Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Dei doveri di civiltà ad uso delle fanciulle

188130
Pietro Touhar 18 occorrenze
  • 1880
  • Felice Paggi Libraio-Editore
  • Firenze
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Facilmente avviene che una donna, quantunque sia nata in alto stato, pure abbia modi rozzi e biasimevoli; mentre all'opposto un'altra che non potrà vantare antenati ragguardevoli nè copiose sostanze, avrà educazione accurata, ingegno colto, costumi egregi e perfetta conoscenza degli usi e delle convenienze che alla vera buona società appartengono. E di questa appunto noi intendiamo tener discorso. Tra le persone che formano la buona società degna di questo nome, ciascuno aver deve sentimenti di generale benevolenza, e tutte le persone di condizione diversa debbonsi avvicinare a segno di fare sparire qualunque disuguaglianza. Ciò nondimeno se la superiorità di stato non sarà fatta rilevare dalla persona che n'è investita, gl'inferiori non la dimenticheranno, e sapranno convenientemente onorarla. Sarebbe azione biasimevole d'animo abbietto e da gente maleducata, l'ostentare la propria ricchezza e tutto l'orgoglio del fasto con chicchessia, massime con persone di scarsi averi, le quali ne potrebbero rimanere umiliate; chè non è conforme alle regole della buona società insuperbirsi del proprio stato e dei privilegi che ne possono derivare, in specie a confronto di coloro che la fortuna ha favorito meno degli altri; e il trattarli con alterigia ed inclusive con aria di protezione, vuol dire essere immeritevoli del grado e della opulenza. Chi vuol essere giudicato di buona società non deve usar modi assoluti ed insolenti, poichè siffattamente operando si alienerebbe l'animo delle persone modeste e tranquille. La social convivenza non è già una lizza Lizza, riparo, trincea; comunemente dicesi quel tavolato, muro o tela, rasente la quale corrono i cavalieri nelle giostre. Qui intendesi sfida. di combattenti avidi di vittoria; la donna bene educata manifesta all'occorrenza il suo parere, procura di fare conoscere la verità, ma sfugge le lunghe discussioni, e facilmente cede all'altrui puntiglio. Molto le gioverà il non discostarsi mai da questo modesto contegno; mentre è giusto soggiungere che l'uomo darebbe prova di massima scortesia se la mettesse a punto di fare il contrario. Spesso avviene che nel conversare sia messa fuori qualche proposizione senza animo deliberato di sostenerla sul serio; e male opererebbe chi si accingesse a discuterla ancorchè spintovi dal solo desiderio di ravvivare la conversazione. Talor anco sfuggono per distrazione certi propositi ai quali è da annettere poca importanza; talchè parrebbe mosso da intenzione malevola chi si studiasse di farli rilevare; chè anzi può conciliarsi la stima di tutti, colui che saprà richiamare l'attenzione sopra un altro argomento. L'arte della buona società consiste nel dominare le proprie passioni di qualsiasi natura; i sentimenti, gli affetti si devono spogliare d'ogni sorta d'egoismo; niuno deve mettere a rischio la propria reputazione nè quella degli altri; l'amor proprio deve cedere al desiderio d'acquistarsi grazia appo le persone stimabili; ogni ambizione deve sparire in specie quando potesse cagionare umiliazione anche a persone di minore o di niun conto. Infine ciascuno nella società ha diritto ai nostri riguardi e alle nostre attenzioni; chè se all'esercizio di questo dovere possiamo unire ben fondata istruzione, cognizioni variate, sentimenti generosi, esperienza delle convenienze, allora soltanto potremo dire d'appartenere alla buona società. Dobbiamo: Addimostrare benevolenza verso di tutti nella social convivenza; sfuggire le discussioni ostinate e non provocare il puntiglio; dominare le proprie passioni. Non dobbiamo: Fare sfoggio di fasto; far risaltare la propria superiorità; darsi aria di protezione; difendere con tenacità ostinata il proprio parere; far rilevare la sconvenienza di propositi sfuggiti per distrazione.

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Sarebbe scortesia il pretendere d'attenuare una smentita con una negativa che abbia aspetto di dubbio; ed in tal caso è meglio accusar subito il proprio errore, manifestando per altro il proprio pensiero: chiedo scusa, ma io avevo creduto...; mi saro ingannata, perchè supponeva...; ho sbagliato, ma forse il mio sbaglio è dipeso da... Sfuggite anche certi modi triviali che danno subito a credere che la persona che se ne vale sia ineducata, come: quanto è vero che io son qui; in parola; non fo questo per dire; alla fin dei conti; non metteva conto, ec. E quando rivolgete la parola a chi ha un titolo od a chi è rivestito di qualche dignità, uniformatevi a ciò che gli altri fanno e che la convenienza prescrive. Dobbiamo: Dire signore o signora parlando di una terza persona, e non lui o lei; far precedere dalle stesse parole i tiloli di parentela; mettersi in secondo luogo quando si parta di sè e d'una terza persona; adoperare modi cortesi nel chiedere qualche cosa; dare a ciascuno, parlandogli, il titolo o la qualità che gli appartiene. Non dobbiamo: Rispondere rozzamente sì o no quando rivolgiamo la parola a qualcuno; valerci delle parole suo marito, sua moglie, sua sorella, ec., senza aggiungervi signore o signora; usare le interrogazioni che? come? eh? ec.; mostrare sgarbatamente di non voler credere ciò che ci vien detto.

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Non abbia timore di passare per poco accorta se si mostra benigna e generosa; la maldicenza, ancorchè per mala sorte possa talora apparire divertevole, non richiede talento, nè è stata mai presa per indizio di spirito; mentre invece è necessaria molta squisitezza di senno per saper lodare delicatamente e opportunamente. È poi biasimevole sempre in una fanciulla il voler mettere a sindacato Mettere a sindacato, esaminaro minutamente. le azioni delle altre e volerle giudicare con rigore, con quella così detta mordacità che mal si sopporta anco nei vecchi. Pur ve ne sono talune che se ne tengono, Che se ne tengono, che se ne compiacciono. quasichè fosse indizio d'accortezza di spirito, e non s'accorgono che è il vero modo di farsi temere e non mai amare nè stimare. Saranno forse ascoltate da chi vuole sottrarsi ai loro sarcasmi, Sarcasmi, beffe gravi e maligne. ed anche adulate da chi ha la debolezza di temerle, ma in nessuno sveglieranno sentimenti affettuosi e rispettosi; ed ogni loro censura, ancorchè potesse in parte esser giusta, sarà presa per effetto di gelosia, d'invidia, di livore segreto che si sfoga in quel modo. È molto meschino il merito di saper coglier con facilità il ridicolo delle persone in mezzo alle quali viviamo di consueto; e da questa assuefazione siamo involontariamente condotti a beffarci delle cose più serie, a vilipendere, senza rifiessione e senza rincrescimento, quelle buone qualità, quelle virtù che dovrebbero invece svegliare ammirazione e ispirare rispetto in un cuore ben fatto. Col tempo questa pessima, assuefazione va crescendo per gradi, e addiviene finalmente una vera tirannia; allora nulla rimane illeso dal veleno viperino della lingua maledica, nè parenti nè amici possono sottrarsene; l'affetto, la carità, la giustizia, la urbanità, si arretrano crudelmente offese; e l'abbandono, la solitudine, il disprezzo, l'odio sono il frutto che la lingua indiscreta, pungente, maledica raccoglie. Un tempo fai testimonio di un fatto che luminosamente conferma questa osservazione. Una virtuosa fanciulla lasciò il collegio dove era stata educata, e tutte le sue compagne se ne mostrarono afflitte fino alle lacrime. Una sola che aveva il difetto d'essere canzonatrice e maldicente, seppe mettere in ridicolo quella commozione e far risaltare alcuni difetti di colei che dalle altre veniva tanto lodata. Paco dopo toccò alla canzonatrice ad andarsene: parve quello un giorno di festa pel collegio. Non vi fu mai nè più serenità, nè più giubbilo in tutte le alunne. D' allera in poi divennero anche più rare le loro mancanze.

