Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Contessa Lara (Evelina Cattermole)

220008
Storie d'amore e di dolore 4 occorrenze
  • 1893
  • Casa editrice Galli
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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— Molte donnicciuole con fagotti sotto il braccio, avvolti dentro un panno in cui dovrà esser segnato il numero corrispondente alla polizza, traversavan quei gruppi: facce gialle e ossute di femmine macilenti, logorate dalle privazioni e dal vizio; larghe facce chiazzate di rosso come un vecchio fazzoletto che il bucato abbia stinto a chiose, col naso violaceo per le frequenti libazioni, rotondo e lucido per il lieve gonfiore ch'esse producono. Questi visi gialli come malati per febbre palustre o lividi d'un color di feccia di vino, s'agitavan su certi corpi scheletriti, coperti a pena d'uno strato di pelle che ha perso ogni morbidezza, o posavano su masse di carne disfatta, cascante massime al petto e ai fianchi sotto i cenci delle sottane di cotone increspate e delle vite luride e scolorite. Le sensale, o non badavano affatto a quelle plebee, sapendo che le più volte, per risparmiar soldi, costoro non si valgono dei loro servizi, o le guardavan di sfuggita, interrogandole a fior di labbra; ma non appena spuntava oltre il cancello nello stanzone d'ingresso una figura un po' meno miserabile, ecco subito le profferte di far esse il pegno echeggiare in coro. La figura meno miserabile, uomo o donna che fosse, fermavasi allora con una di quelle megere, scambiando qualche parola quasi sempre sottovoce: e in fretta sparivan poi insieme per le scale. Passava ora un cameriere di buona famiglia dal caratteristico viso sbarbato, portando un lungo involto nelle mani, che si riconosceva a prima vista per un astuccio d'argenteria; forse depositato al Monte per sicurezza in caso di partenza del proprietario, forse per urgenza improvvisa di danaro a causa d'un banco di zecchinetto fatalmente avverso. Sgattaiolava fra questa gente qualche moglie d'impiegato, modesta nel vestituccio nero o bigio, con le spalle leggermente curve, chiuse nella mantellina per lo più d'una forma uscita di moda: certe spalle rivelanti le lunghe ore scorse su la macchina da cucire o su la tavola da stiro. La donna aveva in mano una scatoletta ovale di truciolo, rilasciatale altra volta dal Presto con l'oggetto d'oro ritirato: povero oggetto che ora tornava di nuovo in prigione. E passavan vecchi dal soprabito che non avea più colore, dal cappello con l'orlo lustro d'unto, girando gli occhi di sotto in su, in cerca di qualche custode da loro conosciuto che accettasse, quasi per carità, un ultimo paio di lenzuoli grossolani e lisi mezzo nascosti in un giornale; passavan operai con la giacca buttata a traverso su la camicia a quadrelli, un tempo turchiniccia; e giovani popolane sorridenti all'idea che gli orecchini di perle si mutassero in una «scampagnata» domenicale col «ragazzo.» A quando a quando, di rado, si vedeva una signora col viso coperto di una veletta di tulle, alla quale ella aveva fatta qualche piega sotto gli occhi e su la bocca, non si sa mai, perchè nessuno la ravvisasse in quel luogo; e camminava con andatura spedita, volgendo, però, il capo di qua e di là, come qualcuno a fatto nuovo del sito. Da una carrozzella, fermatasi di fronte al portone, scese, agile, una donna, con un'acconciatura estiva chiara, vistosa, con un cappello dalla tesa ampia, guarnito di una ghirlanda di fiori. A un suo cenno, una sensala le corse incontro e n'ebbe in consegna un grosso involto dal quale usciva fuori un lembo di sottana a falpalà di seta color di rosa, ornato con trine d'un bianco d'avorio così delicato da rivelarne subito il molto valore. La sensala trottò verso le scale; l'altra rimontò di slancio nella carrozzella dove si stese a mezzo, per attendere. E salvo poche eccezioni d'individui noti agli impiegati del Monte o tanto ben vestiti da raccomandarsi col proprio aspetto, quasi tutti coloro che s'ingolfavano dall'androne nella stanza d'ingresso e su per le scale, andavano a sedersi in fila su le lunghe panche di legno scuro destinate a chi aspetta il suo turno per accostarsi allo sportello donde scaturiscono i soldi presi a usura. Quasi in fondo a una di queste dure panche dalla spalliera diritta, stava una donna nè sudicia nè sciatta, ma vestita di cenci rattoppati di cotonetta nera a pallini bianchi: il lutto delle vedove povere. Mostrava più di trent'anni; ma considerando quanto invecchino la miseria e la fatica, si capiva ch'ella doveva averne ventiquattro o venticinque. Un bambinello gracile dalle labbra smorte e dai larghi occhi tondi e spauriti d'un celeste dei più pallidi, le piagnucolava in braccio, chetandosi ogni tanto per succhiarsi penosamente un ditino. La madre, lei, spaziava lo sguardo stanco per l'ampia camera, dove era un odor vago di panni muffiti e di polvere, ascoltando macchinalmente gridare dei nomi ignoti in mezzo a quella folla tumultuosa e umile. Non era bella, se bene non avesse difetti salienti nelle fattezze; ma davano alla sua figura una certa simpatica armonia quei profondi occhi d'un azzurro più cupo di quelli del bimbo e i folti capelli castagni, divisi su l'alto del capo e recati dietro le orecchie in due bande, con la classica semplicità delle Madonne. Quando il piccino, su'l punto di piangere, cominciava a stropicciarsi le palpebre inarcando la boccuccia biancastra, ella se lo cullava su le ginocchia, non ostante i tre anni di lui, come se avesse avuti a pena pochi mesi, e mettendo qualche sospiro represso, che usciva dalla metà in là come l'eco d'un singhiozzo, seguitava a stringere il bimbo al proprio seno, la cui curva nè pure appariva sotto le pieghe della cotonetta nera. Su 'l sedile, accosto a sè, teneva un fagottino che ogni poco tornava a palpare con le dita scarne, quasi avesse temuto che mentre ella badava al fanciullo qualcosa, di assai prezioso ne fosse sfuggito. — Se mi fate passar prima di voi, vi do da prender un caffè — le offrì una femmina spazientita dalla troppo lunga aspettativa, che girava e rigirava su 'l sedile la larga circonferenza della sua persona accanto al gruppo malinconico di quella madre col bambino. — È troppo tempo che questa creatura mi patisce — si contentò di rispondere la donna in lutto. E l'altra, seccata, riprincipiò a sbuffare. Qualche uomo, che passeggiava su e giù, con le mani nelle tasche o giunte dietro le reni, bestemmiava fra' denti la lentezza delle ore; sensale e femmine estranee andavano e venivano; da un'estremità all'altra, lungo le panche, correvan come fili elettrici domande e confidenze; il bambino si lamentava a intervalli, fioco. Quando venne il suo turno, la vedova si alzò di scatto, e afferrato l'involto fu a deporlo a un finestrino dove facevan ressa drappelli luridi e petulanti d'altre infelici. Col braccio che non sorreggeva il fanciullo la donna avanzò il piccolo fagotto, che l'impiegato, uno sbiadito giovanottello in berrettino, svolse con piglio d'indifferente superiorità. - Son due camiciucce.... — fece ella a mezza voce, quasi volendo scusar la pochezza del pegno — ma sono ancora buone....- - Buone a che? — chiese in tono fra rude e canzonatorio l'uomo; ed esaminava quei pochi cenci, enumerandone le magagne: - Qui c'è una rappezzatura; qua un'altra; qui consumatum est, e qui ride....» - Rise anche lui, da spiritoso, e acciancicando su 'l banco le povere camicie, le restituì alla donna. - Non può darmi nè anche qualcosetta? — domandò ella con un lieve tremor nella voce, sollevando su l'impiegato gli occhi turchini pieni di stupor doloroso. — Roba in codesto stato non ne prendiamo — sentenziò lui. Ella teneva su 'l braccio il pegno rifiutato fissandovi sopra lo sguardo, forse non persuasa ancora di dover perdere quell'ultima speranza di pane. Che doveva fare, che doveva fare, Dio mio? Per lei poco importava; quando è finita, è finita. Ma quella creatura innocente, digiuna dal giorno avanti!... Un pallore cinereo le si stese su 'l viso; sentì come se il terreno le traballasse sotto i piedi, poco mancò che il bambino non le cascasse di braccio.... Ma nell'atto che fece per serrarselo più forte al petto, gli occhi le si posarono sopra la propria mano che reggeva il figlio, e le rimasero due o tre secondi come affascinati dal cerchietto d'oro, la fede nunziale che le brillava all'anulare. L'impiegato ordinò: — Lasciate il posto agli altri! — e già stendeva la mano per prendere il pacco che un braccio di vecchia gli allungava, quando la vedova, rialzata la testa, con un gesto di improvvisa risoluzione, si levò l'anello, il quale stentava assai a uscire dal suo solco, e glielo porse dicendo: — Prenda questo! — L'uomo sparì, portandosi l'oggetto in una stanza interna. Il bambino, stanco di star chiuso in quell'afa puzzolente, si lagnava ormai senza tregua, appoggiata la testolina biondiccia su l'omero della madre: e tra quei piccoli singhiozzi gli tornava in bocca, interrotta dalle scosse del pettuccio convulso, l'orribile parola: Fame! fa-a-me! Finalmente, dopo qualche minuto, che alla poveretta parve un secolo, l'impiegato s'affacciò di nuovo al finestrino e le consegnò una polizza insieme a quattro lire.... — Fa-a-mee! — ripeteva la creatura. Ma già la madre correva giù per le scale col viso tutto sorridente rigato da due grosse lagrime. E per non pensare che aveva giurato al marito di portar seco sotterra anello benedetto senza mai esserselo sciolto, baciava e ribaciava la testolina languente del suo bimbo, susurrandogli con pazza allegria: — Ora mangi, bello di mamma, ora mangi! —

Il perito: Questo è il più bel piatto del genere ch'io abbia visto. Uno simile è nella collezione di quel Rothschild morto da poco. Che arcobaleno!... La tedesca (seccamente): Mille! Il banditore(con un crescendo): Mille lire! Mille lire! E si libera! Uno! due!... La signora romana: Milletrecento! Il banditore (rallentando): Milletrecento! Milletrecento... Il perito (rapidissimamente): Su, via, facciamo presto! Non si può star qui fino a mezzanotte! Ci sono molti altri lotti... tutti i quadri; e si fa sera!... Il banditore: Mille trecento! (accelerando) Milletrecento! E si delibera! La tedesca (decisa): Quattrocento! Il banditore: Mille... La romana (ridendo): Cinquecento! Il banditore (più forte che mai): Millecinquecento! Il perito (con un sorriso mondano rivolto alla bella bruna): La signora quando vuole... vuole! Il banditore: Millecinquecento! E si libera! La signora tedesca, rigida, indispettita, s'alza come una molla e se ne va. Il banditore batte i tre colpi: Uno! due! e tre! Intanto la vincitrice vagheggia con visibile soddisfazione i bagliori violacei del suo bel piatto moresco, e cinguetta vicino alla lunga barba bianchiccia di uno scultore celebre. Finalmente era venuto il turno dei dipinti. Andaron via subito parecchi paesaggi: gole alpestri, strade del Cairo, canali di Venezia e marine. Piacque un soggetto militare, La staffetta, per l'originalità dell'intonazione; una spera di sole rossastra sur un terreno bigio, paludoso, sparso di giunchi, dove un soldato galoppa a briglia sciolta, curvo su 'l collo dell'animale fremente. Da un bosco vicino devono partire de' colpi di fucile, perchè se ne scorge il fumo tra gli alberi. C'era una piccola tela di soggetto mitologico, Il matrimonio di Bacco: grasso e ridente, il lieto dio tien alta in mano una fiaccola accesa, mentre fauni, satiri e ninfe gli danzano intorno una ridda degna d'una illustrazione rabelaisiana. Se la prese scherzando e motteggiando, un pittore più assai rinomato per l'originalità del suo carattere che per quella del suo ingegno. Ed ecco, entro una cornice d'oro offuscato, un ritratto muliebre del cinquecento; mezza figura di grandezza naturale: un ritratto, che dopo aver fatto parte d'una galleria privata, cioè d'una schiera d'avi illustri appesi alle pareti di qualche nobile dimora, alla fine, nella suprema dispersione d'ogni reliquia famigliare, fu separato da' compagni ingialliti; e sbalzato poi dalla sala d' armi a una soffitta dove s'accatastano gli attrezzi e scorazzano i topi; e dalla soffitta a una vendita pubblica, va, muto spostato, a tarlarsi Dio sa mai dove. L'effigie, di poco valore come opera d'arte, rappresentava una giovane assai bella, forse una colta, ma capricciosa cortigiana; da che anche allora, anzi specialmente allora, l'abito non faceva il monaco. I biondi capelli, che dietro le pendevano sciolti, quali raggi aurei, lungo il collo, eran coperti su l'alto del capo da un velo verde leggiadramente ravvolto a mo' di diadema e tempestato di gemme. Il viso, minuto e d'un ovale perfetto, doveva aver perso alquanto del suo diafano color di rosa primitivo; ma la lieve tonalità dell'avorio dàtagli dal tempo, non gli toglieva affatto l'illusione della vita, spiccante soprattutto nella luce de' larghi occhi bruni e in un sorriso civettuolo e sdegnoso d'un fascino strano. Tutta l'acconciatura rivelava il gusto più fino. La gamurra a maniche aperte era di velluto rosso contrattagliato a fondo di broccato d'oro; e ne usciva fuor dello scollo il petto alto e colmo, scoperto a metà, provocante e superbo; un filo di perle e di smeraldi circondava la gola pura ed ignuda. Al sorriso di quella tela rispose, con inconsapevole simpatia, il sorriso di parecchi tra gli astanti. La figura, come figura, era adorabile; ma il dipinto non piacque. — Una dama del cinquecento! — prese a dire il perito. — Le tinte sono ben conservate. Non è d' autore illustre, capisco... ma c'è chi ne offre un centinaio di lire. Si comincerà, mettiamo, da... cinquanta. Facciamo presto, mi raccomando, signori. Il banditore: Cinquanta lire! Cinquanta lire! E si libera. Il perito: Si dice che questa dama fosse la duchessa di Gragnano. Per conto mio, non posso garantirlo... Ma il fatto sta che il costume è molto ricco. Un antiquario: Dàgliene sessanta! Il banditore: Sessanta lire! Sessanta.... Un pittore a un altro (sottovoce): A me fa comodo per il mio quadro della Cena dei Borgia... (forte) Settanta! Contessa Lara. 15 L'altro pittore (a mezza voce): Ma fammi il piacere! Non vale un soldo! Il banditore: Settanta lire! Un compare camorrista (osservando che i pittori contrastano): Ottanta! Il banditore: Ottanta lire!... Il perito (facendo lo spiritoso): La duchessa di Gragnano per ottanta lire! A' suoi tempi, credo ch'ella valesse un po' di più! Il banditore (continuando): Ottanta lire! (lentamente) E si libera! Uno!... (breve pausa). Il pittore (che pensa all'acconciatura di Lucrezia Borgia): Novanta! Il banditore (affrettando): Novanta lire! Novanta lire! E si libera! Uno! due!... Il ritratto, tenuto ritto dal perito, e presentato ora a destra, ora a sinistra , pareva volger lo sguardo per la sala.... — Cento - proferì una voce di fondo: una voce così commossa e malcerta che tutti quanti si voltarono a guardare. In quel frattempo il martello era caduto tre volte. La voce era d'un giovanetto su' diciotto anni, vestito modestamente d'una giacchetta color nocciòla scuro. La faccia lunga e scarna d' un pallor olivastro appariva quasi infantile all'ombra del cappello di feltro molle che gli si posava su' capelli neri e abbondanti. E poichè il perito sembrava cercarlo, allungando il collo, il giovane, impacciato sotto tanti sguardi, rasentò la parete, s'accostò al banco, e cavandosi di tasca un portafogli slabbrato, ne tirò fuori una carta rosea da cento franchi. Mentre la tendeva, le dita lunghe dalle nocche sporgenti gli tremavano. - Non importa che paghi adesso. Basta il suo nome. Le manderemo, se crede, il quadro a casa — disse il perito con cortesia, ma evidentemente seccato di questa interruzione. — No, no, ora, ora.... La porto io stesso - insistè l'acquirente, il cui nome ignoto fu prontamente allineato nel registro dallo scritturale. Il giovine, rosso fino alla punta de' capelli, preso con uno sguardo tra diffidente e incerto il ritratto muliebre per la cornice, se lo portò via con passo rapido e con addosso il fremito convulso d'uno che l'avesse rubato. Subito un altro lotto circolava....

- Di', di' pure, mio caro, foss'anche un segreto di Stato; pur che amore non ci abbia.... - In questo caso posso risparmiarti la noia — interruppe il conte un po' stizzito. L'avvocato che in tanto s'era messo a passeggiar su e giù per la sala, gingillandosi con la catenella dell'orologio, si fermò di botto davanti al suo compagno, e tra commosso e incredulo gli domandò lentamente: - Ma Tonino, che dici su 'l serio o mi canzoni? Innamorato? Innamorato, tu? Contessa Lara. 19 L'uomo da' sospiri sospirò di bel nuovo, rivolto ancora al cristallo confidente, su cui si ripreparava a tracciar l'iniziale misteriosa. - Oh, Bencini mio! — scoppiò finalmente a dire — se tu avessi un briciolo di cuore, me lo dimostreresti in quest'occasione! - Sì, carissimo, to lo dimostrerei se; Dio liberi, ti vedessi affogare, bruciare, restar sotto un tranvai, e che so io? Vale a dire se ti vedessi correre un pericolo vero e proprio, ma ti confesso sinceramente che non mi sento capace a stemperarmi in lacrime perchè un vecchio collezionista di flauti s'innamora alla fresca età di sessant'anni, e di più, per la prima volta in vita sua! Questa è carina da vero, e non me l'aspettavo. Ma sentiamo, dunque, il tuo romanzo, perchè capisco che tu spiri dalla voglia di raccontarmelo. Butta fuori! - E a chi dovrei parlarne se non a chi n'è la causa? — sospirò il conte. - Io ne sono la causa? Io? — gridava l'avvocato cascando dalle nuvole, preso, questa volta, da un impeto d'ilarità romorosa. - Sì, tu, tu solo — insistè il poveraccio — perchè se non eri tu, non avrei mai messo piede nè a Napoli, nè in questa fatale pensione! - Sì che è proprio una urì di questo paradiso che t'ha rubato il cuore, eh? — continuava, ridendo, l'amico. — E mi permetti di nominarla? Sampieri anch'egli sorrideva con una strana smorfia a fior di labbra, e consentendo col capo mostrava grande soddisfazione d'esser finalmente giunto a intrattenersi col compagno dell'oggetto de' suoi sospiri. — L'indovino subito. La bella è certo Miss Gingerly, quell' inglese sui cinquanta, lunga, magra, angolosa come un angiolo del Cimabue, con due riccioli che sembrano due trucioli calanti sopra gli orecchi; Miss Gingerly, inseparabile da tre cose: le scarpe di gomma elastica, l'ombrello da acqua e il velo verde pisello; Miss Gingerly, che c'empie le tasche di libriccini evangelici... e.... - Stupido! - l'interruppe il conte in tono di supremo disgusto. - Dunque, non è lei? E allora sarà la contessa Bobriskoff, quella russa divisa dal marito che pare una tavolozza ambulante, tanti sono i colori coi quali s'illude di appianarsi e rifarsi il viso; ti avrà preso al laccio con le sue trecce sciolte a uso bambina, e incantato con le romanze slave che la ci bela tutte le sere in un trillo continuato quanto stonato. È lei, eh? Sampieri scrollava la testa, negando. - Come? — ripigliava l'altro — e tu macchineresti di portar la discordia e il disonore in quella coppia di pacifici olandesi de' quali ora non ricordo più il nome — un nome in ick o in ock — che mangiano silenziosamente e formidabilmente accosto accosto come due colombi? Oh, uomo immorale! Ma che seduzioni hanno mai per te gli occhi tondi, chiari e a fior di testa della signora e il suo naso largo all'insù ampiamente sottolineato dalla bocca?... - Grullo, grullissimo! — opponeva l'amoroso con aria fatua. — Smetti, per carità! Quella non è roba alla quale io tiri. - In questo caso non si sbaglia: sfido io, non c'è ora altre donne nella casa! Tu vagheggi le cupolesche rotondità e la facciona di luna rossa della vedova Alford, la proprietaria della pensione; ma perdincibacco, perdi il tempo, sai, caro! oh, se lo perdi! perchè il posto è bell'e accaparrato dal capitano Borise, quel Lupo di mare napoletano, brav'uomo, sì, ma tagliato con l'accetta. Lui, nella grassa vedova ha subodorati parecchi soldi, e non se la lascia sfuggire. - Cretino! Vero cretino! — masticava, come bestemmiando, il buon Sampieri, questa volta in collera per da vero. — Non c'è altre donne nella casa? E Emma, Miss Alford? - Che? Tu pretenderesti — chiese l'avvocato — di far la corte a quella bambina? - No, caro; intendo semplicemente d'offrirle il titolo di contessa Sampieri. - A quella bimba? - Bimba! Bimba, poi, non tanto. A sentir te parrebbe che quella figliuola fosse ancora nelle fasce! Miss Emma ha diciassette anni. Io... io ne ho certo parecchi di più, ma ho anche in compenso un bravo milioncino e mezzo che mi ringiovanisce non poco. Che te ne pare, eh, de' miei progettini? L'amico si fece quasi serio. - Sampieri mio, sono i progetti d'un matto, null'altro; tanto più che ci deve esser di mezzo anche un amoretto, perchè parecchie volte ho intesa Miss Alford parlare con la madre di un certo Toto.... E lo nominava in un tono.... — Nominava me, povero angelo! — esclamò il conte tutto lieto. — Che forse io non mi chiamo Antonio... Tonino? Lo diceva in napoletano, ecco. Ora — seguitava ragionando - se pretendessi combinar le cose da un giorno all'altro, sarebbe troppo pretendere; nè io sono uso a schiccherar dichiarazioni a bruciapelo, come uno studentino senza cervello; ma a forza di manovre abili e coperte, che so io? d'attenzioni mute e delicate, come dice appunto Emma che le piacciono, a forza di piccole finezze, di galanterie, e sopra tutto lasciando tempo al tempo, finirò per impadronirmi di quel coricino; perchè le donne, vedi, vogliono esser vinte così. L'avvocato ascoltava guardandolo fisso; poi domandò: - E quando intendi di cominciar l'assedio... spirituale? Il conte volse gli occhi in torno per assicurarsi ch'erano proprio soli, poi confessò sottovoce, visibilmente contento di sè: - Il primo passo è fatto, e secondo me proprio da grande stratega. Senti: sai di quel romanzo di Paoli, uscito ora, che si titola Lei sola? A te Paoli non piace, capisco, perchè scrive in barbarico, ma non si tratta di ciò; l'autore è il preferito di Miss Alford, e il titolo del suo nuovo libro mi conviene perfettamente. Io dunque non a pena questo volume è uscito l'ho comprato; ho posto un nodo di nastro celeste tessuto d'oro fra le pagine, alla scena — un po' ardita, se vogliamo — in cui l'eroina si leva in presenza dell'amante, lì seduto su 'l tappeto, certe calzette a trafori... - stile moderno, ma che fa? — e l'ho mandato alla mia Emma. Non ti pare un pensiero delicato farle pervenire in questo modo quel romanzo che certo ella desiderava? Con quel titolo eloquente, per di più? Con quel nastro simbolico, sopra tutto? - Amico, le mie congratulazioni sincere; quest'idea è il più bel giorno della tua vita! – declamò con enfasi canzonatoria il Bencini. — Soltanto io direi.... La conversazione sarebbe durata dell'altro se il leggiadro lupus in fabula non avesse spalancata proprio in quel momento la porta del salone. Emma Alford era una figura tutta settentrionale, alta e sottile, con un visetto ovale dalla pelle diafana come una bimba. I suoi larghi occhi d'una tinta luminosa, tra l'azzurro cupo e il grigio, si velavan sotto le ciglia nere che ne raddolcivano l'espressione un po' birichina. Ma la maggior bellezza di Emma erano i capelli, rossicci, ondulati, e lucidi come finissima seta; li portava rialzati su la nuca da un pettine di tartaruga bionda, senz'alcun artifizio, ma in una foggia grecamente elegante, e dietro il collo gliene cadeva qualche ciocca giù per le spalle. La bocca era rosea, un po' larga, fatta per ridere e per cantare, guarnita di dentini bianchi e uniti; e Miss Alford passava, a Napoli, per una gran bella ragazza. La fanciulla salutò con disinvoltura i due ospiti della pensione materna; poi si diresse verso la tavola di mezzo dove posò un libro, subito riconosciuto dal donatore. Impacciato e tremante, questi dichiarò ch'e' stava su 'l punto d'uscire, e balbettando qualche scusa lanciò una grottesca occhiata di desiderio alla donna, un'occhiata supplichevole all'amico, come per raccomandarsi all'alleanza di lui, e sparve. - Quant'è curioso! — saltò su a dire Emma, non a pena il conte ebbe richiuso l'uscio, eseguendo l'ultimo inchino. - Ahi, si comincia male! — pensava l'avvocato, mentre la signorina continuava ridendo: - È tutto cambiato dai primi giorni che venne. Prima era espansivo, loquace; ora dice sì e no quattro parole.... Ma in vece dà certi sguardi paurosi! lersera mamma e il capitano risero Dio sa quanto di lui. Io presi le sue difese, perchè, poveretto, tutt'assieme non è poi un vecchio antipatico, soltanto... bisognerebbe consigliarlo a mettersi una parrucchina; con quella zucca pelata fa un certo senso — (qui ebbe un gesto di ribrezzo, passandosi rapidamente il fazzolettino su la bocca). - De malo in peius... — badava a pensare il Bencini; pure non volendo darsi subito per vinto, s'arrischiò a dire: - Cara signora Emma, lei è troppo severa. Il mio amico Sampieri non è un Adone, glielo concedo, ma non è nè pure vecchio... cioè non è tanto vecchio quanto lei si figura. È d'una delle piu antiche famiglie d'Italia, e poi... è tanto ricco! — concluse enfaticamente l'avvocato. Queste parole erano destinate a produrre un grande effetto: e lo produssero. - Ah, è molto ricco ? — chiese con vivo interessamento Miss Alford. — Peccato che non sia mio nonno! Dev'essere un gran brav'uomo co' nipoti. Allora l'amico, che in qualche modo voleva entrare in argomento, dichiarò alla signorina, che il conte Sampieri, essendo scapolo e perfettamente libero, non aveva figli e... per conseguenza nè pure nipoti; poi abbordò il soggetto del libro: - Vedo che lei legge il nuovo romanzo del Paoli. - Sissignore. S'è pubblicato proprio ora. - Lo so. Volevo leggerlo anch'io, ma va a ruba; è difficile averlo. Anzi, lei è stata fortunata.... - Che dice? Per conto mio temo che lo avrei desiderato un anno, se non fosse per... una persona anonima... che conosce bene i miei gusti, che indovina i miei pensieri.... L'avvocato la guardava e mormorò: - Ah, da vero?... - Si figuri, — riprese la fanciulla — ho trovato fra queste pagine perfino un nodo di nastro celeste — il mio colore — alla scena... a una scena che fa venire i brividi... Il visino roseo le si era fatto rosso come una fragola matura. Ella si vergognava non poco di quella confidenza d'amore, ma la faceva, non ostante, vinta dalla manìa che hanno quasi tutte le donne di raccontar le loro faccende intime. Il Bencini, stuzzicato da una certa curiosità, le si fece piu vicino: - E... mi dica, signora Emma, — domandò — lei dunque sa presso a poco chi le ha mandato questo romanzo? - Se lo so! È il più bel giovane del mondo, e pieno di delicatezza, di delicatezza muta.... Oh, se sapesse.... In quel punto il conte Sampieri rientrò nel salone, impaziente, agitato, nervoso, e di lì a pochi minuti una cameriera venne ad avvertire Emma che sua madre la chiamava. - E bene? — chiese il timido amatore, quando si ritrovò solo con l'amico. — T'ha ella parlato di me? - Me ne ha parlato. - Le ha fatto buon effetto l'invio anonimo del libro? - Ottimo. - T'ha detto qualcosa della scena della dichiarazione e del nodo celeste proprio in quel punto.... - Molte cose. - Dunque vedi, Bencini mio, che avevo ragione dicendoti che le donne vanno prese con garbo, vanno conquistate a furia di delicatezze? E il bravo conte fissava l'amico , piantato dinanzi a lui co' pollici infilati al panciotto sotto le ascelle, agitando su 'l petto le altre dita tese e dimenando il capo con piglio di profonda soddisfazione. - Mio povero Sampieri, che posso dirti per farti persuaso che... che quel nodo celeste è proprio un nodo gordiano.... Ma nè anche a farlo a posta, ecco che la campana annunziante il pranzo a tavola rotonda principiò il suo gaio squillo per l'appunto in quell'istante; e mentre il Bencini, determinato a salvar a ogni costo dal ridicolo il suo compagno, si preparava a combatterne la follia amorosa, magari ripetendogli parola per parola tutta la conversazione testè avuta con la ragazza, il conte, infatuato e felice, se lo prese a braccetto e se lo trascinò fuori della stanza senza nulla ascoltare.

