Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Come devo comportarmi. Le buone usanze

184891
Lydia (Diana di Santafiora) 32 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Si abbia anche cura che i domestici trattino i maestri, gl'istitutori e le istitutrici con gran rispetto; non di rado essi, nella lore ignoranza, li considerano appena appena d'un gradino superiori a sè stessi. Si sia esatti nel pagamento degli onorari. Il maestro non è ricco, anzi, molto spesso, è povero: e pochi sanno di quanto danno, di quante preoccupazioni gli sia causa un ritardo, anche di pochi giorni, nel pagamento di ciò che gli è dovuto e che egli, per delicatezza, non può sollecitare. L'onorario sia sempre offerto in una busta, dalla madre o dal padre dell'alunno, e mai alla presenza della servitù. Il maestro deve, da parte sua, mostrarsi di un'esattezza scrupolosa nell'adempimento del suo dovere; non lascerà mai una lezione, se non per malattia o per qualche grave motivo; e in tal caso dovrà sempre mandare un preavviso. Se non gli sia stato possibile, dovrà poi fare le più ampie scuse. Le sue lezioni non saranno mai abbreviate; piuttosto non esiterà, quando l'argomento lo richieda, a prolungarle di qualche minuto. Tratterà con signorile cortesia i genitori del suo scolaro, e quest'ultimo con bontà e benevolenza. Non alzerà mai la voce, non s'irriterà fuor di misura: se le cose non vanno, se lo scolaro non fa il suo dovere, ne avvertirà il padre o la madre, con serietà e con dignità. Nel trattare le modalità d'un corso di lezioni, affronterà anche la questione degli onorari, con serenità e con delicatezza, ma francamente. È, questa, una questione sempre poco gradita, e molti genitori e maestri non osano parlarne in un primo colloquio. In generale, si cominciano le lezioni alla cieca; e solo qualche tempo dopo, quasi sempre verso la fine del primo mese, il padre o la madre dell'alunno si fanno coraggio e azzardano la delicata domanda. E qualche volta si hanno delle dolorose sorprese: gli onorari variano da professore a professore; molte famiglie poi sono alle loro prime armi, e si son fatte un'idea molto diversa sulla spesa da sostenere: il professore fa la domanda, e i genitori non possono trattenere un oh! di sorpresa; e la situazione, già delicata di per sè, diviene scabrosa. Quanto è meglio definire la questione fin da principio, quando nulla è ancora fissato e si ha sempre il modo, se le condizioni dell'uno o dell'altro non convengano, di mandare a monte ogni cosa! Tocca ai genitori del futuro alunno a intavolar la questione; ma se questi non lo fanno, il professore non esiti a formulare, nel modo più gentile, le sue pretese.

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Si abbia rispetto ai sacerdoti, e non ci si permetta mai contro di essi scherzi, canzonature o motti ironici o salaci. Per il credente, il sacerdote è una persona sacra, doppiamente degna di rispetto e di considerazione; per il non credente, è almeno una persona come un'altra, verso la quale egli non ha diritto di comportarsi da maleducato. Le nazioni più civili sono quelle nelle quali i cittadini si mostrano più rispettosi delle altrui convinzioni e più tolleranti in fatto di fede e di religione. Le persecuzioni furono sempre un segno di barbarie; e certe limitazioni che ancora s'impongono, in alcuni paesi, ai seguaci di sètte o di religioni particolari, mostrano palesemente che la barbarie non è ancora spenta in questo mondo. Mostriamoci degni, in questa nostra Italia che fu la culla della civiltà, di camminare alla testa del progresso moderno.

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La lunghezza delle visite dipende da tante cose: ma non sarà mai esagerata, specialmente quando si abbia ragione di supporre che la nostra presenza possa impedire al padrone o alla padrona di casa di dedicarsi alle sue occupazioni. Per le visite d'una certa etichetta, ci si atterrà a norme anche più rigorose: le prime ore della sera, fra le quattro o le sei, sono, si può dire, di prammatica. L'uomo che si reca a far visita a una signora si vestirà di scuro, e meglio ancora di nero. Introdotto, depositerà nella stanza d'ingresso cappello e mazza, paltò, calosce, tutto quello insomma che si porta fuori di casa, mantenendo soltanto i guanti. Nel salotto di ricevimento potrà sedersi fino all'arrivo della signora; al giungere di questa, si alzerà in piedi e le moverà incontro; le stringerà la mano soltanto se essa gliela porgerà. Sedutosi, sosterrà con brio e con disinvoltura la breve conversazione (una visita d'etichetta dura appena un quarto d'ora), evitando soprattutto quelle pause silenziose, che son causa di tanto imbarazzo a chi riceve e a chi fa la visita. Nell'accomiatarsi abbrevierà tutti quei convenevoli, dei quali si faceva tanto uso una volta: una parola cortese, un lieve inchino, una stretta di mano, se la mano gli vien porta dalla signora, e uscirà rapidamente dal salotto. Per le visite di gran cerimonia c'è tutta un'etichetta, che varia da caso a caso e subisce anche cambiamenti a seconda della moda. Non è perciò qui il luogo di dar delle norme speciali. Vogliamo tuttavia mettere in guardia il lettore da due eccessi opposti. C'è chi, al solo pensiero d'una visita di cerimonia, si sente venire i brividi, perde il sonno e l'appetito: l'idea di trovarsi davanti a una tal persona illustre lo mette in un orgasmo tale da fargli venir la febbre. Sono timori esagerati: una visita di tal genere è quasi sempre più facile che una visita normale. La persona illustre, abituata ad ogni sorta di visitatori, sa comprendere e compatire: e l'esitazione e la timidezza, lungi dall'annoiarla, le danno invece una chiara idea della bontà e della gentilezza d'animo di chi le si presenta davanti: soltanto gli sciocchi o i presuntuosi non conoscono la soggezione. Neppure c'è da farsi troppo cattivo sangue se il timore o l'ignoranza di certe leggi d'etichetta ci fanno commettere una di quelle che si soglion chiamare, con vocabolo francese, gaffes, cioè atti o parole fuor di luogo. Se l'errore non dipende da sfrontatezza o da mal animo, non ci sarà gran male, e la persona illustre sarà la prima a compatire. Ben diverso è il caso di coloro che, pieni di fiducia nei propri meriti, si recano a tali visite con una sfacciata disinvoltura, e trattano da pari a pari: essi fanno sempre cattiva impressione e meritano quelle accoglienze fredde o quelle parole severe, di cui poi si lamentano. Vogliamo chiudere questo capitolo con un consiglio d'ordine generale. Non fate mai visite se non siete sicuri che saranno gradite. Studiate bene le abitudini, i gusti, la psicologia dei vostri amici e conoscenti; e tutte le volte che avete motivo di supporre che la vostra visita possa recar disturbo o noia, rinunziateci. Fate, per civiltà e per educazione, le visite di dovere; delle altre non abusate mai. Pensate quante volte, anche in casa vostra, si è mandato un respiro di sollievo dopo una visita importuna; pensate quante volte anche le persone più gentili sono costrette a far dire di non esser in casa, per sottrarsi alla noia e qualche volta al danno di un visitatore sgradito; e comportatevi in modo che quel che si è detto degli altri non s'abbia a dire con ragione anche di voi. Nel fissarvi le regole per questa importantissima norma del viver civile, tenete ben conto delle mutate condizioni dei vostri amici e conoscenti. Ci sono nella vita improvvisi cambiamenti di stato, che portano seco modificazioni profonde. L'amico che diviene, per esempio, ministro, ha diritto d'esser lasciato in pace, perchè ha, o dovrebbe avere, poco tempo da buttar via; l'amico che prende moglie è, quasi sempre, un amico perduto: e colui che pretendesse di seguitar con lui la vita di prima, di averlo a compagno al caffè o nelle passeggiate per parecchie ore del giorno o della settimana, mostrerebbe di aver poco senno; peggio ancora se lo importunasse con visite giornaliere e s'avesse per male d'un rifiuto. I rapporti d'amicizia sono forse, fra i rapporti sociali, i più difficili di tutti, perchè non possono essere assoggettati a regole fisse e si regolano più che altro col tatto e con la gentilezza. L'uomo veramente bene educato si riconosce soprattutto dal modo con cui, nelle varie circostanze della vita, si comporta con gli amici.

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Può darsi ch'essa non abbia trovato posto altrove e che il fumo le faccia veramente male; e in tal caso la vostra improntitudine sarebbe davvero riprovevole. In ogni altro caso, la signora che con la sua presenza impone un sacrifizio non necessario, abusa della sua posizione e dell'altrui cortesia. Una signora che viaggia sola si comporterà con molta riservatezza. Non sarà facile ad attaccar discorso coi compagni di viaggio, soprattutto con gli uomini. Interrogata, risponderà con ritegno in modo da far capire che non desidera di esser disturbata; se riceve uno di quei piccoli favori, così frequenti in ferrovia, ringrazierà gentilmente, ma senza effusione e con poche parole. Contenendosi così, disarmerà gl'intraprendenti e sarà lasciata in pace. La maggior parte delle noie che possono capitare in treno a una signora sola, derivano quasi sempre dal suo contegno poco riservato, che non di rado sembra autorizzare gl'importuni a tentare una parola o un gesto ardito. Non importa del resto aggiungere che un vero gentiluomo ha per una signora sola tutto quel rispetto che le mostrerebbe se fosse accompagnata. Mostrarsi noiosi, esigenti, brontoloni è segno di cattivo carattere e di poca educazione. In treno non si è a casa propria, e conviene adattarsi anche ai desideri altrui. Sono esigenze imperdonabili voler tener tutto chiuso e tappato, quando nello scompartimento si soffoca dal caldo, o pretendere di aprire i finestrini quando si gela; lamentarsi se un bambino piange o un vecchio ha la tosse. L'abito da viaggio sia semplice e comodo, ma non trascurato. La signora che entra in treno con un vestito di mussolina bianca, non si lamenti se qualcuno inavvertitamente le stampa sulle maniche o sulla sottana cinque ditate nere: la colpa è tutta sua e della sua storditaggine; nè si lamenti l'uomo cui vengano pestate le scarpine verniciate o macchiati i candidi calzoni, che avrebbe fatto meglio a lasciare a casa. Viceversa, non potremo che biasimare l'uomo il quale, entrando nello scompartimento, si toglie il colletto e magari le scarpe, e si sdraia comodamente come se fosse in camera sua, o la signora che trascura quella irreprensibilità e correttezza del vestiario che le è altrove abituale. Sappiate, anche in treno, provvedere a tutto coi vostri propri mezzi. Il viaggiatore o la viaggiatrice che non sa dove deve scendere per cambiar treno, che non conosce le coincidenze e che importuna ad ogni istante i compagni di viaggio o il personale ferroviario con domande sciocche o moleste, si espone a risposte poco cortesi. Una breve preparazione prima di partire rimedia a tutti questi inconvenienti ed evita equivoci talvolta spiacevolissimi. Lo ripeto: se non sapete viaggiare, state a casa vostra.

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Se, come quasi sempre accade, ci saranno spese da sostenere, stabilirà in precedenza la quota individuale, tenendo conto delle possibili evenienze; e la stabilirà in modo che non abbia poi a subire modificazioni in più. Nelle questioni di denaro bisogna procedere con gran delicatezza, e mai giudicare dalla capacità della propria borsa. Per molte persone, la spesa è la cosa più importante; e spesso una modificazione di preventivo reca loro grave danno: bisogna dunque essere esatti su questo punto. Chi è invitato a prender parte a una gita deve, da parte sua, tener ben conto della propria capacità e resistenza, e accettare soltanto se crede di potervi partecipare con onore. Il passeggero che si stanca facilmente, che si sofferma ogni poco o, peggio ancora, si ferma definitivamente a un certo punto dichiarando che non vuole o non può andare più innanzi, non solo si rende antipatico a tutti, ma compromette gravemente l'esito della gita; se è una signora, costringe qualche compagno a rinunziare alla mèta stabilita, sacrificandosi per lei. Durante la gita, tutti debbono deferenza e obbedienza a colui, che ne è il capo. Non è educazione, quando si è in molti, voler fare di propria testa, allontanarsi dal nucleo della comitiva, cambiare itinerario. Se qualche cosa non va, se qualche inconveniente si verifica, ci si asterrà da lamenti e da critiche; si cercherà invece di volger tutto in ischerzo e di ricondurre il bonumore nei gitanti. Chi è di difficile contentatura, chi non sa rinunziare ai propri comodi, chi non vuol sottostare alla disciplina, farà bene a non prender parte alle gite in comitiva.

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Anche quando non si giuoca di denaro, anche quando si abbia voglia di scherzare, non ci si permetterà mai di alterare la partita, di scambiare una carta o di modificare un tiro. In queste cose lo scherzo non è permesso; e ogni galantuomo si fa, di chi si lasci andare a simili indelicatezze, un cattivo concetto. Se si volesse far bene, non si dovrebbe mai giocar di denaro; poichè una persona ammodo giuoca per divertirsi e non per guadagnare. Tutt'al più, la posta dovrebbe esser di pochi centesimi, tanto per crescere l'interesse della partita. Ad ogni modo ci si ricordi quello che si è detto a proposito delle gite: non si mettano gli ospiti o gli amici nel caso di far delle perdite dolorose. In casa propria, non si permetterà mai che si giuochi di somme forti; e appena si vedrà che il giuoco, cominciato per ischerzo, finisce col diventar serio (ciò che purtroppo avviene assai spesso), si sarà pronti a metterci un freno. Così facendo, non solo impediremo una cosa disonesta in sè, ma toglieremo non di rado dall'imbarazzo qualche amico o conoscente il quale, per timidezza o per un malinteso senso di dignità, non abbia saputo dir di no a chi gli proponeva di raddoppiare o triplicare le poste, mettendo così in grave pericolo la sua borsa poco fornita. Per quel che riguarda i cosiddetti giuochi di società, si sappia giocarli con ritegno e con prudenza. Alcuni di questi giuochi sono fatti a base di domande e di risposte, di giudizi, di considerazioni. La persona bene educata, pur sapendo scherzare, si mantiene sulle generali ed evita le personalità; si astiene da critiche troppo ardite, soprattutto verso coloro che son conosciuti come permalosi ed ombrosi, risparmia le signore giovani e le signorine; non prende mai occasione per far dello spirito da infermità o difetti fisici. In quei giuochi che richiedono contatti confidenziali (meglio sarebbe evitarli), sa comportarsi da gentiluomo senza insistere e senza trasmodare. In tal modo, i giuochi si mantengono innocenti e divertono; ma se vi prendono parte persone poco fini, si cambiano facilmente in sollazzi poco decorosi e non di rado danno origine a spiacevoli incidenti. Alle signore e signorine non sapremmo mai troppo raccomandare un contegno riservato. Molto spesso le confidenze d'atti e di parole, che altri si prende con loro durante il giuoco, sono o sembrano giustificate dalla sventatezza di cui esse danno prova. Una signorina deve sempre ricordarsi che molti uomini, in apparenza bene educati, non lo sono che superficialmente, e che il chiasso, l'allegria, la presenza di persone giovani e vivaci tolgono loro molto spesso la vernice esterna e rivelano quello che si nasconde sotto di essa: che non è sempre una bella cosa. Sia dunque prudente, e sappia all'occasione gastigare con una parola severa l'intraprendenza maschile.