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Qualsivoglia astuzia o soverchieria nel giuoco, allorchè abbia il fine di procurare la vincita, è un furto manifesto. Nel giuoco, del pari che in ogni altra faccenda grave o leggera, è necessaria la più specchiata probità; e sarebbe offesa all'onestà, alla delicatezza, il procurar di conoscere con modi illeciti il giuoco dell'avversario, per cavarne profitto. Se nascesse qualche disparere, non vi ostinate a sostenere la vostra opinione contro il giudizio degli spettatori imparziali ed esperti; e sottomettetevi di buon grado alla loro decisione dopo avere spiegato garbatamente le ragioni della vostra pretesa. Se un vostro compagno di giuoco avesse fatto qualche sbaglio, vi sarà lecito farnelo accorto a suo tempo, senza peraltro darvi aria di volerlo rimproverare od ammaestrare, che sarebbe azione affatto sconveniente per chi vuol mostrarsi bene educato. Quando la sorte vi fosse stata contraria, voi manchereste, non occorre dirlo, alla buona creanza, se vi mostraste invidiosa della fortuna dell'avversario. Parlando della vostra perdita, essendochè non potrà mai essere considerevole, fatelo sempre in modo da non lasciar trapelare nemmeno l'ombra del rammarico o del dispetto. Ove poi vi accorgiate di non potervi mantenere impassibili ad una perdita comunque lieve, astenetevi dal giocare, se non volete correre il rischio di assomigliarvi a coloro che pensano un quarto d'ora, che parlano fra' denti, che smuovono la sedia, che si mordono le labbra, che si arricciano i capelli, che battono il tempo col piede, che suonano il tamburo sul tavolino, prima di risolversi a un colpo un po' dubbio; od anche a coloro che imputano la disgrazia al posto che hanno scelto, alla persona che hanno vicina o a qualsivoglia altra fantasticaggine. La giocondità insomma e l'indifferenza sì per la perdita che per la vincita, rendono dilettevoli le oneste ricreazioni di questo genere. Queste avvertenze possono parere superflue per le fanciulle che mai o di rado si troveranno nel caso di cedere alla funesta passione del giuoco; ma siccome ad alcune pur potrebbe avvenire di correre un tempo questo rischio, così abbiamo voluto premunirle; tanto più che anche dai giuochi puerili e leciti alle fanciulle, e nei quali conviene usare proporzionatamente parlando le stesse cautele, nascer potrebbe una passione pericolosa e capace di guastare il miglior carattere. Il giuoco in conclusione, o è da proscrivere addirittura, o è da considerare qual semplice passatempo ricreativo; e perciò non bisogna mai farne una grave occupazione. Dobbiamo: Astenerci dal giuoco di somma rilevante, e quindi essere indifferenti sì alla perdita che alla vincita; accogliere la decisione delle persone disinteressate in caso di disparere; astenerci da qualunque giuoco ove non ci riesca di sopportare impassibilmente la perdita; far sì che il giuoco sia una ricreazione, non un'occupazione. Non dobbiamo: Ridurre il giuoco a speculazione; giubbilare per la vincita o rattristarci per la perdita; farci lecita la benchè minima soverchieria nel giuoco; notare con tono di rimprovero gli sbagli del compagno; lasciare il giuoco innanzi il tempo quando siamo in vincita; mostrarci astiose della buona ventura dell'avversario.

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Lo che peraltro sarà per avvenirvi di rado, giacchè una donna ben educata che abbia nel suo salotto poche persone, deve saper regolare e sostenere ella stessa il colloquio, in guisa da non lasciare campo a imprudenti o pericolosi discorsi. Se udite alcuno inferiore a voi abbandonarsi a siffatti motteggi, e se la buona creanza ve lo permette, mostrategli con semplicità e con franchezza quanto questo contegno sia sconveniente. Fuori di tal caso astenetevi dall'imprendere discussioni che al vostro sesso non appartengono; basterà il vostro sguardo onesto e severo per far conoscere la vostra disapprovazione. Possiamo apertamente addimostrare il nostro rispetto verso Dio e verso le cose sacre, osservare del pari i doveri della nostra religione, e non aver timore di far palese la nostra divozione; ma conviene sfuggire ogni benchè minima ostentazione; l'affettazione vi espone al ridicolo, e le vostre intenzioni, per quanto pure esser possano, saranno male interpretate. Il vero sentimento religioso è soave, umile, fervido nel segreto dell'anima, scevro di pregiudizi e d'intolleranza; questo solo può dare utile esempio agli altri, e ispirare l'amore della virtù. Qualora nei vostri eserecizi o nei vostri proponimenti di divozione vi avvenga per caso di essere distratte o contrariate, non conviene darsi in preda ad atti di malumore, il che sarebbe opposto alla benignità dell'animo. Ma biasimando l'ostentazione e l'intolleranza, non intendiamo consigliare un'abietta cedevolezza ai rispetti umani. Chi professa una religione non deve temere di farlo conoscere, poichè il vero discepolo non arrossisce del maestro; e giova ripeterlo, qui si tratta soltanto di condannare l'affezione. Dobbiamo dunque: Sfuggire la compagnia degli irriverenti; abbreviare la visita in una casa ove sia chi si permetta parlare con poca riverenza di ciò che alla religione appartiene; dare convenientemente a conoscere la nostra disapprovazione su tal proposito; osservare senza ostentazione i propri doveri religiosi. Non dobbiamo: Legare amicizia con le persone irriverenti; porgere orecchio nè sorridere alle loro beffe; mostrare affettazione o intolleranza in fatto di religione.

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Che niuno abbia a dire vedendovi: Ecco un vestito, ecco un cappello nuovo foggiati sopra una moda che non s'era ancor vista. Vedasi spiccare il buon gusto nel vostro abbigliamento, ma senza ombra d'affettazione; ogni specie d'esagerazione può farci soggiacere al ridicolo. Oggimai la ricchezza delle vesti non è più distintivo dei diversi ordini di cittadini; il lusso è arrivato a tal punto da agguagliare condizione ed età; e il servire di tutto punto alla moda non basterà, a prima vista, per far conoscere se appartenete o no alla società più educata: sicchè soltanto la semplicità elegante, la lindura delle vesti e il modo di portarle con decorosa disinvoltura potranno conciliarvi favorevole opinione. Nemmeno è cosa conveniente attenersi sempre al taglio e alla foggia di vesti ormai da tutti poste in disuso, chè sarebbe volersi rendere singolare per altro verso; e, in ambedue i casi andare incontro al ridicolo. Queste avvertenze hanno assai maggiore importanza di quello che per lo più le fanciulle non credano; perciò è necessario dar loro per tempo a conoscere come la ricercatezza del vestiario e il tener dietro a tutte le bizzarrie della moda non aggiunga loro alcun pregio, ed anzi le faccia apparire vanerelle agli occhi delle persone di buon senso. Se può mai essere lecita l'ambizione di distinguersi fra le altre, abbiano soltanto quella del sapere, dell'intelletto ornato e delle buone maniere. Ma anche in ciò vuolsi moderazione grandissima, che è quanto dire, modestia, indizio certo del vero merito. Dobbiamo: Prima di seguire una nuova moda aspettare che sia generalmente accellata; vestirci con gusto, ma con semplicità e senza alcuna affettazione. Non dobbiamo: Essere le prime a seguire una moda nè le ultime a lasciarla; nè curarci d'inventarla.

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Molti ragionano così: Io non mi curo della opinione degli altri, purchè le mia coscienza non abbia nulla da rimproverarmi. Daranno prova di forza d'animo e saranno irreprensibili, ma corrono qualche rischio, imperocchè pur troppo la gente si ferma alle apparenze, da quelle giudica, e di rado va investigando i penetrali dell'animo per conoscerne i veri sentimenti. Non conviene essere schiavi dell'altrui falso opinare, ma è anche da sfuggire ogni causa che possa suscitarlo. La estimazione che dobbiamo far di tutto per meritare, si fonda sul naturale, sulla probità, sui costumi. Così, mentre vi studiate di combattere pel vostro proprio bene i difetti del naturale, teneteli anche occulti agli occhi dei conoscenti: che niuno, per esempio, sia testimone di quegli atti d'impazienza dispettosa e di scontentezza che in certe congiunture della vita è pure difficile di reprimere: che niuno possa nemmen sospettare di quei benchè minimi dissapori di famiglia, che spesso nascono da interesse o da gelosia, e che presto mercè della fiducia e dell'affetto dileguansi; altrimenti potrebbonsi cavarne conseguenze affatto contrarie alla buona opinione che giustamente potete riscuoterne. Seguite rigorosamente i dettami della probità; cioè a dire, non fate, non dite nulla che possa propriamente essere soggetto a biasimo. La vera probità si manifesta in tutte le azioni, e comprende tutti i doveri i quali dobbiamo adempiere verso il prossimo, e conduce al rispetto dovuto a noi stessi. La riputazione, quanto ai costumi, ha bisogno delle maggiori cautele. Qui la saviezza non basta; conviene anche sapere scansare tutto ciò che apparentemente potrebbe nuocerle, denigrandola. Se un uomo si astiene dal frequentare cattivi compagni, se sfugge i luoghi dove non sempre la morale è tenuta in quel conto che devesi; e se nelle sue parole e nelle sue azioni è irreprensibile, gli sarà facile raggiungere il fine che si è proposto. Ma una donna può trovarsi a dover combattere contro un maggior numero di pericoli; il suo onore è come la faccia d'uno specchio che dal più lieve soffio può rimanere appannato, ed necessario che stia sempre guardinga contro ogni specie di tentativo, benchè leggiero, che addivenir potrebbe funesto. Deve ricordarsi che l'occhio della maldicenza potrebbe essere sempre aperto su lei, spiando tutte le sue azioni, i suoi portamenti, le conoscenze, le relazioni che va formando. I suoi gesti, le sue parole, i suoi sguardi possono essere interpretati sinistramente; in conclusione, ella è sempre in pericolo se vuole sottrarsi ai benchè minimi riguardi che la convenienza consiglia. Se mai deste alcun motivo di supporre che vi piacesse d'essere vagheggiata, vi verrà subito una taccia che voi non meriterete; quella spregevole taccia a cui vanno incontro le donne che vogliono fare spicco di leggiadria e di bello spirito; che studiano di farsi distinguere coi moti degli occhi, coi gesti o eccessivamente vivaci o languidi, con la ricercatezza del vestire e del camminare, con le affettazioni nei discorsi, nei sentimenti, nei giudizii; che si mostrano insomma continuamente occupate ad attirare sopra di sè gli sguardi dei curiosi e dei frivoli, a meritarsi elogi, a compiacersi delle adulazioni; e che poi addivengono favola e argomento di beffe per quelli stessi che se ne spacciano ammiratori, e che oserebbero profittarsi della loro cecità e della loro debolezza. Son invero spregevolissimi, detestabili coloro che indottivi da leggerezza e malignità ad un tempo, osano nei loro frivoli colloqui, offuscare la riputazione delle donne, e con calunniosi propositi tentano di offenderne l'onestà, di distruggere il più prezioso dei beni che una donna possa desiderare; ma d'altro lato, guai a quelle inconsiderate che cedendo al sentimento della vanità, e commettendo imprudenze, sebben leggiere, pur si espongono a farsi perdere quel rispetto e quella autorevole estimazione che deve sempre essere il loro presidio. La buona riputazione è il più bello e prezioso ornamento per chi si sia, e massime per le donne; è facile acquistarla e conservarla illibata usando le necessarie precauzioni; ma se, per disgrazia, una volta si perde, è molto difficile ricuperarla. Dobbiamo: Correggere con ogni maggior premura i più leggieri difetti di naturale, ed accuratamente nasconderli fino a che non siano del tutto spariti; usare la più scrupolosa probità in tutte le azioni della vita; essere vereconde negli atti e nelle parole; serbare ad ogni costo illibata la buona riputazione. Non dobbiamo: Esporci alle maligne interpretazioni della gente; frequentare la compagnia non bene scelta; mormorare del prossimo, nè dar motivo a mormorare di noi, ancorchè ingiustamente.