Poi con una certa insistenza nella voce umile, soggiunse: - Lei, signora, vada, vada pure a letto, e non abbia alcuna pena: col malato ci sto io, ora. — Pronunziò quest'ultima frase scandendo leggermente ogni sillaba, come per significare: — egli ormai sotto la mia protezione, sotto la mia responsabilità; e fino a tanto che non guarisca... o non muoia, mi appartiene. — Dopo un'ultima scarica di frasi, d'occhiate, di gesti, la padrona di casa si ritirò finalmente. L' infermo, che in quel frattempo erasi assopito, tornò di nuovo a lamentarsi. Allora suor Istituta, guardato un oriolino la cui catena d'oro, larga e corta, serpeggiava su 'l cassettone, s'accostò alla lampada, preparò con la punta delle dita affusolate una presa d'antipirina dentro l'ostia nel cavo del cucchiaio, poi venne verso il capezzale, e passando il braccio sinistro sotto il primo cuscino del sofferente, sollevata che gli ebbe la testa senza scomporlo, gli fece trangugiare la medicina. L'ufficiale, aperte le palpebre, volse la pupilla vaga e dilatata su quella ignota figura di donna, così prona sopra di lui da sfiorargli quasi il viso col petto. Tutti e due si fissarono per un momento: lei vide ch'egli era giovane e bello: lui, forse, non capì nulla, e subito rinserrò gli occhi. Piano piano, suor Istituta aveva ritirato il braccio; acccomodò le coltri, le rincalzò ai lati; quindi parve dileguarsi tra l'ombre alte e nere che il lume proiettava dirimpetto. Cominciava la veglia. Seduta sur una poltroncina bassa, in disparte, d'onde alzavasi a quando a quando per apprestar qualche farmaco o dare un cucchiaio di brodo al paziente, quando ella tornava al suo posto, riprendeva il rosario, facendo scorrere senza rumore su la cima delle sue piccole dita, gli acini della corona di fruttiglia che le pendeva a fianco. Pregava per una pia abitudine, come chi ha sempre le stesse parole in bocca. Anche l'ordinanza, il cui profilo ampio e svelto si disegnava diritto poco discosto dal letticciuolo, se ne stava affatto immobile: tranne con la mano destra che agitava blandemente, in misura, una fogliona ovale di palmizio, a mo' di ventaglio, su 'l viso cocente del malato; e dalla finestra socchiusa s'udiva soltanto venire a tratti un lievissimo fruscío d'aria mossa o d'insetti tra le fronde inselvatichite del piccolo giardino; ma subito tornava a regnare più che mai grave il silenzio. — Il mare è d'argento! — balbettò l'infermo — Incantevole!... Un quarto simpatico. Letterina sua.... Manda.... odor di fiori — e gridò — Mi fa male.... male! Mi si spezza la testa.... Oh, felicità! Mia creatura! Amor mio! Qui, qui — e stendeva le braccia tremanti come a chiamar qualcuno su 'l suo petto. Suor Istituta rimase a mezzo d'un'avemaria, che quasi subito riprese a recitare. — Oh, guarda.... gli albatri.... su l'acqua.... Par che dormano.... E sospirò: — Dormire!... - quasi che l'idea del sonno gli apparisse come un bene supremo, forse l'unico rimedio per non più pensare, per non più patire. La suora seguitava a sgranar lento il rosario; Così per queste tre persone tanto diverse di paese, d'indole e di destino, riunite lì quasi al buio, nella medesima stanzuccia di dolore, passò molta parte della notte. il marinaro seguitava a sventolare: tutti e due dolcemente, tacitamente, errando chi sa dove col pensiero. Il malato a momenti s'assopiva, a momenti vaneggiava, ricordando con frasi incoerenti e tronche qualcuno de' paesi da lui visitati ne' lontani viaggi, e un suo amore, che, forse, più della febbre gli bruciava il cuore e le carni, fatto com'era di delicata tenerezza e di desiderii brutali: un vero amore da uomo di mare, dalla duplice natura piena di sogni fantastici propri del suo pellegrinaggio tra cielo e acqua, e di sensualità selvagge aguzzate dalle astinenze di bordo. A un tratto, l'infermo, allontanando con violenza le coltri di su 'l petto, prese a dire affannosamente: — Orribile!... orribile.... il riverbero su la sabbia!... Scotta gli occhi... il cervello, la gola! Ondeggia tutto.... Oh, un pozzo, Dio mio!... Una goccia sola... Brucio!.. L'acqua limpida... fresca... Oh, Dio!... La monaca introdusse fra le labbra aride del malato l'orlo d'un bicchiere colmo di limonata dove tintinnava un pezzetto di ghiaccio. Egli bevve avidamente, lungamente, tenendo fissa la pupilla sbarrata, piena di meraviglia, su la mano alabastrina e sottile che gli porgeva quel refrigerio; e quando ebbe finito di bere, alzò gli occhi su la donna. Di nuovo i loro sguardi s'incontrarono e rimasero immobili qualche momento. Albeggiava. Una luce d'un chiaro bigiognolo penetrava ormai nella camera, dove le ombre erano scomparse, e la lampada s'affievoliva, gettando a pena a canto a se un riflesso giallastro su le lame delle lance e delle zagaglie aggruppate nell'angolo. Suor Istituta appariva più bianca della sua cornetta; e nel volto emaciato spiccavan vie piu bruni i profondi cerchi delle occhiaie e la frangia delle lunghe ciglia color nocciòla. Un'ondata di sangue arrossò invece leggermente le guance color di cera del malato: il quale tornò anche questa volta a richiuder subito gli occhi, come sotto un'impressione di pena. Forse quella pietosa mano femminile gli aveva procurato un rapidissimo sogno: un sogno seguíto tosto da una disillusione. La febbre non cedeva: centigrado più, centigrado meno, era quasi sempre oltre i quaranta gradi, non ostante i rimedi del medico curante e d'altri dottori chiamati ogni giorno a consulto: così che le forze e la vitalità dell'infermo Contessa Lara. si consumavano, scemavano ogni ora, come divorate da un inesorabile fuoco interno. Durante lunghe prostrazioni, egli restava con mezzo aperte le palpebre violacee, dal cui spiraglio si vedeva l'occhio vitreo e torbo, con dischiuse le labbra gonfie e scure, dentro cui appariva tutta nera la sega dei denti: un sudor gommoso gli attaccava a ciocche compatte i capelli scomposti su la fronte e su le tempie; le braccia ingiallite ed inerti gli pendevan fuori del lenzuolo; e in quelle ore l'ordinanza, dopo averlo inutilmente chiamato pian piano, dopo avergli posata una sua mano callosa su 'l cuore, spinto da un subitaneo terrore, avvicinava la sua larga bocca fresca e rossa a quella povera bocca arsa di moribondo, per assicurarsi ch'ei respirava ancora... Con un muto segno di gioia, subito dopo, volgendosi verso la suora, accennava di sì; ed ella rispondeva a quel cenno con un pallido sorriso, come per dire: — Non morrà, non dubitare; lo salvo io.

D'Ambra, Lucio

220490
Il Re, le Torri, gli Alfieri 3 occorrenze
  • 1919
  • Fratelli Treves
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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. — Ed è mai possibile che la bella attrice non abbia sùbito accettato l'invito con lo stesso slancio con cui ha evidentemente accettato il pendentif? — interruppi io. — Vostra Altezza desidera forse che io rinnovi e che decida Manette ad accettarlo? — No — rispose Sua Allezza,— l'invito è bell'e accettato. Era già inteso infatti che il pendentif, brillando al secondo atto sul seno di Manon Manette, avrebbe significato che il tè di domani sarebbe stato ugualmente gradito. Cominciavo a non capire veramente questa volta che cosa mai Sua Altezza volesse da me. Ma Sua Altezza non perdette tempo ad illuminarmi su la singolare missione che stava per essermi affidata. — Le devo confessare, amico mio, un mio segreto. Io ho assoluto bisogno di una illusione: l'illusione di dover conquistare una donna. Lei ricorderà una delle nostre prime conversazioni di quell'epoca in cui ci ritrovammo qui a Pulquerrima, diversi anni dopo il nostro incontro in Inghilterra, quando lei era segretario all'ambasciata di Fantasia a Londra ed io studiavo ancora ad Oxford. Le dirsi il mio desiderio d'avere qualche avventura e di conquistare alcune di quelle belle signore cui lei mi aveva presentato nelle nostre mattutine passeggiate a cavallo nei viali del Parco delle Delizie. E ricordo perfettamente d'aver detto che Vostra Altezza non avrebbe avuto molte difficoltà e che un suo desiderio sarebbe stato certamente un ordine per le nostre più irreprensibili dame. — Ed è stato precisamente cosi, purtroppo! — aggiunse il Principe. — Io non ho avuto che da chiedere un dito perchè mi dessero, come suol dirsi, tutta la mano, non ho avuto che da accennare al più vago e lontano tentative d'assedio perchè tutte le piazzeforti si arrendessero senza colpo ferire. Per riprendere l'imagine ed il giuoco che le son cari, io non ho avuto che da fare un passo su la scacchiera perchè tutte le più salde torri crollassero fra le mie braccia come tanti castelli di carte. Ebbene, io sono stufo, arcistufo di facili conquiste, di rese senza combattimento, di vittorie senza gloria, di delusioni senza illusioni, di offerte senza domanda. Desidero finalmente una donna che mi resista, desidero una donna che mi faccia aspettare, desidero una donna che abbia l'aria di non volerne sapere di me, d'infischiarsene dei miei titoli e della mia futura corona, di tutt'i principi ereditarii come me e magari anche di tutt'i re come mio padre. Voglio anch'io, in nome di Dio, vincere alla fine qualche dillicoltà, quelle piccole difficoltà almeno del primo incontro, della prima ora, che lei, per esempio, incontrerà certamente... Così ho pensato a quell'attrice. Mi sembra che faccia al caso mio. È attrice: la commedia è il suo forte. È francese: dev'essere maestra di civetteria. È repubblicana: deve odiare a morte regni e regnanti. Caddi dalle nuvole. Possibile che il principe, non ostante le mie lezioni di scetticismo e di cinismo elegantissimi, fosse ancora tanto ingenuo da pensare sul serio, quando era stanco della soverchia condiscendenza galante trovata tra le più nobili e austere dame del suo mondo, da pensare sul serio ad un'attrice, e a quale attrice! per trovare quelle resistenze di cui la sua sazietà di enfant gâté della galanteria aveva tanto bisogno? Segnalai la mia meraviglia al principe, ma la sua risposta, poco dopo, mi provò che l'ingenuo non era lui, ma che ero invece proprio io. Vostra Altezza mi permetterà di osservare che la sua scelta mi sembra francamente errata. Manon è un'attrice le cui molte avventure sono note al mondo intero. È francese, e la donna francese, parigina specialmente, è, dicono, cosi cortese in amore che non fa mai fare anticamera; e molto meno poi oserebbe far fare anticamera a un figlio di re un'attrice repubblicana. Vostra Altezza ricorderà quel giorno che a bordo del suo yacht il figlio dell'imperatore Goffredo, il cui impero è minacciato da un forte partito repubblicano, raccontava che suo padre non aveva nessuna preoccupazione, sicuro com'era che il giorno in cui il suo impero sarebbe rovesciato ci sarebbe stata sempre una repubblica pronta a ridargli un trono con tutti gli onori, e un presidente disposto a cedergli il posto. — Verissimo, — rispose il principe. — Francese quanto vuole, repubblicana come vuole, ma attrice, non lo dimentichi. Attrice vuol dire recitare, essere capace di fare ogni parte in commedia. E qui si tratta appunto di recitare una parte. Capirà che non posso decentemente pregare una signora di farmi la cortesia di resistere: sarebbe farle offesa. Posso benissimo invece chiedere questa cortesia ad un'attrice. È una parte che conoscerà a meraviglia perche già tanti autori gliel'hanno fatta recitare nelle loro commedie. Solamente bisognerebbe che Manon sapesse che questa è la commedia che io desidero domani dalla sua esperta civetteria per una deliziosa, nuova, dolcissima illusione di cui io ho tanto bisogno. E bisognerebbe — ed ecco il favore che volevo chiedere al suo spirito capace di superare con grazia e con eleganza impareggiabili tutte le più scabrose difficoltà bisognerebbe che questo a Manon Manette lo facesse sapere e lo spiegasse proprio lei. La missione era molto difficile e oltremodo delicata, ma non tale da spaventarmi; e, del resto non c'era modo di declinarla. M'ero trovato, d'altra parte, in imbarazzi assai peggiori, speciamente il giorno in cui avevo dovuto persuadere un marito ad allontanare da casa il suo più stretto amico perchè il principe, che era naturalmente l'amante della signora, n'era non meno naturalmente geloso. Il giorno dopo dunque bussai alla porta del salottino che Manon Manette occupava al Suprême Hotel; ripetendomi vertiginosamente in mente, per la centesima volta, il discorsetto meticoloso e preciso che m'ero mandato a memoria. Ero sicuro con quello del mio effetto, sicuro d'aver trovato il modo più facile per dire una cosa diflicile, o, da un altro punto di vista, il modo più difficile per dire una cosa facile. Ma, sia che al momento opportuno io non ricordassi più perfettamente il discorso, sia che nel discorso a me fosse sembrato molto velato quello che invece era sfacciatamente chiaro, questo solo so di certo: che a un dato punto Manon Manette, quand'ebbe ben capito dove il mio discorso andava o almeno voleva andare a finire, si levò bruscamente slacciandosi con mano nervosa il pendentif che le era stato donato dal principe con l'invito a prendere il tè e che la sera prima avevo ammirato a teatro. I segni più manifesti della collera erano sul volto deliziosamente maquillé di Manon Manette; e credo infatti che, se la cipria e il carminio gliel'avessero permesso, ella sarebbe stata, come si conviene, o rossa in viso per la vergogna o pallidissima per l'indignazione. Rimase invece molto pallida e molta rossa nel tempo stesso, ma collera e indignazione non entravan per nulla nella responsabilità teatrale di quel vivacissimo contrasto di colori. — Sua Altezza il principe di Fantasia, — ella mi disse, — incaricandovi di tenermi questo discorso, ignora evidentemente chi io sono e che cosa sono. Egli ha ancora dell'attrice in particolare e della donna francese in generale l'opinione bugiarda e tradizionale che se ne ha nelle vecchie Corti europee, nelle famiglie bigotte e timorate di Dio e nel pubblico dei caffè-concerto. L'attrice è una donna senza pudori e la donna francese è generosa sino alla prodigalità. Ebbene, direte al principe che io sono assolutamente degoulée di osservare ch'egli m'ha scambiata per una di quelle signore eleganti che sono l'abituale appannaggio galante del giovani principi di sangue reale, ereditarii o no. L'attrice, lo sappia una volta per tutte, non ha bisogno per resistere di recitar la commedia come una donna onesta, e la donna francese oramai la sola che faccia ancora cerimonie. A differenza del popolo ardimentoso ed impetuoso di cui fa parte, essa non opera per rivoluzioni, ma per lente, meditate ed illuminate evoluzioni. Riportate dunque al principe questo suo biglietto da visita di ieri e ditegli che sono dolente di non poter oggi, al suo palazzo restituirgli, com'era inteso, il mio. E, così dicendo, mi restituì il pendentif. Invano spiegai, rettificai, corressi, supplicai. Manon Manette fu irremovibile, insensibile al fascino della mia eloquenza, impermeabile alle lacrime della mia commozione. — No, no, è inutile che insistiate, — mi disse alla fine. — II principe deve cominciare finalmente a saper distinguere fra una signora per bene e un'attrice. Quello ch'è possibile dire a una così detta signora per bene suona offesa per me e per quelle come me. Dovrebbe sapere che noi abbiamo sempre resistito. Ed è per questo che le signore per bene non ci possono vedere. Noi costringiamo anche loro a farsi pregare, ed è una cosa di cui sono, poverine, assolutamente incapaci. Non c'era più che fare e, inchinatomi, m'allontanavo portandomi via il pendentif del principe; ed ero già sulla porta, quando Manon mi raggiunse, mi prose per mano e mi trattenne: — Ma se metto alla porta, — mi disse col suo incantevole sorriso, — se metto alla porta il latore della sconvenientissima ambasceria di Sua Altezza, prego il mio cortese amico, poichè tutti sanno che ambasciatore non porta pena, di rimanere. Ed è con voi che o sarò felicissima di bere in casa mia la tazza di tè che il principe m'aveva offerto a palazzo. Saprà cosi proprio da voi che io bevo quando ho sete e che a nessuno deve essere lecito insegnarmi come io debba o non debba bere. Non ho bisogno di suggeritore. Vado benissimo a memoria. Venne il tè e bevemmo. Fu un tè squisito, offerto senza cerimonie, veramente col cuore in mano, se posso esprimermi così. Quand'andai via, ringraziandola, confuso per la sua inattesa ospitalità, Manon Manette vide tra le mie mani il gioiello del principe ch'ella mi aveva sdegnosamente restituito. Con un incantevole sorriso la graziosa attrice mi disse: — Ed è dalle vostre mani, intendiamoci bene, solo dalle vostre mani che riprendo questo gioiello, considerandolo come un dono prezioso della vostra personale amicizia e come un attestato della vostra improvvisa riconoscenza. E, ripreso il pendentif, se lo riannodò attorno al collo con un terzo incantevole sorriso. Poi, ricordando il mio infelice discorso di poco prima: — Così Sua Altezza, — disse, — fra i tanti alfieri compiacenti e le tante facili pedine del suo giuoco di scacchi ha trovato finalmente anche una torre. Ed è finita come doveva finire... — Cioè?... — Con scacco al Re!

