Burr di Macon. Tale e quale come Gioia Wilkes che è destinata a sposare suo cugino Carlo. Ma ditemi una cosa, Mr. O'Hara: è illegale per i Wilkes sposarsi fuori della loro famiglia? Perché nel caso... Rossella non udí il resto della frase pronunciata in mezzo a scoppi di risa. Per un attimo aveva avuto l'impressione che il sole fosse scomparso dietro a una nuvola densa, lasciando il mondo nell'ombra, scolorando tutte le cose. Il fresco fogliame parve morticcio, il còrniolo pallido, e il melo selvatico, di un rosso cosí bello pochi minuti prima, lugubre e sbiadito. Rossella ficcò le unghie nell'imbottitura della carrozza, e il suo parasole ondeggiò. Un conto era sapere che Ashley era fidanzato, ma un altro conto era udirne parlare cosí indifferentemente. Il coraggio però le ritornò rapidamente; il sole riapparve e il paesaggio divenne un'altra volta gaio e brillante. Ella sapeva che Ashley la amava. Questo era certo. E sorrise al pensiero della sorpresa della signora Tarleton quando, la sera, non sarebbe stato annunciato alcun fidanzamento; e piú ancora se vi fosse una fuga. E come parlerebbe dell'aria innocente con la quale Rossella aveva ascoltato i suoi discorsi su Melania, mentre intanto era d'accordo con Ashley... Questi pensieri fecero apparire le fossette sulle sue guance, mentre Etta, che stava osservando con curiosità l'effetto delle parole di sua madre, ricadde indietro sui cuscini con un'espressione leggermente perplessa. - Non siamo d'accordo, Mr. O'Hara - stava dicendo enfaticamente Beatrice. - Questi matrimoni fra cugini non sono una buona cosa. Trovo già un errore che Ashley sposi la figlia di Hamilton; ma che Gioia, poi, debba sposare quel Carletto pallido e smunto... - Gioia non troverà marito se non sposa Carlo - disse Miranda, crudele e sicura delle proprie attrattive. - Non ha mai avuto nessun altro corteggiatore. E lui non è mai stato molto carino con lei, benché siano fidanzati. Ti ricordi, Rossella, come ti stava intorno, a Natale... - Non far la pettegola, madamigella - la interruppe sua madre. - I cugini non si dovrebbero mai sposare fra loro; neanche i secondi cugini. Il sangue si indebolisce. Non è come per i cavalli. Potete unire una giumenta a suo fratello o uno stallone a sua sorella e avete ottimi risultati, se conoscete la razza; ma fra uomini la cosa non va. I figli potranno avere dei bei lineamenti, ma punto robustezza. E... - Qui, signora, non sono d'accordo con voi! Potete citarmi gente piú bella e robusta dei Wilkes? E si sono sempre sposati fra cugini, fin da quando Briano Boru era un ragazzo. - Ma sarebbe tempo che la smettessero, perché ora si comincia ad accorgersi del danno. Oh, non dico per Ashley, che è un bel ragazzo, quantunque anche lui... Ma guardate quelle due figliuole, che pena! Belline, senza dubbio, ma cosí pallide! E guardate la piccola Melania. Sottile come un crostino e tanto delicata che basta un soffio di vento a darle un raffreddore; e senza ombra di spirito. Non sa nulla di nulla. «Sí, signora! No, signora!» è tutto ciò che sa dire. Capite quello che intendo? Quella famiglia ha bisogno di un bel sangue vigoroso, come le mie testoline rosse o la vostra Rossella. Non mi fraintendete. I Wilkes sono persone simpatiche sotto tanti punti di vista e sapete benissimo che io voglio loro bene; ma siamo schietti! Sono troppo educati e anche poco naturali, non vi pare? Faranno buona figura su una carraia asciutta, ma badate a quello che dico: non credo che i Wilkes sappiano galoppare sulla strada infangata. Mi pare che non abbiano energia; e ritengo che non siano capaci di superare gli ostacoli che potrebbero presentarsi. Animali che hanno bisogno del bel tempo. Datemi un bravo cavallone che corra con tutti i tempi! E i loro matrimoni fra consanguinei li hanno resi diversi da tutti gli altri. Sempre a gingillarsi col pianoforte o sprofondati nei libri! Scommetto che Ashley preferisce leggere che andare a caccia! Sí, ne sono convinta, Mr. O'Hara! E guardate che ossa. Troppo sottili. Hanno bisogno di giumente e stalloni robusti... - Ah... hhum... - fece improvvisamente Geraldo, rendendosi conto che la conversazione, che per lui era adatta e interessante, non sarebbe sembrata tale a Elena. La quale non avrebbe mai perdonato se avesse saputo che le sue figliuole erano state esposte ad ascoltare dei discorsi cosí espliciti. Ma la signora Tarleton era, come sempre, sorda ad ogni altra idea quando si ingolfava nel suo tema favorito: l'allevamento, di cavalli o di uomini che fosse. - So quel che dico perché ho avuto dei cugini che si sono sposati fra loro e vi assicuro che i loro bambini vennero tutti con gli occhi sporgenti come dei ranocchi, povere creature! E quando la mia famiglia voleva che io sposassi un secondo cugino, mi impennai come un puledro. Dissi: «No, mamma. Non fa per me. I miei figli devono avere spalle e fianchi, da buoni galoppatori». La mamma svenne sentendomi parlare di galoppatori, ma io rimasi imperterrita e la nonna mi sostenne. Anche lei era molto pratica di allevamento di cavalli, e disse che avevo ragione. E mi aiutò a fuggire con Mr. Tarleton! E guardate i miei figli! Grandi e grossi e in buona salute, senza mai un raffreddore, benché Boys sia alto solo un metro e sessantacinque. Ora, Wilkes... - Non vi dispiacerebbe cambiare argomento, signora? - interruppe frettolosamente Geraldo che aveva notato lo sguardo sbalordito di Carolene e l'avida curiosità dipinta sul viso di Súsele e temeva che al ritorno a casa esse potessero rivolgere a Elena domande imbarazzanti le quali rivelerebbero che egli era un pessimo «chaperon». Fu lieto di notare che la sua Gattina sembrava pensare a tutt'altro. Etta gli venne in aiuto. - Ma sí, mamma, andiamo! - esclamò con impazienza. - C'è un sole che scotta e sento che mi stanno già venendo le lentiggini sul collo. - Un minuto, signora, prima di avviarci. Che cosa avete deciso di fare per i cavalli che vi abbiamo pregato di venderci per Io Squadrone? La guerra può scoppiare da un giorno all'altro e i ragazzi desiderano che la cosa sia sistemata. È uno squadrone della Contea di Clayton e noi desideriamo per loro dei cavalli di Clayton. Ma voi, creature ostinate, rifiutate di venderci le vostre belle bestie. - Forse la guerra non ci sarà - temporeggiò la signora, completamente distratta, ora, dal pensiero delle abitudini matrimoniali dei Wilkes. - Ma signora, non potete... - Mamma - interruppe nuovamente Etta - non potete, tu e Mr. O'Hara parlar di questo quando saremo alle Dodici Querce? - È giusto, miss Etta - annuí Geraldo - e non vi trattengo piú di un altro minuto d'orologio. Fra poco saremo alle Dodici Querce e tutti quanti, giovani e vecchi, vorranno sapere dei cavalli. Ma mi spezza il cuore vedere una brava signora come la vostra mamma cosí avara delle sue bestie! Dov'è il vostro patriottismo, Mrs. Tarleton? La Confederazione non ha nessuna importanza per voi? - Mamma - gridò Bettina - Miranda è seduta sul mio abito e me lo sgualcisce tutto! - Spingila perché si levi, e sta zitta. Quanto a voi, Geraldo O'Hara, ascoltatemi. - E i suoi occhi si accesero. - Non mi gettate in faccia la Confederazione! Reputo che essa abbia tanta importanza per me come per voi, avendo io quattro ragazzi nello Squadrone mentre voi non ne avete nessuno. Ma i miei ragazzi sanno badare a se stessi e i miei cavalli no. Li darei volentieri anche gratis, se sapessi che saranno cavalcati da ragazzi che conosco, signori abituati ai purosangue. No, non esiterei un minuto. Ma lasciare i miei tesori alla mercé di boscaioli e Crackers che sono abituati ad andare a dorso di mulo! No, signore! È un incubo per me il pensiero che siano sellati con selle umide e che non siano governati come si deve! Credete che io voglia affidare le mie bestie tenere di bocca a degli ignoranti, per vederle ridotte con la bocca insanguinata e rovinata; ignoranti che li frusterebbero fino a far perder loro ogni vivacità! Mi viene la pelle d'oca solo a pensarci! No, Mr. O'Hara; siete molto gentile chiedendo i miei cavalli, ma è meglio che andiate ad Atlanta a comprare per i vostri villani dei vecchi ronzini. - Mamma, vogliamo andare, per piacere? - Era Camilla che si univa al coro impaziente. - Sai benissimo che finirai col cedere e dare i tuoi tesori. Quando il babbo e i ragazzi ti convinceranno che la Confederazione ne ha bisogno, ti metterai a piangere e glieli darai. La signora Tarleton ridacchiò e crollò le spalle. - Non lo farò - disse poi, toccando leggermente i cavalli con la punta dello sverzino. La carrozza si mosse velocemente. - È una brava donna - disse Geraldo rimettendosi il cappello e riprendendo il suo posto a fianco del proprio veicolo. - Vai, Tobia. La persuaderemo e avremo i cavalli. Senza dubbio ha ragione. Ha ragione. Se uno non è un signore, il cavallo non è affar suo. Il posto per lui è in fanteria. Ma purtroppo, in questa Contea non vi sono abbastanza figli di piantatori per fare un intero Squadrone. Che avevi detto, Gattina? - Ti prego, babbo, di andare davanti alla carrozza o dietro. Sollevi una tal quantità di polvere che soffochiamo - rispose Rossella che sentiva di non poter sopportare piú a lungo la conversazione. La distraeva dai suoi pensieri; ed ella desiderava rendere questi e il proprio volto ugualmente simpatici prima di giungere alle Dodici Querce. Geraldo, ubbidiente, spronò il cavallo e si allontanò in una nube rossastra per raggiungere la carrozza dei Tarleton. Avrebbe potuto cosí continuare la sua conversazione di argomento equino.

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Non vorrei che vi fosse ombra di malumore fra noi, dopo tutto quello che abbiamo sofferto insieme! Rossella, dimmi che siamo le stesse di prima! - Quante storie, Melly! Una vera tempesta in un bicchier d'acqua... - L'espressione di Rossella era stizzosa; ma questa volta ella non respinse la mano che le allacciava la vita. - Dunque, ci vogliamo sempre lo stesso bene! - esclamò Melania contenta; ma soggiunse dolcemente: - Io desidero che noi continuiamo a vederci come abbiamo sempre fatto, tesoro. Vuol dire che mi farai sapere quando dei repubblicani o dei rinnegati vengono da te; e in quei giorni io rimarrò a casa. - Mi è completamente indifferente che tu venga o no - ribatté Rossella mettendosi il cappello e uscendo con impeto. La sua vanità offesa trovò una soddisfazione nell'espressione addolorata di Melania.

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Abbiamo visto Mammà fuori della stalla con un sacchetto di zucchero, che cercava di ammansirlo, e vi riusciva. I negri, tutti spaventati, stavano a guardare Mammà che parlava col cavallo come se fosse una persona e gli dava da mangiare in mano. Nessuno sa trattare i cavalli come Mamma. Quando ci ha visti ha detto: «In nome del cielo, che diamine siete tornati a fare a casa? Siete peggio delle piaghe d'Egitto!» Allora il cavallo cominciò a sbuffare e a impennarsi, e Mammà a gridare: «Via, andate via! Non vedete che è nervoso, questo tesoro? Andate, mi occuperò di voi domattina!» Cosí ce ne andammo a letto e stamattina ci siamo alzati prima di lei e abbiamo lasciato Boyd a casa per parlarle. - Credi che lo picchierà? - Come tutti gli abitanti della Contea, Rossella non riusciva a capire come la piccola signora Tarleton trattasse cosí tirannicamente i figliuoli grandi e li percuotesse col suo frustino quando l'occasione lo richiedeva. Beatrice Tarleton era una donna attiva, che dirigeva non solo la sua grande piantagione di cotone, con un centinaio di negri, e otto figliuoli, ma anche il piú grande allevamento di cavalli della contrada. Era di umor vivo e facilmente irritata dalle frequenti scappate dei suoi quattro figli; e, mentre a nessuno era permesso di frustare un cavallo o uno schiavo, ella riteneva che una bastonata ogni tanto non facesse alcun male ai ragazzi. - Oh, non lo batterà di certo. Non lo ha mai picchiato molto perché è il piú vecchio ed è anche il nano della famiglia - riprese Stuart fiero del suo metro e novanta. - Perciò lo abbiamo lasciato a casa a darle le spiegazioni. Dio benedetto, Mammà dovrebbe smetterla di frustarci! Abbiamo diciannove anni e Tom ne ha ventuno e lei ci tratta come se fossimo bambini di sei anni! - E cavalcherà il suo nuovo cavallo domani; alla riunione dei Wilkes? - Ne avrebbe il desiderio, ma il Babbo dice che è troppo pericoloso. E poi, le ragazze non glielo permetteranno. Vogliono vederla intervenire almeno una volta a una riunione in carrozza, come una signora. - Speriamo che non piova, domani - prosegui Rossella; - da una settimana piove tutti i giorni. Non c'è niente di piú noioso di una merenda fatta in casa. - Oh, sarà bel tempo e caldo come in giugno - affermò Stuart. - Guarda il tramonto: non ne ho mai visto di piú rossi. Sai che dal tramonto si può sempre prevedere che tempo farà il giorno seguente. Guardarono verso l'orizzonte vermiglio, oltre gli sterminati campi di cotone di Geraldo O'Hara. Ora che il sole stava declinando avvolto di porpora dietro le colline al di là del fiume Flint, il calore della giornata d'aprile dava luogo a una piacevole frescura. La primavera era giunta in anticipo quell'anno, con piogge tepide e un improvviso spumeggiare di rosei fiori di pesco; i còrnioli macchiavano di grosse chiazze candide la palude scura e le colline lontane. L'aratura era quasi terminata e la gloria sanguigna del tramonto dava ai solchi di rossa terra della Georgia una tinta anche piú ardente, il terriccio umido che attendeva avidamente i semi del cotone appariva roseo nel fondo sabbioso dei solchi, vermiglio, scarlatto e focato dove si stendevano le ombre sui lati dei fossati. La casa di pietra intonacata di bianco sembrava un'isola in un selvaggio mare purpureo, un mare le cui onde si fossero improvvisamente pietrificate nel momento in cui si frangevano. Perché quivi non erano solchi lunghi e dritti come si vedevano nei campi di argilla giallastra della piatta Georgia centrale o nella terra nera delle piantagioni che sorgevano sulla costa. L'ondulosa e collinosa campagna della Georgia settentrionale era lavorata in un'infinità di curve per impedire che la terra generosa franasse e andasse a finire in fondo al fiume. Era un terriccio di un violento colore sanguigno dopo le piogge, simile a polvere di mattone durante i periodi di siccità; la migliore del mondo per la coltivazione del cotone. Un piacevole paesaggio di case bianche, di campi tranquilli e ben lavorati, di pigri fiumi dall'acqua giallastra; ma pieno di contrasti, di sole abbagliante e di ombre dense. Le zone dissodate e le vaste estensioni di campi di cotone sorridevano a un sole caldo, placido e compiacente. Ai loro margini sorgevano le foreste vergini, fresche ed oscure anche nei meriggi piú ardenti, misteriose, un po' sinistre, ove i pini sembravano attendere con secolare pazienza e mormorare minacciosi: «Badate! State attenti! Vi abbiamo avuti una volta. Possiamo riprendervi nuovamente». All'orecchio dei tre sotto al porticato giunse uno strepito di zoccoli, un tintinnar di catene di bardature e il riso stridente dei negri, poiché lavoratori e mule tornavano dai campi. Dall'interno della casa si udí la voce dolce della madre di Rossella, Elena O'Hara, chiamare la bimba negra che portava il suo cestello di chiavi. La voce acuta infantile rispose: - Eccomi, signora - e vi fu uno scalpiccío nel retro della casa, verso il luogo dove si conservavano i viveri affumicati e dove Elena doveva misurare il cibo per i coltivatori che tornavano a casa. Vi fu un acciottolio di porcellane e un tramestio di argenti quando Pork, il domestico-maggiordomo di Tara, apparecchiò la tavola per la cena. Udendo questi ultimi rumori, i gemelli si accorsero che era ora di muoversi per tornare a casa. Ma non avevano nessuna voglia di trovarsi di fronte alla madre e rimasero ancora a gingillarsi sotto al porticato aspettando