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Chi sfuggisse di riconoscere parenti che il caso abbia posto in istato inferiore, darebbe indizio di orgoglio ridicolo e imperdonabile. Non dovete dunque studiarvi di tenerli lontani da voi, o di farli accorti che vi reputate da più di loro; chè anzi quanto maggiore vi sembrerà la distanza, tanto più vi conviene usar con essi delicati riguardi, procurando di far dimenticare la differenza di condizione che passa tra voi e loro. Se aveste maggior trasporto d' affetto per alcuni che per altri, non dovreste addimostrarlo in presenza di questi, che sarebbe lo stesso che mortificarli. E da ciò nascono talora quelle avversioni di famiglia che fanno divenir nemiche le persone tra le quali esser dovrebbe affettuosa e durevole amicizia. In una parola, non dimenticate mai questa massima: Onorare la famiglia, è lo stesso che fare onore a noi medesimi. Dobbiamo: Portar rispetto e usare attenzione ai genitori; ascoltare i loro consigli; mostrare riconoscenza delle loro cure paterne; essere affetto per tutti i parenti, e darne lor prova in ogni miglior modo e occasione. Non dobbiamo: Far trapelare agli estranei quelle dissenzioni leggiere che talora si suscitano in seno della famiglia; diportarsi con orgoglio verso i parenti di condizione inferiore; mostrare più affetto verso gli uni che verso gli altri.

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Non dobbiamo : Dimenticare ingratamente le cure di chi ci ha educato e istruito, ancorchè abbia dovuto usare talvolta utile severita; nè essere indulgenti coi nostri difetti o coi nostri falli, nemmeno quando ci accorgessimo d'alcuni difetti dei nostri maggiori; nè dare ascolto alla maldicenza sul conto loro.

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Conviene supporre che abbia usato ogni maggiore sforzo per vincere la malattia; e il vostro rammarico su di ciò varrebbe quanto lo imputarlo d'ignoranza. L'avvocato abile e onesto ha da affrontare non meno gravi ostacoli: postosi nell'obbligo di difendere clienti persuasi tutti della bontà dello loro cause, deve spesso trovarsi angustiato dalla costernazione che la perdita di una lite produce. Che se ciò a voi avvenisse, non vi lasciate indurre ad operare contro civiltà; non vi abbandonate a inutili lagnanze ed ingiusti rimproveri. Anzitutto convien sapere esporre con chiarezza e con precisione il fatto vostro; poi non lo dovete impacciare con inutili perditempi; e saria indizio di goffaggine incolparlo della cattiva riuscita della causa, subito che avendolo scelto a vostro difensore l'avete giudicato meritevole della vostra fiducia. V'è da osservare qualche cosa anche intorno alle persone che stanno alla mercatura, professione onorata al pari d'ogni altra. Talchè sarebbe atto di biasimevole orgoglio il non fare buon viso alle garbatezze che vi dimostrano. Quanto più sono costrette a soddisfare alle richieste spesso indiscrete dei compratori, tanto più dovete con urbanità corrispondere alle loro premure, mostrando che fate conto della pazienza da esse usata. Non dovete pagar loro il tempo e la fatica necessari alla scelta che far volete con ogni ponderazione, ed è giusto che ringraziate chiunque s'è mostrato cortese nel dar pascolo alla vostra curiosità. Questo capitolo potrebbe certamente comprendere molte altre avvertenze, ed estendersi a più minute ricerche; ma il già detto deve bastare per far conoscere la necessità della buona creanza in ogni parte del civile consorzio. Dobbiamo: usare moderazione nei rimproveri ancorchè siano giusti e spetti a noi il farli al nostro simile; discretezza nelle amichevoli corrispondenze; cortesia verso chiunque, in particolare molta gentilezza d'animo verso chi ci dà l'opera sua, il suo ingegno, il suo tempo. Non dobbiamo: Mostrare troppa dimestichezza coi superiori, nè tampoco servilità; non albagia con gli eguali o con gl'inferiori; nè fare sfoggio d'ingegno o di sapere studiandoci d'offuscare o di umiliare gli altri; nè fare onta alla fiducia da noi riposta in chi la merita.

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.; poi aspettare che il servo abbia annunziato il nostro arrivo; e se il servo non vi fosse, va battuto leggermente all'uscio prima di aprirlo. La qual cautela deve essere usata anche verso le persone a cui siamo legate da molta amicizia. Quando siamo in case di confidenza possiamo levarci il cappeIlo, se ci piace; ma, ove non passi grande familiarità fra noi e la persona visitata, è meglio aspettare che ce ne sia fatto cortese invito. Abbiamo già osservato che una visita di complimento deve essere di breve durata. Se la persona a cui fate visita non tien vivo il colloquio, approfittatevi del silenzio per prenderne commiato. Al sopraggiungere d'un'altra visita potete allontanarvi senz'altro con quella disinvoltura che non interrompe le accoglienze fatte alla nuova persona. Se al vostro arrivo trovate altri che già siano a colloquio, non istarà bene che prendiate subito parte nel loro conversare; rispondete concisamente alle domande che vi saranno fatte, e cogliete il destro d'abbreviare la visita. Chè se vi vien fatta premura di rimanere, cedete, e tornate ad assidervi. Ma sebbene queste premure siano da considerare quale riprova del gradimento della vostra compagnia, non ne abusate, e in breve allontanatevi. Uscendo salutate la padrona di casa, e fate poi un saluto collettivo alle altre persone. Prima di dar fine a questo capitolo, parliamo alcun poco dei biglietti da visita, dei quali per solito vien fatto un abuso che le persone bene educate non possono approvare. Furono da principio istituiti per far sapere ai conoscenti che avevamo fatto proposito di vederli, se non ne fossimo stati impediti o per la loro assenza da casa o per cagione di affari che loro impedivano di ricever visite; ed ora, specialmente in certe occorrenze, come per esempio, pel capo d'anno, sono divenuti una specie di ricordo senza importanza e senza significato, talchè molti che presumono di stare in sul convenevole Che presumono di stare in sul convenevole, che presumono praticare con ogni cura le cerimonie e i complimenti. e la vera cortesia non conoscono, commettono perfino la ridicolezza o la inciviltà di mandarli per mano dei loro servitori. Allora il rimandare il proprio biglietto è risposta bastante a quella specie di visite; e il portarlo in persona sarebbe attenzione superflua. Nelle visite alle amiche non ha che fare la carta, poichè con esse non teniamo conteggio di dare ed avere; e se non le troviamo in casa basterà informarci delle loro nuove e lasciare i nostri saluti. In sul cominciare di questa usanza furono adoperate le carte da giuoco, non più servibili, e tagliate in tre o quattro pezzetti, sui quali ii visitatore scriveva da sè il proprio nome. Ora chi vuol seguirla, e non esser creduto indietro un secolo, deve valersi di biglietti espressamente incisi o stampati o litografati; e quanto più semplici saranno, tanto più daranno indizio di buon gusto. Spesso i biglietti ricamati, profumati, ornati di titoli, d'emblemi di nobiltà, ec., si assomigliano ai cartelli dei ciarlatani. Dobbiamo: Fare anticipatamente una visita alla persona che abbiamo intenzione d'invitare a casa nostra per la prima volta; far le visite d'obbligo nello spazio d'otto giorni; mostrare cortese gradimento delle visite che ci vengono fatte; usar vestiario convenience quando andiamo a far visita; abbreviare la visita quando la conversazione si va illanguidendo; fare, partendo, un saluto distinto alla padrona di casa. Non dobbiamo: Far di seguito due visite di cerimonia innanzi che la prima sia stata restituita; usare importunità o indiscretezza nelle visite; assumere modi troppo familiari con le persone che appena conosciamo; intrometterci in una conversazione incominciata, senza essere richieste; fare abuso dei biglietti da visita; nè servircene nelle visite d'amicizia.