Io gli offro i miei due figliuoli, sebbene al mondo non abbia che loro. Se la Provvidenza vorrà conservarmeli, Iddio sarà benedetto. Se vorrà togliermeli, morirò anch'io, ma col conforto di sapere i miei due figliuoli morti da eroi per il loro paese e per il loro re». Queste parole un poco enfatiche erano dette con un tale accento di semplicità e di sincerità che io, tuttavia non facile alla commozione o per lo meno difficilmente pronto ad abbandonarmici non seppi rispondere al vecchio cameriere se non con una voce un po' tremante per dire tutte le sciocchezze che si dicono in queste occasioni avendo ancora l'aria di credere che cento grosse parole possano menomamente cambiare il più piccolo fatto. Dissi molte parole inutili e gli strinsi lungamente la mano. Ma la mia stretta di mano non fu inutile; fece almeno piacere a me e dandola provai una profonda ed improvvisa simpatia per quel vecchio domestico sbarbato e canuto che vedevo da anni, cosi indifferente, ogni sera, in quella stessa sala, e che ora sacrificava con tanta semplicità i suoi due figliuoli alla fortuna del suo paese mentre i miei compagni abituali di pranzo al Circolo non avevano saputo rinunziare, per sapere e osservare quello che accadeva, neppure alle prime piroette del meraviglioso mimo polacco ch'era la great attraction del corpo di ballo annamita. Sono uscito sùbito dopo pranzo per tornarmene a casa mia. Mi sembrava che in una sera siffatta non avrei avuto desiderio di veder gente, nè di parlare. Ma fuori l'aria era tiepida, quasi già calda, e la calma profonda della notte serena invitava alla marcia. Passai d'innanzi alla redazione d'un altro grande giornale che dalle sue finestre, con trasparenti luminosi, comunicava alla popolazione di Effemeris le ultime notizie della serata: l'ordine di mobilitazione era stato immediatamente trasmesso alle truppe di terra e di mare; il generale Paolo de Gonzales, capo dello Stato Maggiore, aveva preso il comando supremo delle truppe; reggimenti stavano per partire da ogni città per andarsi ad ammassare al confine occidentale. Una certa folla stazionava d'innanzi a quegli schermi luminosi, come d'innanzi al quadro bianco d'un cinematografo-réclame. Sentivo attorno a me qualche voce domandare: «E il Re? Del Re non si hanno notizie? Il Re non si muove?». E proprio in quel punto lo schema luminoso comunicò alla folla, da una delle finestre, che «le condizioni di salute di Sua Maestà il Re erano invariate». Ci fu un mormorio, un brontolio, manifestazione di poca entità, esuberanza di pochi individui isolati. Il popolo di Fantasia — lo conosco bene oramai — e specialmente quello di Effemeris, giocondissima capitate, non perde mai l'equilibrio della sua serena indifferenza, nè per esaltare nè per condannare. Gioie e sventure lo lasciano egualmente tranquillo. È da gran popolo, non scomporsi mai. E il popolo di Fantasia è un grande popolo: almeno lo dice la storia. Era veramente strano che a Sua Maestà non avessi pensato fino allora e che dopo l'annunzio della guerra dichiarata ci volessero quei commenti della folla per richiamarmelo in mente. Era certo che Sua Maestà non avrebbe potuto marciare al fuoco alla testa dei suoi eserciti. I più forti generali possono sdrucciolare su una buccia d'arancio, ed era precisamente, ammessa la metafora, quello ch'era capitato quindici giorni prima a Sua Maestà. La sua buccia d'arancio, provvida ed improvvida insieme, era stata la ripiegatura d'un tappeto mal tirato in cui giorni prima. Sua Maestà aveva malauguratamente inciampato andando a ruzzolare su lo scalino d'un caminetto ch'era lì presso e che gli aveva spezzato, come un biscottino, il femore sinistro. Già da quindici giorni almeno Sua Maestà era in letto e doveva rimanerci ancora almeno un mese, supino, con la gamba ingessata, distesa ed immobile, e con un diavolo per capello. Non che il Re dovesse essere desolato di non poter capitanare i suoi eserciti durante quella guerra in cui egli non aveva mai creduto: aveva un capo di Stato Maggiore eccellente, e lui invece, il giovane Re Rolando secondo, non ostante il bel nome eroico e cavalleresco, non aveva mai amato troppo i disagi della vita militare. La rivista passata col canocchiale alle più belle donnine del corpo di ballo lo aveva interessato sempre più di quella passata alle sue truppe, a cavallo, sotto un sole torrido d'agosto o di settembre, alla fine di tre settimane infernali di grandi manovre che aveva dovuto pur troppo conoscere quando, principe ereditario, comandava, per modo di dire, almeno nei bollettini militari e nelle cerimonie ufficiali, il corpo d'armata di Pulquerrima. Ma Rolando secondo era però coraggioso ed orgoglioso. Doveva seccargli di non poter essere alla testa delle sue truppe magari a costo di farsi ammazzare, e doveva turbarlo profondamente il pensiero che qualche giornale avesse potuto fare allusione alla comodità di certe coincidenze e al vantaggio, a prima vista misconosciuto, di non avere in casa propria i tappeti ben tirati e qualche facile possibilità d'inciampare. È vero che a questa possibile malignità dei giornali repubblicani, ch'erano poco letti ma appunto per questo motto numerosi, avrebbero fieramente risposto i giornali socialisti che nel regno di Fantasia, come in tutt'i regni di questo mondo, passato il periodo delle prime bizze infantili e messo il dente del giudizio, erano ministerialissimi e quanto, mai riguardosi per la monarchia e per le istituzioni. E infine Rolando secondo doveva anche provare un certo rimorso di non potere andare alla guerra poichè la guerra avveniva per causa sua, e di non potersi cavallerescamente battere con tutto il suo paese per ciò per cui tutt'il suo paese si batteva: voglio dire, una donna! Per una donna, precisamente. Diretto a casa avevo preso non so più come la via diametralmente opposta a quella di casa mia. Andavo, andavo diritto innanzi a me, per le grandi vie sonore e vuote dei nuovi quartieri che avevano fatto passare improvvisamente, in tre anni, l'avventurata capitale da un terribile rincaro delle pigioni a una non meno terribile crisi edilizia; andavo diritto, fumando, e, poichè non v'è antinomia tra il fumo del tabacco e quello del cervello, fumando pensavo e ricordavo fumando. E, tra tanti pensieri e tanti ricordi, un verso mi ronzava nel cervello e su le labbra, un verso italiano di Vincenzo Monti, il primo verso di Vincenzo Monti, se non per ordine cronologico o di merito, certo per ordine numerico nella traduzione dell'Iliade. Anche un lettore del tutto illetterato avrà potuto sospettare che il verso che mi accompagnava lungo la via come un ritornello era appunto:

. — Bisogna quindi purtroppo concludere, — riprese don Pedro, abituato a passar sopra agli avverbi del suo collega come se nulla fosse, — bisogna concludere che, date le tradizioni, gli usi, i costumi, i regimi e le leggi del nostro paese e specialmente del nostro tempo, un re che abbia ricevuto uno schiaffo non può fare altro che.... — Tenerselo! — affermò il ministro del Tesoro. — Filosoficamente! — concluse quello dell'Istruzione, E, rivolgendosi a me, don Pedro domandò: — Lei, marchese, e d'accordo? — D'accordo.... — Complet...., - tentò ancora d'intercalare il filologo che non s'aspettava di trovarmi anche questa volta più svelto di lui. — No. Mi perdoni, Eccellenza, d'accordo sì, ma senza avverbi. E la mia conclusione sarebbe anzi, se permettono, ancora più desolata e desolante della loro. A me pare, infatti, che si potrebbe affermare.... — Recisamente, — avventò il filologo tutto felice d'esserci questa volta riuscito. — Affermare che in un popolo civile e retto a regime costituzionale; composto di quanti mai milioni di cittadini si voglia, l'unico cittadino che, preso uno schiaffo, se lo debba inevitabilmente tenere non è altri e non può essere altri che il re. Ma, nondimeno, mi sia permesso di richiarnare l'attenzione dell'onorevole Consiglio dei ministri su questo punto essenziale. Anche ammesso che il re debba tenersi l'offesa fattagli, non si può ammettere ch'egli debba ogni giorno trovarsi d'innanzi ii suo offensore. Ora questo appunto avverrebbe, essendo il duca e la duchessa di Frondosa costretti dalle loro rispettive funzioni di gentiluomo d'onore e di dama di Corte a frequentare quotidianamente Sua Maestà. Nè, d'altra parte, si può pensare d'invitarli a rassegnare le loro dimissioni o di dispensarli ex-abrupto dalle loro funzioni. L'avvenimento solleverebbe uno scandalo enorme e si cercherebbe l'origine di misure così gravi. La scudisciata ricevuta da Sua Maestà finirebbe con l'esser resa di dominio pubblico dalle agenzie d'informazioni e dalle gazzette ufficiali. I quindici ministri erano tutti col naso su la tavola come se dal rosso tappeto di peluscia dovessero saltar su al loro cervello le idee. E fu appunto a questo momento della discussione che le idee saltaron fuori tutte insieme e, con le idee, scoppiò naturalmente la guerra civile tra i ministri: accadde infatti che uno dei tre ministri, strenuamente spalleggiato dagli altri due, cominciò ad evocare i foschi e romanzeschi ricordi delle Corti medioevali e delle passate tirannie: storie macabre e complicate di ratti, di soppressioni, di sicari e di veleni, tutt'un romanzo indiavolato che andava da Lucrezia Borgia alla Maschera di Ferro. I dodici ministri costituzionali insorsero allora come un sol uomo contro l'autocrazia delle tre Eccellenze d'Estrema Sinistra. — Forcaioli! Siete dei vili reazionarii! — gridavano i ministri monarchici — E voi siete dei demagoghi! — urlavano gli altri, i socialisti.— Siete i ciarlatani della libertà. Bisogna anzitutto difendere il Re, proteggere le istituzioni. Tutti i mezzi sono buoni. — Voi tornate alla forca, al sìcario, al veleno! E voi vi scamiciate in piazza! Finirete con la rivoluzione a questo modo! Nella foga della discussione, persino il ministro dell'Istruzione aveva aggiunto un verbo al suo avverbio e il dotto filologo gridava, in piedi su una sedia e agilando le braccia come un ossesso: — Discutiarno calmamente! Discutiamo calmamente! La parola della concordia, dopo una buona mezz'ora di discussione e di tempesta, fu riportata finalmente dal presidente del Consiglio che silenziosamente aveva assistito al commovente spettacolo della perfetta armonia di quella concentrazione dei partiti democratici ch'egli aveva operata col suo terzo Ministero, dopo avere invano tentato altre concentrazioni coi suoi Ministeri precedenti. Silenziosamente, ho detto, e forse dormendo, poichè avveniva al presidente del Consiglio, nella sala del Consiglio dei ministri che gli avveniva ogni giorno al Congresso: era in lui un effetto immancabile, che non appena sentiva discutere, cominciava immediatamente a dormire. Almeno aveva le braccia conserte, gli occhi chiusi, il grosso labbro inferiore rilasciato, il mento abbandonato sul petto, tutto l'atteggiamento abituale del suo attuale letargo durante le più fiere orazioni parlamentari. Era la prova d'una coscienza tranquilla d'uomo pratico che sa che solo i fatti e non le parole contano, d'un capo di governo che poteva liberamente lasciar dire chè tanto lui sapeva sempre, destandosi, come doveva fare per avere il voto unanime e costante della sua schiacciante maggioranza. Si destò finalmente e col suo tranquillo sorriso argomentò: — Onorandissimi colleghi, io v'invito vivarnente alla calma. Lo scambio delle idee fra voi è stato oramai ampio e completo. Ora possiamo decidere. Il marchese d'Aprè, che rappresenta qui Sua Maestà, ha posto assai chiaramente il problema, e, venendo da lui, possiamo esser certi che questo solo problema interessa Sua Maestà. Poichè abbiamo veduto la impossìbilità assoluta in cui si trova Sua Maestà di riparare l'ingiuria subita, bisogna evitare prima di tutto che lo spiacevole fatto possa ripetersi e allontanare inoltre da Sua Maestà la persona del suo offensore. Per raggiungere questo scopo una via ci deve essere. — Si tratta di trovarla, — spiegò il ministro delle Comunicazioni che fino allora non aveva aperto bocca. — Semplicemente! — annuì il dotto filologo — Pensiamo! Pensiamo! — opinarono contemporaneamente, con fiero cipiglio, i due ministri militari che, come si conviene in un paese libero alle più moderne riforme, erano la condanna vivente della superstizione delle competenze ed erano ambedue borghesi: ex-agente di cambio il ministro della Marina e ex-professore di filosofia nei licei regi il ministro della Guerra, entrato nella vita politica grazie ad una fervida propaganda antimilitarista che gli aveva fatto perdere il posto d'insegnante e guadagnare quello di ministro della Guerra. Poichè era evidente che se nell'esercito tutto era da riformare, il ministro meglio indicato per le riforme era l'apostolo antimilitarista che del militarismo aveva istruito minuziosamente il processo. Invitati a pensare dai loro due colleghi per cosi dire militari, i ministri si raccolsero in meditazione. E quando un ministro si mette a pensare e a meditare, non si sa mai quando lo scherzo potrà finire: lo sanno i deputati che proponendo al Governo un'utile riforma si senton rispondere che il ministro sta studiando su quella materia un disegno di legge. La cerimonia durava già da una diecina di minuti e già due ministri dei più attempati, esausti da quella levataccia cosi di buon'ora, cominciavano a russare, quando un gran colpo destò i dormienti e i cogitabondi. Era il presidente del Consiglio che con un gran colpo sul tavolino annunziava la nascita impreveduta ed improvvisa d'una grande idea. — Ho trovato! — gridò. Fu evidentemente una grande consolazione per tutti quelli altri poveri diavoli che si affaticavano a cercare, a costo d'una meningite per un eccessivo esercizio cerebrate cui non erano naturalmente abituati. L'opinione di tutti fu sintetizzata dal solito filologo con uno dei suoi soliti avverbii: — Fortunatamente! — Ho trovato! — ripetè il presidente del Consiglio che prima di persuadere gli altri provava il bisogno di persuadere addirittura sè stesso d'aver potuto trovare qualche cosa. E col gesto indicava il ministro degli Esteri, dignitoso e pettoruto, dalla bocca ermeticamente chiusa come se aprendola potessero scapparne fuori i segreti di tutte le cancellerie europee. Il ministro degli Esteri, atterrito all'idea che il presidente del Consiglio non avesse trovato di meglio che far risolvere il problema da lui, si grattò le onorate e brizzolate basette e il labbro glabro e con un fil di voce domandò: — Io? — Si, proprio lei. Il viso del povero ministro degli Esteri si disfece. Ma fortunatamente il presidente già spiegava: — Non è il duca don Alvaro di Frondosa ministro plenipotenziario a disposizione del Ministero? — Per l'appunto. — Ebbene, bisogna sùbito richiamarlo in servizio. Cosi tutto è accomodato. È semplicissimo. Mi sono spiegato? — Chiaramente. Era l'inevitabile filologo. Ma il ministro degli Esteri, che, rinsanguato, cominciava a riprendere i suoi colori, rispondeva: — Richiamarlo in servizio è presto detto. Ma comunicherò ai miei colleghi, poichè ho l'onore d'esser ministro degli Esteri da diversi anni, che egli fu messo a disposizione appunto sotto la mia amministrazione. Il duca di Frondosa sarebbe un diplomatico di primissimo ordine: gran nome, grande fortuna, riceve moltissimo, ha bellissimi cavalli, è elegantissimo, ha una bellissima signora.... e, per un diplomatico, le grazie della sua metà fanno valere il doppio il suo talento. Ma il duca di Frondosa è un uomo di carattere fermo e risoluto. È sembrato spesso impetuoso e impulsivo perchè era coerente. Ma loro tutti m'insegnano che in politica estera le due cose si confondono e che la coerenza di un diplomatico non e meno pericolosa della sua impulsività per il paese che egli rappresenta. — Perfettamente! — commentò il filologo che di avverbi ne consumava molti ma, per quanto filologo, ne aveva pochi, ed era perciò costretto a ricorrere sovente agli stessi, aggravando anche pia la monotonia delle sue interruzioni concise: — Già tre volte, lor signori lo sanno, — riprese il ministro degli Esteri, — già tre volte il duca di Frondosa ci mise in gravissimi imbarazzi, a Lisbona, a Pietroburgo, a Madrid. Anzi, l'ultima volta, la sua coerenza fu addirittura sul punto di far scoppiare la guerra; e fu proprio dopo questo gravissimo incidente che, per una prudenza elementare, decidemmo di rinunziare ai suoi servizi, di richiamarlo e di tenerlo, vita natural durante, indisponibilmente a disposizione del Ministero. Il presidente del Consiglio era uomo di poche parole, e, una volta che s'era deciso a una cosa, nulla più poteva rimuoverlo. Talchè alla bella orazione del suo collega degli Esteri egli rispose semplicemente: — Tutto ciò sta bene. Ma guardiamoci anche noi dai pericoli della coerenza. Sarebbe ingenuo, e però eminentemente antipolitico, non riparare a un danno certo per paura d'un danno ipotetico. Ora conviene richiamarlo in servizio e dargli un'ambasciata. Non c'è altra via per uscire da quest'impiccio. La volontà di Sua Maestà è esplicita su questo punto: per dire le cose col loro vero nome permettetemi di affermare che Sua Maestà non se lo vuole, insomnia, trovare più tra i piedi. Il ministro degli Esteri si strinse nelle spalle. Gli altri si strinsero attorno all'opinione del presidente del Consiglio; desiderosi oramai d'andare a far colazione e stanchi d'una discussione che li aveva letteralmente esauriti. — Dunque, — domandò il presidente, — si può sapere quale ambasciata è disponibile? — Non c'è che Zarzuelopoli. - Ahi, ahi! — esclamò don Pedro de Aldana grattandosi la fronte come già vi fossero insediati tutti i grattacapi futuri. — E se lo mandassimo invece a Londra? O a Vienna? O a Parigi? O a Pietroburgo? O a Washington? Riprese la parola il ministro degli Esteri. Per varie ragioni nessuno degli ambasciatori che occupavano quelle residenze poteva essere mosso. Uno era un antico ministro degli Esteri cui era stata promessa. Parigi a vita, un altro era graditissimo al sovrano della nazione presso la quale era accreditato, un terzo aveva sposato una signora imparentata a Corte nell'impero presso il quale rappresentava il regno di Fantasia, un quarto era coperto di debiti e solo l'immunità diplomatica poteva salvarlo da un fallimento sicuro. Non c'era dunque che Zarzuelopoli, dove il vecchio ambasciatore aveva chiesto il collocamento a riposo. A posti minori non c'era da pensare: il duca di Frondosa era ministro plenipotenziario di prima classe e li avrebbe certamente rifiutati. — Non c'è dunque che Zarzuelopoli: — Disogna pensarci su due volte, — ammonì il ministro degli Esteri. — Ci abbiamo pensato anche troppo. E poi non c'è da scegliere. Non c'è che Zarzuelopoli. Vada per Zarzuelopoli. Tutti i ministri, meno tre, quello degli Esteri e i sedicenti militari, fecero eco alle energiche parole del loro presidente. — Vada dunque per Zarzuelopoli! — Irrevocabilmente! — credette necessario di aggiungere il dotto filologo. Il povero ministro degli Esteri sudava freddo. L'ambasciata più delicata, più gelosa, più pericolosa toccava a quel rompicollo d'uomo di carattere ch'era il duca di Frondosa. Il povero ministro, già prevedeva le più spaventevoli complicazioni. Se quel diavolo di Frondosa ne faceva una delle sue! Anche i due ministri militari erano preoccupati e cogitabondi. Il diavolo era capace di metterci la coda e di mandare alla guerra sul serio, in redingote e cappello a staio, proprio l'agente di cambio che aveva paura anche dell'acqua dolce e il bollente antimilitarista che aveva una crisi di nervi solo a sentir sparare inaspettatamente una castagnola. Ma la volontà del presidente del Consiglio era dispotica. Aveva già preso un foglio da decreti e già l'aveva passato al ministro degli Esteri perchè vi scrivesse immediatamente, di suo stesso pugno, il decreto di nomina del duca di Frondosa, decreto che doveva essere immediatamente sottoposto all'augusta firma del Sovrano. Guardavo il povero vecchio ministro mentre scriveva. Le mani gli tremavano. Paventava per la sua cara patria le più terribili vicissitudini. E, consegnando il decreto a don Pedro de Aldana, raccomandò ancora con un fil di voce: — Onorevoli colleghi, pensateci - ancora una volta. Ma già don Pedro de Aldana s'era levato, aveva suonato un campanello e a un giovane ufficiale di servizio aveva chiesto di pregare Sua Maestà di volere onorare il Consiglio dei ministri della sua augusta e necessaria presenza. Poi si rivolse verso di me e mi diede congedo. — Ella può, marchese, abbandonare il suo posto. Sua Maestà il Re viene ad occuparlo. Il Re infatti entrava poco dopo, ristorato da alcune ore di sonno tranquillo, fresco, sorridente, allegro, indossando il più delizioso abito da mattina che mai sarto elegantissimo abbia cucito per un giovane re. Strinse la mano a don Pedro, sorrise e inchinò il capo a tutti gli altri, salutò me con un leggero cenno di mano e sedette su la poltrona Impero che io occupavo poco prima. Dalla comoda poltrona di marocchino rosso dove ero tranquillamente tornato, benevolo spettatore, dopo aver anch'io recitato la mia breve parte in commedia, vidi il mio regale amico trarre dalla tasca posteriore del suo pantalone il portasigarette dorato da cui prese una sottile sigaretta bionda che accese ad un fiammifero offertogli con sussiego dal presidente del Consiglio. Immediatamente, dopo aver scambiato poche parole indifferenti coi ministri su la bella giornata che si annunziava dal cielo limpidamente sereno, prese la penna e incominciò a firmare con la sua grossa scrittura diritta il pacco di decreti che don Pedro aveva rispettosamente posto d'innanzi a lui. Quando, dopo altri venti decreti, gli capitò davanti quello che riguardava don Alvaro e che il primo ministro aveva delicatamente insinuato tra gli altri, Sua Maestà lo scorse rapidamente e lo firmò sera muovere ciglio, con un'ombra appena di sorriso che poteva sfuggire agli altri ma che non sfuggiva a me. Il Re si levò sùbito dopo, mentre i ministri lo imitavano. M'ero levato anch'io e il caso m'aveva posto vicino al ministro della Guerra antimilitarista, che s'era avvicinato al presidente del Consiglio. — Io non mi sono opposto, — disse il ministro della Guerra — non mi sono opposto alla nomina di don Alvaro di Frondosa a Zarzuelopoli perchè conosco il vostro senno e sono sicuro che voi avrete già pensato a chiedere al Congresso i crediti per le nuove spese militari. Non si fa la guerra senza un esercito forte. Con mio rammarico perdetti la risposta del presidente del Consiglio poichè proprio in quel punto, mentre i ministri raccoglievano le loro carte e i loro cappelli a staio, Sua Maestà mi chiamava e mi manifestava con due parole succinte il suo compiacimento nel vedere che la difficile situazione era stata delicatamente spianata. — La soluzione, infatti, è un po' delicata, — risposi ricordando le parole del ministro degli Esteri. Sua Maestà, che è molto intelligente, capì tutto in un batter d'occhi. — Capisco. C'è il pericolo d'una nuova Iliade in pieno secolo ventesimo. Vuol dire che in tal caso lei ne detterà il poema. Il mio regale amico alludeva alle mie lontane velleità letterarie. — Non potrei tutt'al più che scrivere in prosa, Maestà, — risposi sorridendo con umiltà di prosatore. — Scusi, — rispose il re che è sempre pieno di spirito, — quel decreto è scritto in prosa ma, francamente, vale un poema.... Osservai in quel punto, volgendomi, che tutti i ministri s'erano radunati verso la finestra da dove potevano scorgere, esposti alla luce, la regale guancia e lo storico segno di cravache. Ma tutto era scoparso sotto un po' di cipria rosea, poichè, come c'insegna il Vangelo, torna alla cipria ciò che dalla cipria è venuto.