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Ad ogni modo, senza giungere alle esagerazioni dei nostri avi, si provveda a che la roba non scarseggi, e non abbia ad accadere che qualche convitato debba servirsi scarsamente. Un pranzo si compone generalmente dei così detti principî, di una minestra, di alcune portate guarnite, di un dolce o gelato, formaggio, frutta e caffè. I principî possono essere di vario genere, e non è nostro compito indicarne le diverse specie. Ma, di qualunque genere siano, debbono essere fini e delicati e non troppo abbondanti. Servono, come si suol dire, a stuzzicar l'appetito e a preparar lo stomaco ai cibi che verranno: perciò ogni convitato se ne servirà con parsimonia. Quanto alla minestra, l'etichetta vuole che sia servita in piccola quantità; ma a un pranzo che non abbia pretese troppo aristocratiche, si potrà servire, senza incorrere nella taccia di grossolanità, una buona scodella di minestra ben calda. Le portate, per così dire, di prammatica di un pranzo di buon gusto sono tre, raramente quattro. I nostri nonni, su questo punto, erano d'un rigorismo feroce, e i piatti erano sempre gli stessi: lesso, fritto, umido e arrosto; qualche volta, nei pranzi meno sontuosi, si faceva a meno del lesso o del fritto, ma il resto non cambiava; cambiava soltanto la materia prima, per chiamarla così: il lesso poteva essere di manzo o di pollo, l'arrosto di pollo o d'agnello o di manzo, l'umido di vitella o di rigaglie: la scelta, come si vede, era molto ristretta. Oggi invece è ormai sanzionata dall'uso una libertà maggiore; tuttavia, anche nei nuovi e variati aspetti, le portate conservano ancora, almeno nel fondo, il loro carattere primitivo. Ad ogni portata sarà sempre unito un piatto di legumi: così vogliono l'uso e l'igiene. Il dolce sarà fine e abbondante; belle e abbondanti e ricche le frutta; aromatico il caffè. Prima di dire come si debba servire un pranzo, occorre premettere qualche parola sul modo di preparare la tavola; preparazione divenuta nell' uso d'oggi importantissima e da cui traspare il buon gusto e la finezza della padrona di casa. La tavola deve esser disposta e preparata in modo da dare ai commensali un senso d'elegante semplicità. Si eviterà dunque di sovraccaricarla troppo con oggetti incomodi o ingombranti: una candida tovaglia, più fine che è possibile, i piatti e le posate disposti in bell'ordine, i bicchieri di varia grandezza ben allineati; nel mezzo le bottiglie dell'acqua e del vino, le saliere, ecc.; dei piccoli vasi da fiori davanti a ciascun piatto o uno più grande, ma basso, nel centro: ecco quanto è necessario e sufficiente a una bella apparecchiatura. La finezza della biancheria, la bellezza del vasellame, della cristalleria e della posateria contribuiscono più che tutto all'eleganza d'una tavola, anzi si può dire che siano l'unico ornamento di essa. Sbagliano tuttavia coloro che credono di renderla più bella facendo sfoggio di tutta la guardaroba e di tutta l'argenteria; poichè il troppo nuoce, anche se è bello. È quindi da approvarsi l'abitudine ormai invalsa di disporre sulla credenza o su altra tavola tutti gli oggetti che dovranno servire nel corso del pranzo, salvo i bicchieri: sulla tavola da pranzo si troverà soltanto un piatto per ciascun convitato, e una posata. Tovaglia e tovagliuoli di candido lino sono i più adatti in ogni circostanza; potranno anche esser finemente ricamati e traforati con gusto. Oggi, specialmente nei pranzi in campagna e nelle colazioni che abbiano un certo carattere intimo, si fa uso di biancheria colorata; e l'uso non è da disprezzarsi, quando si sappia con gusto scegliere i colori e i disegni. Il pranzo deve esser servito da persone attente e pratiche, in modo che la padrona di casa non sia costretta a correggere gli errori e tanto meno ad alzarsi da tavola. Si cambierà il piatto e le posate ad ogni portata; si serviranno le pietanze alla sinistra di ogni convitato e si eviterà l'uso familiare di posare il vassoio nel mezzo della tavola. Ogni pietanza sarà sempre servita due volte, salvo la minestra e il formaggio; e si farà in modo che fra pietanza e pietanza corra il tempo necessario perchè possano mangiare comodamente anche i più lenti, senza tuttavia esagerare: i lunghi intervalli fra piatto e piatto stancano i convitati e prolungano troppo la seduta a tavola. Nei pranzi di parata, sarebbe una sconvenienza invitare gli ospiti a riprendere ancora di questa o di quella vivanda; ma abbiamo già detto che di tali pranzi non ci occupiamo. In quelli di famiglia, anche se abbiano una certa pretesa d'eleganza, non ci sarà nulla di male se il padrone o la padrona di casa incoraggeranno l'ospite a mangiare con qualche parola cortese; ma, per carità, non s'insista mai su questo punto: detta la parola e ricevuto un cortese rifiuto non è lecito aggiungere altro. Non è neppure segno di buona educazione incitar l'ospite a bere, riempiendogli il bicchiere ad ogni momento, o infastidirlo con dei continui: - Ma Lei non mangia; ma Lei non beve! - L'ospite ben educato sa da sè come deve comportarsi, conosce la capacità del proprio stomaco e ha tutto l'interesse a non levarsi da tavola con la fame come a non prendere un'indigestione. Si lasci dunque fare, o tutt'al più si inviti con parole gentili a non far complimenti e a considerarsi come in casa sua. La parte più scabrosa d'un pranzo è il principio, quando ancora i convitati non si sono ben affiatati, e la tavola è silenziosa. Più tardi, i cibi e il vino, anche se presi in dosi convenienti, faranno il loro effetto: la cordialità regnerà da sovrana e la conversazione diverrà spiritosa e animata. Il padrone e la padrona di casa metteranno perciò ogni impegno a superare quel primo quarto d'ora d'imbarazzo, sostenendo essi stessi la conversazione 7 su argomenti piacevoli e gai; ma sapranno farlo con tatto, in modo da lasciare agl'invitati tutta la libertà di mangiare e di bere. Un pranzo ben riuscito non è soltanto quello in cui siano stati serviti cibi e vini squisiti, ma quello che sia stato rallegrato da una conversazione arguta e piacevole. Quest'ultima qualità essenziale si ottiene soprattutto con una sapiente e prudente scelta dei convitati, invitando persone che per carattere, per cultura, per educazione, per idee, possano stare bene insieme e trovarsi facilmente d'accordo. Esistono individui dotati di particolari requisiti, che sono, in questi casi, veramente preziosi: simpatici all'aspetto, buoni parlatori, faceti, pieni d'un umorismo lepido e castigato. La loro presenza basta a tenere allegra la conversazione, a stabilire legami d'amicizia, sia pure provvisoria, fra i convitati. Un padrone di casa farà gran conto di essi e non mancherà, quand'è possibile, d'invitarli. Finito il pranzo, si suol passare in altra stanza a prendere il caffè e a fumare. Generalmente, si proseguono allora le conversazioni incominciate e la cordialità diviene più espansiva. Il compito dei padroni di casa è quindi di molto facilitato, ma non finito. C'è sempre, fra i convitati, specialmente se numerosi, qualcuno che rimane in disparte, o per naturale timidezza o perchè il genere di conversazione che si sta svolgendo non è adatto per lui. A costui o a costoro si rivolgerà allora l'attenzione degli anfitrioni, i quali troveranno modo di toglierlo dal suo isolamento rivolgendogli parole cortesi o toccando argomenti che sappiano interessarlo. Dopo il caffè, e fatta una mezz'ora di conversazione, gl'invitati prendono generalmente congedo, con parole di ringraziamento, dai loro ospiti. Ma negli inviti che abbiano una certa intimità, e specialmente in campagna, questo periodo del dopopranzo si protrae talvolta a lungo, anche per qualche ora. Se ciò avviene, i padroni di casa hanno il dovere di intrattenere piacevolmente i loro ospiti con qualcos'altro che non sia la semplice conversazione. Se la compagnia è tutta omogenea e vi predomina l'elemento giovane, si troverà modo con molta facilità di passare allegramente il resto della giornata mettendo tutti d'accordo: dei giuochi di sala, i soliti quattro salti, una passeggiata nel giardino o nel bosco sono altrettanti mezzi adatti allo scopo. Ma nel caso, più frequente, di molti gusti da contentare, bisognerà ricorrere a vari espedienti: mentre le persone d'età rimarranno probabilmente in salotto a parlare del più e del meno, gli altri si raduneranno intorno al pianoforte o nella sala da biliardo o scenderanno in giardino all'aria aperta. Toccherà allora ai padroni di casa a farsi in quattro, come suol dirsi, per riparare a questo e a quello, per far sentire la loro presenza dappertutto: fatica non lieve e tutt'altro che piacevole, che si aggiunge all'altra sostenuta durante il pranzo e prima di esso; ma, come dice un proverbio, quando si è in ballo bisogna ballare. Quando gli ospiti si congedano, i padroni di casa li ringraziano dell'onore ricevuto ospitandoli; sicchè, lo scambio di cortesie è reciproco. Dentro gli otto giorni è di regola la così detta visita di digestione.

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Un buon thè non è facile a farsi: occorre provvedersi d'una buona materia prima, che non si trova dappertutto; in secondo luogo conoscer bene la dose, per non offrire una bevanda che sappia d'acqua calda o abbia un sapore astringente, tutt'altro che piacevole. Se dunque vi manca l'abitudine e l'abilità, ricorrete ai consigli e all'aiuto di qualche amica, piuttosto che esporvi alle critiche nascoste, ma sempre poco benevole, dei vostri invitati. Il thè si prepara generalmente sotto gli occhi degl'invitati; ed è la padrona di casa stessa che se ne occupa. Essa versa sulle foglie già preparate l'acqua bollente che le porge la cameriera o che attinge da un samovar, secondo l'uso russo. Nei pochi minuti d'attesa, fino a che il thè sia fatto, la padrona di casa prepara le tazze e s'informa dei gusti degl'invitati. Ad alcuni piace forte, ad altri leggero; chi lo preferisce col latte o con la panna, chi col limone, chi senza alcun ingrediente. La padrona di casa in persona serve il thè, mescendolo nelle tazze e porgendolo agl'invitati: in quest'ultima operazione può essere aiutata dalla cameriera o anche da qualche signora della compagnia, che gentilmente si presti. È un uso ridicolo quello di servire il thè su una tavola apparecchiata, come si servirebbe una colazione. Sulla tavola stanno soltanto la teiera e i dolci; gl'invitati, stando ciascuno al posto che occupano nel salotto, ricevono la tazza e il piattino con la mano sinistra e sorbiscono la loro bevanda senza cambiar posizione: se vien loro dato un piccolo tovagliuolo, lo posano sulle ginocchia, o lo tengono sotto il piattino, a guisa di sottocoppa. I dolci o i crostini che vengono loro offerti, li posano sull' orlo del piattino, tenendo in mano quello che stanno mangiando; è quindi buona regola di non prenderne più di un paio per volta. Questo cerimoniale, consacrato ormai da un uso che ci viene dall'Inghilterra, è tutt'altro che di facile attuazione. Chi non ha una certa abitudine si trova imbarazzato a dover sostenere su di una mano piatto, tazza, cucchiaino, tovagliuolo e dolci, e spesso finisce col rovesciare qualcosa in terra o sul vestito. Ma con un po' di attenzione si finirà sempre col cavarsela con onore. Un thè è tanto più ricco quanto maggiore è l'abbondanza, la finezza e la varietà dei dolci che l'accompagnano. Ognuno sa che esistono i così detti dolci da thè, che consistono in biscotti speciali e pasticcetti assortiti, tutti di piccola mole e di sapore delicato. Ad essi una brava padrona di casa deve aggiungere dei crostini e dei sandwiches, preparati da lei stessa con burro e vari ingredienti, come acciughe, prosciutto, marmellate, ecc., per contentare tutti i gusti. Sulla tavola dove sono disposti, in piatti o piccoli vassoi, i crostini e i dolci assortiti, troneggia generalmente un dolce di grandi proporzioni, per esempio una torta o un plum-cake, tale che possa servire a tutti gl'invitati. Servito il thè nelle tazze, si comincia con l'offrire i crostini, poi i biscotti e i pasticcetti; in ultimo si serve il dolce. Ad ogni persona presente si deve sempre offrire una seconda tazza, e magari una terza, disponendo le cose in modo che il thè non manchi finchè si servono le cose da mangiare. Mostra un'ignoranza assoluta delle regole di buona educazione chi intinge nella tazza del thè i biscotti o i dolci che gli vengono offerti o porta la tazza alla bocca prima di aver finito di masticarli. Ad un invito al thè si va generalmente in abito da passeggio e senza soverchie pretese d'eleganza; ma in casi speciali si può anche esigere un abito più d'etichetta, perfino l'abito da società. La padrona di casa riceve quasi sempre, secondo la moda inglese, col così detto abito da thè, che è un vestito da casa molto fine ed elegante; per le giovinette si preferiscono i colori chiari. Dopo un invito al thè non è necessaria la visita di ringraziamento.