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Non è a credere pertanto che ogni specie di facezia debba essere sbandita affatto dal conversare; chè anzi il parlatore faceto può riuscire piacevole e gradito, purchè non esca dai limiti e non abbia in mira di denigrare la riputazione di chi si sia. Immensa è la differenza che passa tra le facezie oneste e spiritose e la maldicenza. Spesso le facezie dette a tempo ravvivano il dialogo e ispirano festività e gaiezza nella comitiva; purchè l'arguto e brioso parlatore sappia egualmente tacere a tempo, se non vuol divenire noioso, nè offendere la convenienza. È cosa difficilissima richiamare gradevolmente l'attenzione di tutti senza offendere l'amor proprio di chi si voglia, senza oltrepassare i limiti dell'onesto; per non ingannarsi mai ci vuole molto ingegno, molta presenza di spirito, grande squisitezza di tatto, intera conoscenza di tutte le persone che ascoltano. Dopo la scelta degli argomenti per la conversazione, è da considerare il modo di sostenerla. Una donna bene educata sfugge di parlare di sè, delle sue ricchezze, delle cose di valore che possiede, dei doni che la natura le ha largito; e sarebbe eccesso di biasimevole amor proprio addurre sempre sè stessa ad esempio per confermare un fatto annunziato da lei o da altri. La smania di far mostra d'ingegno e di cognizioni raggiunge di rado il suo fine; ciascuno è naturalmente disposto a negar fiducia a chi si crede in obbligo di spacciare le proprie lodi e di propagare la notizia dei propri meriti. A tutti piace la modestia nel conversare; e facilmente ci persuadiamo che appunto coloro che non ne fanno pompa posseggono le migliori qualità, i più lodevoli pregi. Sfuggite eziandio il fare delle persone entranti e rumorose, pronte sempre a prender parte in ogni colloquio ed a frastornarlo con le loro riflessioni fuor di luogo. Si danno aria di persone d'importanza con le loro fastidiose avvertenze, e trovano per lo più il verso di recarvi dispiacere troncando o facendo deviare un colloquio che vi premeva. Tengono dietro a questi importuni i ciarloni instancabili, vere macchine a vapore per le parole, pronti sempre a interrogare e a rispondere nello stesso tempo a tutti e su tutto. Nulla sfugge alla loro loquacità; affrontano con temeraria fiducia qualunque argomento; tutto fanno, tutto vedono, tutto sanno, e non parrebbe lor vero di mettersi ad insegnare l'aritmetica a un matematico e il disegno a un pittore. Sappiate d'altro lato sfuggire il difetto contrario. Il silenzio continuo, sistematico, potrebbe farvi passare per stolide o per superbiose. Quando siete interrogate non sempre basta rispondere con monosillabi; conviene saper dare alcun garbo alla risposta, ed accompagnarla con quelle spiegazioni che possano meglio soddisfare il desiderio di chi interroga. Se taluno sembrasse rivolgersi a voi per chiedere la vostra testimonianza, non indugiate a compiacerlo potendo, od a scusarvi se non potete; in una parola, siate parte attiva della conversazione a cui assistete; parlate a proposito, parlate parcamente, parlate correttamente. Non sempre chi parla fa la parte più difficile; è necessario anche sapere ascoltare; alcune persone fanno molto male questa parte, in specie quando si mostrano ogni poco impazienti di riprendere elleno stesse la parola. Giova ripeterlo, la vera arte del conversare consiste più nel dar campo di mostrarsi allo spirito degli altri, che nel voler fare sfoggio del proprio. Chi esce contento di sè dal colloquio tenuto con voi è certamente contento anche di voi; e così, con vantaggio scambievole, avrete bene osservato i doveri della conversazione. Chi è più inesperto della società si trova esposto a commettere maggior numero d'inavvertenze, e perciò è necessario conoscerle più minutamente per sapersene liberare. Non dovete dunque interrompere di continuo il vostro interlocutore con segni affermativi che non siano necessari, nè con atti di approvazione o della testa o della mano, che potrebbero piuttosto frastornarlo che sostenerlo nel discorso. E poi un gesto ripetuto e uniforme vi farebbe parere una macchina automatica, Automatica, che opera senza alcun potere della volontà. e sarebbe cosa ridicola e contraria alla buona creanza. Non conviene tampoco guardarlo con occhi fissi ed immobili, nè lasciarli divagare qua e là sugli oggetti circostanti; nè tenere la bocca aperta con segno d'attenzione puerile; e sarebbe lo stesso che voler passare per ineducata se compariste distratta e sopra pensiero, se i vostri sguardi si volgessero di continuo sull'orologio, o se non vi riuscisse di nascondere o di reprimere lo sbadiglio. Quand'uno ci parla convien mostrargli tutta intera la nostra attenzione; l'interromperlo fuor di proposito sarebbe sgarbatezza; se non che l'interruzione è lecita quando si tratta di una semplice esclamazione o di un gesto, o quando vi sia da prendere la propria difesa o quella di una persona assente e ingiustamente accusata. Quando avvenisse che un caso inatteso interrompesse ad un tratto l'interlocutore, sarà ben fatto che poi sappiate cogliere il destro d'invitarlo a proseguire, e spesso basterà per ciò una parola, un motto della mano, un sorriso benevolo. Dobbiamo inoltre saper sopportare pazientemente tutte le conseguenze della conversazione; imperocchè, per esempio, vi alienereste l'animo di colui che ha preso a narrarvi un aneddoto, se gli toglieste il piacere di finire il suo racconto per la smania di addimostrare prontezza a percepirne la chiusa, ed egli potrebbe anche farvi pentire d'aver mancato a questo atto di convenienza mostrandovi che la vostra perspicacia non ha dato nel segno. Avviene spesso che in un colloquio alquanto animato, due persone incominciano a parlare nello stesso tempo; allora ambedue nello stesso tempo si trattengono. Dopo breve incertezza e dopo qualche reciproca scusa, quella di maggior considerazione prosegue il discorso incominciato, ma procura di andar per le brevi, affinchè l'altra abbia subito campo di dire ciò che bramava. Talvolta riesce gravoso il dover ascoltare pazientemente sino all'ultimo un narratore prolisso quando si va ingolfando in lunghe digressioni, che non hanno nulla che fare col suo argomento, o quando addiviene oscuro in certe parti del suo favellare; ma è pur necessario che abbiate la compiacenza di mantenergli la vostra attenzione; imperocchè potreste offenderlo, se, nel primo caso, lo invitaste ad abbreviare il racconto, mostrandogli poca cortesia, e se, nell'altro caso, gli faceste conoscere di non averlo capito. Ma quando si tratta di un'amica intima, vi sarà lecito d'invitarla, con modi inoffensivi, ad essere più concisa ed a spiegarsi più chiaramente. Nel conversare l'uditore si ritrova talvolta a qualche difficile cimento; quando, per esempio, ode narrare un fatto che egli sa essere evidentemente falso. Allora non sarà necessario allegar subito incredulità; ma può bastargli di far conoscere con qualche riflessione accorta e garbata, ch'egli è ben lungi dall'essere convinto; e se tuttavia l'interlocutore insistesse, un leggiero sorriso e il silenzio basteranno a persuadere che non vogliamo lasciarci ingannare da una menzogna o da una facezia di cattivo conio. In conclusione poi il conversare, nel seno della società, richiede tante altre avvertenze che qui non possono essere annoverate, e delle quali daremo spiegazione in un capitolo speciale intitolato: Delle usanze nel conversare. Dobbiamo: Studiarci in conversazione di usar lingua pura e pronunzia corretta; sfuggire qualunque moto disordinato; accompagnare il discorso con gesto conveniente e bene adattato all'argomento; badare parlando che non siano offesi i sentimenti nè le opinioni di chi ascolta; usare molta cautela nel conversare con persone sconosciute; essere sempre pronte a difendere il prossimo; assuefarci ad ascoltare con attenzione garbata; trattenerci se altri prende a parlare nello stesso tempo di noi. Non dobbiamo: Parlare a stento per far sempre troppo studiata scelta di parole; ridere prima di narrare un fatto per quanto possa parerci bizzarro; abbondonarci a gesto esagerato o contrario al tema del discorso; trattare di cose estranee alle persone alle quali parliamo; affermare tutte le nostre parole con opportune testimonianze; assuefarci alla maldicenza, nè far sfoggio di spirito con la mordacità della satira; parlare di noi stesse e vantare i pregi che possediamo; interrompere un colloquio già incominciato; prendere parte in una conversazione di cui non conosciamo bene l'argomento; interrompere ad ogni parola il nostro interlocutore con segni d'approvazione o di disapprovazione; mostrarci distratte quando dobbiamo ascoltare; togliere al narratore la soddisfazione di raccontare un fatto che già conosciamo; mostrar di credere un fatto che sappiamo evidentemente essere falso.