Mitchell, Margaret

221941
Via col vento 38 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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. - Dottor Meade, credete che possa... che abbia perso il cervello? - interrogò piú tardi, trascinata a consultare il dottore dalla propria inquietudine. - No, - disse il medico; - ma beve come un otre e se non la smette si ammazzerà. Voleva molto bene alla bimba, Rossella; e scommetto che beve per dimenticarla. Quello che vi consiglio è di dargli un altro bambino piú presto che potrete. - Ah! - esclamò Rossella amaramente, nell'uscire dallo studio. Era piú facile a dirsi che a farsi. Sarebbe ben contenta di avere un altro bambino, molti altri bambini, se in tal modo avesse potuto togliere quell'espressione dagli occhi di Rhett e riempire gli spazi dolorosi del proprio cuore. Un bimbo che avesse la bruna bellezza di Rhett, e un'altra piccina. Sí, un'altra piccina, bella, gaia, vivace, piena di risa, non come quella scioccona di Ella! Perché Dio non aveva preso Ella, se doveva toglierle uno dei suoi figli? Ella non le dava alcun conforto ora che Diletta era scomparsa. Ma sembrava che Rhett non desiderasse un'altra creatura. Almeno, non veniva mai nella sua camera, quantunque la porta non fosse mai chiusa, ma anzi socchiusa in maniera invitante. Pareva che non vi tenesse. Che non tenesse a nulla, se non al whisky e a quella donna sciupata coi capelli rossi. Era diventato amaro, mentre prima era piacevolmente beffardo; brutale, mentre le sue frecciate erano una volta temperate dalla celia. Dopo la morte di Diletta, molte signore del vicinato che erano state attratte dalle maniere graziose che aveva con la sua piccina, desiderarono mostrargli la loro simpatia. Lo fermavano per istrada per dirgli delle parole gentili o gli rivolgevano un saluto dai loro porticati o dai cortili. Ma ora che Diletta era scomparsa, anche le sue buone maniere scomparvero. Egli rispondeva brevemente e con asprezza ai saluti e alle condoglianze piú affettuose. Ma, cosa strana, le signore non si offesero. Comprendevano o credevano di comprendere. Quando lo vedevano passare al tramonto, tanto ubriaco che a stento si reggeva in sella, scansando quelli che volevano salutarlo, dicevano: - Povero diavolo! - e raddoppiavano i loro sforzi per essere buone e gentili. Provavano molta pena per lui che nel suo crepacuore non trovava a casa altro conforto che Rossella. Tutti sapevano quanto ella fosse fredda e senza cuore; ed erano inorriditi dell'apparente facilità con cui si era rimessa dal colpo provato per la morte della figliuola, non accorgendosi o non volendosi accorgere dello sforzo che si nascondeva dietro a quella tranquillità. Rhett aveva tutte le simpatie della città; cosa di cui non gli importava nulla. Rossella aveva le antipatie generali e, per una volta, avrebbe accolto ben volentieri la cordialità dei vecchi amici. Invece nessuno andava da lei, eccetto zia Pitty, Melania e Ashley. Solo i nuovi amici vennero, nelle loro magnifiche carrozze, ansiosi di mostrarle la loro solidarietà, di distrarla con pettegolezzi sul conto di altri amici di cui non le importava nulla. Tutti quei «nuovi venuti», tutti quegli estranei! Non la conoscevano. Non la conoscerebbero mai. Non sapevano che cos'era stata la sua vita prima di raggiungere quella salda posizione nella bella casa di Via dell'Albero di Pesco. Ed essi non le parlavano di quella che era stata la loro vita prima di avere i ricchi broccati e gli eleganti equipaggi. Ignoravano le sue lotte, le sue privazioni, tutto ciò che dava valore oggi alla grande casa, ai vestiti lussuosi, all'argenteria, ai ricevimenti. Non sapevano. Gente venuta chi sa da dove, che viveva alla superficie delle cose, che non aveva in comune con lei ricordi di guerra, di fame, di lotte, che non aveva radici che sprofondavano nella stessa terra rossa. Nella sua solitudine, le sarebbe piaciuto passare i pomeriggi con Maribella o con Fanny, con la signora Elsing o la signora Whiting e perfino con la temibile e bellicosa signora Merriwether. O con la signora Bonnell o... con qualsiasi delle vecchie amiche e vicine. Perché esse sapevano. Avevano conosciuto la guerra, il terrore, l'incendio, avevano visto morire persone care prima del tempo; erano state affamate e stracciate, avevano vissuto col lupo dietro alla porta. E avevano ricostruito la loro fortuna dalle rovine. Sarebbe un conforto sedere con Maribella, ricordando che anche questa aveva perduto un bimbo, morto nella pazza fuga dinanzi all'esercito di Sherman. Sarebbe un sollievo la presenza di Fanny, poiché entrambe avevano perduto il marito nei tremendi giorni della legge marziale. Sarebbe una triste gioia ridere con la signora Elsing, ricordando il viso della vecchia signora mentre spingeva a pazza corsa il suo cavallo il giorno in cui Atlanta era caduta, mentre il bottino di viveri presi al commissariato veniva disseminato per istrada. E sarebbe piacevole discorrere con la signora Merriwether, ormai sicura per la produzione della sua panetteria; piacevole dire: - Vi ricordate come andavano male le cose subito dopo la resa? Vi ricordate quando non sapevamo come avremmo fatto per procurarci un paio di scarpe? E guardate adesso come stiamo! Sí, sarebbe piacevole. Ora comprendeva perché, quando due ex-confederati si incontravano, parlavano della guerra con sollievo, con orgoglio, con nostalgia. Erano stati giorni che avevano messo alla prova i loro cuori; ma essi li avevano superati. Erano veterani. Anche lei era una veterana, ma non aveva camerati coi quali rievocare le vecchie battaglie. Oh, essere nuovamente con la propria gente, con la gente che era passata attraverso le stesse vicende e di cui conosceva i patimenti... eppure sapeva quanta parte di se stesso ciascuno vi aveva lasciato! Ma tutti costoro, non sapeva come, si erano allontanati. Capiva che era colpa sua. Non se ne era mai curata finora... ora che Diletta era morta ed essa era sola e spaurita; e vedeva dall'altra parte della sua lucente tavola da pranzo un estraneo bruno e ubriaco che dileguava dinanzi ai suoi occhi.

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«Melly è la sola amica che ho mai avuto» pensò tristemente «la sola donna, eccetto la mamma, che mi abbia mai voluto veramente bene. Anche lei è come la mamma. Tutti quelli che la conoscevano si afferravano alle sue gonne.» E ad un tratto ebbe l'impressione che dietro quell'uscio chiuso giacesse Elena che lasciava il mondo una seconda volta. Le parve di essere nuovamente a Tara, dinanzi al mondo, nella desolazione di sapere che non poteva fronteggiare la vita senza la terribile forza di chi era dolce, gentile, tenero di cuore.

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. - È il solo dei miei sogni che abbia vissuto e respirato e non sia svanito di fronte alla realtà. «Sogni!» disse fra sé Rossella sentendo sorgere la vecchia irritazione. «Sempre sogni! Mai un po' di senso comune!» Col cuore pesante e un po' amaro, riprese: - Siete stato uno sciocco, Ashley. Perché non avete visto che valeva un milione di volte piú di me? - Vi prego, Rossella! Se sapeste che cosa ho sofferto da quando il dottore... - Quello che avete sofferto? E credete che io... Ma avreste dovuto sapere, già da tanti anni, che amavate lei e non me! Perché non ve ne siete accorto? Tutto sarebbe stato diverso... Avreste dovuto capirlo, invece di infastidirmi con tutte le vostre belle parole di onore e di sacrificio! Se me lo aveste detto allora, avrei... sarebbe stato un dolore mortale, ma lo avrei sopportato. Ma aspettate ad accorgervene adesso che Melly sta morendo! È troppo tardi per qualunque cosa. Dovevate vedere chiaramente che l'amavate e che desideravate me soltanto come... come Rhett desidera quella Watling! Egli trasalí a quelle parole, ma la fissò ancora implorando il silenzio. Il suo volto riconosceva la verità di ciò che ella diceva. Rimaneva silenzioso dinanzi a lei, con le spalle curve, stringendo il guanto come se fosse una mano; e nel silenzio che seguí, ella sentí svanire la sua indignazione, e al suo posto sorgere una pietà mista di disprezzo. Sentí la coscienza pungerla. Stava percuotendo un uomo abbattuto e senza difesa... mentre aveva promesso a Melania di vegliare sopra di lui. «E subito dopo la mia promessa, gli dico delle cose cattive e dolorose, che non vi è alcun bisogno di dire. Egli conosce la verità, ed è una verità che lo uccide» pensò desolata. «È un bambino, come me; e il pensiero di perderla lo terrorizza. Melly sapeva che sarebbe cosí. Melly lo conosceva molto meglio di me. Perciò mi ha detto di aver cura di lui e di Beau, nello stesso modo. Come potrà resistere Ashley? Io posso. Io ho resistito a tante cose. Ma egli non può... non resisterà a nulla senza di lei.» - Perdonatemi, caro - gli disse dolcemente. - So quello che soffrite. Ma ricordatevi che essa non sa nulla... non ha mai neanche sospettato... Dio è stato buono con noi. Egli le si avvicinò rapidamente e la circondò ciecamente con le braccia. Rossella si sollevò sulla punta dei piedi per giungere a posare la sua guancia calda contro quella di lui, e con una mano gli accarezzò lievemente i capelli. - Non piangete, caro. Lei vuole che siate coraggioso. A momenti vi vorrà vedere, e dovete farvi forza. Non dovete farle vedere che avete pianto: la turbereste. Egli la teneva cosí stretta da toglierle il respiro; la sua voce soffocata mormorava accanto al suo orecchio. - Come farò? Non posso... non posso vivere senza di lei! «Neanch'io» pensò Rossella rabbrividendo alla visione dei lunghi anni futuri senza Melania. Ma si fece forza. Ashley contava su lei; e Melania pure. Nella stessa maniera in cui una volta, a Tara, ubriaca di stanchezza, aveva pensato: «I fardelli sono fatti per le spalle abbastanza forti da sopportarli», ora si disse che le sue spalle erano forti e quelle di Ashley non lo erano. Si irrigidí per sorreggere il peso e con una calma che era ben lungi dal provare, baciò la guancia umida di lui, senza febbre né desiderio né passione; soltanto con fredda dolcezza. - In qualche modo riusciremo - disse. Nel vestibolo un uscio si aperse con subitanea violenza e la voce 'del dottor Meade chiamò con impeto: - Ashley! Presto! «Dio mio! È finita!» pensò Rossella. «E Ashley non le ha dato l'ultimo addio! Ma forse...» - Presto! - gridò spingendolo, perché egli rimasto attonito. - Presto! Spalancò la porta e lo fece uscire. Galvanizzato dalle sue parole, egli corse attraverso il vestibolo, col guanto ancora stretto fra le mani. Rossella udí i suoi passi e poi il chiudersi di una porta. - Dio mio! - mormorò nuovamente; e andando lentamente verso il letto vi si lasciò cadere e si nascose il volto fra le mani. Si sentí improvvisamente stanca, come non era mai stata in vita sua. Il rumore della porta che si era chiusa fece sí che lo sforzo che l'aveva sorretta fino allora si rilasciasse. Era fisicamente esaurita e sfatta dall'emozione. Non provava piú né dolore né rimorso né sgomento né stupore. Solo stanchezza; e il suo spirito si agitava appena, languidamente, meccanicamente, come il tic-tac della pendola sulla mensola del camino. Da quel languore si levò un pensiero. Ashley non l'amava e non l'aveva mai amata veramente, e il saper questo non l'addolorava. Avrebbe dovuto soffrirne, essere desolata, sentirsi il cuore spezzato, imprecare al destino. Aveva contato sul suo amore per tanto tempo; e quella sicurezza l'aveva aiutata a superare molti tristi momenti. Eppure, la verità era indiscutibile. Egli non l'amava e lei non ne soffriva. Non ne soffriva perché neppur lei lo amava. Non lo amava; quindi nulla di ciò che egli diceva e faceva poteva addolorarla. Si coricò sul letto e posò il capo sul guanciale, stanchissima. Inutile cercar di combattere quell'idea; inutile cercar di dire a se stessa: «Ma io lo amo. L'ho sempre amato. L'amore non si può mutare da un momento all'altro in apatia». Non poteva mutare, eppure si era mutato. «Non è mai esistito veramente, se non nella mia fantasia» pensò con tristezza. «Ho amato qualche cosa costruita da me, qualche cosa che è morta come Melania. Ho fatto un bel fantoccio e me ne sono innamorata. E quando Ashley venne a cavallo, cosí bello, cosí diverso, gli misi gli abiti del fantoccio e glieli feci portare, gli andassero bene o no. E non ho mai voluto vederlo come era in realtà. Ho continuato ad amare i vestiti del fantoccio... ma non lui.» Ora si guardava indietro e si rivedeva nell'abito di mussolina verde a fiori, in atto di rispondere al saluto del giovine cavaliere coi capelli che luccicavano come chiaro argento al sole di Tara. Vedeva ora nettamente che era solo un'immaginazione infantile, non piú importante del desiderio degli orecchini di acquemarine per cui aveva tanto importunato Geraldo. Una volta ottenuti, gli orecchini avevano perso ogni valore; come ogni cosa, eccettuato il denaro, una volta che era in suo possesso. Cosí anche lui avrebbe perso ogni valore se, in quei giorni lontani, ella avesse avuto la soddisfazione di rifiutare di sposarlo. Se lo avesse avuto in proprio dominio, vedendolo diventare a volta a volta appassionato, importuno, geloso, malinconico, supplichevole, come gli altri giovinotti, l'infatuazione che l'aveva posseduta sarebbe svanita, come nebbia del mattino ai raggi del sole, appena ella avesse incontrato un altr'uomo. «Come sono stata sciocca» pensò amaramente. «Ed ora la sconto. Quello che ho tanto desiderato è accaduto. Ho desiderato che Melania morisse, per potere avere Ashley; ed ora che è morta e potrei averlo, non me ne importa piú nulla. Il suo maledetto onore lo spingerà a chiedermi se desidero divorziare da Rhett per sposarlo. Sposarlo? Non lo vorrei neanche su un piatto d'oro! E intanto, lo avrò ugualmente sulle spalle per tutta la vita. Finché vivo dovrò occuparmi di lui, badare a che non muoia di fame, e che i suoi sentimenti non siano urtati da ciò che può dire la gente. Sarà un altro bambino attaccato alle mie sottane. Ho perduto l'innamorato ed ho acquistato un altro bimbo. E se non avessi promesso a Melly... non mi importerebbe di non vederlo mai piú.»

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Purché si abbia coraggio... e denaro, si può fare a meno della reputazione. - Non tutto si può comprare col denaro. - Questo deve avervelo detto qualcuno. Non avreste mai pensato da sola una simile insulsaggine. Che cosa non si può comprare? - Mah, non saprei... Per esempio, la felicità o l'amore. - Di solito si può comprare anche quello. E quando non si può, si compra qualcuno dei migliori surrogati. - E voi avete tanto denaro, capitano Butler? - Che domanda grossolana, Mrs. Hamilton! Sono sorpreso. Ma vi rispondo di sí. Per essere un giovinotto che si è trovato nella sua prima adolescenza di fronte alla vita senza uno scellino, me la son cavata discretamente. E credo che il blocco mi renderà un milioncino. - No?! - Oh sí! Quel che la gente sembra non capisca è che si può guadagnare tanto denaro nel naufragio di una civiltà come nella costruzione di un'altra. - E che significa tutto questo? - La vostra famiglia, come la mia e tutti quelli che sono qui stasera, hanno fatto la loro fortuna trasformando un deserto in un luogo civile. Questo si chiama costruire un impero. E la costruzione di un impero fa guadagnar molto denaro. Ma se ne guadagna anche di piú nella sua distruzione. - Di che impero state parlando? - Questo impero in cui viviamo... il Sud... la Confederazione... il Regno del Cotone... sta sprofondando sotto i nostri piedi. Solo gli sciocchi non lo vedono e non sanno trarre vantaggio da questo crollo. Io invece sto fabbricando in questo disastro la mia fortuna. - Credete veramente che saremo battuti? - Sí. Perché nasconder la testa come uno struzzo? - Dio mio, come mi annoia parlare di questo... Voi non dite mai delle cose graziose, capitano? - Vi piacerebbe che vi dicessi che i vostri occhi sono dei piccoli acquari pieni di una meravigliosa acqua verde e che quando i pesciolini vengono a nuotare a galla, come adesso, siete diabolicamente graziosa? - No, non mi piace questo... Non è bella questa musica? Oh, potrei ballare il valzer in continuazione... - Siete la piú mirabile danzatrice che io abbia mai tenuto fra le braccia. - Capitano Butler, mi stringete troppo! Tutti ci guardano... - Se nessuno vedesse, protestereste ugualmente? - Capitano, mi pare che stiate diventando poco corretto. - Neppur per ombra. Come potrei, avendo voi fra le braccia?... Che musica è questa? Una novità? - Sí. Non è bella? L'abbiamo rubata agli yankees. - Come s'intitola? - «Quando la guerra crudele sarà finita.» - Come sono le parole? Cantatemele. «Caro amor mio, ti ricordi quando ci siamo visti l'ultima volta? Quando mi dicesti il tuo amore inginocchiato ai miei piedi? Oh, come eri fiero dinanzi a me nella tua uniforme grigia! Quando giurasti eterna fede alla tua bella e al tuo paese! Ora piango triste e sola i miei sospiri e le mie lagrime sono vani! Quando la guerra crudele sarà finita voglia Iddio che ci rivediamo!» - Veramente diceva «uniforme azzurra», ma noi l'abbiamo cambiata in «grigia»!... Ballate il valzer molto bene, capitano Butler. Sapete che molti grandi uomini non sanno ballare? E dire che passeranno anni e anni prima che io balli un'altra volta! - Solo pochi minuti. Vi impegno per il prossimo reel... e poi per il seguente e il seguente ancora. - Oh no, non posso! Non dovete! La mia reputazione sarebbe rovinata! - È già abbastanza scossa; quindi, che importa un ballo di piú? Forse darò la possibilità di ballare con voi agli altri giovinotti dopo che avrò ballato cinque o sei danze; ma l'ultima la voglio io. - Va bene. So che è una pazzia, ma non me ne importa. Non m'importa nulla di quello che diranno. Sono stufa di stare in casa. Voglio ballare, ballare... - E non vestir piú di nero! Detesto il crespo funereo. - Oh, non posso togliermi il lutto... Non dovete stringermi tanto, capitano. Mi fate arrabbiare. - E siete uno splendore quando vi arrabbiate. Ora vi stringo di piú... ecco... per vedere se vi adirate davvero. Non avete idea di come eravate deliziosa quel giorno alle Dodici Querce quando eravate furibonda e scagliavate gli oggetti... - Oh, vi prego... Non volete dimenticare quella giornata? - No; è uno dei miei ricordi piú preziosi... una delicata e beneducata bellezza meridionale in cui ribolle il sangue irlandese... Siete molto irlandese, sapete? - Dio mio, la musica finisce... Ecco zia Pittypat che esce dalla sala dei rinfreschi. Son certa che Mrs. Merriwether deve averglielo detto. Per carità, allontaniamoci e andiamo ad affacciarci alla finestra. Non voglio che mi fermi adesso... Ha gli occhi sgranati come se volesse divorarmi...

