Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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L'angelo in famiglia

182118
Albini Crosta Maddalena 21 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Queste cose io le dico a te, non già perchè io creda tu abbia bisogno di snebbiare la tua fantasia da simili ubbìe; ma perchè so bene che nella società nella quale ti trovi, pressochè ogni giorno ed ogni ora ti soneranno all'orecchio proposizioni subdole, le quali cercheranno di allontanarti dallo studio profondo e indefesso della religione del Cristo del quale tu porti il nome dolcissimo. Non vorrei però che taluno, esagerando la mia intenzione, credesse che io ti volessi far studiare teologia, come ha fatto Dante Alighieri, per vederti sul dito l'anello dottorale; oh! no, tu lo capisci perfettamente, io non pretendo vederti curvare la fronte sotto il peso delle teologiche fatiche. Il buon Gesù è molto indulgente, ed io non voglio importi se non ciò ch'Egli vuole nella sua bontà e nella sua misericordia. Anderò anche avanti un passo, e dirò di più. Difficilmente tu potresti studiare da sola una scienza cotanto elevata, senza correre rischio di prendere abbaglio, e di ber giù a larghi sorsi l'errore invece della verità. Ma e dunque, tu mi dimandi: che debbo fare, che vuoi da me? Oh! io non voglio da te l'impossibile, voglio il tuo bene, e lo voglio in modo che non ti sia di troppo grave incomodo e fatica. Credi, amabile giovinetta, io ti amo, e ti amo di un amore superiore ad ogni altro, perchè ti amo di un amor soprannaturale in Dio, e tutto quanto ti dico, lo succhio io prima dal Cuore amabilissimo della nostra cara Madre Maria, che mi pone nell'animo una stragrande tenerezza per te. Vi hanno due mezzi opportunissimi per ornare la tua intelligenza ed il tuo cuore delle cognizioni utili e principali di nostra santa religione, per stabilire così un giusto equilibrio tra la tua fede e la tua ragione, tra le cognizioni profane e le tue cognizioni religiose. Dei due mezzi accennati, uno è la lettura spirituale e l'altro l'ascoltare la divina parola. Ho detto la lettura spirituale, ed intendo fornirti con essa un metodo facile e dolce per imparare la scienza di Dio. Gli è vero, dal momento che leggi questo libro è ben segno che ti piace questo esercizio, e parrebbe inutile io te ne parlassi; ma siccome noi abbiamo bisogno d'essere guidati sempre 8 da forti convinzioni anche nelle cose di minor rilievo, così non credo tempo e fatica sprecata l'insistere su questo punto. Il libro di pietà è un ambasciatore di Dio che ci si pone al fianco a parlarci di Lui, dei suoi diritti e dei nostri doveri; come il libro cattivo è un ambasciatore del demonio che solletica le nostre passioni e ci mette in orribile guerra con Dio e con noi stessi. Il libro spirituale è sempre al tuo fianco quando lo vuoi; e come l'altro tien sempre pronto il suo veleno che ti appresta senza arrossire nè inquietarsi, questo ti versa in seno la dolcezza del bene, ed insegnandoti la carità, il disinteresse, l'eroismo, innalza il tuo essere insino a Dio del quale ti dice figlia ed amica. Amalo adunque molto il libro di pietà, e non lasciar passar giorno senz'averne letto poco o molto. Talvolta questo esercizio sarà per te senza gusto e faticoso; ma per tacere ancora che altre fiate ti verserà in seno le più pure gioje celesti, il tuo animo ne sarà tanto rafforzato e purificato da farti riuscir poi facile la pratica delle più ardue virtù cristiane. È tanto vero che lo scrivere e il leggere di Dio, benchè senza compenso presso gli uomini, è un desiderio ed un bisogno del cuore, che quasi innumerevoli sono i libri ed i buoni libri che parlano di Lui; e Dio buono, sempre buono in tutte le sue attribuzioni, non ci fa nessuna prescrizione speciale, ma ci permette di scegliere quello che più ci va a genio ed è più conforme al nostro gusto ed al nostro bisogno. Oh! dunque ricordatelo bene, mia cara, un buon libro è il miglior amico che puoi avere; un amico che ti dice francamente la verità, che non ti adula, ma t'incoraggia al ben fare, mentre con tutta carità ti ammonisce; un amico che non tradirà mai le tue confidenze, che non disdirà domani quello che ha detto oggi; un amico insomma che non ha altro scopo, altro desiderio che di farti diventar migliore, accetta a Dio ed agli uomini, amabile con tutti e contenta. Ama questo amico sincero, amalo e tientelo sempre vicino; non passerà molto e ti accorgerai dell'immenso vantaggio di una buona e soda lettura spirituale. L'altro mezzo del quale mi resta a parlarti, è la divina parola, ed io vorrei che la mia penna scrivesse a caratteri indelebili sul tuo cuore, quanto questa sia importante e necessaria e dolce. Salvatore amabilissimo, infiammate voi i miei affetti, date Voi eloquenza al mio dire e rendetelo insinuante così, che coloro i quali leggeranno queste pagine ne riportino il cuore divampante d'amore per Voi e per la vostra santa e soave parola, e divengano poi degni di essere chiamati un dì alla vostra destra nella schiera felice degli eletti. Cara amica mia, il Signore vuole che tu lo ami sopra ogni cosa, e tu senti di doverlo amare in tal guisa; ma come potrai tu amare, d'un amore che tutti gli altri sovrasta, un Ente che non conosci, o conosci troppo poco? A te pare che io abbia proferito una bestemmia, ed è vero, poichè se Dio ci ha comandato: Amerai Dio sopra ogni cosa, ci avrà poi dato anche i mezzi per obbedirlo. Oh! questo sì, è verissimo, anzi ben lungi dal negarlo, sono io la prima a sostenerlo; ma quanto io sostengo altresì si è che siamo noi i tristi che trascuriamo i mezzi fornitici da Dio, e che quindi ci stringe più severo obbligo di fare quanto Egli c'impone. Se non vogliamo adunque diventar rei di trasgressione del primo comandamento del Decalogo, dobbiamo essere premurosi di arricchirci di tutte quelle cognizioni, le quali riguardando il nostro Creatore e Padrone e Padre, ci riscalderanno di amore per Lui. Corriamo, sì corriamo ad ascoltare la parola di Dio che ci viene amministrata dal pergamo, ma più specialmente corriamo... dove?... alla Dottrina. Sì, alla Dottrina ci verranno insegnate tutte le verità di fede, spezzate e adattate alla nostra capacità ed ai nostri bisogni in guisa tale da farcene trarre un vantaggio d'assai superiore a quanto noi possiamo immaginare. Non dico che, essendo adulti, dobbiamo scegliere a bella posta di sentirci spiegare la Dottrina come si fa coi bambini; questo se talvolta è utile per richiamarci le nozioni elementari, è ben lungi dal procurarci quell' utile e quel diletto che ci viene da una spiegazione un po' larga e minuta del Catechismo, come suol farsi a quelli che bambini non sono. So bene che non dappertutto e neppure in tutta Italia si usa fare l'istruzione della Dottrina Cristiana in modo così costante, e diciamolo pure, in modo così sminuzzato ed elevato da soddisfare anche le persone di una somma coltura, come si usa fare in Lombardia, e segnatamente in questa nostra Milano, dove S. Carlo Borromeo l'ha istituita, e dove è caldeggiata dal suo successore non solo, ma da tutti quanti hanno a cuore la cara nostra religione. So per altro che molti la trascurano col futile pretesto che essi la sanno già bene la dottrina e che non hanno bisogno di sentir ripetere dal Prete e dalle Suore quel ch'essi già conoscono a menadito; quasi la Dottrina Cristiana fosse una scienza così leggiera e superficiale da approfondirsi perfettamente in poco tempo, mentre non basta la vita di un uomo a oltrepassarne neppure la scorza senza un aiuto specialissimo di Dio. In confidenza, fanciulla cara, qual'è la tua impressione allorquando senti un idiota leggere e scrivere con fatica, e in modo che ad indovinarlo bisogna fare i massimi sforzi; che senso ti fa quand'ei ti dice d'aver studiato anche troppo, di non aver più bisogno d'altra scuola, e si crede in buona fede di saperla lunga? Press'a poco l'idiota fa a te quel senso che tu faresti ad una persona ammodo, se le dicessi di non aver bisogno di altra istruzione di Dottrina, chè già la sai bene. Per carità, guardiamoci da questo ridicolo, e pensiamo sempre che in questa scienza, come nelle altre tutte, il credersi qualche cosa è segno grande di massiccia ignoranza. Molte volte trovandoti in società avrai tu stessa verificato e constatato, che quello più trincia a destra ed a sinistra, che meno ne sa; mentre l'altro che tu vedi guardingo a pronunciare un suo giudizio, può darsi sia preso da taluno per ignorante; ma tu col tuo spirito osservatore capisci a perfezione che è molto profondo in materia, e ognuno se n'avvede quando, messo alle strette di dire la sua opinione, gli casca fuori quasi a sua insaputa e contro voglia tanto di scienza da insaccare colui che prima la faceva da talentone. Non mi dire adunque più che tu la sai tutta la Dottrina; confessa piuttosto che ti pesa lo studiarla! Io ti vorreimettere alla prova, per farti sentire che ben a ragione essa ti procurerà non solo utili cognizioni, ma vero diletto. Lo studio della Dottrina Cristiana è inanellato con tutti gli altri, in modo che chi è erudito in essa, non so come possa serbarsi ignorante nel resto. Quando tu senti spiegare, per esempio, le giornate della creazione, raro è che non senta parlare di cosmologia, della misura del tempo, della forza dei corpi. Nel sentirti spiegare le diverse interpretazioni date dai Santi Padri ai diversi passi scritturali, arricchisci la tua mente di una coltura molto vasta: mentre nell'ascoltare le prove del Cristianesimo dai una volata alla storia antica che lo ha prenunciato, ed alla storia del medio evo ed alla storia moderna che ha dapprima tentato di affogarlo nel sangue e poscia lo ha sempre perseguitato con ogni arte. In questa rivista tu vedi passare, insieme alla Dottrina, tutti gli uomini e tutti gl'imperi che l'hanno sostenuta o contrastata, e col solo ascoltare costantemente e attentamente la spiegazione di essa tu arricchisci la tua mente di vaste cognizioni e la rendi capace di un giudizio giusto ed imparziale. Se tu poi mi dicessi che assolutamente non puoi recarti alla chiesa per sentire il Catechismo, ti ripeterei quanto ti ho detto parlandoti della Messa quotidiana: se sarai tanto obbediente ed operosa da compiacere e da servire appuntino la tua buona mamma, o quegli altri superiori che ti reggono in vece sua, se hai avuto la sventura di perderla, o se hai quella di vivere lontana da lei, per fermo non ti sarà difficile ottenere questa concessione. Credi tu rari i casi che una buona figliuola riesca a forzare in certa guisa la madre o chi ne fa le veci, ad ascoltare con essa la predica e la Dottrina, ed avendo avuto volontà e forza di superare la ripugnanza e un senso (lasciamelo dire) di sciocca vergogna le prime volte, è poi riuscita a formarne una delle più care e delle più invariabili consuetudini per entrambe? Se tu poi avessi la sfortuna di trovarti in paese dove la Dottrina non si spiega, o si spiega soltanto ai fanciulli, o per circostanze insuperabili di famiglia non ti potessi recare alla chiesa ad udirla; dopo d'aver bene studiato ed approfondito il Catechismo diocesano, al quale vanno unite le benedizioni celesti e molte indulgenze, prenditi una buona Dottrina, come quella, per esempio, del milanese Raineri. Oh! vedrai a prima vista che ad ogni pagina, vorrei quasi dire ad ogni periodo, ci si trova qualche cosa che tu non sapevi, od a cui non avevi mai pensato. Il nostro Raineri non le ha stampate lui le sue Istruzioni catechistiche, le hanno stampate i suoi successori, che giustamente deploravano di abbandonare all'oblìo quelle istruzioni, le quali fatte dal pio sacerdote sul pergamo della nostra Cattedrale, trascinavano e miglioravano la folla colta che correva a sentirlo. Oh! sì, prenditi il Raineri; leggilo, studialo, meditalo, poi torna da capo, e te ne troverai contenta. Compatisci i poveretti i quali credono di saper tutto, e sanno nulla; ma tu dal canto tuo fa di non trascurare lo studio della Dottrina Cristiana, procura anzi d'invogliarne quante più persone puoi; allorchè ne avrai fatto la prova, troverai atto di vergognosa debolezza l'astenertene per paura di quello che ne dirà il mondo. Il mondo se sa che tu frequenti una scuola di letteratura, o di fisica, o di geografia, o non ti deride, o tu te ne ridi delle sue beffe; e sarà solo se frequenti la cattedra più difficile, importante e necessaria, che ti lasci prendere dalla paura? Forte delle tue convinzioni, procedi sicura nell'impreso cammino; arricchisci quanto più puoi la tua mente di cognizioni religiose, e ne avrai riscaldato il cuore di santi affetti per quel Gesù, il quale nella Dottrina che ti amministra come pane che mantiene e fortitica, ti assicura che per un giorno solo, anzi per un solo istante Egli sarà Dio giudice, ma che per tutta una eternità Egli, Dio rimuneratore, premierà la tua fede e le tue buone azioni con una felicità che non avrà mai fine, e che genio nè fantasia umana valgono ad immaginare. Animosa e costante segui fedelmente, coraggiosamente ed allegramente i miei consigli, i quali infine non sono altro se non i dettami della nostra santa religione, da Dio buono posti sulla mia bocca e nel mio e nel tuo cuore. Sì, seguili giocondamente, e nelle spinosità della vita avrai sempre un pensiero consolante, il quale addolcirà ogni tua pena, tergerà ogni tua lacrima. Quel pensiero ti dirà che ogni cosa passa, che l'anima nostra dura sola con Dio eternamente, con quel Dio che l'ha creata per farla per tutta l'eternità felice con sè in Paradiso.

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Io suppongo volontieri che la tua sia un'ottima famiglia credente, anzi religiosa; pure raro è che qualche suo membro più o meno importante non abbia credenze ed opinioni divergenti, e non divenga quindi il martello e la croce della virtù degli altri. Può ben essere che questo martello e questa croce siano foderati di oro massiccio, voglio dire da tutta la grazia della persona e dell'educazione, e da tutti i vantaggi di una larga e ben intesa istruzione (profana s'intende); ma allora appunto quel martello e quella croce avrebbero una maggior potenza e tu li dovresti paventare assai più che se si presentassero nella loro natura greggia e pesante. Talvolta, pur troppo (non lo dico a te), talvolta sono i padri, i fratelli, i parenti, e perfino le madri che hanno ricevuto dal diavolo l'indegna missione di tormentare e di scuotere, se fosse possibile, l'altrui fede; e perchè il loro ascendente sia maggiore, il maligno permette in essi taluna od anche molte di quelle virtù domestiche e civili, atte a guadagnar loro una stima cieca ed un intero abbandono del nostro cuore inesperto. Se tu, poveretta, avessi una tale sventura di vedere segnato dal marchio di una missione sì triste una persona che tu ami teneramente e colla quale vuoi e devi vivere in continuo contatto, fa di ricopiare in te, per ipocrisia non mai! ma con una santa emulazione le virtù tutte delle quali ti è dato l'esempio, ed adopera tutta la tua forza di volere e di amore per procurare a quell' anima cara quell'unica virtù che a tutte l'altre sovrasta, e senza la quale tutte le altre non sono oro, ma orpello... Tu devi essere, tu sei l'angelo della tua famiglia! io lo so, lo vedo, tu sei intorno al diletto genitore, al fratello, colle tue amorose cure, colla tua devozione, con quella parola timida ma sicura nel momento in cui il cuore che tu avvicini è titubante o commosso; colla tua costanza nelle tue pratiche di pietà, colla dolcezza inalterabile del tuo carattere, colla pazienza nelle contrarietà e nelle sventure, colla carità indivisibile da ogni tuo atto, da ogni tua parola, e con tutte quelle amorose arti che una pietà, illuminata sa suggerire all'anima tua. Sì, io ti vedo agire in tal guisa che non esito a preconizzarti un completo e non lontano trionfo. Il tuo genitore, il tuo fratello sente per te un affetto irresistibile; pure una lotta interna lo fa teco in quieto, adirato, e talvolta tu vedi un sorriso amaro sul suo labbro; un sorriso che ti fa agghiacciare il sangue, che ti turba, ti desola. Corri, corri a Maria, essa è là ansiosa ad attenderti; forse è oggi il dì di quella lotta tanto aspettata, tanto desiderata; forse oggi è il dì di quel trionfo sì difficile, ma sì durevole. Corri, corri a Maria, e vivi sicura d'aver ottenuta la grazia invocata, ad onta che tutte le apparenze ti dicano ch'essa è non solo lontana, ma impossibile. Ma tu aspettavi da me che solo ti parlassi delle occasioni di peccato, ed io t'ho invece parlato delle occasioni di bene; io stessa ho dovuto raccogliermi un momento a cercare la ragione per cui il Signore ha voluto che ti dicessi questo prima di quello. Ma non ho tardato ad accorgermi che il Signore vuole appunto che noi, e quindi anche tu, sappiamo convertire in occasione buona quella che era e sembrava un'occasione cattiva. Se tu colla persona incredula o poco credente, o indifferente, o beffarda in fatto di religione, con quella persona che sempre o quasi sempre sta al tuo fianco, che esercita sopra di te tutto il prestigio cui dà diritto un santo affetto di congiunto ed i pregi personali, invece di adoperare, come abbiamo veduto poc'anzi, tu avessi agito al modo mondano, certamente invece di trasfondere in essa il bisogno e l'abito di quella religione che è la tua vita, che sola può sostenerti nelle lotte dell'esistenza e che unica può premiare la tua virtù e la tua costanza, l'avresti tu stessa perduta. Ahimè! sola e miserabile ti troveresti in brevissimo tempo sprovvista d'ogni morale virtù, e destituita da quella forza che è la tua forza e senza cui non trova balsamo nessuna piaga, lenimento nessun dolore. Se collo sprezzatore della tua fede (foss' egli pure tuo fratello o tuo padre) ti porrai a patteggiare, a questionare, a disputare, non tarderà molto e la tua fede diventerà vacillante, smorta, nulla! No, per pietà, no, mia cara. Per pietà, guardati dal fuoco! io ti ripeto, guardati da quel fuoco distruggitore che incenerirà ogni tuo proposito, ogni tua buona tendenza... Ma, e perchè insisto io tanto a predicarti l'importanza dello schivare le occasioni, se tu ne sei più che convinta? Se fosse altrimenti, tu non leggeresti con tanto affetto questo libro, il quale, quantunque vergato sotto l'impulso di un potentissimo amore per l'anima tua, non ha che parole severe a dirti, virtù anche più severe ad importi! Quello che tu vuoi da me, e che io voglio dirti, si è dunque non tanto la massima di sfuggire le occasioni di peccato, quanto d'insegnarti il modo di poterle sfuggire e vincere e volgerle a bene. È forse necessario che io ti ripeta:non giuocare come lo spensierato col fucile carico? No; sarà meglio ti suggerisca di sparare all'aria l'archibugio, e tolga così amendue da un pericolo imminente e gravissimo. Se vedi che arde la casa del tuo vicino, ti è inutile continuar ad urlare al fuoco; bisogna invece che tu porti dell'acqua, dopo d'esserti adoperata a segregare la tua casa affinchè non divampi con quella. Te lo ripeto, e tel ripeterò incessantemente, non metterti a disputare e a discutere di religione con persona di te più colta e a te superiore; anzi sarei quasi tentata di dire, con persona alcuna: ma pronuncia la tua opinione con volto ed animo sicuro, protesta di non voler cedere assolutamente agli altrui ragionamenti, e se non puoi imporre silenzio, e neppure ti è dato pregare si voglia con te parlare di un argomento più conforme e più omogeneo al tuo modo di pensare, chiedine con bel garbo il permesso, e ritirati o nella tua camera, o in altro crocchio, o comecchè sia e come darà la possibilità, togliti da quel discorso. Se poi sei costretta a star lì, prega in segreto e segretamente protesta e ripara, atteggiandoti a serietà. Così facendo, l'ardito che si permette innanzi a te di porre in forse od in canzone le verità più sante e più care, si accorgerà ch'egli abusa della sua libertà, e violenta la tua coll'importi quanto non vuoi e non devi tollerare. Se poi quel cotale fosse persona tanto rozza e tanto mal educata da pretendere tu subissi intero il suo ragionamento, e vantasse in proposito la sua condizione ed i suoi titoli, non ti curar di lui, ma guarda e passa. Allorchè t'ho parlato di non curarti di quanto dirà il mondo, mi pare di averti detto alcun che di somigliante; ma il ripeto: quando si tratta di schivare le occasioni pericolose, non ci vogliono rispetti umani, o, se ci vogliono, ci vogliono per calpestarli, ed impedir loro di far poi capolino, e ci tentino e ci trascinino miseramente. 10 Ma oltre questi pericoli, in certo modo visibili, ve ne hanno degli altri, tanto più pericolosi e nocivi, quanto meno avvertiti; questi sono non i discorsi propriamente detti, contro la religione ed il costume, ma quelle parole mezzo serie, mezzo buttate là senza studio e senza ritegno, quelle parole ambigue le quali vogliono dire ben altro di quello che si tenta far credere, e fanno intanto salire il rossore sulle tue guancie, il riso sulle tue labbra, ed insieme un qualche cosa che somiglia rimorso al tuo cuore. Queste arti non saranno certo adoperate con te dai tuoi, ma dai così detti amici di casa; da quei bontemponi i quali non avendo meriti sodi da far valere, sfoggiano ed ostentano uno spirito che sarebbe piuttosto spirito da ardere, non da far valere nelle conversazioni. Se adunque in casa tua, o in casa altrui ti trovi vicina a siffatte vespe, chè io non le so chiamare nè considerare con altro nome, schivane il pungolo avvelenato benchè sottile, e non ti lasciar ingannare da loro perchè le vedi suggere il mele e lo zucchero, poichè se ti s'avvicinano e ti pungono, n'avrai deformato il viso e guasto fors'anche il sangue! No, non ti lasciar illudere dalle parole dolci e melate; non t'illuda l'eleganza della persona e del porgere; quello è pericolo, e tu lo devi schivare, e schivare tanto più quanto è più coperto, simulato ed insinuante. Talora perfino alcune signore, d'altronde simpatiche e gentili, hanno il tristissimo còmpito di pervertire le anime innocenti; ma se tu farai sempre con buona volontà ricorso a Maria, sarà illuminata la tua mente, agguerrito il tuo cuore, e non tarderai ad accorgerti delle insidie che ti si tendono, nè indugerai a schivarle. Se poi, il che è difficile, le persone le quali minacciano la tua credenza o la tua virtù sono in buona fede, allora tu potrai volgere a bene le stesse loro lusinghe, e sentendoti sul campo della verità, ti sarà agevole far cadere le squame che, come a S. Paolo, coprono loro gli occhi, e renderli illuminati colla luce evangelica, riscaldati dal calore del Sole di vita, Dio. Ma per tacere delle letture cattive, delle quali ti parlerò separatamente un altro giorno, debbo parlarti di un altro pericolo e grave, che ti può venire non solo dai parenti e dai conoscenti, ma altresì dai maestri e dalle amiche. La penna ripugna a scriverlo, perchè la mente ripugna a pensarlo, che i maestri e le amiche possano essere di pericolo alla tua fede, perchè invero non è, nè può esser vero maestro ed amico colui che insegna il male! Tuttavia, tu non sei più nel caro e sicuro recinto del tuo collegio, di quel collegio tanto ben diretto, sì bene animato; tu sei in una società che non possiamo dire buona e bene intenzionata, ma che ci è forza confessare corrotta e corruttrice, ingannata ed a sua volta ingannatrice. Tu sei obbligata a vivere in questa società, dove lo spirito delle tenebre lancia talvolta alcuni di quegli esseri i quali dovrebbero avere l'ufficio d'illuminare, e che adempiono invece quello d'inondare di tenebre dovunque posano il piede e toccano colla mano. Quando ti ragionerò del modo di schivare le occasioni di peccato non solo contro la fede come oggi t'ho parlato, ma altresì contro il costume, mi estenderò maggiormente; per oggi ti basti il già detto, cioè dover tu usare coi maestri e colle amiche, non altrimenti di quello che fai con chiunque insidia la pace della tua coscienza. Ove e appena ti accorgi che colla letteratura, colla storia e perfino colla musica, ti si vuol propinare l'errore, confidati coi tuoi genitori, e pregali a toglierti da sì grave pericolo o col dirizzare l'insegnamento, o col rimandare chi te lo amministra. Questo ti sarà meno difficile ancora colle amiche, alle quali devi imporre silenzio e rettitudine di pensieri e di discorsi, e se questo nol puoi ottenere, allontanati da esse, pregando molto e sempre per l'anima loro. Oh! sì, molto e sempre devi pregare per tutti coloro che ti fanno del male, o minacciano di fartene, e ove se ne porga l'occasione, non devi essere tarda nè restìa a far loro del bene colla parola, coll'opera, col cuore, e quell'Iddio che promette un premio eterno per un solo bicchier d'acqua dato per amor suo, te ne darà larga ricompensa in questa vita e nell'altra. Un altro pericolo del quale, come dal fuoco, ti devi guardare, si è la medesima tua debolezza, e per quanto ti paja e ti senta forte nelle tue convinzioni religiose, paventa sempre il pericolo. Non già il soldato trascurato e spavaldo è forte al momento della mischia; ma l'eroe è sempre colui che prima ha misurate le sue forze, ha tremato di sè, ed ha lungamente meditato la giustizia della sua causa. Sì, questi è l'eroe, che dimentico di sè tiene con una mano la bandiera, pugna coll'altra a difenderla, finchè o è giunto a salvarla, o è perito con essa. Sii tu pure l'eroe della tua religione, senza temere il ridicolo. Chi ride di te, o ride perchè non arriva a comprenderti, o perchè non ha forza da emularti. Guardati dal fuoco, e le fiamme dell'incredulità cadranno spente ai tuoi piedi. Dio ti benedica!