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Ma il vero sentimento religioso non consiste solo negli atti esteriori di devozione; bensì vuole che il cuore sia continuamente rivolto a Dio per offrirgli i nostri dolori e i nostri piaceri, che ciascuno adempia volentieri i doveri del proprio stato, che sappia con intrepida pazienza sopportare le avversità, che abbia cuore compassionevole, anima caritatevole, pronta a dimenticare le offese del prossimo, e renitente a conoscere il male se non che per iscusare o perdonare gli errori degli altri. La religione comprende in sè tutto quanto è valevole a procacciare il nostro perfezionamento, il nostro benessere, e basterebbe esporre i doveri che ad essa si riferiscono, per dare una eccellente guida di morale; ma noi ci contenteremo di richiamare soltanto alla memoria alcuni punti essenziali che più sì collegano con gl'insegnamenti in questa operetta contenuti.

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I doveri che abbiamo verso l'umanità sofferente e sventurata sono sacri; e niuno che abbia sentimenti elevati può dimenticarli nè trascurare le attenzioni con cui l'educazione ne accompagna l'osservanza. Sonovi ancora delle persone poste in tal condizione da farci credere a primo aspetto di poter avventurare con esse qualche innocente facezia che non giunga ad offenderle; ma in ciò è troppo facile ingannarci: o bisogna andar molto caute, o, quel che è meglio, non farci mai lecito di usarle o di riderne se altri se ne faccia lecito, poichè la più leggiera puntura può divenire grave ferita, sebbene tale non apparisca. Abbiate dunque benevolo e caritatevole rispetto per ogni specie d'infermità; e badate che per cagion vostra non addivengano più manifeste in coloro che le sopportano. Se, per esempio, vi trovate in compagnia d'una persona affetta di sordità, non occorre che vi poniate ad urlare nelle sue orecchie, e basterà alzar la voce e scolpir bene le parole in modo da farvi intendere, senza darle a conoscere la cura che vi ponete, senza lasciarvi scappare le risa per gli equivoci a cui può andar soggetta a cagione del suo incomodo e facendola anzi con accortezza ritornar subito sull'argomento del quale trattate. Riguardo a chi ha la sventura della cecità, mostratevi non meno attente, e non vi venga mai fatto di vantare i benefizi della luce con chi non ne può godere; e se si tratta soltanto di una persona di vista debole, usate ogni precauzione per non farle provare la differenza che passa tra la sua e la vostra; talchè se dovesse esaminare con voi alcun che, fate di accostarglielo quanto occorre, ma senza affettazione, e non mostrate rammarico, impazienza, maraviglia, se per la debolezza del suo organo della vista ella non può scorgere le parti più minute, le raffinatezze del lavoro, o che so io. Qui non occorrerà certamente ricordare quanta rozzezza, sconvenienza, inumanità vi sarebbe a fare oggetto di beffe le imperfezioni che la natura o le malattie talvolta lasciano sulle persone. Se avete personale svelto, gambe buone, se potete fare uso delle vostre braccia, tanto meglio per voi; godete come si conviene di questi benefizi; ma non ne menate vanto con coloro che hanno il corpo contraffatto, che zoppicano, che sono monchi. Diremo eziandio qualche cosa intorno ai doveri che la civiltà prescrive in fatto di malattia; e questi è tanto più necessario osservare, in quanto che la persona che soffre è viepiù sensibile alla dimenticanza dei riguardi e alla mancanza delle attenzioni che ha diritto di aspettarsi da chi le fa visita o compagnia. Quando una persona di vostra conoscenza si ammala, dovete subito, potendo, andar da voi ad informarvi del suo stato, affinchè abbia manifesta prova della vostra premura per lei. Se si tratta di leggiero incomodo, potranno bastare due o tre visite a convenienti intervalli; ma se il male divenisse più grave, le vostre premure cresceranno, e manderete spesso, anco due volte il giorno, a chieder notizie del malato. Di quando in quando gli farete dimandare se la vostra presenza potesse essergli gradita o utile, e quando vi faccia sapere che avrebbe caro di vedervi, non indugiate un istante, affinchè non abbia a dubitare che le vostre offerte fossero poco sincere e mal celassero un'indifferenza che gli riuscirebbe dolorosa. Queste specie di visite, che possono appartenere alla categoria dei doveri, vogliono molte cautele. Quando entrate nella camera d'una persona giacente sul letto del dolore, dovete camminare senza strepito e parlare sommessamente. Il vostro aspetto, benchè naturalmente esprima il pensiero che vi date per la persona che soffre, non deve per altro addimostrare tanta apprensione da indurla a credersi in molto pericolo. Se è molto tempo che non l'avete veduta, sappiate liberarvi dall'improvvisa e dispiacente sorpresa che in voi cagionar potrebbe l'alterazione dei suoi lineamenti; sappiate scegliere e moderare quelle parole di conforto che giudicherete doverle dirigere; e badate soprattutto di non obbligarla a darvi qualche risposta che possa riuscirle faticosa o rincrescente. Poi rivolgete la parola ai parenti ed alle persone che la custodiscono, ed ogni vostro ragionamento avrà per oggetto di attestare alla malata la premura e la speranza che avete della sua guarigione. Tali visite per lo più devono esser corte; ma potrebbero addivenire più lunghe, qualora la malata, manifestando il piacere che ha di vedervi, facesse anche ben conoscere il desiderio di godere più a lungo della vostra compagnia. Quando la convalescenza è incominciata, non sono più necessarie le stesse precauzioni, e la vostra parte diviene meno difficile. Allora nel presentarvi alla persona visitata, le mostrerete tutta la vostra contentezza, vi congratulerete con lei del suo miglioramento, userete maggiore festività nel colloquio, le parlerete con compiacenza dei progetti che va formando pel tempo in cui avrà recuperata appieno la sua salute, procurerete di farle conoscere la speranza che questo tempo sia per essere vicino, farete insomma di tutto per invigorire le sue speranze, e talora potrà anche giovarle di sentir lusingare le sue illusioni; imperocchè la serenità dell'animo suol essere efficacissima a corroborare la sanità del corpo. Tutte queste cure minute che, a dir vero, in certe circostanze riescono difficili, sono tuttavia necessarie per mantenere l'accordo nella società. Ed è bene rammentarci sempre che se la cortesia e la garbatezza sono giovevoli verso chi è in auge e chi gode di buona salute, addivengono dovere non solo di civiltà ma anche d'umanità verso chi è caduto in disgrazia o verso chi soffre. Dobbiamo: Badar bene di non offendere l'amor proprio e la sensibilità delle persone colpite da qualche sventura, e rispettare qualsivoglia infermità; cercar notizia premurosamente dello stato delle amiche malate; visitarle quando lo bramano; usar molte cautele in questa specie di visite. Non dobbiamo: Allontanarci dalle amiche allorchè siano divenute infelici; nè peccare d'incuria verso di loro quando sono malate.