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«Stento a credere che tu abbia potuto mettere in non cale la tua dignità e la tua educazione. Passerò sopra alla scorrettezza di apparire in pubblico essendo in lutto, realizzando cosí il tuo ardente desiderio di esser d'aiuto all'ospedale. Ma ballare, e con un uomo come il capitano Butler! Ho udito molto parlare di lui (e chi non ne ha udito altrettanto?) e anche la settimana scorsa Paolina mi scrisse che è un individuo di pessima reputazione, messo al bando perfino dalla sua famiglia a Charleston; eccezion fatta, naturalmente, della sua disgraziata madre. È un pessimo arnese, che ha approfittato della tua giovinezza e inesperienza per metterti in berlina e disonorare pubblicamente te e la tua famiglia. Come ha potuto Miss Pittypat trascurare cosí il suo dovere verso di te?» Rossella guardò sua zia attraverso la tavola. La vecchia signora aveva riconosciuto la calligrafia di Elena e la piccola bocca era stretta con un'espressione di sgomento come quella di una bambina che teme una sgridata e spera di allontanarla con le lagrime. «Ho il cuore spezzato pensando che hai dimenticato la tua buona educazione. Avevo pensato di richiamarti immediatamente a casa; ma lascerò la decisione di questo a tuo padre. Egli sarà in Atlanta venerdí per parlare col capitano Butler e per riaccompagnarti qui. Temo che sarà molto severo con te, malgrado le mie suppliche. Spero e prego che sia stata solo la gioventú e la sventatezza a consentirti un contegno cosí sfrontato. Nessuno piú di me desidera servire la nostra Causa, e sono felice che le mie figlie abbiano gli stessi sentimenti, ma per disgrazia...» Continuava ancora sullo stesso tono, ma Rossella non terminò la lettura. Questa volta era veramente spaventata. Non si sentiva piú audace e temeraria. Si sentiva giovine e colpevole come quando aveva dieci anni e aveva scaraventato a Súsele un biscotto imburrato attraverso la tavola. Gli aspri rimproveri di sua madre, sempre cosí dolce, e il pensiero di suo padre che veniva apposta per parlare col capitano Butler, la turbarono fortemente. Ora comprendeva la serietà della faccenda. Geraldo sarebbe severo. Una volta, ella sapeva di potere evitare i castighi sedendo sulle sue ginocchia e facendosi gattina e carezzevole. - No... non vi sono cattive notizie? - balbettò Pittypat. - Il babbo arriva domani per castigarmi a dovere - rispose Rossella dolorosamente. - Prissy, cercami i sali - sussurrò Pittypat allontanando la sedia dalla tavola dov'era il piatto mezzo vuoto. - Sento... mi pare di svenire. - Essere dentro tasca tua sottana - fece Prissy che era rimasta a gironzolare attorno a Rossella intuendo un dramma sensazionale che l'avrebbe riempita di gioia. Vedere Geraldo adirato era sempre una cosa divertente, purché la sua ira non fosse diretta sopra di lei. Pitty frugò nella sua gonna e si portò la boccettina al naso. - Voialtre dovete restare accanto a me e non lasciarmi sola neanche un minuto - esclamò Rossella. - Vi vuol cosí bene papà, che se siete con me non farà tante storie. - Non potrò - fece Pitty debolmente alzandosi in piedi. - Mi... mi sento male. Debbo andarmi a mettere a letto. Vi resterò tutto domani. Gli farai le mie scuse. «Vigliacca!» pensò Rossella guardandola irritata. Melly venne in soccorso, benché fosse pallida e sgomenta alla prospettiva di trovarsi dinanzi al furibondo signor O'Hara. - Io... ti aiuterò a spiegargli che l'hai fatto per l'ospedale. Certo lo capirà. - No, non capirà - si lamentò Rossella. - E io morirò se devo tornare a Tara in disgrazia, come minaccia la mamma! - No, non puoi tornare a casa! esclamò Pittypat scoppiando in pianto. - Se tu te ne andassi, sarei costretta... sí, costretta a pregare Enrico di venire a stare con noi e tu sai che con Enrico io non posso vivere. Eppure sono cosí nervosa a stare in casa di notte, sola con Melania, con tanti stranieri in città! Tu sei cosí coraggiosa, che con te non m'importa di non avere un uomo! - No, non può riportarti a Tara! - disse Melly che sembrò anche lei sul punto di piangere. - Questa adesso è la tua casa. Che cosa faremo senza di te? «Sareste ben liete di farne a meno, se sapeste quello che veramente penso di voi» disse fra sé Rossella scontenta, desiderando che vi fosse qualche altra persona, piuttosto che Melania, per sventare le minacce di Geraldo. Era noioso essere difesa da una persona antipatica. - Forse dovremo posporre il nostro invito al capitano Butler - cominciò Pitty. - Impossibile! Sarebbe il colmo della scortesia! - esclamò Melania desolata. - Accompagnami in camera. Mi sento proprio male - gemette Pitty. - Oh, Rossella, come hai potuto far succedere questo? Pittypat era a letto sofferente quando Geraldo arrivò nel pomeriggio dell'indomani. Gli espresse molte volte il suo rammarico attraverso la porta chiusa, e lasciò che le due ragazze sgomentate presiedessero la tavola della cena. Geraldo serbava un silenzio minaccioso, benché avesse baciato Rossella e pizzicato le guance di Melania affettuosamente, chiamandola «cuginetta». Rossella avrebbe preferito di molto imprecazioni, grida e accuse. Fedele alla sua promessa, Melania rimase attaccata alle gonne di Rossella, come una piccola ombra; e Geraldo era troppo gentiluomo per rimproverare sua figlia dinanzi a lei. Rossella fu costretta a riconoscere che Melania si comportava benissimo, regolandosi come se non fosse accaduto nulla; e riuscí perfino a trascinare Geraldo a discorrere, dopo che la cena fu servita. - Voglio sapere tutto della Contea - disse, guardandolo con un gaio sorriso. - Lydia e Gioia scrivono di rado e so che voi siete al corrente di tutto quanto succede. Parlateci del matrimonio di Joe Fontaine. Geraldo si ringalluzzí al complimento e disse che le nozze erano state senza chiasso, «non come quelle di voialtre» perché Joe aveva avuto solo pochi giorni di licenza. Sally, la piccola Munroe, era molto bellina. No, non ricordava come era vestita, ma aveva sentito dire che non aveva un «abito del secondo giorno». - Davvero? - fecero le ragazze scandalizzate. - È naturale, dal momento che non ha avuto un secondo giorno - spiegò Geraldo con una grassa risata, senza ricordarsi che queste osservazioni non erano adatte per orecchie femminili. Questa risata risollevò lo spirito di Rossella e ferí la delicatezza di Melania. - Perché Joe ritornò in Virginia l'indomani - si affrettò ad aggiungere Geraldo. - Quindi non vi sono state visite né balli. I gemelli Tarleton sono a casa. - Lo abbiamo saputo. Sono guariti? - No, sono stati feriti gravemente. Stuart ha avuto una pallottola in un ginocchio e Brent in una spalla. Avete anche saputo che sono stati citati all'ordine del giorno, per il loro coraggio? - No, raccontaci! - Sono due scervellati... tutti e due. Credo che in loro vi sia del sangue irlandese - proseguí Geraldo compiaciuto. - Non mi ricordo piú che cosa hanno fatto, ma Brent adesso è luogotenente. Rossella fu contenta di apprendere le loro imprese; contenta alla maniera di una proprietaria. Una volta che un uomo era stato suo spasimante ella era convinta che continuasse ad appartenerle; e tutte le buone azioni di lui risultavano a suo favore. - E ho sentito anche dire che vi stanno dimenticando entrambe. Pare che Stuart abbia ricominciato a corteggiare alle Dodici Querce. - Gioia o Lydia? - interrogò Melania eccitata, mentre Rossella spalancava tanto d'occhi, quasi indignata. - Naturalmente, Lydia. Non le faceva già la corte prima che questa mia civetta gli strizzasse l'occhio? - Oh! - esclamò Melania imbarazzata dall'espressione di Geraldo. - E oltre a questo, il giovine Brent ha preso a girare intorno a Tara. Rossella non trovò parole. La defezione dei suoi spasimanti le sembrò quasi un insulto. Specialmente se ricordava come erano stati furibondi i due gemelli, quando ella aveva detto che avrebbe sposato Carlo. Stuart aveva perfino minacciato di ammazzare Carlo o Rossella, o se stesso o tutti e tre. Era stata una cosa divertentissima. - Súsele? - chiese Melly con un lieto sorriso. - Ma credevo che Mr. Kennedy... - Quello? - fece Geraldo. - Franco Kennedy se la prende comoda. Ha paura della sua ombra. Se non si decide a parlare gli domanderò quali sono le sue intenzioni. No, si tratta della mia piccola. - Carolene? - Ma è una bambina! - esclamò aspramente Rossella ritrovando la parola. - Ha circa un anno di meno di quello che avevi tu quando ti sei sposata - ritorse Geraldo. - Invidii forse alla tua sorellina il tuo antico spasimante? Melly arrossí, non essendo abituata a quella franchezza; e accennò a Pietro di portare la torta dolce di patate. Cercò freneticamente un altro argomento di conversazione che fosse un po' meno personale e che distogliesse il signor O'Hara dallo scopo del suo viaggio. Non riuscí a trovar nulla, ma Geraldo una volta preso l'aire non aveva bisogno di altro stimolo, se non di un uditorio. Parlò dei rubalizi del commissario dipartimentale, che ogni mese aumentava le sue richieste; della supina stupidità di Jefferson Davis e della volgarità degli irlandesi che si erano arruolati nell'esercito yankee per il vile denaro. Quando fu portato il vino sulla tavola e le due ragazze si alzarono per lasciarlo solo a bere, Geraldo fissò uno sguardo severo su sua figlia e le ordinò di rimanere con lui alcuni minuti. Rossella lanciò un'occhiata disperata a Melly, la quale torse il fazzoletto, impotente, e uscí richiudendo piano la porta scorrevole. - Dunque, signorina! - muggí Geraldo versandosi un bicchiere di Porto. - Avete un bel modo di agire! Cercate già un altro marito mentre siete vedova da cosí poco tempo? - Non gridar tanto, babbo. I servi... - Certamente sono già al corrente, e tutti quanti sanno la nostra disgrazia; la tua povera mamma si è dovuta mettere a letto ed io non ho piú il coraggio di tener alta la fronte. È una vergogna. No, gattina, è inutile che cerchi di venirmi intorno con le lagrime questa volta - aggiunse in fretta e con un certo panico nella voce, vedendo Rossella battere le palpebre e torcere la bocca. - Ti conosco, hai civettato perfino alla veglia funebre di tuo marito. Non piangere. Stasera non dirò altro perché devo vedere questo bravo capitano Butler che fa cosí poco conto della reputazione di mia figlia. Ma domattina... via non piangere. Non serve proprio a nulla. Quel ch'è sicuro è che ti riporterò domani a Tara prima che tu ci disonori tutti un'altra volta. Non piangere, tesoro. Guarda che cosa ti ho portato. Non è un bel regalo? Guarda, ti dico! Come hai fatto a creare tutto questo impiccio, costringendomi a venir qui con tutto il mio da fare? Non piangere!

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Non credi che una brava signora come Miss Pittypat abbia in casa un po' di acquavite? Rossella si volse e attraversò in punta di piedi il vestibolo silenzioso per recarsi in sala da pranzo a prendere la bottiglia di acquavite, che lei e Melly chiamavano segretamente la «bottiglia dello svenimento» perché Pittypat ne prendeva sempre un sorso, quando il suo cuore delicato la faceva svenire - o fingere di svenire. Sul suo volto era scritto il trionfo e non vi era traccia di vergogna per il trattamento poco filiale usato verso Geraldo. Ora, se qualcun altro avesse scritto a Elena delle malignità, Geraldo saprebbe tranquillizzarla. E lei poteva rimanere ad Atlanta. E fare quasi tutto ciò che le piaceva, data la debolezza di Pittypat. Aperse l'armadio dei liquori e rimase un istante con la bottiglia e il bicchiere stretti contro il suo petto. Ebbe una lunga visione di picnic sulle acque gorgoglianti del fiumicello che scorreva lungo la Ripa dell'Albero di Pesco, e di banchetti alla Montagna Pietrosa, ricevimenti e balli, pomeriggi danzanti, gite in carrozzino e cene domenicali. Sarebbe stata dovunque, centro d'attrazione di una folla maschile. E gli uomini si innamoravano cosí facilmente, dopo che si facevano tante piccole cose per loro all'ospedale. Ora non le dispiaceva piú andarvi. Gli uomini si lasciano menare per il naso cosí volentieri quando sono stati ammalati! Cadono ai piedi di una bella ragazza come le pere di Tara cadono solo a scuotere l'albero, quando son mature. Tornò verso suo padre col liquore vivificante, ringraziando Dio che la testa di O'Hara non fosse stata capace di resistere al bere smodato della sera prima; e a un tratto si chiese se Rhett Butler non entrasse per nulla in quella faccenda.

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. - Siete l'uomo piú detestabile che io abbia mai conosciuto e non voglio vedervi mai piú! - Se aveste davvero quest'idea, calpestereste piuttosto il cappello. Però, come siete violenta e come vi si addice quest'espressione! Ma probabilmente lo sapete. Via, Rossella, pestate sotto i vostri piedini quel cappello per mostrarmi ciò che pensate di me e dei miei doni. - Non vi azzardate a toccarlo! - esclamò la giovine afferrando la tesa della cuffia e ritraendosi. Egli la inseguí ridendo dolcemente e le prese le mani fra le sue. - Siete cosí bambina, Rossella, che mi sento stringere il cuore. E giacché a quanto pare, vi aspettate di esser baciata, non vi deluderò. - Si curvò indolentemente e le sfiorò la guancia coi baffetti. - Ecco. E ora non vi pare che, per salvare le convenienze, dovreste darmi uno schiaffo? Con la bocca imbronciata, essa lo guardò e vide nei suoi occhi una tale espressione di divertimento che non poté fare a meno di scoppiare essa pure in una risata. Che tormento era, quell'uomo, e com'era esasperante! Ma se non aveva desiderio di sposarla e neanche di baciarla, che cosa voleva? E se non era innamorato di lei, perché veniva cosí spesso e perché le faceva dei regali? - Cosí è meglio - riprese Butler. - Ma io ho una pessima influenza sopra di voi, Rossella; e se aveste una briciola di buon senso mi mandereste fuori dai piedi... sempre che ne foste capace. È difficile liberarsi di me. Ma sono un danno per voi. - Davvero? - Non ve ne accorgete? Da quando vi ho vista alla vendita di beneficenza, il vostro contegno è stato veramente scandaloso; e in massima parte la colpa è mia. Chi vi ha incoraggiata a ballare? Chi vi ha costretta ad ammettere che pensavate che la nostra gloriosa Causa non è né gloriosa né sacra? Chi vi ha aiutata a dare alle vecchie signore una buona quantità di materiale per spettegolare? Chi vi fa togliere il lutto troppo tempo prima di quello che vogliono le convenienze? E chi, infine, vi ha costretta ad accettare un dono che nessuna signora accetterebbe? - Vi lusingate, capitano Butler. Non ho fatto nulla di scandaloso; e se ho fatto qualche cosa di ciò che avete detto, è stato senza il vostro aiuto. - Ne dubito - e il suo volto divenne improvvisamente cupo. - Senza di me sareste ancora la vedova desolata di Carlo Hamilton, famosa per il bene che fa ai feriti. A meno che... Ma ella non lo ascoltava, perché si stava guardando di nuovo nello specchio, compiaciuta e pensando che il giorno stesso metterebbe quel cappello per andare all'ospedale a portar dei fiori agli ufficiali convalescenti. Non si accorse della verità contenuta nelle ultime parole di lui. Non si rendeva conto che era stato lui ad aprirle la prigione della vedovanza; né che gli insegnamenti di Elena erano ormai molto lontani. Il mutamento era stato cosí graduale, che l'abbandono di una piccola convenzione sembrava non avesse alcun rapporto con l'abbandono di un'altra; e nessuna delle due cose con Rhett. Incoraggiata da lui, ella aveva dimenticato le piú severe ingiunzioni di sua madre sulle convenienze, dimenticato le lezioni concernenti il contegno di una signora. Vedeva soltanto che il cappello era il piú grazioso del mondo, che non le costava un penny e che Rhett doveva essere innamorato di lei, lo ammettesse o no. E certo troverebbe modo di farglielo confessare.

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Oggi abbiamo marciato attraverso i piú grandi campi di grano che io abbia mai visto. È di una qualità diversa dal nostro. Debbo confessare che abbiamo fatto un po' di bottino di questo grano perché abbiamo molta fame e quello che si fa senza che il generale veda, non può meritar punizione. Ma il grano verde ci ha fatto male. Tutti i miei compagni avevano la dissenteria e quel grano l'ha aggravata. È piú facile camminare con una gamba ferita che con la dissenteria. Ti raccomando, papà; cerca di procurarmi le scarpe. «Ora son capitano e un capitano dovrebbe essere calzato, anche se non ha un'uniforme nuova e le spalline.» Ma l'esercito era in Pennsylvania, e questo era l'importante. Ancora una vittoria e la guerra sarebbe finita; e allora Darcy Meade potrebbe avere tutte le scarpe che voleva e i ragazzi tornerebbero a casa e tutti sarebbero felici. Gli occhi della signora Meade si riempivano di lagrime quando ella si raffigurava il figliolo soldato, finalmente di ritorno per rimanere a casa. Il tre di luglio il telegrafo tacque improvvisamente. Fu un silenzio che durò sino al mezzogiorno del quattro, quando notizie frammentarie cominciarono a giungere al quartier generale di Atlanta. Vi era stata una violenta battaglia in Pennsylvania, presso una piccola città chiamata Gettysburg; una grande battaglia a cui aveva preso parte tutto l'esercito di Lee. La notizia era incerta perché la battaglia era stata combattuta in territorio nemico; e l'informazione era venuta attraverso Maryland, poi era giunta a Richmond e da qui ad Atlanta. L'attesa divenne ansiosa e un certo spavento cominciò a serpeggiare per la città. Le famiglie che avevano dei figlioli al fronte pregavano ardentemente che essi non si trovassero in Pennsylvania, ma coloro che li sapevano nello stesso reggimento di Darcy Meade, stringevano i denti e dicevano che era un onore per essi trovarsi alla grande battaglia che avrebbe sconfitto gli yankees per sempre. Nella casa della zia Pitty le tre donne si guardavano negli occhi con un terrore che non riuscivano a nascondere. Ashley era nel reggimento di Darcy. Il giorno cinque giunsero cattive informazioni, non dal nord, ma dall'ovest. Vicksburg era caduta, dopo lungo e amaro assedio; e praticamente tutto il Mississippi, da Saint-Louis a Nuova Orléans, era nelle mani degli yankees. La Confederazione era tagliata in due. In qualsiasi altro momento la notizia di questo disastro avrebbe dato luogo a paura e lamentazioni. Ma ora non si poteva troppo pensare a Vicksburg; vi era la preoccupazione di Lee in Pennsylvania. La perdita di Vicksburg non sarebbe stata una catastrofe se Lee avesse vinto. Da quella parte, ad est, erano Filadelfia, Nuova York, Washington. La loro cattura paralizzerebbe il nord e neutralizzerebbe la disfatta sul Mississippi. Le ore passavano e l'ombra cupa della calamità si addensava sulla città. Dovunque capannelli di donne si formavano dinanzi ai porticati, sui marciapiedi, perfino in mezzo alla strada, dicendosi che nessuna nuova è buona nuova, tentando di confortarsi a vicenda, cercando di darsi coraggio. Ma la voce spaventosa che Lee era ucciso, la battaglia perduta, e che vi era un'enorme quantità di morti e feriti si diffuse nelle strade tranquille della città come un stormo veloce di pipistrelli. Benché increduli, tutti, agitati dal panico, si precipitarono ai giornali, al Quartier Generale, chiedendo notizie, qualsiasi notizia, anche cattiva. Al deposito si formò una vera folla che sperava avere informazioni dai treni in arrivo; all'ufficio telegrafico, dinanzi al Quartier Generale, erano strane folle silenziose e che diventavano sempre piú dense. Nessuno parlava. A quando a quando la voce tremante di un vecchio chiedeva se si sapeva nulla; ma l'inesorabile risposta era sempre uguale: - Nessun telegramma ancora dal nord, se non la conferma che stanno combattendo. - Le donne che giungevano a piedi e in carrozza erano sempre piú numerose, e il calore che emanava quella moltitudine e la polvere sollevata dai piedi irrequieti erano soffocanti. Nessuna parlava, ma i volti pallidi avevano una muta eloquenza piú efficace di ogni lamento. Ben poche erano le famiglie in città che non avevano al fronte un figlio, un fratello, un padre, un amante, un marito. Tutti attendevano di udire che la morte aveva bussato alla loro casa. Attendevano la morte, non la sconfitta. Questo era un pensiero che non entrava nelle loro menti. Potevano morire a migliaia; ma, come i denti del dragone, altre migliaia di uomini, col grido dei ribelli sulle labbra, scaturirebbero dalla terra a prendere il loro posto. Nessuno sapeva da dove questi uomini sarebbero venuti. Ma erano certi, come erano certi che in Cielo regnava un Dio giusto e vigilante, che Lee era miracoloso, e l'esercito della Virginia invincibile.

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Piú tardi, probabilmente troverà orribile pensare che uno speculatore abbia recato la notizia della morte di un eroe.

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È naturale che abbia rifiutato. Quando Rossella accompagnò Rhett alla porta, gli chiese, indignata: - Se foste stato voi, non vi sareste arruolato con loro, per evitare di morire in quel luogo, e non avreste poi disertato? - Senza dubbio - rispose Rhett, facendo brillare i suoi denti bianchi sotto ai baffetti neri. - E allora perché Ashley non l'ha fatto? - Perché è un gentiluomo. E Rossella si chiese come fosse possibile mettere in quella parola rispettosa tanto cinismo e tanto disprezzo.

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. - Mi pare che il capitano Ashburn abbia affermato recentemente che il generale Johnston ne ha solo quarantamila, contando fra questi anche i disertori incoraggiati a tornare dall'ultima vittoria. - Signore - fece indignata la signora Meade - nell'esercito confederato non vi sono disertori. - Domando scusa - replicò Butler inchinandosi beffardamente. - Intendevo parlare di quelle migliaia che erano in licenza e dimenticarono di raggiungere i loro reggimenti e di quelli che sono guariti delle loro ferite da sei mesi ma rimangono a casa ad occuparsi dei loro affari. La signora Meade si morse le labbra. Rossella avrebbe riso volentieri della sua sconfitta, perché Rhett aveva colpito il bersaglio. Vi erano in realtà centinaia di uomini appiattati nelle montagne e nelle paludi e che sfidavano la Guardia Nazionale a costringerli a tornare in servizio. Alcuni dichiaravano che la guerra era uguale «per i ricchi e per i poveri» e che loro avevano fatto abbastanza. E vi erano coloro che, pur essendo portati sui ruoli come disertori, non avevano intenzione di disertare permanentemente; gente che da tre anni non aveva mai avuto una licenza, mentre ricevevano da casa lettere che dicevano: «Abbiamo fame. Non c'è raccolto perché non c'è nessuno per arare i campi e seminare». E il coro era sempre lo stesso: «abbiamo fame, fame, fame». Quando a costoro fu rifiutata la licenza, essi andarono a casa facendone a meno, per arare i loro campi e seminarli, per riparare le loro case e riattare le siepi. Gli ufficiali, comprendendo la situazione, scrissero allora a quegli uomini che se avessero raggiunto le loro compagnie, nessuno avrebbe detto loro nulla. E generalmente i soldati tornavano, dopo aver fatto sí che per qualche mese le loro donne e i loro bambini avessero da sfamarsi. Queste licenze «per arare» non erano considerate come «diserzione di fronte al nemico», ma indebolivano ugualmente l'esercito. Il dottor Meade si affrettò a interrompere la pausa di disagio che aveva seguito le parole di Butler. - La differenza numerica fra i due eserciti non ha mai avuto importanza, capitano Butler. Un confederato vale una dozzina di yankees. - Questo era vero prima della guerra - ribatté Butler. - E forse è ancora vero, purché il soldato confederato abbia munizioni per il suo fucile, scarpe ai piedi e cibo nello stomaco. Non è cosí, capitano Ashburn? La sua voce era dolce e piena di speciosa umiltà. Carey Ashburn si sentí a disagio. Egli pure aveva antipatia per Rhett e si sarebbe schierato volentieri col dottore; ma non poteva mentire. La ragione per cui aveva chiesto di tornare al fronte, malgrado il suo braccio invalido, era perché, a differenza dei borghesi, si rendeva conto della difficoltà della situazione. Altri uomini con una gamba di legno, ciechi da un occhio, senza un braccio o mutilati di una mano, avevano chiesto di lasciare i commissariati, i servizi ospedalieri, postali o ferroviari per raggiungere le loro unità combattenti. Sapevano che il Vecchio Joe aveva bisogno di tutti gli uomini, anche poco validi. Non rispose; e il dottor Meade, perdendo il controllo, tuonò: - I nostri uomini hanno combattuto senza scarpe e senza cibo e hanno vinto! E combatteranno e vinceranno ancora! Vi ho detto che Johnston non può essere sloggiato! I passi delle montagne sono sempre stati la difesa piú sicura di un paese. Ricordatevi... le Termopili! Rossella cercò di ricordarsi che cosa volesse dire quella parola, ma non vi riuscí. - Morirono tutti, fino all'ultimo, non è vero? - chiese Rhett, con le labbra impercettibilmente stirate da un riso represso. - Mi state insultando, giovinotto? - Dio me ne guardi, dottore! Mi fraintendete! Ho chiesto solo per informazione. Non ho molta memoria per la storia antica. - Se sarà necessario, il nostro esercito morirà fino all'ultimo uomo prima di permettere agli yankees di entrare in Georgia - ribatté il dottore con aria di sfida. - Ma non sarà necessario. Li scacceranno dalla regione con qualche scaramuccia. Vedendo che la conversazione rischiava di degenerare, zia Pitty si alzò in fretta e pregò Rossella di suonare e cantare qualche cosa. Aveva preveduto che invitando Rhett a cena avrebbe avuto qualche noia. Succedeva sempre cosí, quando egli era presente. Dio, Dio, ma che cosa trovava Rossella in quell'uomo? E Melania, perché lo difendeva sempre? Rossella rientrò in salotto e nel porticato fu un silenzio denso di risentimento contro Rhett. Credere nell'invincibilità del generale Johnston era un dovere; ma chi era tanto traditore da non credere, doveva almeno avere il buon senso di tacere. Rossella trasse qualche accordo, quindi la sua voce si levò, dolce e triste, nelle parole di una canzone popolare. «In una corsia dalle pareti imbiancate ove giacciono morti e moribondi... - feriti di baionetta, di proiettili, di schegge - in un giorno lontano nacque una creatura. «Una creatura cara a qualcuno giovine e coraggioso!, che aveva ancora sul volto pallido e dolce - fra poco celato nella polvere della tomba - la luce languida della sua grazia adolescente.» - «I riccioli d'oro sono opachi e impolverati...» - continuò malinconicamente Rossella con la sua voce di soprano un po' tremula; ma Fanny si levò a metà esclamando con voce debole e soffocata: - Canta un'altra cosa! Il piano tacque a un tratto; Rossella era rimasta stupita e confusa. Quindi si affrettò ad accennare alle battute d'introduzione di «Tunica grigia», ma si fermò all'improvviso, ricordando che anche questa canzone era troppo descrittiva. Inutile: tutte le canzoni parlavano di morte, di separazione, di dolore. Rhett si alzò in fretta, depose Wade nel grembo di Fanny ed entrò rapidamente nel salotto. - Suonate «La mia vecchia casa nel Kentucky» suggerí piano; e Rossella ubbidí, riconoscente. Alla sua voce si uní l'ottimo basso di Rhett, e quando essi cominciarono la seconda strofa, quelli che erano rimasti nel portico respirarono piú liberamente, benché anche quella non fosse una canzone eccessivamente gaia. «Ancora pochi giorni, per trasportare il pesante fardello! Impossibile renderlo piú leggero! Ancora pochi giorni, finché vacilleremo sulla strada... e poi, mia vecchia casa del Kentucky, buona notte!»