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Quando i mezzi e lo spazio non mancano, si abbia cura specialmente di tre cose: della scelta degl'invitati, dell'addobbo delle stanze da ballo, del buffet. Quelle norme che abbiamo già date sul ballo in genere e sull'accettazione o meno d'un invito, valgono anche qui. Se abbiamo consigliato ad una buona madre di famiglia di non condurre le proprie figlie a ballare in case dove non si sia sicuri d'incontrare una compagnia superiore anche al più lontano sospetto, dobbiamo ora consigliare chi si propone di dare un ballo a scegliere con grande oculatezza gl'invitati, in modo da evitare che qualche elemento discordante turbi l'intimità e la dignità della festa. S'invitino dunque persone della cui buona educazione e correttezza si abbiano prove sicure, scartando tutti coloro che anche lontanamente ci siano sospetti. Secondo l'importanza del ballo, gl'inviti si fanno a voce o per iscritto, e generalmente molto tempo prima (una quindicina di giorni almeno) della data stabilita. È bene ch'essi siano limitati, specialmente se lo spazio di cui si dispone non è molto: l'affollamento nuoce quasi sempre all'andamento regolare della festa. Per quel che riguarda più da vicino i preparativi del ballo, è necessario, per far le cose in regola, avere a disposizione almeno tre sale: una più grande, dove si ballerà; una seconda per coloro che non ballano o si riposano dopo aver ballato; una terza per il buffet. La sala da ballo deve essere molto illuminata e vuota d'ogni mobile: tutt'al più, se è molto grande, può aver tutt'all' intorno degli stretti divani, per i ballerini e le ballerine. In un angolo si farà il posto per il pianoforte o per l'orchestrina. Non importa dire che, se appena appena il ballo è d'una certa importanza, ci devono essere per la musica delle persone apposta: sottoporre al martirio di sonare a ballo per ore e ore qualcuno degl'invitati, è cosa alla quale non si deve neppur pensare. Sul pavimento della sala da ballo si stende generalmente una tela a mo' di tappeto, che trattiene la polvere e facilita i movimenti delle coppie danzanti. La seconda sala sarà invece provvista di ogni comodità. In essa potranno stare a loro agio le mamme che non ballano o coloro che si riposano. Ottima cosa sarà poter disporre di una stanza contigua, riservata specialmente agli uomini che fumano o giuocano; servirà mirabilmente, a questo scopo, la sala da biliardo, se c'è, o anche lo studio del padrone di casa. La sala da buffet rimane generalmente chiusa e oscura fino a quando non entra in funzione, cioè verso la mezzanotte. In essa, su una lunga tavola centrale, o su piccole tavole laterali, sono disposti i cibi e le bevande destinati agl'invitati. La preparazione d'un buffet freddo per una festa da ballo di una certa importanza è un affare difficile e complicato; e la cosa migliore è affidarla a persona dell'arte, risparmiandosi fatiche talvolta, sgradite sorprese. Tuttavia, chi voglia farla da sè, tenga conto soprattutto che la nottata è lunga e che i ballerini sono generalmente molto giovani e d'ottimo appetito. Ci sia dunque una certa abbondanza di cibi e di bevande. In generale i cibi principali sono il pollo in galantina, gli sformati, il prosciutto, i crostini assortiti, le paste dolci, le arance, i mandarini e altre frutta; per le bevande, oltre lo spumante, che è di rito, i vini bianchi e in special modo le bibite ghiacciate, come aranciate e limonate, delle quali si fa durante la notte gran consumo. Quando cominciano ad arrivare gl'invitati, il padrone e la padrona di casa debbono interamente dedicarsi al loro ricevimento, non omettendo mai di presentarli gli uni agli altri, quando non si conoscano. È questa la regola più antica e più comoda; oggi, specialmente quando si tratti di balli con gran numero d'invitati, si omette spesso questo cerimoniale; in tal caso, gl'invitati si presentano fra loro al momento opportuno. Durante il ballo, i padroni di casa e le altre persone di famiglia, se ce ne sono, devono occuparsi soprattutto delle persone che non ballano. Sono queste, in generale, le mamma e i babbi, e quelle povere signorine che la natura matrigna, privandole delle doti di grazia e di bellezza, destina a far da tappezzeria. Il padrone di casa farà dunque l'opera buona d'invitarle ogni tanto, e per turno, a fare un giro con lui, e pregherà garbatamente i suoi amici più intimi a far lo stesso. Intanto la signora terrà circolo con le mamme, cercherà di affiatarle fra loro, intavolerà la conversazione; e quando vedrà che tutto procede bene, potrà anche alzarsi per occuparsi d'altro. Di tanto in tanto, farà anch'essa il suo giro di ballo, accettando qualche invito; ma non ballerà tutta la notte, lasciando la sorveglianza generale della festa. Per dei padroni di casa che desiderano che tutto proceda regolarmente, una festa da ballo esige una gran fatica e molto spirito di sacrifizio. L'unica preoccupazione di chi la dà dev'essere di far divertire gli altri senza pensare a sè; l'unica soddisfazione, quella di veder godere gli altri. Abbiamo parlato altrove degli abiti da ballo. Qui diremo soltanto che il padrone a la padrona di casa devono per i primi strettamente uniformarsi alle regole che hanno stabilite. Se si è imposto l'abito nero, sarebbe una sconvenienza presentarsi in giacchetta, col pretesto che si è in casa propria; se non si è imposto, sarebbe un esporre gl'invitati a far cattiva figura, indossando il frac. Quanto ai figliuoli, se sono molto piccoli, non conviene che prendano parte al ballo: essi sono quasi sempre d'impiccio, e la loro salute non gode a perdere per una notte intera il riposo e il sonno; se sono grandicelli, potranno assistere alla prima parte del trattenimento più come spettatori che come attori; quasi sempre, i bambini che ballano intralciano le danze dei grandi. Queste regole non valgono naturalmente per i balli dei bambini, che si danno nelle ore del giorno. In essi, soltanto i bambini devono ballare, e i grandi, anche se molto giovani, devono far la parte di spettatori. Per quel che riguarda il vestito, una madre saprà vestire il proprio piccino con eleganza, senza arrivare all'esagerazione. Purtroppo si vedono talvolta girare per le sale dei bimbi abbigliati come tante bambole, pieni di fronzoli e di nastri; e la madre che è responsabile di una tale caricatura vien subito tacciata di cattivo gusto. Si può, anzi si deve, unire l'eleganza, alla semplicità, perchè ciò che veramente è elegante non può non essere anche semplice. Tornando all'argomento, la festa ha termine di solito la mattina, fra le quattro e le sei; ma gl'invitati possono lasciarla anche prima, quando lo credano conveniente; nè i padroni di casa hanno diritto di aversene per male. Nelle feste di gran parata e molto numerose, si può filare all'inglese, cioè senza salutare gli ospiti; ma nei balli di famiglia, e quando si abbiano relazioni d'amicizia con chi dà la festa, l'accomiatarsi con parole gentili è d'obbligo. Ed è pure d'obbligo una visita di ringraziamento dentro gli otto giorni.

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Una giovinetta intelligente, quando sia sicura dell'affetto del suo fidanzato, non abbia esigenze irragionevoli, non pretenda da lui sacrifizi gravi e continui; gli uomini in genere, e i giovani in particolare, amano d'essere indipendenti, desiderano di non sembrare schiavi delle volontà e dei capricci d'una donna; sono talvolta bruschi, impazienti, autoritari. In questi casi, la dolcezza e una ragionevole sottomissione, i rimproveri fatti con mitezza e con affetto valgono a raggiunger lo scopo molto più che non le scenate clamorose e violente. D'altra parte, una signorina fidanzata ha dei doveri ai quali non può sottrarsi; essa dev'esser pronta a fare dei sacrifizi, a rinunziare a dei divertimenti, anche innocenti. La società non impone all'uomo e alla donna eguali doveri: sarà forse un'ingiustizia, ma è così, e non è dato a noi di mutare uno stato di cose che dura da migliaia d'anni. Per esempio, una signorina che si recasse a un ballo senza il permesso o all'insaputa del fidanzato, commetterebbe una colpa grave; la mancanza non sarebbe ugualmente grave se fosse invece commessa dal fidanzato. Ma il giovane che ama veramente colei che deve esser sua moglie, non abusi dei suoi privilegi d'uomo libero e indipendente. Si ricordi che, se la donna non può far appello a privilegi sociali, può però soffrire e addolorarsi, può sentir diminuire in sè l'affetto e la stima per lui. La tratti dunque da pari a pari, e ai sacrifizi che le richiede sappia trovar compenso con sacrifizi propri. Soltanto così si cementerà quell'affetto che deve poi durare, secondo la bella espressione biblica, per tutta la vita e più in là.

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La denunzia alla Parrocohia, le pratiche al Municipio vanno fatte da persona esperta, che non abbia la testa fra le nuvole. Accade qualche volta che quando tutto è pronto, magari alla vigilia del matrimonio, la mancanza d'un foglio o d'una formalità costringe a rimandar tutto di qualche giorno. Se dunque si hanno amici o parenti di buona volontà, che prendano sopra di sè l'incarico di fare i fogli, come suol dirsi volgarmente, si accetti con entusiasmo e si serbi loro gratitudine del non lieve favore. In caso contrario si faccia da sè, ma con metodo e senza furia, e non si fissi nulla definitivamente se non si è sicuri che tutto è pronto. Gl'inviti ai parenti e agli amici si facciano almeno otto giorni prima, per dar tempo alle signore di preparare le loro toilettes. Se la cerimonia è d'una certa importanza, si faranno per iscritto e magari a stampa; se si tratta di cosa intima, basterà farli a voce. Di ritorno dalla cerimonia religiosa e civile, gli sposi e gi'invitati si riuniscono a una colazione intima. Quest'uso è preferibile all'altro, più antico e ormai quasi abbandonato, del pranzo di nozze. Una lunga seduta a tavola male si addice a persone, quali gli sposi e i loro genitori, che hanno passato una mattinata piena di emozioni dolci ma gravi, e che hanno in cuore il pensiero doloroso del prossimo distacco. Una colazione richiede tempo e fatica minori, e si svolge con più comodità. Essa si fa generalmente nella casa della sposa; ma oggi si usa anche farla in un locale pubblico, in un albergo o in un ristorante; e bisogna convenire che un tale uso, per quanto poco simpatico, offre vantaggi non trascurabili, togliendo ai parenti della sposa, affaticati e preoccupati da tante altre cose, una causa di nuove e non lievi fatiche e preoccupazioni.

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Soprattutto, se il marito vede nella moglie, o la moglie nel marito, abitudini, idee, desideri non buoni e non convenienti, non abbia la sciocca pretesa di rimediare a tutto in quattro battute, con poche e imperiose parole. Il carattere della donna è spesso impulsivo e permaloso, e si ribella a imposizioni perentorie; preso invece pel suo verso, e dal lato dell'affetto, cede facilmente e volentieri; l'uomo ha quasi sempre un senso esagerato della propria dignità, e non di rado gli ripugna cedere a una volontà femminile; cede invece alla preghiera, all'osservazione fatta con tatto e con delicatezza. L'uomo deve evitare con cura particolare, soprattutto nei primi tempi del matrimonio, di opporsi con troppa ostinazione alle abitudini che la sposa ha portato seco dalla sua famiglia. Sono abitudini inveterate, adottate fin dall'infanzia, alle quali non si rinunzia facilmente; se esse sono davvero tali da dover esser cambiate (se non lo sono, è meglio, per la pace della famiglia, lasciarle stare), si procederà per gradi, con pazienza, facendo più concessioni che sia possibile. Il più delle volte, ripensandoci bene, si troverà che non vale la pena di sollevare incidenti per questioni di secondaria importanza. Non importa dire che la donna dovrà a sua volta rispettare e, fin dove può, adottare le idee e le abitudini del marito: essa si è già dedicata tutta a lui, davanti a Dio e alla società, accettandone il nome.

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Appena entrata nella propria casa, la giovane sposa deve cercare di darle un carattere personale; in modo che ogni stanza riveli le sue cure, ogni oggetto abbia impronta delle sue mani. Solerte, attiva, vivace, essa animerà come d'un soffio magico la troppo quieta serenità dei primi mesi, in attesa che un essere caro richiami a sè gran parte della sua attenzione. Sorveglierà la pulizia delle stanze, la cucina, la dispensa; s'ingegnerà di fare cosa grata al marito preparando per lui o aiutando a preparare quei cibi che più gli piacciono; andrà superba di lui, esigendo che sia sempre lindo, corretto, elegante; e perciò avrà cura dei suoi vestiti, badando che le persone di servizio si occupino di stirarli, di smacchiarli, di rimetterli nelle pieghe; se non è ricca, eseguirà da sè queste piccole incombenze. Nel far le spese, sarà economa senza avarizia, considerando che ogni risparmio diminuisce i pensieri del marito e agevola problemi dell'avvenire. Naturalmente, nei primi tempi ci saranno errori inevitabili; ma un buon marito, che vede e comprende tutta la buona volontà della sua compagna, non penserà ad arrabbiarsi se un giorno il pranzo non è sufficiente a levar la fame o se il giorno seguente è più che il doppio del necessario; e neppure se la minestra è troppo salata o l'arrosto bruciato. Saprà prender la cosa in ischerzo e cancellerà con un bacio le lacrime della mortificata sposina. Il tempo è maestro incomparabile, e in un giorno non lontano tutto procederà con regolarità e con esattezza. Non appena entrata nella nuova casa, la giovane signora compri o si faccia comprare dal marito un bel libro di conti, e vi segni ogni giorno le spese fatte, tirando la sera le somme e riscontrando la cassa. E un'ottima abitudine, che la signora adotterà anche se il marito non lo creda necessario. Gli uomini sono alle volte un po' curiosi: lasciano che la moglie faccia a modo suo le spese giornaliere, danno senza fare osservazioni i denari richiesti, lodano, incoraggiano.... poi un bel giorno fanno i loro conti, vedono che le spese sono troppo forti e, in un momento di cattivo umore, lanciano un rimprovero che spiace e mortifica. - Come mai solo andati via tanti denari? Che spese hai mai fatto? Possibile che si sia speso tanto? - e altre simili querimonie. In questi casi, un bel libro coi conti in regola, da squadernare sotto gli occhi del marito imbronciato, è la più bella difesa e la più grata rivincita. - Facciamo pure maggiori economie, - potrà rispondere la sposina - ma fino ad oggi i denari non sono stati sprecati, e la prova è in questo libro. - Come regola generale, una buona massaia non deve mai fare coi fornitori conti grossi. L'uso di pagare giorno per giorno, divenuto ormai generale nelle famiglie ordinarie, è ottimo: si evitano così sorprese e pensieri alla fine del mese, e si sa meglio come regolarsi. Se un giorno le spese sono state troppo forti, si potrà fare, il giorno dopo, qualche piccolo risparmio che metta in pari il bilancio. Spese d'una certa entità si faranno invece per mettere in casa certe provviste indispensabili; ma non si esagererà neppure in questo. Chi vive specialmente nelle grandi città non ha bisogno di empirsi la casa di roba, che può sempre guastarsi con inutile sciupio di denaro; e d'altra parte la troppa abbondanza di certi generi, anche se comprati a buon prezzo, non è fonte di risparmio: quel che si ha sotto mano, si consuma più facilmente. La padrona di casa che abbia al suo servizio persone di cui non sia per lunga prova sicura, non si abbandonerà ad una fiducia cieca e irragionevole; terrà d'occhio le provviste, avrà cura di non lasciare armadi e cassettoni aperti; ma tutto ciò saprà farlo senz'ostentazione e con prudenza, per non offendere chi ha diritto, su questo punto delicato, a ogni riguardo. Nei rapporti con la servitù sarà affabile e gentile, ma esigerà rispetto e obbedienza; non farà rimproveri fuor di luogo, nè mai con ira o con disprezzo, ma non permetterà risposte brusche o scortesi. Generalmente, i rapporti con le persone di servizio sono, per una padrona di casa ancora novizia, tutt'altro che facili. Alcune sposine di mia conoscenza le trattano in modo tale, che ogni mese vengon piantate in asso; altre sono le schiave di coloro che dovrebbero dominare, e non osano fare la più piccola osservazione. Energia e cortesia, ecco le due qualità necessarie; e in questo, come in tante altre cose, la sposa novella potrà prendere utili consigli e ammaestramenti dalla propria madre, dalla suocera, e ricorrere, quando sia necessario, all'autorità del marito.