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Se vi trovate in obbligo di offrire qualche regalo, bisogna che sia sempre proporzionato ai vostri averi, al vostro stato, di modo che non abbia a venirvi biasimo nè di vergognosa spilorceria, nè di prodigalità folle. La generosità poi non consiste sempre nella prontezza a donare e nella larghezza a ricompensare; ma questo elevato sentimento si manifesta spesso in modo più nobile e più degno di stima, quando, per esempio, c'induce a frenare lo sdegno, a reprimere la collera, a scacciare la tentazione della, vendetta, a moderare gli stimoli dell'amor proprio. Daremo prova di vera generosità se ci asteniamo dall'usare, quanto a un nemico, le armi ch'ei rivolge contro sè stesso; se ci curiamo di far trionfare la nostra ragione in faccia di taluno che sia evidentemente al di sotto di noi; se non ci adoperiamo a far risaltare il torto e gli errori di chi ci offre con ciò una vittoria troppo facile; infine se abbiamo il coraggio d'immolare la nostra vanità all'amor proprio degli altri. Come la generosità, in giusti limiti contenuta, è una virtù necessaria ad una donna bene educata, così l'avarizia è un difetto essenziale che a poco per volta trascina alla durezza di cuore, all'insensibilità, all'egoismo, All'egoismo, ad un vizioso amor proprio che spinge l'uomo a non amare che sè e il suo utile. e fa sempre addivenire spregevole agli occhi di tutti chi ha la sventura d'esserne infetto. L'avarizia si svela in tutto e per tutto, nel contegno delle vesti, nel conversare, fin negli sguardi; e porta seco una macchia indelebile che contamina tutte le più semplici azioni. Questa funesta passione non ha limiti, non può esser sottomessa ad alcun freno; e purchè le riesca di trovare sfogo, è capace di conculcare tutte le regole della urbanità, nello stesso tempo che spesso offende anche quelle della giustizia. Chi è sventuratamente preso da questa malattia dell'animo ha il cuore chiuso affatto a qualsivoglia elevato sentimento che valga a farlo essere utile a' suoi simili; la carità non lo commuove, e nel suo segreto rimpiange la meschina elemosina che per vana ostentazione avrà pubblicamente lasciato cadere nella mano del povero; ei volentieri riceve, e mai dà; lascerebbe morire un amico se per salvarlo dovesse aprire il suo scrigno; e divenuto perfino crudele con sè stesso, giunge a isolarsi dal genere umano, perchè l'interno patema Patema, affezione dell'animo, passione interna. che sempre lo tormenta gli fa continuamente temere d'incontrar le occasioni di spendere. La persona abbrutita da sordida avarizia è sempre pronta a biasimare le spese le più innocenti, e dimentica, senza vergognarsene, quelle che dovrebbe giudicare inevitabili. Trascura volentieri di pagare un debituolo contratto al giuoco, e non penserà alle mance consuete pei servitori; si studierà di rimettere ad altra occasione, col secondo fine di diminuirne il valore, la mercede di un servigio fatto a sua richiesta; infine ad ogni poco diventa colpevole di mille bassezze che niuno saprebbe compatire. In sua casa poi l'avaro non ha ritegno. Una spesa insolita, ancorchè necessaria, basterà a svegliare il suo cattivo umore anche in faccia alle persone, quali si siano, che l'hanno cagionata. Se qualche cosa di poco o di niun valore vien rotta o sciupata dalla sbadataggine d'un convitato o d'un amico venuto a far visita, susciterà subito i più sconvenienti rammarici, o farà conoscere almeno sulla faccia l'interno inconsolabile rincrescimento. Se un servitore, per far presto una cosa, butta in terra un oggetto fragile, la collera dell'avaro scoppia nell'atto; e i rimproveri che svelano tutta la sordidezza della sua passione addivengono propriamente gravosi a chi si trova a meschine avventure. Quando l'avarizia è giunta a questo segno prende tutti i mali abiti della cattiva educazione. Se mai vi sentiste inclinate a questo bruttissimo vizio, nemico ostinato dei più gentili ed elevati sentimenti, fate di tutto per correggervene; procurate di dominare per tempo la natura e di struggere i primi germi d'una passione che, invece di andar a cessare col procedere dell'età, acquista anzi ogni dì nuove forze. In conclusione, adunque, non dimenticate mai che la savia economia è una dote necessaria e lodevole, mentre l'avarizia è un vizio detestabile. Dobbiamo: Mostrare generosità quando si tratta di un'opera di carità o di beneficenza; mostrare riconoscenza qual si conviene pei servigi ricevuti; proporzionare al proprio stato i donativi che crediamo di dover fare; metter freno per generosità d'animo alle proprie passioni. Non dobbiamo: Abbandonarci a quella sordida avarizia che distrugge i più elevati sentimenti dell'animo; trascurare gli obblighi ai quali siamo astrette; dimostrare cattivo umore in faccia alle persone di fuori per cagione di qualche involontario danno arrecato da esse o dai sottoposti a qualche cosa che ci appartiene.

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Fra i diversi stati in cui l'uomo si ritrova a vivere su questa terra, il più rispettabile è forse quello del povero; per lo che la beneficenza addiviene una virtù feconda di elevati sentimenti, quando non abbia origine da vana ostentazione, e quando sa unire ai suoi atti quella urbanità consolatrice che la rende veramente accetta ed efficace. Chi avesse ritegno d'accordare la propria stima allo sveuturato farebbe mostra di stolto orgoglio; chi lo soccorresse con sdegnosa altierezza, opererebbe abbiettamente; chi osasse mortificarlo, avvilirlo, opprimerlo, commetterebbe un delitto. Badate dunque bene di non investirvi mai di quella colpevole arroganza che pare non voglia degnarsi di guardare con occhio compassionevole e benevolo la persona che soffre; badate bene di non cedere mai alla tentazione di farle acquistare a prezzo di umiliazione, di servile sommissione e nemmeno d'inumana noncuranza quei soccorsi addivenuti gravosi, e dei quali ha pur bisogno per trovare qualche sollievo nella sua miseria. A chi vuole adempire tutti i doveri della beneficenza, non basta gettare un po' d'oro nelle mani del povero. Per sostenere con pace e con forza d'animo il suo misero stato, il povero ha bisogno ancora e principalmente dei vostri consigli, del vostro esempio, dei vostri andamenti. I riguardi, le attenzioni con le quali farete la vostra offerta, riusciranno al suo cuore mille volte più consolanti della stessa elemosina; allora soltanto voi sveglierete in lui il nobile sentimento della riconoscenza, e gli farete dimenticare, almeno per poco, l'ineguaglianza delle condizioni; allora sarà ben disposto a non invidiare la vostra ricchezza, la sua miseria non lo spingerà a dolorosi lamenti, ad ostili rimproveri. Non sempre la magnanima rassegnazione accompagna i molti patimenti del povero, e talora ei si abbandona alla disperazione e maledice la giustizia e i capricci della sorte; ciò nondimeno voi non dovete mai respingerlo col vostro disdegno, istigarlo coi vostri rimproveri, accusarlo se non sa vincere la debolezza di guardare con occhio invido i beni di cui la fortuna vi ha dato larga copia. Sventuratamente l'ingratitudine è un vizio molto comune all'umanità, e si annida nell'animo, generatavi da vano orgoglio o da un sentimento anche più abbietto; ed allora lo inaridisce, lo deprava, e gl'impedisce di sentire alcuna rinoscenza dei benefizi di cui una mano amica si dà premura di ricolmarlo. Per l'esercizio della beneficenza vi avverrà certamente d'incontrare spesso degl'ingrati; ma non vi pentite mai di ciò che fatto avrete per essi; chè anzi farete ciò che a voi s'appartiene alleviando i patimenti dei vostri simili, e la memoria delle vostre buone azioni lascerà sempre al cuor vostro una bastevole e soave ricompensa. Osservate il precetto del Vangelo: soccorrere il povero senza che l'una mano sappia quello che l'altra avrà dato; e dovete massimamente usare molta delicatezza verso i poveri vergognosi, le donne timide e i novizi nel crudele tirocinio Nel crudele tirocinio, nel crudele esperimento. della povertà. Questi sventurati, rattenuti da un sentimento superiore a quello della fame, morirebbero sul loro meschino giaciglio piuttostochè andare a stendere la timida mano per implorare una carità incerta; ma voi sappiate prontamente far verso di loro quei passi ai quali non sareste obbligate se non fossero in così deplorabile stato, e studiatevi di confortari, con riguardi e premure sollecite: e recando sollievo al loro infortunio, badate che per cagion vostra il rossore non abbia a coprire la loro fronte. Vi sono peraltro molte miserie, a cui non è possibile recar soccorso segretamente; ed allora unitevi con spontaneo e modesto zelo a quelle pie associazioni, che hanno per oggetto di soccorrere il prossimo; siate prodighe dei vostri consigli e degli averi che a tale oggetto potete destinare, e non vi lasciate mai scoraggiare dalle difficoltà dell'impresa o dai sarcasmi dell'avarizia. Dobbiamo: Mostrarci benevoli verso gli sventurati; soccorrere la miseria senza umiliarla; tenere occulti i benefizi, e farli con accorta delicatezza quando si tratta di poveri vergognosi; far parte volentieri ed efficacemente delle associazioni caritalive. Non dobbiamo: Contentarci di fare sterili elemosine; offendere la sventura con insolente e stolta arroganza; nè rinunziare all'esercizio della beneficenza ancorchè talora avvenga che sia corrisposta da ingratitudine.