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spero che il Vecchio Joe abbia fortuna. Il generale Lee non può aiutarlo perché ha da fare nella Virginia. Perciò le truppe della Georgia sono l'unico rinforzo che può avere. Ma se fanno tanto da respingerlo dalle montagne e farlo scendere nella pianura di Atlanta ricordatevi le mie parole: sarà un macello. - La pianura di Atlanta? Ma è impossibile che gli yankees vi arrivino. - Kennesaw è soltanto a ventidue miglia, e scommetto... - Guardate lí in istrada, Rhett! Tutta quella gente! Non sono soldati! Che diamine...? Sono negri! Sulla strada si avanzava una nube di polvere rossa da cui veniva uno scalpiccio di piedi nudi; un centinaio e piú di voci negre, rauche e profonde, cantavano un inno. Rhett trasse la carrozza al di là della curva della strada e Rossella guardò curiosamente il gruppo di negri con zappe e picconi sulle spalle, guidati da un ufficiale e accompagnati da un gruppo di uomini che portavano le insegne del corpo del genio. - Che diamine...? - ricominciò. A un tratto i suoi occhi si posarono su un negro che era nella prima fila: un gigante alto quasi un metro e novanta, di un nero d'ebano, che camminava con la grazia flessuosa di una belva; i suoi denti bianchi brillavano mentre cantava «Scendi, o Mosè». Certamente sulla terra non vi era un altro negro cosí alto e con una voce cosí forte, eccettuato il grosso Sam, il capolavorante di Tara. Ma che diamine faceva qui il grosso Sam, cosí lontano da casa, specialmente ora che mancava il sorvegliante ed egli era il braccio destro di Geraldo? Mentre Rossella si sollevava a metà sul sedile della carrozza per vedere meglio, il gigante la scorse e sul suo volto nero si disegnò una smorfia di contentezza. Si fermò, lasciò cadere la sua zappa, e si avviò verso di lei, chiamando i negri piú vicini: - Dio onnipotente; Essere Miss Rossella! Guarda, Elia! Profeta! Apostolo! Vedere Miss Rossella! Vi fu confusione nei ranghi. La folla si fermò incerta, ghignando, e il grosso Sam, seguito da altri tre grandi negri, attraversò di corsa la strada verso la carrozza, seguito dall'ufficiale che gridava. - Tornate in linea! Tornate indietro vi dico, o... Oh, ma è Mrs. Hamilton! Buon giorno, signora; ed anche a voi, signore. Ma che cosa fate? Provocate l'ammutinamento e l'insubordinazione? Dio sa se mi hanno dato poco da fare stamattina, costoro! - Oh, capitano Randall, non li sgridate! Sono i nostri schiavi. Questo è il grosso Sam, il nostro capolavorante. E gli altri sono Elia, Apostolo e Profeta di Tara. È naturale che vengano a salutarmi. Come state, ragazzi? Strinse le mani a tutti; la sua bianca manina scomparve in quelle enormi dei negri, i quali furono pieni di gioia e di orgoglio, mentre spiegavano ai loro compagni che quella era la loro bella signorina. - Ma che cosa fate, cosí lontano da Tara? Scommetto che siete scappati. Essi risero compiaciuti. Poi il grosso Sam rispose: - Scappati? No, non essere scappati. Loro essere venuti a prenderci perché noi essere i piú grandi e piú forti di Tara. Avere specialmente cercato me, perché cantare cosí bene. Sí, Mist' Frank Kennedy essere venuto a prenderci. - Ma perché, grosso Sam? - Come, Miss Rossella! Non avere sentito? Noi dovere scavare trincee per signori bianchi per nascondersi dentro quando venire yankees. Il capitano Randall e i due che erano in carrozza nascosero un sorriso per questa ingenua spiegazione dell'uso delle trincee. - Mr. Geraldo non volere lasciarmi andare perché dire che non poter fare senza me, ma Mrs. Elena avere detto: «Prendere lui, Mr. Kennedy; Confederazione avere bisogno di grosso Sam piú di noi». E avere dato a me un dollaro e detto di fare tutto quello che ufficiali bianchi ordinare. E noi essere qui. - Che vuol dire tutto questo, capitano Randall? - Oh, molto semplice. Dobbiamo aggiungere alle fortificazioni di Atlanta parecchie miglia di trincee, e il generale non può occupare a questo dei combattenti. Perciò abbiamo cercato nelle campagne i tipi piú robusti per fare tutto il lavoro. - Ma... Un freddo principio di spavento strinse il petto di Rossella. Miglia di trincee! Per che cosa potevano servire? L'anno prima era stato costruito un certo numero di ridotte con piazzole per artiglieria tutto intorno ad Atlanta, a un miglio dal centro della città. Questi grandi lavori sotterranei erano collegati con fossati che circondavano completamente la città. - Ma... perché dobbiamo essere fortificati piú di quanto siamo già? Certamente il generale non lascerà che... - Le nostre fortificazioni attuali sono soltanto a un miglio dalla città - replicò brevemente il capitano Randall. - E sono troppo vicine per essere comode... o sicure. Queste nuove giungeranno assai piú lontano. Un altro ripiegamento condurrebbe i nostri uomini in Atlanta. Rimpianse immediatamente di aver detto queste parole, perché vide gli occhi di lei dilatarsi dal terrore. Ma certamente non vi sarà un altro ripiegamento - si affrettò a soggiungere. - Le linee attorno a Kennesaw sono inespugnabili. Le batterie sono piantate al sommo delle montagne e dominano le strade; quindi gli yankees non possono in nessun modo attraversarle. Ma Rossella vide che egli abbassava gli occhi dinanzi allo sguardo penetrante di Rhett e fu sgomentata. Ricordò l'osservazione di Butler: «Se riescono a farlo ritirare nella pianura d'Atlanta, sarà un macello». - Ma credete, capitano... - Ma no! Non vi preoccupate. Il Vecchio Joe ritiene giusto prendere delle precauzioni che sono eccessive. Questo il motivo delle nuove trincee... Ma ora dobbiamo andare. Molto lieto di avervi veduta. Salutate la vostra padrona, ragazzi, e andiamo. - Addio, ragazzi. Se state poco bene, o altro, informatemi. Abito in Via dell'Albero di Pesco; quasi l'ultima casa della città. Un momento... - Frugò nella sua reticella. - Dio mio, non ho neanche un quattrino. Per favore, Rhett, datemi qualche spicciolo. Tieni, grosso Sam, compra un po' di tabacco per te e per i tuoi compagni. E siate buoni e ubbidienti col capitano Randall. Il gruppo si riformò, la polvere si levò nuovamente in una nuvola rossa quando essi ripresero a camminare. E la voce del grosso Sam si levò un'altra volta a cantare: «Scendi, Moseeeè! Quaggiú, sulla teeeerra d'Egiiiitto! E di' al vecchio Faraooone di lasciarci andar liiiiberi!» - Rhett, il capitano Randall mi ha mentito, come tutti gli uomini... che cercano di nasconderci la verità per timore dei nostri svenimenti. Se non vi è pericolo, Rhett, perché fanno queste nuove fortificazioni? E l'esercito è cosí povero d'uomini che occorre servirsi dei negri? Rhett diede la voce alla giumenta. - L'esercito è terribilmente impoverito. Altrimenti, perché verrebbe chiamata la Guardia Nazionale? Quanto alle fortificazioni, possono servire in caso d'assedio. Il generale si prepara a compiere qui la sua ultima ritirata. - Un assedio! Oh, voltate il cavallo. Voglio tornare a casa mia, a Tara, subito subito. - Perché tanta fretta? - Un assedio! Ma ci pensate: un assedio! Dio mio, ne ho sentito parlare... Il babbo ci si è trovato, o forse suo padre, e mi ha raccontato... - Quale assedio? - Quello di Drogheda, quando Cromwell strinse gli irlandesi e questi non avevano nulla da mangiare... Il babbo mi ha detto che morivano di fame per le strade e che finirono col mangiare gatti e topi e perfino scarafaggi... E mi ha detto che prima di arrendersi si mangiarono gli uni con gli altri... ma non so se questo sia vero. Un assedio! Madre di Dio! - Siete la donna piú barbaramente ignorante che io abbia conosciuta. L'assedio di Drogheda è stato nel Seicento e qualche cosa, e il signor O'Hara non può esservisi trovato. Del resto, Sherman non è Cromwell. - Ma è peggio! Dicono... - Quanto alle carni strambe mangiate dagli irlandesi... vi assicuro che per conto mio preferirei un topo ben cucinato a certa roba che mi propinano all'albergo. Credo che farò bene a tornare a Richmond. Lí c'è ancora da mangiar bene se si ha denaro per pagarlo. I suoi occhi irridevano lo sgomento dipinto sul volto di lei. Irritata di aver lasciato vedere la propria paura, ella gridò: - Non so davvero perché siate rimasto qui tanto tempo! Non pensate se non a mangiar bene e altre cose del genere! - Trovo che è il miglior modo di passare il tempo: mangiare e... hm, altre cose del genere. Quanto all'essere rimasto qui... ho letto tante descrizioni di assedi, ma non ne ho mai visto nessuno. Non mi dispiacerebbe assistervi. Non ho nulla da temere, non essendo un combattente; e quest'esperienza mi attira. Non bisogna mai trascurare le esperienze, Rossella: esse arricchiscono la mente. E poi rimango per salvarvi quando vi sarà l'assedio. Non ho mai salvato una donna in pericolo. Anche questa sarà un'esperienza interessante. Rossella sentiva che egli la prendeva in giro; ma che nelle sue parole era un fondo di serietà. Crollò la testa, infastidita. - Non ho nessun bisogno che mi salviate. So badare a me stessa, grazie. - Non lo dite, Rossella! Pensatelo, se volete, ma non ditelo mai a un uomo. Questo è il torto delle ragazze yankee, che sarebbero simpaticissime se non dicessero sempre che non hanno bisogno di nessuno. E allora gli uomini lasciano che se la sbroglino da sole. Fu seccatissima, perché nessun insulto poteva esser peggiore che l'essere paragonata a una ragazza yankee. - Come correte! - gli disse quindi gelida. - Mi raccontate delle frottole; sapete benissimo che gli yankees non arriveranno mai ad Atlanta. - Scommetto che saranno qui fra meno di un mese. Scommetto una scatola di dolci contro... - I suoi occhi neri corsero alle rosee labbra di lei. - Contro un bacio. Per un attimo il timore dell'invasione yankee le strinse il cuore, ma la parola «bacio» la distrasse subito. Questo era un terreno conosciuto, assai piú interessante delle operazioni militari. Represse a stento un sorriso di trionfo. Dal giorno in cui le aveva regalato il cappello verde, Rhett non aveva mai detto una parola che potesse essere interpretata come quella di un innamorato. E adesso, senza nessun incoraggiamento da parte sua, eccolo che parlava di baci. - Non mi piacciono questi discorsi - replicò con freddezza. - E del resto, preferirei baciare un maiale. - Non si tratta di gusto; e d'altronde ho sempre sentito che gli irlandesi hanno simpatia per i porci. Li tengono perfino sotto al letto. Ma voi, Rossella, avete un tremendo bisogno di baci. Tutti i vostri spasimanti vi hanno rispettata troppo, Dio sa perché!, o hanno avuto paura di comportarsi come bisognava con voi. Il risultato è che vi date delle arie insopportabili. Avete bisogno di esser baciata, e da uno che sa baciare. La conversazione non si svolgeva come Rossella desiderava; cosa che le accadeva sovente con lui. - E probabilmente credete di esser voi la persona adatta? - gli chiese con sarcasmo, dominandosi a stento. - Senza dubbio, se volessi prendermi la pena... Dicono che so baciare molto bene. - Oh... - cominciò indignata nel sentire cosí messo in non cale il suo fascino. Ma abbassò gli occhi confusa, vedendo nella profondità dei suoi occhi, malgrado il sorriso irridente, una fiammella che si spense subito. - Probabilmente, vi sarete chiesta perché non ho dato alcun seguito a quel casto bacetto che vi diedi, il giorno in cui vi portai il cappello... - Non ho mai... - Vuol dire che non siete sensibile, Rossella; e questo mi dispiace. Tutte le ragazze sensibili si stupiscono se un uomo non tenta di baciarle. Sanno che non dovrebbero desiderarlo e che dovrebbero sentirsi insultate se un uomo lo facesse... ma lo desiderano ugualmente. Fatevi coraggio, cara. Un giorno o l'altro vi bacerò e la cosa vi piacerà. Ma adesso no; perciò vi prego di non essere impaziente. Come sempre, il suo scherno la rendeva furente. Vi era sempre troppa verità in quello che egli diceva. Ma questo era troppo. Gli darebbe una buona lezione, il giorno in cui fosse tanto villano da tentare di prendersi qualche libertà! - Volete aver la bontà di voltare il cavallo, capitano Butler? Desidero tornare all'ospedale. - Davvero, bell'angelo assistente? Pidocchi e catini di sangue sono preferibili alla mia conversazione? Lungi da me impedire a due mani volenterose di lavorare per la Nostra Causa Gloriosa! - Voltò il cavallo e questo riprese il cammino verso i Cinque Punti. - Quanto al fatto di non aver mosso piú alcun passo - riprese come se ella non gli avesse fatto comprendere che la conversazione era terminata - vi dirò che aspettavo che foste un po' piú donna. Sono egoista, nei miei piaceri; e non ho mai amato baciare le bambine. Accennò a un sogghigno, vedendo con la coda dell'occhio il seno di lei che ansimava di collera silenziosa. - E poi - continuò dolcemente - aspettavo che il ricordo dello stimabile Ashley Wilkes impallidisse alquanto. All'udire il nome di Wilkes, una pena improvvisa le strinse il cuore, mentre le lagrime le pungevano gli occhi. Impallidire, il ricordo di Ashley? Neanche se fosse morto da mille anni. Pensò al giovine ferito, moribondo in una lontana prigione yankee, senza un cencio per coprirsi, senza una persona amata che gli tenesse la mano, e fu piena di odio verso l'uomo ben pasciuto che le sedeva accanto e che le parlava con un leggero sarcasmo nella voce strascicata. Era troppo adirata per parlare, sicché continuarono per un poco a procedere in silenzio. - Ora ho ricostruito tutto sul conto vostro e di Ashley - riprese Rhett dopo un certo tempo. - Ho cominciato quando avete fatto quella volgare scenata alle Dodici Querce; e da quel giorno ho appreso molte cose tenendo gli occhi aperti. Quali cose? Per esempio, che voi nutrite ancora per lui una romantica passione da scolaretta, che egli ricambia nei limiti che la sua natura di uomo onesto gli permette. E che Mrs. Wilkes non ne sa nulla; fra tutti e due, le avete fatto un bello scherzo. Ho capito tutto, meno una cosa che punge la mia curiosità. L'ineffabile Ashley ha mai compromesso la sua anima immortale baciandovi? Un silenzio e un gesto del capo che si volgeva altrove furono la risposta. - Bene; dunque vi ha baciata. Immagino che sia stato quando fu qui in licenza. E ora che probabilmente è morto, voi circondate di un culto quel ricordo. Ma sono certo che finirete col dimenticarlo e allora... Ella si volse come una furia. - Allora... andate al diavolo! - E i suoi occhi verdi brillavano di collera. - E fatemi scendere da questa carrozza prima che io mi getti a terra. E non voglio che mi rivolgiate la parola mai piú! Egli fermò la carrozza; ma prima che potesse scendere per aiutarla, ella era balzata a terra. L'abito le si impigliò nella ruota, e per un attimo la folla dei Cinque Punti ebbe una rapida visione di sottovesti e mutandine. Ma Rhett si chinò e la liberò con sveltezza. Ella sfuggí senza una parola, senza neanche voltarsi indietro; l'uomo rise piano e diede la voce al cavallo.

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Davvero, è la piú strana situazione che io abbia mai visto! - Non ci vedo nulla di strano - rispose Rossella a disagio, immediatamente all'erta. - No? Curioso. La mia impressione, fino a poco tempo fa, era che non potevate sopportare vostra cognata. La credevate stupida, e le sue idee patriottiche vi davano noia. Perciò mi stupisce che abbiate compiuto l'altruistico gesto di rimanere con lei durante questo bombardamento. Dunque, perché lo avete fatto? - Perché è sorella di Carlo... ed è come una sorella per me - replicò Rossella con la maggior dignità possibile, sentendosi arrossire nel buio. - O meglio perché è la vedova di Ashley Wilkes. Rossella balzò in piedi. - Stavo quasi per perdonarvi il vostro villano contegno, ma vedo che è impossibile. Non avrei dovuto nemmeno lasciarvi entrare qui, ma mi sentivo talmente depressa che... - Sedete e lisciatevi il pelo arruffato, gattina rabbiosa. La sua voce era mutata. Si alzò e la spinse nuovamente nella sua poltrona. - Perché siete depressa? - Perché ho avuto oggi una lettera da Tara. Gli yankees sono vicino a casa e la mia sorellina è a letto col tifo... e ora, anche se potessi andare a casa, la mamma non vuole per paura del contagio per me. E se sapeste che desiderio ho della mia casa! - Non piangete adesso. - La sua voce si era addolcita. - Siete molto piú sicura qui ad Atlanta, anche se vengono gli yankees, che a Tara, Non vi faranno niente di male. - Non mi faranno male! Perché mentite? - Cara bambina, gli yankees non sono dei selvaggi. Sono simpatici come molti meridionali... eccetto il fatto che sono piú maleducati e che hanno un accento orribile. - Volete dire che gli yankees non... - Non vi violerebbero? Credo di no. Benché credo che ne avrebbero veramente il desiderio. - Se parlate in questo modo ignobile, sarò costretta a rientrare. - E fu lieta che le tenebre nascondessero il suo rossore. - Perché vi arrabbiate quando vi dico quello che pensate? Tutte le nostre delicate signore non pensano ad altro. Scommetto che perfino le vecchie come la signora Merriwether... Rossella inghiottí senza rispondere, ricordando che quando due o tre signore erano riunite, in quei tristi giorni, raccontavano sottovoce simili avvenimenti, capitati in Virginia o in Luisiana; mai troppo vicino a casa. Gli yankees violavano le donne, sbudellavano i bambini con le baionette e bruciavano le case in cui rimanevano le persone d'età. Anche Rhett doveva sapere che tutto ciò era vero. E aver la delicatezza di non parlarne. Comunque, non c'era punto da ridere. Era proprio odioso in certi momenti. Anzi, quasi sempre. Era terribile un uomo che sapeva che cosa pensavano le donne e di che cosa parlavano. Certo non poteva aver queste cognizioni da nessuna donna come si deve. - E a proposito - rispose Rhett - avete un'accompagnatrice o qualche persona del genere in casa? La rispettabile Mrs. Merriwether o Mrs. Meade? Mi guardano sempre come se pensassero che vengo per Dio sa quali scopi malvagi. - Di solito, la sera viene Mrs. Meade. Ma stasera non ha potuto. C'è Phil a casa - rispose Rossella lieta di cambiare argomento. - Che fortuna trovarvi sola! Qualche cosa nella voce di lui le fece battere il cuore piú rapidamente. Aveva udito troppo spesso quella nota di dolcezza nelle voci maschili per non sapere che essa preludiava a una dichiarazione d'amore. Che divertimento! Come si vendicherebbe, ora, di tutti i sarcasmi coi quali l'aveva bersagliata ad ogni istante! Gli darebbe una lezione tale, da cancellar per sempre l'umiliazione del giorno in cui egli l'aveva vista percuotere Ashley sul viso. E poi gli direbbe con tenerezza che poteva essere solo una sorella per lui e si ritirerebbe con tutti gli onori della guerra. Rise nervosamente pregustando quella gioia. - Non ridete - disse Rhett; e prendendole la mano la voltò e premette le sue labbra sul palmo. Qualche cosa di vitale, di elettrico percorse tutto il suo corpo al contatto di quelle labbra calde. Le labbra arrivarono al suo polso; pensando che in quel modo egli avrebbe sentito che il suo sangue correva piú velocemente, ella cercò di ritrarre la mano. Non aveva calcolato questo... quella corrente traditrice che le faceva desiderare di ficcargli le mani tra i capelli, di sentire le labbra di lui sulla propria bocca. Non era innamorata di lui, disse confusamente fra sé. Era innamorata di Ashley. Ma come spiegare quella sensazione che le faceva tremare le mani e sentir freddo alla bocca dello stomaco? Egli rise piano. - Non vi scostate! Non vi faccio male! - Farmi male? Non ho paura di voi né di nessuno! - esclamò, furente nel sentire che la sua voce tremava. - Un bellissimo sentimento; ma parlate piú sottovoce. Mrs. Wilkes potrebbe udirvi. E ricomponetevi. - Sembrava contentissimo della sua emozione. - Rossella, io vi piaccio, non è vero? Questo somigliava di piú a quanto ella si aspettava. - Qualche volta - rispose guardinga. - Quando non vi comportate come un mascalzone. Rise di nuovo e posò il palmo della manina contro la propria guancia ruvida. - Credo di piacervi proprio perché sono un mascalzone. Ne avete conosciuti cosí pochi, che questa differenza è quella che forma il mio strano fascino agli occhi vostri. Non era questa la conversazione che ella sperava. Perciò cercò nuovamente di liberare la sua mano, ma senza successo. - Non è vero! Mi piacciono gli uomini come si deve... quelli che serbano sempre il contegno di un gentiluomo. - Volete dire quelli che potete sempre dominare. È questione di definizione. Ma non importa. Ora le baciava nuovamente il palmo ed ella sentiva un brivido correrle lungo la schiena. - Ma vi piaccio. Potrete mai amarmi, Rossella? «Ci siamo!» pensò Rossella trionfante. E rispose con studiata freddezza: - Non credo, a meno che non mutiate considerevolmente il vostro modo di fare. - Non ne ho affatto l'intenzione. Dunque, non potreste amarmi? Meno male. Perché, mentre mi piacete immensamente, non vi amo; e sarebbe tragico per voi soffrire una seconda volta per amore non corrisposto, non è vero, cara? Posso chiamarvi cara, Mrs. Hamilton? Bisogna rispettare le convenienze! - Non mi amate? - No davvero. Lo speravate? - Non siate cosí presuntuoso! - Lo speravate! Ahimé, povere speranze! No, non vi amo. Ma mi piacete moltissimo, per l'elasticità della vostra coscienza, per l'egoismo che raramente vi curate di nascondere e per l'astuzia che dovete avere ereditato, temo, da qualche contadino irlandese vostro avo non troppo remoto. Contadino! Come la insultava! Si sentí soffocare senza trovar parole per rispondergli. - Non interrompetemi - continuò Rhett stringendole la mano. - Mi piacete perché io ho queste stesse qualità, e ogni simile cerca il proprio simile. Capisco che voi conservate ancora una cara memoria di quel divino testa-di-legno di Wilkes che probabilmente è sotterra da sei mesi. Ma nel vostro cuore dev'esservi posto anche per me. Finitela di agitarvi! Vi sto facendo una dichiarazione. Vi ho desiderata da quando vi vidi per la prima volta, nel vestibolo delle Dodici Querce, mentre stregavate il povero Carlo Hamilton. Vi desidero piú di quanto abbia desiderato qualunque altra donna... e vi ho aspettata piú di quanto abbia atteso qualunque altra. Queste ultime parole le tolsero il respiro. Malgrado i suoi insulti, egli l'amava; ma era cosí perverso che non voleva dirlo francamente, anche per timore che lei ne ridesse. Bene, ora gliela darebbe lo stesso la lezione! - Mi state chiedendo di sposarvi? Egli lasciò cadere la sua mano e rise cosí forte che ella ricadde indietro nella poltrona. - Dio mio, no! Non vi ho già detto che io sono uno di quelli che non si sposano? - Ma... allora... che cosa... Si alzò in piedi e, con una mano sul cuore, le fece un inchino burlesco. - Cara - le disse tranquillo - faccio un complimento alla vostra intelligenza chiedendovi di essere la mia amante senza avervi prima sedotta. Amante! Dentro di lei la parola risuonò come un insulto. Ma in quel primo momento ella non si sentí insultata. Fu solo invasa dall'indignazione che egli potesse crederla cosí sciocca. Rabbia, vanità offesa e delusione le diedero una specie di vertigine e, prima ancora che le venissero in mente le alte ragioni morali con le quali avrebbe potuto rimproverarlo, ella gli lanciò le prime parole che le salirono alle labbra. - La vostra amante! e che cosa ci guadagnerei, se non qualche marmocchio? Subito dopo fu inorridita di ciò che aveva detto. Egli rise cordialmente, cercando di vederla, seduta nell'oscurità, come colpita dal fulmine, col fazzoletto premuto sulla bocca. - Questo è quello che mi piace in voi! Siete la sola donna sincera che conosco, la sola che guarda il lato pratico delle cose, senza andare a scomodare il peccato e la morale. Qualunque altra al vostro posto prima sarebbe svenuta e poi mi avrebbe messo alla porta. Rossella balzò in piedi, rossa di vergogna. Come aveva potuto, lei, la figlia di Elena, con la sua educazione, ascoltare quelle parole impudenti e rispondere cosí svergognatamente? Avrebbe dovuto gridare. Svenire. Voltarsi senza una parola e rientrare in casa. Troppo tardi adesso! - Vi metterò alla porta! - gridò senza curarsi che Melania o la signora Meade, giú in istrada, potessero udirla. - Fuori di qui! Come osate dirmi una cosa simile! Ho mai fatto qualche cosa per incoraggiarvi... per farvi supporre... Andate via e non tornate mai piú! E questa volta parlo sul serio. Inutile tornare coi pacchetti di forcine e di nastri per farvi perdonare! Lo dirò... lo dirò a mio padre e lui vi ucciderà! Egli raccolse il cappello e si inchinò; ed ella scorse, alla luce della lampada, che i suoi denti brillavano sotto i balletti neri. Non sentiva vergogna, si divertiva di quanto ella diceva e la osservava con viva curiosità. Com'era detestabile! Si girò sui tacchi e si avviò per rientrare. Afferrò il battente della porta per sbattergliela in faccia, ma il gancio che la tratteneva aperta era troppo pesante per lei. Si sforzò, ma inutilmente. - Posso aiutarvi? - chiese Rhett. Sentendo che se fosse rimasta un minuto di piú avrebbe avuto un travaso di sangue, ella fuggí su per le scale. E quando fu al piano di sopra sentí che egli cortesemente sbatteva la porta in sua vece.