da un momento all'altro che Rossella li invitasse a rimanere a cena. - A proposito, Rossella. E per domani? - cominciò Brent. - Non sarebbe giusto che essendo stati via e ignorando dell'invito e del ballo, dovessimo essere privati di ballare con te domani sera. Non avrai promesso tutti i balli, spero? - Sicuro che li ho promessi! Come potevo sapere che sareste tornati? Non potevo correre il rischio di rimanere a far tappezzeria per aspettarvi! - Tu, far tappezzeria! - i ragazzi risero saporitamente. - Senti, cara - riprese Brent. - Mi darai il primo valzer e darai l'ultimo a Stu; e cenerai con noi. Staremo seduti sulla scaletta dell'approdo come abbiamo fatto all'ultimo ballo e ci faremo dire nuovamente la buona ventura da Mammy Jincy. - Non mi piacciono le predizioni di Mammy Jincy. Sapete benissimo che ha detto che dovevo sposare un signore coi capelli nerissimi e lunghi baffi neri; e sapete che non mi piacciono gli uomini bruni. - Ti piacciono i fulvi, non è vero, gioia? - rise Brent. - Via, promettici tutti i valzer e la cena. - Se ce li prometti, ti riveliamo un segreto - soggiunse Stuart. - Quale? - esclamò Rossella, ansiosa come una bambina. - Quello che abbiamo saputo ieri ad Atlanta, Stu? Se è quello, sai che abbiamo promesso di non parlare. - Sicuro; ce l'ha detto la signorina Pitty. - La signorina chi? - Sai, quella cugina di Ashley Wilkes che sta ad Atlanta: la signorina Pittypat Hamilton; la zia di Carlo e di Melania Hamilton. - La conosco; non ho mai conosciuto una vecchia piú stupida. - Ebbene: ieri mentre eravamo ad Atlanta aspettando il treno per venire qui, la incontrammo in carrozza; si fermò a parlarci e ci disse che domani sera al ballo di Wilkes verrà annunziato un fidanzamento. - Oh, lo so! - esclamò Rossella delusa. - Quell'idiota di suo nipote, Carletto Hamilton, con Gioia Wilkes. Lo sappiamo da anni che un giorno o l'altro dovevano sposarsi, benché lui sia abbastanza tiepido. - Credi che sia un idiota? - chiese Brent. - A Natale hai lasciato che ti ronzasse intorno parecchio. - Non potevo impedirgli di ronzare - e Rossella alzò le spalle negligentemente. - Ma credo che sia proprio uno scemo. - Del resto, non è il suo fidanzamento quello che sarà annunciato - dichiarò Stuart trionfante - ma quello di Ashley con la sorella di Carletto, Melania. Il volto di Rossella non mutò, ma le sue labbra si sbiancarono, come capita a chi riceve un colpo violento senza preavviso e che, nel primo momento, non si rende ben conto di quanto accade. La sua espressione era cosí calma che Stuart, poco osservatore, ritenne per certo che ella fosse soltanto sorpresa e molto incuriosita. - La signorina Pitty ci ha detto che non volevano annunciarlo ufficialmente fino all'anno venturo, perché Melania è stata poco bene; ma con le voci di guerra che ci sono in giro, le famiglie hanno pensato che era meglio sollecitare il matrimonio. Cosí il fidanzamento sarà annunciato domani sera, durante la cena. Ora che ti abbiamo detto il segreto, devi prometterci di cenare con noi. - Senza dubbio - rispose Rossella automaticamente. - E tutti i valzer? - Tutti. - Sei un tesoro! Scommetto che gli altri saranno furenti. - Che ce ne importa? - disse Brent. - In caso l'avranno da fare con noi. Un'altra cosa, Rossella: domattina, a mangiare la porchetta, siedi accanto a noi. - Che cosa? Stuart ripeté la domanda. - Va bene. I gemelli si guardarono giubilanti ma con una certa sorpresa. Benché si ritenessero i corteggiatori favoriti di Rossella, non avevano mai fino ad ora ottenuto cosí facilmente dei segni del suo favore. Di solito ella lasciava che pregassero e supplicassero, prendendoli in giro, rifiutando di dire un sí o un no, ridendo quando si imbronciavano, diventando glaciale quando si adiravano. Ed ora aveva promesso praticamente di trascorrer con loro tutta la giornata seguente: stare con loro durante quella colazione all'aperto in cui si mangiava la porchetta arrostita intera, e poi tutti i valzer (avrebbero pensato loro a far suonare soltanto dei valzer!) e la cena. Valeva la pena di farsi espellere dall'Università. Pieni di nuovo entusiasmo per il loro successo, si gingillarono parlando del pic-nic, del ballo e di Ashley Wilkes e di Melania Hamilton, interrompendosi l'un l'altro, scherzando e ridendo e cercando di farsi invitare a cena. Passò un po' di tempo prima che si accorgessero che Rossella non parlava. L'atmosfera era mutata. I gemelli non capirono perché, ma lo splendore del pomeriggio era scomparso. Sembrava che Rossella prestasse poca attenzione a ciò che essi dicevano, benché rispondesse correttamente. Intuendo qualche cosa che non riuscivano a comprendere, annoiati e contrariati, i gemelli esitarono alquanto; quindi si alzarono con riluttanza, guardando i loro orologi. Il sole era basso al di là dei campi arati, e i grandi boschi oltre il fiume apparivano piú grandi nei loro neri profili. Le ombre dei comignoli spiccavano sul cortile; e galline, anatre, tacchini attraversavano i campi barcollando sulle gambe corte. Stuart urlò: - Jeems! - Dopo un istante un giovinotto negro della loro età, alto e robusto, corse ansante, girando attorno alla casa verso i cavalli legati. Era il loro servitore e, come i cani, li accompagnava dovunque. Era stato il compagno di giochi della loro infanzia, regalato poi ai gemelli, in loro proprietà, per il loro decimo compleanno. Vedendolo, i cani dei Tarleton si alzarono dalla rossa polvere e rimasero ad attendere i loro padroni. I ragazzi si inchinarono e strinsero la mano a Rossella dicendole che l'indomani mattina si sarebbero trovati di buon'ora ad attenderla dinanzi alla casa dei Wilkes. Quindi si affrettarono a raggiungere i loro cavalli, balzarono in sella e, seguiti da Jeems, si avviarono al galoppo lungo il viale di cedri, agitando i cappelli ed emettendo grida di saluto. Oltrepassata la curva della strada polverosa che li nascondeva alla vista di Tara, Brent fermò il suo cavallo sotto a una macchia di còrnioli. Anche Stuart si fermò e il ragazzo negro rimase a qualche passo di distanza. I cavalli, sentendo che le redini erano lente, allungarono il collo a brucare le tenere erbette primaverili, e i cani pazienti si sdraiarono nuovamente nella soffice polvere rossa e guardarono con bramosa nostalgia il fumo dei comignoli che svaniva nel cielo crepuscolare. La larga faccia ingenua di Brent aveva un'espressione di stupore e di lieve indignazione. - Senti: non ti pare che avrebbe dovuto invitarci a cena? - disse a suo fratello. - Infatti - rispose Stuart. - Credevo che lo avrebbe fatto. Lo aspettavo. E invece non ci ha detto nulla. Che ne dici? - Niente. Ma mi pare che avrebbe dovuto invitarci. Dopo tutto, è il primo giorno che siamo a casa, e avevamo tante altre cose da dirle. - Quando siamo arrivati, mi è sembrato che fosse molto contenta di vederci. - È sembrato anche a me. - E poi, circa mezz'ora fa, è diventata silenziosa come se avesse mal di capo. - Infatti; ma lí per lí non ci ho badato. Che cosa credi che avesse? - Non saprei. Abbiamo forse detto qualche cosa che l'ha irritata? Rimasero per un minuto a riflettere. - Non ne ho nessun'idea. Del resto, quando Rossella si irrita, se ne accorgono tutti. Non si comporta come le altre ragazze. - Sí, e questo è quello che mi piace in lei. Non diventa fredda e astiosa, ma dice le sue ragioni. Sarà qualche cosa che abbiamo fatto o detto che l'ha fatta diventare silenziosa e quasi annoiata. Giurerei che quando siamo arrivati è stata contenta e aveva l'idea d'invitarci a cena. - Non sarà perché siamo stati espulsi? - Ma no! Non dire sciocchezze. Ha riso tanto quando glielo abbiamo raccontato... - E poi Rossella non ha maggior passione pei libri di quanta ne abbiamo noi. Si volse sulla sella e chiamò il negro. - Jeems! - Badrone? - Hai sentito di che cosa parlavamo con la signorina Rossella? - Mai piú, Mr. Brent! Come bensare che io stare a spiare signori bianchi? - Spiare! Voialtri negri sapete sempre tutto quello che succede. Del resto, bugiardo che sei, ti ho visto coi miei occhi gironzolare attorno al porticato e accoccolarti nel cespuglio dei gelsomini accanto al muro. Dunque: ci hai sentito dire qualche cosa che può avere irritato la signorina Rossella o aver ferito i suoi sentimenti? Interrogato in questo modo, Jeems smise di fingere di non aver udito la conversazione e aggrottò la sua nera fronte. - Veramende io non essere accorto che aver detto niente che botere irritarla. Mi è sembrato che essere molto condenda di vedere miei badroni, ed essere felice come un uccellino fino a quando avere barlato del fidanzamento di Mr. Ashley con miss Melly Hamilton. Allora essere diventata silenziosa come uccello quando vede volare falco. I gemelli si guardarono e annuirono, ma senza capire. - Jeems ha ragione. Ma non vedo perché - disse Stuart. - Dio mio! Ashley è soltanto un amico per lei. Non è innamorata di lui. È innamorata di noi. Brent annuí. - Forse si sarà adirata perché Ashley non le ha dato la notizia prima che agli altri. Sono amici da tanti anni; e poi le ragazze tengono molto ad essere informate per prime di queste cose. - Può darsi. Ma che ci sarebbe di male? Doveva essere un segreto, una sorpresa... e uno ha bene il diritto di serbare il silenzio sul proprio fidanzamento, no? Noi non lo avremmo saputo se non ce lo avesse detto la zia di miss Melania. Ma Rossella doveva sapere che un giorno o l'altro ci sarebbe stato questo matrimonio. Noialtri, infatti, lo sapevamo da anni. I Wilkes e gli Hamilton si sposano sempre tra cugini. Tutti sapevano che l'avrebbe probabilmente sposata, come Gioia Wilkes sposerà il fratello di Melania, Carletto. - E va bene, sarà cosí. Ma mi secca che non ci abbia trattenuti a cena. Ti giuro che non ho nessuna voglia di andare a casa e sentire quello che dirà la Mamma per la nostra espulsione. Non è la prima volta! - Forse a quest'ora Boyd l'avrà calmata. Ci riesce sempre, con le sue chiacchiere, quel vermiciattolo! - Sí, ci riesce, ma gli ci vuole del tempo. Parla, parla finché la confonde e allora la Mamma gli dice che la smetta e si risparmi la voce per quando farà l'avvocato. Ma in queste poche ore non è stato certo possibile. Scommetto che la Mamma è cosí eccitata per il suo nuovo cavallo che non si ricorderà neppure che siamo tornati, finché non siederà a cena e vedrà Boyd. E prima che la cena sia finita farà fuoco e fiamme. Arriveranno le dieci prima che Boyd trovi il momento opportuno per dirle che non sarebbe stato onorevole che uno della famiglia fosse rimasto in collegio dopo che il rettore ha trattato te e me in quel modo. E ci vorranno due ore perché Boyd le faccia cambiare umore; a mezzanotte sarà diventata furibonda contro il rettore e chiederà a Boyd perché non lo ha ammazzato. No, non possiamo andare a casa prima di mezzanotte. I gemelli si guardarono cupamente. Non avevano paura dei cavalli selvaggi, delle risse e delle questioni che finivano a rivoltellate, ma avevano un sacro terrore delle sgridate della loro fulva genitrice e dello scudiscio che ella maneggiava senza ritegno. - Facciamo una cosa - riprese Brent. - Andiamo dai Wilkes. Ashley e le ragazze saranno contenti di averci a cena. Stuart crollò il capo, sconfortato. - No, non ci possiamo andare. Saranno sottosopra a preparar tutto per domani; e poi... - Oh, non ci pensavo piú - interruppe Brent. - Hai ragione; non ci andiamo. Diedero la voce ai cavalli e per un po' di tempo cavalcarono in silenzio; sulle abbronzate guance di Stuart era apparso un rossore di imbarazzo. Fino all'estate precedente Stuart aveva fatto la corte a Lydia Wilkes con l'approvazione di entrambe le famiglie e dell'intera contea. Tutti pensavano che la fredda e contegnosa Lydia avrebbe prodotto su lui l'effetto di un calmante. O almeno, lo speravano vivamente. E Stuart l'avrebbe sposata volentieri; ma Brent non approvò. Lydia gli piaceva, ma la trovava troppo semplice e innocua; impossibile innamorarsene anche lui, per far compagnia a Stuart. Era la prima volta che i gemelli non la pensavano allo stesso modo; e Brent era seccatissimo che suo fratello avesse delle attenzioni verso la fanciulla che a lui sembrava insignificante. E poi, l'estate precedente era accaduto che a una riunione politica che aveva luogo in un boschetto di querce, tutti e due avevano improvvisamente notato Rossella O'Hara. La conoscevano da molti anni e fin dalla loro infanzia era stata una delle compagne di giochi preferite, perché era capace di andare a cavallo e di arrampicarsi sugli alberi quasi tanto bene quanto loro. Ma adesso, con loro sorpresa, era diventata una giovine donna; ed era la piú graziosa e la piú simpatica del mondo. Per la prima volta si erano accorti che i suoi occhi verdi erano vivi e mobilissimi, che quando rideva faceva le fossette, che aveva mani e piedi piccini e una vita sottile. Queste loro osservazioni l'avevano fatta ridere clamorosamente e, solleticati dall'idea che essa li riteneva una coppia notevole, i due avevano sorpassato se stessi. Era stata una giornata memorabile nella vita dei gemelli. In seguito, ogni qualvolta ne parlavano, essi si chiedevano sempre come mai non avevano prima d'allora notato le qualità di Rossella. E non riuscivano a trovare la soluzione dell'enigma; cioè che Rossella aveva deciso, quel giorno, di farsi notare da loro. Ella era costituzionalmente incapace di sopportare che un uomo - chiunque fosse - si innamorasse di una donna che non era lei; e la vista di Lydia Wilkes che discorreva con Stuart era stata intollerabile per il suo carattere predace. Non contenta del solo Stuart, aveva gettato l'amo anche a Brent, ed era riuscita nel suo intento con una perfezione che sbalordiva entrambi i giovani. Ora erano tutti e due innamorati di lei, e tanto Lydia Wilkes quanto Enrichetta Munroe, di Lovejoy, a cui Brent aveva fatto una corte discreta, eran ben lontane dalla loro mente. Essi non si chiedevano quale sarebbe stato il perdente, qualora Rossella avesse scelto uno dei due. Avrebbero superato questa difficoltà quando fosse giunto il momento. Per ora erano contenti di essere nuovamente d'accordo sul conto della fanciulla, poiché fra loro non esisteva gelosia. Era una situazione che divertiva il vicinato e infastidiva la loro madre, la quale non aveva alcuna simpatia per Rossella. - Vi starà bene, se quella furbacchiona accetta uno di voi - soleva dire. - Oppure, può darsi che vi accetti entrambi, e allora dovrete andare a stare a Utah, se i Mormoni vorranno accogliervi... cosa di cui dubito... Quello che mi preoccupa è che un bel giorno vi picchierete perché sarete gelosi uno dell'altro a causa di quella piccola e falsa creatura dagli occhi verdi, e vi ammazzerete. D'altronde, anche questa non sarebbe una cattiva idea. Dal giorno della riunione politica, Stuart si era sempre trovato a disagio dinanzi a Lydia. Non che essa gli avesse mai mosso alcun rimprovero o avesse dato a divedere menomamente di essersi accorta del suo mutamento. Era troppo signora per farlo. Ma Stuart si sentiva colpevole verso di lei. Sapeva di essere riuscito a farsi amare e che Lydia lo amava ancora; e, nel profondo del cuore, sentiva di non essersi comportato da gentiluomo. Continuava a trovarla molto simpatica e la rispettava per il suo contegno freddo ed educato, per la sua istruzione e per tutte le sue qualità. Ma, accidenti!, era sempre cosí pallida e poco interessante e monotona, paragonata al fascino brillante e mutevole di Rossella. Con Lydia si sapeva sempre a che punto si era, mentre con Rossella non lo si sapeva mai. Questo poteva portare un uomo alla demenza, ma aveva il suo fascino. - Allora, andiamo da Cade Calvert e ceniamo da lui. Rossella ha detto che Caterina è tornata da Charleston. Forse avrà qualche notizia di Forte Sumter che ancora ignoriamo. - Caterina? Sono pronto a scommettere due contro uno che non sa neppure che il Forte era sopra al porto, e tanto