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Per me certo, benchè abbia passato la giovinezza e mi trovi in quell'età che volge alla maturanza, e stia forse per compiere il giro della mia non lunga carriera; per me non vorrei di sicuro cimentare la mia quiete per un piacere fugace di una lettura cattiva o pericolosa, senza prima averne avuto non solo il permesso, ma vorrei quasi dire il comando, da chi ha l'autorità d'impormi mezzi anche non comuni per conseguire il fine della salvezza mia e delle anime che prendo a consigliare. Che, se mi è dato risparmiare alla mia mente ed al mio cuore la lettura di libri proibiti, ne ringrazio il Signore con tutta l'effusione. Grazie, Dio mio! Vi hanno però anime deboli, inesperte e spensierate, le quali si scusano col dire non essere vero che nei libri e nei giornali posti all'Indice vi sia poi quel male che loro si attribuisce; e che qualora si leggano, come fanno essi, così per diporto e senza troppo badarci, non se ne cava alcun male. Vi hanno perfino alcune, e forse molte, persone attempate, le quali affermano aver letto sempre ogni sorta di libri venuti loro alle mani, e di aver tuttavia conservato i loro principj d'onestà, di religione, con un'infinità di altre buone cose che io non ho pazienza di ripetere. Ammettiamo esservi alcune nature privilegiate che all'acutezza dell'ingegno uniscono tale saldezza di principj, per cui cercato ed ottenuto il permesso di qualunque lettura, salvo le più direttamente opposte al costume, non ne restano menomamente scosse; ma quanto ai vantatori dei quali abbiamo ragionato, perdona se asserisco mentir essi solennemente, benchè forse, se vuoi, in buona fede. Sì veramente essi mentiscono, poichè non vedi tu, come sotto una rettitudine apparente hanno una stortura di idee, un'ignoranza massiccia, un'esaltazione o una depressione d'animo che non li rende sicuramente invidiabili? Tu mi dirai che l'uso e l'abuso della società li ha resi tali, ed io non ti so contraddire; ma credilo a me: se avessero messo sempre sotto sequestro le loro letture, avrebbero acquistato volontà e forza di vincere i pericoli della società, ed anzichè abusarne ne avrebbero usato con quanta maggior parsimonia avrebbero potuto. Molti dicono un'altra ragione che secondo essi rende loro non perniciosa, anzi neppur inutile ma necessaria la lettura di ogni libro e d'ogni giornale. Dicono essi:Io ragiono colla testa mia, e non mi lascio imporre da nessuno. Ma intanto io vedo che chi sta collo zoppo impara a zoppicare, e chi pratica od una persona od una lettura libertina, per piacere di star con essa (non per dovere), o diventa, od è già libertino. Ognuno lo sa: tutti i maestri di spirito ed i veri educatori, proibiscono le cattive letture e quelle che esaltano la mente ed il cuore; e perfino Rousseau, quel grande traviato che qualche volta non poteva rifiutare all'acutezza del suo genio l'aspetto della verità, mise lì avventatamente nella brevissima prefazione del suo Emilio quella bella sentenza:Donna casta non legge mai romanzi. Non dico già che egli, e tanto meno io, volesse proibire i romanzi buoni, come i nostri Promessi Sposi, come quelli del Cantù, del padre Franco ed altri molti, diretti ad educare al bene ed alla virtù; ma dico che Rousseau medesimo trovava che i romanzi propriamente detti, i quali sono scritti per esaltare, per inebbriare, per sconvolgere la mente ed il cuore, non possono esser letti da donna casta. Vorresti tu essere meno rigorosa in fatto di morale, dell'incredulo ginevrino? Ho accennato poc'anzi che taluno si crede necessitato a non scegliere nè sceverar nulla nelle sue letture, e ne attende anzi un'utilità. Ma dimmi, giovinetta mia, non offendo io il tuo orecchio semplice ad esporti simili ragionamenti pei quali tu, colla rettitudine che hai, senti tutta la contrarietà?... No, mi pare propriamente di no, poichè se non te li dico io ed in pari tempo non ti mostro quanto sono lontani dal vero, la società nella quale ti trovi li farà giungere alle tue orecchie, e tu ne sarai tutta turbata, e fors'anche tentata... Non lo credere, fanciulla dal retto sentire; non credere sia necessario leggere tutto, conoscer tutto, per viver bene. È una proposizione moderna questa, che ci sia uopo scendere in ogni lordura, visitare ogni cloaca per diventare uomo o donna sperimentata, per esser qualche cosa e per figurare. Se non ci foss'altro da dire basterebbe questo, che se fosse così realmente, il buon Dio, il quale è venuto a beneficare, a migliorare la società, non ce l'avrebbe proibito; ma invece ce l'avrebbe comandato, come fa con coloro i quali debbono confutare gli errori per portare in luce la verità. Ma siccome Iddio ci permette l'esame, esaminiamo un momento, se e come corra la cosa anche agli occhi nostri. I grandi scrittori, i grandi inventori, i grandi benefattori della società erano e sono forse gli uomini pratici come si dice adesso, quegli uomini perduti in ogni frivolezza, in ogni lettura per studiare la società? Oh! no, gli uomini grandi e serj hanno studiato la società nella società; voglio dire nel proprio cuore, nel cuore altrui, nella famiglia, nella patria, nel mondo, senza discendere nel brago di certi particolari i quali non sono altro se non le anormalità di quella società che vogliono e debbono conoscere nel loro stato normale. Lo ripeto poi senza esitanza: quella Chiesa la quale, madre tenerissima, prende ogni libro che vede la luce, lo esamina, e se non lo trova conforme agl'insegnamenti della fede e della morale lo mette all'Indice delle letture proibite, sa e può dispensare da questo divieto coloro i quali realmente hanno d'uopo di tutto leggere ed approfondire in servizio del bene e della verità. Ma quanto a te, giovane mia cara, sei troppo fortunata di non aver bisogno di tali dispense, ed anzichè succhiarti lentamente il veleno che un libro od un giornale eretico o spudorato tenta propinarti, caccialo via da te come un falso amico, come il peggiore nemico che insidia la tua mente e il tuo cuore, con una faccia che non arrossisce mai nè mai si ricrede. Quanto ho detto dei libri vale anche di tutti quei periodici che allagano tutte le case, tutti i tavolini, da quello dell'artigiano e dell'operaio, a quello del nobile e del sovrano. Ma il tuo tavolino non mai sia allagato da giornali non apertamente buoni e cattolici; e se, come pur troppo avviene di frequente, anche la tua famiglia ne è infetta, guardati bene dal leggerne anche un solo brano! Ne perderesti la consuetudine santa di vincere le tentazioni, i rispetti umani, le occasioni cattive, e cesseresti di essere l'angelo della casa che tutti protegge, tutti ama, e nulla ammette in sè che non sia santo, immacolato e di eccitamento al bene. Mi sono gìà dilungata di molto; ma non posso finire senza prima narrarti un caso del quale io sono stata testimone, e che mi ha fortemente impressionata. Una damigella di famiglia distinta aveva ricevuto educazione nel mio stesso collegio, ed io, come di essa molto più giovane, la guardava con quell'occhio di minoranza che tu pure avrai avuto colle compagne a te superiori di età. Quella damigella si maritò, e dimentica o incurante dei buoni consigli ricevuti, cominciò ad ammettere nel suo gabinetto e sul suo tavolino ogni sorta di libri. La giovane signora diventò trascurata nella sorveglianza della sua casa; ambiva solo di immergersi in quella società eccezionale che vedeva tratteggiata nei romanzi d'oltre monte; s'invogliò di rappresentare uno di quegli sciagurati drammi dei quali era tanto assetata, e dimentica del marito, della casa, e perfino dell'onor suo e dell'anima sua... Copriamo d'un velo l'orrenda fine di quell' infelice che, fuggita dal tetto che ospitale l'aveva accolta dopo giurato la sue fede di sposa, si diede la morte con chi le si professava amico! Il buon Dio abbia accordato il suo perdono a quelle due anime traviate, poichè di quell'ultimo momento in cui l'anima si stacca dal tempo per entrare nell' eternità, non è padrone che Iddio. Buon Dio, quale terribile momento! sarà stato momento di condanna o di perdono? Promettimi, giurami, fanciulla carissima, anzi promettilo e giuralo al Cuore Santissimo dell'Uomo Dio, di non leggere mai libri nè fogli proibiti dalla Santa Chiesa, e neppur quelli che essendo permessi, non sono atti a perfezionare e a rafforzare la fede ed a migliorare i costumi, e n'avrai in premio una rettitudine di coscienza che ti farà vedere il bene e ti darà la forza di abbracciarlo. Quando Gesù Cristo scacciò il demonio da un uomo che ne era posseduto, il maligno fu forzato a confessarlo Figliuol di Dio; così da una penna venduta all'errore usciva quella vera sentenza, che tu ricorderai sempre quando sarai tentata di stendere la mano ad una lettura cattiva e pericolosa:Donna casta non legge mai romanzi. 11

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Ti rechi talora in una conversazione, ad un passeggio, e, mi ripugna a dirlo, perfino in chiesa; e nella conversazione, al passeggio e perfino in chiesa vi ha un cotale che pare abbia il torcicollo, e sia sempre sempre obbligato a guardare dalla parte dove tu sei. Ti trovi talora in una società o ritrovo, e quel cotale non trova bello se non ciò che è tuo o piace a te; non sa discorrere se non con te e di te; trova eloquente il tuo silenzio, affascinante il tuo parlare, e se suoni, o canti, o dipingi, non v'ha per lui chi suoni, canti, o dipinga come tu fai. Io sono ben aliena dal distoglierti dall' idea di un giusto e buon collocamento; ma ti assicuro questa non è la via per ottenerlo, e se ti vedessi attorno uno di codesti vagheggini non esiterei a dirti: metti la briglia al cuore, non è costui che ti vuol chiedere in isposa, non è costui che renderà invidiate le tue nozze e il tuo focolare. Eppure, pare incredibile, io so di qualche giovinetta che si strugge d'invidia, vedendo taluna delle sue amiche soggetto di una simile cortigianeria. Inconsiderata! e non capisci che questo è un agguato del maligno per rubare il cuore dell'inesperta? Sì, probabilmente tu sarai chiamata da Dio a ricevere il settimo Sacramento; ma se lo vuoi ricevere degnamente, devi prepararti ad esso con raccoglimento e con fede. Sì, probabilmente tu sarai chiamata a donare il tuo cuore ad un uomo...; ma se vuoi riceverne il suo in cambio, bisognerà che il tuo si conservi vergine, intatto, non offuscato da nessun alito, da nessuna macchia... Sì, probabilmente il Signore benedirá le tue nozze; ma se vuoi che copiosa scenda la benedizione sul tuo capo, fa che il tuo velo nuziale sia candido ed immacolato come il giglio che rappresenta la tua purezza, odoroso come il fiore d'arancio che s'intreccia nella tua chioma!... Ma forse, forse, neppure tu sei chiamata a porre in dito quell'anello che nel suo circolo senza sortita rappresenta la continuità del vincolo che con esso si suggella: forse tu sei destinata ad essere l'appoggio dei vecchi giorni dei tuoi genitori, ovvero il bastone e la guida dei minori fratelli e dei nipoti... Forse Gesù ti vuol fare sua sposa... Pretenderesti forse, col legare e vincolare il tuo cuore ad un uomo, di mutare il tuo avvenire? Oh! no, il buon Dio vuole per te quello che è pel tuo meglio; vuole per te quello che ogni giorno tu gli domandi dicendo: Sia fatta la vostra volontà; e se sprechi il tuo cuore, se lo sciupi in folli amori, quel povero tuo cuore tornerà a te sanguinante, indebolito, incapace di forti e santi affetti! Fanciulla, io ti amo, ti amo molto in Dio; ma non ti conosco, e, ti conoscessi ancora, sarei bene stolta se pretendessi, nuova Sibilla, vaticinarti la sorte che ti attende. Quello però che so infallibilmente si è che sarai chiamata a formare ed a reggere una famiglia. Colui senza del quale neppur uno può essere toccato dei tuoi capelli, se saprai infrenare gli affetti tuoi, ti presenterà l'uomo del quale assumerai il nome, i diritti, i doveri, vivessi, tu pure lontana dalla società, in un monastero o perfino ti trovassi relegata in una spelonca. Che se sarai chiamata a vivere celibe, l'essere circondata da mille adoratori, nè il brillare in società per le più belle e vistose doti, non ti gioverà punto a procurarti ciò che tanto ambisci e che per te sarebbe certo un male. In ogni modo, sia che ti mariti o no, non devi donare il tuo affetto ad un uomo prima ch'ei t'abbia chiesta in isposa, e prima che tutto sia combinato e sia prossimo i tempo di congiungerti a lui. E poi non basta; dà a quell'uomo il tuo affetto con misura e con ritegno, prima di essere a lui unita in modo indissolubile, perchè potrebbero nascere ostacoli tali da allontanarlo da te, e rendere vane le trattative precedenti. Che ne sarebbe di te se tutto gli avessi abbandonato il tuo cuore? Un fatto si può dir giornaliero, e che tu stessa potrai constatare se addentri un momento lo sguardo nelle famiglie che ti circondano, si è che sono più strette e più invidiabili quelle unioni le quali non sono state iniziate con pazzie amorose. E ciò è ben naturale, se consideriamo che appunto chi è facile una volta a donare il suo cuore, senza ritegno nè precauzione di sorta, non saprà poi infrenarlo allorchè sarà consacrato irrevocabilmente al compagno ricevuto da Dio. I divorzj, le guerre delle famiglie, quelle guerre intestine che ne rovinano gli animi e gl'interessi, quei blasoni caduti nel fango, le discordie d'ogni maniera, se risaliamo all'origine, non la troviamo forse sempre in un amore mal collocato, intempestivo o colpevole? Se tu mi dicessi che ti è fatica porre la briglia al cuore, io ti risponderei che neppur io la credo agevole cosa; ma la credo bensì possibile, possibilissima coil'ajuto di Dio, se conscia della tua fiacchezza ed impotenza ti rivolgerai a Lui per essere sorretta e guidata. Sì, tieni la briglia del tuo cuore in modo che sia sempre in tua mano il dirigerne e regolarne gli affetti, tel ripeto, e qualunque sia lo stato al quale ti chiamerà la Provvidenza, sarai sempre contenta e fortunata, se potrai dire; il mio cuore l'ho custodito gelosamente. Non ti fidare per pietà di te stessa, di chi ti guarda, ti ammira, ti adora! Pensa che Dio solo è degno delle nostre adorazioni: Lui adora, Lui ama, a Lui cerca dirigere sempre il tuo cuore; a Lui pensa prima di donarlo a chicchessia, fosse pure un angelo sceso dal cielo, fosse... A Dio, a Dio il tuo cuore! non lasciarne la briglia a nessuno se non a Colui che te lo ha donato così ricco di affetti, di buone inclinazioni. No, non te lo lasciar rapire: guardati dai ladri!

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Tomaso d'Aquino, il quale, levatosi come aquila nelle spiegazioni dommatiche più astruse e più delicate, aveva in sè una fecondità inarrivabile da far credere che, invece di quarantanove anni, abbia vissuto dei secoli parecchi in continuo lavoro? Come spiegheresti l'acume dell'intelletto e la profondità della dottrina e la dolcezza del cuore dell'autore dell'Imitazione di Cristo, di S. Francesco di Sales e di tutta quella schiera luminosa che ha parlato di Dio e difeso le sue verità? E fin qui ho toccato solo della scienza di alcuni; ma dimmi chi potrebbe noverare gli atti di sublime eroismo di tutti coloro che avendo consacrato irrevocabilmente a Dio il loro cuore, hanno avuto una partecipazione più splendida e più speciale della divinità? So che alcuni spiriti limitati ed ignoranti si piacciono di tacciare il cattolico di aver lui attribuito arbitrariamente ai Santi, coll'aureola di una santità che essi negano perchè non la comprendono, una storia fallace, od un mito, come dicono essi, da crearne degli eroi. Ma se tu sentissi uno di costoro parlare in siffatto modo, non potresti confonderlo con una sola parola, mandandolo ad esaminare quei tesori di scienza che di quelli ci sono rimasti, e sono tuttora la base su cui si fondano le scienze tutte, non solo le divine, ma altresì le scienze umane e naturali? Non si stanno adesso rimettendo in luce, riunendo e rinnovando le molteplici edizioni della grande biblioteca che è il parto della sola mente dell'Angelo delle scuole? E dimmi, chi non sa che le lettere, le scienze, e talora anche le arti, hanno avuto culla, incremento nelle case religiose, in quei conventi che or si vogliono sopprimere, perchè s'accusano d'inceppamento all'aprirsi e allo svilupparsi delle idee? Chi non sa che fin verso il duodecimo secolo i monaci soltanto hanno acceso ed alimentato il focolare delle scienze e delle lettere, e che gli stessi liberi pensatori, i quali si vantano di tutto negare e di dubitare di tutto, devono ricorrere a quegli antichi oscurantisti se vogliono saper qualche cosa delle scienze delle quali si fanno maestri? E più tardi e sempre i pittori, gli scultori, gli artisti d'ogni maniera non hanno ricorso a coloro che avevano donato il cuore a Dio, per avere eccitamento e compenso ai loro studj, alle loro fatiche? Non furono i Papi i mecenati di Raffaello, di Michelangelo, e giù giù fino a noi, di tutti gli artisti? Non l'ignoro: non si vuol più sentir parlare di Santi, nè di Papi, nè di monaci; ma io ti vorrei raccontare del sommo Alighieri, se tu già nol sapessi prima di me, come egli, il grande poeta, non isdegnava recarsi col suo quaderno sotto il braccio, da un umile fraticello per fargli rivedere, mano mano che gli usciva dalla penna, quell'apologia del cristianesimo che s'intitola la Divina Commedia. Nel XV secolo un uomo di nobile lignaggio, ma caduto in basso stato, si vedeva obbligato per campare la vita di consumare le ore del giorno e della notte in copiare, dico copiare codici e carte, e il meschino guadagno bastava appena a mantenere lui e il vecchio padre ed a guidare i fratelli sulla via del lavoro. Senonchè sotto povera veste era un'anima ricca, e tanto più ricca perchè per trovare il suo cuore doveva, risalire a Dio nel cui seno lo aveva deposto. Venne un giorno, e non fu lontano, che, morto il padre, quell'anima fremette dei vincoli già troppo lungamente subìti, e volgendo dentro di sè grandi pensieri si diresse alle repubbliche, ai sovrani ai grandi della terra per avere appoggio ed ajuto. A somiglianza del Cristo ch'egli imprendeva ad imitare, fu rimandato da un luogo all'altro e sempre senza frutto, trattato da fanatico e da visionario, finchè esauriti i meschini avanzi dei lunghi e faticosi suoi lavori, esausto di forze bussò alla porta di un monastero, a chiedervi il pane, sì il pane! Un uomo qualunque avrebbe dato la sua limosima al mendico, credendolo un mendico comune. Ma il monaco era un uomo illuminato da quel Dio cui aveva donato il suo cuore, e nel mendico fiaccato dagli stenti intravvide l'eroe e non solo fu sollecito a dargli un pane ed una veste; ma lo ricevette immediatamente nel convento, e lungi d'imporgli come credono taluni la tonaca e la cocolla, per solo amor del Signore gli prestò asilo, una ricca biblioteca, i frutti dei proprj studj e della propria esperienza ed altissimi appoggi, nè fu pago finchè non gli riuscì di metterlo in grado di porre in esecuzione gl'incompresi suoi progetti. Ecco finalmente un uomo salpare con numeroso equipaggio il grande Oceano: egli è coraggioso, perchè animato da una fede profonda, da una ferma speranza, da una carità ardentissima, e trova in Dio la forza di superare e vincere l'acerba lotta di quegli stessi uomini che dovrebbero amarlo, difenderlo, ajutarlo. Un giorno i marinari fanno una terribile cospirazione; giurano di gettar in mare il loro condottiero perchè non trovano la terra ch'egli ha loro promesso. Il nero giuramento sta per essere posto in esecuzione; ma il condottiero non è un uomo comune e riesce a sventarlo: egli chiama in ajuto quel Dio al quale ha donato il cuore, ha consacrato la vita, e forte della forza stessa dell'Altissimo acquieta l'ammutinato equipaggio, gli promette che di lì a tre giorni vedrà e toccherà la terra, e alla parola dell'uomo inspirato dallo spirito del Signore, la ciurma si piega come per incanto... e rinuncia a' suoi neri progetti. Ma Cristoforo Colombo, l'eroe dei due mondi, dove ha trovato tanta forza d'animo, tanta costanza da superare e vincere gli ostacoli pressochè infiniti che si frapposero alla sua impresa? Tu lo sai, egli l'ha trovata in Dio, perchè egli amava Dio, perchè egli ardeva di portare la fiamma del divino amore in paesi ignorati, perchè egli aveva promesso a quel Dio di piantare la croce sul primo punto di terra che gli sarebbe dato di scoprire. E con quanta commozione, con quanta solennità egli inalberasse il segno di nostra salvezza nel primo momento in cui poneva il piede sul suolo che il suo genio e il suo cuore avevano vaticinato, tu lo sai nè lo puoi richiamare senza inumidire le ciglia. Dicano pure gl'increduli ciò che loro talenta per oscurare la fede del grande scopritore e dell'ancor più grande cattolico; ma mi spieghino poi com'egli sia riuscito a sventare la tromba marina che stava per investire il suo legno, se non vogliono confessare che fu col leggere il primo capo del Vangelo di S. Giovanni, di quel Vangelo che era la sua quotidiana meditazione, l'incessante suo conforto. Mi spieghino coloro che tutto negano, mi spieghino chi ha dato a Colombo la forza di perdonare agli accaniti suoi nemici che tutto gli tolsero, tutto perfino la soddisfazione di dare il nome suo alla terra di cui egli solo aveva ideata la esistenza, e da lui solo ritrovata con inauditi stenti e privazioni. Mi dicano infine come e perchè Colombo morente volle seppellite con sè le catene dell'ignominiosa prigionia, lasciando per testamento la proibizione assoluta di vendicarle. Ove io non avessi chiara la spiegazione nell'eroismo cristiano, unico movente del grande Genovese, tutto mi riuscirebbe un enimma indecifrabile, chè tutte le ragioni umane che mi si potrebbero addurre non avrebbero maggior peso delle fiabe solite a raccontarsi ai bambini creduli ed ignoranti. E poi si dirà che l'aperta professione del culto cattolico è la risorsa delle piccole menti? E poi ci sarà chi avrà l'impudenza di vergognarsi della propria fede, quando i suoi campioni sono stati pure i campioni dell'umanità? E poi si dirà che consacrare a Dio il proprio cuore sia opera inutile, o meschina, o minuta, necessaria od utile soltanto ai claustrali? Oh! tu, come Colombo, dà a Dio il tuo cuore, e come lui guadagnerai nel donare, poichè n'avrai in ricambio la più ampia benedizione! Scusami, è tanto bello l'esempio di Colombo che mi sono lasciata tentare a parlartene troppo lungamente, e mi ci vuole una specie d'eroismo a troncare a mezzo tutto quanto potrei dirti di lui. Ma il buon Dio, il quale ha permesso ti ragionassi di un suo servo che sarà probabilmente innalzato all'onor degli altari, avrà io spero, infuso nel tuo cuore una salutar vergogna della tua vergogna istessa nel professare apertamente e pubblicamente le tue convinzioni religiose non solo, ma benanche nell'osservarne le pratiche. Gli uomini superbi i quali non vogliono piegare la fronte dinanzi a Dio, la piegano poi dinanzi a quegli altri uomini che son loro superiori; il cristiano invece, no, non la piega mai la fronte all'uomo, ma al solo Dio, la di cui autorità soltanto venera ed obbedisce in chi ne è investito. Dunque, figliuola buona, facciamoci coraggio amendue: tu in ascoltarmi efficacemente e con amore, io in ripeterti quanto la cara Madonna mi suggerirà pel tuo vero bene. Oh! perchè non ho il genio penetrante del gran vescovo di Ginevra del quale oggi corre la festa? perchè non ho l'unzione della sua parola per trasfondere nell'animo tuo un salutare orrore al peccato, una volontà energica di tutto donare a Dio il tuo cuore, di agire unicamente per Lui, e il proposito fermo di diventare tosto santa e il più possibilmente gran santa? Esaudisca il Signore le mie fervide preci, e tu sarai non solo una damigella modello e l'angelo della tua famiglia; ma diverrai altresì l'angelo salvatore della società. Tel ricorda sempre: Dio vuole il tuo cuore!

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Certamente l'agiatezza è una tentazione molto violenta all'ozio, ed io credo che appunto per togliere questa tentazione il buon Dio abbia fatto nascere o cadere in una condizione bisognosa (relativamente almeno) quasi tutti i genj che hanno illustrato il mondo, affinchè fossero in certo qual modo più strettamente obbligati a far fruttificare la loro potenza. Un fatto poi incontestabile si è che nessun genio è stato, nè può giacere ozioso, perchè appunto il genio si rivela necessariamente nelle opere sue. Aveva ragione io di dirti che la mia è una buona, una prodigiosa ricetta? Sì, sfuggi l'ozio, sfuggilo costantemente, e la tristezza ed il malumore che gli sono inseparabili compagni ti resteranno sempre stranieri; sì sfuggi l'ozio e ti procurerai un testimonio sicuro, incoraggiante, quello della buona coscienza; sì sfuggi l'ozio, e ti circonderai di affezione, di riconoscenza; sì sfuggi l'ozio, ed avrai largo compenso allo sforzo, anzi agli sforzi che avrai fatto per combatterne la tentazione, col vedere l'utilità dell'opera tua, e più assai colla sicurezza d'avere con essa adempito al tuo dovere. Spero che tu sentirai fin d'ora un vero abborrimento all'ozio, eppure non ti ho ancora detto a quanti mali egli non solo conduca, ma precipiti irrevocabilmente. Per esso l'anima indebolita ed anemica diventa più che mai suscettibile alle lusinghe del mondo, e, fiacca com'è, non sa resistere, e cade, cade molte volte tanto basso da far pietà. Una persona attiva, anche pel solo fatto di non voler togliere il suo tempo alle proprie occupazioni, non si perde in letture od in discorsi frivoli o perniciosi; ma accudito a quanto è richiesto dalla carità e dalle convenienze sociali, comandate o permesse dall'istessa carità, riprende il giro delle sue laboriose consuetudini, e non si perde in leggerezze. Vi hanno alcune signorine di ottima indole, di ottimo cuore, le quali guastano l'uno e l'altra per abbandonarsi al dolce far niente, appunto perchè dolce al palato; ma le meschine non pensano che quella dolcezza è ingannevole, e lascia un fondo di amarezza! Dimmi, non ti fa compassione quella signorina che consuma il meglio del suo tempo appoggiata al davanzale della finestra a rimirare i passanti? Povera giovane, forse essa non sa che il mondo la critica, va almanaccando sulla sua condotta, e le attribuisce non solo il male che fa, ma spesse volte anche quello che non fa, e che perfino ignora. Si dice da taluni che se sta alla finestra ci avrà il suo perchè misterioso; si dice che o ha trovato chi la guardi, o lo cerca; si dice che si pavoneggia e fa la ruota; si dice, si dice,... e veramente non si ha il torto di dir tutto questo e peggio, perchè se ora quella giovane non ha simili intenzioni o cattiverie, certo la si espone volontariamente ad un gran rischio d'invischiarsene. L'ozio è davvero il padre di tutti i vizj, e tu, cara amica, tu abborrilo assai quel brutto figuro che colle più ingannevoli lusinghe ti vuol stringere fra le sue zanne, per ferirti ed ucciderti. Quanto ti senti svogliata o stanca, anzichè sdraiarti su di una soffice poltrona, a fantasticare od a borbottare della Provvidenza, degli uomini e delle cose, ove non ti astringa il dovere ad occuparti di alcunchè di speciale, prendi un lavorino, un buon libro, e se non hai voglia di far altro suona, o scrivi, o canta, o rimetti un po' d'ordine dove l'ordine è stato turbato; ma, per carità, non istartene neghittosa mai e poi mai! Mi ricordo d'aver sentito un mio caro congiunto dire una volta a proposito di una signora, la quale tranne le lunghe ore date al riposo, e le altre consacrate all'acconciatura, ai ricevimenti ed ai teatri, passava il suo tempo a deplorare l'abbandono in cui era lasciata, a lagnarsi del marito, della servitù e perfino della Provvidenza che le aveva tolto maggiori risorse, e che aveva formato la società con tante lusinghe e disinganni, quasi fosse questa opera della Provvidenza, e non degli uomini i quali l'hanno volta alla peggio; orbene quel mio congiunto, uomo che copre degnamente un bel posto nella magistratura, e non può essere sospetto di bigotteria, mi diceva essere per lui una gran pena veder sciupare tanto tempo ed una bella intelligenza in una vita così oziosa. Anzi aggiungeva che avrebbe amato meglio vedere quella signora occupata in fare una lunga calza, poi vedergliela a disfare e rifare all'infinito, anzichè vederla esposta o all'ipocondria ed al malumore, o ad avere bisogno di qualcheduno che le facesse passare o meglio ingannare il tempo; quello stesso tempo che per altri è si prezioso, e sì prodigiosamente fecondo. Non istar mai colle mani in mano; lavora, lavora sempre, ed il tuo riposo consista nel variare le tue occupazioni e prenderne anche di gradevoli se vuoi, come sono gli ameni studj, la musica, il disegno, e perfino il passeggio ed il divertimento. Purchè il divertimento sia onesto, meglio divertirsi che far nulla; però meglio di tutto è far qualche cosa, ma qualche cosa di utile e di concludente, affinchè si possa dire di te: quella damigella è simpatica, buona, amabile, ma soprattutto è operosa; e fortunata quella famiglia che sarà destinata a possederla!