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A volere che un donativo abbia tutto il suo pregio, deve giungere inaspettato: poichè perderebbe una parte di merito, se non arrecasse il piacere della sorpresa. Sarebbe assoluta mancanza di delicatezza il voler far rilevare il valore d'un regalo nell'atto di consegnarlo, e peggio il tornare a parlarne allorchè la persona che lo ha ricevuto ne ha già reso grazia e dato prova del suo gradimento. Non importerà dire che sarebbe atto d'inciviltà per parte di chi riceve un regalo il mostrarne riconoscenza relativamente al valore del medesimo. Quando si tratta di aver avuto un donativo ragguardevole, è necessario fare una visita alla donatrice, o scriverle una lettera qualora sia lontana. Non è da scordare la mancia pel servitore che ce lo porta. Del rimanente l'uso insegnerà le tante altre più minute avvertenze che rispetto al fare o ricever regali verrebbero in acconcio, ma che sarebbe impossibile enumerar tutte in questo libro. Dobbiamo: Porre ogni studio di garbatezza nel far piacere agli altri: esporre con schietta e semplice afflizione le cagioni che ci obbligano a negare un favore a chicchessia: farlo con premura quando possiamo; adattare i donativi al proprio stato ed ai propri averi; mostrare riconoscenza nel ricevere un donativo ancorchè minimo. Non dobbiamo: Fare alcuna promessa quando non abbiamo intenzione di mantenerla; menar vanto d'aver reso un servigio; essere indiscrete nel chiedere ad imprestito; offrire un regalo come ricompensa d'un servigio ricevuto; mostrar l'intenzione di fare il regalo innanzi di mandarla ad effetto, perche vi è il pericolo di togliergli il pregio; vantarne il valore; studiarci di rinnovarne la ricordanza.

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Non dobbiamo: Lasciare una lettera senza risposta, o indugiar troppo a rispondere; sigillare una lettera di raccomandazione prima che la persona raccomandata ne abbia conosciuto il tenore; omettere la data nelle lettere; usar modi esagerati, ridicoli o triviali.

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Il giovinetto campagnuolo II - Agricoltura

205911
Garelli, Felice 7 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Pagina 103

Abbia il fondo, se non lastricato, almeno in terra argillosa, ben battuta, e resa impermeabile, affinchè il sugo del letame non si perda, per infiltrazione, nel terreno. Questo fondo sia leggermente inclinato da una parte; e nel punto più basso si costruisca una cisterna, o, se il terreno è impermeabile, si scavi una fossa, la quale raccolga il sugo nero, condottovi da un canaletto che gira intorno la concimaia. Si circondi di un arginello di terra che impedisca la dispersione del sugo, e la invasione delle acque esterne. DOMANDE: 1. Che cosa occorre fare per la buona conservazione del letame? 2. Qual è il miglior posto della concimaia? - Come si ripara dal sole, e dalla pioggia? - Quale ampiezza le si dà? - Come dev'esserne il fondo, per impedire la dispersione del sugo, e l'invasione delle acque esterne?

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Io suppongo che tu abbia un ettaro di terra coltivato a frumento, alla solita maniera. La spesa di coltivazione non si discosta guari dalle cifre seguenti: Affitto, o interesse del valore del terreno e imposte . . . . . . . . . . . . . . . . L.135 Semente . . . . . . . . . . . . . . . . » 50 Lavori del terreno, mietitura e battit. . » 60 Concime . . . . . . . . . . . . . . . . » 50 -- Spesa totale L. 295 Il prodotto sarà approssimativamente di 11 ettolitri di grano, e 110 miriagrammi di paglia, che valgono: 11 ettolitri di grano a L. 23 l'ettol. L. 253 110 mir. di paglia a L. 0,50 il mir. . » 55 -- Valore totale del prodotto L. 308 Quale è dunque il benefizio ricavato dalla coltivazione di un ettaro di frumento? Lire 13, ossia la differenza che si ottiene sottraendo dal valore del prodotto che fu di . . . . . . . . . L. 308 le spese fatte per ottenerlo, cioè . . . » 295 -- Benefizio L. 13 Ti sembra poco: e hai ragione. Ma io ti dico che molti coltivatori non guadagnano neppure queste povere 13 lire, e vi perdono, perchè non sanno coltivare. 2. Ora prova un po' a concimare meglio il terreno. Spendi in concime 100 lire in vece di 50. Le altre spese rimangono a un dipresso quelle di prima, o almeno crescono ben poco. Supponiamo che invece di 295 lire tu ne spenda 355. Il prodotto aumenta, e sale per lo meno a 16 ettolitri di grano ed a 150 miriagr. di paglia; onde ricaverai da 16 ettol. a L. 23 L. 368 150 mgr. di paglia a L. 0,50 . . . . » 75 -- Valore totale del prodotto L. 443 In questo caso hai già un benefizio di L. 88. Un altr'anno, aumenta ancora a 150 lire la spesa del concime. Portiamo pure le spese di coltivazione a L. 420. Il raccolto non sarà inferiore a 22 ettolitri di grano, e a 200 mgr. di paglia che, ai prezzi sopra indicati, ti daranno un prodotto di L. 606; e quindi avrai un benefizio netto di 186 lire. Da questi esempi tu vedi che quanto più si spende in concime, tanto più si guadagna. Se fai una spesa doppia, o tripla in concime, ne ricavi un guadagno dieci, quindici volte maggiore. Ho dunque ragione di ripetere che nel concime si ha tutto. Esso dà il grano, la paglia, il fieno, e ogni altro prodotto. Quindi chi ingrassa la terra, conosce il fatto suo, e fa fortuna. Chi smunge la terra, smunge la sua borsa. DOMANDE: 1. È vero che la terra rende in proporzione di quel che riceve? - Dimostra, con un esempio pratico, che non coltiva con beneficio chi concima scarsamente il terreno. 2. Prova con altro esempio che raccoglie molto chi concima bene.

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Ma in questo caso occorre che il guardiano abbia cura di spandere gli escrementi, per dare una concimazione uguale a tutto il terreno. DOMANDE: 1. Quale è il grado di bontà del concime ovino? - Come si suole utilizzare? 2. Si può anche concimare sopra luogo con altri animali? - Con quale avvertenza?

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Spesso accade che un terreno argilloso, o sabbioso, poco profondo, abbia un sottosuolo di natura contraria. In questo caso, con lieve spesa; lo si può correggere, a poco a poco, con lavori profondi, i quali intacchino il sottosuolo, e ne portino su, ogni volta, una falda sottile a mischiarsi con lo strato superficiale. 2. Pei terreni argillosi è un correttivo comodo, e di poca spesa, la torrefazione, o bruciamento, dell'argilla stessa. Si taglia la terra a fette, che si dispongono a mucchi vuoti internamente; questi si riempiono di legna, e vi si prolunga il fuoco, moderandolo, e aggiungendo zolle al mucchio, per turare i buchi, da cui esce la fiamma. L'argilla va bruciata umida, perchè si polverizzi facilmente; bruciandola secca, s'indurisce, e fa mattone. La polvere che si ottiene si spande sul terreno, e vi si incorpora senza fatica. Essa lo rende più permeabile, e sano. DOMANDE: 1. Come si può correggere il suolo per mezzo del sottosuolo? 2. Un terreno argilloso come si può correggere da sè? - Che cosa è, e come si eseguisce, la torrefazione?

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Ma badi che un aratro, qualunque forma abbia, deve essere semplice nella sua costruzione; saldo nelle parti che lo compongono; facile al tiro; e obbediente a chi lo guida.

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Suppongo che tu abbia smossa la terra profondamente, rivoltandola bene, rompendone le zolle, ragguagliandone la superficie. Tu avrai così preparato alle piante un'abitazione sana, comoda, e pulita. Suppongo ancora che al magazzino di viveri tu abbia aggiunto concime, per accrescere la fertilità del terreno. Dopo ciò hai seminato. Or bene: per assicurare la buona raccolta, non ti resta più nulla a fare? A questa domanda molti coltivatori rispondono: «più nulla», e lasciano i seminati alla guardia di Dio. Ma tu, che vuoi essere un buon coltivatore, devi rispondere ed operare diversamente. Tu penserai che chi ha fatto il più, deve fare anche il meno, per prevenire i danni che possono colpire la raccolta. Ricorda il proverbio: all'agricoltore trascurato i porci mangiano il seminato. Quindi nell'autunno, e a principio dell'inverno, nei campi seminati sarà tua cura di nettare gli acquai, ossia i solchi che hai aperti, per dare sfogo all'acqua delle pioggie, e delle nevi: altrimenti questa ristagna sul terreno, e fa morire le piante. Nell'inverno la terra gela, e si gonfia; e, a primavera, le pianticelle giovani rimangono quasi scalzate; onde molte si perderebbero, se tu non comprimessi il terreno, per riavvicinarlo alle radici. La terra smossa in breve si assoda; indurita dalla pioggia, fa una crosta spessa, e forte, che minaccia di strozzare le tenere piante, se tu non la rompi con una leggera erpicatura. Giova nell'estate rincalzare la terra attorno al piede di alcune piante, come il granturco, la patata, la barbabietola ecc. E giova, sia per conservar loro un po' di freschezza in tempo secco, sia per difenderle, in tempo piovoso, da soverchio umidore alle radici. 3. Infine c'è da stare in guardia da certi ladri che ti mangiano la raccolta in erba. Questi ladri pericolosi sono le piante cattive che, senza permesso, s'introducono nel tuo campo. Se non vi badi, ti fan più danno che i ladri di due gambe, i quali tentano di rubarti la raccolta, quando è matura. Tu le devi combattere, e sterminare. DOMANDE: 1. Dopo gettate le sementi, non ti resta più nulla a fare, per assicurarti una buona raccolta? 2. Che cosa farai, prima dell'inverno, nei campi seminati? - Come riparerai lo scalzamento delle piante prodotto dal gelo? - Lascierai la crosta dura che s'è fatta intorno ad esse? - Quali piante giova rincalzare nell'estate? 3. Non caccerai le malerbe che infestano i seminati?