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- a cercare altrove compagnia e gaiezza; e una volta che abbia preso l'abitudine di star fuori, è motto difficile ricondurlo all'ovile. Dal canto suo, il marito non sia troppo esigente; e soprattutto non sia un egoista. Se l'assenza della moglie non è un'abitudine, non s'impenni e non gridi la prima volta che non la trova in casa; la moglie non è una schiava da trattar malamente. Se da giovanotto s'è abituato a passar le serate fuori di casa, bisogna che, ammogliato, si dimentichi di quell'abitudine; non val la pena di prender moglie, se si vuol seguitare la vita di scapolo. Tuttavia, una moglie fine e intelligente saprà, all'occorrenza e senza farsi pregare, assecondare il desiderio del marito; cercherà di non fargli troppo pesare la catena coniugale, invitandolo essa stessa ad uscire per una breve passeggiata e non rifiutandosi mai d'accompagnarlo, se ne è pregata, anche se l'acconsentire le costi un po' di sacrificio. Così, con mutue concessioni, finisce col cementarsi quell'intesa perfetta, che dura poi per la vita, e resiste alle prove più difficili.

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Che abbia sbagliato la misura? E ora come si fa? Lo sai tu com'è grande un bambino appena nato? - Io no: non ne ho un'idea chiara. E tu? - Nemmeno io. Oh, che disgrazia! - Fortunatamente, sopraggiunge la madre o la suocera, e rimette le cose a posto. - No, la misura è giusta; sono tanto piccini i bambini appena nati! - Una sposina novella è sempre un po' proclive ai balocchi. Non sono poi molti anni che si divertiva con la bambola; e so di alcune che se la son portata seco nella cassa del corredo, come un oggetto di grande importanza. Sicchè non c'è da meravigliarsi se, nel preparare il corredo per l'erede, la futura mammina si balocca un po', come faceva quando vestiva la bambola. Innocente divertimento, e sicura promessa d'un serio avvenire. Quanto è preferibile che una giovane sposa passi le giornate intere a cucire un vestitino che poi, all'atto pratico, le sarà di poca utilità, piuttosto che vederla trascurare i suoi doveri di madre futura e, senza occuparsi d'altro, comprare al momento decisivo un corredo bell'e fatto! Tuttavia, se è intelligente e assennata, essa non farà tutto di propria testa e prenderà consiglio da chi ne sa più di lei. Ecco uno dei casi in cui la madre e la suocera possono dare un aiuto prezioso. I nastri, le trine, le sete, il raso sono cose buone e belle; ma il piccolo essere che presto vedrà la lace ha bisogno di tante altre cose, meno belle ma più utili; sarà un tiranno esigente e poco bene educato, che non farà gran consumo di berrettine e di vestiti di lusso, ma sciuperà e macchierà ogni giorno tanti altri indumenti certo meno eleganti, ma molto più necessari. Le mammine che fanno la prima prova s'accorgono quasi sempre d'aver sciupato tempo e denaro in molti capi di secondaria importanza, e di non aver provveduto a sufficienza quello che più importava. E per evitare tale inconveniente, faranno bene a ricorrere al consiglio e all'aiuto di chi ha maggiore esperienza. Dunque, si farà in modo che accanto alla roba di lusso e di figura vi siano parecchie dozzine di quegli oggetti di prima necessità, dei quali si fa tanto consumo; e si cercherà che siano di tela forte e resistente, di ottima lana, grandi e comodi. Via via che si confezionano, si metteranno da parte e se ne empirà una bella cassa, senza paura di esagerare nel numero; di quegli oggetti, più ce ne sono e meglio è. Ad una buona mammina non consiglieremo di tenere con ogni cura il corredo del suo piccino. Sarebbe un consiglio inutile, perchè la donna è di per sè previdente e assennata, specialmente quando si tratta di cure materne. Ad ogni modo crediamo bene avvertirla dell'utilità di non metter mano a troppa roba tutta insieme: prelevi via via dalla cassa del corredo quello che è puramente necessario, e ne faccia uso fino a consunzione, non attingendo alla riserva se non quando non ne può fare a meno. È questa una buona tattica, non solo in questa circostanza, ma in ogni emergenza della vita. Anche i buoni generali vincono con essa le più difficili battaglie!

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Avanti di entrare in trattative, bisognerà esser sicuri che sia giovane, sana, onesta e discretamente agiata, che non abbia in famiglia tare ereditarie, che il marito sia laborioso e senza vizi, ecc. Naturalmente, tutto ciò non si potrà fare senza l'aiuto di un medico, nel quale si abbia grande fiducia e che possa esaminare la donna con scrupolo e con coscienza. Le trattative si inizieranno dopo, quando si è sicuri di ciò che più importa. Una madre che rinunzia ad allattare da sè il proprio bambino, desidera quasi sempre - ed è naturale - di avere la balia in casa. Ma purtroppo ragioni di carattere finanziario spesso si oppongono alla realizzazione di un così giusto desiderio. Una balia in casa costa molto, e come baliatico e come trattamento, e richiede in più spese d'impianto non indifferenti. Se dunque non si può, si rinunzi coraggiosamente al bel miraggio, e si dia il bambino a balia fuori. Il sacrifizio sarà grande, ma offrirà, in compenso, dei vantaggi. Se la balia è buona e onesta, l'allattamento riuscirà meglio lasciando la nutrice nel suo ambiente e nelle sue abitudini. Non di rado la balia campagnuola, avvezza all'aria aperta e a un cibo sano ma ordinario, soffre a star rinchiusa in una casa cittadina e a empirsi lo stomaco di pietanze delicate, alle quali non è abituata; allora tutte le funzioni del suo organismo si turbano, e prima ch'essa si adatti al nuovo regime passano delle settimane, talvolta dei mesi, durante i quail il bambino cresce su stento e da poco. Dunque, tutto il male non viene per nuocere, e la mamma può consolarsi al pensiero che, in fondo, il sacrifizio ch'ella fa sarà tutt'altro che dannoso al suo bimbo, che avrà poi il vantaggio inestimabile di vivere in campagna, all'aria aperta. Del resto, coi mezzi di comunicazione d'oggi, e salvo casi eccezionali, una balia non è mai troppo lontana; e la madre, il padre e le persone di famiglia si faranno un obbligo di visitarla spesso. In queste visite, si renderanno conto delle condizioni del bambino, e osserveranno soprattutto se è curato con amore e con pulizia. La balia si affeziona al figlio altrui, come se fosse suo, ed ha per lui cure veramente materne. Quando questo si verifica - e si verifica quasi sempre - i genitori possono star tranquilli: il loro bambino è in buone mani. Perciò, non si lamenteranno troppo delle abitudini rozze o contadinesche della balia o della sua famiglia, e se esse non sono addirittura contrarie all'igiene, non le rileveranno neanche. Già, sarebbe inutile; perchè la balia, partiti i genitori, farebbe di nuovo come prima; e poi il bambino, abituato ormai all'ambiente, non ne risente danno. Certo, quando si ha la balia in casa, le cose, per molti rispetti, vanno meglio, e la madre è più tranquilla, senza quel rodìo di pensare al suo bambino lontano. Ma, anche in questo caso fortunato, tutto non è sempre di color di rosa. La balia è spesso ignorante ed esigente; nella sua astuzia di montanara, essa sente tutto il privilegio della sua posizione, e ne abusa. Sa che, per rispetto al bambino, non le si possono fare nè osservazioni nè rimproveri, e a forza di chiedere e di volere finisce col diventare la vera padrona di casa. Occorrono perciò, nel trattare con lei, molta prudenza e molto tatto, non disgiunti però da una certa energia. La madre e il padre debbono, fino dai primi giorni, sapersi imporre, senza esagerare nelle attenzioni e nelle gentilezze, come spesso avviene per un malinteso affetto verso il bambino. La balia s'accorge subito che nessuno, nella nuova casa, le mancherà di rispetto e di riguardo, ma che, nello stesso tempo, nessuno si lascerà soverchiare da modi sgarbati o esigenti; tutti saranno disposti a trattarla alla pari, con amorevole deferenza, ma tutti si opporranno ai suoi ordini o ai suoi capricci. Una volta messe così le cose a posto, il periodo del baliatico trascorrerà senza gravi incidenti; la nutrice, capito una volta per sempre che deve anch'essa sottostare a quella disciplina che regola tutti gli altri membri della famiglia, farà il suo dovere senza troppo ricalcitrare. Alla balia, in casa e fuori di casa, si faranno spesso regali. È un uso ormai vecchio, e anche ragionevole. I regali predispongono l'animo alla benevolenza e alla riconoscenza, doti troppo necessarie in chi ha in mano le sorti d'un essere caro. Un regalo di maggiore importanza si usa fare quando il bambino mette il primo dente: un paio d'orecchini, uno spillo d'oro o un vestito, a seconda della condizione e del desiderio della balia stessa. Se la balia ha altri bambini, non si dimenticheranno neanche quelli: ogni cortesia fatta ad essi ridonda a vantaggio del proprio bambino. Un ultimo regalo si fa quando si divezza il bambino, cioè, in generale, quando ha termine il baliatico. Si sia esatti nel pagare gli onorari alla balia, nè ci si culli nell'illusione ch'essa compia il suo ufficio con disinteresse. Una donna che non ne ha bisogno non allatta bambini altrui; soltanto la necessità di guadagno la induce a sobbarcarsi a un compito incomodo, faticoso e pieno di responsabilità, anche se dopo le diverrà piacevole. Ora, coloro che vivono nell'agiatezza non sanno in generale di quali preoccupazioni e imbarazzi possa esser causa un ritardo di pochi giorni nel pagamento di ciò su cui altri ha fatto conto. In molte famiglie si usa di vestir la balia in modo grottesco, con costumi fantastici o tradizionali. Senza riprovare assolutamente quest'abitudine, siamo di parere che anche in questo, come in tutte le cose di questo mondo, la semplicità sia da preferirsi. È passato il tempo delle livree chiassose per fare impressione sulle persone semplici e sciocche; e il denaro costa oggi troppe fatiche per sciuparlo in inutili cianfrusaglie. S'intende però che una balia ben vestita non solo fa onore a chi la tiene presso di sè, ma diffonde intorno a sè un senso di benessere e di pulizia, che ridonda in gran parte a vantaggio del suo allievo.

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Non si creda tuttavia che chi ha molti domestici abbia poco da fare. Tirate tutte le somme, è forse più da invidiare la modesta massaia che fa molte cose da sè con l'aiuto di una sola donna di servizio. Del resto, una massaia intelligente saprà distinguere il necessario dal superfluo, e quando le forze o il tempo non le bastino, sacrificar questo a vantaggio di quello.

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Chi tende la biancheria all'aria aperta, per esempio su una terrazza, abbia cura di fissare bene alla corda ciascun capo, per evitare che il vento lo porti via e lo disperda. La cura della biancheria è, per una madre di famiglia ordinata e diligente, una delle più importanti. Poche cose, in una casa, portano via tanto tempo, costano così care, esigono tanta pazienza. Il riguardare il bucato è cosa lunga e minuziosa, tanti sono i particolari di cui si deve tener conto: i buchi, gli strappi, i nastri, i bottoni mancanti, ecc. ecc. Un'ultima raccomandazione. Fate in modo, se è possibile, di sostituire via via la biancheria che più non serve con altrettanta biancheria nuova. Sottoponetevi magari a gravi sacrifizi, rinunziate a spese d'altro genere, ma non lasciate che il vostro tesoro di lino e di canapa diminuisca continuamente immiserendosi sempre più. Trascurando questo particolare e attingendo alle riserve, verrà un giorno in cui vi accorgerete con spavento che tutto è da rifare, con una spesa di gran lunga superiore alle vostre forze. Invece, riempiendo i vuoti volta per volta, ve la caverete con spese insignificanti, e la vostra provvista rimarrà intatta.