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Non volendo nè potendo io supporre che una giovinetta per bene, come tu sei, si lasci attaccare da tale spaventosa malattia, anzichè ammorbarne il delicato sentire col fartene la triste dipintura, cercherò d'innamorarti dell' opposta virtù; che se per mia imperizia rifletterò incompleta e meno bella, avrà però in sè tanto splendore e tanto fuoco da invogliare di possederla chiunque abbia un cuore ben fatto, ed un'intelligenza non accecata dall'orgoglio. No, mia cara figliuola, io non ti vo' parlare dell'egoismo se non per fartelo odiare, nè ti parlerò degli egoisti se non per farteli compatire, e supplicarti a pregar Dio per essi, poichè tu devi odiare il vizio, ma devi perdonare e pregare per coloro che ne sono dominati. Quanto a te, fiore di valle o di giardino che tu sia, secondo che vivi segregata dal mondo, od a lui vicino, quanto a te sei e devi essere un fiore candido, olezzante, nel cui calice siede abbondante un dolce umore destinato a diventar miele. Come il fiore spargi e devi spargere a te d'intorno un profume soave che ricrea, che consola, che giova! Naturale, anzi naturalissima, se hai mente e cuore retto, deve sgorgare dall' anima tua quella devozione, quell'annegazione, che rendendoti dimentica delle tue proprie aspirazioni e delle tue tendenze, ti farà premurosa di quelle degli altri, e segnatamente di coloro che hanno la fortuna di condur teco la vita. Quale commovente quadro che nessun pennello ha mai saputo nè saprà mai adeguatamente ritrarre, si è quello di una famiglia in cui ha sede uno di questi angioli dell'annegazione cristiana! Per ogni dove tu vedi, o a dir meglio tu senti il benefico influsso della sua presenza, e tutta la casa ne è, si può dire, profumata ed imbalsamata. Taluno in casa ha delle esigenze eccessive? L'angelo dell'annegazione rinuncia alle proprie, anzi le cancella per sempre dal proprio cuore, e non pensa che a soddisfare le altrui. Vi ha un ghiotto boccone in tavola o nella dispensa? esso gode di serbarlo per gli altri, di offrirlo a chi ne ha bisogno, o se lo è meritato. Per lui è sempre il più buono ed il prescelto il boccone rifiutato; quindi ha la soddisfazione di vedere gli altri contenti, e di non vedersi contestato nella propria scelta. Vi ha un divertimento, una festa, e per lasciar godere gli altri, è necessario che uno resti in casa, o in un modo qualunque vi rinunci? L'angelo dell'annegazione con animo allegro e con volto sereno non solo si offre, ma insiste nel voler fare la guardia per gli altri, e la fa veramente senza pretenderne scuse e ringraziamenti, i quali costerebbero molte volte forse più dello stesso sacrificio. Nella casa vi sono bisogni eccezionali? L'angelo dell'annegazione sa prendere per sè le maggiori fatiche, e con quell'industria fina e delicata, che sola sa inspirare la virtù che ha radice nel Vangelo, ne solleva gli altri, cerca il modo di trasfondere in essi la propria convinzione, che si sente inclinata a quella vita, che è di suo genio e di suo piacere. Ed infatti, usa com'è, quell'anima soave, a cercare il benessere altrui, trova agevole e di propria soddisfazione tutto quanto serve a raggiungerlo anche col sacrificio di sè medesima. Vi sono parecchie sorelle, e non tutte possono avere gli stessi vantaggi, non tutte possono figurare ugualmente? Quella che più abborre l'egoismo si compiace di veder figurare le altre e di sacrificarsi per esse, contenta sempre della veste meno bella, del posto più trascurato, e di starsene a lavorare quando le altre oziano, o si divertono, o brillano in società. Insomma, essa è il vero capro espiatorio che si carica delle colpe, delle negligenze altrui; sopporta in pace di vedersi tenuta in poco conto, ed ha ogni sua speranza nel Redentore che prende ad imitare e forma la sua consolazione. Ed infatti chi più del Nazareno ha praticato la vera annegazione in modo perfetto e costante? Egli tutto ha fatto pel bene degli altri, ed ha posposto il proprio e fino anche quello dei suoi e del suo paese, quando un bene maggiore lo richiedeva. Tutti, uno ad uno i misteri dell'infinita sua carità, dalla sua nascita alla sua crocifissione; anzi non basta, dalla sua crocifissione alle diverse apparizioni e fino all'ascensione in Cielo, tutti ci dicono che Egli non curava sacrificj nè disagi, purchè avesse potuto giovare alle anime non solo, ma anche ai corpi dell'innumerabile numero d'infermi che da Lui riebbero la salute. Un fatto poi costantemente provato, si è che quelle fanciulle le quali devote della bella virtù di cui oggi ragioniamo, si sforzano di togliersi all'ammirazione altrui, aspirando a nasconderla con sè stesse, sono bensì molte volte sconosciute e maltrattate da coloro perfino che più ne dovrebbero apprezzare l'inestimabile valore; ma tosto o tardi 20 una circostanza qualunque, una combinazione, mette in pubblico il merito che si voleva con tanto studio tenere celato, e ne risulta che l'estimazione generale è stata è vero ritardata, ma solamente per diventare più completa, e sul capo di quelle elette creature si concentrano le migliori benedizioni. Ma tu, figlia mia, avresti torto se ti proponessi la pratica dell'annegazione cristiana per riceverne poi sulla terra la ricompensa; poichè non saresti più animata dallo spirito che quella virtù deve avere essenzialmente, e ne perderesti ogni merito; anzi molto probabilmente andresti delusa nell'aspettativa, poichè se quasi sempre essa viene coronata anche dalla felicità terrena, Iddio alcune volte permette che questa le venga negata, per riserbarle più piena quella del Paradiso. Amica mia, tu devi avere in tutte le tue operazioni, per unico movente la gloria di Dio, il servigio delle anime altrui e il perfezionamento della tua; tutti i riguardi terreni e i terreni interessi ti devi sforzare di calpestarli; poichè tu, dotata come sei di uno spirito immortale, sei di quelli infinitamente superiore, e correresti rischio di perdere il cielo per la terra. Perdere un cielo eterno dove il sorriso è perenne, non mescolato da nube alcuna di dolore, per una terra che presto finisce per ricadere nel caos primitivo, e perderlo per una terra dove il sorriso è piuttosto una chimera che una realtà, ed il pianto l'acqua colla quale siamo forzati di bagnare ogni dì il nostro pane?... Vedi, giovinetta, vedi, io ti ho promesso di farti tranquilla, contenta, perchè ho fatto assegnamento non sulle gioje ingannevoli e fugaci che come ombre circondano e investono questa misera esistenza; ma ti ho promesso di render serena la tua fronte, sorridente il tuo labbro, perchè ho fatto a fidanza con quelle gioje placide e sicure colle quall il buon Dio inonda il cuore di chi lo serve fedelmente e costantemente. Provati, figliuola, provati, e se già la tua vita è colorita dal vero dévouement, e la tua delizia consiste in sacrificarti per gli altri, troverai veridico il mio dire. Centuplichi e benedica il buon Dio gli sforzi tuoi, e scendano le sue benedizioni elette e più copiose sopra di te e sopra tutti coloro che ti stanno a cuore! Se invece sull'anima tua, come sul corpo del lebbroso, tentano comparire quelle macchie che sono i fatali precursori della lebbra dell'egoismo, deh! per pietà, per pietà, anima sorella, buttati nelle acque salutari del Giordano, in quelle acque che Dio ha santificate col suo tocco, abbandonati alla divina misericordia, supplica, prega; e pei meriti di Colui che vero capro espiatorio dell'umanità ha dato la vita per essa, sarai liberata dal terribile male che ti minaccia. Io non voglio conturbare il tuo sguardo col quadro desolante dell'egoista, di quell' egoista che, sia pur fortunato quanto può e vuole nella società, e sia poggiato su uno dei suoi gradini più elevati, è sempre un mostro che disonora non solo il proprio grado ed il proprio ingegno; ma perfino il suo medesimo essere di creatura ragionevole. L'egoista è sempre e veramente un miserabile! Preghiamo per lui. Rincrudisce la stagione e, come nell'inverno trascorso, languono i poverelli senza risorse e senza lavoro? L'egoista si gode solo il suo bene che gli viene unicamente da Dio, o tutt'al più si contenta di divertirsi allo scopo di beneficenza, e pagando il suo biglietto sotto questo pretesto, s'illude di aver giovato al fratello. Come? ei pretende giovare al fratello che langue perchè gli manca il bisognevole, che muore di fame?... Ed allora perchè gavazza, e ride, ed aumenta nei vortici della danza quell'ebbrezza che lo invade?... Oh! l'egoista non vuol abbandonare il suo danaro all'indigente, senza averne la sua parte nel godimento o di una veglia sfrenata, o di una fiera annunciata colle testuali parole:Baldoria e carità, come io con quest'occhi miei ho letto negli affissi a lettere cubitali; o senza per lo meno ottenere il plauso e l'encomio della moltitudine ammirata, nel dare il proprio obolo, col proprio nome, in una lista destinata a fare nel mondo il giro più lungo che sarà possibile. L'angelo dell'annegazione invece non contento di risparmiare sul superfluo, risparmia fino sul suo necessario, per recarsi nel segreto di un'oscura soffitta a portare un po' di sollievo non al corpo soltanto; ma all'anima ancora di coloro che sotto il peso delle maggiori sofferenze, covano un fondo di sdegno contro l'umanità che si figurano gaudente e... Vivi sicura, dove penetra l'angelo dell'annegazione, si smorzano gli strali del comunismo e degli odj inveterati; il pugnale affilato si spezza, e la parola della maledizione si muta in preghiera! Siamo nella seconda metà del secolo XVI. Agli anni d'abbondanza è successa la carestia, alla carestia la peste. L'egoista si nasconde, fugge, e porta via con sè tutto quanto possiede, geloso che una sola sua moneta gli sfugga di mano o gli venga carpita. La città è pressochè unico asilo d'infermi e d'indigenti; la peste aumenta ogni dì il suo dominio, perchè sua maggiore sorella è la fame. Ma Iddio ha suscitato l'angelo dell' annegazione e di un'annegazione eroica; questi non si contenta di dare il superfluo, dà lo stesso bisognevole: vende le suppellettili preziose, i giojelli, perfino i sacri arredi, ed ancora non basta. Gli resta un principato, vende quello ancora, ne distribuisce il prezzo ai poveri, ai quali non il solo suo denaro, ma dona tutto sè stesso. Ecco Carlo Borromeo, e con esso la numerosa schiera di quelli che il mondo dice egoisti, e che sono i ministri di Dio; eccoli dentro gli spedali, al letto degli ammalati, vivere con essi, perchè con essi sono pronti a morire!... Mia dolce amica, è tardi, t'ho già soverchiamente intrattenuta; ma dimmi, dimmi, se la storia ha registrato i fatti di coloro che ci hanno preceduti, quali essa ha scritto con colori più brillanti ed incancellabili, i nomi degli eroi della carne od i nomi degli eroi dello spirito? Quale più t'intenerisce e più ti trae ad imitarlo, il nome del primo Napoleone o del Borromeo? Pensa e decidi, e vivo sicura che dovunque toccherà il tuo piede sarà bandito l'egoismo, ed avrà vita quell'eroismo piccolo, minuto, nullo, se vuoi, agli occhi degli uomini; ma preziosissimo agli occhi di Dio, poichè quell'eroismo non è altro se non quella morte continua della nostra volontà che ci viene insegnata dall'Apostolo.

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Il buon Dio mi ha chiamata all'alto ministero di spiegarti la sua parola di amore, d'insegnarti come devi diportarti nella famiglia e nella società; ed io nella confusione che Iddio abbia voluto scegliere un mezzo cotanto basso per un fine sì alto, mi piego all'ubbidienza, lascio libero sfogo alla sollecitudine grandissima che mi desta nel cuore l'età delle speranze, che è appunto la tua, e ti parlo. Nei tuoi sfoghi tu hai detto lagnandoti quasi,che faccio? Io te lo dirò, mia cara, o piuttosto non io te lo dirò, ma tel dirà al cuore col mio mezzo la cara Mamma nostra Maria, quella Vergine benedetta che ci ama tanto e che io prego m'inspiri tutto quanto può e deve riuscire utile alle anime delle care giovinette. Sì, in voi è la speranza della famiglia, della società, della patria, in voi, fanciulle, che avete lunghi anni a voi davanti, e dovete e potete recare al mondo l'esempio, il conforto, l'appoggio che solo può dare la vera virtù. Che faccio? Domani, mia cara, ti risponderò: oggi rialza l'animo tuo abbattuto, rianima il tuo cuore; abbandonati nelle braccia della Provvidenza, di quella Provvidenza che ci è madre amorosa, e vivi sicura: tu sarai piùforte che oste schierata in campo contro i nemici della tua salute.

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IO credo che non a caso il buon Dio mi abbia inspirato di favellarti, prima di quanto, aveva pensato, della cara e sublime virtù della cristiana e cotidiana annegazione, poichè se tu la terrai a capo della tua vita, o meglio se essa sarà quasi la motrice di ogni tua azione, saprai e potrai evitare quegli scontri che senza di essa ti sarebbero inevitabili. Tu certo m'hai indovinata, ed hai capito ch'io ti voglio parlare stamane della tolleranza di carattere, la quale è parte integrante della virtù che mi sono studiata d'inculcarti jeri. Ed infatti, chi nol sa e nol vede che una delle principali difficoltà, anzi la principalissima difficoltà che si oppone alla buona armonia ed al buon andamento delle famiglie, è appunto quella dell'incompatibilità vicendevole? Alcune volte sono guai d'interessi, ovvero passioni colpevoli che turbano la pace domestica; ma, credilo, più spesso e più invincibilmente questa è turbata, fugata, uccisa da quell'intolleranza che fa cozzare fra di loro gl'individui destinati a mantenere inalterabili quei buoni rapporti, che rendono non solo sopportabile, ma lieta l'esistenza anche in mezzo alle disgrazie ed ai più strazianti dolori. Non so se tu, figliuola, sarai destinata a tua volta a diventar madre, ed a riunire intorno a te tutti in un solo cuore i diversi membri di una famiglia che ti riconoscerà maestra e sovrana; ma dimmi, come avrai tu l'ardimento di aspirare a regnare sovr'essa, se non cominci per tempo, se non t'abitui fin d'ora a dominare te stessa, ad evitare gli scontri perniciosi e fatali che il tuo piccolo, ma vero eroismo, può evitare e scongiurare? Ma io leggo nel tuo cuore, perchè so che una donzella ben nata e ben educata, sente fortemente il bene; e vi leggo che tu sai come me che questi scontri di carattere sono non solo dannosi, ma mortiferi all'armonia del focolare; sarebbe quindi soverchio ogni ragionamento tendente a fartene comprendere il pericolo ed il danno. Tu mi dici: il male lo veggo e lo conosco, gli è il rimedio che ignoro. Buona giovane, leggi, rileggi quel che ti ho scritto jeri, e quando ti sarai proposta fermamente di possedere lo spirito di devozione, di annegazione, e lo possederai veramente, ti riuscirà agevole tutto il resto. È inutile; soltanto col prendere sulle proprie spalle quel carico che pesa sulle altrui, si generano la tranquillità e la pace. Mi ricordo, d'aver letto, nella bellissima vita di S. Francesco di Sales, un episodio che appoggia il mio dire e che ti riporto volontieri, perchè l'esempio dei santi non è mai sterile e fa sempre bene. Si presenta un dì al Vescovo di Ginevra un Sacerdote per domandargli come si possa conciliare quell'articolo del Concilio Tridentino che ordina ai Confessori d'infliggere al penitente una penitenza in qualche modo congrua alla gravezza ed alla quantità delle colpe, col fatto che i grandi peccatori non vogliono addossarsi grandi penitenze, e tanto meno poi le eseguiscono. Il santo Vescovo con quel suo piglio soave risponde al Sacerdote: Non v'ha che un mezzo: dare al penitente una penitenza ch'egli possa fare senza fatica, ed il resto addossarsela il Confessore. E difatti egli stesso S. Francesco operava in questa guisa, e caricava le proprie spalle del peso che doveva cadere sopra quelle dei suoi prossimi ch'egli amava teneramente. Io non pretendo da te un eroismo come quello del Salesio; ma qualche cosa pretendo proprio da te, perchè tu forse più degli altri tuoi famigliari hai avuto doni da Dio, lumi alla tua coscienza, e da questo stesso insegnamento puoi cavare vero profitto all'anima tua ed a quella de' tuoi cari. Certamente io non pretendo da te l'eroismo eroico per così dire, quell'eroismo straordinario che è dato soltanto ad alcune anime privilegiate; ma pretendo da te un po'di quell'eroismo vero, minuto, che gli uomini non riconoscono e perfino disprezzano, ma che a Dio è tanto caro e porta la benedizione nelle famiglie. Affinchè tu possa evitare gli scontri, e praticare la vera annegazione, è necessario tu supporti i caratteri altrui; ma anzitutto è indispensabile tu corregga il tuo e continui tutta la vita a combatterne le cattive tendenze; tu sarai buona, ma lasciamelo dire, la bontà in terra è chiamata virtù ed è meritoria, appunto perchè esige una lotta continua, incessante contro noi stessi; e tu per quanto sii buona avrai tu pure delle inclinazioni viziate, delle abitudini meno corrette che cercano di eludere la tua sorveglianza per sorprenderti, per dominarti. Il tuo carattere è altero, orgoglioso, quindi esigente, intollerante e caparbio? Sforzati di riconoscere la tua piccolezza, e la riconoscerai davvero se confronti il tuo essere, il tuo corpo, la tua mente, tutte le tue facoltà, e soprattutto il modo di usarne e di fecondarle, col corpo, colla mente, colle facoltà, colla fecondità di altri individui, di altre donzelle, le quali ben più saggie e ben più avanzate di te nella virtù, nella scienza, nel sacrificio, conservano un'umiltà che non può a meno di confonderti se per poco le presti attenzione. Ogni volta adunque ti sentirai tentata a far prevalere il tuo parere o la tua volonà, ed il tuo carattere vorrebbe anzi che tu l'imponessi agli altri; ogni volta fa di ricordarti che tu sei un nulla, che sei da meno di essi, ed ancorchè nel caso di cui si tratta non solo ti sembri (il che è frequentissimo), ma veramente tu veda che la ragione è dalla tua parte, fa un po' di sacrificio, un po' d'annegazione, e pensa che senza di questi non c'è caso, non si può vivere tranquilli con Dio nè con gli uomini. Il sacrifizio è il fondamento non solo della vita cristiana di cui Cristo è tuttodì il campione e il modello nell'incessante Eucaristico sacrificio; ma è altresì il fondamento e la base della vita sociale, la quale richiede che tutte le soddisfazioni dalle minime alle più grandi, siano comperate a prezzo di continue annegazioni. È irrequieto il tuo naturale, e bisognoso di una vita agitata? Comincia a frenarlo il tuo carattere, per poterlo mettere a livello degli altri, i quali fosse tranquilli, ed anche flemmatici, urterebbero col tuo, se tu non lo rendessi calmo, e non ti sforzassi ogni giorno di tenerlo sempre più calmo e ragionevole, contentandoti di una vita placida e comune. È gajo il tuo naturale e ti è forza vivere con degli ipocondriaci? Cerca se puoi di comunicare agli altri la tua gajezza; ma se nol puoi, guardati bene di lagnarti della tua condizione, o di ridere sul viso di chi, anche a torto, piange o sospira. Se poi chi t'avvicina fosse in preda ad un giusto dolore, la tua indifferenza sarebbe una vera crudeltà, ed anzichè pretendere che gli altri soffochino le proprie lagrime per divertirti, prendi tu stessa parte alla loro tristezza, e tenta sollevarne il peso. Il tuo naturale è invece portato alla malinconia ed alla meditazione, e sei forzata di vivere con persone pazzamente allegre? Tu nè puoi, nè devi pretendere che esse si correggano; ma procura di essere tanto condiscendente da obbligarli a compatirti ed a stare volontieri con te. Ti senti portata a primeggiare e desideri di essere lodata, incensata, e per giunta quelli coi quali convivi, non solo non lodano e non approvano in te le azioni indifferenti, ma si ostinano altresì a disconoscere perfino le tue azioni lodevoli? Correggi, correggi te stessa, pensa a quel detto di Gesù Cristo: Imparate da me che sono mite ed umile di cuore; e invece di pretendere che gli altri si occupino di te, occupati tu stessa degli altri e di quanto loro interessa. Quando tu avrai reso il tuo carattere dolce, umile, remissivo, sarà malleabile, per così dire, e tu lo potrai dominare e foggiare come più ti conviene affine di renderlo omogeneo a quello degli altri. Non temere, non temere no, che questo tuo studio continuo ed indefesso, non temere che questo tuo sforzo, riesca ad alterarne l'impronta originale, poichè anzi il tuo studio non mira già a cancellarne la fisionomia (già, anche volendo, nol potresti); ma mira unicamente a correggerne gli eccessi, a levarne le scabrosità, a ridurlo alla forma più perfetta che gli sia possibile raggiungere. La è questa una taccia ingiusta, la è una vera calunnia che gl'increduli ed i cattivi cristiani lanciano contro chi cerca di migliorare sè stesso; sì, la è una vera calunnia che i buoni cristiani alterino e deformino la loro morale fisionomia, e ne smorzino lo slancio, poichè essi non fanno che ridurne a maggior perfezione il vero tipo, obbedienti alla parola del Divin Maestro che dice: Siate perfetti come é perfetto il Padre mio che è ne' cieli. La lunga schiera dei Santi di ogni età, che è quanto dire la valorosa falange dei benefattori dell'umanità intera, è tutta composta di persone che non hanno già secondato ciecamente gl'istinti a somiglianza dei bruti, come or si pretende dagl'innovatori; ma che hanno invece rettificate le divergenze del loro carattere, e, pur seguendone l'impulso naturale, lo hanno vôlto a bene, e spesso con grandi sforzi, con eroici sacrificj. Lo stesso dolcissimo Vescovo di Ginevra si sentiva inclinato alla collera, e per l'incessante sforzo ch'ei faceva in reprimerla, gli fu trovato il fiele impietrito nel seno. La stessa S. Teresa, angelo di purezza e d'amor di Dio, sentiva una cotale inclinazione alla vanità, e si godeva di vedersi bella, e di trovarsi fornita delle migliori doti del corpo e dello spirito: pure appena ebbe intesa la voce di Dio, piegò in modo siffatto il suo carattere, da diventare perfettamente dimentica di sè, per non ricordarsi che del suo Gesù e delle anime da Lui redente. Credilo, cara mia, se tu darai retta alle dicerie dei mondani, crederai con essi che la religion di Cristo, religione tutta di amore, non è se non un despota, un barbaro, uno strazio delle anime, che pretende siano tutte foggiate ad un modo, e danna inesorabilmente all'inferno quante sfuggono a quella forma ch'essa vuol loro imprimere, e trasmuta in esseri ridicoli ed eccentrici coloro che le sono ubbidienti e devoti. Nulla, nulla affatto di vero in tutto questo, poichè Gesù è venuto a redimere l'umanità, a spezzare ogni laccio di schiavitù, fino al punto di lasciare in facoltà dell'uomo l'accogliere o il rigettare la sua legge d'amore. Ma, Dio buono! io non la voglio la 21 libertà di rinnegarvi, io non voglio la libertà di chiudere gli occhi alla luce, e perchè io son cieca non voglio gridare che l'universo è avvolto nelle tenebre. Non è schiavitù in credere a Voi, in servire a Voi; la schiavitù è in vivere da Voi lontano!... Se tu sei fanciulla gracile e delicata, e possiedi un ingegno fino e penetrante, la religione non comanda no a te quello che ordina ad un'altra di complessione robusta e di una capacità meno sviluppata. Quella religione che dice ad essa d'impiegare le sue forze corporali nell'ajuto materiale, sì ma valevolissimo a vantaggio dei suoi prossimi, e le affida una direzione semplice ma importante da disimpegnare con grande vantaggio suo e degli altri, ordina invece a te una vita non meno cristiana, non meno meritoria, ma di molto differente. Non ne abbiamo noi una prova, un esempio luminoso nel Vangelo? Marta e Maddalena avevano l'inestimabile ventura di bere dalle stesse labbra del loro Maestro ed amico quelle istruzioni che a noi costano tanta fatica e che dobbiamo raccogliere quasi a stento. Marta seguace fedele dei precetti del Nazareno era interamente dedita alla direzione dell'azienda domestica e menava una vita cristianamente e santamente attiva. Maddalena invece s'immergeva in lunghe meditazioni, piangeva le passate colpe, pregava per sè e per gli altri, conducendo una vita quasi esclusivamente contemplativa. Pure amendue sono piaciute al Signore, amendue hanno meritato ch'Egli operasse per esse il grande miracolo della risurrezione del loro fratello Lazzaro, e Marta e Maddalena sono entrambe sante e gran sante. A chi dunque ti verrà susurrando all'orecchio, come già il serpente ad Eva, che sforzandoti di correggere il tuo carattere subirai una tortura che ti lascerà slogata e sformata, non porgere ascolto; ma ripeti a te stessa le parole del Salvatore: Siate perfetti com'é perfetto il Padre mio che è ne' cieli. Pensa piuttosto che ad ogni vizio si oppone una virtù; pensa che il Signore, straordinariamente buono, permette che, nella pratica delle virtù tu scelga quelle cui ti senti più inclinata; pensa che Egli ti aiuterà nei tuoi sforzi, ed operando tu rettamente, Egli sarà costantemente al tuo fianco a difenderti, ad appoggiarti. Se talora lo scoraggiamento tenta impossessarsi di te, alza gli occhi al Cielo, e medita che lassù portano l'aureola della santità uomini e donne d'ogni età, d'ogni condizione; gl'idioti come i dotti, i sudditi come i re, quelli che hanno coltivato la terra, come quelli che hanno coltivato l'ingegno, quelli che hanno dato pane all'affamato, come quelli che hanno portato la parola della verità all'ignorante, quelli che hanno tollerato pazientemente ogni ingiuria, come quelli che hanno difeso colla parola, colla penna e colla spada le verità evangeliche. Leva il tuo sguardo al Cielo, cerca fra tutti i Santi uno che più si confaccia alla tua capacità ed alle tue inclinazioni, prendilo a modello, e fanne il tuo Santo protettore; non ci avevi mai pensato? Pure credilo; infonde un sovrumano coraggio la sicurezza che altri nelle nostre condizioni fisiche, morali ed intellettuali si è abbassato tanto da meritare di essere da Dio innalzato al seggio dei Santi! Quando tu avrai cercato e trovato una Santa che ti proponi e prometti da imitare, replica come S. Agostino: Quello che hanno fatto altri e perchè nol potrò far io? Credi, credi, mia tenera, mia dolce amica; se tu ragionerai in questo modo ed agirai conformemente, le difficoltà che ti presenta il tuo carattere, a volte ostinato e caparbio, a volte fiacco e irresoluto, e va dicendo; quelle difficoltà scompariranno, o se esisteranno tuttavia, non sarà per altro che per rendere più meritorio il tuo trionfo. Credi, credi, se tu agirai in questa maniera, tu saprai evitare gli scontri dei diversi caratteri che, senza la tua virtù, si urterebbero e finirebbero collo spezzare l'armonia domestica e con essa il buon andamento degl'interessi, la saggia educazione della famiglia, per diventare scandalo e pietra d'inciampo ai fratelli, ai figliuoli, ai famigliari. Per dirti una parola che ti possa richiamare soventi volte al pensiero l'importanza del correggere il tuo carattere e di sopportare in pace l'altrui, scrivi sul tuo cuore quella che sto per dirti e che ripeterai sovente a te stessa: Voglio, fermamente voglio migliorare me stessa, e voglio sopportare in pace gli altri. Poi volgendoti a Dio digli col cuore:Signore, se Tu vuoi puoi mondarmi.