meno che era pieno di yankees prima che noi li scacciassimo. Lei sa soltanto parlare dei balli a cui è stata e dei corteggiatori di cui ha fatto collezione. - Ad ogni modo, quando chiacchiera è divertente. Ed è un modo di passare il tempo finché Mammà sarà andata a letto. - E va bene, perbacco! Caterina è simpatica e piacevole, e sarò contento di aver notizie di Càrolo Rhett e dell'altra gente di Charleston; ma che il diavolo mi porti se tollero di mangiare ancora una volta avendo a tavola quella yankee della sua matrigna. - Non essere cosí aspro verso di lei, Stuart. È piena di buone intenzioni. - Non sono aspro. È una donna che mi fa pena, ma non mi piace la gente che mi fa pena. E poi continua a girare intorno, cercando di fare del suo meglio perché uno si senta come a casa sua; ma riesce sempre a fare e dire tutto il contrario di quello che dovrebbe. Mi dà ai nervi! E crede che i meridionali siano selvaggi. Lo ha detto alla Mamma. Ha paura della gente del Sud. Quando siamo da lei, è terrorizzata. Mi dà l'idea di una gallina pelle e ossa, arrampicata su una sedia, con gli occhi brillanti e spauriti, pronta a starnazzare e schiamazzare al piú piccolo movimento dei presenti. - Dopo tutto, non puoi biasimarla. Ricordati che hai ferito Cade in una gamba. - Ero esasperato perché ero stato picchiato, altrimenti non lo avrei fatto. E Cade non me ne ha serbato alcun rancore. E neanche Catina, né Raiford, né il signor Calvert. Solo quella matrigna yankee ha strepitato dicendo che ero un selvaggio e che le persone perbene non potevano stare in mezzo a questi meridionali incivili. - Non si può darle torto. È yankee ed ha avuto un'ottima educazione; e poi, hai ferito il suo figliastro. - Vai all'inferno! Non è una buona ragione per insultarmi! Tu sei figlio, vero figlio, di Mammà; ma si è forse risentita quella volta che Tony Fontaine ti ha ferito alla gamba? Niente affatto; si limitò a mandare a chiamare il vecchio dottor Fontaine per medicarti e gli chiese come mai Tony mirasse cosí male. E disse che secondo lei le frustate danneggiavano l'abilità di un tiratore. Ti ricordi come si infuriò Tony per questo? I due ragazzi risero saporitamene. - La Mamma è un tipo! - approvò affettuosamente Brent. - Si può sempre esser sicuri che sa come regolarsi e che non vi fa mai fare brutta figura di fronte agli estranei. - Sí; ma è capacissima di farci fare una figura pessima dinanzi al Babbo e alle ragazze stasera quando arriviamo a casa - replicò Stuart abbattuto. - Sono sicuro, Brent, che in questo modo non riusciremo ad andare in Europa. Sai che la Mamma ha detto che se ci facevamo espellere da un altro collegio non avremmo fatto il nostro viaggio. - Beh! E che ce n'importa? Che c'è da vedere in Europa? Scommetto che quegli stranieri non hanno da mostrarci nulla che noi non abbiamo già in Georgia. I loro cavalli non sono piú veloci dei nostri né le loro ragazze piú graziose; e sono sicuro che il loro wisky di segala non può stare a paragone di quello del Babbo. - Ashley Wilkes ha detto che hanno un'infinità di teatri e di musica. Ad Ashley l'Europa piace molto. Non fa che parlarne. - Oh, sai bene come sono i Wilkes. Smaniosi di libri, di teatri, di musica. Mammà dice che è perché il loro nonno veniva dalla Virginia, e i Virginiani attribuiscono un grande valore a queste cose. - Beh, facciano pure. Quanto a me, con un buon cavallo e un buon liquore e una brava ragazza da corteggiare e un'altra... non brava con la quale divertirmi, sto benone qui come in Europa! Che ce n'importa di non fare il viaggio? Figúrati, se fossimo in Europa adesso e scoppiasse la guerra? Non avremmo altro pensiero che di tornare a casa al piú presto. Preferisco infinitamente andare alla guerra che in Europa. - Anch'io, il giorno in cui... Oh, senti! Ho pensato dove possiamo andare a cena. Attraversiamo la palude e andiamo a dire ad Abele Winder che siamo tornati tutti e quattro e siamo pronti per le esercitazioni militari. - Ottima idea! - esclamò Brent con entusiasmo. - Sapremo cosí tutte le notizie dello squadrone, e che colore hanno scelto finalmente per le uniformi. - Se sono uniformi da zuavo, mi faccio impiccare piuttosto che andare a fare il soldato! Con quei calzoni larghi, rossi, mi sembrerebbe di essere una donnetta. Somigliano alle mutande da donna di flanella rossa. - Badroni avere intenzione di andare da Mist' Wynder? - chiese Jeems. - Perché se avere quest'idea, gredo che non trovare molto da mangiare. Loro guoco morto e non avere angora gombrato altro. Fare gucinare da una donna, e un negro avere detto che essere peggiore guoca di tutta regione. - Dio benedetto! E perché non lo hanno comprato? - Gosa volere che può gombrare bovero bianco straccione? Non avere mai avuto molti negri e non di buona razza. Nella voce di Jeemes era uno schietto disprezzo. Egli era sicuro della propria condizione sociale, perché i Tarleton possedevano cento negri, e - come tutti gli schiavi delle grandi piantagioni - guardava dall'alto in basso i piccoli coltivatori che possedevano pochi schiavi. - Bada che ti levo la pelle! - gridò Stuart irritato. - Non ti permetto di chiamare Abele Wynder un «bianco straccione». Sarà povero, ma non straccione. E nessuno dei miei uomini, nero o bianco che sia, deve arrischiarsi a parlar male. Non vi è uomo migliore nella Contea; altrimenti perché lo squadrone lo avrebbe eletto luogotenente? - Non avere mai dubitato, badrone - riprese Jeems senza scomporsi per la sfuriata del suo padrone. - Ma io bensare che loro fare meglio scegliere ufficiali fra giovani ricchi invece che fra miserabili della palude. - Non è un miserabile! Vorresti forse paragonarlo ai bianchi veramente poveri, come gli Slattery? Soltanto, non è ricco. È un piccolo coltivatore, non un piantatore in grande; e se i ragazzi hanno avuto tanta stima di lui da eleggerlo luogotenente, nessun negro può arrischiarsi a parlarne impudentemente. Lo squadrone sa quello che fa. Lo squadrone di cavalleria era stato organizzato tre mesi prima, lo stesso giorno in cui la Georgia si era separata dall'Unione; da allora, però, le reclute non avevano piú molta speranza che si facesse la guerra. Il reparto non aveva ancora un nome, benché non mancassero i suggerimenti: ciascuno aveva un'idea in proposito e non aveva voglia di rinunciarvi; come ciascuno aveva anche un'idea intorno al colore e alla foggia delle uniformi. «I gatti selvaggi di Clayton» - «I mangiatori di fuoco» - «Zuavi» - «Fucilieri dell'Interno» (benché lo squadrone dovesse essere armato di pistole, sciabole, pugnali e non di fucili) «Gli sterminatori» - «Rapidi e violenti» - tutti avevano i loro aderenti. Ma finché non si prendeva una decisione, tutti parlavano dell'organizzazione come dello squadrone e malgrado il nome sonoro finalmente adottato, esso fu conosciuto sino alla fine come «Lo Squadrone». Gli ufficiali erano eletti dai membri, perché nessuno nella Contea aveva esperienza militare, ad eccezione di pochi veterani delle guerre col Messico e coi Seminoli; d'altronde, lo Squadrone avrebbe disprezzato un veterano come capo, se non lo avesse personalmente amato e stimato. Tutti quanti avevano simpatia per i quattro ragazzi Tarleton e per i tre Fontaine, ma purtroppo non li avevano potuti eleggere, perché i Tarleton erano troppo vivaci e amavano far delle mattane e i Fontaine avevano un carattere troppo impetuoso e attaccabrighe. Ashley Wilkes era stato eletto capitano perché era il miglior cavallerizzo della Contea e perché si faceva assegnamento sulla sua calma per mantenere un poco d'ordine; Raiford Calvert era stato fatto primo luogotenente perché tutti gli volevano bene, e Abele Wynder, figlio di un cacciatore delle paludi e piccolo coltivatore per conto suo, era stato nominato secondo luogotenente. Abele era un gigante, grave, furbo, illetterato, pieno di cuore, maggiore di età degli altri ragazzi, ma altrettanto educato, e anche di piú, in presenza delle signore. Vi era poco snobismo nello Squadrone. Troppi, fra i padri e i nonni dei componenti, erano arrivati alla loro attuale situazione cominciando con l'essere dei piccoli coltivatori. Inoltre, Abele era il piú bravo tiratore dello Squadrone, un vero puntatore che colpiva la testa di uno scoiattolo a settanta metri; ed era pratico di vita all'aperto, capace di accendere il fuoco sotto la pioggia, di scoprire sorgenti, di catturare animali. Lo Squadrone si inchinava dinanzi al merito; e siccome avevano anche simpatia per lui, lo nominarono ufficiale. Egli accettò l'onore gravemente senza eccessiva ritrosia, come se gli fosse dovuto. Ma le mogli e gli schiavi dei piantatori non potevano lasciar passare il fatto che egli non era nato gentiluomo, benché i loro signori e padroni lo trascurassero. Da principio, lo Squadrone era stato reclutato soltanto tra i figli dei piantatori: una truppa di signori, ciascuno dei quali provvedeva il proprio cavallo, l'equipaggiamento, l'uniforme e l'attendente. Ma i ricchi piantatori non erano numerosi nel giovine paese di Clayton; e per mettere assieme uno squadrone degno di tal nome si era dovuto estendere il reclutamento anche ai figli dei piccoli coltivatori, ai cacciatori della foresta, a quelli che tendevano i lacciuoli nelle paludi, e, in pochissimi casi, anche ai bianchi poveri, se erano al disopra della media della loro classe. Questi ultimi giovinotti erano ansiosi di combattere contro gli inglesi - il giorno in cui scoppiasse la guerra - non meno dei loro ricchi vicini; ma vi era la delicata questione del denaro. Ben pochi fra i piccoli coltivatori possedevano cavalli. Per i lavori della loro proprietà si servivano di muli; e anche di questi, non ne avevano d'avanzo: raramente piú di quattro. Non si poteva privarsene per mandarli in guerra, anche se lo Squadrone li avesse accettati, ciò che non avvenne. Quanto ai rifiuti bianchi della palude, questi stimavano di essere già in condizione abbastanza buona quando possedevano una mula. I cacciatori della foresta e quelli della palude non avevano né cavalli né muli. Essi vivevano esclusivamente dei prodotti della loro terra e di caccia, commerciavano generalmente col sistema degli scambi e vedevano raramente cinque dollari in un anno; quindi cavalli e uniformi erano per loro irraggiungibili. Ma erano tanto orgogliosi nella loro povertà quanto i piantatori nella loro ricchezza; e non avrebbero accettato nulla, da quelli, che potesse apparire un'elemosina. Cosí, per salvaguardare i sentimenti di tutti e per dare allo Squadrone tutta la necessaria efficienza, il padre di Rossella, John Wilkes, Buck Monroe, Giacomo Tarleton, Ugo Calvert, tutti, insomma, i grandi piantatori della Contea con l'unica eccezione di Angus MacIntosh, si erano quotati per equipaggiare completamente lo Squadrone: uomini e cavalli. L'essenza dell'affare fu che ogni piantatore convenne di pagare l'equipaggiamento dei propri figli e di un certo numero di altri; ma la cosa fu trattata in modo che i membri meno ricchi potettero accettare cavalli ed uniformi senza offesa per il loro onore. Lo Squadrone si riuniva due volte la settimana a Jonesboro per fare le esercitazioni e pregare che la guerra cominciasse. Non erano ancora state completate le disposizioni per procurare tutti i cavalli occorrenti, ma quelli che avevano già i cavalli compivano ciò che immaginavano fossero manovre di cavalleria, dietro al Tribunale, sollevando un'enorme quantità di polvere, emettendo grida rauche e agitando le sciabole della Guerra Rivoluzionaria che erano state staccate dalle pareti del salone. Quelli che non avevano ancora il cavallo sedevano sull'orlo del marciapiedi dinanzi alla bottega di Bullard, e osservavano i loro camerati, masticando tabacco e raccontando delle storie. Oppure facevano delle gare di tiro. Non occorreva insegnare a nessuno a tirare a segno. La maggior parte dei meridionali era nata col fucile in mano; e la vita del cacciatore aveva fatto di tutti loro dei tiratori scelti. Dalle case dei piantatori e dalle capanne fra le paludi venne fuori una quantità di armi da fuoco svariate. Lunghi fucili da caccia che datavano dall'epoca della prima traversata degli Alleghany, vecchi tromboni ad avancarica, pistole da cavallo che erano servite nel 1812, pistole da duello con l'impugnatura ageminata d'argento, pistole a canna corta, moschetti a doppia canna e carabine inglesi di nuovo modello, col calcio di legno prezioso. Le esercitazioni terminavano sempre nei saloni di Jonesboro e al cader della notte erano già scoppiate tante risse, che gli ufficiali avevano il loro da fare per evitare ferimenti prima che questi fossero inflitti dagli inglesi. Era stato durante uno di questi tafferugli che Stuart Tarleton aveva ferito Cade Calvert e Tony Fontaine aveva ferito Brent. I gemelli erano appena tornati a casa, espulsi dall'Università di Virginia; lo Squadrone era stato organizzato in quei giorni ed essi avevano aderito con entusiasmo; ma dopo la rissa, avvenuta due mesi prima, la madre li aveva impacchettati e spediti all'Università statale, con l'ordine di non muoversi. Durante la loro assenza, essi avevano penosamente sentito la mancanza dell'eccitazione data dagli esercizi militari; ritenevano che la loro educazione fosse incompleta se non potevano cavalcare, gridare e sparar fucilate in compagnia dei loro amici. - Bene, allora andiamo da Abele - concluse Brent. - Attraversando il fiume degli O'Hara e il prato dei Fontaine, arriviamo in un momento. - Non drovare nulla di mangiare; solo garne di sariga e un po' di legumi - obbiettò, Jeems. - Tu non avrai un bel niente - sghignazzò Stuart. - Andrai a casa ad avvertire la Mamma che non torniamo a cena. - Oh no, no! - esclamò Jeems spaventato. - No, no! non piacere assaggiare scudiscio di miss Beatrice piú forte che con badroni! Brima di tutto lei arrabiarsi con me perché badroni nuovamente espulsi. E poi, perché io non avervi fatti tornare a casa stasera e lei potervi dare grossa lezione. E poi diventare furia come se tutto questo essere colpa mia e frustarmi forte. Se non volete portarmi da mist' Wynder, io restare nei boschi tutta la notte e forse guardie pattuglie prendere povero Jeems, ma io preferire guardie piuttosto che miss Beatrice quando essere infuriata. I gemelli guardarono con perplessità e indignazione il risoluto ragazzo negro. - Sarebbe capace davvero di farsi prendere dalle guardie, e questo darebbe argomento ai discorsi di Mammà per qualche settimana. Giuro che i negri sono un bel fastidio. A volte penso che gli abolizionisti abbiano ragione. - In fondo, non è giusto fare affrontare a Jeems quello che non vogliamo affrontare noi. Lo porteremo con noi. Ma guarda, negraccio impudente, che se ti sogni di darti delle arie coi negri di Wynder e di raccontar loro che da noi si mangia pollo e prosciutto mentre loro non hanno che coniglio e sariga, ti... lo dirò alla Mamma. E non ti faremo neanche venire alla guerra con noi. - Arie? Io darmi arie con quei miserabili? No, badrone; io avere educazione! E miss Beatrice avermi insegnato modo di gomportarmi come avere insegnato a tutti voi. - Non ha avuto un gran risultato con nessuno dei tre - rise Stuart. - Via, andiamo. Diede la voce al suo cavallo rossiccio e spronandolo leggermente gli fece saltare con facilità lo steccato divisorio della proprietà di Geraldo O'Hara, e si trovò nel soffice campo. Il cavallo di Brent lo seguí e dopo di lui quello di Jeems, col negro afferrato alla criniera e al pomo della sella. A Jeems non piaceva saltare gli ostacoli; ma ne aveva saltato anche dei piú alti per seguire i suoi padroni. Mentre si avviavano attraverso i solchi purpurei e scendevano la collina verso il fiume nel crepuscolo che diventava sempre piú cupo, Brent gridò a suo fratello: - Senti un po', Stu! Non ti pare che Rossella avrebbe dovuto invitarci a cena? - Infatti credevo che lo facesse - gridò a sua volta Stuart. - Ma perché...