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È raro il caso che un appartamento moderno di città non abbia luce elettrica; ma ciò può capitare spesso in campagna e in montagna. Bisognerà allora ricorrere ai vecchi sistemi, e sarà una cosa tutt'altro che piacevole. Tuttavia si farà di necessità virtù, e ci si rassegnerà a fare un passo indietro di parecchi decenni. In campagna non ci sarà da scegliere che fra il petrolio e l'acetilene, due mezzi d'illuminazione, ognuno dei quali ha i suoi vantaggi e i suoi inconvenienti: il lume a petrolio si prepara più facilmente e in minor tempo, ma dà una luce gialla, pesante e poco intensa, alla quale l'occhio si abitua difficilmente; il lume ad acetilene dà una luce viva, chiara, brillante, altrettanto simpatica quanto quella elettrica, ma è più noioso a mettere in ordine e richiede una sorveglianza continua; l'uno e l'altro poi non sono privi di pericoli, se non si usano con le dovute cautele. Ad ogni modo, qualunque dei due sistemi sia il preferito, la brava massaia farà in modo che i lumi siano preparati la mattina, alla luce del giorno; prepararli la sera richiede più tempo e aumenta il pericolo d'uno scoppio o d'un incendio. E poichè tanto i lumi a petrolio quanto quelli ad acetilene non si devono portare nelle camere, si metteranno in ordine ogni giorno i candelieri, togliendo via la cera colata e sostituendo a suo tempo le candele ai mozziconi. I candelieri e le bugie si puliranno a fondo di tanto in tanto, lustrandoli e lucidandoli se sono di metallo. A chi possiede una villa o una casa di campagna e non può avere la luce elettrica, consigliamo di metter su un piccolo impianto ad acetilene. È cosa utilissima, che richiede oggi una spesa relativamente piccola: ci sono dei gasometri semplici, sicuri, economici che servono mirabilmente allo scopo e risparmiano tante noie: una sottile conduttura di piombo si dirama nelle varie stanze (escluse le camere) e termina ai vari beccucci. È precauzione essenziale mettere il gasometro fuori di casa, per evitare che qualcuno si avvicini ad esso con un lume acceso; si otterrà così anche il vantaggio di non riempire la casa di quell'odore tutt'altro che piacevole che emana dal carburo. Questo si terrà in scatole o bidoni di latta ben chiusi e in luogo asciutto. Il caricamento del gasometro va fatto sempre di giorno. Piuttosto che avvicinarsi ad esso con un lume, si rinunzierà, per quella sera, alla luce del gas e si ricorrerà alle candele. Meglio così, che mettere a rischio la propria vita.

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Ma non vorremmo che qualche nostra lettrice credesse che la padrona di casa abbia l'obbligo di curare l'apparecchiatura soltanto in certe circostanze speciali. Se fosse così, cambi subito idea: una brava massaia dà sempre alla tavola da pranzo le cure più amorose e più minuziose. La vita moderna, più assai che quella d'un tempo, è piena d'occupazioni e di preoccupazioni. Per acquistarsi un buon nome, per vincere la concorrenza altrui, per guadagnare ogni giorno il necessario per la famiglia, l'uomo si sottopone a una fatica giornaliera grave e snervante. Esce di casa la mattina presto - d'inverno non è ancora sorto il sole - e si reca al banco, all'ufficio, allo studio, dove l'attende un lavoro che l'assorbe per ore ed ore; si concede appena un'ora o due al massimo, per mangiare un boccone e prendere un istante di riposo, e torna di nuovo alle sue occupazioni che si prolungano fino a tarda sera, fino all'ora in cui rincasa per godere finalmente un po' di quiete in famiglia, con la moglie e i figliuoli. È stanco, affamato, qualche volta inquieto e nervoso. Nulla giova più a ridare la calma e la tranquillità a un animo esacerbato, quanto il trovare la casa in ordine, la stanza da pranzo sgombra e pulita, la tavola bene apparecchiata. Sul biancore immacolato della tovaglia, sotto la luce gaia della lampada, brillano le stoviglie disposte con simmetria, scintillano le posate ben allineate, splendono i bicchieri e le bottiglie, ciascuno al loro posto. Emana da tutto l'insieme un senso di pace domestica, che penetra nel cuore e lo dispone alla bontà e alla gentilezza. Una moglie che credesse di potere, quando non ci sono invitati, far le cose alla svelta, buttando giù sulla tovaglia quattro piatti e quattro posate, senz'ordine e senza gusto, mostrerebbe di non conoscere i primi elementi del buon senso. Colei che non vuole o non sa render gradita la casa al marito, non avrà poi il diritto di lamentarsi se questi prenderà l'abitudine di passar fuori le sue ore di riposo. Dopo un pasto affrettato, in una stanza in disordine e su una tavola disadorna e poco pulita, in mezzo ai figliuoli chiassosi e turbolenti, non ci sarà da meravigliarsi s'egli si metterà il cappello, accenderà il sigaro e si recherà al caffè o al circolo, a cercarvi quello che non ha trovato in casa: la tranquillità, l'ordine, la pulizia. Sono stati scritti dei libri interi per dimostrare che l'uomo sta troppo a tavola, e mangia il doppio di quel che dovrebbe; si sono scagliati anatemi contro i cibi troppo saporiti e complicati, e si è raccomandato all'umanità intera di mangiar poco e sempre roba semplice. Tutto questo è certamente gusto, nè noi consigliamo alle massaie d' imbandire ai loro mariti e figliuoli pranzi luculliani, con grave scapito della salute e della borsa. Ma fra semplicità a trascuratezza c'è un abisso, e tutti gli eccessi sono viziosi. Del resto, a tavola non si sta solamente per mangiare; l'ora del pranzo è quella in cui tutta la famiglia si riunisce, in cui si inizia e si svolge quella conversazione intima, nella quale si riepilogano tutti gli avvenimenti della giornata, si fanno disegni sull'avvenire, si discutono argomenti che c' interessano, s' interrogano i bambini sui loro studi, sui loro giuochi: ora deliziosa, che rafforza i vincoli familiari, ribadisce ed accresce gli affetti più puri. Non date dunque al vostro pranzo l'aspetto di un episodio della giornata breve e momentaneo, di una di quelle cose che si fanno alla svelta per non pensarci più. La tavola sia dunque ogni giorno apparecchiata con cura e con amore: una brava donnina da casa ci penserà da sè, risparmiando una fatica alla donna di servizio e compiendo la bisogna molto meglio e con più intelligenza. Piatti e bicchieri siano sempre ben puliti e asciugati e la tovaglia sempre candida: non si aspetti a cambiarla quando è piena di macchie di vino o di caffè: nulla di più orribile che un'apparecchiatura elegante su una tovaglia sudicia. Anche il servizio del pranzo dev'esser sempre fatto con proprietà e con una certa eleganza: certe cure non costano nulla e valgono molto. Non si permetta alla donna di servizio di venire a servire in tavola senza grembiule o con quello da cucina; non si facciano portare le vivande nei tegami e nelle cazzaruole, ma si abbia cura che siano sempre disposte sui vassoi e accomodate con una certa eleganza; non si lascino sulla tavola scodelle o piatti sudici e che non servono più: ne deriverebbe una confusione tutt'altro che piacevole all'occhio. Mangiando, si osservino le regole della decenza e della buona educazione, nè si creda, perchè non c'è nessuno di fuori, di poter fare il proprio comodo. Chi è abituato a mangiar male, prendendo i cibi con le mani o masticando rumorosamente, non saprà all'occasione comportarsi da persona fine e educata, o sarà costretto a fare uno sforzo, che non sfuggirà agli altri convitati. Ordine e decenza nel mangiare si esigerà anche dai figliuoli fin dalla più tenera età, ammonendoli e sorvegliandoli; imparano presto e conservano poi le abitudini apprese da piccoli, per tutta la vita. Qualche fiore nel centro della tavola non dovrebbe mai mancare: è un uso gentile, pieno di festiva allegria. Non importa che i fiori siano molti e neppure di specie rara: basta un nonnulla per rallegrare la tavola. Nell'inverno, quando i fiori costano cari, chi non può spendere può sostituirli con una piantina in vaso che, se ben curata, dura parecchi mesi.

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Se tale non è quella nella quale egli dorme abitualmente, si cerchi, se è possibile, di trasportarlo in un'altra che abbia i requisiti richiesti. Lo spazio facilita le cure necessarie e rende più igienico il soggiorno; la luce e il sole rallegrano l'ammalato e contribuiscono alla sua guarigione. Tutto ciò che è nella camera deve esser tenuto con pulizia meticolosa, dal pavimento ai mobili e agli oggetti d'ornamento. L'aria deve esser cambiata spesso, o aprendo la finestra quando si tratti di malattia che non interessi i bronchi e i polmoni, o aereando le stanze adiacenti, in caso contrario. Generalmente, seguendo un'antica abitudine, si esagera sempre nel tener chiusi e tappati in camera gli ammalati, sottraendo loro quell'ossigeno che è condizione essenziale di vita: oggi, negli ospedali meglio tenuti, si curano gli ammalati con le finestre aperte. Non vi trattenete mai in molti nella camera d'un malato. Se è grave o debole, lo stancate e affaticate con la vostra presenza; ad ogni modo, gli rendete l'ambiente malsano, impoverendogli l'aria respirabile. Quando siete presso di lui, non parlate a voce alta, non chiacchierate troppo, non fumate; se siete in visita, trattenetevi solo pochi minuti. Per la cura diretta della malattia, attenetevi scrupolosamente alle prescrizioni del medico. Una volta chiamato il medico, egli diviene padrone assoluto dell'ammalato, ed è necessario avere in lui intera fiducia. Se avete ragione di dubitare della sua scienza o della sua coscienza, cambiatelo (questi cambiamenti devono tuttavia esser fatti con gran cautela e senza precipitazione); ma una volta che vi siete affidati a lui, i vostri pareri e le vostre ipotesi non contano più nulla. Niente è più antipatico e insieme più pericoloso che mettersi a discutere il metodo di cura, la diagnosi, le ricette, le prescrizioni: peggio ancora se si dà ascolto ai parenti e agli amici, i quali hanno tutti da suggerire un medico più bravo, una cura diversa. L'uomo della scienza ha fatto studi lunghi e difficili, ha senno, pratica, abilità; è quindi, per ogni verso, in condizioni migliori di voi per giudicare. Chi di voi si attenterebbe a dar consigli a un muratore sul modo d'inalzare una parete o a un legnaiolo sul come costruire un armadio? Eppure quasi tutti non si riguardano dal sindacare l'opera d'un medico! Superata la malattia, incomincerà la convalescenza. È questo forse il periodo più pericoloso, quello che richiede, da chi assiste il malato e specialmente dalla madre che cura il proprio bambino, la più attenta sorveglianza. Il medico ha ormai compiuto il suo ufficio; egli dirada le visite, dà le ultime prescrizioni e se ne va. Restano, l'uno di fronte all'altra, il convalescente e la sua infermiera: l'uno pieno di desideri, di voglie, di capricci, l'altra con un'autorità diminuita, ora che le cose vanno bene. Se il convalescente è un bambino, e l'infermiera la mamma, le cose si complicano ancor più. Il bambino, che si sente rinascere, non vuol più stare a letto, rifiuta il brodo, il latte, le minestrine; ha una fame che lo divora, vuole la carne, il pane, e tutto in grande abbondanza. La mamma, poverina, felice di vedere il suo caro pieno di vita, così allegro, così rumoroso, si prova da principio a far la severa, a dir di no; ma poi si lascia commuovere e finisce col cedere. Il bambino fa a modo suo, e il giorno dopo.... daccapo la febbre, daccapo preoccupazioni e pensieri. E il medico, che non doveva più venire, è richiamato in fretta. Mammine indulgenti, non vi lasciate convincere; siate inesorabili e sorde a ogni preghiera. Avete sofferto troppo, nei giorni d'incertezza e di paura, per rischiare, con un'imprudenza, di tornar da capo. La salute, e soprattutto quella riacquistata dopo tante trepidazioni, è un dono così prezioso, che non val la pena di arrischiarla di nuovo per soddisfare un capriccio. Fra qualche giorno il vostro bambino sarà completamente ristabilito, sarà alzato, uscirà fuori, si sederà a tavola con gli altri, e il vostro cuore esulterà. Volete ritardare l'arrivo di quel bel giorno?

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Una signora non bella, ma vestita con semplice eleganza, ben educata nei modi e nel parlare, cólta, distinta, piacerà infinitamente più di un'altra che abbia tutte le attrattive della bellezza, ma non si sappia vestire, manchi d'armonia, di finezza, sia sgraziata nel muoversi e nel parlare. Una volta, un artista di buon umore si divertì a ricopiare le più belle statue greche: la Venere di Milo, la Venere dei Medici, la Diana del Vaticano, l'Apollo di Belvedere; e le presentò al pubblico vestite d'abiti moderni. Che disillusione! Quei visi, così belli nella loro classica severità, nella purezza delle loro linee, non si riconoscevano più; parevano diventati duri, arcigni, rozzi. Tanto la veste moderna sciupava l'armonia che lo scultore greco aveva intravista e affermata tra la faccia e il resto del corpo. Tutto quel che abbiam detto ci porta a una sola conclusione: che le doti naturali sono una gran bella cosa, ma che non bastano da sole a render l'uomo perfetto; e non sono poi tali da non potersi, quando mancano, esser sostituite da qualità acquisite; chè anzi assai spesso si rimedia con l'arte a quello che l'avara natura ci ha negato. Ora, l'uomo che vive nella società degli altri uomini può e deve valersi di tutte quelle risorse che giovino a mettere in valore i suoi pregi o a rimediare alle sue manchevolezze; e i mezzi per raggiunger lo scopo sono appunto le buone maniere, la correttezza, l'educazione; le quali non si potranno mai ottenere, se non si conosceranno le norme del buon vivere, le regole sociali, i doveri e i diritti dell'uomo nella famiglia e nella società. Queste norme, queste regole, questi doveri e questi diritti saranno esposti nel libro che incomincia; e saranno esposti così alla buona, in tono, quasi, d'amichevole conversazione. Poichè non ci piace salire in cattedra e prendere un atteggiamento dottorale; nè, d'altra parte, intendiamo di rivolgerci a un ceto particolare di persone, ma a tutti coloro, in generale, che intendono vivere civilmente, lontani da ogni eccesso, così dalla troppa rigidezza di costumi come dalla soverchia libertà. Chè tanto è riprovevole colui che si crede lecito infrangere le leggi più comuni e più sante del consorzio civile, quanto colui che, attenendosi ad esse con ferreo rigore, finisce col precludersi ogni mezzo di perfezionamento morale e materiale.

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Ma, anche in questo caso, non si abbia furia, e si aspetti l'occasione propizia. Chi replicasse subito ad un regalo con un altro regalo, mostrerebbe di non voler avere obblighi di riconoscenza verso chicchessia; e passerebbe anche per scortese.