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Nè vale ad esentarcene l'indegnità del padre o della madre, poichè posto ancora che taluna abbia la sventura di avere l'uno o l'altra immeritevoli affatto di ogni rispetto individualmente, essa è obbligata a venerare in essi l'autorità stessa di Dio, di quell'Iddio che l'ha resa loro debitrice, se non altro, della vita del corpo. Ma tu, io spero, non devi deplorare una sventura siffatta; sibbene i difetti inerenti ad ogni esistenza, e che tu trovi nei tuoi genitori, potrebbero per avventura scemare in te la riverenza, se non istai bene attenta a quanto il Signore t'impone a loro riguardo. Egli non ti dice di rispettarli, obbedirli e soccorrerli se buoni, se meritevoli; ti dice di rispettarli, obbedirli e soccorrerli senza restrizione di sorta: Onora il padre tuo e la madre tua, e tu devi porre ogni tuo studio a non trasgredire questo precetto, al quale sono attaccate le migliori benedizioni, e che minaccia le più terribili maledizioni a chi non l'osserva. Per essere una figliuola modello, che è quanto dire, veramente cristiana, tu devi non già venerare i difetti dei tuoi genitori, bensì venerare i tuoi genitori ad onta dei loro difetti, guardandoti bene dall'imitarli, sforzandoti di ricopiarne solo le buone doti e le buone qualità. Vi hanno alcuni spiriti frivoli e leggieri i quali amando teneramente qualche persona, non contenti di esaltarne le virtù, ne esaltano perfino i vizj; questo non è a mio parere amor vero, perchè l'amor vero non cerca che il bene e sfugge il male. Se ti è dato, in bel modo, senza urto, ma con amabilità e con dolcezza, far conoscere altrui i loro difetti o piuttosto ajutarli a correggersene, è ottima cosa, purchè non ne sia scemata la riverenza che tu devi loro. Se, come dev'essere, tu riguardi i tuoi genitori in ordine a Dio, non ti sarà fatica prestar loro il tuo ossequio, nè cederai alla brutta tentazione di analizzare, e peggio, di biasimare le azioni loro che tu sei chiamata ad accettare, non a giudicare. Essi molto facilmente non saranno perfetti, ma Dio solo ha il diritto di sindacarli, di condannarli, perchè solo ha il volere e il potere di premiare abbondantemente le loro virtù ed i loro sacrificj. Oh! tu riverisci il padre tuo e la madre tua, poichè sulla loro fronte risplende l'autorità stessa di Dio, di quel Dio che ha voluto darti la vita per loro mezzo, che li ha incaricati del tuo allevamento, della tua educazione, ed ha loro scolpito nel cuore un affetto tenerissimo per te, affetto che li porta a sagrificarsi continuamente pel tuo bene. Ma la riverenza che tu porti ai tuoi genitori non dev'essere sterile; essa dev'essere mossa, accompagnata, indivisibile da un grande amore, da un amore che trae le sue fiamme dal cuore stesso del Dio di amore, da un amore che genera un'obbedienza pronta, cieca e costante. Questo io credo sia il punto più difficile, poichè quanto al rifiutare riverenza ed affetto ai genitori, questa è fortunatamente la triste prerogativa di non molti figli snaturati che tu non sei davvero tentata ad imitare. Pure l'obbedienza, che spontaneamente dovrebbe scaturire dalla riverenza e dall'affetto, come acqua dal fonte, pure l'obbedienza ci costa fatica, e tu pure, non vale dissimularlo, talora sei tarda, curiosa, instabile. Da che mai proviene questo strano disordine? Proviene, a mio credere non tanto dalla pervicacia del volere, quanto dalla debolezza nostra, da quella debolezza che ci fa ripetere col poeta: E veggio il meglio ed al peggior m'appiglio. Di solito l'obbedienza dovuta ai genitori è strettamente legata all'obbedienza della legge divina, poichè ordinariamente essi ci ordinano quello che Dio vuole da noi, ed essi non sono se non uno strumento, vorrei quasi dire, un portavoce della parola stessa del Signore. Ed allora perchè vorremo noi rifiutarci ad obbedire subito senza indugio, senza esame, e sempre? Molte volte invece gli ordini paterni ci appajono nudi nudi e privi d'ogni autorità superna; pure se apertamente non sono contrarj alla legge del Signore, nel qual caso noi siamo tenuti ad obbedire il Padre del cielo, perchè oltre che Egli è Padre a noi ed al padre nostro, è altresì nostro Creatore e Maestro e Sovrano; tranne questo caso difficile molto e molto raro, noi siamo tenute ad obbedire gli ordini paterni prontamente, cecamente, costantemente. Se la tua mamma ti comanda di coricarti o di levarti per tempo, di uscire o di restar in casa, di lavorare o di studiare, di fare questa o quella cosa, tu dai prova d'un amor molto fiacco se obbedisci lentamente, o di malavoglia, e la tua mamma sgradisce il servizio tuo e tanto più lo sgradisce se oltre la proroga che ti prendi in renderglielo, gliene domandi il perchè. Non è più obbedienza quando si conosce la ragione per cui ci viene ordinata una cosa; od almeno è un'obbedienza di second'ordine, un'obbedienza poco meritoria. Se la mamma ti proibisce di stringere confidenza con quell'amica, di parlare con quell'altra, certamente essa ha le sue buone ragioni che prudenza e carità le impediscono di comunicarti, e se anche te le comunicasse tu non le comprenderesti, perchè giovane ed inesperta. Credilo, la tua stessa convenienza t'insegna ad obbedire senza sottoporre ad esame l'ordine che ti viene impartito, e t'impegna ad obbedire sempre, oggi come jeri, domani come oggi. Un giorno tu stessa potresti diventar madre pur restando figliuola, e come potrai pretendere un'obbedienza maggiore di quella che tu presterai alla madre tua? Siamo all'ultimo dovere che ti obbliga inverso i tuoi genitori; ultimo di posto, ma non ultimo d'importanza. Esso è il soccorso. Sì, noi dobbiamo loro soccorso di consiglio, d'opera e di preghiera, lo dobbiamo se buoni o se cattivi, lo dobbiamo se le nostre membra hanno il vigore della giovinezza, o se sono intorpidite dal peso degli anni. Se il padre o la madre nostra per qualche circostanza hanno d'uopo del tuo consiglio, tu devi tenerti altamente onorata nel prestarglielo, e devi porre ogni studio perchè la tua parola non suoni rimprovero o mortificazione, ma riverenza ed affetto; quantunque la natura istessa del consiglio che devi prestare renda evidente la superiorità delle tue cognizioni, del tuo ingegno, o della tua esperienza, se tu pensi che Dio tutto ti ha procurato col loro mezzo, ti sarà facile farne ridondare ad essi, dopo che al Signore, quel merito qualsiasi che tu ne puoi avere. Così facendo non farai pagar caro l'ajuto tuo, chè se ad esso fosse unita una dose anche minima di orgoglio, anzichè ajuto, il tuo sarebbe un peso. Già ti ho dato un cenno essere tuo debito ajutare i tuoi genitori a liberarsi dai loro difetti; ora aggiungo che devi adoperare ogni mezzo per riconciliarli con Dio, se sventuratamente gli fossero nemici, e che prima di tutto devi predicar loro col tuo esempio, col tuo affetto, colla tua annegazione. Se tu hai la grande ventura di prestare le ultime cure al padre o alla madre tua, non ti contentare di procurar loro una o molte infermiere, pochi o molti comodi; ma tu stessa, fossi tu pure una principessa od una regina, presta loro tu stessa i servigi più umili e più faticosi per quanto il comportino la tua salute e la tua complessione, chè il tuo grado e la tua dignità, benchè altissimi, non ne patiranno nocumento od alterazione di sorta. Se il tuo fisico soverchiamente delicato ti toglie e ti impedisce l'adempimento di questo dovere 22 osservane almeno lo spirito, facendo tutto quanto ti è dato di poter fare. Ma oltre a quest'obbligo di materiale soccorso, ve n'ha uno di ben maggiore importanza, che ha di mira direttamente l'anima. Se i tuoi genitori, o qualunque altro di tua famiglia ammala gravemente, tu sei strettamente tenuta a procurar loro i conforti religiosi, senza attendere che l'agonia togliendo loro il possesso della vita, tolga insieme la serenità della mente indispensabile a prepararsi al grande passaggio. Molte persone soverchiamente delicate, temono di accelerare la morte delle persone carissime, coll' avvicinare al loro letto il Ministro di Dio. Temono di spaventarle; ma perchè non temono di mandarle per il loro stesso timore dritte dritte all'Inferno, oppure a giacere lungamente in Purgatorio? Insensate, snaturate! Non vedete che la vita sfugge, che un'ora od un giorno di più o di meno non aggiunge o diminuisce che un'ora od un giorno di cruccio e di tormento? Non vedete, non sapete che l'altra vita dura eternamente, e che dipende da voi chiamare a quel letto un prete il quale ha la rappresentanza e la potestà stessa di Dio, e che in suo nome potrà dire con verità, come Gesù alla Maddalena:Va, ti sono rimessi tuoi peccati? E poi non è, credilo, non è proprio vero che il confessore e la confessione abbrevino la vita; jeri stesso io ho sospeso lo scrivere per correre al letto di una signora mia conoscente che, repentinamente sorpresa dalla malattia, si trovava a fil di vita. I figli tutti volarono a quel letto, ma non tutti con uno stesso pensiero, perchè non tutti informati allo spirito di Dio. Una figlia, madre essa pure, gracile di fibre, ma forte di virtù, mandò tosto pel prete, il quale venne subito e ad onta che altri figli, liberi pensatori, vedessero di mal occhio la sua visita, la confessò e la riconciliò col Signore. Non si spaventò quella signora, benchè non molto usa alla Chiesa ed ai Sacramenti; no non si spaventò, nè è morta per le premure religiose della buona figliuola, chè anzi avendo tranquillato il suo cuore, e perdonato e chiesto perdono agli offensori ed agli offesi, superò la crisi del male, ed oggi migliorata di molto, ci lascia tutti nella speranza di una pronta guarigione. Ci resta ora a parlare del soccorso materiale e pecuniario da noi dovuto ai genitori nostri, e questo si può dire in poche parole, poichè ognuno di leggieri ne comprende l'importanza. Se essi si trovassero bisognosi ed affamati, e noi avessimo un pane, dimmi non saremmo noi obbligate a dividerlo con essi? Se poi noi ci trovassimo in condizione molto diversa dalla loro, noi non dovremmo pur mai vergognarci dei nostri genitori, ma dovremmo fare ogni sforzo perchè la loro condizione fosse il più possibilmente migliorata, secondo almeno il loro stato. Per quei figli che disprezzano o lasciano languire nella miseria i genitori, nei loro vecchi anni, mentre ne li potrebbero sollevare, sono terribili i flagelli minacciati dal Signore, e desolata quella generazione sulla quale è piombata, in un'epoca anche lontana, la maledizione paterna!... Ma scusami, io aveva un momento dimenticato che parlo ad una figlia modello, ed ho commesso l'indiscrezione di conturbare il tuo sguardo con uno spettacolo d'orrore. Tu invocherai, tu attirerai sul tuo capo e sul capo di tutti quanti verranno dalla tua famiglia la paterna benedizione, perchè dopo d'avere onorato il padre e la madre tua colla riverenza e coll'affetto, coll'obbedienza e col soccorso materiale e spirituale, sempre sempre li ajuterai colla preghiera, con quel profumo che partendo dal cuore s'innalza a Dio per presentargli le necessità proprie e le altrui. Sì, sì, la preghiera tu la leverai calorosa e costante specialmente pei tuoi genitori, affinchè, se vivi, si facciano o si mantengano fedeli al loro Signore, e, se morti, il perdono, la pace e la gioja sempiterna del Paradiso li accolga e li investa per tutta la beata eternità. Se tu sarai una figlia riverente, obbediente, soccorrevole, io ti predico le più elette benedizioni da quel Gesù che nella sua vita mortale insegnò coll'esempio e colla parola come si rispetti, si obbedisca, si soccorra chi ci ha dato la vita del corpo. Egli era Dio, e si fece obbediente a Maria ed a Giuseppe, il quale neppure era padre, ma solo ne fungeva le veci; e tu ed io crederemo di troppo umiliarci col prestare il nostro ossequio e la nostra devozione al padre ed alla madre nostri od a coloro che li rappresentano?...

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Chi non la sente, abbia sempre fisso nella mente che un dì o l'altro può cadere in bisogno, e si prepari quindi un differente ed onesto mezzo col quale al caso procurarsi la sussistenza, ed essere forse di ajuto alla famiglia che probabilmente attenderà tutto da lei. Non da tutti però il Signore esige un simile sagrificio, non a tutti impone una simile prova; ma tutti ci devono essere preparati, e tu giovinetta specialmente, devi prepararti a quello ed a questa, onde non venir colta alla sprovvista, ed accrescere con ciò la miseria della tua condizione. Che se il Signore, com'io lo prego, trova di fare il tuo meglio, mantenendoti nello stato in cui sei nata e cresciuta, migliorandolo anzi e tenendolo in fiore, io lo ringrazio per te e con te. Ma ricordati di serbare in cuore un pensiero di affetto, di commiserazione per quanti hanno avuto una sorte diversa, ed allorchè t'imbatti in una di codeste sventurate creature, procura di avvicinarti ad essa, di farle sentire che la stimi, che l'apprezzi, che conosci la sua storia, che t'interessa il suo stato pietoso, ed i tuoi discorsi anzichè diretti a farle sentire il bene perduto, siano diretti a rialzarne l'animo, a farle vedere che la sua opera è utile alla società, e le accorda diritto alla sua ed alla tua riconoscenza. Una damigella nubile e ricca era l'idolo di numerosa folla, e si diceva beato colui cui essa rivolgeva una parola, un sorriso, un saluto. Fiori ed adorazioni erano sparsi sul suo cammino; ma essa ingenua e virtuosa neppur se n'accorgeva, o non ne faceva conto. La morte le ha rapito entrambi i genitori; un empio amministratore ha strappato alla giovane una procura, poscia ha tutto venduto, è fuggito, ha portato via con sè tutti i suoi averi; la giustizia l'ha inseguito ma non raggiunto, e quando l'ha raggiunto egli aveva già tutto sciupato, nei vizj e nei giuochi d'azzardo, il patrimonio dell'orfana donzella. La povera giovane pensa ai numerosi amici che le protestavano poc'anzi di dare volentieri la vita per essa, a loro si rivolge; ed essi con parole gentili ma con un tono secco da non ammeter replica, le rispondono che sono ben dolenti di non poter far nulla per lei, che hanno già molti impegni, che... e la povera giovane senza parenti, senza averi, senza amici, è costretta assai volte di tornare alla cara sua antica maestra che, non meno povera di lei, le offre di divider seco il poco pane ed il molto lavoro... Ma tu, giovinetta, non sarai io spero, nel novero di quei falsi e sedicenti amici; prenderai parte alle sciagure altrui, ti adoprerai ad alleviarle, ed ove ti avvenga d'incontrarti con degli sventurati, non sarai loro avara della tua amicizia, e del tuo soccorso. Molte volte ho sentito alcune dame decadute lagnarsi non tanto della privazione degli agi d'altri tempi, quanto della metamorfosi operatasi nelle loro amiche, prima sì tenere e cortigiane, ora sì aspre ed altere. Se io mi lasciassi trascinare dalla bramosia che sento di ragionar teco, continuerei chi sa fino a quando, e diventerei, se già nol sono, prolissa e nojosa; per discrezione adunque mi adatto a farti in breve una specie di riepilogo del nostro ragionare di oggi e di jeri, poi ti lascio con Dio. I beni della terra sono beni non assoluti, ma relativi, e non sempre diretti al nostro vero bene: quando Iddio ce li toglie segno è che ciò è necessario e ci giova. Guardiamoci dall'attaccare il cuore a questi beni che da un dì all'altro ci ponno esser rapiti; e meditando appunto sulla loro variabilità e caducità, pensiamo per tempo a provvederci di coraggio sufficiente a scongiurare, vincere e superar la sventura, ed a munirci di cognizioni e di abilità bastevoli a procurarci un'onesta sussistenza. Non abbiamo poi mai baldanza della nostra condizione, poichè molti si sono coricati ricchi e doviziosi, ed allorchè si sono levati si sono trovati al fianco chi li ha scacciati dal proprio tetto, e ad un tratto sono rimasti senza averi e senza appoggi. Ricordiamoci sempre di non umiliare nè con parole, nè con mancanze di riguardo chi è da meno di noi, perchè un dì ci può diventar superiore, e trattiamo con singolare rispetto e venerazione quelli che sono caduti dall' alto e si trovano al basso, fors'anche al servizio di coloro che prima guardavano superbamente. E di noi non potrebbe avvenire altrettanto? Un'altra cosa debbo raccomandarti di cui non t'ho ancora parlato, e servirà molto bene a scongiurare il pericolo che la ruota giri per te in modo da portarsi via gli averi tuoi, mentre ti sosterrà e ti renderà meno gravoso il cambiamento di condizione ove non ti fosse possibile evitarlo. Ma sarà meglio non affastellare una cosa coll'altra, e quindi distinguerla e farne argomento di un'altra conferenza. Oggi, perdonami, ti ho parlato un linguaggio molto, forse soverchiamente severo; ma dimmi, si dirà poco tenera la madre del proprio fanciullo, perchè ha cura fin dai suoi primi anni di prepararlo alle lotte ed alle fatiche che gli sovrastano, facendogli presentire l'obbligo dello studio, dell'obbedienza, del sagrificio, ed additandogli i suoi doveri? Oh! non ti ho profetizzato nè tanto meno augurato un rovescio di fortuna; Iddio mi legge nel cuore e sa quanto sieno ridenti i voti ch'io formo per te, e la stessa premura con cui ti avviso di prevenire il pericolo, valga a persuaderti che mio vivo desiderio è di scongiurarlo. Conservati buona, obbediente e pia, ed il Signore ti risparmierà quella prova, od almeno te ne toglierà l'asprezza.

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Il medico dichiara che il morbo scompare, la convalescenza si avanza, e si consola che la sua cura abbia sortito un esito insperato; il tuo cuore batte, batte, e par che dica:è il lumicino, è la fiaccola tremolante, è Maria. E non è forse una grazia ed una grazia grande, se Maria ha suggerito al medico il rimedio opportuno, e ti ha ritornata la mamma od il babbo? Il povero colono sulla porta del povero casolare vedendo il cielo rasserenarsi, pensava a mantenere il lumicino, pensava, alla riconoscenza, a quella riconoscenza che mentre è la soddisfazione di un debito vale altresì a scongiurare altri lampi, altri tuoni... E tu? oh! aggiungi altro olio alla piccola tua lampada; indirizza all'Altissimo l'inno del ringraziamento, dell'adorazione, dell'amore; questo è l'olio della tua lampada, mentre la lampada è la fede che costante, profonda ed efficace deve durare come la tua vita. Superata la giovinezza, credi tu si mantenga sempre sereno il tuo cielo? Non lo sperare, sarebbe follìa e temerità, anzi un crudele tradimento, poichè ti giungerebbe inattesa la lotta, e la vittoria ti riuscirebbe più difficile. In ogni età, in ogni condizione, incontriamo lampi e tuoni dentro di noi e fuori di noi, e non passa un solo giorno senza averne la sua parte; alle volte sono vapori che si sciolgono in acqua benefica, alle volte sono gas che si levano dalla terra, e sbattuti nell'atmosfera cagionano spaventevoli detonazioni; ma sempre sempre sono la mano di Dio che ci tocca, per avvertirci che la terra non è la nostra patria, ma un luogo di esilio, di schiavitù, di prova. Beato chi intende questa voce e sa farne tesoro! Le piccole inevitabili pene della vita si potrebbero dire infinite, se la vita stessa non avesse fine, tante e poi tante sono quelle reali e quelle altre che l'uomo e la donna si fabbricano da sè coll'immaginazione, coll' eccessiva suscettibilità, colle soverchie e fino irragionevoli esigenze, e con tutte le arti che potrebbe suggerir loro il peggior nemico per torturarne il cuore. Ci crucciamo talvolta per la mancata riuscita di alcuna opera nostra, per una mancanza di riguardo cui siamo fatti segno; per un'opposizione, un disparere, una maldicenza, una calunnia; per una goffaggine fatta da noi, per un pettegolezzo, per una perdita d'interessi, e talvolta perfino per la mancanza di alcune comodità, di un divertimento, di una veste! Eppure sono tutti guai, piccoli se vuoi, ma continui, incessanti, e mi pare parlasse appunto di questi il nostro divin Redentore quando ci diceva basta ad ogni giorno il suo affanno, per insegnarci che non dobbiamo crucciarci colla previsione di guai avvenire o colla memoria di guai passati, sibbene riparare e sopportare dì per dì quelli che incontriamo sul nostro sentiero. Ti ho parlato di lampi e di tuoni, diletta fanciulla, ti ho forse soverchiamente impaurita; ma Iddio, che legge nei cuori, vede nel mio un sincero affetto per te, un vivo ardentissimo desiderio che sul tuo capo non piombi mai la folgore, che tu la scongiuri e la disperda colle tue lacrime, colle tue preghiere, colle tue virtù. Oh! diletta fanciulla, perchè apprezziamo noi tanto l'azzurro del cielo, se non perchè lo vediamo talvolta quasi coperto da un pesante mantello cenerognolo, minacciare la gragnuola ed il fulmine che tocca ed arde i punti più eccelsi? Così è della vita; se tutta scorresse placida e serena, ci riuscirebbe monotona, e se monotona non fosse ci farebbe dimenticare o trascurare quell'altra che sola è vera vita, perchè in quella l'anima vive non più di fede, nè di speranza; ma della certezza di un bene posseduto, di una certezza che genera ed è generata a sua volta da un amore sommo, immenso, eterno.

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E perchè Iddio ha addolorato cotanto la più sublime creatura che abbia mai calpestato questo misero mondo?... Perchè Ei le voleva accordare non in terra, ma in cielo, un premio, una gloria che tutte quelle sorpassa degli altri beati; perchè Ei voleva mostrare a noi, che battiamo con passo vacillante ed incerto la via che ci segna la fede, essere quaggiù tempo di prova, non di premio, nè di gaudio. Levate al cielo i vostri cuori, dice il ministro di Dio nel Santo Sacrificio. Levate al cielo i vostri cuori, ci dice la fede; levate a Dio i vostri cuori, ci ripete la ragione, se un insano errore non la devia. A Dio il nostro cuore, ed impareremo a tutto accettare da Lui ed a pronunciare con verità quella parola:La vostra volontà si compia e non la mia.

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La giovinezza è naturalmente portata a vagare per l'ignoto, ad investigare nel proprio avvenire, a fare progetti, ad abbracciare idee, sistemi, illusioni, che diretti come sono non ad un punto fisso e conosciuto, ma ad un campo nuovo, inesplorato, nascosto, hanno minore probabilità d'incappare nel vero, di quello non abbia colui il quale confida che la prossima estrazione gli porti un bel terno, anzi un'intera quintina. I numeri del lotto sono novanta, ed i numeri dai quali pretendiamo indovinare il nostro avvenire sono numerati solo da Dio! Un francese chiamò la fantasia, la matta di casa, e il dettato passò in proverbio. La colpa veramente non è tanto sua quanto nostra, che se invece di governarla colla ragione, ci lasciamo da essa governare, la fantasia ci fa deviare dalla giustizia e dalla rettitudine, ci fa disperare cogl'irragionevoli suoi sbalzi, e ci conduce a commettere delle vere pazzie. Pure, lo so, è tanto bello e lusinghiero lasciar vagare la fantasia, sognare, fabbricare nel nostro avvenire un edificio capriccioso, delizioso, superbo... Lo so, lo so che è bello e lusinghiero, ed appunto per questo mi fa paura e desidero porti sull' avviso, affinchè tu non abbi a lasciarti illudere, allucinare dal suo ingannevole bagliore. Alcune fanciulle di famiglia civile, ma privata e modesta, vanno fantasticando viaggi, pompe principesche, cocchi e donzelli, e pescano e trovano una tal quale possibilità di potere un dì esse pure posseder tutto questo; nè ciò basta; esse si figurano il come, il dove, il quando, faranno la loro grande comparsa; studiano i modi, le parole, i complimenti che dovranno usare coi loro soggetti. Che avviene? Il sogno è sempre sogno, quindi un fantasima che corre dentro il cervello colle forme più strane e stravaganti, lasciando però che il corpo percorra in tutta la sua realtà il campo della famiglia, della vita domestica e sociale. Pensa tu l'accozzaglia che faranno tra di loro la testa che si crede regina, e il corpo che si trova suddito; pensa tu cosa di bene possa venir fuori da questo credere una cosa e trovarne un'altra. La poveretta che sogna e fantastica si trova sempre al disotto d'ogni sua aspirazione, e per quanti sieno gli agi che la circondano, i baci, le carezze de' suoi cari, gli sforzi loro per vederla felice, ella è sempre mesta, cogitabonda, spira da tutto il suo individuo una cert'aria di abbandono e di degnazione, il suo riso è mesto e forzato, il suo sguardo languido con caricatura, e lunghi sospiri escono dal suo petto. Io credo che con questi simulacri di giovinette un solo rimedio sia eccellente ed efficace; sai tu quale? Un bel frustino che suoni nell'aria e ne batta vigorosamente le spalle. Ti parrà forse triviale ed antiquato il mio rimedio, e forse discorde dal mio sistema di medicina per le malattie giovanili; ma che vuoi? in questo caso non mi pare ce ne sia un altro capace a surrogarlo, e finchè tu non me lo additi, io insisto per questo. La mamma difficilmente si decide ad adoperare il frustino, ed allora il Signore, colle anime che vuol salvare dalla mattía dell'immaginazione, pensa Lui a mandare i gastighi o le sventure, affinchè dal campo aereo la fanciulla cada naturalmente in quello della realtà, non altrimenti della sonnambula che nella veglia si ricrede di quanto ha detto o fatto durante il sonnambulismo. Le giovinette non si contentano di crearsi nell'ardente fantasia cocchi, castelli e paggi; ma si creano altresì cavalieri; cavalieri che diventano erranti, che si perdono nell'ombra dell'avvenire, perchè corpo non hanno; che sono un'illusione, perchè in essi non v'ha nulla di reale; che sono un inganno, un doloroso inganno a chi in essi si pasce. Non mi regge l'animo di condannarla; ma mi fa un'immensa compassione quella sconsigliata, la quale si strugge in vani desiderj, in stolte immaginazioni, e di ogni giovane che le faccia di cappello, o la saluti con garbo, o le dica una parola graziosa, si fabbrica tosto colla fantasia uno sposo. Dal primo castello in aria altri ne sorgono e crescono a vista d'occhio, e già le pare di ricevere il dono della promessa, d'indossare la veste nuziale, di stringere in dito l'anello; di ricevere i doni, le poesie, gli evviva, di regnare sola nella propria casa, di fare ogni cosa a sua voglia, di vestire a suo capriccio i figliuoletti, e cento altre corbellerie che non hanno maggior corpo, nè meritano maggior importanza delle bolle di sapone, o delle parole di una ciarliera. Oh! tu, non t'abbassi cotanto, da credere non capace la tua condizione a fornirti pensieri e soddisfazioni sufficienti per cercarli nei sogni dell'immaginazione! Nel contentarsi di quanto si ha, io trovo la vera grandezza d'animo e la sodezza dei principj; orbene, questi sono il verdetto di condanna dei visionarj. Vedere uno sposo in ogni uomo azzimato, o ricco, o giovane, o procace? È troppo serio il pensiero di un collocamento per idearlo od accarezzarlo così all'impazzata senza probabilità veruna. Ho sempre visto che coloro i quali hanno vagheggiato lungamente un matrimonio sotto speciali auspicj, hanno fatto come coloro che allungata la mano ad un frutto lontano od immaginario, allorchè hanno creduto di afferrarlo, non vi hanno trovato che un pugno di mosche... Oh! i sognatori sono come i re di scena; re per un momento e sudditi par tutta la vita. Oh! il frustino, il frustino, quanto bene farebbe! Tu desideri, è vero, un onesto e vantaggioso collocamento, mia cara figliuola? E perchè a questa mia interrogazione ti salgono le fiamme al viso e chini il capo in atto di vergogna? Non c'è ombra di male in codesto, purchè il tuo desiderio sia regolato dal criterio e specialmente dalla virtù, ed anzichè rivolto a cercare nell'aria quello che non si trova che nella terra, o dirò meglio nel cielo, in un dolce abbandono tu lo cerchi a chi solo te lo può dare e conservare. Sì, quel che tu cerchi è nel cielo, perchè tu cerchi uno sposo col quale dividere le gioje, le pene e le fatiche dell'esistenza, ed un simile sposo deve avere il suo cuore nel cielo, sì nel cielo, dove si trova anche il tuo... La religione, la virtù non ti proibiscono un regolato desiderio di formarti tu pure uno stato, una famiglia, ed anzi t'insinuano, ti consigliano ad appoggiarlo colla preghiera. Una vecchia signora, che ora non è più, allorchè con inarrivabile soddisfazione mi raccontava come i cinquant' anni trascorsi insieme al suo consorte, erano stati cinquant'anni di pace e di affetto sempre crescente, mi andava ripetendo con viva compiacenza che il suo sposo lo aveva ricevuto da Dio, il quale aveva largamente esaudita la preghiera quotidiana ch'essa gli aveva indirizzata dai suoi quattordici ai ventiquattr' anni:Signore, se volete darmi uno sposo, datemelo, ma buono, proprio buono, poi tre Avemmaria alla cara Madonna. Le figlie nate da sì bene auspicato connubio provano una volta di più che da pianta sana escono frutti sani, e sono tuttora la benedizione delle famiglie dove sono entrate, e che hanno la fortuna di possederle. Per carità, guardati dal sognare, se non vuoi da un sogno fallace e lusinghiero essere balzata ad una triste realtà. Poi se anche tu raggiungessi ciò che hai ideato, non saresti ancora felice, perchè continueresti a vagare colla fantasia, a fare castelli in aria, ed il tuo stato ti sarebbe penoso. Una signorina, mia conoscente, sognava uno sposo nobile, ricco, amante; trovò infatti uno sposo nobile, ricco, amante, ed ognuno le invidiava la grande ventura, tanto più che un caro angioletto era venuto a rallegrare la sua casa. Senonchè ben lungi dall'essere felice quella casa invidiata, la giovane dama continuava i suoi sogni ed aveva finito col persuadersi come aveva fantasticato, che essa, benchè nata in condizione molto inferiore, meritava non solo quella fortuna, ma ben maggiori riguardi. Il marito allora incominciò a farle sentire il peso che andava unito al titolo che le aveva comunicato, a farle sentire la propria superiorità; e siccome essa si ribellava, egli la fece accorta, benchè troppo tardi, che i suoi sogni l'avevano ingannata, acerbamente ingannata, facendole credere che la gioja conjugale consistesse nell'opulenza, nel lusso, nel grado elevato, e non piuttosto nella parità di principj, di convinzioni, di bisogni, di condizione. Non andò molto ed essa, povera illusa, delusa troppo tardi, e quando era forza subirsi il triste effetto di un fatto compiuto, non ebbe forza di sostenerlo; tornò nella modesta e povera sua casa, rinunciando a tutto e non solo alle agiatezze, ai cocchi, alle gale; ma altresì al proprio bambino che le veniva negato, per trascinare una vita nascosta sì, ma senza umiliazioni. Poveretta! Per vivere è obbligata a lavorare, insegnare la musica... Poveretta! Se tu non sognavi cotanto, avresti ugualmente afferrata la fortuna di uno splendido connubio; ma vi avresti recato l'umiltà, la tolleranza, un criterio giusto, una virtù abbondante, e queste doti t'avrebbero salvata dal nuafragio, e ti avrebbero non solo reso sopportabile, ma leggiero e soave il giogo conjugale. O fanciulla, se Iddio te lo vuol dare uno sposo, e se tu lo cerchi a Lui con dolce insistenza e collo spirito retto e pio della mia povera vecchia amica, Egli te lo darà tale che ti sia di premio, non di gastigo; e se porrai freno alla tua fantasia la quale tenta di traviarti, avrai virtù bastevole a godere il bene che Iddio ti dà, a cementarlo, ad aumentarlo, a comunicarlo a chi ti circonda, a farti pregustare nella vita del tempo quella gioja, quella pace che raggiungeranno poi la massima loro perfezione in quell'avvenire che solo è certo, e nel quale soltanto possiamo figgere desioso e consolato lo sguardo, sicuri di non andare ingannati, poichè in esso risiede il suo regno eterno, beato, ed immutabile l'increata sapienza e l'increata bontà. Non sognare, non sognare: se sogni, pensa al frustino!

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In essa dopo di aver detto: Non puoi immaginarti quel ch'io abbia patito: il mio libro non dà certamente che una debole idea di quella misera vita, soggiunge subito: Sia ringraziato Dio che ha voluto richiamarmi a giorni più lieti, più belli! Ma se allora ho patito molto, or son tanto pia felice. Forse non v'è alcuno sulla terra che senta più di me quanto sieno dolci cose la libertà, il respirare l'aere nativo, il vivere tra parenti, fratelli ed amici carissimi. Ogni notte sogno d'essere in carcere, e quando mi sveglio provo, un'indicibile consolazione d'essere nel mio letto, fra le amate pareti domestiche. Non ho altra disgrazia che di aver poca salute. Stento sovente a trarre il fiato, e son minacciato di soffocare; ma quest'asma non è continua. Allorchè viene la sopporto con pazienza, ed allorchè se ne va mi fa gran piacere. Un mese fa stetti assai male, ed or torno ad aver fiato bastante. Probabilmente non avrò più molti anni da vivere, ma non mi lagno. Godo la grazia che il Signore m'ha fatta di rendermi un poco di felicità terrestre, e quando gli piacerà di tormela mi rassegnerò volentieri. Egli mi ha dimostrato sì benignamente, direi quasi, miracolosamente l'amor suo, che ho fede che quando mi leverà da questa vita, sarà per darmene una migliore. Egli invoca più tardi la pietà del Signore sugli amici languenti nello Spielberg, e si può dire che da capo a fine quella magnifica lettera è tutta una lezione d'umiltà e di rassegnazione cristiana. Gli è a costoro che hanno patito per Iddio, ed hanno cercato in questo mondo l'ultimo posto che Gesù Cristo ha detto: Gli ultimi saranno i primi.