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- E come pensate che io abbia avuto un bambino? - esclamò irritata. - Oh, c'è mezzo anche senza marito... - Volete tacere e affrettarvi? Ma egli tirò le redini bruscamente fermandosi nell'ombra di una casa, presso via Marietta, non toccata dalle fiamme. - Presto! - era la sola parola che ella potesse pensare. - Presto! Presto! - Soldati - disse Rhett. I soldati del distaccamento scendevano da via Marietta, fra gli edifici in fiamme, con passo stanco, i fucili tenuti alla meglio, le teste basse, troppo affaticati per affrettarsi, per preoccuparsi delle travi che crollavano a destra e a sinistra e del fumo che li investiva. Erano tutti laceri, al punto che non vi era differenza tra ufficiali e soldati; soltanto qua e là, su qualche cappello, era appuntato un logoro distintivo con la scritta: «C. S. A.» «Confederated States of America.». Molti erano scalzi; qua e là una fasciatura sudicia bendava un braccio o una testa. Passarono, senza guardare né a destra né a sinistra, cosí silenziosi che se non fosse stato per il calpestío, si sarebbe potuto credere che fossero fantasmi. - Guardateli bene - disse la voce schernevole di Rhett - cosí potrete dire ai vostri nipotini, un giorno, che avete visto la retroguardia della Gloriosa Causa in ritirata. Rossella, a un tratto, sentí di odiarlo, con una forza che in quel momento superò il suo sgomento e lo fece apparire meschino e insignificante. Sapeva che la sua salvezza e quella di coloro che erano nel carro dietro a lei dipendevano da lui, da lui solo; ma lo detestò ugualmente perché scherniva quelle file cenciose. Pensò a Carlo morto, ad Ashley forse morto egli pure, e a tutti gli allegri e valorosi giovani sepolti alla meglio chi sa dove; e dimenticò che anche lei, una volta, li aveva considerati degli sciocchi. Non riuscí a spiccicar parola, ma gli occhi che fissò sopra di lui ardevano di odio e di disgusto. Al passaggio delle ultime file, una figura piccola che trascinava il fucile nella polvere, barcollò, si fermò, guardò gli altri con volto istupidito di un sonnambulo. Era piccolo come Rossella; il suo fucile era quasi piú grande di lui e il viso sudicio era imberbe. «Al massimo sedici anni» pensò Rossella; «sarà uno della Guardia Nazionale o un ragazzo fuggito dalla scuola.» Mentre ella lo guardava, le ginocchia del ragazzo si piegarono lentamente ed egli cadde nella polvere. Un altro, un uomo alto e barbuto, si chinò; porse il proprio fucile e quello del ragazzo a un compagno, poi sollevò il corpo sottile e se lo pose sulle spalle, ricominciando a camminare, appena curvo sotto il peso, mentre il ragazzo, infuriato come un bimbo preso in giro, gridava disperatamente: - Mettimi a terra! Posso camminare! Mettimi a terra, ti dico! L'uomo barbuto non rispose e scomparve col suo peso all'angolo della strada. Rhett, con le redini abbandonate, taceva: sul suo volto era una strana espressione di tristezza. In quel momento vi fu a pochi passi da loro uno scroscio di travi che crollavano e Rossella vide una lunga e sottile lingua di fiamma levarsi dal tetto del magazzino accanto al quale si erano riparati. Quindi larghi drappi sanguigni rischiararono il cielo; il fumo li investí e Wade e Prissy cominciarono a tossire. - In nome di Dio, Rhett! Siete pazzo? Presto, presto. Rhett non rispose ma percosse crudelmente col ramo d'albero il dorso del cavallo che fece un balzo in avanti. Con tutta la velocità che fu possibile ottenere attraversarono traballando e rimbalzando la via Marietta. Dinanzi a loro, ai due lati della strada corta e stretta, era una doppia cortina di fuoco; una luce accecante li abbagliava, un calore intenso ardeva la loro pelle e un muggito continuo percuoteva le loro orecchie, accompagnato da crolli e scricchiolii. Attraversarono quell'inferno in un minuto che sembrò loro un secolo; e quindi, improvvisamente, si ritrovarono nella semioscurità. Mentre percorreva la strada e poi traballando sulle rotaie della ferrovia, Rhett adoperava la frusta automaticamente. Il suo volto era irrigidito e sembrava assente, quasi egli avesse dimenticato dove si trovava. Aveva le braccia strette al corpo e il mento proteso in avanti, come se fosse immerso in pensieri spiacevoli. Il calore gli faceva gocciolare la fronte e le guance, ma egli non si asciugava. Voltarono in una strada stretta, quindi in un'altra, e poi in altre ancora, finché Rossella perse completamente l'orientamento, mentre sentiva diminuire il ruggito delle fiamme. Rhett continuava a tacere. Soltanto frustava il cavallo con regolarità. Il riflesso sanguigno nel cielo andava sfumando, e la strada si faceva cosí spaventosamente buia, che Rossella avrebbe voluto udire una parola, magari un insulto, un'ingiuria, purché fosse una parola. Ma egli taceva. - Rhett - mormorò a un certo momento afferrandogli il braccio. - Che cosa avremmo fatto senza di voi? Come sono contenta che non siate nell'esercito! Egli volse il capo e le diede un'occhiata che la fece indietreggiare abbandonando il suo braccio. Non vi era sarcasmo, ora, nei suoi occhi; ma piuttosto un'espressione di collera e anche di stupore. Torse le labbra volgendo nuovamente il capo. Per un pezzo proseguirono in un silenzio interrotto soltanto dai lievi vagiti del bimbo e da qualche gemito di Prissy. Finalmente Rhett voltò il cavallo ad angolo retto e dopo un poco si trovarono su una strada larga e soffice. Le forme incerte delle case diventavano sempre piú rare e ai due lati si stendevano folte boscaglie. - Siamo fuori città, adesso - disse Rhett brevemente tirando le redini; - e sulla strada principale per McDonough. - Presto. Non vi fermate! - Lasciate respirare un momento questa bestia. - Poi volgendosi a lei, le chiese lentamente: - Siete ancora decisa, Rossella, a commettere questa follia? - Quale? - Volete ancora tentare di arrivare a Tara? È un suicidio. Fra voi e Tara vi è la cavalleria di Lee e l'esercito yankee. Dio mio! Avrebbe ora rifiutato di condurla a casa, dopo ciò che ella aveva sopportato in quella tremenda giornata? - Oh, sí, sí! Vi prego, Rhett, sbrighiamoci. Il cavallo non è stanco. - Un momento. Non potete andare a Jonesboro seguendo la linea ferroviaria. Si è combattuto qui tutto il giorno. Conoscete altre strade, carrozzabili o sentieri, che non attraversino Jonesboro? - Oh, sí! - esclamò Rossella sollevata. - Conosco una strada carrozzabile che lascia Jonesboro di fianco e fa il giro di diverse miglia. Papà ed io la percorrevamo a cavallo. Sbuca vicino alla proprietà di Maclntosh ed è soltanto a un miglio da Tara. - Bene! Allora può darsi che riusciate. Il generale Steve Lee è stato da quella parte durante il pomeriggio di oggi per coprire la ritirata. Forse gli yankees non vi sono ancora. Quindi potete arrivate se gli uomini di Lee non vi prendono il cavallo. - lo... posso arrivare? - Sí, voi. - La sua voce era aspra. - Ma Rhett... voi... non ci accompagnate? - No. Vi lascio qui. Ella si guardò attorno con uno sguardo folle; guardò il cielo livido, gli alberi neri che sembravano le pareti di una prigione, le figure spaventate nel carro, e finalmente lui. Era impazzita? O non aveva udito bene? - Ci lasciate? E dove... dove andate? - Cara figliola, vado con l'esercito. Ella sospirò, sollevata e irritata. Perché scherzava in questo momento? Rhett nell'esercito! Dopo tutto quello che aveva sempre detto... - Che gusto spaventarmi cosí! Andiamo! - Non sto scherzando, mia cara. E sono dolente che voi non accettiate con spirito migliore il mio sacrificio. Dov'è il vostro patriottismo, il vostro amore per la Nostra Causa Gloriosa? Ora sarebbe il momento di dirmi che debbo tornare vittorioso o morto. Ma fate presto, perché a me occorre un po' di tempo per farvi un bel discorsetto prima di partire per la guerra. Era la solita voce beffarda. Egli la scherniva e in certo modo, scherniva anche se stesso. Non era possibile che parlasse sul serio. E non era credibile che pensasse di lasciarla su quella strada buia con una donna che poteva essere moribonda, un neonato, una piccola imbecille negra e un bimbo atterrito; non poteva lasciarle il compito di portarli attraverso miglia e miglia di campi di battaglia, in preda a mille pericoli. - Scherzate, Rhett! Gli afferrò il braccio e lagrime di terrore le sgorgarono dagli occhi. Egli sollevò la sua mano e glie la baciò leggermente. - Egoista sino alla fine, non è vero, mia cara? Pensate soltanto alla vostra preziosa salvezza e non alla valorosa Confederazione. Immaginate invece, come saranno rincorate le nostre truppe da questa mia comparsa all' ultima ora! - Nella sua voce era una maliziosa tenerezza. - Oh, Rhett, come potete farmi questo? Perché mi volete abbandonare? - Perché? - egli rise gaiamente. - Forse a causa di quella stupida sentimentalità che è appiattata in fondo a tutti noi meridionali. Forse... Forse perché mi vergogno. Chi Io sa? - Vergognarvi? Dovreste morire di vergogna a lasciarci qui, sole, senza aiuto... - Cara Rossella! Voi non siete senza aiuto. Quando si è egoisti e risoluti come voi, non si è mai abbandonati. Dio deve aiutare piuttosto gli yankees, se per caso capitate fra loro! - Scese bruscamente dal carro, e poiché ella lo guardava sbalordita, girò dalla sua parte e le ordinò: - Scendete. Ella lo fissò. Rhett la prese alla vita senza complimenti e la depose a terra accanto a lui. Tenendola leggermente alla cintura, la trasse a parecchi passi di distanza. Ella sentiva la polvere e i sassi penetrare nelle sue scarpine. Le tenebre calde l'avvolgevano come un sogno. - Non vi chiedo di comprendere o di perdonare. Io stesso non mi comprendo, e non mi perdonerò mai questa idiozia. In fondo, mi secca di trovare in me ancora tanto donchisciottismo. Ma i nostri bei Paesi del Sud hanno bisogno di ogni uomo. Non lo ha detto anche il nostro bravo governatore Brown? Ma non importa. Vado alla guerra. Rise improvvisamente, un riso squillante che destò gli echi nel bosco nero. - «Non ho potuto amarti, cara, piú di quanto amassi l'onore.» Un bel discorso, no? Certo migliore di quel che sarei capace di fare io in questo momento. Perché vi amo, Rossella, malgrado quel che vi ho detto quella sera sotto il porticato, un mese fa. La sua voce era carezzevole e le sue mani calde e robuste, le lisciavano le braccia nude. - Vi amo, Rossella, perché ci somigliamo tanto; rinnegati, tutti e due, e profondamente egoisti. A nessuno di noi due importa che il mondo vada in rovina, purché noi ci salviamo. Ella udiva le parole, ma non ne capiva il senso. Cercava di rendersi conto della tremenda verità: egli la lasciava sola, ad affrontare gli yankees. Il suo cervello le diceva: «Mi lascia, mi lascia.» Ma non provava emozione. Allora le braccia di lui le circondarono la vita e le spalle, ed ella sentí i suoi muscoli saldi, e i bottoni della sua giacca che le premevano contro il petto. Un senso di calore, di stupore, e di sgomento la invase offuscando in lei ogni cognizione di tempo e di luogo. Si sentiva come una bambola di stracci debole e rilassata; e le piaceva sentirsi sorretta da quelle braccia vigorose. - Non volete cambiare idea a proposito di ciò che vi dissi quella sera? Non vi è nulla di meglio del pericolo e della morte per dare una spinta. Siate patriottica, Rossella. Pensate che manderete un soldato alla morte con un bel ricordo. Ora la baciava. E i suoi baffetti le sfioravano la bocca; la baciava con le labbra ardenti, lentamente, come se avesse avuto a sua disposizione tutta la notte. Carlo non l'aveva mai baciata cosí. E nemmeno i baci dei Tarleton e di Calvert le avevano dato quella sensazione di caldo e di freddo e l'avevano fatta tremare cosí. Le riversò il corpo all'indietro e le sue labbra le accarezzavano la gola, fin dove il cammeo le chiudeva la scollatura. - Tesoro - mormorò egli - tesoro... Ella scorgeva vagamente il carro nell'oscurità. A un tratto udí la vocetta acuta di Wade. - Mamma! Wade ha paúla! Alla sua mente confusa tornò improvvisamente la realtà ed ella ricordò ciò che aveva dimenticato per un attimo: che aveva paura e che Rhett, quel maledetto mascalzone, stava per lasciarla. E per colmo aveva la sfacciataggine d'insultarla con le sue infami proposte. Ira e odio s'impadronirono di lei; con uno sforzo ella si strappò alle sue braccia. - Mascalzone! - esclamò; e cercò di ricordarsi i peggiori insulti, quelli che aveva udito adoperare da Geraldo contro Lincoln, contro McIntosh e contro i muli testardi: ma le parole non vennero. - Abbietto, vigliacco, odioso! - E non riuscendo a trovare altre parole abbastanza sferzanti, alzò un braccio e lo colpí sulla bocca con tutta la forza che le rimaneva. Egli indietreggiò portandosi la mano al viso. - Ah! - fece soltanto; e per un attimo rimasero a fissarsi nell'oscurità. Rossella udiva il suo respiro pesante; ed ella pure ansimava come se avesse corso. - Avevano ragione; tutti avevano ragione! Non siete un gentiluomo! - Cara ragazza, come siete inopportuna! - Andatevene! Andatevene subito! Non voglio vedervi mai piú! Spero che una palla di cannone vi colpisca, che vi faccia a pezzi. Che... - Il resto non importa. Accetto la vostra idea. Ma quando sarò morto sull'altare della patria, spero che la vostra coscienza vi rimprovererà. Lo udí ridere, mentre, voltava le spalle, si avviava verso il carro. Lo vide fermarsi e lo udí parlare con la voce rispettosa che usava sempre quando parlava a Melania. - Mrs. Wilkes? La voce spaventata di Prissy rispose: - Madre di Dio, capitano Butler! Miss Melly essere svenuta rovesciata indietro. - Non è morta? Respira? - Sí, signore. Respirare. - Allora, è meglio cosí. Se fosse cosciente, forse non potrebbe sopravvivere a tutto questo. Abbi cura di lei, Prissy. Questo è per te - e le diede una banconota.... Cerca di non essere piú stupida di quello che sei. - Sí, signore. Grazie, signore. - Addio, Rossella. Si era voltato a guardarla, ma ella non parlò. L'odio l'aveva ammutolita. Udí il suo passo sui ciottoli della strada e per un attimo vide le sue larghe spalle disegnarsi nel buio. E dopo un momento, era scomparso. Udí allontanarsi il rumore dei passi, fino a cessare completamente. Allora tornò lentamente verso il carretto, con le ginocchia che le tremavano. Perché se n'era andato cosí, nel buio, a mescolarsi alla guerra, a una Causa che sapeva perduta, a un mondo impazzito? Perché era andato, Rhett che amava il piacere, le donne, i liquori, il buon vino e i letti comodi, i bei vestiti e le belle scarpe, che detestava gli Stati del Sud e derideva gl'imbecilli che combattevano per essi? Ora le sue scarpe verniciate lo portavano su una strada dolorosa, su cui la fame camminava con passo instancabile, e che le ferite, la debolezza, l'angoscia percorrevano come un branco di iene urlanti. E all'estremità di quella strada era la morte. Non doveva andare, lui che era ricco e tranquillo. Ed era andato, invece, lasciandola sola in una notte nera come la fuliggine, con l'esercito yankee fra lei e la sua casa. Ora si ricordò tutti gli insulti che avrebbe voluto lanciargli, ma era troppo tardi. Appoggiò il capo sul collo curvo del cavallo e pianse.