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Si abbia tuttavia cura di far in modo che lo spazio disponibile sia sufficiente a scrivere quel che ci preme di dire. Molti usano, dopo aver scritto tutta la cartolina, di seguitare a scrivere per traverso, formando una specie di reticolato tutt'altro che piacevole e comodo a leggere. È una pessima abitudine e una mancanza di riguardo. Conosco delle persone nervose che quando ricevono una cartolina o una lettera scritta così la buttano nel cestino senza leggerla; e non hanno tutti i torti. I biglietti da visita sono riservati alle persone adulte: uomini, signore maritate, vecchie signorine. I ragazzi e le signorine da marito non ne devono avere. Il biglietto da visita dev'esser semplice, in cartoncino bianco, possibilmente impresso in litografia, in caratteri seri senza svolazzi e girigogoli. Porterà impresso il nome, il cognome da maritata seguìto da quello da ragazza (di quest'ultimo si può fare anche a meno) per le signore; il nome e cognome per l'uomo. Poichè il biglietto da visita serve spesso da presentazione a persone che non ci conoscono, sarà necessario che porti anche i titoli, accademici o nobiliari, del titolare. Ma si farà in modo da evitare ogni sciocca ostentazione. Le persone alto-locate o comunque insignite di cariche o di onorificenze, faranno bene a usare due specie di biglietti da visita, una col semplice nome e cognome, un'altra con tutta la bardatura dei titoli. Se in certi casi il biglietto « ufficiale » può essere utile, in tanti altri servirà molto meglio quello semplice e familiare. Sui biglietti si scrivono spesso poche parole di augurio o di condoglianza o di congratulazione. Si cerchi sempre di esser brevi e cortesi. Le partecipazioni, gl'inviti a pranzi, a balli, a ricevimenti, ecc. si facciano sempre stampare su cartoncino. Per tal genere di stampa ci si può permettere anche un certo lusso di carta o di caratteri, non escluso qualche fregio elegante e di buon gusto. Ma si badi di far cosa artistica e di non degenerare nello sguaiato o nel comune. Quanto alla dicitura degli inviti e delle partecipazioni, non è qui il caso di dare consigli troppo particolari. Come norma generale, si cerchi sempre di esser semplici e corretti, evitando frasi troppo lunghe o contorte, periodi sgangherati o mal fatti. Se non si è in grado di compilare qualche cosa di adatto, si ricorra a chi, per cultura e intelligenza, ci è superiore. Per le partecipazioni di matrimonio, usava fino a pochi anni fa, e senz'eccezione, un cartoncino doppio. Sulle due facciate interne il padre e la madre dello sposo e della sposa annunziavano, ciascuno per conto suo, il lieto avvenimento nei riguardi della propria prole. Oggi quest'uso tende a scomparire: gli sposi stessi fanno da sè la partecipazione: N.N. ed N.N. annunziano il loro matrimonio; oppure: N.N. ed N.N. oggi sposi. Sono questioni di moda, sulle quali non c'è da ridire: tuttavia, se ci è permesso di esprimere il nostro parere, diremo che l'uso antico aveva un non so che di più intimo e di più solenne. Per finire, due parole sui telegrammi, brevemente come richiede l'argomento. Il telegramma deve fare a meno di parole inutili, di frasi lunghe o inconcludenti. Tuttavia si cerchi sempre di compilarlo con attenzione per non incorrere in equivoci o malintesi, pur mantenendo la brevità, e si eviti il difetto comune a quasi tutti di renderlo inintelligibile per risparmiar parole. È strano come tanta gente, che non esita a sprecar cinque lire in un gelato o in un pacchetto di sigarette egiziane, perda poi dei quarti d'ora su un modulo da telegramma, per risparmiare pochi soldi!

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Un uomo civile e educato non fuma mai davanti a una signora con la quale non abbia dimestichezza: e ciò non soltanto in casa o in luogo chiuso, ma neanche per la strada; e non deve neppure chiederle il permesso di fumare, per evitare che questo gli sia data soltanto per cortesia. Per la strada, se la signora sa che chi l'accompagna è un fumatore, farà bene a invitarlo a fumare, salvo che veramente l'odore del fumo le sia insopportabile: nel qual caso si scuserà con lui. In casa, essa non ha obbligo alcuno, specialmente se si tratta di visita breve. Ad ogni modo, un uomo ben educato, se pure potrà, dietro invito, fumare una sigaretta davanti a una signora, si asterrà sempre, in simili circostanze, dall'accendere un sigaro toscano e, peggio ancora, la pipa. Incontrando per la strada una signora che si fermi a parlare con lui, un signore ben educato getta via il sigaro o la sigaretta: lo stesso fa in teatro, in un ristorante, al caffè. Invitato dalla signora, può ricominciare a fumare; ma non fumerà mai, neppure invitato, se la signora ha preso il suo braccio. L'uso della pipa era una volta riservato solo alle persone volgari; oggi si è esteso anche alle persone civili; sicchè s'incontrano ad ogni passo, non solo in campagna ma anche in città, signori ben vestiti e distinti con la pipa in bocca. È una questione di moda e d'abitudine, sulla quale ci sarebbe molto da ridire, ma purtroppo le cose non cambierebbero. Ricordiamoci tuttavia che, almeno per ora, la pipa risente ancor troppo da vicino la sua origine plebea, e che perciò va usata soltanto fra uomini. L'odore della pipa è forte e, per chi non c'è abituato, tutt'altro che gradito. Sicchè sarà bene evitare sempre di fumare a pipa in presenza d'una signora; e se anche questa darà il permesso di fumare, daremo segno di buona educazione contentandoci d'accendere una sigaretta. Oggi fumano anche le signore e le signorine, mentre, fino a non troppi anni fa, veder fumare una donna era un'eccezione rarissima. Fumano in casa, in campagna, in città, nei luoghi pubblici. Nei caffè e nei ristoranti si può quasi dire che il numero delle fumatrici uguaglia quello dei fumatori. Che dire di questa abitudine? Noi non possiamo che deplorarla. Che una signora o anche una signorina fumi una sigaretta, in casa sua o in campagna, in qualche circostanza particolare, non sarà forse un gran male; ma che fumi in ogni luogo e in ogni ora del giorno, consumando pacchi di sigarette, annerendosi i denti, ammorbandosi l'alito, sporcandosi le dita, è cosa che nessuna persona, che ami nella donna quelle qualità così speciali di gentilezza e di finezza a lei proprie, può approvare o tollerare. La donna crede forse di mostrarsi così libera ed emancipata, ma non sa che un uomo dabbene ricerca in lei ben altre qualità, molto più serie e più solide. L'abitudine di fumare è, checchè se ne dica, un vizio bell'e buono; un vizio costoso, un vizio poco pulito, fors'anche un vizio dannoso alla salute. Come tutti i vizi, esso rende schiavi tutti coloro che si sono ad esso dati in braccio: il fumatore senza sigarette è un essere infelice, disperato, a cui par di mancare della cosa più essenziale alla vita; per procurarsi da fumare egli sfida il sole di mezzogiorno, le tenebre della notte, le tempeste, gli uragani. Se è in campagna, è capace di percorrere miglia e miglia per trovare un appalto. Lasciate all'uomo, signore gentili, questa triste prerogativa: non gli siate compagne nel suo vizio, non lo eccitate ancor più col vostro esempio. Quei denari che, è proprio il caso di dire, vanno in fumo, spendeteli piuttosto in quei mille gingilli che sapete scegliere con tanto gusto, che adornano la vostra toelette, che abbelliscono il vostro salotto; spendeteli in fiori, degno emblema della vostra gentilezza; spendeteli in opere di carità; buttateli via, piuttosto! Di un'altra cattiva abitudine, sempre a proposito di tabacco, ci sbrigheremo in poche parole. C'è ancora qualcheduno che annusa tabacco: sono, in generale, persone di grave età, che presero quel vizio davvero nauseante una cinquantina d'anni addietro, quando tutti pigliavan tabacco e pochi fumavano. Oggi, se Dio vuole, pigliar tabacco da naso non usa più: i giovani, e anche le persone di media età, non conoscono quell'abitudine; sicchè c'è da sperare che fra un'altra ventina d'anni le nostre Regìe non fabbricheranno più nè macubino, nè semolino, nè scaglietta. E sarà quello un bel giorno. L'annusar tabacco, oltre ad offendere il senso dell'olfatto, è causa spesso di spettacoli stomachevoli, sui quali non è neppure decente insistere. Per finire questo capitolo di miserie, resterebbe a parlare di certi atti sconvenienti, ai quali le persone poco fini si abbandonano non di rado: tali sarebbero, grattarsi, pulirsi le unghie in pubblico o mordersele, ficcarsi le dita nel naso, ecc. ecc. Ma noi non ci spenderemo sopra parole inutili. Sono atti, questi, che tutti sanno non esser permessi alle persone per bene; sono atti che si proibiscono perfino ai bambini, all'inizio della loro educazione. Tanto più dunque debbono astenersene i grandi, per i quali non vale la scusa dell'ignoranza o del poco giudizio, che invece vale tanto per i bambini. Del resto, questi ed altri simili atti o cattive abitudini sono ormai così universalmente condannati dal moderno galateo, che non c'è da temere che qualcuno possa innocentemente crederli leciti. Riassumendo, l'uomo civile deve, in ogni circostanza della vita, attenersi rigorosamente a quelle regole di vita sociale, sancite dalla lunga esperienza di secoli e affinate e ingentilite con l'avvento della moderna civiltà. Più egli si atterrà scrupolosamente ad esse, più osserverà le norme universalmente conosciute e approvate, più avrà fama di persona corretta e finemente educata. Sappia egli adattarsi all'ambiente in cui vive, e, se gira il mondo, sappia anche, pur mantenendo intatti i fondamenti della propria educazione, rispettare le abitudini degli altri paesi; accolga le usanze straniere, se è in paese straniero, senza maravigliarsene, senza criticare, senza alterarsi. Si ricordi che, accanto a certe regole fisse, alle quali ogni galantuomo deve sottostare, ce ne sono tante altre, che dipendono dalla moda, dalle diverse abitudini, dal clima, dal carattere, dalla razza, le quali cambiano da paese a paese, da regione a regione, da città a città; e non si può dire quali siano le migliori, quali siano da preferire. Tutte son buone, quando non contraddicono alla legge suprema della morale, della decenza e della civiltà.

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Qualcuno crede di esser pulito, quando abbia pulite le mani e il viso; è un errore: quella non è che apparenza di pulizia. Alla pulizia della persona deve sempre essere associata la pulizia degli indumenti, soprattutto di quelli che non si vedono. Quante persone, si domandava una volta un illustre igienista, sarebbero in grado di spogliarsi davanti a un estraneo senza arrossire della poca candidezza dei loro indumenti più intimi? Lo so, la mancanza di proprietà non deriva sempre da trascuratezza; spesso c'è sotto l'eterna questione economica, la quale, se permette una certa decenza esteriore, deve poi per dura necessità passar sopra alle esigenze dell' abbigliamento più intimo. È quella miseria nascosta della piccola borghesia che è spesso più grave e più dolorosa di quella, aperta e visibile, dei miserabili. Ma anche in questo caso si può e si deve curare, se non l'eleganza e la proprietà, almeno la pulizia: una camicia rattoppata non fa vergogna come una camicia sudicia o strappata. Se tutta la persona deve essere oggetto delle nostre cure, le parti di essa che sono esposte agli sguardi altrui richiedono, naturalmente, una cura speciale. Tali sono il viso e le mani. Ma prima di parlarne, ci sia concesso dedicare poche parole a un'abitudine eccellente, che per fortuna si va facendo strada ogni giorno più anche nel nostro paese: vogliamo parlare del bagno.

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Ma si abbia cura di bagnarsi dove l'acqua è limpida e dove si ha ragione di credere che non sia inquinata. Se si tratta d'un fiume che attraversa una città, bagnatevi a monte di essa, e non mai a valle: perchè una gran parte dei rifiuti d'una città vanno a finire nel fiume. Se si tratta d'un lago, scegliete un Iuogo distante dall'abitato. Ogni bagno freddo è salutare se è seguìto da un'energica reazione. La reazione va facilitata con un'attiva ginnastica o con una rapida passeggiata. Se dopo il bagno siete presi da freddo, da brividi, da malessere, interrogate il medico. Probabilmente egli vi dirà che il bagno freddo non è per voi.

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.; ne deriva che spesso la signora si siede alla tavola familiare e non mangia; il marito s'impensierisce, propone di consultare un medico, corre ai rimedi, e non sa, pover uomo, che la sua dolce metà non è che non abbia appetito, ma non ha più appetito perchè ha mangiato un'ora fa! Un difetto proprio degli uomini è invece quello di mangiare con troppa fretta e senza masticare. L'appetito, la necessità di guadagnar tempo, sono spesso causa di quest'inconveniente, che è uno de' più dannosi alla salute e che produce quasi sempre, anche negli uomini più robusti, un senso spiacevole di ripienezza e di torpore. Si mangi dunque adagio e si mastichi molto: se non proprio trentatrè volte ogni boccone, almeno quel tanto che è necessario perchè gli alimenti subiscano una completa insalivazione. Un altro consiglio: non vi coricate mai subito dopo aver mangiato, e neppure datevi a esercizi troppo violenti: nell'un caso e nell'altro la digestione si fa difficilmente. Anche, se è possibile, evitate di porvi al lavoro, sia pure mentale, subito dopo l'ultimo boccone. Molte malattie di stomaco hanno proprio in questo la loro prima causa.

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Si potrebbe seguitare all'infinito; ma crediamo che il lettore non abbia bisogno di più parole per convincersi che oggi, per ciò che riguarda la civiltà, la morale e la decenza, si sta molto meglio di prima. Ma non vorremmo che egli per questo si credesse in diritto di riguardare con indulgenza le persone immorali o incivili che esistono purtroppo anche oggi, pensando che, ad ogni modo, esse sono sempre più morali e più civili dei nostri antenati; e molto più ci dispiacerebbe se si credesse autorizzato, per la stessa ragione, a lasciarsi un po' andare, a trascurare le norme presenti della buona educazione. No, per carità! Il mondo progredisce continuamente, e quel che una volta bastava, oggi non basta più. Per aver la fama di persona maleducata o villana, è sufficiente non attenersi alle regole sancite dalla moderna civiltà, e nessuno, nel giudicare il suo prossimo, si mette a far confronti con le età passate. C'è poi o ci deve essere in ognuno di noi quel rispetto alla propria dignità, quel desiderio del proprio perfezionamento, che ci spinge a fare quello che è giusto e doveroso fare, e ci tien lontani da ogni atto che possa incorrere nel biasimo della società in cui viviamo. Curiamo dunque la nostra educazione. Una persona bene educata possiede già una delle primissime qualità per conquistarsi la stima dei suoi simili e per percorrere con successo la via della vita.