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NOI abbiamo meditato insieme, mia cara, la tua uscita dal collegio, o piuttosto il tuo ingresso nella società, ed abbiamo insieme compreso quanto sia difficile condurre in essa la vita, allorchè si abbia di mira lo scopo sommo ed unico del proprio perfezionamento e della propria eterna salvezza. Io ti ho ripetuto quanto ti è stato detto le mille volte, che Iddio merita ed esige il nostro primo pensiero, e che la meditazione dev'essere in certo modo il motore della nostra vita spirituale. Non basta però pensare a noi, bisogna pensare e pregare pei nostri fratelli e per l'intera umanità ed offerire all'Altissimo preci di riparazione per gli oltraggi che gli vengono fatti da essa, senza punto temere i rispetti umani e le dicerie del mondo; tanto più che nella franchezza dell'esprimere le nostre convinzioni, e nel praticare quanto da esse deriva, è assai più argomento d'orgoglio che di vergogna. Ma l'orgoglio non c'è permesso, perchè tutto quanto abbiamo ci viene da Dio. Per ben conoscerlo ci è d'uopo istruirci nella religione, frequentare il Catechismo allorchè viene insegnato in Chiesa, ed approfittare di tutti quei mezzi opportuni ad introdurci nella cognizione di Dio e delle cose sue, anche superando gli ostacoli frapposti al nostro cammino, e segnatamente quelli che ci vengono dall'intimità della famiglia. Noi dobbiamo agire con sicurezza e con lealtà, senza spaventarci all'udire che tutti fanno una vita meno legata e più libera, di quella, poniamo, da me disegnata in questo stesso libro, poichè non ci gioverà punto il suffragio popolare nel giorno estremo, nè ci dorremo di avervi rinunciato allorchè verremo chiamate: Vieni, o benedetta, nel regno che non avrà fine giammai. Guardati dal fuoco delle occasioni di peccato, fìgliuola, da quelle occasioni che ad ogni piè sospinto ti si presenteranno nella società e nella tua stessa famiglia; caccia lungi da te il falso amico, il libro o l'effemeride cattiva, che sotto veste bugiarda ti promette ambrosia e ti propina veleno; un veleno che ti renderà ancor più difficile la difficile e pur necessaria impresa di porre la briglia al tuo cuore. Ma e chi sa misurare la rovina di un puledro indomito e sbrigliato? Potresti tu forse misurare la rovina del tuo cuore se intollerante di freno ti prendesse la mano? Sta ben all'erta, fanciulla; chi ti pone sull'avviso è un'amica, una sorella, una persona che teneramente ti ama; sta bene all'erta, poichè finchè il tuo cuore sarà in tua mano, e tu ne potrai frenare e dirigere i moti, non hai nulla a temere: s'egli cadrà in balía di altri, e come potrai seguirlo nel suo batter convulso, precipitoso?... Il ricordo del tuo collegio, del pacifico asilo in cui tutto spirava una santa cospirazione pel tuo bene, ti deve riuscire oggi e sempre di soave compiacenza e di eccitamento alla virtù; e le parole severe forse, ma saggie delle tue istitutrici e di quella che specialmente conosceva la via del tuo cuore ti ritornino come un'eco lontana e pur cara alla memoria; ti richiamino l'orrore al peccato, e ti ricordino che Dio vuole il tuo cuore, che tu non lo puoi, non lo devi negare a Colui che l'ha creato, arricchito di una delicata sensibilità e di mille altri doni; di tutti anzi quei doni che lo rendono bello e generoso e buono, e facile alla pietà ed alla virtù. Se tu avrai un'intenzione retta, le tue azioni convergeranno sempre alla gloria di Dio, al bene delle anime, ed agevole ti sarà la via che a Dio conduce, e preclusa l'altra che da Lui allontana: sì, se tu avrai intenzione retta, le dottrine false e lusinghiere non ti tenteranno gran fatto; ma pur rispettando l'opinione altrui, non vedrai il trionfo della donna nell' emancipazione, sibbene nel regno pacifico della famiglia, in cui è chiamata a regnare sovrana di pace e di amore, ad essere come la lucerna evangelica posta in mezzo alla casa ad illuminarne gli abitatori per chiamarli alla virtù ed alla religione. Come una regina non può commettere altrui senza pregiudizio il disimpegno delle proprie funzioni, similmente tu stessa devi impiegarti con operosità e con amore nelle domestiche occupazioni e nei lavori femminili; e come la donna saggia delle Carte sante, tu devi svolger il fuso e tesser la tela, vale a dire ordinare, disporre e lavorar tu stessa a mettere e mantenere l'ordine e l'economia nell' abitazione, nelle vestimenta, nelle spese tutte della casa, ed in tutto quanto sarà a tuo carico o in qualche modo a te affidato. Se mai tu fossi o diventassi commerciante, è tuo obbligo preciso disimpegnarne i doveri con coscienza ed esattezza inappuntabile. Nè vale tu mi dica od altri mi apponga esser questi gli obblighi di una madre di famiglia, e non i tuoi, quindi superfluo il mio dire, mentre tu sai come alle azioni importanti della vita sia d'uopo prepararsi da lunga mano; ora tu che da un dì all'altro puoi essere chiamata ad esercitarle, potrai restarne digiuna? E poi questo povero libro, questo sfogo del mio cuore, queste parole inspiratemi dal Signore al tuo indirizzo, non potranno seguirti nella nuova tua casa, e non potrà apprendervi la sposa e la madre a conservarsi ed essere in essa angelo di benedizione? Ti ho indicato una ricetta prodigiosa nell'operosità a fugare le tentazioni, i cattivi pensieri, e mostrandoti una fotografia vera, non abbellita nè esagerata, ho cercato infonderti un pio desiderio d'una santa annegazione, di un'annegazione che rendendoti dimentica dei tuoi stessi desiderj e bisogni per gli altrui, ti faccia evitare gli scontri dei caratteri divergenti o scabrosi delle persone colle quali trascini la vita. Per evitare questi scontri non havvi che piegare il tuo stesso carattere, addolcirlo, modificarlo senza togliergli però la natía impronta. Questo ti renderà senza dubbio una figliuola modello, pronta all'ubbidienza, al soccorso inverso i tuoi genitori; nè la tua venerazione per essi subirà alterazione di sorta, quando varcando nella tua vocazione contrastata, i confini del loro comando e della tua obbedienza, rispettosamente, con calma e coll'animo addolorato non seguirai la loro voce, ma solo per seguire quella di Dio. L'annegazione alla quale t'inspira il Vangelo, e l'esempio dell'Uomo Dio, ti renderà amabile coi vecchi tuoi nonni, cogli zii, coi cognati, colla gente di casa, coi tutori, coi superiori civili ed ecclesiastici, e più che mai amabile e facile al compatimento col patrigno e colla matrigna. Nè l'annegazione e la pietà cristiana ti faranno dimenticare i fratelli e le sorelle ai quali devi essere di buon esempio e di ajuto, e neppure i famigliari i quali, destinati ad ubbidirti, hanno forse un'anima più delicata ed uno spirito più intelligente del tuo. Ma senti nell'orecchio una parola: non ti abbandonare a troppa confidenza ed a soverchia dimestichezza, sotto verun pretesto con persone dell'altro sesso, e neppure con quelle del tuo, poichè il demonio maligno, è potente, e ti potrebbe trascinare al peccato. Sgorghi frequente ed ardente dal tuo cuore la preghiera, e quale soave profumo imbalsami l'aria che ti circonda, migliori te non solo; ma le persone tutte che ti avvicinano, ed a te ed a esse insegni ad amar Dio, ad accostarsi ai Sacramenti dell'amor suo, ad essere più buone, più virtuose, più sante. Io non ti voglio zotica no, o rozza; mi piace che tu coltivi lo spirito, e più specialmente in cognizioni utili e sode, non in quelle cognizioni superficiali e vaporose, che colla pretesa di darti una coltura enciclopedica, ti lascerebbero vuota e manchevole di quanto costituisce la scuola della vita. Tra parentesi, ti ho notato i pericoli che ti potrebbero venire dai falsi insegnamenti e dai cattivi insegnanti; e tu avrai dovuto convenir meco che i tuoi genitori ed il tuo Confessore, edotti puntualmente di tutto, potranno porre un riparo al precipizio che forse ti minaccia. È più che mezzo salvo chi s'accorge del pericolo, appunto perchè accorgendosene può schivarlo. L'abito non fa il monaco è vero, ma pur troppo dall'abito si conosce il monaco: abbi dunque cura grandissima affinchè dal tuo modo di vestire, di camminare, di posare, come dalla buccia di una pianta, si rilevi giustamente l'interna modestia, la serietà, la virtù vera; e, senza tradire la sincerità, vale a dire senza ammantarti delle penne del pavone, ed ostentare pregi non tuoi, conserva nella tua persona un'assoluta pulitezza ed una graziosa semplice eleganza. Se t'abituerai a vestire con modestia, e sempre un grado meno di quanto permette il tuo stato, dato che la ruota girasse, e girando ti facesse decadere di fortuna, sapresti adattarti e rassegnarti alla fatica, al lavoro, alla privazione. Guarda a quale estremo ha ridotto lo spreco di molte famiglie già ricchissime, anzi di una ricchezza principesca! Pensa al povero duca di Lusignano morto or son pochi anni nello spedale maggiore di Milano, e non ti riuscirà penoso mantenere in te e intorno a te una prudente economia, la quale perchè appunto saggia e prudente ti salverà dall'avarizia, e ti renderà larga la mano alla beneficenza, assicurandoti che la carità non impoverisce mai. La bellezza non è altro se non un fiore che passa rapidamente; per conservarne la fragranza havvi solo la virtù e la modestia... La deficienza e la mancanza assoluta della bellezza costituisce una spina crudele per molte anime; ma tu se le conosci, consolale: di' loro che un Dio in cielo le riguarda; di' loro che Gesù nostro pure divenne deforme sotto il vituperio fattone dagli uomini; di' loro che il loro corpo come il suo diverrà risplendente e luminoso... Per coloro che tuttora zitelle si trovano sul meriggio della vita, o l'hanno varcato, una parola d'incoraggiamento e di conforto, specialmente se hanno sacrificato la propria vocazione per l'utile altrui; se spostate ed ormai vecchie non hanno un nido e sono ritenute quasi un ingombro nella famiglia da esse allevata: quell'Iddio che conta i capelli del nostro capo conterà le loro lacrime, e preparerà loro un premio eterno. Se mai un giorno pel tuo stesso bene, permettesse il Signore che tu diventassi poveretta, credilo, il lavoro destinato a procacciarti il pane, e l'essere ed il parere poveretta non ti torrà dall'essere insieme signora, se nobile e generoso conserverai il sentire, e non ti lascerai dominare dall'invidia o da altri abbominevoli vizj. Nella vita balenano i lampi, scrosciano i tuoni, e tu li devi attendere imperturbata nella tua, supplicando il Signore di tener sospesa la grandine; chè se la grandine cade ed imperversa, e tutto rovina, non vi ha ancora altri che Dio il quale ti possa salvare e liberare dai suoi tremendi flagelli. L'arco baleno si distende luminoso nel tuo orizzonte, le onde si acquietano, viene la bonaccia e l'anima accidiosa, come il marinaio, si bea di una vita senza contrasti, senza fatiche e quindi senza meriti? Il marinaio s'accorge che nella bonaccia perirà miseramente: l'anima invece si giace inerte, nè cerca, nè accetta un Vapore che la salvi da morte sicura: essa l'avrebbe una forza motrice, la carità; questa posta in azione la torrebbe dal letargo in cui l'egoismo l'ha posta... Amatevi, amatevi l'un l'altro, ripeteva continuamente l'Apostolo diletto. Sì, amiamoci, poniamo in azione la carità, e diventeremo santamente industriose a beneficare i nostri fratelli e noi con essi, poichè la beneficenza giova non tanto a chi la riceve, quanto e assai più a chi la fa. L'immaginazione giovanile è un narcotico dell'anima, che facendola sognare continuamente, la sfibra, la sposta e le fa attribuire a sè medesima i pregi datile in certo modo a prestito da Dio. Dunque non sognare, nè accettare le adulazioni che ti vengono prodigate, poichè devi sempre ricordare che l'incenso, ossia l'adorazione, è riservato a Dio solo. Se ti è data la scelta fra una vita ritirata ed una vita brillante, rinuncia a questa, attienti a quella e ti toglierai all'orgasmo indivisibile delle veglie danzanti, delle conversazioni, dei teatri e fino dei banchetti, i quali anzichè agape o mensa fraterna con a capo Dio, sono simposj profani con a capo gl'idoli. Ricordati il detto del nostro Parini, quando seduto nell' aula municipale vedendo fugata l'immagine del Crocifisso, si levò in piedi dicendo: Dove non puó stare il cittadino Cristo, non puó stare neanche il cittadino Parini; ed uscì. Mangia di ciò che ti viene posto davanti come dice il Vangelo, che vorrà dire mangia di quanto ti vien offerto lecitamente, di ciò che ti offre la famiglia, quando non siano cibi vietati, e per ubbidire all'uomo tu non debba disobbedire a Dio nella sua Chiesa. Il Confessore potrà giudicare se tu sii dispensata, ove tu ne abbisogni; ma di tua testa, o pel comando di superiori civili, non puoi esserne prosciolta. Supera la gran tentazione degli spettacoli cospiratori contro la modestia e l'onestà, ed ai divertimenti ed agli spassi preferisci un po' d' aria pura o lo svago utile che viene dai viaggi o dallo studio di essi. Ama e tieni care le domestiche pareti nelle quali la sincerità, l'affetto, la pietà, ti daranno quelle gioie intime che sono altrove un enimma. La sanità del corpo è un gran dono; ma quella dell'anima è un dono infinitamente maggiore, e questo pensiero come balsamo cada ad allenire i dolori delle tue infermità, le quali ti parranno leggiere e dolci se saprai prenderle dalle mani stesse di Dio. Non ho temuto di farti le intime mie confidente, di palesarti le pene, le trepidanze ed i desiderj del mio cuore, e segnando a dito le pratiche, le preghiere fatte senza spirito, senz'anima, non ho temuto paragonarle ai fiori artificiali i quali pajono e non sono. Se tu hai bisogno d'espansione, come lo zampillo di chiara fontana, riversa le tue acque sulle zolle fiorite che la circondano, voglio dire sui cari parenti, sulle persone intime e di antica e provata probità, nè, rimproverata, rispondi con mal garbo, nè voler esser tu mai l'ultima a parlare. Gli è d'uopo estinguere in noi la soverchia suscettibilità, fonte perenne della maggior parte dei guai, e farci piccini riconoscendo la nostra miseria, affinchè essendo gli ultimi in questo mondo possiamo diventare i primi nell'altro, secondo la cara promessa del nostro divin Salvatore. La perdita dei Beni, della sanità, della riputazione, ci colpisce amaramente, la nostra mente si smarrisce, il cuor nostro cade quasi spezzato e dilaniato aspramente?... Oh! Cuore adorabile del nostro Gesù, dateci Voi grazia di pronunciare fiat, ad imitazione vostra, quel fiat che ci faccia accettare le croci, ce ne renda dolce, leggiero, soavissimo il peso! Che se l'animo mio sdegnoso in attesa di grandi occasioni per mostrare e per esercitare il bene, disprezzasse quelle virtù minute che si presentano ogni giorno, ogni ora, anzi ogni istante, fatemi capire la mia somma stoltezza, fatemi capire che in tal modo io perdo meriti immensi! E tu, mia dolce amica, non ti lasciar sfuggir mai la benchè minima occasione di porre una nuova gemma nella splendente corona che ti s'apparecchia nel cielo, moderando il tuo carattere, sacrificando le tue inclinazioni, sopportando senza lagnartene una mancanza di riguardo, uno sgarbo, un disappunto. Quando poi le lacrime ti cadono amare dal ciglio e l'angoscia ti opprime, cerca nell'esercizio della cristiana carità la tua gioja, la tua pace, il tuo conforto, e dagli occhi tuoi sgorgheranno abbondanti le lacrime di consolazione. Oh! prova e vedrai, come alleviando i mali e le miserie altrui saranno addolcite le tue miserie, i tuoi mali! Prova e vedrai quanta virtù e quanta letizia è nel sacrificio e nell'eroismo di dimenticar sè per gli altri!

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Se tu pure avrai un marito od un figlio infedele, a te spetterà il farlo fedele; rifletti adunque se saprai portare questo carico, disimpegnare questo dovere, e se no, tel ripeto, non promettere la tua mano ad uno che non abbia teco comuni, o che tu almeno non possa ridurre, anche le pratiche. Adesso incominciano per te le fatiche delle visite da farsi e da riceversi, e ad ovviare il meglio possibile la vacuità e la leggerezza che ne sono quasi elemento principale, io le vorrei piuttosto brevi ed aliene da discorsi frivoli e adulatori, per riempirle in quella vece di qualche cosa di sodo e di serio. Se la carità sarà il tuo movente, proverai col fatto esservi modo di rendersi utili ed insieme amabili, perfino nelle visite di pura convenienza: in quelle poi di amicizia, io ti vorrei vedere sempre col sorriso sulle labbra; ma con un sorriso pieno di compatimento e di tolleranza, non tale però mai da farti compatire e tollerare il peccato. No, approfitta della confidenza per ammonire dolcemente, e se sarai umile nelle tue parole, nell'espressione del tuo volto, e più di tutto nell'intimo del tuo cuore, non sarà mai vuoto di qualche salutare effetto il tuo eccitamento od il tuo esempio. Tutti lo sono, e quindi tu pure, sarai tentata alcuna volta di visitare o di ricevere con miglior garbo una dama titolata, di una povera signora di condizione umile e ristretta; se così fosse, o mia amabile giovinetta, cesseresti d'essere amabile o lo saresti meno, perchè chi può ridire l'umiliazione di costei che, pur essendo molte volte di più fino e delicato sentire dell'altra, si trova ad essa così stranamente posposta? Ricorriamo anche qui agli esempj, ed io non indugio a mostrartene uno. Un giorno una signora si era vestita dei suoi abiti più belli per andar a trovare un amica d'infanzia, una figlia d'un intimo amico di suo padre: s'era vestita di gala, perchè quella, se non di condizione, di censo però era ed è tuttavia incomparabilmente più in alto sulla ruota, della povera signora che quasi confusa passava dalle anticamere (dove il servitorame sotto un'umiltà di forma non si curava di celare una vera alterezza), ed attraversava una lunga fila di sale, ornate di statue e di capi d'arte d'ogni maniera. Allorchè si trovò presente alla giovane sposa, per un movimento primo si slanciò nelle sue braccia; ma quando serrandola al petto credette d'aver ritrovato l'antica amica, si accorse che il suo fare era molto sostenuto, quasi aristocratico; questo però non tratteneva la ricca signora dal fare l'enumerazione dei suoi poderi ed il lungo racconto delle sue felicità. Credi tu forse che essa parlasse delle gioje intime, delle sue sublimi e poetiche aspirazioni?... Che! che! Essa narrò de' suoi viaggi, de' suoi monili, de' suoi cocchi, delle ville, del palco alla Scala e di tant' altre cose che l'altra non udiva più, perchè fìno il sofà su cui si trovava seduta le pareva diventato incomodo e pungente: però si prometteva di poter parlarle poi dei suoi parenti, dei proprj, della lunga amicizia delle loro famiglie... Si annuncia una gran dama, entra e viene ricevuta con gran festa; l'altra che per un certo riguardo s'era levata in piedi non viene invitata a sedere di nuovo, pure non sa ancora risolversi a partire, sta qualche minuto titubante... La poveretta ha fatto in quel punto una figura ridicola, tanto più quando decisa d'accommiatarsi salutò confidenzialmente la giovane sposa, e questa parve imbarazzata di sentirsi trattata e di trattare la signora meno ricca col tu. Questa prima di uscire dal salotto si rivolse ancora una volta, e vide che quella, immersa nella nuova visita, affettava non ricordarsi più che l'amica usciva in quell'istante! Le restituì freddamente la visita, ma l'altra non ebbe il coraggio di più tornare da lei; però non serbò nè ebbe mai rancore con essa, ma ne ricevette scuola salutare alla propria condotta. E dire, e pensare che io stessa ho fatto talvolta altrettanto o poco meno colle persone a me inferiori! mi viene un rimorso, un rimorso che per l'amor che ti porto, ti vorrei evitare. Per buona sorte la moda libera la fidanzata dai divertimenti, condannandola tuttavia alle presentazioni ed alle cure molteplici del suo vestiario. Nelle presentazioni come in tutte le circostanze della vita io amerei vedere in te unita la dignità coll'umiltà, ben certa che verresti ripagata di simpatia, d'affetto e di larga estimazione. Ti ripeto quanto ti ho detto altrove, di non voler nel tuo corredo un'eccessiva ricercatezza, ma piuttosto una certa abbondanza senza leccature; e perchè circondarti di tanti bisogni ed esporti conseguentemente a possibili numerose privazioni? Ti verranno fatti molti regali, ti verrà fatta molta festa; oppure non ti verranno fatti quelli nè questa: sia comunque, pensa che queste sono leggerezze, le quali non meritano te ne occupi seriamente, e tu non devi permettere ti distraggano dal pensiero importantissimo dello stato che sei per abbracciare. Dacchè ti sei fidanzata, e non prima, puoi ricevere il dono di promessa e ricambiarlo; ma per cantà, non cessare dall'essere angelo un momento solo, nè con atti, nè con parole, nè col benchè minimo pensiero. L'angelo della famiglia deve recare all'altare intatto il suo giglio; ivi il Ministro di Dio muterà quel giglio colle rose vermiglie del conjugale affetto, e tu tornerai dall'altare quale ci sei andata, angelo, per diventare l'angelo dello sposo e dei figliuoli, se il Signore nella sua bontà crederà di dartene. Potevo avere una dozzina d'anni, allorchè in iscuola mi fu dato, per cómpito, di scrivere alcune parole pronunciate da una madre mentre sta posando la corona di sposa sul capo alla figliuola. Il mio sarà stato uno sgorbio o poco più; ma la sensazione provata e la folla di malinconici e pur dolci pensieri accalcatisi allora nella mia mente mi hanno impressionata assai; quindi lascio a te pure pensare quante cose voglia dire quella ghirlanda di fiori, e da te stessa ne tragga consigli ed ammaestramenti. La tua mamma, se l'hai, ti dirà ciò che ti bisogna; se non l'hai, te l'inspirerà dal cielo. Il contratto civile è doveroso, ma non è il matrimonio per un cristiano; è lo sposalizio in faccia alla Chiesa che costituisce il matrimonio: esso è Sacramento, perciò reca con sè i doni tutti del Signore. Preparati santamente a ricevere questo Sacramento, con devote preghiere, colla Penitenza e coll'Eucaristia, e il tuo nodo sarà benedetto. Ho visto oggi stesso un elegantissimo abito di raso bianco che ha servito jeri per la cerimonia nuziale (religiosa s'intende) ad una sposa d'alto lignaggio. Sai dove l'ho visto? Dalle suore Canossiane che lo debbono presentare alle figlie di Maria per cavarne arredi sacri per le chiese povere. Questo atto generoso in sè stesso, è assai più generoso per lo spirito che rappresenta. Si parla ora di divorzio nella società; ma tu come cristiana sai e credi fermamente che il divorzio non è possibile, poichè non dove nè può disgiungere l'uomo ciò che Dio ha legato. Ti verrà posto in dito un anello; questo ti dice coll'interminabile suo giro, l'interminabilità dell'affetto, della fedeltà che tu devi serbare al tuo sposo; allorchè quell'anello ti sarà posto in dito non potrai più pensare ad alcun uomo, finchè quello, che oggi t'è dato, ti sia dal Signore lasciato in sulla terra. L'Angelo di Dio t'accompagni, o giovane fidanzata, la tua uscita dalla famiglia, dove sei nata, lasci in essa la benedizione, e il tuo ingresso nella nuova casa ve la porti copiosa, eletta! Se il tuo sposo è buono e pio, fa di esserlo tu pure per non essere da metro di lui; s'egli non l'è, fa ch'ei lo diventi, e assieme alla virtù, la pace albergherà sotto il tuo tetto. L'Angelo di Dio t'accompagni, o giovane fidanzata!

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non permettete mai che dopo di aver parlato con tanta convinzione e con tanto cuore, contro il vile rispetto umano, abbia poi io stessa a rendermene rea; questa sarebbe troppo tremenda pena, e Voi, amante e redentore dell'anima mia, me ne libererete mai sempre. Cara Madre Maria, S. Giovanni, S. Maria Maddalena, Santi tutti del cielo, Angelo mio Custode, liberatemi, per pietà, da sì grave delitto!

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Ci congratuliamo, diletta Figlia in Cristo, che la tua Opera intitolata l'Angelo in Famiglia, abbia ottenuto quel successo che speravamo, quando ti abbiamo esortata a pubblicare il manoscritto che ci offrivi non ancora affidato alla stampa. Era certamente a desiderarsi che le fanciulle levate dal Collegio e tosto trasportate a diverso sistema di vita ed a diversi doveri, venissero addestrate, quasi con mano amica, ad adempiere la molteplice funzione dei famigliari doveri in modo, che potessero presentarsi come veri Angeli di Famiglia. Pure ciò esigeva che quei generali principii di pietà, di carità, di mansuetudine, di abnegazione di sè stesse, di attività, in cui sedulitatis, quibus informatae fuerant in Collegio, at a quibus sub obedientia statisque regulis universae earum regebantur actiones, ad liberiorem familiae vitam traducta crebris aptarentur et variis muneribus domi explendis, ac universo quoque regimini familiae fortasse subeundo; gravibusque propterea curis fovendi religionem, custodiendi mores, invigilandi famulis, temperandi sumptus, demerendi universos, et per hoc perfectam servandi pacem etiam inter ingenia saepe discrepantia. Arduum sane inceptum, quod in docente, praeter animum non vulgari pietate virtutibusque exornatum et prudentia praesertim, postulabat perfectam humani cordis notitiam eiusque motuum et cupiditatum, et accuratam observationem diuturnamque experientiam difficultatum omnium saepe occurrentium intra domesticos parietes. Consulto sane Venerabilis Archiepiscopus tuus, qui tuam religionem ac dexteritatem in rebus ad eam pertinentibus explicandis optime noverat non minus e colloquio, quam e praecedente scripto tuo Gioie Celesti, Nobis etiam oblato, difficile hoc negocium tibi credidit; electionisque erano state educate nel collegio, e dai quali erano state dirette tutte le loro azioni sotto l'obbedienza e sotto regole determinate, applicati al vivere più libero di famiglia si adattassero ad adempiere i molti e varii doveri di casa, e forse anche a sostenere tutto il governo della famiglia, e perciò alle gravi cure di promuovere la religione, di tutelare i costumi, di vigilare sui servi, di moderare le spese, di conciliare tutti, e di conservare in tal modo la pace anche fra caratteri spesso discrepanti. Impresa certamente ardua, la quale in chi ammaestra, oltre un'anima adorna di pietà non comune, di virtù e specialmente di prudenza, richiedeva una perfetta cognizione del cuore umano, dei moti e delle passion di esso, e un'accurata osservazione ed una lunga esperienza di tutte le difficoltà, che spesso s'incontrano fra le domestiche pareti. Opportunamente di certo il tuo Venerabile Arcivescovo, il quale dai colloqui non meno che dal tuo precedente scritto le Gioie Celesti, anche a Noi da te offerto, conosceva ottimamente la tua religione e la tua abilità nello spiegare le cose ad essa appartenenti, ti affidò questa difficile impresa; e godiamo che la prudenza della scelta sia stata confermata dai giudizii di tutti coloro, sia fra i Vescovi, sia fra il prudentiam confirmasse, gaudemus iudicia eorum omnium, sive ex Episcopis, sive e Clero, sive e populo, qui, opere tuo perlecto censuerunt, te perfecte satisfecisse proposito, amplisque volumen tuum laudibus cumularunt. Quamobrem etsi gravissimae multiplicesque curae Nostrae non siverint oblatum a te Nos hactenus decurrere librum; communis tamen haec prudentum proborumque sententia necquit Nostras etiam tibi non conciliare laudes; imo et excitare desiderium, ut concessum tibi talentum in proximorum utilitatem reddere danti coneris uberiore quoque fenore auctum non absimilium scriptorum, splendidiorem semper ita tibi comparatura gloriae coronam. Amplissimum interim spiritualem fructum labori isti tuo adprecantes, eius auspicem et paternae Nostrae benevolentiae pignus Apostolicam Benedictionem tibi, Dilecta in Christo Filia, peramanter impertimus. Datum Romae apud S. Petrum die 13 Junii 1881. Pontificatus Nostri Anno Quarto LEO P. P. XIII. Clero, sia fra il popolo, i quali letta la tua opera stimarono che tu abbi perfettamente soddisfatto al proposito e di larghe lodi accumularono il tuo libro. Per la qual cosa, sebbene le gravissime e molteplici nostre cure non ci abbiano permesso finora di scorrere il libro da te offertoci, tuttavia questa comune sentenza di personaggi prudenti e probi non può a meno di conciliarti anche le nostre lodi, anzi di suscitare il desiderio che ti adoperi di restituire a chi te lo ha donato, il talento a te concesso per l'utilità del prossimo, accresciuto ancora con più fecondo frutto di scritti non dissimili, e ti guadagnerai così per sempre una più splendida corona di gloria. Implorando intanto larghissimo frutto spirituale a questo tuo lavoro, come auspice di esso e qual pegno della Nostra paterna benevolenza con tutto l'affetto, o Filia Diletta in Cristo, ti impartiamo l'Apostolica Benedizione. Dato in Roma presso San Pietro 13 Giugno 1881. Il quarto anno del nostro Pontificato. LEONE P. P. XIII.