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Forse abbiamo avuto torto nel credere che quel mascalzone non avesse fatto il soldato. Forse avremmo dovuto prestar fede a Rossella e a Melania quando ci hanno detto che si era arruolato il giorno in cui la città è caduta. Ma è ugualmente un rinnegato e un furfante e malgrado tutto, continua a non piacermi! - Però - mormorò la signora Elsing un po' incerta - non credo che sia tanto cattivo. Un uomo che ha combattuto per la Confederazione deve pure avere qualche qualità. È Rossella che è cattiva. Veramente, Dolly, io credo che... sicuro, che si vergogni di sua moglie; ma è troppo gentiluomo per ammetterlo. - Vergognarsi! Bah! Sono tutti e due dello stesso stampo. Come fai a dire una tale sciocchezza? - Non è una sciocchezza - ribatté la signora Elsing indignata. - Ieri, con quella pioggia dirotta, era fuori in carrozza con tutti e tre i bambini; anche con la piccola; e andava su e giú per la Via dell'Albero di Pesco. Mi accompagnò a casa. Gli dissi: «Ma che idea, capitano Butler, di tener fuori i bambini con questo tempo? Perché non li riportate a casa?» Non rispose ma rimase imbarazzato. E allora Mammy interloquí: «Casa essere piena di straccioni bianchi e bambini respirano miglio sotto la pioggia che in casa!» - E lui? - Che poteva dire? Lanciò un'occhiata di rimprovero a Mammy e cambiò discorso. Sai che Rossella aveva ieri un grande ricevimento a cui debbono essere intervenute tutte quelle donnacce... Scommetto che egli non ha voluto che baciassero la sua bambina. - Mah! - mormorò la signora Merriwether, ancora ostinata. Ma la mattina seguente capitolò essa pure. Rhett aveva ora una scrivania in banca. Gli impiegati, stupiti, non sapevano davvero quali fossero le sue mansioni; ma egli era un azionista troppo importante perché qualcuno sognasse di protestare. Era tranquillo e bene educato; e si intendeva sufficientemente di faccende bancarie. Comunque, si trovava ogni giorno al suo posto e aveva tutta l'aria di lavorare; questo perché voleva potersi mettere su un piede di uguaglianza coi rispettabili suoi concittadini che lavoravano senza tregua. La signora Merriwether desiderando ingrandire la sua panetteria, aveva cercato di avere un prestito di duemila dollari dalla banca, dando garanzia sulla sua casa: l'affare era stato rifiutato perché sulla casa gravavano già due ipoteche. La grossa signora stava uscendo impetuosamente dall'edificio quando Rhett la fermò chiedendole il motivo della sua presenza colà. Avendolo appreso cercò di rassicurarla. - Dev'esservi un errore, signora Merriwether. Voi siete una persona alla quale non si richiedono garanzie. Io vi presterei qualunque somma, sulla parola! Che diamine, una donna che è riuscita a metter su un'industria come la vostra, merita ogni fiducia. La banca non cerca di meglio che prestare denaro a gente come voi. Sedete qui al mio tavolo; vado io a sbrigare la faccenda. Tornò sorridendo innocentemente e dicendo che, come aveva immaginato, vi era stato errore. I duemila dollari erano a sua disposizione. Quanto alla casa... voleva aver la bontà di firmare quella carta? La signora, furente di dovere accettare un favore da un uomo che le era antipatico e le ispirava diffidenza, stentò a ringraziarlo. Ma egli sembrò non accorgersene. La accompagnò alla porta; quivi giunto le disse: - Signora Merriwether, io ho sempre avuto grande considerazione per le vostre cognizioni su molte cose... Potrei chiedervi un piccolo schiarimento? Le piume del cappellino si agitarono appena in segno di assenso. - Che cosa facevate quando Maribella era piccola e si succhiava il pollice? - Come? - La mia piccina si succhia il pollice. E non riesco a toglierle questo vizio. - Dovete impedirglielo. Altrimenti si rovinerà la forma della bocca. - Lo so, lo so! Ed ha una bocca tanto carina... Ma non so come fare. - Rossella dovrebbe saperlo - obiettò brevemente la signora Merriwether. - Ha avuto altri due bambini. Rhett guardò la punta delle sue scarpe e sospirò. - Ho cercato di metterle del sapone sotto le unghie - disse poi, non rilevando l'osservazione. - Sapone! È perfettamente inutile. Io mi servii del chinino e vi assicuro che Maribella non tardò a perdere il vizio di succhiarsi il pollice. - Del chinino! Non ne avrei mai avuto l'idea! Vi ringrazio infinitamente, signora, perché ero molto preoccupato. Le rivolse un sorriso cosí gentile e riconoscente che la signora Merriwether rimase un attimo incerta. Ma finí per sorridergli nel salutarlo. Non avrebbe mai riconosciuto, parlando con la sua amica Elsing, di essersi ingannata nel giudicare quell'uomo; ma nella sua onestà fu costretta ad ammettere che doveva esservi qualche cosa di buono in un uomo che amava tanto la sua creatura. Che peccato che Rossella non si interessasse di un angioletto come Diletta! Era commovente un uomo che cercava di allevare da solo la propria piccina! Rhett era ben sicuro di questa commozione; e se lo spettacolo del suo affetto paterno doveva offuscare alquanto la reputazione di Rossella, ciò lo lasciava indifferente. Quando la bimba cominciò a camminare, egli la portò sempre seco; in carrozza o sul davanti della sua sella. Al ritorno dalla banca, nel pomeriggio, la portava a passeggiare per Via dell'Albero di Pesco, dandole la mano, adattando il suo lungo passò alle brevi gambette, rispondendo con pazienza alle sue mille domande. Vi era sempre gente, al tramonto, sotto ai porticati e sugli spiazzi dinanzi alle case; e Diletta era cosí carina, con la sua massa di riccioli bruni e i grandi occhi azzurri, che pochi resistevano al desiderio di rivolgerle la parola. Rhett non cercava di prolungare le conversazioni, ma vi assisteva gonfio di orgoglio paterno, e felice dell'attenzione che tutti avevano per la sua piccina. Atlanta aveva buona memoria; inoltre era sospettosa e non mutava facilmente. Il sentimento generale era ostile verso chiunque avesse rapporti col governatore Bullock e con la sua gente. Ma Diletta riuniva in sé il fascino di Rossella e quello di Rhett; e rappresentava il piccolo cuneo che Rhett faceva penetrare entro il muro di freddezza degli abitanti della città.

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. - Abbiamo fatto molta strada da quel giorno tutti e due, non è vero, Rossella? Abbiamo percorso sentieri che non credevamo di dover percorrere. Voi siete arrivata in fretta, direttamente; io con lentezza e riluttanza. Sedette nuovamente sulla tavola e la guardò; sul suo volto apparve ancora una volta un piccolo sorriso. Ma non era il sorriso che l'aveva resa cosí felice pochi minuti prima: era un sorriso pallido e triste. - Sí, siete giunta rapidamente, trascinandomi dietro a voi. A volte mi chiedo che cosa sarebbe accaduto di me senza il vostro aiuto. Rossella si affrettò a difenderlo contro se stesso con tanta maggior vivacità in quanto le tornarono in mente le parole di Rhett su questo argomento. - Ma io non ho mai fatto nulla per voi, Ashley. Vi sareste messo a posto ugualmente senza di me. Un giorno o l'altro sareste diventato ricco, come certamente state per diventare. - No, Rossella: il germe della grandezza non è mai stato in me. Credo che se non ci foste stata voi, io sarei stato annientato, come la povera Catina Calvert, e tante altre persone che una volta avevano dei grandi nomi. - Non parlate cosí, Ashley. Mi sembrate triste. - No, non sono triste. Non piú. Una volta... una volta lo ero. Adesso sono soltanto... S'interruppe ed improvvisamente Rossella comprese ciò che egli stava pensando. Per la prima volta si rese conto di ciò che Ashley pensava quando i suoi occhi guardavano lontano, assenti, chiari come cristallo. Finché la passione le aveva colmato il cuore, lo spirito di lui le era rimasto precluso. Ora, nella tranquilla cordialità che era tra loro, Rossella cominciava a comprenderlo. Ashley non era piú triste. Era stato triste dopo la resa, triste quando ella lo aveva pregato di venire ad Atlanta. Adesso era soltanto rassegnato. - Non voglio sentirvi parlare cosí, Ashley - esclamò con veemenza. - Parlate come Rhett. Anche lui non fa che ripetere cose di questo genere, e parla di ciò che chiama la sopravvivenza... non so di che e m'infastidisce tanto che mi metterei a urlare. Ashley sorrise. - Avete mai pensato che Rhett ed io siamo fondamentalmente simili? - Oh, no! Voi siete fine, onesto, mentre lui... - s'interruppe confusa. - Eppure lo siamo. Proveniamo da gente della stessa razza, siamo stati educati alla stessa maniera, abituati allo stesso genere di pensieri. Ma, abbiamo preso vie diverse. Pensiamo ancora nello stesso modo, ma le nostre reazioni sono differenti. Per esempio, nessuno di noi credeva alla guerra, ma io mi arruolai per combattere ed egli ne rimase fuori quasi sino alla fine. Tutti e due sapevamo che la guerra era un errore. Tutti e due sapevamo che si sarebbe perduta. Ma io ho voluto combattere in questa lotta inutile, e lui no. A volte penso che aveva ragione lui; e allora... - Ma quando smetterete di guardare i due lati di ogni questione? - Il tono di Rossella non era impaziente come sarebbe stato in altri tempi. - Non si arriva mai a nulla in questo modo. - È vero, ma... dove volete arrivare? Me lo sono chiesto molte volte. Io, per conto mio, non ho mai desiderato di giungere in nessun luogo. Ho solo desiderato di essere me stesso. A che cosa voleva arrivare? Era una domanda stupida. Voleva denaro e sicurezza. Eppure... Il denaro lo aveva; e anche tanta sicurezza quanta era possibile averne in un mondo cosí incerto. Ma ora che ci pensava, questo non le bastava. Tutto ciò non l'aveva resa felice benché l'avesse liberata dall'angoscia dell'indomani. «Se avessi avuto questo, e te per soprappiú» pensò guardandolo «allora sarei giunta all'apice dei miei desideri.» Ma non parlò temendo di sciupare l'atmosfera che si era creata fra loro. - Desiderate soltanto essere voi stesso? -. rise compassionevole. - Invece io ho sempre cercato di non essere me stessa. E quanto a ciò che voglio raggiungere, credo di esservi arrivata. Volevo essere ricca e sicura e... - Ma non avete mai pensato, Rossella, che a me non importa affatto di essere ricco? No; non aveva mai pensato che qualcuno potesse non desiderare la ricchezza. - E allora, che cosa desiderate? - Ora non lo so. Una volta lo sapevo, ma l'ho quasi dimenticato. Piú di tutto desidero essere lasciato solo, non essere tormentato da gente che non mi piace, trascinato a fare cose che non vorrei fare. Forse... desidero il ritorno degli antichi tempi che non torneranno mai, e sono ossessionato dal loro ricordo e dal ricordo di un mondo finito, scomparso. Il tono della sua voce richiamò alla memoria di Rossella i bei giorni di Tara, facendole dolere il cuore. Ma dopo quell'epoca era venuto il giorno in cui ella si era coricata triste e desolata sul terreno delle Dodici Querce e si era detta: «Non voglio piú guardarmi indietro»; e si era drizzata contro il passato. - Preferisco i tempi attuali - disse. Ma non lo guardò. - Accade sempre qualche cosa di eccitante, oggi, di brillante, di divertente. Gli antichi tempi erano scialbi e uggiosi. - (Oh, giornate serene e pigre, calmi crepuscoli sulla campagna! Risate gioconde e acute che provenivano dal quartiere dei negri! Vita piena di calore, piena del conforto di sapere che cosa porterà l'indomani, come posso rinnegarti?) - Preferisco l'epoca attuale - ripeté; ma la sua voce era tremante. Egli scivolò dalla tavola, ridendo dolcemente, incredulo. Mettendole la mano sotto il mento, volse il viso di lei verso il suo. - Come mentite male, Rossella! Sí, la vita è brillante adesso... E questo è il male. Gli antichi tempi non erano eccitanti, ma in essi c'era un fascino, una bellezza, uno splendore lento e tranquillo. Rossella abbassò gli occhi. Il tono della voce di lui, il contatto della sua mano riaprivano dolcemente delle porte che ella aveva chiuse per sempre. Dietro a quelle porte era la bellezza degli antichi giorni; ed ella sentí nascere in sé una struggente nostalgia. Ma qualunque fosse quella bellezza, bisognava lasciarla dov'era. Non si poteva procedere nel proprio cammino portando seco un fardello di ricordi dolorosi. Egli abbassò la mano che le carezzava il mento, prese una mano di Rossella, la trattenne fra le sue. - Vi ricordate... - cominciò; e nello spirito di lei un campanello ammonitore suonò: «Non guardare indietro! Non guardare indietro!» Ma lo trascurò, sentendosi trascinare in un gorgo di felicità. Finalmente lo comprendeva, finalmente i loro spiriti si incontravano. Era un momento troppo prezioso per perderlo, qualunque fosse il dolore che poteva venire dopo. - Ricordate... - e sotto l'incanto della sua voce le pareti nude del piccolo ufficio scomparvero, gli anni tornarono indietro ed ella si trovò insieme con lui, cavalcando in un viale di campagna, in primavera. Egli parlava stringendole lievemente la mano, e nella sua voce era il fascino triste di vecchie canzoni a metà dimenticate. Udiva il gaio tintinnare dei finimenti mentre essi cavalcavano sotto agli alberi di corniolo nella proprietà dei Tarleton; udiva il proprio riso spensierato, vedeva il sole che faceva brillare i capelli chiari di lui, osservava la grazia altera con la quale egli stava in sella. Nella sua voce era la musica dei violini e dei banjos al cui suono essi avevano danzato nella casa bianca che non esisteva piú. Vi era il lontano squittire dei cani da caccia nella palude, sotto la luna fredda e pura delle notti d'autunno, e il profumo di zabaglione servito nelle grandi ciotole ornate di agrifoglio nelle sere di Natale, fra i sorrisi dei volti neri e bianchi. E vecchi amici tornavano in massa ridendo come se non fossero morti da tanti anni: Stuart e Brent con le loro lunghe gambe e i capelli rossi, scherzosi e rumorosi, Tom e Boyd impetuosi come puledri, Joe Fontaine coi suoi occhi neri e ardenti, e Cade e Raifort Calvert che si muovevano con languida grazia. Vi era anche John Wilkes; e Geraldo, rosso per la grappa bevuta; e un sussurro e una fragranza che era Elena. Su tutto questo era un senso di sicurezza, la certezza che domani porterebbe la stessa felicità goduta oggi. La voce di lui tacque; per un istante essi si fissarono negli occhi; e fra loro giacque la gioventú piena di sole che avevano spensieratamente condiviso e che ora non era piú. «Ora so perché non può esser felice» pensò Rossella con tristezza. «Non lo avevo mai compreso prima, come non avevo mai compreso perché neanch'io potevo essere felice. Ma... Dio mio, parliamo come parlano i vecchi!» disse fra sé con dolorosa sorpresa. «I vecchi guardano indietro. E noi non siamo vecchi. Ma sono accadute tante cose e tutto è cosí mutato che sembra siano passati cinquant'anni. Ma non siamo vecchi!» Guardò Ashley; ma egli non era piú giovine e brillante. La sua testa era curva ed egli guardava distrattamente la mano che teneva ancora fra le sue; Rossella vide