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Raramente, e solo in casi eccezionalissimi e quando si abbia che fare con caratteri speciali, si è costretti a ricorrere con lei ai grandi mezzi, alle severità, ai gastighi: i buoni consigli della mamma, le sue dolci parole, bastano in ogni occasione a farle compiere, con buona volontà e con serenità, il suo dovere. Ogni fanciulla è come un fiore delicato, che cresce sotto le cure amorose a pazienti del giardiniere; trascurato, avvizzisce o intristisce. Una volta, la giovinetta stava in casa con la mamma, usciva fuori con la mamma, viveva tutta la sua vita di fanciulla con la mamma. Oggi non è più così: sarà un bene, sarà un male: non lo so e non voglio giudicare; ma il fatto è che la signorina moderna va a scuola come i ragazzi, sta in iscuola coi ragazzi, esce di casa sola e ritorna sola, con una libertà un tempo assolutamente ignota. Se tutto ciò fosse frutto soltanto di una nuova moda, si potrebbe anche esser tentati di consigliare di tornare all'antico; ma di tutte queste nuove abitudini sono causa principale le mutate condizioni della società moderna, la quale sembra voler imporre il precetto che la donna debba guadagnarsi la vita come l'uomo. Le fabbriche, gli uffici, le scuole sono oggi piene di operaie, d'impiegate, di maestre; e in molte famiglie numerose, anche d'antico stampo, non si vede di mal occhio che le figliuole si assicurino un avvenire, indipendentemente dalla speranza, sempre aleatoria, di accasarsi. Prendiamo dunque le cose come sono, che è il più saggio dei consigli; e vediamo come ci si debba regolare in questa nuova condizione di cose. L'uso delle scuole promiscue, che al suo primo apparire fu così biasimato, non ha poi prodotto quei danni morali che i pessimisti avevano preconizzato. Maschi e femmine, abituati fin da piccoli a vivere insieme, sanno comportarsi con correttezza e con disinvoltura, senza danno della convenienza e del decoro. Tuttavia, non consiglieremmo mai una madre a mettere in una scuola promiscua, una figliuola già grande, abituata a vivere in famíglia o in scuole femminili: sarebbe un esporla a un troppo radicale cambiamento d'abitudini, che potrebbe condurre a conseguenze spiacevoli. I giovinetti e le giovinette debbono sapere vivere insieme, acquistando, specialmente le giovinette, quel fare semplice e spigliato, e nello stesso tempo riservato e modesto, che non si acquista che con la lunga abitudine. Non sempre, specialmente nelle piccole famiglie borghesi, si può permettersi il lusso di accompagnare o far accompagnare le proprie figliuole alla scuola; ed oggi vige quasi dappertutto l'abitudine di mandarle sole. Non c'è gran male; ma una madre saggia e oculata farà in modo che questa eccezione, imposta dalle circostanze, non divenga un'abitudine: altro è vedere una signorina recarsi la mattina a scuola, coi libri sotto il braccio, o ritornarne nel pomeriggio, percorrendo sempre la stessa strada con passo frettoloso, altro vederla aggirarsi per la città, in qualunque ora, soffermandosi alle vetrine delle botteghe a osservare e curiosare. L'andar fuori sole sia dunque una necessità e non un'abitudine; e si ricordi che a una signorina sola incombe il preciso dovere di sorvegliare più che mai il proprio contegno, di non accompagnarsi con nessuno, e meno che mai con uomini, di vestire modestamente, per non dar nell'occhio ai passanti. In casa, una signorina per bene veste sempre con correttezza, non esce di camera se non interamente abbigliata e pettinata, non fa uso di vestaglie, che sono permesse soltanto alle signore maritate. La sua camera è semplice e modesta, senza sfarzo e senza stonatura; non è ingombra d'oggetti d'ogni genere, ma delle sole cose necessarie, disposta con ordine e con metodo; la biancheria, le vesti, le scarpe stanno al loro posto e non sono sparse qua e là in disordine; le pareti, il soffitto, le tende, le tendine sono a tinte chiare, e danno a tutto l'ambiente un'aria incantevole di festività e di gentilezza. La madre deve educare la sua figliuola in modo da sviluppare in lei i sentimenti più delicati, più femminili, cercando soprattutto, se ha altri figli, di tenerla lontana dall'influenza dei maschi. In certe famiglie, nelle quali i maschi sono in maggior numero, la figlia o le figlie finiscono col prendere abitudini maschili: saltano, gridano, fischiano, vengono alle mani. Moderate questi eccessi e fate comprendere alle vostre bambine tutta la sconvenienza del loro modo di comportarsi. Una giovinetta fine e gentile è la consolazione della casa. Essa è sempre ilare e tranquilla, non ha scatti di malumore, non alza la voce, non si lamenta; se ha dei fratelli, li tratta con cortesia, con una premura quasi materna. Col padre e con la madre è affettuosa, attenta, e cerca di prevenire i loro desideri: tratta tutti con gentilezza, così le persone di casa come gli estranei. Giunta a una certa età, essa è l'aiuto della mamma in tutte le faccende domestiche; e se studia e va a scuola, non per questo deve credersi dispensata da tali suoi doveri di figliuola; ma sa trovare il tempo per compierli con serenità e con piacere. La futura maestra, la futura impiegata, dovrà anche essere, un giorno, una buona massaia; avrà probabilmente una famiglia da curare, un marito, dei figliuoli; e se non avrà fin da principio imparata l'arte difficile di governare la casa, sarà costretta a impararla in seguito, con maggior fatica e con resultati molto meno soddisfacenti; se pure non preferisca - e gli esempi purtroppo non mancano - di abbandonar la casa a sè stessa, con danno suo e della famiglia. Soprattutto, la madre cerchi di avvezzare la propria figliuola alla più severa economia: economia in tutto, nelle spese personali, nelle spese di famiglia. Il buon andamento d'una famiglia dipende, più spesso che non si creda, dall'abilità finanziaria della madre di famiglia. Se non si tengono con diligenza i conti giornalieri, se nelle compre non si cerca di risparmiare acquistando via via i generi più convenienti, se non si sa rinunziare ai capricci della moda, alle stoffe troppo costose, ai gioielli, ai ninnoli troppo cari, la famiglia si avvia inevitabilmente al fallimento. Ora, accade spesso che i genitori, per un malinteso affetto, si studiano di tenere i figliuoli all'oscuro di tutte le loro difficoltà, cercano di accontentarli nei loro desideri, anche se non conformi alla loro condizione, e non hanno altro scopo che di tenerli lontani da ogni preoccupazione; e i figliuoli crescono su spensierati, egoisti, proclivi a spendere il loro denaro nelle cose più frivole. Quando poi devono essi stessi metter su famiglia, hanno, per così dire, un triste risveglio, e si trovano improvvisamente a contatto con le aspre difficoltà dell'esistenza, senza la preparazione necessaria. I genitori che non impongono ai loro figliuoli quei sacrifizi che richiede la loro condizione, commettono dunque un grande errore; e invece di spianar loro la via della vita, non fanno che preparargliela più grave e più difficile.

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Per esempio, fa in modo che sia servita per la prima a tavola, le cede il passo sulla soglia dell' uscio, la difende sempre contro tutto a contro tutti, anche se, in cuor suo, giudichi che abbia torto. La moglie poi mantiene nei suoi rapporti col marito quella gentilezza affettuosa, che essa aveva nei primi tempi, e che non deve scemare con gli anni, ma divenire ogni giorno più palese e più profonda; se il marito ha qualche difetto, cerca di nasconderlo agli occhi dei figliuoli, e, in qualunque occasione, non prende mai la parte di questi ultimi contro di lui. La concordia fra il padre e la madre è il fondamento della famiglia: senza di essa, tutto va in rovina. Essa è così necessaria che, anche quando per somma sventura non esista in una famiglia, occorre usare ogni arte per simularla. So di molte famiglie nelle quali esistevano dissapori profondi e insanabili, e che pure sono andate avanti per anni e anni, in una apparente concordia, che ingannava anche gli amici più intimi. Condizione veramente dolorosa e davvero non augurabile ai nostri lettori e alle nostre lettrici. Ma sappiamo noi quel che ci riserba l'avvenire? La buona educazione, lo spirito di sacrifizio, una mutua sopportazione, il senso del dovere e della dignità basteranno a mantenere in voi quella concordia così necessaria ad una vita di famiglia decorosa e tranquilla; ma se essa venisse a mancare, meglio, per il bene dei vostri figliuoli, una pace fittizia che una discordia palese.

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Una nuora non dove dimenticar mai che la suocera è la madre di suo marito, colei che lo ha messo al mondo, allevato e educato, che è stata fin allora il suo affetto più grande, e che perciò è naturale ch'egli abbia tuttavia per lei rispetto e obbedienza. Pensi anche che è una donna d'età, e per ciò solo meritevole di ogni riguardo; che è vissuta in altri tempi e con abitudini diverse; e quindi non può con facilità adattarsi alle idee più moderne. Consideri ancora ch'essa è ormai, da lunghi anni, sposa e madre, e che ha necessariamente acquistato quell'esperienza che a lei, sposa e madre da poco tempo, non può non mancare; e che perciò i suoi consigli, anche se in qualche parte dovranno esser mutati o integrati, sono in fondo buoni. Tutto questo pensi, ed eviti sempre il rifiuto insolente, le male parole, i dispetti, le volgarità: sappia, quando occorra, soffrire in silenzio, per amore del marito e dei figliuoli. Soprattutto abbia per la madre di suo marito i riguardi che le sono dovuti; sia essa la prima a chiederle consiglio, a sottomettersi, quando può farlo senza danno, ai suoi desideri, anche se poco ragionevoli. I buoni effetti di un tal modo di comportarsi non tarderanno a farsi sentire: la suocera comincerà ad amare veramente la nuora, apprezzerà il suo giudizio, loderà la sua cortesia; e la pace di famiglia riposerà su basi solide.

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Saper vivere. Norme di buona creanza

248767
Matilde Serao 9 occorrenze
  • 1923
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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Ordinariamente, nel giorno di cresima, il cresimando o la cresimanda sono invitati a pranzo in casa del padrino o della madrina di cresima, salvo che il padrino sia scapolo o la madrina non abbia casa organizzata a ciò: questo invito è facoltativo. E così, la domenica seguente, la famiglia del cresimando o della cresimanda, invita a pranzo la madrina o il padrino: anche ciò è facoltativo. Ora è invalso l'uso che, oltre la madrina e padrino, facciano dei doni al cresimando o alla cresimanda, anche i parenti: abitudine di lusso e di vanità, che guasta il cuore dei giovinetti e delle giovinette. Basta, semplicemente, un piccolo ricordo pio dei genitori: e non già dei fili di perle o delle scrivanie intagliate, come ho letto, in un giornale francese!

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Chi voglia proprio offrire un dono a Sua Maestà, dono che abbia un valore intrinseco ed estrinseco, bisogna che prima ne domandi il permesso, altrimenti ognuno tenterebbe una via simile, per ottenere qualche cosa in ricambio: e ciò non avrebbe limiti. Chi voglia dedicare un libro, della musica, un'altra opera d'arte o del lavoro manuale, dedicare semplicemente, non altro, deve anche chiederne il permesso. Sua Maestà la Regina fa ringraziare sempre, per mezzo della dama incaricata, chi le invia libri e musica, in dono: a persone, che le hanno offerto qualche cosa, col suo permesso, manda un gioiello, con la cifra. Quando un maestro di musica, un concertista, è chiamato a Corte, per un concerto, riceve sempre un bellissimo gioiello, in compenso: anche quando un'attrice o un attore vi recita, un ricco ed elegante gioiello, è il suo compenso. Se la Regina interviene a una serata di onore di una grande attrice, di una grande cantante le offre sempre un braccialetto o un anello. Costoro, naturalmente, oltre le lettere di ringraziamento che inviano, domandano una udienza, per i ringraziamenti personali.

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Lavori, per modo di dire, lettrici mie, giacchè è impossibile che una villeggiante, abbia quindici anni o ne abbia settanta, lavori, sul serio, quando può chiacchierare con un'amica, fare la partita col cappellano, flirtare con un giovanotto: è impossibile che l'uncinetto, o l'ago di ricamo, o i ferri da far maglie, o la tappezzeria, possano troppo andar d'accordo con la conversazione, col giuoco, col flirt. Se voi siete sola, solissima in un villaggio, in un'isola abbandonata (e non si è mai assolutamente soli, anche in un deserto e anche in un'isola, esempio Robinson Crusoè), allora potrete anche fare una intera coltre al filet, potrete ricamare un intero mobile di un salotto, a punto antico, potrete, persino, fare degli arazzi di alto liccio; ma, se appena siete in tre, in quattro, in cinque, sarà una gran cosa, se metterete cinquanta punti nel vostro ricamo, se potrete fare due quadretti di filet, se potrete dare una sola stella di colori argentei alla vostra bizzarra tapezzeria, che imita l'antico. Non lo sperate, i vostri lavori domestici ritorneranno in ottobre, quasi intatti, alla città. Eppure, dovete portarli con voi! Vi sono momenti, vi sono ore, in cui un lavoro fra le mani, sotto gli occhi, è di una necessità assoluta: esso è una scusa, un pretesto, un diversivo, un derivativo; esso è una salvezza, per esso gli occhi possono abbassarsi o alzarsi come vogliono, le mani sono occupate, la persona sembra distratta: esso calma i nervi, regola la voce, mette delle pause sapienti nella conversazione. Una donna che ricama è venti volte più padrona di sè stessa, accanto a un uomo, che una donna, la quale non faccia nulla: una donna, che fa l'uncinetto, è molto più la padrona di suo marito, che non una donna disoccupata.... Io non approfondisco il soggetto, perchè voi già lo avete tutto inteso, care lettrici: il lavoro è, dunque, un'arma di difesa e di offesa, in villeggiatura. E chi di voi vorrebbe andare alla guerra, senza corazza e senza spada?