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Galateo della borghesia

201615
Emilia Nevers 11 occorrenze
  • 1883
  • Torino
  • presso l'Ufficio del Giornale delle donne
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un argomento che fa passar un brivido nelle vene a chiunque abbia delle persone care... Ma la società ha le sue esigenze e vuol che anche l'addolorato lo ricordi: d'altronde è un ultimo atto di dovere e di amore verso quegli che non è più, mostrare che lo si rimpiange. Diciamolo francamente. A poco, a poco, sotto un pretesto o l'altro, i lutti si abbreviano, e chi vive della esistenza irrequieta e febbrile della società, non sapendo più rinunziarvi, ci dà spesso lo strano spettacolo d'una persona tutta a bruno in un palchetto di teatro o ad una veglia. Non va bene... eppur si fa. Comunque, è peccar contro la natura ed il galateo mostrarsi in teatro pochi mesi dopo che si è perduto uno dei genitori o la moglie. Ma terminiamo alla spiccia il triste còmpito. Quando si ha la sventura di perdere un congiunto se ne dà avviso per lettera e sul giornale, fissando l'ora della cerimonia. Il tipo di questi avvisi è noto: PIETRO e TERESA GORI annunciano col massimo dolore la morte del loro diletto padre e suocero GONTRANO GORI avvenuta il 10, alle ore 3 ant. Il trasporto funebre avrà luogo il 12, alle ore 4 pom., partendo dalla casa del defunto, via Laghetto, N.6, per recarsi alla Chiesa di S.Sulpizio, indi al cimitero monumentale. Galateo della Borghesia. - 8. Generalmente è costume porre sull'annunzio il nome di tutti i congiunti del defunto, ciò servendo d'avviso ai conoscenti per spiegare il fatto che non si restituiscono le loro visite o non si accettano i loro inviti. Però, come uso recentissimo, in Francia si ommette ora il nome delle donne della famiglia. Gli amici e parenti mandano corone di fiori con nastri. Se l'estinto è morto in campagna, il corteggio va ad aspettarlo alla stazione ferroviaria. La famiglia non riceve: spesso lascia la città, ma in casa rimane un parente od amico, che nel giorno del funerale riceve quelli che vi assistono. Conviene riunirsi un momento prima dell'ora fissata, nel qual caso si sale in casa o si rimane nel cortile. Non si va ad un funerale in vestito o cappellino chiaro, iI nero è di prammatica anche per gli uomini. I parenti accompagnano tutti il defunto fino al cimitero: la famiglia, propriamente detta, in generale, se ne esime. Però non v'ha norma che lo vieti o lo comandi: è questione di forza morale. I parenti più prossimi stanno ai fiocchi o allato al carro: gli altri seguono: vengono poi gli amici, i conoscenti: per ultimo le persone di servizio ed i poveri con le torcie. Le carrozze di lutto servono per gli invitati che non possono far tutta la via a piedi; vi si sale senza regola, anche con persone sconosciute. È sconveniente oltre ogni dire il seguir un funerale sbandandosi e ciarlando dei proprii interessi con una indifferenza irrispettosa verso in famiglia del defunto. Le carrozze non devono mai attraversare un corteggio funebre. Chi lo incontra si toglie il cappello. Nel giorno che segue quello del funerale si fa stampare un ringraziamento sul giornale e si manda un biglietto di visita a quelli che vi hanno assistito. Il biglietto lo portano alla famiglia anche quelli che sono stati al funerale. Agli assenti si spedisce una partecipazione a cui risponderanno con biglietto di visita o lettera, secondo il grado d'intimità. La famiglia del defunto può ricevere anche pochi giorni dopo i funerali; ma deve astenersi dal tener un giorno fisso pel ricevimento. Se si tratta di genitori o prossimi congiunti, non si va a far visita per più mesi, e andando a veder gli amici si evita il giorno in cui hanno altri visitatori. Pel contegno da tenersi in quelle circostanze si guardi nel capitolo che tratta delle visite in genere. Non è conveniente metter vestiti di lutto il giorno successivo alla disgrazia: sembrerebbe si fossero tenuti pronti. Bensì si eviterà di rivestir stoffe chiare. Il lutto più lungo è quello di vedova. Si porta due anni in Francia: un anno di lutto pesante, sei mesi di lutto solito, sei mesi di mezzo lutto. In Francia poi ed in Inghilterra la vedova porta in istrada un velo lunghissimo ed in casa una cuffia. Da noi la cuffia non si adotta, e spesso il lutto si limita ad un anno. Il vedovo invece non lo porta che un anno. Pei genitori dura un anno: sei mesi di lutto pesante con gran velo, meno lungo di quello di vedova: tre di lutto solito, tre di mezzo lutto. Però in genere si porta un anno di lutto pesante. Per avo è di sei mesi: tre di lutto pesante, tre di mezzo lutto. Pei suoceri come pei genitori. Per gli zii tre mesi senza lana, nè velo; quattro mesi, con due di lutto pesante, per fratelli o sorelle. Sei settimane pei cugini, sempre con colletto e polsini bianchi. Non è obbligo portar lutto pei figli, però da noi lo si costuma, e per la durata di questo lutto non v'ha legge: è il cuore che lo impone! Una persona che portasse il lutto, lo lascierebbe nel giorno delle sue nozze, salvo a riprenderlo poi, ed allora anche il nuovo congiunto lo porterebbe con la moglie od il marito. Invece i vedovi che passano a seconde nozze non portano più i lutti della famiglia a cui hanno cessato d'appartenere. I ragazzi prima dei dodici anni non portano lutto che pei genitori ed avi, e non lutto pesante. Pel lutto d'un parente od amico di cui s'ereditano le sostanze si seguono le norme del lutto per avi. Quello del tutore o padrino invece va assimilato al lutto per gli zii. Non si porta lutto pei papi che si considerano come beati. Pei sovrani è di sei settimane. È cosa sconvenientissima non portar il lutto pei congiunti che sieno morti in altro paese. Così pure il recarsi in teatro od al ballo il giorno stesso della morte di qualche parente anche lontano, perfino di qualche amico, è cosa che le persone di sensi delicati eviteranno sempre. Il lutto si fa portare anche alle persone addette alla casa, e molti fanno dipingere la loro carrozza a nero e mutano in nero il colore solito della livrea. Il lutto pesante, per signora, consta di vestito di lana, senz'ornamento, con colletto e polsini di velo (crêpe), guanti di lana,nessun gioiello, neppur nero. Pel lutto solito sono ammesse la seta, la grenadine, i gioielli di giavazzo. Per mezzo lutto la biancheria con ricami neri, merletti e piume. Il nero e bianco sono colori di lutto più che il grigio ed il violetto; è sempre lecito portare per lutto il bianco con nastri neri. Per uomini, il lutto pesante consta di vestiti neri, alta fascia di velo nero sul cappello, cravatta di battista bianca; per mezzo lutto si abbassa la fascia del cappello e si mettono gilè bianchi e guanti grigi. I militari, pei lutti di famiglia, mettono una fascia di velo nero al braccio, poi lutti patrii un velo alla spada. Chi è in lutto fa listar di nero la propria carta da lettera, nonchè i biglietti di visita. Non assiste nè a matrimoni nè a funerali. Pei divertimenti la regola è di rinunziare, durante il primo periodo del lutto, a teatri, balli, concerti, pranzi e veglie, e nel secondo soltanto ai balli. Per esaurir affatto questo triste argomento, dirò che gli annunzi vanno fatti con la massima semplicità, sebbene sia lecito che ne trasparisca il dolore della famiglia. Così pure nei cenni necrologici bisogna evitare lo stile ridondante, ampolloso, le lungaggini, le esclamazioni: bisogna essere sobrii più che possibile. È sempre cortese in chi sa tener la penna, onorare di una parola, d'un ricordo le persone amiche che muoiono, e quell'attenzione torna specialmente grata alla famiglia, come pure i discorsi pronunziati al cimitero. L'enfasi va evitata del pari nel discorso..... e perfino nell'epitaffio. Nulla è più funebremente ridicolo che certi panegirici che si leggono sul marmo. La morte, nella sua austerità grandiosa, richiede stile semplice e severo. Certe pompose liste d'epiteti, che sono uno sfogo di vanità e nulla più, ci lasciano freddi, mentre siamo invitati al pianto da poche parole che dipingano con verità l'affanno dei derelitti, la morte precoce d'una fanciulla, una di quelle disgrazie, insomma, che colpiscono tutta una famiglia di dolore inconsolabile. Chi lo può, si faccia comporre l'epitaffio da un uomo di lettere o lo componga da sè con l'inspirazione del cuore; non prenda, dal primo marmorino venuto, delle formole trite e ritrite, come prende il marmo del monumento. E sulle tombe, per semplici che siano, non manchi mai un fiore, viola o mortella, che dica come l'affetto duri nei superstiti e la memoria del perduto sia sempre onorata. Un fiore rugiadoso sarà più elegante che le ghirlande di perle o le corone di fiori artificiali. Così, perfino nell'ultima sua dimora la persona per bene può manifestare le sue tendenze. Chateaubriand venne molto censurato per aver voluto che gli fosse cimitero la roccia di St-Malò, mentre tutti apprezzano gli uomini che raccomandano la semplicità pel loro funerale. Si trova ora molto spesso nei testamenti la raccomandazione di non portar lutto e di non astenersi dal frequentare la società. È una delicatezza da parte del testatore che non vuole, nemmeno in morte, arrecar noia ad altrui. Chi riceve un legato deve, come e più di chi riceve un dono, mostrarsene soddisfatto, ed è cosa assolutamente gretta e biasimevole il lagnarsi se un'eredità non corrisponde ai nostri desideri. La maldicenza deve rispettare chi non è più. È cosa codarda aggredire colui che non può più difendersi - cosa crudele serbar rancore oltre la tomba. Chi ha trasgredito le leggi del bene è già punito dal non lasciare « quell'eredità d'affetto » che è la « gioia dell'urna ». Gli si conceda almeno il silenzio della pietà.

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Le cautele visibili diventano quasi un richiamo per chi abbia cattive intenzioni. Non imitino quelli che mettono il denaro che portano seco loro in una sacchettina, appesa ad armacollo e se la tengono stretta fra le mani, guardandosi intorno e susurrando agli ignoti vicini: Eh? quando s'hanno dei valori bisogna star attenti! Non bastano gli occhi d'Argo!... Costoro corrono il pericolo di attirarsi dei contrattempi. Gli occhi d'Argo... è cosa nota... a volte si chiudono ed allora paf! una cinghia è presto tagliata. In quanto alle armi, è bene usar prudenza per non farne un pericolo invece che una difesa, e non ferirsi da sè, oppure offendere i vicini. Del resto, per chi non ha in tasca un mezzo milione e viaggia in ferrovia, sono pressochè inutili. Le conversazioni in viaggio devono aver per regola il massimo riserbo. È ridicolo farsi passare per un pezzo grosso, millantandosi; è inurbano e pericoloso mettere in campo questioni nazionali o politiche, censurar alla leggera il paese in cui si viaggia, vantar troppo il proprio, insomma esporsi ad aver delle brighe o degli alterchi. Convien anche aver qualche nozione sui luoghi che si visitano per non dire degli spropositi madornali e per sapersi regolare riguardo alla via da seguire, alle fermate, agli alberghi, ecc. L'anno scorso incontrai una giovane coppia tedesca a cui chiesi se contava visitare la Brianza.Era d'autunno. - Oh! disse lo sposo, vorrei farlo, ma temo... - Il caldo? - Eh! no... i briganti! I briganti, nel verde giardino di Lombardia, a due passi da Milano! I briganti,cioè i tradizionali uomini bruni, in giacchetta corta, con cintura scintillante d'armi, cappellone a cono, trombone in mano... Diedi in una irresistibile risata, con grande meraviglia del bravo tedesco. A proposito di giovani coppie, raccomando a queste, di... non essere troppo affettuose in ferrovia: è una cosa in pari tempo importuna e ridicola lo scambiare carezze e tenere parole che mettono nell'impaccio i babbi e le mamme formaliste che hanno seco loro dei ragazzi e che in altre persone provoca delle celie di cattivo gusto. L'amore è una cosa tanto bella e santa che è mancanza di tatto e di delicatezza l'esporla ai motteggi. Le norme date per salire in vagone reggono anche per scendere; se ci sono vecchi, donne o bimbi si aiutano, si tien loro le sacche o gli scialli: si procura d'evitare questioni e di rassegnarsi con filosofica urbanità nei casi di forza maggiore; per la scelta dell'albergo si consulta, non il primo conduttore d'omnibus venuto, ma la guida, seppure non si sono assunte prima, da altri, le informazioni necessarie. È sempre savia cosa procurarsi delle lettere di raccomandazione per gente del paese; può essere una gran risorsa. Se occorrono medici o dentisti, sartori o che so io, non conviene affidarsi ai proprietari dell'albergo; pel medico o dentista ricorrere a quelli dell'ospedale, poichè il fatto che occupano un posto di fiducia è già per se stesso una garanzia. Per bottegai affidarsi ai conoscenti se se ne hanno, oppure alla fama. In generale le persone capaci sono note. Il lusso è superfluo pei forestieri, anche nelle più eleganti capitali: però le toelette eccentriche, le affettazioni di semplicità nihilista, i pastrani e cappelli da uomo, gli occhiali sul naso ed altre bizzarrie non sono da adottarsi. Per visitare musei o girar la città si inetta qualche vestito di lana scuro, un bel cappellino grigio o color nocciuola; per recarsi a teatro si scelga un vestito di seta nera o di satin di cotone, un po' elegante con un bel cappellino nero o bianco e si potrà essere presentabili, portando seco poco bagaglio. Nei musei bisogna guardarsi dal toccare gli oggetti esposti: è conveniente dare una mancia al cicerone. Sarebbe gretto respingerlo per l'economia di una o di due lire. Se annoia, lo si tenga solo per guida, dicendo che non s'ha d'uopo di spiegazioni. In generale bisogna informarsi delle tariffe e star a quelle: non lesinare e in molti casi sacrificare qualche spicciolo per causar alterchi che finiscono sempre a danno del forestiero. Quando poi si è con donne è assolutamente inurbano correr rischio di spaventarle o di doverle lasciar a lungo in mezzo ad una turba di curiosi o di malevoli, per finir una discussione con un fattorino od un fiaccheraio. Se si viaggia con altri, patti chiari e mettersi sempre d'accordo sulla spesa. Tornerò su quest'argomento parlando dei luoghi di bagni, dove porrò anche le norme sul contegno da tenersi aIl'albergo. È sconveniente, visitando gallerie o chiese, deridere ad alta voce Ie cose che si vedono od i riti della religione del paese; più che sconveniente, in certi casi può riuscire pericoloso: anche i costumi vanno rispettati, l'uomo veramente per bene leva il cappello in una chiesa cattolica... e lo mette in una sinagoga, accetta con la stessa urbanità il denso caffè dei turchi, la spumosa birra dei tedeschi, l'idromele dei norvegiani ed il latte di coco degli abissini; mostra la stessa deferenza a qualunque ospite, sia un signore europeo, uno scheik, od un moro. Il motteggio è sempre incivile, ed anzi lo è tanto più, quando chi se lo permette è o sembra superiore alla persona derisa. I forestieri, se alloggiano da conoscenti e ne ricevono molti favori devono, appena partiti, ringraziare con lettera e più tardi inviare un ricordo. Essi invece non hanno, in genere, obbligo d'invito. Sono gli ospiti che pagano e si va a visitar musei, se si fanno gite e se si prendono palchi a teatro.

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È cosa singolare che il progresso abbia prodotto un tal ribasso di galanteria, e sarebbe bello lo studiarne le cagioni. Comunque sia, le donne, che nel rozzo medio-evo eran quasi adorate, che vedevano i cavalieri erranti affrontare ogni pericolo, ed i baroni arrischiar la morte nei tornei per un loro sorriso - le donne che nel secolo scorso erano fatte segno del rispetto il più assoluto da parte dei marchesi incipriati e portate alle stelle dai poeti - come la Beatrice del Dante, la Laura del Petrarca, la divina Emilia del Voltaire, la marchesa d'Houdetot, le donne cui non si parlava che col cappello in mano e velando di perifrasi la semplicità delle parole - ora, confessiamolo, sono trattate con gran disinvoltura dai signori uomini ed in casa e fuori. Liberarsi da ogni soggezione, mancar ad ogni riguardo, sembra privilegio maschile. Perfino la mamma ammette che l'uomo non abbia obbligo d'esser garbato, e quando fa la rassegna dei cassetti del signorino, dove i mozziconi di sigaro alloggiano coi guanti bianchi, i canocchiali con gli stivaloni ed i compassi coi solini, mormora rassegnata: già, gli uomini son tutti così! lo ripete quando il signorino mette i piedi sulle seggiole, non si alza per dar posto alle sorelle, non raccoglie da terra il libro od il lavoro della mamma, bestemmia contro la servitù, fuma in salotto, scappa come il diavolo dall'acqua santa se capita qualche amica di casa un po' matura; gli uomini son tutti così. Tutti così? E perchè? Ed è veramente necessario? Capisco che un po' di astrazione può esser legittimata col pretesto degli studi o degli affari, ma non vedo per quale ragione, negli uomini, il disordine diventi un diritto; non vedo perchè debbano potersi esimere dall'ordine, che è risparmio di tempo, di denaro e dalla creanza, che è il modo di farsi voler bene e di provare la propria superiorità di educazione, e forse di cuore. L'ordine diventa abitudine se s'impara da bimbi, e nessuno mi vorrà negare che sia giovevolissimo. Smarrir il proprio fazzoletto, collocar regolarmente il bastone in luogo dove non si può ritrovarlo, lasciar l'ombrello al caffè, son cose da nulla: ma non è aggradevole lasciarvi il portafogli, è spiacevole senz'altro perder delle carte di importanza, e spesso poi riesce pericoloso il seminar di qua e di là la propria corrispondenza. Considerando inoltre che il tempo è denaro, quanto non si spreca coll'eterno smarrire e cercare?.... Ma, diranno i signori uomini, perciò appunto sono create le donne; a loro tocca di cercar la nostra roba, di mettercela sotto mano... Benone: e queste donne ve le conducete dietro all'Università, in viaggio, allo studio? No, eh? Ed allora come farete? Sarete saccheggiati, o sciuperete in poco tempo tutta la vostra roba. Le cose materiali hanno poi un nesso con le morali, in guisa che l'uomo il quale del disordine si crea una seconda natura, difficilmente eviterà la confusione anche nelle idee, nelle abitudini, e diventerà astratto e sregolato a segno da rendersi importuno oltre ogni dire in casa e fuori. È nota a tutti la storia di quel tale che, respinto da un banchiere, cui lo si proponeva per impiegato, veniva dal medesimo richiamato in gran premura mentre attraversava il cortile. - Signore, vi accetto, diceva il banchiere al giovane trasecolato. E sapete perchè? perchè v'ho veduto a raccattare uno spillo. Ciò m'ha rivelato che avete ordine ed accuratezza, le due prime qualità del negoziante. E quel giovine, da impiegato, diventava socio e genero del principale, e, come lui, milionario. Non pretendo certo che tutti i giovani facciano concorrenza ai cenciaiuoli, ma mantengo che anche negli uomini l'ordine e la nitidezza sono due doti preziose. Così lo sgarbo per sistema è cosa bruttissima - il rifiutarsi ad accompagnar le sorelle, il motteggiarle quando sono un pochino eleganti, il derider con scetticismo precoce i modesti divertimenti di famiglia, l'introdurre soggetti disdicevoli, e davanti alle ragazzine di dodici o di quattordici anni, nominar signore di dubbia fama, raccontar aneddoti poco edificanti, son tutte cose contrarie a quel galateo di affezione, di scambievoli riguardi che crea la dolcezza dei rapporti intimi. Il bimbo ideale non ha che un'occupazione: giuocare; un dovere: obbedire. Ma veramente il suo galateo riguarda affatto la mamma, dal primo giorno al quinto o sesto anno della sua vita. Il galateo del lattante ideale è semplice. Dev'esser sempre pulito, sempre in belle vesticciuole o cuscini bianchi, con una cuffietta,oppure con la testolina nuda ben spazzolata (nessuno più crede che quella crosta che la polvere forma sul cranio sia igienica). Possibilmente lo si tenga in una stanza un po' appartata ed i pannolini non sieno mai semplicemente messi ad asciugare, ma sempre risciacquati, al quale scopo convien buttarli man mano in un gran bacile pieno d'acqua. Però, se si preferisce o se si deve tenere il piccino allato, lo si tenga in una culletta e si ripongano in un canestrino i suoi pannolini e le sue fascie, evitando di disseminarli per la stanza, il che sarebbe brutto ed incomodo perchè diffonderebbe dappertutto odor di latte o... d'altro. Al lattante non si dia in mano qualunque cosa pur di tenerlo tranquillo, perchè il continuo picchiare gli nuoce e certi oggetti ponno tornargli pericolosi. Il meglio è una radice d'ireos attaccata ad apposita catenella. Sopratutto si eviti di poggiar il bimbo qua e là sui canapè, sulle seggiole, il che lo mette a rischio di esser schiacciato da qualche visitatore miope, o dimenticato. So di una signora astrattissima, la quale un giorno, nel rigovernar delle biancherie, poggiò il suo lattante sopra una delle tavole dell'armadio; poi riposto il bucato, chiuse, se ne andò... Per poco il piccino rimaneva asfissiato. La signora o la bambiania tengano un lenzuolino di gomma da porre sulla cuna od in terra nel luogo dove poggiano la creaturina quando è più grandicella - abbiano pure sempre un gran grembiale di gomma. Appena è possibile, insegnino al piccino gli elementi del galateo - lo abituino a salutare, a rispettar la gente e la roba. Non ridano se volta le spalle ai visitatori, se ad un bacio risponde con un buffetto, o dice graziosamente all'uno: sei vecchio, all'altro: sei brutto... Quelle cose che fatte da bimbi di due anni paiono tratti di spirito, da quelli di quattro tornano già uggiose e da quelli di sei, sembrano bell'e buone scortesie. È smania generale ora metter i bimbi a tavola a sei mesi e per prevenire certi... inconvenienti, collocarli in apposita seggiola, per cui, sul più bello, c'è un gran tramestio, la seggiola vien aperta per di dietro, l'oggetto... che offende, vien tolto con maggior danno che se rimanesse dov'è, e seppur babbo e mamma non respirano che essenza di rose, spesso e fratelli e nonni e zii... hanno il naso più perspicace. Preferisco l'uso inglese che vuol che il bimbo mangi più spesso degli adulti, faccia pasti più brevi ad ore più adatte, e ritengo che il metterlo a tavola troppo presto renda piuttosto più difficile che più agevole il dargli delle buone abitudini. Comincia a mangiare con le mani, a imbrodolarsi, e si compatisce: è tanto piccino! Poi seguita, e non si vorrebbe più compatirlo, ma lui, che non sa di logica, s'impunta a continuar nel suo sistema e ci vuol molta fatica a correggerlo. Quando poi il bimbo cammina, trovo bene tenerlo in una stanza con pochi mobili e coi suoi balocchi, e non permetter che metta sossopra tutta la casa, seminandola di carta, di puppatole, rompendo i mobili. Non è amor materno quello: è disordine, e non c'è più cattiva abitudine che quella di far d'un bimbo un piccolo iconoclasta. La signora di Genlis narra a questo proposito che andando a far le sue visite da sposa, vestita in gran gala, s'intende, capitò in casa d'una signora di cui il bimbo, viziato oltre ogni dire, appena la scorse, allungò le mani verso il suo cappellino, un cappellino nuovo, fiammante, gridando: lo voglio! lo voglio! - Che vuoi, carino? chiese la mamma, cui premeva contentarlo. - Il cappello! subito! lo voglio! voglio giuocare! - Ebbenebimbo mio, disse la madre con gran sorpresa e terrore della sposina, chiedilo con buona maniera e la signora te lo darà. Per fortuna, conclude la Genlis, egli non volle mai valersi della buona maniera ed il cappello fu salvo. Più grandicelli, i ragazzi non devono mai dar ordini ad alcuno, mai interrompere il babbo e la mamma, nè immischiarsi dei loro discorsi, e dire, non richiesti, il loro parere e disturbare chi è occupatocon ciancie, chiasso o domande importune. A tavola devono aspettar d'esser serviti e non allungar le mani verso il piatto e non far ossernazioni sulla qualità dei cibi. Il parlar poi senza discernimento, ed il riferire ciò che hanno veduto ed udito è cosa biasimevolissima in loro. Il bimbo, che spesso non intende bene e ripete peggio, può far nascere dei gravi disgusti. Convien imprimergli ben in mente la differenza che c'è fra il dir tutto a tutti in tutti i momenti ed il mentire. Alla mamma od a chi per essa, affidi ogni cosa, nulla agli altri. Del resto, se sarà abituato a cansar la curiosità e le ciarle, non baderà nemmeno ai discorsi che non lo riguardano. Gli si faccia poi notare che il motteggio è la cosa più inurbana e stolta che vi sia; che il bimbo inesperto, ignorante, non può intender bene ciò che fanno e dicono gli adulti e quindi non deve permettersi di censurarli nè di deriderli; che la canzonatura, villana coi pari, diventa irrispettosa verso i maggiori, crudele e codarda verso i deboli e gli infelici. Si procuri anche di non far conoscere al bimbo la differenza delle fortune e di avvezzarlo garbato, sicchè rifugga da chi non ha educazione, ma non borioso, sicchè rifugga da chi è povero. Sia talmente avvezzo al rispetto verso i superiori ed i vecchi da non accorgersi dei loro difetti, nonchè da criticarli - non veda che il suo professore è brutto, che il suo nonno, poveretto, non si tien pulito e copre di tabacco tutto ciò che gli capita vicino. Ami... e sia cieco come l'amore. Sarà più contento e più caro. Conoscevo un ragazzetto il quale, tornando alla casa paterna dopo aver vissuto per alcuni anni con una zia che lo viziava, un giorno in cui l'avolo, veterano di Napoleone, raccontava al solito una delle sue campagne, si fe' lecito di interromperlo sclamando: -Eh! nonno! ormai quella storia la sappiamo a mente è la decima volta che ce la racconti! Il nonno si scosse arrossì e con un sospiro: -Sarà vero, disse... divento vecchio! divento vecchio! Ma il babbo balzò in piedi, e con sdegno - Tuo nonno è stato uno dei gloriosi che hanno tenuto alto l'onore deI soldato italiano, disse. Prega Dio, di poter anche tu, da vecchio, ripeter sempre la stessa storia di coraggio e di virtù! Il ragazzo capì il suo torto, tanto più che da quel tempo il povero nonno non volle più dirle, le sue storie, rispondendo avvilito a chi gliele chiedeva: No, no; è sempre la stessa cosa: annoia. È necessario che il bimbo impari la delicatezza e sappia come affligger le persone attempate sia grave torto. Il rispetto pei vecchi stava nel galateo degli antichi: qualunque ragazzo, a Sparta, doveva alzarsi davanti ad essi; sta nel galateo dei selvaggi: sarebbe strano che fosse meno osservato nei tempi moderni dalla gente più civile. Ma per ottener nei fanciulli quella creanza e quella delicatezza che a volte essi non hanno per istinto, è mestieri non lasciarli mai con le persone di servizio. Mi spiego. Quando la nutrice o la bambinaia, che si devono scegliere con grande cura, sono partite perchè non s'ha più d'uopo dei loro uffizi, convien industriarsi in modo che il bambino non stia in intrinsichezza con cuoche, servitori o cocchieri, gente che molte volte ha contratto gran numero di vizi e per abitudine poi tiene un linguaggio rozzo ed inverecondo. Ma, direte voi, i bimbi devono dunque star sempre coi genitori? Non lo credo; credo anzi che sia pessimo costume tenerli in salotto quando si riceve, condurli in visita od a teatro. E dunque, mi chiederete, come si combina la cosa? In quattro modi, secondo me e sono: Il collegio. - Non l'approvo, ma lo accenno per chi avendo negozio e non potendo mai accudire ai propri figli vuol torli da pessimo contatto. La scuola. - Nelle ore di scuola i genitori sono liberi possono dedicar quindi tutte le altre ai figli. Un'istitutrice o almeno una bambinaia fidata, di nota moralità. Vi sono molte donne di buona famiglia le quali, incapaci per salute di far la cameriera, e non tanto colte da far le maestre, possono assumere la guida di ragazzi già grandicelli. Finalmente, oltre alla scuola, chi non volesse fermarsi in casa alla sera, potrebbe prender qualche maestra fidata che lo supplisse. Ma..... e se non s'hanno i mezzi di tenere questi maestri? Suppongo che allora non s'avrà nemmeno i mezzi di girar teatri e feste.Comunque, reputo dovere trovar un modo di evitare ai ragazzi la vicinanza delle fanteshe, da cui in generale non impareranno nulla di buono. Si può trovare una perla che cucini e stiri perfettamente, eppur tenga discorsacci da trivio ai bimbi. D'altronde, con le serve il piccino si abitua a continui battibecchi, perchè, essendo il padrone, non vuol obbedire; prende anche spesso il vizio di dir bugie.Avevo una cameriera, la quale ritenevo fidatissima, sicchè, non potendo uscire per indisposizione, le davo il bimbo da condurre a passeggio. Due o tre volte, al ritorno, gli trovai in mano dei balocchi, e mi disse che glieli aveva comperati la cameriera. Io la rimproverai, avendo per norma di non permettere che i bimbi accettino doni dalla povera gente. Essa si scusò dicendo che voleva tanto bene a quel piccino! Ebbene, sapete perchè gli faceva quei regali? Perchè, impaziente e manesca, s'era lasciata trasportare a percuoterlo,e voleva così comperar il suo silenzio. Notandogli dei lividi sui bracci, sospettai la cosa, e seguendo la donna la verificai e la licenziai. Altre volte la fantesca stringe col piccino un patto di colpevole compiacenza: gli dà delle leccornie perchè egli non dica di averla veduta a bere il vino ed il caffè. Queste cose turpi, alla servitù, per lungo costume, sembrano naturali: ma pei ragazzi, che lezioni! E non si supponga che io esageri: le gazzette recano storie di ragazzi tormentati o pervertiti che dimostrano qual sia il danno dell'affidarli a gente inetta o peggio. Ma se l'intimità è dannosa, non ne vien di conseguenza che sia lecito l'essere inurbani e si deve inculcare al ragazzo il rispetto per chi serve, fargli intendere che in qualunque ceto l'onesto ha diritto alla stima. E meno saranno i rapporti che il ragazzo avrà con la servitù, più vi potrà essere da tutte e due le parti creanza e decoro; poiché la persona di servizio ricorderà che il bimbo va trattato con riguardo come membro della famiglia da cui dipende, ed il bimbo, rispettato, potrà più facilmente rispettare. Passiamo ora alla suocera ideale. Questa vuol bene alla nuora come ad una figlia. In ciò sta la sola norma de' suoi rapporti con lei - e di rimando la nuora ideale è una figlia. La suocera e la nuora reale invece hanno dato origine al proverbio: « Suocera e nuora, tempesta e gragnuola ». Galateo della Borghesia. - 3. È un fatto che fra esse i rapporti sono difficilissimi, e che stentano ad evitare i piccoli disaccordi. La suocera esige troppo: dimentica spesso che lei, madre, sta bene abbia pel figlio un'indulgenza senza limite, ma che non può pretendere lo stesso dalla moglie. Ha troppa facilità di disapprovare, di rimproverare in quel modo che offende di più, cioè con insinuazioni ironiche e con una persistenza che fa pensar che la censura sia un partito preso e toglie valore persino alle osservazioni più giuste. Se ha delle figlie, stabilisce fra esse e la nuora una tale differenza che questa si sente estranea. lnquanto alla nuora facilmente teme che la madre cerchi di controbilanciare la sua influenza presso il marito e quindi, nelle occasioni in cui questi le rifiuti alcunchè, crede sia origine del rifiuto la suocera e se n'adonta. Non osa censurarla, ma ben lungi dallo studiarsi di far quello che le piace, cerca anzi con certa malizia di far il contrario - da ciò quelle guerricciuole di dispetti, di mezze parole pungenti, di sguardi sarcastici, che mettono in bando la pace delle famiglie. Le suocere dovrebbero ricordarsi d'essere state giovani..... e nuore, e compatire; mentre le nuore dovrebbero riconoscere i diritti dell'esperienza e dell'età, e così le cose andrebbero meglio. Gli è in ispecie davanti agli estranei ed ai bimbi che quelle lotte vanno evitate; l'estraneo sarà impacciato e se ne vendicherà col motteggio - il bimbo sarà scosso nel suo rispetto, nella sua fede. Come fargli intendere sino a qual punto sono complesse le cose umane, sicchè una pessima suocera può esser una santa madre ed una buona donna? Come fargli intendere che quei battibecchi sono una trascuranza del galateo famigliare - non l'espressione d'una vera antipatia - d'un vero biasimo? E nelle divergenze d'idee a chi ubbidirà? Nulla è più triste che quelle discordie e quel vedere una tenera sposina od una povera vecchia diventate vittime d'una specie di persecuzione, tutta superficiale forse, non ispirata da malevolenza, ma pur dolorosa, poiché i colpi di spillo alla lunga uccidono come i colpi di pugnale. Ci sarebbero delle centinaia di studi psicologici da fare su questa strana circostanza, che certi rapporti, certe gelosie alterano l'indole delle persone, ne cambiano i modi. Non è qui il luogo di scender a queste disamine; basti ripetere che il galateo va osservato anche fra suocera e nuora, e che se la tenerezza non ispira certi riguardi, bisogna invece impararli dalla creanza e non stabilire uno stato di cose intollerabile, in cui l'assenza d'affetto non ispira indulgenza e l'intimità sembra legittimi la mancanza di riguardi. Fra zia e nipote, fra cugini, è inutile accennare norme; i rapporti siano cordiali e sinceri, ecco tutto. È contrario al galateo morale ed a quello della società il parlar male dei propri congiunti, l'accoglierli male specialmente in presenza d'estranei. Un punto delicato è quello che riguarda il modo di condursi coi parents pauvres, i congiunti poveri. Secondo me, quando, per caso, sorge fra congiunti una eccessiva disparità di fortuna, la assoluta intrinsichezza, l'uguaglianza nelle abitudini, diventano incompatibili. Il povero non potrà star col ricco se non a patto di dipendere da lui, ossia di accettar inviti a desinare, in teatro, in campagna, ecc.: il che farà nascere una specie d'inferiorità che lo renderà facilmente suscettibile, che gli farà temere di esser posposto dal parente ad altri congiunti od amici più ricchi: da ciò invidia segreta, segreti rancori. Il galateo d'altra parte esige che il parente povero non assuma una certa boria ridicola come se in lui fosse merito essere consanguineo d'un ricco, come pure che non pigli un contegno umile, quasi da inferiore. Nel ricco poi, ci vuol ancora più studio per non offendere, per non millantarsi, per non fare che i suoi doni sembrino elemosine; per non escludere, male a proposito, dai suoi ricevimenti il congiunto, di cui teme che il vestir modesto possa farlo scapitare, lui, l'ospite, in faccia ai suoi invitati. Insomma, è ben arduo pel ricco non somigliar a quel tal risalito del brioso Paul de Kock, il quale, ad ogni piè sospinto, diceva agli amici meno fortunati: - Oh! per me posso far questa spesa: mes moyens me le permettent. Bouilly, il vecchio autore di cui è sì pietosa la storia (si diè a scrivere perchè l'unica sua figlia, riluttante allo studio, imparasse l'ortografia e fatto di lei, coi suoi scritti le sue lezioni, un modello di fanciulla, a sedici anni se la vide morire), Bouilly, di cui gli ingenui e carissimi racconti hanno fatto le delizie delle nostre mamme, racconta d'un villico, il quale, fatto milionario, un bel dì, in mezzo ad una festa, si vide piovere dal villaggio - a tradir le sue umili origini - la propria sorella rubiconda fattora. Il milionario cerca di indurla a non entrar nel salotto od almeno a celarsi in un angolo; l'onesta donna si meraviglia, rifiuta senza intendere; ma la chiave del mistero gliela dà il fratello, dicendo ad uno dei nobili ospiti che gli chiede come mai quella donna gli sia sorella: - Sorella di latte, nulla più! La contadina fugge colpita al cuore da quella parola crudele e ripetendo fra i singhiozzi: - Rinnega il suo sangue! Eppur quanti, senza arrivar a questo punto, s'industriano però ad allontanar i parenti per festeggiar estranei, credendo così d'innalzarsi al disopra... di se stessi! Vanità umane! Ma chi tratta così, creda pure che, sprezzando la vera cortesia, la cortesia del cuore, non si nobilita, e tutt'al più fa ridere alle sue spese. Con ciò non impongo intimità fra il contadino e lo scienziato, per esempio, o fra il povero ed il milionario - ammetto che le vicende della vita dividono molte famiglie: ma domando sempre l'urbanità e la cordialità. Il galateo intimo può chiudersi qui per non allungarlo di soverchio, poichè in molti punti s'unisce al galateo della società.