che i suoi capelli erano grigi, di un grigio argenteo come il chiaro di luna su un'acqua tranquilla. La bellezza del pomeriggio d'aprile era scomparsa anche dal suo cuore e la triste dolcezza dei ricordi era amara come il fiele. «Non avrei dovuto acconsentire a guardare indietro» pensò disperata. «Avevo ragione nel dire che non volevo mai piú voltarmi verso il passato. Fa troppo male e scava nel cuore profondamente finché non si può piú fare altro che rimpiangere. Questo è il male per Ashley. Egli è incapace di guardare in avanti. Non vede il presente; ha timore dell'avvenire e perciò guarda il passato. Non lo avevo mai compreso. Oh Ashley, amor mio, non dovete guardare indietro! A che scopo? Non avrei dovuto lasciarmi tentare da voi a parlare degli antichi giorni. Ecco che cosa succede quando si ricorda l'antica felicità: si prova dolore, crepacuore, scontentezza.» Si alzò in piedi, lasciando ancora la mano in quella di lui. Doveva andare. Non poteva piú rimanere e pensare al tempo di una volta vedendo il suo volto stanco, triste e malinconico. - Abbiamo percorso molta strada da quel tempo, Ashley - disse cercando di parlare con voce ferma. - Avevamo delle belle idee allora, eh? - E poi, con impeto: - Oh Ashley, nulla è accaduto secondo i nostri desideri! - È sempre cosí. La vita non è obbligata a darci quello che desideriamo. Dobbiamo prendere quello che ci càpita e ringraziare che non sia peggio. Ella si sentí improvvisamente il cuore pieno di stanchezza e di pena al pensiero della lunga strada percorsa. Rivide la graziosa Rossella O'Hara che amava i corteggiatori e i bei vestiti e che aveva l'intenzione di diventare, un giorno, quando ne avesse tempo, una gran dama come Elena. Improvvisamente, gli occhi le si riempirono di lagrime che le scorsero lentamente giú per le guance, mentre ella lo guardava muta, come una bimba stupita e addolorata. Egli non disse nulla, ma la prese dolcemente fra le braccia, le fece posare il capo sulla sua spalla e premette la sua guancia contro quella di lei. Ella si abbandonò e gli circondò il corpo con le braccia. La dolcezza di quella stretta le fece asciugare le lagrime. Com'era bello abbandonarsi senza passione, senz'ansia, come nelle braccia di un amico diletto. Solo Ashley che condivideva i suoi ricordi e la sua giovinezza, che conosceva il suo passato e il suo presente, poteva comprenderlo. Udí rumore di passi fuori, ma non vi badò, credendo che fossero i carrettieri che andavano a casa. Rimase un istante ad ascoltare il lento battito del cuore di Ashley. Improvvisamente egli si sciolse da lei ed ella fu sorpresa dalla sua violenza. Alzò gli occhi stupita, ma egli non la guardava; al disopra della sua spalla, Ashley fissava la porta. Si volse: sulla soglia erano Lydia, pallida, coi suoi chiari occhi fiammeggianti, e Baldo, malevolo come un pappagallo guercio. Dietro a loro era la signora Elsing.

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Abbiamo affrontato il mondo insieme, come tre soldati, per tanti anni che il solo pensiero di un pettegolezzo fra noi mi farebbe vergogna. Credi che io possa supporre che tu e il mio Ashley... Che idea! Non sai che io ti conosco meglio di quanto ti conosca chiunque al mondo? Pensi che io abbia dimenticato il tuo meraviglioso altruismo verso Ashley, verso Beau, verso me stessa... tutto ciò che hai fatto per salvarci e impedirci di morir di fame! Che io abbia dimenticato quando seguivi nei solchi il cavallo yankee, quasi scalza, con le mani piene di vesciche, perché il bimbo e io avessimo qualche cosa da mangiare... e potrei oggi credere simili orrende cose sul tuo conto? Non voglio udire una parola da te, Rossella O'Hara. Non una parola! - Ma... - cincischiò Rossella; e si interruppe. Rhett aveva lasciato la città un'ora prima con Diletta e Prissy; e alla vergogna e all'ira di Rossella si era aggiunta la desolazione. La sua coscienza, già gravata dal peso della sua colpa con Ashley, non poteva sopportare anche il peso della difesa di Melania. Se questa avesse creduto a Lydia e a Baldo, non le avesse rivolto la parola al ricevimento e l'avesse salutata freddamente, ella avrebbe tenuto la fronte alta e avrebbe combattuto con tutte le sue armi. Ma il ricordo di questa donna che si era posta fra lei e la sua rovina sociale come una lama sottile e lucente, con una fiamma di fede e di battaglia negli occhi, la turbava talmente che le sembrava doveroso confessare. Sí, rivelare tutto, dal principio, da quella chiara giornata di sole, sotto il porticato di Tara. La voce della sua coscienza - una coscienza cattolica - benché soffocata per lunghi anni, si ridestava. «Confessa i tuoi peccati e fanne penitenza nel dolore e nella contrizione» le aveva detto Elena centinaia di volte; e in questa crisi, l'educazione religiosa impartitale da sua madre si faceva viva nuovamente in lei. Confesserebbe tutto, sí; ogni parola ed ogni sguardo, e le poche carezze; e allora Dio allevierebbe il suo tormento e le darebbe la spaventosa visione del volto di Melania che muta la sua espressione di affetto e di fiducia in quella di orrore e di repulsione. Oh, era una penitenza troppo atroce dover ricordare per tutta la vita il volto di Melania, sapere che Melania conosceva tutta la sua infamia, tutta la slealtà e l'ipocrisia che era in lei! Una volta, il pensiero di gettare sarcasticamente in faccia a Melania la verità e di vedere il crollo del suo stupido paradiso, l'aveva eccitata, le era sembrato un gesto per il quale valesse la pena di perdere poi anche tutto quanto. Ma ora tutto era mutato; e non vi era nulla che ella desiderasse meno di questo. Non sapeva il perché: in lei era un conflitto di pensieri troppo confusi perché potesse sceverarli. Sapeva soltanto che come un tempo aveva desiderato che sua madre la credesse buona, modesta e pura di cuore, cosí oggi desiderava appassionatamente di conservare la stima di Melania. Non le importava ciò che pensava di lei il mondo, né ciò che pensavano Ashley o Rhett; ma Melania non doveva mutare l'opinione che aveva sempre avuta sul suo conto. Paventava di dire la verità; ma uno dei suoi rari istinti onesti si era destato e non le permetteva di mascherarsi ancora dinanzi alla donna che aveva lottato per lei e l'aveva difesa. Perciò si era affrettata ad accorrere a casa di Melania quella mattina, non appena Rhett e Diletta erano partiti. Ma alle prime parole balbettate da lei: «Melania, debbo spiegarti la storia dell'altro giorno...» Melania l'aveva imperiosamente interrotta. Rossella guardando piena di confusione quegli occhi neri fiammeggianti di amore e di collera, aveva compreso - sentendosi cadere il cuore - che la pace e la calma che seguono la confessione non potevano esserle riserbate. Melania aveva impedito che ella seguisse la linea di condotta che si era tracciata; e Rossella, con una delle poche vere emozioni profonde che avesse mai provato, comprese che il togliersi dal cuore torturato il peso che l'opprimeva sarebbe stato un gesto di schietto egoismo. Si sarebbe scaricata del suo fardello deponendolo nel cuore di una persona innocente e fiduciosa. Il debito di gratitudine verso Melania per la sua coraggiosa difesa non poteva essere pagato che col silenzio. Che crudeltà sarebbe rovinarle la vita con la rivelazione che suo marito le era infedele e che complice di quest'infedeltà era la sua amica piú cara! «Non posso dirglielo» pensò desolata. «Non potrò mai; neanche che se la mia coscienza mi uccidesse.» Ricordò l'osservazione fattale da Rhett ubriaco: «Ella non può concepire la disonestà nelle persone che ama... Questa sarà la tua croce». Sí, sarebbe la sua croce, fino al giorno della morte; conservare silenziosamente questo tormento, portare il cilicio dell'onta, sentirsi pungere da esso ad ogni sguardo e ad ogni parola affettuosa di Melania, dominare continuamente l'impulso di gridarle: - Non essere cosí buona! Non mi difendere! Non lo merito! «Se non fosse cosí dolce, fiduciosa, semplice, sciocchina non sarebbe tanto difficile» pensò disperata. «Ho sopportato tanti pesanti fardelli; ma questo sarà il piú pesante e il piú doloroso di tutti!» Dinanzi a lei, Melania era seduta su una poltroncina bassa, coi piedi posati su un'ottomana molto piú alta; atteggiamento che non avrebbe mai preso se non fosse stata cosí adirata da dimenticare perfino le convenienze. Aveva in mano un lavoro a maglia e spingeva i ferri lucenti con tanta furia come se fossero stati sciabole in un duello immaginario. Se Rossella fosse stata in preda a una simile collera, avrebbe pestato i piedi a terra, avrebbe strepitato come Geraldo ai suoi bei tempi, chiamando Dio a testimone della perfidia del genere umano e pronunciando sanguinose minacce di rappresaglia. Ma in Melania solo il ferro lucente e le delicate sopracciglia aggrottate rivelavano che essa bolliva internamente. La sua voce era fredda, e le parole piú taglienti del solito. Parole piene di forza, che le erano assolutamente nuove, perché Melania raramente esprimeva un'opinione propria e non pronunciava mai una frase sgarbata. Rossella si rese conto in quell'istante che i Wilkes e gli Hamilton erano capaci di collere che uguagliavano e superavano quelle degli O'Hara. - Ero stufa di sentire la gente che ti criticava, tesoro - stava dicendo Melania; - ma questa è l'ultima goccia che fa traboccare il bicchiere; e ti assicuro che provvederò io. Tutto ciò accade perché tutti sono gelosi di te, della tua abilità e dei tuoi successi. Sei riuscita dove molti uomini avrebbero fatto fiasco. Non ti irritare, cara, se dico questo. Non intendo menomare la tua femminilità, come molti hanno fatto. Non è vero. La gente non ti comprende; e poi la maggioranza non tollera che una donna sia intelligente. Ma tutto ciò non dà al pubblico il diritto di dire che tu e Ashley... Caspiterina! La lieve veemenza di quest'esclamazione assumeva, sulle sue labbra un valore specialissimo. Rossella la fissò spaventata da quell'esplosione senza precedenti. - Quanto a quelli che vengono a raccontarmi le menzogne che hanno macchinate... Baldo, Lydia, la signora Elsing! Come hanno osato...? Veramente, la signora Elsing non è venuta qui. Ma ti ha sempre odiata, cara, perché tu eri piú corteggiata di Fanny. E fu irritatissima quando tu togliesti a Ugo la direzione della segheria. Ma tu facesti benissimo, perché Ugo è un buon-a-nulla! - E cosí, in due parole, Melania liquidava il compagno della sua infanzia e il corteggiatore della sua adolescenza. - Per quanto concerne Baldo, il torto è mio. Non avrei dovuto ricoverare quel vecchio furfante. Me lo avevano detto tutti, ma non ho voluto dar retta. Egli non aveva simpatia per te, a causa di quella storia dei galeotti; ma chi è costui per permettersi di criticarti? Un assassino; e per di piú, l'assassino di una donna. E dopo tutto quello che ho fatto per lui, mi viene a dire... Ti assicuro che se Ashley lo avesse ucciso, non mi sarebbe dispiaciuto affatto! Ma l'ho messo alla porta; e so che ha lasciato la città. E quell'ignobile Lydia! Fin dalla prima volta che vi vidi insieme, tesoro, mi accorsi che era gelosa di te e ti detestava perché eri molto piú bella e avevi tanti adoratori. Ti detestava specialmente a causa di Stuart Tarleton. E ha talmente pensato al povero Stuart che... mi dispiace dirlo, trattandosi della sorella di Ashley, ma temo che abbia proprio perso il cervello! Non vi è altra spiegazione possibile per il suo modo d'agire... Le ho detto che non rimetta piú piede in questa casa; e se vengo a sapere che osa diffondere le sue infami calunnie, le darò della bugiarda in pubblica! Melania si interruppe. Improvvisamente la collera che le accendeva il volto fu sostituita da un'espressione di dolore. L'appassionato sentimento di famiglia proprio ai georgiani le faceva considerare con vero strazio una lite nel parentado. Ebbe un attimo di esitazione. Ma Rossella era piú cara; Rossella aveva il primo posto nel suo cuore, sicché ella continuò coraggiosamente. - Era perché io ti volevo piú bene, mia diletta. Ma non verrà mai piú qui ed io non entrerò mai in una casa dove lei sia ricevuta. Ashley è d'accordo con me; ma è addoloratissimo che sua sorella abbia potuto inventare una simile... Udendo il nome di Ashley, i nervi sovreccitati di Rossella cedettero, ed ella scoppiò in pianto. Possibile che ella dovesse sempre infliggergli delle pugnalate? Non aveva avuto altro pensiero che di renderlo felice; eppure lo feriva continuamente. Aveva distrutto la sua vita, il suo orgoglio e la sua dignità, frantumato quella pace interiore, quella calma basata sull'integrità e sull'onestà... Ed ora l'aveva allontanato dalla sorella che egli amava teneramente. Per salvare la propria reputazione e la felicità di sua moglie, egli aveva dovuto sacrificare Lydia, lasciare che questa apparisse una zitellona calunniatrice, quasi folle di gelosia... Lydia che era assolutamente giustificata nei sospetti che aveva sempre nutrito, e nelle parole che aveva pronunciate. Guardando negli occhi sua sorella, Ashley vi avrebbe veduto ognora la verità e il rimprovero, insieme al freddo disprezzo nel quale i Wilkes erano maestri. Sapendo che Ashley valutava l'onore piú della vita, Rossella non dubitava che egli dovesse soffrire mille morti. Anche lui era costretto a ripararsi dietro le gonnelle di Melania. Benché Rossella riconoscesse la necessità di questo e sapesse che la maggior colpa della falsa posizione di lui era sua, pure... Con logica tutta femminile, avrebbe trovato Ashley piú degno di rispetto se avesse ucciso Baldo e confessato tutto a Melania e al mondo intero. Sapeva di essere ingiusta, ma era troppo infelice per fermarsi a considerare i particolari. Qualcuna delle parole sprezzanti di Rhett le ritornò in mente; ed ella si chiese se Ashley aveva rappresentato, in quella circostanza, la parte di un vero uomo. E per la prima volta, l'aureola che lo aveva circondato da quando ella si era innamorata di lui, cominciò a oscurarsi impercettibilmente. Cercò di scacciare questo pensiero, ma non riuscí che a piangere piú forte. - No, no! - esclamò Melania lasciando cadere il suo lavoro; e gettandosi verso Rossella, l'abbracciò facendole posare il capo sulla propria spalla. - Non avrei dovuto parlare di tutto questo e darti tanto dolore. Ma non ne parleremo mai più! No; né fra noi né con nessuno. Come se non fosse mai accaduto nulla. Ma - soggiunse con tranquilla malignità - farò vedere a Lydia e alla signora Elsing chi sono io. Non debbono credere lecito spargere impunemente delle calunnie sul conto di mio marito e di mia cognata. Le metterò in condizione che non potranno piú guardare in faccia nessuno ad Atlanta! E chiunque le riceverà o crederà alle loro chiacchiere sarà mio nemico. E Rossella, guardando dolorosamente verso la lunga serie di anni futuri, comprese che per causa sua si era scavato un abisso che avrebbe diviso la città e la famiglia per intere generazioni.