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È naturale che un diplomatico, un uomo politico, un alto funzionario abbia sempre il dovere strettissimo di distribuirne una larga parte: e che molti privati, anche per il giro antico delle loro relazioni, non possano sfuggire a questa distribuzione automatica. Ma molti privati e, anche, nella più elegante società, all'estero o in Italia, a poco a poco hanno smesso d'inviare o di deporre, queste carte da visita di Capo d'Anno: e se ne lasciano un centinaio, rigorosamente indispensabili, in cambio di mille, è tutto! Viceversa, piglia sempre più vigore la moda, ed è una moda leggiadra, poetica, adorabile, del Christmas card, dell'augurio, infin, sotto forma di un gentile cartoncino illustrato, sotto forma di un minuscolo calendario, sotto varie forme in cui, anche, l'arte può portare il suo contributo più fine. Giacchè, oramai, il Christmas card, l'augurio, il calendario, la piccola incisione, si fanno nelle forme più delicate e la fantasia degli artisti, degli artefici, si sbizzarrisce in una varietà grande. La banale carta da visita sparisce, con le sue due banalissime iniziali p.a.: per augurii: viceversa, l'augurio, in ogni sua manifestazione come carta d'augurio, come cartolina gentilmente illustrata, come calendarietto, si moltiplica, e i cartolai preferiscono vender queste cose qui, anzi che fare cento carte da visita, e ogni persona di animo affettuoso preferisce inviare l'augurio, il Christmas card, anzi che la carta da visita, e ognuno preferisce ricevere il calendarietto o la cartolina allegorica, invece della carta da visita. Ma non si può mandare a tutti un augurio in cartoncino, una cartolina illustrata, un calendario: è vero: ci vuol troppo tempo: e ci vuole anche una spesa maggiore: è vero! E non tutti gli amici e le amiche noi amiamo, in modo da volerci ricordare ad esse, così! Ebbene, un regime misto, allora, è consigliabile: cioè sbrigarsi di tutti gli estranei e di tutti gli indifferenti, con le carte da visita, diminuendo, naturalmente, il numero di costoro allo stretto necessario: e a coloro che amiamo, che ci vogliono bene, che ci sono lontani e per cui il nostro cuore, la nostra memoria, fremono di simpatia ininterrotta, mandare l'augurio illustrato, la cartolina artistica, l'artistico calendario. E ciò si può fare anche a Natale, come a Capo d'Anno: cominciando dal bel giorno in cui nacque il Divino Fanciullo e finendo nel nuovo anno!

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Fino ai tredici anni, si può portare la gonna che mostra il piede e anche il collo del piede: a quattordici anni, non si vede più se non il piede: a quindici anni abbia un grande sviluppo la giovanetta o sia restata gracile, veste lunga. Fra i tredici e i quattordici anni, si può portare ancora la treccia lunga, sulle spalle, o i capelli increspati o legati con un nodo di nastro, alla coda: dopo i quattordici anni, i capelli si debbono rialzare sulla testa, pettinandoli semplicemente, con grazia giovanilmente, senza troppo seguire la moda. Fra i tredici e i quattordici anni la giovanetta può portare ancora i colori molto vivi, delle vesti azzurro cupo con giacche rosse, delle vesti beige con giacche bianche, degli abiti scozzesi, dei mantelli di panno con pellegrina e con grossi bottoni, qualche cosa di molto grazioso, bene tagliato, ma senza lusso; può portare dei grandi cappelli di feltro, con cocche di nastro, in inverno, o delle canottiere di castoro, dei grandi cappelli di velo e nastro, in estate, o canottiere di paglia: le piume, i fiori, sono esclusi. Qualche gioiellino gentile, ma senza gran valore: una catenella d'oro al collo, a cui è sospesa una crocetta: qualche filo d'oro, come braccialettino, a cui è sospesa una daglia, un campanellino: due perline alle orecchie, o due diamantini. In casa, la giovanetta porta, sino a quindici anni, i grembiuli, molto carini, di seta, di surah, scozzesi o a disegno turco: dopo quindici anni, li smette. Nei giorni di ricevimento, ella non è sempre nel salone, ma vi apparisce e sparisce; serve il the, se non vi è una sorella grande; non fa conversazione, non si mescola ai gruppi, va via presto. A quell'età, la giovanetta va raramente a teatro, salvo a quello di musica; in qualche concerto; in nessun ballo ufficiale; in nessun ballo di cerimonia; non balla, se non quando si fanno quattro salti, in campagna. Tutto in lei deve essere semplice, gentile, grazioso, ma non lezioso, ma non civettuolo: se ha molta gaiezza, bene, ma deve moderarla: se ha dello spirito, lo lasci maturare, è meglio, se ne servirà meglio più tardi. Infine, deve prepararsi a essere signorina, imparando a esser cortese, piacevole, giustamente colta, con qualche arte coltivata particolarmente, imparando ciò, ma non facendone sfoggio, se non più tardi, abbastanza più tardi.

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Ordinariamente, ogni invitato che va a nozze di una certa importanza, ha la sua carrozza, o se ne procura una: ma sempre bene che la famiglia della sposa abbia quattro o cinque carrozze, a disposizione di coloro che non ne avessero, non più di quattro o cinque, massime se il matrimonio in chiesa. Se il matrimonio è in chiesa, bisogna curare l'addobbo, con molte grandi piante, formandone dei boschetti, ai due lati dell'altare: ci vuole un tappeto nello spazio ove seggono gli invitati, e una striscia di tappeto, tra le due file di sedie che arrivi sino fuori la chiesa e si prolunghi sugli scalini. Nella strada, domandare qualche guardia di più per il servizio regolare delle carrozze: alla porta della chiesa, vi debbono essere almeno due introduttori, parenti o amici della famiglia, che accompagnino le signore e introducano i signori. Meglio scegliere due giovanotti disinvolti, fra i tanti: se sono due giovani belli ed eleganti, molto meglio. Per quanto più si può, puntualità nell'arrivo della sposa e della famiglia: far aspettare, espone a grandi critiche. La sposa entra in chiesa, al braccio di suo padre, o del parente maschio più prossimo o, in mancanza di tutti, del più vecchio amico di casa: la precedono gli introduttori, per farle fare strada. Spesso un paggetto, un nepotino, sostiene lo strascico della sposa: esso deve essere sempre vestito di bianco, di raso bianco. Dopo la sposa, viene sua madre o la sua più prossima parente, al braccio dello sposo; e così ogni coppia, secondo la gerarchia, unendo le due famiglie. I testimoni e il compare seguono le due prime coppie, immediatamente; prendono posto, coi parenti stretti, sull'altare. Il rito nuziale l'ho spiegato, parlando dei doveri del compare. Possibilmente, domandare a Monsignore, un sermone non troppo lungo. Un po' di buona musica, se è possibile, non guasta: ma non oltre i tre pezzi. La sposa, dopo la cerimonia, dopo aver baciato i suoi parenti e stretto la mano ai testimoni e al compare, prende il braccio dello sposo per uscire, e mentre è venuta in carrozza col padre, se ne ritorna in carrozza con lo sposo, a casa. È a casa che gli invitati, arrivati anch'essi, le presentano, mano a mano, le loro felicitazioni. Ella deve avere smesso il velo bianco, ma conservato il vestito bianco, e i fiori d'arancio nei capelli.

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Or dunque, la giovane sposa, la signora matura, la vedova, la donna vecchia e persino la vecchia zitella che abbia casa sua e un'apparenza di agiatezza, debbono avere il loro giorno, per potersi creare, poi, nel resto del loro tempo, una vita come loro conviene. La scelta del giorno deve essere fatta con molta cura, con molta riflessione, con molta prudenza, con gli studii più profondi: non bisogna scegliere la domenica, perchè è un giorno in cui si va a conferenze e a concerti, in cui i ragazzi escono dal collegio, in cui vi sono tanti altri doveri da compiere: non il venerdì, che è un cattivo giorno per ricevere, sebbene molti lo considerino come un giorno eccellente, per non muoversi di casa: non il giorno in cui riceve la propria madre, o la propria suocera o la nostra migliore amica, o una dama di grande condizione, presso cui si tiene ad andare. Scelto una volta, il giorno, dopo un lavoro mentale lunghissimo, bisogna tenerlo fisso, perchè nulla è peggio che cambiare il giorno, e nulla è più disastroso che cambiarlo spesso. Si finisce per perdere, a poco a poco, ogni propria relazione; poichè le signore sono di labile memoria e dimenticano questo giorno, che cambia così spesso, poichè anche esse hanno il loro giro di visite, che non amano di vedere spostato: poichè il giorno di una signora elegante e intelligente, deve diventare uua istituzione fissa e inamovibile, con una tradizione di spirito e di cortesia. Chi passa dal lunedì al venerdì, dal sabato al martedì, acquista la reputazione di una persona capricciosa e disordinata, che non tiene nè al suo carattere, nè al suo giorno, nè alle persone che lo frequentano. Conosco grandi signore - per chiamarsi tale, non è neccessario avere grande nome o grandi ricchezze - le quali, dal giorno che si sono maritate, venti, o trenta, o quaranta anni fa, conservano sempre lo stesso giorno di ricevimento: ed è, questo, un altro atto squisito di amabilità verso amici ed amiche, un atto di rispetto verso sè stesso e verso la propria casa.

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Appena appena si abbia una posizione modesta, si può e si deve offrire qualche cosa alle amiche e agli amici, quando si ricevono le loro visite, nel giorno. Tre etti di cioccolattini; quattro etti di biscotti fini. Basta mettere questi dolci, i primi o i secondi, in un bel piatto del Giappone, in una bella coppa di cristallo, oggetti che sempre si possiedono e offrire questi, cioccolattini, questi biscotti con buona grazia: e si ha subito l'aria ospitale. Chi può offrire dell'altro, tanto meglio! Viene in prima linea il the: si può offrire nel modo più semplice, cioè per mezzo del cameriere che, appena una signora è seduta, arriva con un vassoino dove sono una tazzina col the, la piccola lattiera e il recipientino con l'acqua calda, per allungare il the, se si vuole: immediatamente, si offrono dei biscotti inglesi, dei wafers, delle pastarelle secche, insieme. Per far questo, basta un cameriere molto svelto; e non grandi arnesi, come tazze, cucchiaini, salviettine, ecc. Ma se si vuole offrire il the, prendendolo da un tavolino, in fondo al salotto, allora l'organizzazione deve essere larga e il lusso pretende mille elegantissime cose. La table à the, imbandita, quando si riceve nelle ore pomeridiane, implica bellissimi servizi di tazze, di piccoli e grandi piatti, di coppe, di vassoietti: implica teiere e lattiere elegantissime: implica un corredo di dolci, di paste, di bonbons, di biscotti, completissimo: implica biancheria finissima, ricamata, con merletti antichi e moderni: implica argenteria di coltellini, di cucchiaini, squisita. Chi lo può fare, tanto meglio! Ora è in moda il servizio di the alla russa: cioè in bicchieri che hanno il piede di argento cesellato, intagliato, traforato: con argenteria dello stesso stile. Ma un capriccio. Intorno alla table à the, vi sempre un servitore: e qualche signorina di casa o un'amica offre le tazzine, le fette di baba, di gâteau Margherita, i dolci. Qualche signora offre del cioccolatte, invece del the: tutto il servizio deve essere intonato come tazze, argenterie, biancheria, come dolci. Quando si va verso l'aprile, si offrono delle granite, dei parfaits di cioccolatte, di crema: si adoperano bicchieri di cristallo opaco, colorato, col manico: assai più elegante, il bicchiere con piede di argento. Sulla table à the vi sono sempre delle bottiglie di acqua ghiacciata, di limonata, di aranciata, per chi abbia sete: e bicchieri alti, senza piede, colorati, adattati a ciò. D'altronde il giorno è dedicato alle signore che non bevono liquori e neanche rosolii. La eleganza, la ricercatezza delle signore, è nelle mille cose che rendono squisito ciò che offrono: dai cento oggetti di porcellana, di cristallo, di argento, alla qualità del the, del latte, alla finezza e alla varietà dei biscotti, delle paste, dei dolci. Per lo più, una signora ricercata, si occupa lei, personalmente, di questo servizio, ogni settimana.

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Nelle regioni settentrionali, e specialmente nei due grandi, civili, mondani centri di Torino e Milano, dove più si sente la influenza dei sontuosi costumi ospitali francesi, ogni specie di pranzo, da quello di alta etichetta a quello intimo, è assolutamente alla moda; chiunque abbia vissuto un poco o molto, a Torino, a Milano, sa bene con quanta larghezza nell'alta società, nella grande borghesia, si pratichi questa forma di convivenza sociale. Come si scende verso l'Italia centrale, e, sovra tutto, come si giunge nella gran regione meridionale, questo uso così bello e simpatico si viene dileguando, sparisce. Fra noi, a Napoli, non esiste, quasi. Un tempo, nella grande vita mondana napoletana, quando venti case aristocratiche ricevevano, allora, sì, vi era questo costume gentile: ma non oltrepassava i limiti della classe patrizia. Poi, a mano a mano, per tante ragioni, più o meno malinconiche, per morti, per partenze, per viaggi, queste case si sono chiuse e di famosi, nell'alta società, non restarono, per un certo tempo, se non i pranzi di un vero gran signore, che era il duca di Castronovo, pranzi perfetti per la loro sontuosità e la loro squisitezza: con la morte del duca, la tradizione finì. Qua e là, dove la dama padrona di casa conserva i leggriadri costumi della ospitalità francese, che imparò per la educazione, a Parigi, per la dimora colà, vi sono dei pranzi eleganti: ma fuori quella stretta cerchia, niente! Gente che ha una bella casa, molti denari, buona servitù, argenterie, porcellane, cristallerie, non pensa mai ad invitare un amico, un'amica a pranzo: - gente, che non ha nulla da fare, che si annoia, che cerca compagnia, non pensa a questa forma così attraente di riunione: niente! Da che dipende? Dalla pigrizia delle signore? Dalla organizzazione, un po' difficile, di quanto ci vuole per dare un buon pranzo? Da uno spirito di grettezza? Da quell'inclinazione che hanno molti ricchi, fra noi, a concentrare tutto il loro lusso solo nei cavalli, gli uomini, solo nelle toilettes, le signore? Chi lo sa! Negli ultimi tempi, qualche passo è stato dato, anche nei paesi meridionali: negli ultimi tempi qualche pranzo è stato dato, si dà, in qualche grande albergo, per non avere fastidi in casa. Speriamo bene.

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