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Il giorno del Ceppo si pranza in famiglia; ma sta bene i nvitare quei parenti, anche lontani, che non avessero famiglia propria per evitar loro la tristezza del desinare soli negli alberghi quasi deserti; in lnghilterra, chi appena lo può, si adatta anche a lungo viaggio per ritrovarsi coi suoi in genere, chi ha una villa passa colà il Natale, radunandovi tutti i parenti ed anche gli intimi amici; i tempii sono parati d'edera e d'altre piante verdi - il gran giorno si passa quasi tutto in Chiesa, si chiude con un pranzo speciale, dove giganteggia il famoso plum-pudding, un composto di farina,grasso di bue, uova, uva secca, che deve bollire per una quindicina di ore; chi ha parenti all'estero, perfino al Capo od in India, spedisce loro uno di questi pudding, che hanno la proprietà di poter, dopo tre o quattro mesi, venir rinfrescati, o meglio riscaldati, mettendoli di nuovo a bollire; nello spedirlo si calcola che abbia da arrivare appunto nel giorno di Christmas (Ceppo). Chi ha qualche impegno di gratitudine, o vuol usar qualche cortesia, spedisce, pel Ceppo od il Capo d'anno, qualche specialità gastronomica del suo paese. Un altro uso ora nuovamente invalso è quello dell'albero di Natale, che a torto vuolsi dire inglese, mentre in origine realmente è tedesco (Christbaum). È un piccolo abete piantato in bel vaso i cui rami si adornano di mele rubiconde, di noci rivestite di carta dorata, di un gran numero di candelette di cera di tutti i colori: a quella decorazione si aggiungono i regali destinati alla famiglia ed ai convitati, quali appesivi ostensibilmente, come arlecchini e bambole, quali misteriosamente ravvolti in carta velina; le mamme; nonne e zie preparano l'albero, poi si chiama in sala tutta l'adunanza ad ammirarlo, sfolgorante per le gaie faville dei lumicini e le tinte screziate delle mele, delle noci d'oro. Codesta festa di famiglia ha qualcosa di grazioso e di ingenuo che la rende carissima. In Francia, nella notte di Natale, si dà una cena, piuttosto semplice, detta réveillon; non vi si va in vestito da Galateo della Borghesia. - 11. teatro, ma con abbigliamento tale da potersi prima o poi recar a messa. I cibi si preparano tutti insieme sulla tavola: constano per lo più di dolci, salumi e carni fredde; non è ammesso altro vino che il Bordeaux; vi si aggiunge un piatto detto boullie. Altra norma dimenticata: mentre una signora non può mai venir condotta a veglia o ballo in casa terza senza presentazione od avviso, i giovanotti che la padrona di casa stessa ha raccomandato le si conducano per ballerini, non sono soggetti a queste regole e chi li ha arruolati li mena con sè al momento e li presenta. Chi dà un gran ballo, può far invitare dagli amici altri amici loro, con cui non ha visita, senza che ciò obblighi a conservar intime relazioni. Una visita da parte degli invitati, un biglietto da parte dell'invitante, basteranno. Rispetto alle fotografie, le signore giovani e le ragazze non danno mai la propria ad un giovine se non parente, et encore! nè chiedono con insistenza la sua ad un uomo giovine, toltone il caso che sia un uomo illustre. Il fazzoletto ed i guanti costituiscono un altro punto relativo alla convenienza. Non par vero quante cose possono dipendere da quel piccolo quadrato di tela! Una signora deve sempre averlo piccino, fine; guardarsi da quella roba di cotone a righe colorate, a smerli, che si vendono nei magazzini a gran ribasso: hanno un'impronta volgare, non sono un'economia perchè non durano punto, e finalmente fanno arrossire la pelle, cosa che va anch'essa presa in considerazione. Gli stivaletti ed i guanti costituiscono col fazzoletto ciò che distingue la signora veramente per bene. Le pianelle sieno sbandite, servano al più per andar dal letto fin all'abbigliatoio. Nonostante la storia di Cenerentola, le trovo bruttissime. Le pantofole stesse siano a tacco. In istrada non si mettano mai scarpini da veglia o da ballo sdrusciti. Riguardo ai guanti si segua la moda, con la norma che d'estate si usa guanto di pelle di Svezia, d'inverno di capretto; in istrada, sempre scuro, o almeno di tinta carica, mai, eppoi mai, albicocca, grigio perla, paglia, colore di rosa, mauve, insomma color chiaro: in genere il paglia e bianco si mette per gala, i colori rosa, azzurrino, mauve, solo avendo un vestito di quella tinta. In visita i guanti si serbano sempre. In veglia si tolgono per suonare (non per cantare) e si rimettono subito. A veglia in casa propria si mettono: molte signore li adoperano anche nei ricevimenti di mattina. Ad un pranzo d'invito, si tolgono a tavola e si mettono in tasca; in certi alberghi ho veduto a metterli in un bicchiere; è sconvenientissimo. Non si balla mai, in nessun luogo, senza guanti. I guanti (moda inglese) si tengono per prender il the e per cenare; si tengono perfino alle colazioni di cibi freddi, lunchs od altro dove si serba il cappellino. Confesso che quest'ultima regola non la registro che con dolore; una bella manina bianca, liscia, ingemmata d'anelli mi par davvero più appetitosa che un guanto, la pelle umana, preferibile alla pelle di capretto, ma non c'è che dire, così dev'essere. Aggiungerò che è un'affettazione levare i guanti a veglia od a teatro, per pochi minuti, allo scopo di far ammirare la propria mano; ma le signore che hanno quella bellezza mi risponderebbero: E se sempre e dappertutto i guanti sono di prammatica, a che serve aver le mani belle, e come si potrebbe sapere che possediamo questa ambita prerogativa? Quello che è mal porte, come dicono le Francesi, è l'anello sul guanto. Baciamani ed abbracci sono poco in uso ormai, grazie all'ottima moda inglese della stretta di mano: shake-hand. Taluni si lagnano che si stringa la mano a tutti troppo alla leggera. Eh! Dio buono! Non era peggio forse baciar la mano alla leggera, o, fra signore, buttarsi ogni momento le braccia al collo? Ora il baciamano non lo usano più i signori in Italia (in Germania, sì); poco gli inferiori. in Germania, a cominciar quasi dalla stazione della ferrovia è un seguito di baciamani da far disperare; a momenti ve la baciano i fattorini! salvo ad ingiuriarvi un momento dopo se giudicano la mancia scarsa. Le signore abbraccieranno i parenti ed intimi partendo o tornando da viaggio, i bimbi sera e mattina, qualche antica prediletta, ma non tutte le visitatrici e men che meno lo persone non intime. Ricordo, poco tempo fa, essermi trovata chiusa nel tenero amplesso di una signora che conoscevo sì poco, che tra per la rarità dei nostri incontri ed il mio esser poco fisionomista, rimasi immobile ed allarmata sotto la pioggia dei suoi baci senza profferir parola. I bimbi altrui vanno abbracciati con moderazione. A molte mamme spiace che i loro freschi bebés vengano troppo bacciucati e non hanno torto. Baciare i cani, i gatti, i pappagalli, è cosa di cui non parlo; esce, secondo me, dall'ordine naturale delle cose e temo che la ripugnanza mi renda troppo severa contro le numerose signore cani e gatto-file, che se ne compiacciono, per cui mi contento di dire... che in nessun galateo si parla di quest'uso, ma che prego tutti quelli che si appassionano per gli animali, di reprimer la loro passione quando hanno visitatori che temono i cani, odiano i gatti e davanti ai pappagalli ripetono la facezia di quel tale che udiva un flauto: - Che cos'havvi di più insopportabile di un flauto? Due flauti! - Che di più importuno di un pappagallo? Due pappagalli! Le limosine vanno date senza ostentazione, e non in modo da umiliare chi le riceve. Vanno date eziandio con discernimento, in modo da giovare al povero e da studiarne l'indole; se biancheria, roba usata, pane e lavoro vengono accettati con gratitudine, siete in diritto di supporre d'aver a che fare con buona gente; ma se i poveri insistessero, con pretesti, per avere denaro, potete essere quasi certi che si tratta di viziosi o di oziosi. In generale, chiedere degli oggetti a prestito è poca discrezione: però, per musica e libri è lecito. Ma non bisogna trattenerli a lungo, e se per caso si sciupano o si macchiano non valgono le scuse: convien farli rilegare o surrogarli con altro esemplare. Chi poi chiede dei vestiti o dei cappellini per campione, veda di non sgualcirli, di non comprometterne la freschezza e di non copiarli troppo fedelmente. Rifiutare un oggetto che si domandi a prestito è scortesissimo: se anche dà un po' di noia il privarsene, è mestieri nasconderlo e concedere la cosa domandata. Però una signora che chiedesse un oggetto di vestiario, appena comperato, costoso e di genere nuovo e bizzarro, farebbe una vera sconvenienza. *** Vi sono in società due manie opposte da cui bisogna guardarsi e che ci nuocciono molto tutte e due nell'opinione. L'una è la mania del così detto chic. L'altra la mania del così detto sans-façon.. Quelli che sono afflitti dalla prima di queste manie fanno sul perenne studio per non offender il decoro.... e temono sempre di averlo offeso, mentre, per quel ticchio, offendono perpetuamente la creanza. In istrada camminano impettiti, evitano gli amici o parenti meno agiati di loro, e se uno di questi li ferma, arrossiscono, si turbano e si credono perduti nell'opinione degli altri caporioni del chic. Non vanno in omnibus, nè in tramway; a teatro non vogliono che palchetti; non si servono che dai primi fornitori; non vogliono frequentare che duchi, marchesi, milionari e gente celebre; amici della ventura, trovano tutti quelli che non appartengono a quelle categorie altrettanti zeri; immaginate un po' che zero sarebbe stato per loro Colombo quando parlava dell'America, Galileo quando, a dispetto dei pezzi grossi, si ostinava a dire che la terra si muove! Sono i fautori del successo, gli ammiratori dei bei pastrani, delle vesti di velluto e dei guanti nuovi. Non conoscono che una legge, il chic; un ideale, il blasone; un nume, il denaro... I protagonisti del sans-façon però, se moralmente valgono meglio, in realtà vi affliggono anche di più: Se - sudici, senza guanti, con le unghie in lutto - incontrano un amico, gli si appiccicano, dandogli del tu, sbraitando; richiamati all'ordine, affermano di non avere aristocrazia, confondendo così l'amor dei pettini e del sapone con la superbia e la creanza con l'ostentazione, e tirano via; a volte invitano l'amico a desinare alla buona, sans-façon. Se il malcapitato accetta, sta fresco! Piove in una stanza disordinata, dove tra una nidiata di bimbi, che, sudici come il babbo, si trascinano carponi, appaiono una sguattera, immusonita ed una padrona di casa arruffata, che lancia occhiate fulminee al marito. Il desinare è pessimo: minestra lunga, lesso affumicato, arrosto in miniatura; la serva butta la roba in tavola alla rinfusa, accompagnando il servizio col ciac-ciac delle ciabatte, i bimbi (nessun lusso! grida l'ottimo babbo sans-façon) i bimbi tuffano nei piatti delle mani da spazzacamino, dei nasini... umidi, oppure, se piccini, fanno delle scorrerie sulla tavola stessa; la mamma, stizzita perchè l'intruso la vede senza il vestito della festa, non smette il broncio; l'intruso... sventuratissimo, non può mangiare, un po' perchè il sans-façon in tavola non gli va, un poco per le invasioni dei bimbi: soltanto il signor sans-façon è contentone. A teatro, sans-façon ciarla e schiamazza sì da farsi zittir dalla platea. Al caffè grida, conta i fatti suoi, interpella tutti quanti senza conoscerli, strapazza i camerieri: in visita dice alle ragazze dei complimenti veristi... che fanno arrossire e stizzire le mamme, ed alle mamme invece dice delle verità... d'ogni specie, evoca date, calcola quanti anni ponno avere, e le fa diventare verdi di bile dopo averle fatte diventar rosse. Ma il suo trionfo è l'invitarsi in casa d'altri, il piombare ospite... di chi non lo vuole, criticando tutto, dando su tutto il suo parere: il suo trionfo è il perseguitare chi desidera stare quieto, mettersi a tu per tu con persone ragguardevoli, l'immischiarsi in ogni discorso, sempre col suo famoso: - non ho aristocrazia, io! non fo complimenti! - sulle labbra. Nulla lo frena, nulla lo umilia. Ai militari parla di strategia, dando senz'altro dell'asino ai generali; ai diplomatici di politica, dando del babbeo ai ministri; alle signore per bene, di ballerine o di celebrità del demi-monde. Se gli si affida una notizia che deve rimaner segreta la dice in piazza. Insomma, se i falsi chic fanno ridere la gente intelligente e superiore, i sans-façon fanno piangere tutti.

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Il parlour sia popolato di ritratti di famiglia, di ricordi; abbia qualcosa di raccolto e d'intimo; diventerà così il luogo prediletto, il centro della casa. Non esito a credere che fino ad un certo punto si debbano al parlour le abitudini più casalinghe degli uomini inglesi e tedeschi. L'aver un luogo dove riposare e ciarlare ad agio è un conforto che manca ai signori nelle nostre case, dove spesso non v'ha scelta tra l'incomodità della sala da pranzo, invasa dal canestro del bucato, dai bimbi, e l'etichetta del salotto, dove si teme di sciupare i mobili e di rovesciare le scansie coperte di gingilli. Spesso, venuta notte, si presenta in famiglia questo quesito:Come passare il tempo? Ciarlare? Ma dopo pranzo, per ciarlare, piace star comodamente seduti, e le sale da pranzo alla moda non hanno poltrone. Leggere? Ma i libri sono nello studio del marito, in fondo alla casa, e non s'ha voglia di andarli a pigliare. Suonar il pianoforte? Ma il pianoforte è in sala (vestito di panno verde per soprappiù) e la sala è una ghiacciaia... E così? E così il marito va al circolo, dove troverà una bella sala di lettura tepida, od al caffè, dove c'è un'orchestrina. La moglie sospira, sbadiglia, e si rassegna ad andarsene a letto, oppure esce anche lei: va in casa d'altri a cercare ciò che non ha in casa sua: una buona poltrona, un buon fuoco. Insomma, a farla breve, in molti l'amore alla casa si confonde con l'idea del lusso ed esclude quella della vera comodità. N'ebbi una prova recentemente da due signore che avevano mutato alloggio, e mi facevano vedere con certa compiacenza la nuova abitazione. L'una mi condusse attraverso ad una bella anticamera, una sala da pranzo con mobili di acero e cuoio, una sala di noce d'India e damasco azzurro, un gabinetto tutto oro e felpa, una stanza da letto di damasco giallo, tutto nuovo fiammante e stupendo; ma, in nessun luogo trovai traccia di occupazione manuale ed intellettuale, non vidi un cantuccio dove lavorare e scrivere, un libro, un foglio di musica: sicchè, alla fine, con involontaria ingenuità esclamai: - Ma dove abitate? Ella rimase perplessa. - Ah!... non ho scelto,... non ho deciso... Por ora sto... nello stanzone di guardaroba... Quella signora quindi aveva trasformato il suo appartamento in una specie di teatro, dove rappresentava la signora elegante per poi ritirarsi nelle quinte. L'altra mia amica aveva posto in non cale l'aurea massima di Beniamino Franklin (l'inventore del parafulmine, il tipografo fatto illustre): Ogni occupazione abbia la sua ora, ogni cosa il suo posto, ed aveva creduto di raggiungere il non plus ultra dell'eleganza coll'ammobiliare il suo appartamento in modo ibrido, sicchè non vi fossero stanze a destinazione speciale. V'era una fila di pseudo-salottini, con tavole, librerie, divani da letto, seggiolini e seggioloni,il tutto senza fisionomia, per così dire. -Ma, e dov'è la sala da pranzo? Dove la camera da letto? Dove sta la servitù? Dove vi vestite? chiesi colpita. -Quante sale, eh? rispose ella con orgoglio, che bell' effetto per chi viene in visita! E nello stesso tempo, vedi, si può mangiare dappertutto, dormir dappertutto; il divano della sala da pranzo è per mia sorella, quello dell'anticamera per la fantesca.... -E lavarsi? vestirsi? - Oh! c'è di dietro uno stanzino buio dove stiamo mio marito ed io, e c'è da lavarsi.... In buona fede quella signora credeva d'aver fatto bene e non s'accorgeva di essere accampata e non alloggiata. Ma, direte voi, e quando non c'è spazio davvero? Allora sicuramente bisogna adattarsi, cercando però d'evitare certi crimenlesi contro il buon gusto. Una sposina di mia conoscenza si trovò, per vari motivi, a non poter disporre che di un quartierino di quattro locali - poca cosa eh? E di questi, uno era la cucina, e due erano molto piccoli.Che fece? Prese la stanza più grande per stanza da letto, nell'anticamera pose,per la fantesca, una di quelle brande di ferro le quali chiuse e ricoperte da un tappeto figurano una tavola - poi vi aggiunse una cassapanca dove la cuoca riponeva le sue robe, un cantonale chiuso per appiccarvi i vestiti, il tutto inverniciato color rovere, ed un attaccapanni - sembrava davvero un'antisala, eppure rispondeva perfettamente all' uso di stanza. Nel salottino poi, che era ad un tempo sala da pranzo, sala e parlour, c'era una libreria in cui alloggiavano fraternamente, in un riparto i libri, nell'altro il servizio di porcellana per tavola - un pianoforte, una gran tavola per pranzare, un tavolino da lavoro, una scrivania, tende di yuta scuro, tappeti a disegno antico, piante verdi, specchio a cornice di velluto assortito alle tende, porta-musica ricamato, qualche scansia, qualche seggiola di fantasia, ed ecco che la mia amica aveva una sala presentabile ed in pari tempo un luogo comodo da abitare. Mi riassumo: potendolo si eviti sempre di mettere cassettoni, armadi e letti in anticamera: potendo, si cerchi di dissimularli, grazie all' inventiva dell'industria moderna. Si tenga a mente che, come disposizione, possibilmente, dall'antisala si deve passar nei salotti, dove si mettono canapè, poltrone, seggiole, pianoforti, scansie, mobili di capriccio, poi nelle camere da dormire che esigono oltre al letto, un cassettone, un tavolo da notte, un armadio con specchio, un lavabo; la sala da pranzo non deve essere dietro alle camere da letto, ma vicino ai salotti od all'antisala e non vi si deve mettere che una dozzina o più di seggiole di rovere,od acero e cuoio, una o due credenze, la tavola da pranzo, e, se mai, uno o due canapè, di quelli a forma diritta come panchini ricoperti di velluto: le tinte preferite sono il bruno o il verde scuro. Generalmente avendo bimbi piccoli, convien tenerli in uno stanzone a suolo di legno e pochi mobili sicchè siano liberi di giuocare a loro agio. Ciò che si deve poi tenere per norma si è di non far sotto nessun pretesto una babilonia del parlour o della sala da pranzo.Ognuno si vesta in camera propria; mangi ad ora fissa e su tavola appositamente apparecchiata, e se la signora si occupa di certi lavori molto casalinghi, non li trasporti seco, ma si trattenga in guardaroba od in cucina. Conosco una famiglia di cui, all'inverno, la sala da pranzo sembrava un attendamento di zingari. Stavano lì raccolti in otto o dieci persone a far le cose più diverse e le più strambe. La figlia maggiore vi si pettinava,mettendo in fraterno contatto l'accappatoio coi tovaglioli ed il pettine con le forchette; il figlio vi si faceva la barba; i bimbi studiavano o giuocavano; la mamma e la cameriera vi sciorinavano il bucato, cosicchè non era possibile sedere senza correre pericolo di cadere sull'acqua insaponata o sulla biancheria umida, o - peggio - su qualche rasoio. Nè il disordine regnava solo negli oggetti. L'era una torre di Babele: l'uno studiava la lezione; l'altro suonava il pianoforte; l a mamma faceva la predica or a questo or a quello dei ragazzi, i canarini strillavano, ed il papagallo motteggiava tutti quanti.... Era cosa da inorridire e bastava mettere il piede là dentro per accorgersi di essere da persone - forse ottime - ma certamente digiune di ogni norma di creanza e di ogni finezza. Una casa per bene deve essere sempre linda e ben rigovernata, ed anche dove si lavora e si studia, bisogna industriarsi a mantenere l'ordine, il che non riesce difficile purchè si assegni ad ognuno il suo posticino, ed ognuno si tenga il suo buvard, il suo calamaio, la sua cartella per riporre i libri, il suo canestrino da lavoro coll' aggiunta d'un gran canestro per gli oggetti di biancheria, infine un armadio dove riporre i balocchi dei bimbi. Allora, chi entrerà non capiterà in una baraonda; troverà sempre una seggiola libera e leggerà sul viso di tutti un sorriso sincero di cortesia e non uno sgomento di gente sorpresa in flagrante delitto di disordine. E sebbene costi, un po' di fatica, io concedo, il mantenere quella regola, è fatica grata, poichè ha il suo premio, e nelle buone abitudini che i ragazzi prendono senza sforzo - grazie all' esempio - e nella schietta ammirazione dei visitatori, e nella contentezza del marito, il quale - ecco il punto capitale - si trova bene, così bene a casa sua che non ha mai voglia d'uscirne, che finisce spesso col rinunziare al caffè, al teatro, al circolo, per godersi l'intimità e gli agi del domestico focolare.