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Quando è venuto, siamo state piacevolmente sorprese, e abbiamo pensato che non bisogna mai dar retta alle chiacchiere, dando prova di poco spirito cristiano. È un uomo simpaticissimo. Ed è anche bello; e molto serio e cortese. E vuol tanto bene a te e alla piccina. «Debbo ora dirti, mia cara, una cosa che è giunta al nostro orecchio; una cosa che Eulalia ed io ci rifiutavamo a credere. Avevamo sentito dire che tu qualche volta ti occupavi della bottega che ti ha lasciata il signor Kennedy. Nei primi terribili tempi del dopoguerra, forse ciò era necessario, date le condizioni in cui tutti ci trovavamo. Ma ora non vi è piú alcun bisogno che tu faccia nulla di simile, visto che il capitano Butler è in ottime condizioni finanziarie e per di piú è capacissimo di dirigere ottimamente anche i tuoi affari. Per sapere la verità abbiamo dovuto interrogare tuo marito. Egli ci ha risposto con riluttanza che tu passi le tue mattinate al negozio e non permetti a nessuno di tenere la contabilità. Ha anche ammesso che tu hai non so che interesse in uno stabilimento - o piú d'uno - che richiedeva la tua presenza; e che tu ti rechi in quel luogo sola o accompagnata da un individuo che il capitano assicura essere un assassino. Abbiamo capito che questo lo addolorava; e abbiamo pensato che è un marito indulgente; troppo indulgente. È una cosa che deve finire, Rossella. Tua madre non è qui per ordinartelo, e debbo farlo io in sua vece. Pensa ai tuoi bambini quando saranno grandi e sapranno che tu hai fatto la commerciante! Che mortificazione per loro sapere che sei stata esposta agli insulti di uomini rozzi e ai pericoli di pettegolezzi da parte del personale degli stabilimenti! Un'occupazione cosí poco femminile...» Rossella gettò la lettera senza finire di leggerla, con un'imprecazione. Le pareva di vedere le sue zie erette a giudici del suo operato nella loro casetta alla Batteria, dove sarebbero morte di fame se ella non avesse mandato loro mensilmente qualche cosa. Poco femminile? Perdio, se lei non fosse stata cosí, probabilmente le care zie non avrebbero un tetto per ricoverarsi, in quel momento! E quel mascalzone di Rhett che era andato a raccontare del negozio e degli stabilimenti! Con riluttanza? Certo era stato ben felice di rappresentare dinanzi alle vecchie signore la parte del bravo marito e padre, serio e cortese. Come doveva essersi divertito! Era un vero demonio. Perché quelle cattiverie gli davano tanto piacere? Ma poco dopo la sua ira era passata dando luogo all'apatia. La vita aveva perduto molto del suo sapore in quegli ultimi tempi... Se almeno potesse ritrovare l'ardore e l'emozione che le dava Ashley... se Rhett tornasse a casa e la facesse nuovamente ridere!

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Abbiamo deciso che faceva piú male che bene, perché teneva gli yankees in stato di continua eccitazione e forniva troppo grano al mulino di sua eccellenza il governatore Bullock. Egli sa che rimarrà al potere soltanto finché il Governo federale e i giornali yankee saranno persuasi che la Georgia è in continua rivolta e che dietro a ogni cespuglio si nasconde un membro del Klan. Per conservare il potere, egli fabbrica una quantità di storie: yankees sospesi per i piedi, negri linciati e simili. Tutta roba inesistente. Ti ringrazio per la tua apprensione; ma non esiste piú un Klan attivo, press'a poco da quando io ho cessato di essere un rinnegato per diventare un umile democratico. Quasi tutte le parole concernenti il governatore Bullock le entrarono in un orecchio e uscirono dall'altro; la sua mente concepiva in quel momento soltanto la gioia di apprendere che il Klan non esisteva piú. Rhett non sarebbe ucciso com'era stato ucciso Franco; ella non perderebbe il negozio né il denaro. Ma una parola della sua conversazione le rimase fissa nel cervello. Egli aveva detto "noi", associandosi naturalmente a coloro che una volta chiamava "La Vecchia Guardia". - Rhett - gli chiese a un tratto - hai avuto parte, tu, nello scioglimento del Klan? Le lanciò una lunga occhiata e nei suoi occhi apparve la piccola luce maliziosa. - Sí, amor mio. Ashley Wilkes ed io ne siamo i principali responsabili. - Ashley... e te? - Sicuro. La politica crea delle strane amicizie. Né Ashley né io abbiamo una grande simpatia reciproca; ma... Ashley non ha mai avuto fiducia negli effetti del Klan, perché è contrario ad ogni specie di violenza. Ed io ho sempre ritenuto che fosse una grossa sciocchezza e che in quel modo non si sarebbe mai ottenuto ciò che desideriamo. Abbiamo quindi convinto le teste calde che il lavoro e l'attesa ci avrebbero condotti piú avanti che le camicie da notte e le spedizioni. - E quei giovanotti accettano i consigli di uno che... - ... che era uno speculatore e un rinnegato? Un amico degli yankees? Dimentichi, signora Butler, che ora sono un ottimo democratico, devoto fino all'ultima goccia del mio sangue al riscatto del nostro paese dagli usurpatori! Il mio consiglio era buono ed è stato accettato. Ed anche in altri argomenti politici il mio consiglio è gradito. Non abbiamo oggi una maggioranza democratica al Parlamento? E presto, amor mio, vedremo qualcuno dei nostri cari amici repubblicani dietro le sbarre. Sono diventati oltremodo rapaci, e lo fanno troppo apertamente. - E tu aiuterai a farli mettere in prigione? Ed erano tuoi amici! Ti hanno fatto entrare nell'amministrazione delle ferrovie dove hai guadagnato migliaia di dollari! Rhett sogghignò improvvisamente; era il suo vecchio sogghigno beffardo. - Oh, non voglio loro alcun male. Ma ora sono dall'altra parte, e se posso aiutare a metterli dove meritano di stare, lo farò. E come ridonderà a mio credito una cosa simile! Conosco abbastanza i particolari di alcuni dei loro affari; e quando il Parlamento comincerà a scavare... Cosa che farà ben presto; e metterà sotto inchiesta anche il governatore, cercando di cacciare in prigione anche lui, se sarà possibile. Farai bene a dire ai tuoi cari amici Gelert e Hundon di prepararsi a lasciare la città da un momento all'altro; perché se agguantano il governatore, agguanteranno anche loro. Per troppi anni Rossella aveva visto i repubblicani - sostenuti dall'esercito yankee - dominare la Georgia per poter credere alle parole di Rhett dette con tanta leggerezza. Il governatore era troppo ben trincerato perché qualunque Parlamento potesse fargli del male; meno che mai imprigionarlo. - Come corri! - osservò. - Se non lo mettono dentro, per lo meno non lo rieleggeranno. La prossima volta avremo un governatore democratico, per cambiare. - E magari sarà un po' merito tuo? - chiese Rossella sarcastica. - Senza dubbio, tesoro. Me ne sto già occupando. Perciò rincaso cosí tardi la sera. Sto lavorando come non ho lavorato mai, per organizzare le elezioni. E... so che questo ti dispiacerà, signora Butler, ma sto contribuendo anche con molti quattrini. Ti ricordi che alcuni anni fa, nella bottega di Franco, mi dicesti che era una disonestà conservare l'oro della Confederazione? Ho finito col darti ragione; e quel denaro sarà speso per far tornare i confederati al potere. - Denaro buttato! - Denaro buttato quello speso per la democrazia? - Il suo sguardo la scherní; poi tornò tranquillo e senza espressione. - Non m'importa nulla di chi riuscirà nelle elezioni. Ciò che mi importa è che tutti sappiano che me ne sono occupato e ho contribuito col mio denaro. In futuro se ne ricorderanno; e questo sarà tutto a favore di Diletta. - I tuoi discorsi mi avevano quasi fatto temere che tu fossi cambiato; ma vedo che non sei piú sincero verso i democratici di quanto tu non sia stato verso chiunque altro. - Non sono mutato affatto. Ho solo cambiato la pelle. È possibile togliere le macchie a un leopardo, ma rimane leopardo ugualmente. Diletta, svegliata dal rumore di voci nel vestibolo, chiamò con voce sonnacchiosa ma imperiosa: - Babbo! - e Rhett si avviò passando davanti a Rossella. - Aspetta un momento, Rhett. Voglio dirti un'altra cosa. Devi smettere di portare in giro Diletta, nel pomeriggio, alle tue riunioni politiche. Non fa un bell'effetto. Una bambina in quei luoghi! E fai la figura di uno sciocco. Non avrei supposto che ve la conducevi, se non me ne avesse parlato zio Enrico, credendo che io lo sapessi e... Egli si volse; il suo viso era indurito. - Che cosa vedi di male nel fatto di una bambina che siede sulle ginocchia di suo padre mentre egli parla coi suoi amici? Ti sembra una sciocchezza ma non lo è. Fra qualche anno la gente ricorderà che Diletta era con me mentre io cercavo di scacciare i repubblicani dallo Stato. Lo ricorderanno e... - La durezza scomparve dal suo volto; negli occhi neri tornò a brillare la malizia. - Sai che quando le chiedono a chi vuol piú bene, risponde: «A babbo e ai democati»? E chi odia di piú: «I innegati». Grazie a Dio, il pubblico ricorda queste cose. La voce di Rossella si levò furibonda. - E magari le avrai detto che io sono una rinnegata! - Babbo! - chiamò la vocina che adesso era indignata; e Rhett, ancora ridendo, attraversò il vestibolo per andare da sua figlia.

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Il romanzo della bambola

222217
Contessa Lara 2 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • paraletteratura - romanzi
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. - Meglio, certo, di quant'altra ne abbiamo conosciuta tu ed io - le rispose l'antico attore. La Giulia riprese: - E pensare che c'è chi s'arrabbatta tanto per far figura nella così detta alta società, dov'è tanta finzione, tanto egoismo, tanto interesse! - Io, davvero, ti giuro che a quest'aria pura, co questa pace, e in mezzo a povera gente così buona e sincera, non rimpiango nulla nè nessuno - dichiarò Orlando. - E poi ho te! Che cosa potrei desiderare di più? La Giulia lo ringraziò con un tenero luccichio degli azzurri occhi di vetro, ma nell'interno, tra la segatura, passò un sospiro della sua fedele anima di bambola. Era un sospiro per Camilla... Ahimè, perchè non era ella lì con loro quella cara? Ahimè, perchè non tornano a noi i morti che si chiamano, i morti che ancora s'amano?...

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Innanzi di lasciare Roma per tutti i mesi della villeggiatura, la signora de' Rivani soleva fare una distribuzione degli oggetti usati di vestiario alle sue persone di servizio e a' suoi poveri; ma prima che agli altri alla famiglia della propria sorella, signora Amalia Cerchi, mamma di Camilla: una signora che, come abbiamo detto, s'era maritata male ed era poco felice. Alla signora Amalia e a Camilla, dunque, venivano, quasi di diritto, gli oggetti migliori fra quelli scartati; e si dava loro anche roba addirittura nuova perchè non si mortificassero. Quell'anno, poi, c'era un monte di vestiti, di sottane, di mantelletti, una sfilata di cappelli, e scatole di guanti, e cassette di scarpe; più regali del solito, perchè anche il signor Giovanni aveva inzeppato il guardaroba al suo ritorno da Milano. Nella stanza degli armadi, davanti agli sportelli spalancati, stavano la signora de' Rivani con la signora Amalia e le due cuginette: la Marietta e Camilla. Nessuna persona di servizio assisteva a quella scelta, per non offendere la miseria della signora Cerchi. - Questo non lo prendo, sai - diceva la signora Amalia alla sorella, tenendo in mano un abitino di velluto - perchè per Camilla è troppo bello. - No, anzi, prendilo; l'ho messo da parte proprio per lei - insisteva la madre della Marietta.