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La giovinetta campagnuola

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Garelli, Felice 8 occorrenze
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Ricòrdati, giovinetta, che val più un desinare di legumi condito dall'amorevolezza, che non un bue grasso il quale abbia odio per condimento. Bada ancora che i pasti non si facciano aspettare I lavoratori che vengono dai campi portano molto appetito, e poca pazienza. Pensa altresì che la gente che lavora ha bisogno di mangiare bene, per sostenere le forze, e la salute. Quindi quel che la famiglia può spendere, senza scapito dei suoi interessi, è meglio spenderlo in mangiare un po' bene. La troppa economia, fatta a spese del corpo, non profitta, e non dura. Il mulino, se ha poca acqua, macina poco. La gente, mal nutrita, non può resistere alla fatica: e chi sa ancora che si converta in medicine quel che tu avrai negato allo stomaco! Persuàditi dunque che un qualche po' di carne in settimana, del pane ben cotto, e un po' di vino è tanto di guadagnato per la salute, e pel lavoro di tutta la famiglia.

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Così si conservano bene, e piacciono molto alle vacche; quantunque la fermentazione le abbia fatte un pochino acide. Anche il fieno bruno, ossia lasciato fermentare, come è uso in molti luoghi, diventa più saporito, nutritivo, di facile digestione, sia per le vacche lattaie, e pei buoi destinati all'impinguamento, sia pei cavalli.

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Così, senza uscire dall'aia, e quasi senza fatica, avrai più ingrasso per l'orto, che non ne abbia il letamaio pei campi, e con esso otterrai legumi più che ne abbisognino alla famiglia.

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Per quanto si abbia una tempra robusta, come si può vivere sani in luoghi sì fatti? A dormire in camere umide, scure, c'è, pei ragazzi specialmente, da perdere la salute per sempre. Quasi tutte le malattie dei contadini, le febbri, le infiammazioni, i dolori nelle articolazioni, sono cagionate dalle abitazioni malsane. Nella casa di Gian Pietro si ammalarono tutti, un dopo l'altro, dello stesso male; e due ragazzi ne morirono. Il medico dichiarò la malattia essere un tifo, e ne diede la causa all'acqua del pozzo, guasta dalle infiltrazioni del vicino letamaio: e infatti l'acqua di quel pozzo, lasciata per un giorno in un bicchiere, puzzava di marcio. Oh che! Ci vuol tanto a fare il letamaio lontano dal pozzo, e dietro casa?

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Il cuore fa festa, e vuole che tutto abbia un aspetto più gaio. Si vestono gli abiti più belli per andare a messa ed a vespro: per via, e sul piazzale della chiesa, è un ricambiarsi continuo di saluti amichevoli. Sembra che in questo giorno tutti si voglian più bene; si rammentano i cari lontani, e anche i trapassati; si scrive al figliolo, o al fratello che andò soldato; si legge qualche pagina di un libro istruttivo, o morale, e vi si ragiona sopra. Così le ore fuggono, come fossero minuti. Ma la giornata non finisce senza una qualche opera buona: si ricorda qualche vecchia ammalata priva di tutto, e le si porta anche solo un po' di pane; ma le si reca insieme una parola di conforto, che le giova più del pane. Così si santifica la festa nelle buone famiglie campagnuole. Così la santifichi tu pure, che sei una brava giovinetta.

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Governati in questa maniera i vitelli, li vedrai crescere a vista d'occhio, e valere molto più che non abbia costato il loro mantenimento.

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Quindi si eseguisce la stregghiatura del bestiame; dopo la quale distendi nuovamente la lettiera in tutta la posta, perchè il bestiame abbia comodo di riposare. Al mezzogiorno, e alla sera, si ripetono i pasti nella stessa maniera; abbeveri ogni volta il bestiame; lo pulisci, se occorre; porti fuori gli escrementi; distendi la lettiera, e ne aggiungi dell'altra. Governato con queste cure, il bestiame cresce, produce, e diviene una sorgente di guadagno.

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Ne fa la compra, se ha il danaro che ci vuole; altrimenti la ritarda, fino a che abbia il mezzo di pagarla. Essa sa che col danaro contante si provvede roba migliore, e a meno prezzo. Eppoi: è mille volte meglio aver poca roba, ma tutta nostra, che averne molta, pagata col danaro altrui. Essa ha paura dei debiti, e con ragione, perchè sa che, a fare un debito, si lega una corda al collo, e dà il capo della corda in mano al creditore. Quindi fa qualunque sacrifizio, prima di contrarre un debito, anche piccolo. Per solito i debiti cominciano col poco, e finiscono col molto: precisamente come la valanga, che comincia dall'alto con una pallottola di neve, e, rotolando a valle, si ingrossa come una montagna. Guai a fare il prima debito! A pagarlo, se ne fa un altro più grosso; il secondo ne tira un terzo. Per chiudere un buco, si apre una finestra; per chiudere una finestra, si apre una porta..... e così si va dritti alla malora. Per ciò la buona massaia non fa il passo più lungo della gamba, e limita le spese secondo le entrate. Se poi la necessità vuole che essa faccia un debito, pensa continuamente al modo di pagarlo; e ogni giorno, vendendo uova, galline, legumi, mette a parte qualche cosa, per levarsi quel peso dalle spalle il più presto possibile.

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Il giovinetto campagnuolo I - Morale e igiene

215477
Garelli, Felice 5 occorrenze
  • 1880
  • F. Casanova
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Governati in questa maniera i vitelli, li vedrai crescere a vista d'occhio, e valere molto più che non abbia costato il loro mantenimento.

Pagina 101

Così si conservano bene, e piacciono molto alle vacche; quantunque la fermentazione le abbia fatte un pochino acide. Anche il fieno bruno, ossia lasciato fermentare, come è uso in molti luoghi, diventa più saporito, nutritivo, di facile digestione, sia per le vacche lattaie, e pei buoi destinati all'impinguamento, sia pei cavalli.

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Quindi eseguisci la stregghiatura del bestiame, come altrove t'ho detto; dopo la quale distendi nuovamente la lettiera in tutta la posta, perchè il bestiame abbia comodo di riposare. Al mezzogiorno, e alla sera si ripetono i pasti nella stessa maniera; abbeveri ogni volta il bestiame; lo pulisci, se occorre; porti fuori gli escrementi; distendi la lettiera, e ne aggiungi dell'altra. Governato con queste cure, il bestiame cresce, produce, e diviene una sorgente di guadagno.

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Il cuore fa festa, e vuole che tutto abbia un aspetto più gaio. Si vestono gli abiti più belli per andare a messa ed a vespro: per via, e sul piazzale della chiesa, è un ricambiarsi continuo di amichevoli saluti. Sembra che in questo giorno tutti si voglian più bene; si rammentano i cari lontani, e anche i trapassati; si scrive al figliolo, o al fratello, che andò soldato; si legge qualche pagina di un libro istruttivo o morale, e vi si ragiona sopra. Così le ore fuggono, come fossero minuti. Ma la giornata non finisce senza una qualche opera buona: si ricorda qualche vecchia ammalata, priva di tutto, e le si porta anche solo un po' di pane; ma le si reca insieme una parola di conforto, che le giova più del pane. Così si santifica la festa nelle buone famiglie campagnuole. Così la santifichi tu pure, che sei un bravo giovanotto. Or che pensi tu di quei giovinastri che profanano la festa nelle bettole, o con giuochi disonesti? Tu hai il cuore in pace: ed essi? Tu domani ti rimetterai con più lena al lavoro: ed essi? Tu diventerai un buono ed onesto coltivatore: ma essi come finiranno? Prega il Signore che li corregga, e li faccia buoni: ma fuggi la loro compagnia; essa non fa per te.

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Per quanto si abbia una tempra robusta, come si può vivere sani in luoghi sì fatti? A dormire in camere umide, scure, c'è, pei ragazzi specialmente, da perdere la salute per sempre. Quasi tutte le malattie dei contadini, le febbri, le infiammazioni, i dolori nelle articolazioni, sono cagionate dalle abitazioni malsane. Nella casa di Gian Pietro si ammalarono tutti, un dopo l'altro, dello stesso male; e due ragazzi ne morirono. Il medico dichiarò la malattia essere un tifo, e ne diede la causa all'acqua del pozzo, guasta dalle infiltrazioni del vicino letamaio: e infatti l'acqua di quel pozzo, lasciata per un giorno in un bicchiere, puzzava di marcio. Oh che! Ci vuol tanto a fare il letamaio lontano dal pozzo, e dietro casa?

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