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Nel caso che una persona con cui si abbia avuto intimità commetta un'azione per cui si ponga fuor della legge (uno scandalo, una fuga, che so io), tocca a quella persona cansar gli amici; se la si incontra, si può far un lieve cenno del capo,per non infliggerle un affronto, ma nulla più. Le sarte, il parrucchiere, spesso evitano di salutare la signora per un certo riguardo; se la salutano, la signora ha obbligo di rispondere con cortesia,e si renderebbe ridicola, affettando alterigia. Non si esce con la propria cuoca o cameriera, e facendolo per una causa qualunque, la cameriera deve star dietro; però se la persona di servizio accompagna una ragazzetta le rimane al fianco. Fermarsi in crocchio per le vie frequentate non è lecito che per pochi secondi, e per consenso di ambe le parti; non si deve fermare chi mostra premura, o chi ha il tempo sempre limitato per professione. Il rimaner poi a lungo fermi, inceppando il passo alla gente, è disdicevole. Si lascino queste usanze delle ciarle d'occasione alle popolane, alle operaie che non possono far visite e quindi recarsi quando lo desiderano a veder le amiche. Il ceder la destra, che era nel Medio Evo un dovere verso i nobili e dava spesso origine a grandi contese, come quella storica narrata dal Manzoni a proposito del padre Cristoforo, ora ha certamente meno importanza: però un uomo la cederà sempre alle signore ed ai bimbi, ed una signora giovine la cederà alle signore più attempate e perfino agli uomini vecchi; negli altri casi si mantiene il proprio diritto. Sulle scale la parte migliore è quella della ringhiera; se la scala è stretta bisogna fermarsi sopra un pianerottolo per dar il passo a chi sale o scende: fra signore si scambia un cenno del capo: l'uomo si Ieva il cappello; se per cortesia la persona che s'incontra ci offre di passare avanti, si accetta senza lunghe cerimonie, ringraziando. Un uomo, imbattendosi in una signora sulla porta d'un appartamento o d'una casa, tien quella porta aperta, finchè la signora è passata. L'uomo dà alla donna il braccio destro, in modo che essa si trovi alla destra del marciapiede e non possa venire urtata dalla gente. Incontrando degli amici con altre persone che non si conoscono, si salutano i primi, limitandosi ad un cenno del capo per gli sconosciuti, ed evitando di fissarli con curiosità. Se si conduce con sè un cane, bisogna far in modo che non disturbi alcuno; non incitarlo ad abbaiare e saltare addosso nemmeno per celia. Nei luoghi di pubblico passeggio, chi fosse seduto, deve, vedendo dei conoscenti e volendo trattenersi con essi, alzarsi e rimaner in piedi finchè dura la conversazione: se le persone incontrate sono note a tutti quelli della brigata seduta, si può invitarle a prender posto vicino agli altri; ma se non lo sono, è sconveniente esortarle a fermarsi senza sapere se aggrada a tutti, ed esse non devono accettare; se si crede di far cosa grata agli uni ed agli altri bisogna cominciar dal far una presentazione. Se una persona, che non desiderate aver accanto, vi si avvicina, alzatevi e rimanete in piedi finchè il vostro colloquio è finito: quella persona capirà da ciò quel che deve fare; sarebbe disdicevole seder in luogo pubblico vicino a chi non nostra gradire la nostra compagnia. Una signora inviterà liberamente le amiche a sederle accanto: ma non vi esorterà alla leggera nessun uomo, perchè tal fatto costituirebbe, da parte sua, un favore piuttosto spiccato, un desiderio di intrinsichezza. L'uomo essendo affatto libero dei suoi atti, se intende di sedere, ne chiederà licenza o si fermerà in piedi accanto alla signora; l'invito sarebbe dunque inutile se è già suo progetto rimanere, importuno se ha altri impegni. E dico importuno inquantochè l'uomo deve, anche se non gli sorride, accettare l'invito d'una signora. Del resto, in questi particolari, come in tutti gli altri, l'esperienza, il tatto, potranno essere d'aiuto e servire a distinguere il presuntuoso che potesse in una cortesia leggere un interesse speciale, dal giovine timido che, pur desiderandolo, non osasse accostarsi. Una signorina non si recherà mai a luoghi di passeggio troppo frequentati con la cameriera e nemmeno con l'istitutrice: se non ha i genitori, profitterà della scorta di qualche signora sua parente od amica, o di qualche zio o tutore. Quando v'ha mancanza di seggiole in qualche caffè o giardino, un uomo solo si alzerà per dar posto alle signore; ma se quell'uomo accompagna altre donne non cederà il suo posto, il che sarebbe un mettere in imbarazzo le signore che scorta a profitto di persone sconosciute. Un uomo non deve mai offrir seggiole o occuparsi di donne che abbiano già un accompagnatore: sarebbe importuno invece che cortese. Sedendo, bisogna evitare di dar le spalle a quelli che passano, per cui nei sedili posti lungo i viali si starà sempre voltati verso il viale stesso. Leggere o lavorare nei giardini pubblici non è molto conveniente: sembra un'affettazione. Chi accompagna dei ragazzi però, e quindi rimane in giardino per lunghe ore, può farlo, ma deve scegliere un sedile un po' appartato. A passeggio le signorine devono star accanto alla madre, e, se son due, camminare insieme davanti di essa: ma una signorina non deve mai passeggiar a fianco d'un giovine. Anche tra persone di famiglia bisogna, in istrada o nell' uscire, osservar certe norme. Per esempio, i bimbi passano sempre prima della madre e stanno davanti, dovendo ella sorvegliarli: ma codesta norma pei maschi cessa verso l'epoca della prima comunione, mentre per le femmine continua sino ai ventun anni e più. In carrozza, i ragazzi siedono dalla parte dei cavalli, così le signorine se c'è il babbo: ma quando si maritano il babbo cede loro il posto, a meno che non sia molto attempato o malaticcio. Il marito, recandosi a passeggio od a teatro, darà il braccio alla madre, alla suocera o ad altra signora attempata se ve n'è, e non alla moglie: ma lo darà alla moglie se vi sono soltanto delle parenti ancora nubili e se non c'è altro cavaliere. Una signorina non deve uscir col proprio fratello se non è ammogliato: potrà uscire con uno zio, con un cognato, mai con un cugino. I figli, fuori di casa come in casa,debbono sempre mostrare la maggior deferenza ai genitori, e farebbero pessima figura trascurandoli a vantaggio dei forestieri. Se mai s'avesse qualche notizia da comunicare o molte cose da dire è meglio far un tratto di via insieme. Una signora non si fermerà con un giovanotto se non le è parente o molto intimo, ed anche allora per poco; una signorina non si fermerà nemmeno con un parente e non si lascierà scortare da lui se è con la cameriera o l'istitutrice: nemmeno lo sposo può aver codesto diritto. In istrada, pei ragazzi, la creanza esige che siano raccolti, ubbidienti; pei signori che non sieno... come dirò? troppo garbati, cioè che non si voltino a piantar gli occhi in faccia a tutte le donnine, che non facciano osservazioni ad alta voce, che non si diano a seguir una signora, passandole e ripassandole davanti ed impuntandosi a starle vicino e ciò nè di giorno nè di sera: perchè a volta una signora per bene può esser costretta ad uscir sola a tarda sera e l'uomo creanzato non le deve dar molestia - zuffolare, canticchiare, far il mulinello col bastone, formar una lunga fila che tien tutto il marciapiede, spinger la gente e per troppa fretta proseguir la propria via sui calli del prossimo, non ceder la dritta, sono altrettanti crimini contro la creanza. Noterò che la signora interpellata in istrada da uno di quei galanti, non deve mai rispondere, nemmeno per respingerlo. In carrozza una signora non deve troppo atteggiarsi sì da tradir vanità: è anche scortese fermarsi con lo sportello già aperto, a dar ordini al servitore od al cocchiere così che la gente non possa passare. Non dirò neppure che il chiamarsi da un marciapiede all'altro, l'impegnar un diverbio in istrada, il segnar la gente a dito son cose viete, perchè lo sanno quasi i bimbi in fascia. Fissar le persone e poi parlarsi all'orecchio e ridere in modo da far capire che si sta canzonando qualcuno, rientra nella stessa categoria, ma lo accenno perchè l'ho veduto a fare a molte signorine che, non sapendo o non curando le leggi di cortesia, credono in tal modo di mostrar dell'arguzia - nel qual caso chi sarebbe più arguto che i monelli o le fruttivendole del mercato che schiamazzano come i passerotti quando vedono della gente civilmente vestita?

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Non si parlerà di fallimenti, di fughe, di suicidi, se si ha vicino chi abbia avuto in famiglia delle disgrazie consimili; non si dirà: usuraio come un ebreo, ladro come un greco, bestemmiatore come un livornese, ecc., ecc. Si dirà israelita e non ebreo o giudeo; si dirà tedesco e non, per celia volgare, patatucco; si dirà mia moglie, mio marito o il cognome del marito; mai il nome, con gente non intima, nè la professione. Il mio avvocato, il mio Paolo, il signor Tizio, il mio sposo, sono altrettanti termini vieti. Così pure si dirà: le mie figlie, non le mie signorine; la mia cuoca, cameriera, e non la mia donna. ln francese chi dicesse: mon époux, mon épouse, ma demoiselle, si farebbe burlare; si dice: ma femme, mon mari, ma fille, quel marito fosse duca e quella figlia principessa. Non si deve nè alzar troppo la voce, nè abituarsi, per affettazione, a parlar tanto piano da far fare la figura di sordi a tutti gli interlocutori; meno di tutto poi sarà lecito in compagnia chinarsi all'orecchio del vicino e susurrargli delle osservazioni. Se qualcuno pronunzia una parola sbagliata, o fa uno sfarfallone, non bisogna correggerlo, e ripetendo la parola giusta, non si deve metterci affettazione. In visita od a veglia non si debbono sgridare i ragazzi degli altri, il che potrebbe dar luogo a scene spiacevoli, e, seppur è lecito, a volte, far loro qualche osservazioncella, non bisogna valersi molto di questo diritto. È certo mai vezzo il vantarsi e molti I'hanno; molti a udirli, non sanno che cosa sia mal di capo e si creano un vanto della loro pretesa salute; altri danno a credere di aver il monopolio della buona ventura; il loro appartamento è comodissimo (benchè non paia); la loro servitù zelantissima; la loro sarta un Worth in gonnella e discreta; prezzi ridicoli, e così via. Ebbene convien ascoltarli con flemma; non cercar di metterli in contraddizione con se stessi. Sono un po' vanitosi, un po' presuntuosi, pazienza! Ma il rilevare quei difetti ve li renderebbe nemici, e, seppur moralmente giusto, sarebbe da condannarsi, se si tien conto della speciale indulgenza che ci vuole in società. Non si parli mai di anni; è un capitolo ingrato. Non si dica ad una signora come complimento: Oh! Ella si conserva bene... Si evitino i racconti lunghi ed imbrogliati e le troppe freddure. Coloro che si trasformano in sfingi ed hanno sempre un rebus, una sciarada, un enimma da proporre, finiscono con lo stuccare tutti quanti. Il ripetere poi tre, quattro volte gli stessi frizzi, esigendo sempre un tributo d'ilarità, è cosa insopportabile. Non si facciano mai apprezzamenti e domande alla leggera, cioè non si dica ad uno sconosciuto: Oh! come è brutta quella signora! per non sentirsi a rispondere freddamente: È mia moglie! Non si domandi con garbato sorrisetto ad un signore attempato se quella bella signora è sua figlia, poichè, se fosse sua moglie, gli si sarebbe fatto un brutto complimento. I complimenti stessi sono difficili e spesso si risolvono in un equivoco per cui si dice il contrario di quel che si intendeva dire, e si fa ridere tutti; è meglio quindi limitarsi alla cortesia pura e semplice. Bruttissimo poi è il tono di continuo motteggio con cui taluni si rendono invisi credendo far prova di spirito; perfino quando si ascolta un racconto poco verosimile, è di buon gusto non rilevarne l'assurdità, non erigersi a correttori, non rispondere con una satira, fosse anche legittima. Non è che nel caso in cui si sia stati offesi, che invece di dar in escandescenze, è veramente prova di educazione il replicare con un motto un po' pungente, ma proferito con la massima calma e garbatezza, perchè l'arrabbiarsi, se è molto naturale e talvolta giusto, viceversa non è mai compatibile col galateo: rende ridicoli e ci fa dar torto anche quando abbiamo ragione. E ciò è naturale; i convegni di società si fanno allo scopo di passar aggradevolmente il tempo; chi disturba, è condannato se anche avesse ragione, perchè manca allo scopo dell'adunanza. I giovani non devono mai assumere tuono cattedratico nè parlar alla leggera; i vecchi fanno bene ad astenersi Galateo della Borghesia. - 5. dai consigli e dalla critica continua e generale. I ragazzi non devono interrompere nè se i genitori raccontano alcunchè, venir fuori con una versione diversa, che mette tutti nell'impaccio. I... Ma credo che mi convien smettere, altrimenti arriverei alle cento pagine a furia di non si deve...

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Nulla invero cambia il carattere come le carte: molte persone amabilissime si fanno stizzose, bisbetiche davanti al tappeto verde: brontolano, si arrabbiano, incolpano il loro socio,oppure hanno delle ubbie speciali: credono che il vicino di destra abbia il cattivo occhio, che la loro seggiola rechi la mala ventura; vogliono cambiarla; levano di tasca il fazzoletto, il borsellino, insomma si agitano in modo da far ridere ed arrabbiare il prossimo. Il galateo se ne lagna, ma i giocatori asseriscono che son cose lecite. Lascio ad altri il giudizio, ricordando però che legge d'ogni ritrovo è il non importunare, il dar diletto e non noia. Dove si giuoca ai giuochi innocenti bisogna aver un certo tatto nel proporli e molta rassegnazione nell'accettarli. Il protestare, il fare il broncio se non si riesce ad indovinare una parola a doppio senso, se si è acchiappati nel giuocare a gatta cieca, è ridicolo. Il giuoco non va mai preso sul serio e chi perde deve essere il primo a ridere. Così nelle penitenze, consiglio a quelli che vengono messi in berlina di non irritarsi delle verità un po' dure che forse dovranno ascoltare ed a chi li mette di non dire troppe verità: una sciocchezza, una celia qualunque sarà sempre preferibile ad un'osservazione giusta che faccia nascere dispettucci e rancori. Se si suona, consiglio di fare una specie di programma, preparando e concertando prima le suonate, per evitare che ci sia un silenzio assoluto od una tal profusione di musica da impedire ogni scambio di ciarle. È un'ottima cosa inoltre avere un maestro che accompagni e diriga per evitare che chi canta resti impacciato per mancanza d'accompagnatore. Il pianoforte deve esser accordato ogni qualvolta sembra che abbia sofferto. I dilettanti badino a scegliere cose brevi e ricordino che una suonatina od una romanza bene eseguite soddisfano più che un'interminabile suonata, in cui il pianista sembra un acrobata che tenta periglioso esercizio e suda e trema, mentre i suoi lo seguono con sguardo inquieto, impallidendo al passo di bravura che sanno essere uno scoglio. In generale il concerto si apre con qualche sinfonia a quattro mani, poi suona la signorina o la padrona di casa: il canto va alternato col pianoforte ed i dilettanti più bravi devono prodursi gli ultimi. Vedo in un galateo francese che la padrona non deve prodursi; questa è una norma esagerata. Canti e suoni pure, ma con discrezione. Se anche il dilettante suona male va applaudito. È scortese ciarlare, in ispecie ad alta voce, quando qualcuno suona; certi si scusano col dire che ora nelle veglie si fa troppa musica; non hanno torto, forse, e consiglio di lasciar sempre un intervallo tra una suonata e l'altra; però quelli che non amano la musica e ripeterebbero volentieri con Fontenelle: Sonate, que me veux-tu? devono sopportarla in pace e non rendersi colpevoli d'increanza col non prestar attenzione a chi suona. Narrasi che un giorno Listz, suonando a Corte, l'imperatore iniziò un colloquio con un ciambellano. Subito Listz s'interrompe. Gran commozione. - Che è stato, signor abate? E lui, di rimando: Quando l'imperatore parla tutti non debbono tacere? Un artista al quale i suoi impegni col teatro vietano di farsi udire, non va importunato perchè canti: un artista invece, che sa d'esser invitato pel desiderio di esser udito, fa cosa scortese, rifiutando di prodursi o rispondendo come quel tale a cui si diceva: Venga a prender il the con noi e si porti il violino.... Il mio violino non prende the! La padrona di casa in una veglia a casa propria ha molto da fare.Le tocca ricever tutti, collocarli vicino a gente che conoscono od incaricarsi delle presentazioni. Se vede un'abbandonata, andarle vicino, trovarle compagnia; esortar i timidi a prodursi, ringraziar (con fuoco, sì! con fuoco!) chi ha cantato, se anche ha stonato moltissimo. Non deve far differenze fra gli ospiti, lasciar in disparte le persone meno altolocate e profondersi in troppi complimenti con gli altri. Tocca a lei, badare che la tal signora attempatella non sia esposta ad un riscontro, che tutti sieno serviti di the e di dolci: non può mai, insomma, pensar a se stessa, dimenticarsi in una conversazione gradita, trascurare i suoi doveri. L'ospite ha il diritto di pretendere che lo si diverta, o per lo meno che lo si tratti col massimo riguardo. La signorina di casa deve tener presente anche lei questa norma e non rifugiarsi fra le compagne a ridere e celiare, rifiutando di parlar alle matrone, alle vecchie, come forse ella chiama col superbo disdegno dei suoi diciotto anni le signore di trenta e quaranta. Deve ricordar che il suo compito è di aiutar in tutto la madre. È una cosa sbagliata da parte di chi riceve voler metter troppo in evidenza i proprii figli: capisco che una madre goda della abilità della sua ragazza e voglia farla figurare: ma il parlare troppo dei suoi meriti ha del ciarlatanesco e spiace. - Come sta bene quel vestito a Clotilde, dice una amica. - Ti pare? l'ha fatto lei! - Suona benino davvero. - Altro! E come canta! E come ricama! Questo cuscino l'ha fatto lei... E quel quadretto lì. Tutto lei! Sarà vero: ma quella messa in scena non garba. Lodarsi da sè è cosa che generalmente leva agli altri la voglia di lodare. Inquanto agli ospiti è loro dovere non mostrare mai l'uggia seppur la risentano; non permettersi mai di criticare, nè i padroni di casa, nè gli altri invitati; non voler ecclissare per lusso gli intimi e i padroni stessi. A questo proposito noto che è bene accennare sempre, nell'invito, il genere e l'importanza della veglia, per risparmiare alle signore l'ingrata sorpresa di arrivar scollacciate con fiori in testa ad un'adunanza di matrone che fanno la calza o vestite di casa ad un concerto fra strascichi di velluto e di damasco. È brutto il vezzo di certe signore, le quali, interrogate dalle amiche sulla toletta che si conviene fare per recarsi in una data casa, rispondono vagamente, e danno da supporre che non si metteranno in lusso, mentre poi appaiono in gala. Torniamo ai doveri degli ospiti: le signorine devono esser riserbate. L'uso di certune di mettersi tutte in una specie di brigata, uso invalso da poco, non mi sembra molto consentaneo alle leggi di cortesia - quello squadrone giovanile, in virtù del viribus unitis, va, viene, schiamazza, si permette molte licenze, concentra in sè tutta l'allegria della festa, lasciando babbi e mamme a sbadigliare: capisco che alle ragazze piaccia stare insieme, ma ci vuol misura. Le signore giovani e belline debbon resistere alla smania di sequestrare i signori, smania che partendo da un pochino di vanità, dalla speranza d'esser detta la più corteggiata, molte volte finisce col cagionar dei guai ed esser fonte di maldicenze, discordie e dispiaceri. Non si condurrà mai a veglia, nemmeno da intimi, un'amica od ospite senza averne chiesto licenza ai padroni di casa. So d'una signora la quale, avendo trascurata questa formalità, vide la ragazza, da lei presentata, accolta in tal modo da rimanerne altamente confusa. Quella ragazza era di tempra molto delicata e suscettibile: quando capì d'aver fatto una sconvenienza e si vide umiliata dalla glaciale freddezza della padrona di casa, volle andarsene ed appena fuori ebbe un assalto di dolore così terribile da far temere per la sua ragione. Quella padrona di casa aveva torto rispetto alla cortesia umanitaria, ma rispetto alle abitudini era nel suo diritto. S'intende che trattandosi di parenti, questa norma non regge: in villa poi è sempre lecito condur seco i proprii ospiti. Riguardo alla partenza, è poco gentile darne il segnale troppo presto, sì da provocar lo scioglimento della brigata - scortesissimo andarsene appena preso il the, quasi non si fosse venuti che allo scopo di rimpinzarsi - mal fatto anche il non andarsene quando il massimo numero degli ospiti è partito, tanto più se è necessario che tutti quelli che scendono siano accompagnati per le scale dalla servitù di casa, sicchè questa abbia a scendere e salire venti volte. Una signorina non va mai a veglia senza l'uno dei genitori: nel caso che nessuno dei due potessero accompagnarla deve essere specialmente affidata ad una signora, disposta a fare da chaperon. Però è meglio rinunzi ai divertimenti piuttostochè mostrarsi sempre con altri. Una signora, di cui il marito è assente e che non ha padre, zio, fratello o cognato che lo surroghi (i cugini non valgono), dovrà astenersi dalla società: però può recarsi a certe veglie con un'amica ed il marito di lei ed anche - tengo ciò da una distinta signora parigina - anche presentarsi sola, venendo molto presto, così da essere già in salotto al giunger degli altri ospiti. Una zitellona può condursi come una signora; sarà meglio però che sia sempre con qualche amica maritata. Madre e figlia, che non abbiano in famiglia nessun uomo, possono recarsi insieme alle veglie. Darò altri ragguagli nel capitolo che tratterà vari tipi della società e dei rapporti speciali fra indvidui. Un'ultima parola. I giovanotti non faccian nè gli uomini serii nè i Don Giovanni, suscitando gelosia e forse dispiaceri alle persone che corteggiano con ostentazione. Gli uomini serii siano meno serii che possibile, i babbi si mostrino pazienti e clementi, non tengano sospesa sul capo delle loro donne la minaccia della partenza, come nuova spada di Damocle, le mamme procurino di tener gli occhi ben aperti e di adattarsi presto a far i fiori di spalliera: non piglino per buona moneta certi inviti, certi complimenti con cui si vuol indurle a ballare; però se mai la passione del ballo le domina, ballino qualche polka in piccola brigata non in una gran festa. Ballare e custodire una signorina son cose che non vanno d'accordo.

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Chi abbia in palco un forestiero di grado ragguardevole, od attempato, può anche insistere perchè stia davanti. Vedendo degli amici in platea non si deve interpellarli, nè far loro dei segni: bisogna limitarsi ad un cenno del capo. I visitatori si trattengono (a meno d'esser intimi) una diecina di minuti: però non si deve mai entrare, nè uscire dal palchetto altrui (nemmeno dal proprio, potendo evitarlo) nei momenti di più alto interesse. In Francia, le signore vanno talvolta nella sala del ridotto, detta foyer: da noi no, toltene le sere di veglia in maschera. Un uomo che scorti delle signore a teatro offrirà loro dei rinfreschi; non le lascierà mai sole per far delle visite in altri palchi, meno il caso in cui ci fossero parecchi visitatori: ma anche allora la sua assenza dev'essere brevissima, perchè non restino abbandonate. Una signora che non abbia cavaliere, se attempata, può, andando a teatro con un'amica, farsi scortare dal servitore. Ma non deve mai apparir sola in palco, se non vuol esser confusa con persone di condotta dubbia. Un uomo che abbia una signora a braccio non saluterà mai una donna notoriamente disonesta e respinta dalla buona società. Se una sinora incontra, a teatro, un uomo di sua conoscenza con persone di tal genere, non deve guardarlo, nè mai alludere, nemmeno scherzosamente, a quell' incontro. È lecito ad una signora valersi del canocchiale; le signorine però non guarderanno col canocchiale in platea, nè fisseranno gli attori. Le signore non applaudono: gli uomini non dovrebbero fischiare in nessun luogo: comunque, non si fischia mai in palco. Molti considerano il venir tardi a teatro come indizio di superiorità; secondo loro dà l'impronta del chic. Invece il veder i palchetti vuoti fa sfigurare il teatro; e venir alla fine dello spettacolo è un'esagerazione; ma ciò che è più biasimevole si è l'entrare rumorosamente quando tutti ascoltano con attenzione un cantante di vaglia, ed il chiasso quindi disturba l'intero pubblico. Nell'uscire da teatro le ragazze vanno insieme se sono due, lasciando il cavaliere alla mamma: se non c'è che una ragazza, questa uscirà a braccio della madre col babbo per scorta; se oltre il babbo v'hanno altri cavalieri, darà lei il braccio al babbo, lasciando il cavaliere, che non fosse di famiglia, alla madre. Se tutti i cavalieri sono estranei, uscirà con la madre. Prima di chiudere toccherò un argomento delicato. Molte signore hanno il debole di scollacciarsi troppo. Secondo loro è colpa la sarta, è il vestito che scivola... non se ne accorgono... Ad ogni modo le prego di accorgersi in tempo e di credere che quell'uso è molto reprensibile e non piace ad alcuno. La verecondia è sempre apprezzata, anche da chi ostenta di amar il vizio. Galateo della Borghesia. - 6.

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Non si comincia a mangiare prima degli altri, come non si dà mai il segnale dell'alzarsi da tavola prima che lo abbia dato la padrona. Si deve servirsi speditamente e senza scegliere, senza toccar tutti i bocconi con la forchetta e senza palpar frutta e pasticcini. In un pranzo di famiglia il piatto verrà posto in mezzo alla tavola: i commensali se lo passeranno: i signori (si mettono sempre, potendo, uomini e donne alternati) i signori verseranno da bere, offriranno il sale ed il pepe alle signore. Raccomando che vi sieno molte bottiglie d'acqua e molte saliere. Non si deve mangiar troppo adagio sì da ritardar il servizio, nè inghiottire come affamati. Raccomando ai signori che hanno barba lunga di non farne un ricettacolo di bricciole, ed a quelli che hanno enormi mustacchi di asciugarli spesso, nulla essendo meno appetitoso che dei mustacchi intrisi di brodo o di crema. Le ossa non si stritolano, non si succhiano. Il pane si rompe, non si taglia: le salse si abbandonano al gatto, nè si fa spugna della midolla di pane: si tien il coltello nella destra, la forchetta nella sinistra, tagliando la carne man mano e non mai sminuzzandola prima come cibo preparato pei polli. - La porzione si prende piccola, in casa privata, perchè se il cibo vi piace sapete di poterne riprendere, se non vi piace evitate così di lasciarlo sul piatto, il che è un'offesa alla padrona di casa. In certi luoghi predomina tuttavia il falso concetto che per mostrare che non si è golosi, bisogna accumulare una catasta sul piatto... e lasciarvela, sciupando il ben di Dio. Ignoro davvero dove si sia pescata sì balzana norma di civiltà. L'ho però veduta a metter in pratica, in casa mia, da due sposini, i quali, dopo aver sequestrate la maggior parte delle cose servite, non le assaggiarono neppure, con affettazione così burlesca che nemmeno il gelato, le torte e le frutta trovarono grazia ai loro occhi. Usciti da casa mia andarono difilato al caffè... dove passando li vidi un'ora dopo mangiare a due palmenti. Era civiltà il loro rifiuto? Era impaccio? Non sapevano come mangiare davanti a gente di soggezione? - Forse: quell'inconveniente tocca spesso a quelli che si abituano, per comodità, a mangiar male. Non si beve a bocca piena: non si mettono pesche, biscotti e zuccaro nel vino: non si tocca il cibo nel piatto comune con la propria forchetta: non si prende una gran porzione, offrendone metà al vicino, ed in genere non si offrono cose che possono dispiacere agli schifiltosi: non si da ad assaggiare roba propria, non si chiede di assaggiare quella di altrui, nè vino, nè bibite. Per quanto possibile si evita di soffiarsi il naso e sputare. Se si è troppo infreddati non si accettano inviti. Le ossa si spolpano col coltello; non si pigliano mai con una mano, men che meno con due, imitando il gesto famigliare delle scimmie. Si mangia con misura per non rimaner intorpiditi come serpenti boa, o non essere costretti, l'uomo a sbottonarsi il gilè, lasciando che ne trabocchi la bedaine, le signore, chiuse nel busto, a soffrir una specie di supplizio del medio evo, diventando violetta e correndo rischio di rimaner basite lì per lì. I ragazzi,che hanno forse meno giudizio ancora degli adulti, non vanno esortati a mangiare: l'ospite renderebbe loro un cattivo servizio e moralmente, facendo eco alla loro gola naturale e, fisicamente, compromettendo il loro stomaco. Non si beverà in modo eccessivo, per evitare..... Qui non occorre dir altro, eh? perchè da Noè in poi gli effetti del vino si conoscono. Le frutta presentano un grave quesito. Non vanno prese in mano che per pelarle, poi si tagliano a fette col coltello e si recano alla bocca colla forchetta: mele, pere, pesche, fichi vanno soggette a quella legge; le noci, in una tavola ben servita, si recano già spezzate; riguardo all'uva, chi segue il sistema igienico di non inghiottirne la buccia (ed è igienico davvero, sapete, care signore!) deve mangiarla... in camera propria. Non c'è che un frutto che mi abbia gravemente preoccupato,senza che potessi sciogliere il quesito. Indovinate: Sono le ciliege. Evidentemente non si può, come nel caso delle pesche, estirparne il nocciuolo con la punta del coltello; non si può nemmeno sputarlo nella mano, come fanno taluni. Vi sono certe forme di pulizia che riescono più disgustose della stessa mancanza di mondezza. E dunque che si farà?... Davvero non lo so e non ho veduto questo caso citato in nessuno dei dieci o dodici galatei che esistono a mia conoscenza. Non vedo modo d'uscire dal perfido dilemma: sputar i nocciuoli... o inghiottirli, un dilemma che somiglia un pochino a quello che Bernabò poneva sul Ponte del Naviglio ai due frati latori della scomunica: O mangiare o bere... Care lettrici, studiatelo voi il quesito, e se scoprite altra soluzione - mi raccomando - comunicatemela. Portar in tavola quei certi bicchieri a sottocoppa in cui si risciacquava la bocca anni fa, è usanza tanto vieta che è il caso di ridere di chi la mette in pratica piuttosto che degli ingenui, i quali, vedendo quell'acqua fumante sparsa di buccie dorate di limone...... la recano alle labbra. Si costuma però in certe case recar delle coppe di cristallo piene d'acqua profumata dove il commensale intinge le dita. Intascar frutta o dolci... pei bimbi che sono a casa, è una sconvenienza. Però l'anfitrione può senza ledere la creanza, quando si tratti di parenti od intimi, dare all'ospite qualche confetto in belle carte colorate o dorate da portare alla sua famigliuola. Nei conviti di nozze quei dolci si danno sempre, mettendoli in appositi e ricchi sacchetti. È formola vieta il chieder dopo pranzo al vicino se ha pranzato bene. Più vieto ancora il congratularsi seco stessi del buon pranzo con ingenue esclamazioni: - Ah! che scorpacciata! Come ho mangiato bene! Son sazio fino agli occhi! - senza contar le terribili espressioni: - Grazie, sono stufo; son obeso, non ne posso più... Come qualificare poi le persone che, sia da un ospite, sia all'albergo, s'incoraggiano a vicenda a mangiare più del bisogno con le frasi: - Non costa nulla, - oppure: - Dal momento che si paga a pasto!... - Esistono simili persone? direte voi. Eh! altro, care signore! esistono. E sono spesso persone facoltose, gente che se ne tiene e mangia tartufi e guarda d'alto in basso l'uomo cortese... che per mediocre fortuna è costretto a mangiar male!

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La signora più considerata va messa alla destra del padrone di casa; quella che si reputa abbia diritto al secondo posto d'onore si colloca alla sua sinistra. Il terzo posto d'onore per uomo è quindi alla destra della prima signora, il quarto alla sinistra della seconda e così via. Non si mettano vicine delle persone della stessa famiglia. Gli anfitrioni si pongono uno rimpetto all'altro. Le persone giovani ai due capi della tavola; non si fa eccezione che per le demoiselles d'honneur ed i garcon de noce di cui parlerò poi. Quando vi sono due servitori si comincia il giro dalle due persone poste ai fianchi dei padroni di casa, poi si prosegue, tornando alla seconda di destra. Se non vi ha che un servo si comincia dalle due signore poi si continua il giro. Gli ospiti devono essere esatti: secondo la moda francese è debito arrivare dieci minuti prima: secondo l'inglese si calcola con matematica precisione il momento in cui il pranzo verrà servito. L'anfitrione ha obbligo d'imporre al proprio cuoco la massima puntualità. Non v'ha cosa più uggiosa che un inesplicabile ritardo, durante cui gli ospiti, raccolti in salotto, non sanno che fare e che dire e si sogguardano come altrettanti conti Ugolini, pronti a risolvere col loro contegno i dubbi che vertono sul famoso verso di Dante:

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