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Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222511
Misteri del chiostro napoletano 3 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
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. - Allora i giusti gli diranno: Signore, quando, vedntovi affamato, vi abbiamo satollato?.... Ed il re loro risponderà: In veritià, ve lo dico, ogni qual volta l’avete fatto a taluno dei piccoli miei fratelli, l’avete fatto a me.» Da questi detti fu ispirato san Benedetto, allorchè scrisse nella sua Regola: «Quanti vi chiederanno soccorso, siano accolti come Cristo stesso; poichè vi dirà: Ospite fui, e mi avete aocolto.» Le anime si schiusero alla carità, dacchè la carità s'incarnò in Gesù Cristo. Da quel punto la beneficenza si organizza in grandi proporzioni: erigonsi ospizi, costruisconsi foresterie, si fondano ordini ospitalieri; i trovatelli, gli orfani, i malati, i poveri, i vecchi, i ciechi, gl'invalidi, i naufraghi trovano speciali rifugi. La vera ospitalità, l'ospitalità dogmatizzata, l'ospitalità sociale vede la luce sulla culla stessa del cristianesimo, e si esercita a favore degli esseri deboli od infelici, che il mondo pagano opprimeva o distruggeva. Presso gli antichi la donna non era altrimenti considerata, che come un semplice strumento di produzione: gli stessi filosofi la giudicarono un essere incompleto. Il cristianesimo rivela la missione di lei, che consiste nella carità e nella devozione. In Inghilterra, in Germania, o presso i popoli dove il cattolicismo sollevasi al livello del secolo, la Sorella di carità assiste i malati, conforta i sofferenti, prodiga loro ogni cura nelle malattie più schifose. La figlia di san Vincenzo di Paola visita dì e notte il vecchio infermo, medica le sue disgustevoli piaghe, soccorre il moribondo, oppure, divenuta madre, senz'aver cessato d'esser vergine, riscalda nel seno suo l'abbandonato bambino. Partecipi della cristiana carità si fanno pur i forestieri, e gli stessi pagani. È rimasto il bel nome di Maria del Soccorso alla fondatrice d'una pia congregazione di donne, che si dedica al sollievo de' poveri stranieri. Le religiose Betlemmite facevan voto di servire i poveri malati, ancorchè infedeli, ed a' giorni nostri la fama di madamigella Nightingale risuona caramente sì nell'antico che nel nuovo emisfero. «Non v'ha forse nulla di più sublime e più toccante in terra, dice un eminente filosofo, quanto il sagrifizio, che un sesso delicato fa della giovinezza, della bellezza, spesso dell'alta nascita, per sollevare negli spedali quell'ammassamento di umane miserie, di che lo spettacolo è tanto umiliante all'orgoglio, quanto ributtante a' nostri sensi.» Da questa carità, divinizzata da Cristo, inculcata, da Benedetto, umanamente praticata dal clero dell'incivilita cristianità, quanto lontani sono i frati e le monache dell'Italia meridionale! Dice di loro un antico proverbio, suggerito dall'esperienza: «Si uniscono senza conoscersi, convivono senz'amarsi, muoiono senza piangersi.» Pochi proverbi sono nella bocca del popolo più veraci di questo: «La religione di que' Tartufi non è, che un oggetto di biancheria: lo indossano, e se lo levano a lor talento: quando è sudicio, lo mandano alla lavandaia.» Chiesi l'ufficio d'infermiera, e l'ottenni di leggieri, poichè la maggior parte delle monache lo ricusavano. Ve n'erano talune, che non eransi degnate mai di esercitarlo, come altresì ve n'erano dell'altre, le quali, perchè affette da mali cronici, non vedevano le loro compagne da due o tre anni. - Nel corso della malattia, e dopo la morte, si suol tessere il processo della suora: gran parte della giornata è spesa nel commentario. Si discute per qual fallo Domeneddio le ha mandata tale o tal altra sofferenza, e quindi la si colloca all'inferno od al purgatorio a seconda delle rispettive passioni. Il triennio della rigorosa badessa non aveva piaciuto alla comunità. Nelle sue veci fu a pieni voti (meno il mio) eletta la frivola maestra. Una delle precedenti badesse, che molti cordogli avea sofferti durante il suo governo, venne in quel mentre a morire. La malattia fu dolorosa, l'agonia lunga e terribile. Affollate intorno al letto di morte della misera, le monache si dicevano ad alta voce: "Soffre così, per cagione del suo pessimo badessato: Dio la castiga." Venne a morte una vecchia conversa, la quale aveva portata una piaga, che dal tallone estendevasi al ginocchio. Mentre io la medicava, suonò il divino ufficio. M'affrettai a scendervi, ma perchè la medicatura prese del tempo, trovai la recita del coro incominciata, benchè non vi salmeggiassero che cinque sole monache, essendo le altre disperse pei confessionali e pei parlatorii. Fui censurata dalla badessa per quell'opera di carità; mentre alle altre, che scandalosamente stavansi infrangendo la discipline, non ebbe nulla a dire. È usanza nel monastero che le morte, dopo vestite, si pongano in terra: reliquia pur questa delle basiliane tradizioni. Quattro converse sono destinate a quest'ufficio. Una di esse, demonio sotto le forme di monaca, non voleva una notte d’estate interrompere il riposo del proprio letto per apparecchiare l'estinta compagna. L'ammoníi vivamente, e s'alzò; ma, afferrato il cadavere per una gamba, e furiosamente trascinatolo in mezzo della stanza, disse crucciata: "Per la Madonna, non sapevate far così?" Lo scoppio, che fece il capo della trapassata nel battere su' mattoni, mi fa tuttavia raccapricciare: i becchini userebbero agli appestati più carità! Ricorsi alla badessa contro quell'atto inumano: "Quest'affare" rispose, "riguarda più la coscienza della converse, che il mio governo: d'altronde, fanno tutte così." Questa medesima conversa menava la domenica una povera cieca alla messa. Infastidita di tale ufficio domandò di esserne esonerata; ma non essendo stata esaudita, un giorno precipitò la vecchia cieca dall'alto delle scale. L'infelice per quella caduta morì. Un'altra volta percosse sulla faccia un'inferma, perchè spesso domandava di essere voltata di fianco nel letto. Reclamai alla badessa, acciocchè quel mostro di barbarie avesse tutt’altro incarico, meno quello di assistere alle inferme. - Non fui ascoltata. Havvi in Napoli un numero esorbitante di dame e di damigelle, residenti nei differenti monasteri, consevatorii e ritiri della città: oserei dire esservi pochissime famiglie, che non abbiano uno o più membri del sesso debole depositati, come oggetti di manomorta, in que' ricettacoli delle domestiche superfluità. - Una signora, da più anni ritirata in un convento, fu colpita da apoplessia. Non rimessa interamente, un giorno stramazzò a terra. Al rumore della caduta, accorsa una giovine conversa, e trovatala sola, tutta intrisa di sangue, la sollevò da terra e la ripose sul letto. Per quest'atto doveroso fu sgridata dalla superiora. "Doveva dunque lasciarla morire in terra?" domandò la conversa. "Dovevi chiamare un'altra signora ritirata; quelle della stessa classe se la intendono meglio tra di loro." Nè meno prive di misericordia e di compianto sono le esequie delle monache. Un lutto sincero, un rimpianto cordiale, il tributo di alcune lagrime sulla tomba di una defunta compagna, sono in convento fenomeni più rari di quello che nel mondo lo siano le commozioni suscitate dal teatro. L'apatia, che presso gli stoici era virtù, presso le monache è effetto di calcolo e d'egoismo. - È uso sotterrare le morte per lo più nella mattina: non sì tosto il cadavere è calato nella fossa, suona il refettorio, e guai alle converse, se, per motivo del funerale, i consueti maccheroni hanno avuto soverchia cottura! Bastano questi cenni intorno alla carità per le inferme ed al rispetto per le morte: ora riferirò qual cosa di relativo ad un'altra specie di carità. Una contadina, chiuse nel chiostro la propria figlia, graziosa giovinetta di dieiott'anni, non volendo darle per sposo il giovane che quella amava. La badessa, condiscendente verso quante avevano voto nella elezione triennale, usò massimo rigore a quella contadinella, non propensa alla schiavitù monastica, ed ancor meno avvezza all'atmosfera, non ventilata del convento. Una sera, mentre le suore erano a cena, essa discese per attingere l'acqua. - Non ritornò: si manda in cerca di lei, non si rinviene in nessuna parte. Metà per nostalgia, metà per amoroso cordoglio, erasi essa precipitata nel pozzo. Le monache corrono alla porteria, e fanno entrare degli uomini, che per buona sorte estraggono viva ancora la giovinetta. La badessa, invece di profondere a quella misera i conforti che reclamava la circostanza, la confinò in un remoto gabinetto, condannandola ad un mese di detenzione; ma la mattina appresso, nell'aprire l'uscio, la reclusa fu trovata morta, appesa per la gola ad una fune. Per conservare intatto l'asse paterno all'erede maschio, un'agiata famiglia aveva monacato le due prime figlie, e riservava alla terza la medesima sorte. La fanciulla è a quest'uopo da' genitori condotta in Napoli fin dall'anno duodecimo di sua età, e l'accompagna al cenobio un cane barbone, ch'essa ha preso da piccolo ed allevato con amore singolare. Giunto il momento del distacco, quest'amico inseparabile non sa persuadersi che conviene dalla diletta padroncina inevitabilmente disgiungersi. Più caldo nell'affetto suo che non sono gli stessi genitori, li lascia volgere il tergo a ciglia asciutte, e quando nel parlatorio non ravvisa più l'oggetto della sua devozione, si mette a guaire lamentevolmente, come per supplicare la giovinetta ad affrettare il ritorno. Non avendo i cani accesso nel convento, il frate portinaio lo discaccia a calci; ma l'animale, indifferente ai maltrattamenti che riceve, ratto ritorna al sito ove ha veduta l'amica per l'ultima volta, ed ivi, sdraiato sul lastrico del portico,intirizzito dal freddo, non fa che ululare a segno da straziar le viscere. All'ora in cui si chiudono i cancelli messo fuor della porta, passa l'intera notte a lamentarsi; ma l'indomani, mosso il vicinato a pietà, gli reca del pane e delle carezze. Il cane rifiuta e quello e queste, nè cessa di piangere. Pianse senza tregua per due giorni e due notti, mentre in alto l'educanda rimaneva non meno inconsolabile. Alfine, di quel dramma tediate le monache, deliberarono di troncarne il filo sollecitamente. Il povero cane ucciso, chi sa come, fu, al mattino del terzo dì, trovato morto..... all’orlo del sepolcro vivo della sua padrona. Al tempo del debole governo di mia zia, una monaca volle congedare la sua conversa per prenderne un'altra che più le aggradiva. La conversa, che non poteva capacitarsi di ciò, si buttò più volte a' piedi della padrona, ma la trovò inesorabile: ricorse al frate confessore di quella, ma pur senza profitto. Al penultimo giorno del servizio sparì; si cercò dappertutto, in ultimo si scese nelle cantina: erasi rannicchiata sotto un ammasso di fascine. La padrona ordinò che la fosse tirata di là sotto, e a viva forza trascinata alla porteria. La poveretta, che urlava come matta, nel passare innanzi ad una cappella, gridò imprecando: "Signore, muoia chi ci ha colpa!" Per una curiosa combinazione, tre mesi dopo, il monaco cadeva in Via dei Tribunali colpito da morte istantanea. Due converse servivano la medesima padrona: una era giovane, l'altra vecchia. La prima, piuttosto sguaiata e pazzarella, non potendo più lungamenbe tollerare le ammonizioni dell'attempata, concepì lo scellerato disegno di farla morire, condendole l'insalata coll'olio di verderame. L'infelice, travagliata da vomito e da acerbissime doglie viscerali, stava vicina a perire, senza che alcuna di noi ne penetrasse la causa. Per buona ventura accortosi il medico dell'agente deleterico e praticata una visita minuziosa nella cucina, vi trovò l'olio divenuto verde per un pezzo di rame in esso intinto. I rimedi giunsero opportuni, e la vecchia fu salva. Non rifinirei mai se volessi qui raccontare tutti i tratti d'inumanità, che all'insaputa delle leggi dentro i recinti del chiostro impunemente si commettono. Viva tuttora conservasi nella memoria del pubblico napoletano la ricordanza de' sotterranei scoverti l'anno 1848 nel monastero de' Gesuiti (evacuate pel loro esilio) e dell'ossuario di neonati rinvenuto in una di quelle orride cripte. Ma io non voglio citar avvenimenti, di cui pur non possa guarentire la realtà; perlochè tralascio gli ulteriori esempi, e passo ad altro argomento di non minor rilievo.

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Abbiamo discorso abbastanza della missione drammatica del confessionale e delle dottrine dualistiche dei confessori: facciamo adesso un'escursione breve sulla parte teatrale dei chierici. Quattro giovinotti dediti al servizio della chiesa, aspiravano al sacerdozio. Non sì tosto avevano presi gli ordini sacri, dovevano uscirne, per essere surrogati da altri, a meno che protezioni d'alta sfera non li avessero trattenuti nell'uffiziatura a detrimento d'invecchiati predecessori. Più giovani, più fortuna. Questi chierici avevano le loro protettrici nel chiostro. E il protettorato d'una monaca vale qualcosa! Parecchi ricchi gentiluomini ed ecclesiastici napoletani testarono ab antico in favor di San Gregorio Armeno de' legati per uso di patrimoni, di cappellaníe, di maritaggi, di atti di beneficenza. Erano adunque fortunati i chierici che avessero potuto ispirare amicizia alle monache potenti di quel luogo: il traffico de' voti nel ballottaggio del badessato, le abilita al godimento di molti privilegi, uno de' quali si è pur quello di dispensare a seconda del loro gusto cotesti benefizi. E però il chierico protetto è sicuro di acchiappare presto o tardi il patrimonio e la cappellanía, nel qual caso la protettrice fa sovente a proprie spese la festa della prima Messa; e mi rammento di un tale chierico, divenuto, Dei gratia, prete, il quale, per essersi addentrato nella benevolenza della patrona, si ebbe non solamente gratis le spese della festa, ma eziandio un sontuoso banchetto in casa sua per 24 persone, apportatogli dalla carrozza in livree di gala, che la monaca chiese in prestito dalla propria famiglia. La badessa approvava tali scandalose prodigalità, anzi le fomentava dicendo: "Io pure ho fatto lo stesso; scapriccitevi, povere ragazze! in fede mia, si è fatto sempre cosi." Per altro inculcava loro fra' denti di non fare in mia presenza ostentazione di quelle stoltezze: al che assentivano le suore, avvedutesi ch'io non voleva punto conformarmi al loro modo di pensare e di operare. Egli è perciò, che al vedermi comparire innanzi interrompevano sempre i loro ragionamenti, e nel mandare il suddetto pranzo al prete si studiarono d'impiegare le più minute precauzioni, acciocchè la lautezza rimanesse sconosciuta a me. Usavano nella Settimana Santa di acconciare magnificamente una parte del coro per eseguirvi, in memoria del fatto evangelico, la funzione della lavanda dei piedi. Erano collocati sugli altari i simboli della Passione, unitamente a tutta l'argenteria, particolate di ciascheduna delle monache, mentre un'infinita quantità di ceri illuminava la scena. Dirò scena, o commedia? Duolmi di adoperare in divini argomenti la seconda denominazione. Ma che cosa infatti di più comico, di più ridicolo, di più profano al pudore cristiano, del vedere un Gesù Cristo perfettamente liscio e sbarbato in volto, con veste e forme femminili, nell'atto di lavare i piedi a dodici apostole in sottanino ed in calzette di seta? Scommetto che se i Mormoni dell'America, quei comunisti ed eretici dannati, venissero a penetrare che la Chiesa romana suole trasformare in tal modo il Figlio di Dio, non esiterebbero un istante di ritornare a braccia aperte in seno al cattolicismo. I quattro chierici morivano dalla pietosa voglia di vedere scalze le sante apostole. A notte avanzata del giovedì santo, quando il tempio fu chiuso agl'incirconcisi, e che pur io mi fui ritirata, poggiarono ad una delle grate del coro la più lunga scala della chiesa, e coll'aiuto di questa montarono sul cornicione del coro medesimo, ove preso posto, si fecero spettatori e sovente confabulatori del dramma. - È ben vero che le cose passarono tranquillamente, nè si ebbe a deplorare alcun disordine. Io ne conosceva il progetto sin dal giorno innanzi, e mi ritirai prima del solito per lasciarle libere. - Erano allora decorsi otto anni, dacchè io era entrata nel chiostro; ed in questo intervallo non avevano giammai scorta in me la benchè minima inclinazione per un prete, per un monaco o per un chierico; neppure pel mio confessore, il quale, nonostanbe la persistente mala voglia che gli dimostrava, ostinavasi, or sotto questo or sotto quel pretesto, a farmi scendere nel confessionale spesso spesso. Non già perchè il mio cuore a ventisett'anni fosse morto all'amore, o perchè avessi aspirato al selvatico onore di farmi rigido Catone dei poveri innamorati: no, davvero; ma mi disgustava la loro ipocrita e simulata bacchettoneria: quel voler ostentare delle virtù ed un candore che non avevano; mi disgustava la persecuzione che movevano a qualcuna delle loro compagne, se per caso stranissimo avesse questa concepito simpatia per un uomo che non fosse sacerdote od avviato al sacerdozio. Queste finzioni, questi egoismi di casta, e non altro, io detestava. Che se avessero francamente mostrata la loro debolezza per tale o tal altro prete, per tale o tal altro chierico, io le avrei con pari franchezza compatite, come avvenne più volte con qualche educanda, monaca o conversa che mi aveva confidato il segreto della sua fragilità; le avrei compatite con quel cuore propenso a' sentimenti di umanità, partecipe delle debolezze di sua natura, con quel cuore sensibile, che sotto la ruvida lana tuttavia batteva..... Una volta era desso in procinto di rinfiammarsi (non per un religioso) chiesi soccorso a Dio, e Dio ne spense le faville. Una passione di quella sorta non avrebbe fatto che aggravare la mia sventura. Egli era un medico; l'amai per ispontanea ispirazione, l'amai nei più reconditi penetrali dell'affetto, innanzi che la ragione se ne fosse accorta. In grazia del mio ufficio d'infermiera lo vedeva spesso: spesso nella cella dell'inferma l'accompagnai con gli occhi umiliati a terra, col sentimento dell'abdicazione che avevo fatta ad ogni commozione tenera, col convincimento che sotto il voto della monastica castità, spregevole sarei stata da lui reputata, ove uno sguardo solo mi avesse tradita. Ah, chi non ha indossato il cilicio non sa quanto sordo alle invocazioni del cuore sia l'isolamento del cenobio! Non comprese egli i miei sforzi a reprimere que' palpiti ribelli, nè per conseguenza conobbe il mio trionfo. - Tanto meglio! Seppi più tardi, che il suo cuore era dedicato ad altra donna meno disgraziata di me. Egli morì nel fior degli anni, sul più bello della sua carriera..... Fu egli compianto dalla giovane che amava? Ritorniamo al racconto. Passati due anni nel suddetto ufficio, fui nominata sagrestana; era l'incarico che più degli altri metteva la monaca in contatto coi preti. Opinarono allora parecchie suore che avrei finito coll'amarne qualcuno; altre, più svelte, si strinsero in congiura per farmi cadere. La sagrestana mia predecessora, nel darmi la consegna dei sacri arredi, mi disse che dei quattro chierici, uno solo essendo esatto nelle sue incombenze, di lui specialmente doveva servirmi. Era quella monaca, una buona ed onesta donna, sicchè seguii il suo consiglio. Frattanto le congiurate seguivano con ansietà i miei passi, per assicurarsi se, e come, e quando sarei caduta nel tranello. Che importava se il loro campione era di più che volgare figura, di crassa ignoranza, di molta rozzezza? Nel servizio della sagrestia io gli aveva data la preferenza: consolante augurio! Era ben naturale che su di lui si concentrasse l'azione della trama. Di quante iniquità non è cagione l'ozio! Le suore della consorteria trovarono di sovente una qualche scusa per iscendere al comunichino, e dire al chierico: "Ora te ne puoi star contento, eh?" "Perchè?" "Perchè hai avuta una sagrestana giovine e svelta." Unaltra volta gli dicevano: "Che fortuna!" "Perchè?" "Si dice che la sagrestana trovi molti requisiti nella tua persona." "Che idea strana! Da che lo desumono?" "Dalla premura con che ti chiama in preferenza degli altri chierici; dalla fiducia che ti mostrò consegnando ogni cosa a te." Come altrove ho detto, soffriva io molto di nervi: le convulsioni mi si erano rese periodiche. Ad ogni mia indisposizione, lo chiamarono al portello, e con impudenza di cortigiane gli recarono saluti a nome mio. - Nè qui l'impudenza si fermò: perocchè, immaginato e steso sulla carta un vigliettino con sotto il mio nome di battesimo, glielo fecero, non so per qual mezzo, venire in mano. In pari tempo m'involarono un tenue oggetto di biancheria, e in nome mio glielo presentarono. La testa del povero giovine cominciò a vacillare. Se ne avvidero quelle, allorchè, annunziatogli ch'io mi stava gravemente inferma, ei si cavò di tasca la pezzuola per asciugarsi gli occhi, nè potè altrimenti nascondere il suo travaglio. "È cotto di lei!" Dissero allora fra loro, stropicciandosi le mani, e gongolando di gioia. Ma della comica passione del chierico ben anch'io mi avvidi, non appena convalescente e rientrata nell'uffizio. Saputo l'imbroglio del viglietto e del donativo, alle intriganti monache scagliai le più energiche rimostranze: a lui feci tosto conoscere che lo scritto era falso, e che l'oggetto, a nome mio presentatogli, mi era stato poc'anzi preso dal fagotto della lavandaia. Costui masticò male la dura rivelazione: s'impegnò a restituirmi il foglio necessario alle ricerche che mi era prefissa, ma fosse per altrui suggerimento, fosse per ispontanea riluttanza, non me lo diede. Fatto sta che quel poveretto erasi ben bene innamorato di me. La sua faccia era divenuta secca allampanata: il naso affilato, gli occhi infossati. La sua bocca, naturalmente grande, avea per lo smagrimento, prese le proporzioni di quella della lucertola. - Io lo rimproverai spietatamente. "Sciocco," gli dissi, "non intendi che sei divenuto lo zimbello d'una brigata di monache, non meno pazze che insidiose, le quali, nell'atto di prendersi beffe della tue ingenuità, vorrebbero inoltre cogliere un più grande vantaggio, quello di dare argomento di molestia a me, ed ancora, se fosse possibile di abbassare qui dentro la mia riputazione a livello della loro? Rientra in te stesso, raffrena gli stolti desiderii, e bada d'ora innanzi a comportarti più saggiamente nel disimpegno de' tuoi doveri, se non vuoi perdere il pane e l'onore." Rispose, riconoscere ormai l'eccesso della propria follia: non esser però egli stesso l'autore di quella malaugurata passione, ma sì le tali e tali monache che a poco a poco glie l'avevano insinuata nel cuore: alla fin fine, l'amor suo aver toccato tale grado di intensità, da non rimanergli più veruna speranza di poterlo signoreggiare. "In tal caso," ripresi io, "non ti resta che un solo scampo: duro sì, ma inevitabile." "Parlate! Legge suprema sarà per me il vostro consiglio." "Le celie di quelle donne sono zampate di tigre; oggi ridono della tua semplicità, domani ti scaveranno la fossa. Ascolta il mio consiglio: cercati la sussistenza in altra chiesa, e portami al più presto la tua rinunzia." Il tuono secco e reciso di questi miei detti contrastava coll'interno senso di compassione che mi destava un avvenimento diretto a togliere il pane a quel povero tribolato. Quest'abboccamento, che durò appena 10 minuti, e finì pel chierico in uno scoppio di pianto, venne interrotto dall'arrivo del sagrestano. Convinta però che le monache covavano un reo progetto, e dolente per altra parte di rovinare quel giovine il quale altra colpa non aveva che quella d'esser un po' stolto, deliberai di troncarla con un mezzo più consentaneo alla pietà. Recatami dalla badessa, la pregai a nominare in vece mia un'altra sagrestana, dopo l'infermità non sentendomi io in forze da sostenere i pesi di quell'uffizio. - Costei rispose non giudicar la mia salute tanto rovinata quanto piaceva a me di rappresentarla; non esservi, d'altronde, esempio che una monaca si fosse dimessa dalla carica senza finire l'anno d'uso. Il mio confessore, al quale l'affare dispiaceva, unì le sue alle mie preghiere per indurla a cedere; ma, inflessibile alle reiterate domande, ella perseverò nel rifiuto. Stizzita però dalle mie moleste insistenze, mi disse un giorno: "Ma, insomma, perchè vuoi lasciare il posto? Perchè qualche pazzarella ti accusa di amoroso commercio col chierico? Quanta sei minchiona! Forse lei stessa, forse le altre ancora non hanno fatto, non fanno e non faranno sempre lo stesso? A tali cianciafruscole, se hai granello di buon senso, non devi badare!" Le cose camminarono così, finchè l'episodio non fu giunto a spontaneo scioglimento. Un giorno, mentre io cantava in coro, il chierico innamorato svenne in chiesa per la commozione. La chiesa era affollata: nacque un bisbiglio da non dirsi. I preti nella sagrestia si turbarono,i chierici se la godevano, le monache, calata la maschera, scaricarono sulla loro vittima le farétre, sclamando ad una voce: "Quanto è ridicolo! quanto è stupido!" Poi soggiungevano: "La santa Messa è mutata in commedia.... queste scene fanno vergogna al convento." Di lì a non molto trovai il chierico che si struggeva in pianto. "Siamo congedati tutti quattro noi chierici," mi disse con voce interrotta dal singhiozzo. "È mai possibile?" "Pur troppo. Dio mio, che sarà di me!" "Tutti quattro congedati! Hai dunque trascinato anche i colleghi nella tua rovina?" "No: la rovina sarà soltanto mia. Gli altri tre se ne vanno per pura apparenza: fra poco ritorneranno, io solo non ci ritornerò più." "Fanno bene a congedarti con tal garbatezza," conchiusi io. "Me ne duole cordialmente, ma la tua situazione in questo luogo era divenuta insopportabile." Gli abitanti delle contrade vulcaniche sono pieni di fuoco al pari de' loro vini; ed io son Napoletana. Accesa di sdegno, mi portai subito dalla badessa; le espressi la mia compiacenza, pel congedo de' chierici, ma non lasciai di redarguirla dell'ostinata renitenza nell'occasione precedende della mia rinunzia. "Se aveste accettata la mia dimissione, quando con tanta insistenza ve la chiedeva," le dissi con vivacità, "non vi sareste trovata oggidì nella crudele necessità di mettere ad effetto un provvedimento, che tornerà a scapito non meno del vostro monastero, che di quei poveri giovani. Ma ciò che è fatto, non si disfà. Un solo schiarimento mi resta a chiedervi, e questo si riferisce particolarmente al mio personale decoro. È reale, è positivo, oppur è solamente simulato il complessivo congedo di tutti quattro i chierici? In altre parole, vi riserbereste forse in petto il disegno di richiamare fra poco tre di loro, per infliggere l'esclusione ad un solo?" "No," rispose essa. "Il cielo non voglia! Comune e definitiva è, e sarà per tutti, l'esclusione!" "Avrete bastante fermezza da resistere ai maneggi delle monache che li proteggono?" Ci trovavamo presso una cappella, dedicata alla Vergine. La badessa si volse verso l'immagine, e levando le mani al cielo: "Giuro," disse, "per Maria santissima, che nessuno di loro ritornerà." "Ed io giuro," soggiunsi, "che se uno di loro entrasse per una porta, io uscirei subito da quell'altra!" Ci separammo in pace. Ma la povera donna era più di parole che di fatti. Ella contava i voti che le si rendevano indispensabili alla riconferma nel badessato. Di lì a otto giorni i tre chierici ritornarono. Nè a questo si ristrinse l'intrigo; tentò inoltre la consorteria di spandere sul mio portamento un'ombra di denigrazione. A che non giunge la perfidia fratesca! Quegli dei quattro chierici, che di fatto era espulso dalla chiesa, fu da' confessori e dai monaci della chiesa stessa denunziato al cardinale; il quale, con altrettanto smoderato desiderio di arrendersi alla voglie delle sue creature, l'obbligò a deporre l'abito clericale. L'abbadessa aveva mancato al suo giuramento: io volli mantenere il mio. Quel giorno fermai incrollabile nell'animo la risoluzione di lasciare ad ogni costo un luogo, dove ribollivano le macchinazioni e traboccava il fiele dell'invidia.

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Avevamo dimenticato il suo nome l'altr'ieri: ce l'ha rammentato il cardinale Riario, ed oggi stesso abbiamo letta una carta, ch'essa cindirizzava due anni fa." Era evidente, che, come quelle della povera Italia, le mie sorti andavano in rovina. Un mese dopo mi veniva dal Riario partecipato un Breve pontificio, per cui Pio IX mi concedeva la grazia di starmene stabilmente in conservatorio, sotto condizione di clausura: potendo però uscirne l'estate per i bagni di mare, purchè i medici li avessero ordinati, e di più che fosse piaciuto all'arcivescovo di permetterli. Quanto poi alla lite mossa dalle monache, ordinava ch'io dovessi versare alla cassa di San Gregorio ducati mille, e che da quel monastero percepissi, vita durante, un assegnamento mensile, proporzionato alla somma da me versata. Insino allora aveva ricevuto pel mio mantenimento ducati 14 e mezzo; da quel momento non mi vidi più consegnare che una polizzetta mensile di ducati sei, a titolo d'alimento mio, e della conversa. - Carità e munificenza fratesca! Alla necessità non resistono neanche gli Dei. Giuocoforza mi fu ristringere il vitto ad una sola pietanza, ed assuefare il palato al pane nero. Ciò dovei fare, mentre, di porpora decorato, l'autore della mia indigenza dava pranzi sontuosi a' parassiti papassi, suoi colleghi, che, da Roma trafugati, rifluivano presso i Borboni, affine di seco loro consultarsi intorno a' mezzi di ribadire più sicuramente i ferri al popolo d'Italia. Venne Pio IX in Napoli, tramutato di luogo, come di colore e di sentimenti. Sebbene uscissi spesso, reputai superfluo, anzi pericoloso, il disegno di ricorrere nuovamente alla sua misericordia. Egli, che chiudeva l'orecchio a' gemiti della sua patria, per quale supremo privilegio l'avrebbe aperto alle lamentazioni d'una povera monaca? E fiancheggiato qual era da un Ferdinando II, da un Riario, come poteva, poniamo pure che avesse voluto, dar ascolto ai miei lamenti? Il solo fanatismo della infima plebe napoletana sorreggeva ancora nel vacillante seggio que' due volgari nemici di ogni bene. E il re di Roma, debole di cuore, più debole di mente, assetato di popolarità, incapace di acquistarla durevolmente, metteva la barca sdrucita della povera Chiesa a rimorchio della loro galera. Una sera, mentre sull'imbrunire io mi ritirava, la Polizia vietò alla carrozza ov'io era di traversare la piazza delle Pigne. Ritrovandosi il Santo Padre nel Museo delle antichità pagane, Ove il principe reale gli faceva da cicerone, non sarebbesi potuto aprire un varco nella folla, senza far calpestare dai cavalli la gente. Mi convenne, voltando strada, fare un lunghissimo giro, scendere per la Vicaria e risalire per San Pietro a Majella. Quest'involontario ritardo eccitò la rabbia dell'idrofoba portinaia del conservatorio, la quale con quegli occhi biechi e sanguigni, che mi facevano rizzare i capelli in capo dalla paura, mi disse: "Se un altr'anno avremo la disgrazia di tenervi con noi, affè di Dio che non metterete più il piede fuori di questa porta!" E così dicendo, alzava minaccioso l'indice in aria, a guisa di maestro di cappella. Prima di partir da Napoli, volle il papa visitare uno ad uno tutti i monasteri di clausura. Quando toccò al monastero di San Giovanni, le suore di Costantinopoli manifestarono a quelle religiose il desiderio di vedere la persona del pontefice in un luogo, che, per la vicinanza dei due monasteri, a ciò si prestava. Salito adunque il papa sopra una certa terrazza, benedisse complessivamente tutto il gregge a lui dintorno. Non so chi m'accennasse all'attenzione sua. Fissò egli lo sguardo sopra di me, e disse: "Una benedizione particolare alla monaca claustrale!" Ed alzata la destra, mise la parola in effetto. Quell'atto non mi recò alcun conforto. Io m'augurava salute, tranquillità, ed emancipazione dall'ignobile servaggio. - Ora, quali di questi beni mi recava quella benedizione? Da lì a pochi giorni Pio IX ritornava in Roma, lieto quanto quel suo predecessore, che alla caduta di Rienzo ritornava vescovo e signore nell'Eterna Città. Il cardinale colse il momento per infierire contro di me. Mi giunse all'orecchio allora che tutti i rigori della clausura stavano per essermi scaricati addosso; per lo che mi veniva proposto di restituirmi presto al primiero carcere, di rinunziare una volta per sempre a qualsiasi speranza d'affrancamento, di rassegnarmi alla sorte delle altre monache, senza più ruminare ulteriori tentativi: e in compenso di tale atto d'abdicazione, mi si lasciava travedere l'onore d'un badessato, che per un Breve di speciale condonamento, nonostante l'età giovanile, avrei ottenuto. Quanto più attraente di tale prospetto era il pan nero che divideva colla mia buona e fidata Maria Giuseppa! Feci rispondere al porporato, ch'io preferiva soggiornare libera in una capanna, anzichè badessa in un carcere. Come rispose Sua Eminenza? - Mi tolse anche quel magrissimo assegnamento mensile di sei ducati! Me ne rimasi dunque, come i Toscani dicono, nelle secche di Barbería. Di lavori donneschi io ne sapeva un po', e l'Onnipotente, che tempera i venti per l'agnello tosato, non m'aveva privata d'operosità e d'industria. Per non viver d'accatto nel conservatorio, per non essere a carico altrui, avrei dunque preferito di guadagnarmi la vita colle proprie mani. - Ma come si fa ad industriarsi dimorando in casa di nemici, e brancolando nel buio che cuopre l'avvenire? Ad un mio parente che rinfacciava al cardinale quell'accanimento codardo contro una donna, duro come un macigno, costui rispondeva: "La madre è ricca: ci penserà lei." Distesa in quel letto di Procuste; stretta, per meglio dire, fra l'uscio e il muro; destituita al fine dei mezzi di sussistenza, feci ricorso all'energia dell'animo per cercare scampo in una disperata uscita. A mali estremi, rimedi estremi. Una sera, invece di ritirarmi secondo il solito al conservatorio, avvertii per lettera la badessa di voler chiudere la porteria tra vespro e nona, perchè, non volendo mangiare il pane altrui, sarei rimasta in casa mia.

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