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«Possibile che papà abbia smarrito il senno?» pensò Rossella; e le parve che la sua povera testa non potesse contenere anche questa preoccupazione. «No, no. È soltanto stordito da tutto questo. È come se fosse stato ammalato. Gli passerà. Che farei se non gli passasse? Non voglio pensarci adesso. Non voglio pensare né a lui né alla mamma né a nessuna di queste orrende tristezze. Ho troppe altre cose a cui debbo pensare.. cose a cui debbo provvedere.» Uscí dalla sala da pranzo senza aver mangiato, e andò nel portico posteriore dove trovò Pork, scalzo e coi resti laceri della sua migliore livrea, seduto sui gradini e occupato a schiacciare pistacchi. Il solo sforzo di tener alta la testa le costava una enorme fatica, ed ella parlava il piú brevemente possibile, tralasciando le usuali forme di cortesia che sua madre le aveva insegnato ad usare anche coi negri. Cominciò a rivolgergli delle domande bruscamente e a dargli degli ordini in tono cosí reciso, che Pork alzò le sopracciglia stupito. Miss Elena non aveva mai parlato cosí con nessuno, nemmeno quando li sorprendeva a rubare pollame e meloni. Gli chiese nuovamente informazioni sui campi, sui giardini e su tutto, e i suoi occhi verdi avevano una luce dura che Pork non vi aveva mai veduto. - Sí, badrona, cavallo essere morto; mentre io avergli messo secchio sotto il naso. No, badrona, mucca non essere morta. Non sapere? Avere fatto vitello stanotte, perciò muggire tanto. - Sarà una brava levatrice, la tua Prissy, - notò causticamente Rossella. - Ha detto che muggiva perché aveva bisogno di essere munta. - Veramente, badrona, Prissy non pensare di essere levatrice per mucche - rispose Pork pieno di tatto. - Dovere essere contenti perché vitello volere dire mucca piena di latte per badroncine, e dottore yankee avere detto che avere molto bisogno di questo. - Va bene. Andiamo avanti. Non c'è nessuna provvista? - No, badrona. Niente. Solamente una maiala con suoi porcellini. Io averla cacciata dentro palude il giorno che essere venuti yankees, ma Dio sa come fare per riprenderla. - La riprenderemo benissimo. Tu e Prissy andrete subito e inizierete la caccia. Pork fu stupito e indignato. - Miss Rossella questo non essere affare per noi. Noi essere negri domestici. Una piccola fiamma apparve negli occhi di Rossella. - Voi due andrete a prendere il branco di maialini con la madre... altrimenti ve ne andrete di qui come hanno fatto gli altri negri. Negli occhi di Pork tremarono due lagrime. Oh, se ci fosse miss Elena! Ella comprendeva queste cose e si rendeva conto dell'abisso che era fra i doveri di un negro contadino e quelli di un negro domestico. - Prenderli, miss Rossella? E come fare? - Non lo so e non me ne importa. Ma chiunque a Tara non vuol lavorare può andarsene dagli yankees. Dillo pure agli altri. - Sí, badrona. - Ora, dimmi del grano e del cotone. - Grano? Dio mio, miss Rossella. Loro aver fatto pascolare cavalli nel grano e aver portato via quello che cavalli non hanno mangiato o calpestato. E avere trascinato carriaggi di cannoni sopra il cotone fino ad aver ridotto tutto un massacro, eccetto pochi jugeri nell'insenatura del fiume, di cui non si sono accorti. Ma non essere molto buon cotone, perché rendere soltanto tre balle, circa. Tre balle. Rossella pensò alle decine di balle che Tara produceva abitualmente; e la testa le fece ancor piú male. Tre balle. Poco piú di quanto producevano quegli straccioni degli Slattery A peggiorare le condizioni c'era anche la faccenda delle tasse. Il governo confederato prendeva il cotone invece di danaro, per le imposte; ma tre balle non bastavano neanche a coprirne l'importo. - Beh, non voglio pensare neanche a questo - disse tra sé. - La faccenda delle tasse non riguarda una donna. Dovrebbe occuparsene il babbo... ma non voglio pensare al babbo adesso. La Confederazione aspetterà. Quel che ci vuole adesso è qualche cosa da mangiare. - Pork, nessuno di voi è stato alle Dodici Querce o dai MacIntosh a vedere se negli orti è rimasto qualche cosa? - No, badrona. Noi non avere lasciato Tara. Paura che yankees prenderci. - Manderò Dilcey alla piantagione dei MacIntosh. Forse troverà qualche cosa. E io andrò alle Dodici Querce. - E con chi? - Da sola. Mammy deve assistere le ragazze e Mr. Geraldo non può... Pork emise una esclamazione che la esasperò. Potevano esservi alle Dodici Querce degli yankees o dei negri mascalzoni. Lei non doveva andare sola. - Basta, Pork. Di' a Dilcey che vada subito. E tu e Prissy andate a cercare la scrofa coi maialini - ordinò brevemente, e voltò i tacchi. Il vecchio cappello da sole di Mammy, scolorito ma pulito, era sospeso a un attaccapanni; e Rossella se lo mise sul capo ricordando come una cosa di un altro mondo il cappello con la piuma verde che Rhett le aveva portato da Parigi. Prese un cestino di corteccia di quercia e si avviò per la scala posteriore; a ogni gradino che scendeva, sentiva ripercuotersi dai calcagni lungo la spina dorsale un colpo che le faceva dolere tutte le ossa. La strada verso il fiume era rossa e riarsa dal sole fra i campi sconvolti. Non vi erano alberi che facessero ombra e i raggi ardenti penetravano attraverso il cappello di Mammy, come se questo fosse stato di velo, anziché di fitto tessuto di cotone. La strada era tutta buche e solchi entro cui erano stati trascinati i pesanti cannoni. Le piante erano calpestate dove la cavalleria e la fanteria avevano marciato, costrette a cedere la strada all'artiglieria. Qua e là si vedevano sul terreno fibbie, pezzi di cuoio, cassette sfasciate dagli zoccoli, ruote di carriaggi, bottoni, berretti blu, scarpe vecchie, cenci insanguinati, tutto il disordine lasciato da un esercito in marcia. Ella oltrepassò il gruppo di cedri e il muretto di mattoni che segnava il sepolcreto di famiglia, cercando di non pensare alla nuova tomba che era accanto alle tre dei suoi fratellini. Oh, Elena... Discese la collina, passò dinanzi al mucchio di ceneri che segnava il luogo dove era stata la casupola degli Slattery, e si augurò con furore che tutta la loro tribú fosse fra quelle ceneri. Se non fosse stato per gli Slattery... Se non fosse stato per quella ripugnante Emma che aveva avuto un bastardo dal loro sorvegliante, Elena non sarebbe morta. Una pietra tagliente le entrò nella scarpa ed ella emise un gemito. Ma che stava facendo? Perché Rossella O'Hara, la bella della Contea, l'orgoglio di Tara, camminava barcollando, quasi scalza, per quella strada disuguale? I suoi piedini erano fatti per ballare, non per zoppicare; e i suoi scarpini sottili per apparire sotto agli abiti di seta, e non per riempirsi di sassolini e di polvere. Ella era nata per essere accarezzata e servita e invece eccola malata e cenciosa, trascinata dalla fame a cercare qualche cosa da mangiare negli orti dei suoi vicini. Ai piedi della collina scorreva il fiume; com'erano freschi e tranquilli gli alberi che si specchiavano nell'acqua! Si accasciò sulla riva bassa e strappandosi i resti delle scarpine e delle calze, immerse i piedi ardenti nell'acqua ristoratrice. Come sarebbe bello poter rimanere lí tutto il giorno ad ascoltare il fruscio del fogliame e il mormorio dei piccoli vortici! Con riluttanza si rimise le calze e le scarpe e si avviò nuovamente. Gli yankees avevano bruciato il ponte, ma ella conosceva a un centinaio di metri piú in giú una passerella gettata attraverso un punto in cui il fiume era piú stretto. La attraversò guardinga e percorse l'altro mezzo miglio che la separava ancora dalla Dodici Querce. I dodici alberi erano tuttora eretti com'erano stati fin dai tempi degli indiani; ma le loro foglie erano abbruciacchiate e i rami arsi e contorti. Nel centro erano le rovine della casa di John Wilkes, i resti della casa che aveva incoronato la collina con le sue bianche colonne: la fossa profonda che era stata la cantina, le fondamenta di pietra annerita e due grandi comignoli segnavano il luogo. Una lunga colonna mezza combusta era caduta attraverso il prato, schiacciando i cespugli di gelsomini. Rossella sedette sulla colonna, troppo abbattuta per proseguire. Questa desolazione la colpiva piú di tutto il resto. Era l'orgoglio dei Wilkes polverizzato, la fine della casa ospitale ove era sempre stata la benvenuta, la casa di cui nei suoi futili sogni aveva aspirato ad essere la padrona. Qui ella aveva ballato, pranzato e civettato; e qui, col cuore geloso e ferito, aveva osservato Melania che sorrideva ad Ashley; qui, nelle fresche ombre delle querce, Carlo Hamilton le aveva stretto la mano con gioia quando ella aveva accettato di sposarlo. «Oh, Ashley!» pensò. «Spero che siate morto. Non potrei sopportare che voi doveste vedere questo.» Ashley si era sposato qui; ma suo figlio e il figlio di suo figlio non porterebbero mai la loro sposa in questa casa. Non vi sarebbero piú unioni e nascite sotto il tetto che lei pure aveva amato e che aveva sognato di dirigere. La casa era morta e, per Rossella, era come se anche tutti i Wilkes fossero morti nelle sue ceneri. - Non voglio pensarvi adesso. Non posso sopportarla; vi penserò piú tardi, - disse ad alta voce volgendo gli occhi altrove. Per giungere all'orto, zoppicò attorno alle rovine, passando vicino all'aiuola di rose che le ragazze Wilkes avevano tanto curato; attraversò il cortile posteriore e calpestò le ceneri della dispensa, delle tettoie e dei pollai. La palizzata intorno all'orto era stata divelta e le file, un tempo cosí ordinate, delle piante avevano subíto lo stesso trattamento di quelle di Tara. La terra morbida era piena di impronte di zoccoli, di solchi di ruote pesanti; e i legumi erano stati distrutti e calpestati. Non vi era nulla da raccogliere. Riattraversò il cortile e si incamminò per il sentiero verso la fila silenziosa di baracche imbiancate a calce: il quartiere degli schiavi; emise un - Hello! - ma nessuna voce le rispose. Neanche l'abbaiare di un cane. Evidentemente i negri di Wilkes avevano preso la fuga o avevano seguito gli yankees. Sapeva che ogni schiavo aveva il proprio minuscolo orto e sperò che almeno questi fossero stati risparmiati. La sua ricerca fu ricompensata; ma ella era troppo stanca per rallegrarsi alla vista delle rape e dei cavoli, un po' afflosciati per la mancanza d'acqua ma non ancora disseccati, e dei fagioli ingialliti ma ancora mangiabili. Sedette in un solco e cominciò a scavare la terra riempiendo lentamente il suo cesto. Stasera si mangerà bene a Tara, malgrado la mancanza di un po' di carne da far bollire coi legumi. Forse si potrà adoperare come condimento un po' del grasso che Dilcey usa per l'illuminazione. Bisognerà ricordarsi di dire a Dilcey che adoperi per quest'uso la resina dei pini e risparmi il grasso per cucinare. Accanto alla soglia di una capanna trovò una fila di ramolacci; subitamente provò lo stimolo della fame. Senza neanche nettarla dal terriccio, addentò avidamente una radice dal gusto asprigno, e la inghiottí in fretta. Era cosí forte che le fece venir le lagrime. Ma il suo stomaco vuoto si ribellò a quel cibo; coricata nel terreno molle, ella rigettò faticosamente. Il fetore di negro che proveniva dalla capanna aumentava la sua nausea; senza forza per combatterla, ella continuò a recere, mentre le capanne e gli alberi pareva danzassero una sarabanda attorno a lei. Rimase a lungo coricata sul suolo, come se fosse in un soffice letto; la sua mente vagolava qua e là debolmente. Era proprio lei, Rossella O'Hara, sdraiata a terra dietro alla capanna di un negro, in mezzo alle rovine, senza forza per muoversi; e nessuno al mondo lo sapeva o se ne curava. Lei che non si era mai chinata a raccogliere un fazzoletto o a togliersi le calze... lei, che per un piccolo mal di capo si era sempre fatta accarezzare e consolare... Era lí prostrata; troppo debole per scacciare i ricordi e le preoccupazioni che ora l'assalivano in folla. Non aveva piú la forza di dire: - Penserò alla mamma, al babbo, ad Ashley piú tardi... quando potrò sopportarlo. - Non poteva sopportarlo, adesso; eppure era costretta a pensarvi. E rimase a lungo sotto il sole scottante, ricordando cose e persone morte, ricordando un modo di vivere finito per sempre... e guardando verso il triste e cupo avvenire. Quando si rialzò e vide nuovamente le rovine delle Dodici Querce, le parve che gioventú e bellezza l'avessero abbandonata per sempre. Il passato era passato. I morti erano morti. La beata indolenza di altri tempi era sparita e non tornerebbe piú. Impossibile indietreggiare: bisognava andare avanti. Per cinquant'anni negli Stati del Sud vi sarebbero donne desolate che guarderebbero indietro; che rievocherebbero i loro morti e i ricordi della vita trascorsa, sopportando orgogliosamente la povertà, perché ricche di memorie. Ma Rossella non guarderebbe mai piú indietro. Fissò le pietre annerite e per l'ultima volta rivide le Dodici Querce com'erano una volta, simbolo di una razza e di un sistema di vita. Poi riprese la strada verso Tara, col cestino pesante che le affaticava il braccio. La fame le torturava nuovamente lo stomaco vuoto, ed ella disse ad alta voce: - Dio mi è testimone che gli yankees non mi abbatteranno. Supererò questo; e quando sarà passato, non soffrirò mai piú la fame. Né io né i miei. Dovessi rubare o uccidere... Dio mi è testimone che non soffrirò la fame mai piú.

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Non pensavo che saresti svenuta, benché oggi tu ne abbia sopportate abbastanza da far morire chiunque... Sono tornata indietro appena ho messo tutto in salvo nel bosco. Mi sentivo morire, sapendoti sola qui col piccolo... Ti... ti hanno fatto male? - Se intendi che mi abbiano violentata, posso assicurarti di no. - Ed emise un gemito mentre tentava di sollevarsi a sedere. Il grembo di Melania era morbido, ma il pavimento del porticato era tutt'altro che comodo. - Ma hanno rubato tutto, tutto. Abbiamo perduto tutto... Ma perché hai quell'aria contenta? - Perché ci siamo ancora noi, una per l'altra, e abbiamo i nostri bimbi... e un tetto. E nessuno al giorno d'oggi può sperare di aver di piú... Dio mio, Beau è bagnato! Immagino che avranno rubato anche i suoi pannolini di ricambio... Ma... che diamine c'è nelle sue fasce, Rossella? Spaventata, ficcò la mano tra le fasce del piccolo e trasse il portafogli. Per un attimo lo guardò come se non lo avesse mai visto; poi cominciò a ridere, a ridere di un riso isterico. - Nessun altro sarebbe stato capace di pensarlo! - esclamò; e gettando le braccia al collo di Rossella la baciò. - Sei un vero tesoro! Rossella si lasciò abbracciare perché era troppo stanca per lottare; perché le parole di lode erano un balsamo per il suo cuore e perché, nella cucina piena di fumo, aveva provato un immenso rispetto per sua cognata, e uno stretto senso di cameratismo. «Bisogna ammettere» disse fra sé rimuginando «che è sempre presente quando c'è bisogno di lei.»

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Nessuno che abbia avuto il grado di colonnello o un grado superiore durante la guerra, può votare; e scommetto che qui vi erano piú colonnelli che in qualsiasi altro Stato della Confederazione. E sono esclusi tutti coloro che avevano qualche ufficio nel governo confederato: nonché giudici e notai. Insomma, chiunque abbia avuto una carica prima della guerra non ha diritto di voto. Né le persone di qualità, né i ricchi, né l'aristocrazia. Io potrei votare se prestassi il loro maledetto giuramento. Non avevo un soldo nel '65, e non ero colonnello né altro di notevole. Ma non voglio giurare. No, che il diavolo li porti! Se gli yankees avessero agito bene, avrei fatto giuramento di fedeltà; ma non lo farò. Anche se non dovessi mai piú votare. Ma gentaglia come Hilton può votare e farabutti come Giona Wilkerson, e proletari come gli Slattery, e gente da nulla come McIntosh; tutti questi possono votare. E dirigere la cosa pubblica. E se vogliono richiedervi delle tasse supplementari anche dieci volte maggiori, sono padroni di farlo. Tale e quale come un negro può uccidere un bianco senza essere impiccato, oppure... - S'interruppe imbarazzato, e il ricordo di ciò che era accaduto a una donna bianca che viveva sola in una fattoria isolata presso Lovejoy apparve ad entrambi... - Codesti negri possono fare contro di noi qualunque cosa; e il «Freedmen's Bureau» e i soldati li proteggono con le armi, mentre noi non abbiamo diritto di votare né di ribellarci. - Votare! - esclamò Rossella. - Cosa c'entra il votare con tutto questo? Stavamo parlando delle tasse... Tutti quanti, Will, sanno che Tara è un'ottima piantagione. Possiamo ipotecarla per una cifra sufficiente a pagare le tasse, se è necessario. - Miss Rossella, voi non siete stupida; ma a volte parlate come se lo foste. Chi ha del denaro da prestarvi? Chi, eccettuato i «carpetbaggers» che stanno cercando di spodestarvi? - Ho gli orecchini di brillanti dello yankee. Potremmo venderli. - Ma chi volete che abbia dei quattrini per comprarli? La gente non ha denaro per comprare un po' di carne. Se voi avete dieci dollari in oro, giuro che è piú di quanto abbia qualunque altro dei vostri vicini. Rimasero nuovamente in silenzio e Rossella ebbe l'impressione di urtare contro un muro di pietra. E questo le era accaduto tante altre volte in quest'ultimo periodo. - Che dobbiamo fare, miss Rossella? - Non lo so - rispose cupamente. E in quel momento le parve che non glie ne importasse nulla. Si sentí improvvisamente cosí stanca che tutte le sue ossa le dolsero. Perché lavorare e lottare e affaticarsi disperatamente? Al termine di ogni lotta le sembrava che la sconfitta l'attendesse per schernirla. - Non lo so - ripeté. - Ma non diciamolo al babbo. Si turberebbe. - Non lo dirò. - L'avete detto a nessuno? - No, sono venuto subito da voi. Sí, tutti venivano direttamente da lei quando vi erano delle cattive notizie. Ed oramai non ne poteva piú. - Dov'è il signor Wilkes? Forse potrà darci qualche idea. Will rivolse verso di lei il suo sguardo dolce ed ella sentí, come nel giorno in cui era giunto Ashley, che egli sapeva tutto. - È nell'orto a spaccare legna. Ho sentito il rumore della scure mentre rimettevo il cavallo. Ma certo non ha piú denaro di quanto ne abbiamo noi. - Se voglio parlare di questo con lui, ne avrò bene il diritto, no? - ribatté aspramente Rossella alzandosi e respingendo con un calcio il pezzetto di tappeto. Will non si offese, ma continuò a stropicciarsi le mani dinanzi al fuoco. - È meglio che prendiate il vostro scialle, miss Rossella; fuori fa freddo. Ma ella uscí senza mettere nulla sulle spalle, perché lo scialle era al piano di sopra, e il suo bisogno di vedere Ashley per sfogarsi era troppo urgente. Che fortuna se lo trovasse solo! Da quando era tornato non aveva mai avuto modo di scambiare una parola con lui in particolare. C'era sempre la famiglia intorno; sempre Melania che ogni tanto gli toccava una manica, come per assicurarsi della sua presenza. La vista di quel gesto aveva rianimato in Rossella tutta la gelosia che era rimasta sopita durante i mesi in cui aveva ritenuto che Ashley fosse morto. Ora era decisa a parlare con lui solo e nessuno potrebbe impedirglielo.

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Ricordò la notte ardente di Atlanta, poco prima della fine dell'assedio, quando egli era seduto sotto al porticato della casa di zia Pitty; sentí il calore della sua mano sul braccio, mentre egli le diceva: «Vi desidero come non ho mai desiderato nessuna donna... e vi ho aspettato piú di quanto abbia mai aspettato nessun'altra». «Lo sposerò» pensò con freddezza. «E non avrò piú preoccupazioni di denaro.» Pensiero beato, piú dolce della speranza divina: non aver piú preoccupazioni di denaro, sapere che Tara era salva, che la famiglia aveva da mangiare e da vestirsi, che lei stessa non dovrebbe piú rompersi il capo contro un muro di pietra! Si sentí improvvisamente invecchiata. Gli avvenimenti di quel pomeriggio l'avevano esaurita: prima la notizia delle tasse, poi il colloquio con Ashley e infine la sua ira feroce contro Giona Wilkerson. No, nessuna possibilità di emozione era rimasta in lei. Se ve ne fosse stata ancora una briciola, questa avrebbe protestato contro il progetto che si stava formando nella sua mente, perché essa odiava Rhett come non odiava nessun altro al mondo. Ma non poteva provare alcun sentimento; poteva soltanto pensare e i suoi pensieri erano molto pratici. «Gli dissi delle cose terribili quella notte, quando ci abbandonò sulla strada; ma gliele farò dimenticare.» Era ancora sicura del potere del suo fascino. «Gli farò credere che l'ho sempre amato e che quella notte ero turbata e sconvolta. Gli uomini sono talmente presuntuosi che sono sempre pronti a credere quello che li lusinga... Non gli farò mai sapere in quali ristrettezze ci troviamo, finché non sarò sua moglie. No, non deve sapere! Se mai sospettasse come siamo poveri, capirebbe che io voglio il suo denaro, non lui... E non può venire a saperlo, perché neanche zia Pitty sa come stanno veramente le cose... Quando mi avrà sposata, dovrà aiutarci. Non potrà lasciar morire di fame i parenti di sua moglie! Sua moglie. La signora Rhett Butler. Un senso di ripugnanza si agitò debolmente entro di lei, immediatamente represso dalla riflessione. Ella ricordò gli episodi imbarazzanti e disgustosi della sua breve luna di miele con Carlo Hamilton; quelle mani inette, quella goffaggine, quell'incomprensibile emozione e... Wade Hamilton. «Ora non ci voglio pensare. Me ne preoccuperò dopo averlo sposato...» Dopo averlo sposato. Ed ecco un altro ricordo. Un brivido le percorse la spina dorsale. Rivide la notte sotto il porticato di zia Pitty, quando lei gli aveva domandato se quella era una richiesta di matrimonio; egli aveva risposto con un'odiosa risata e poi aveva detto: «Mia cara, io sono uno di quegli uomini che non prendono moglie». Se la pensasse ancora cosí? Se malgrado tutto il suo fascino, egli rifiutasse di sposarla... Se la avesse - oh, che pensiero tremendo! - completamente dimenticata e si occupasse ora di un'altra... «Vi desidero piú di quanto io abbia mai desiderato nessuna donna»... Rossella strinse i pugni; le sue unghie penetrarono nel palmo. «Se mi ha dimenticata, farò in modo che mi ricordi. E che mi desideri ancora.» E se non la voleva sposare ma la desiderava ancora, vi era ugualmente il modo di avere il denaro. Non le aveva chiesto, quella volta, di essere la sua amante? Nell'oscurità del salotto ella combatté una battaglia decisiva contro i tre legami piú resistenti che le inibivano certe azioni: il ricordo di sua madre, gli insegnamenti della religione, l'amore per Ashley. Certo le sue riflessioni dovevano apparire orrende a sua madre, anche lassú in Cielo. E sapeva che amando Ashley come lo amava, il suo progetto costituiva una doppia prostituzione. Ma tutto questo cedette dinanzi alla sua fredda disperazione. Elena era morta e forse non sapeva piú nulla. La religione proibiva una relazione peccaminosa; ma quando avesse saputo che ella peccava per salvare Tara e perché la sua famiglia non morisse di fame... anche la Chiesa comprenderebbe. E Ashley... Ashley non la desiderava. Cioè, sí, la desiderava. Il ricordo della sua bocca ardente glielo confermava. Ma non la porterebbe mai via con sé. Strano: andar via con Ashley non le sembrava peccato, mentre con Rhett... In quel cupo crepuscolo invernale, Rossella giunse al termine della lunga strada che aveva intrapresa la notte in cui Atlanta cadde. La giovine inesperta ed egoista, piena di ardore e di emozioni, era scomparsa; la fame, la fatica, il terrore e lo sforzo continuo l'avevano trasformata. Nel suo interno si era formato come un guscio che si era andato indurendo a poco a poco, a strati, durante quei mesi interminabili. Fino a quel giorno, due speranze l'avevano sorretta. Aveva sperato che col finir della guerra la vita tornasse gradatamente ad essere quella di prima. E aveva sperato che il ritorno di Ashley avrebbe ridato alla vita un significato, un interesse. Tutt'e due le speranze erano svanite. La vista di Giona Wilkerson sui gradini dell'ingresso le aveva fatto comprendere che per lei, per tutto il Sud, la guerra non finirebbe mai. Le battaglie piú spietate, le rappresaglie piú atroci erano appena cominciate. Ed Ashley era imprigionato da parole che erano peggiori dei cappii piú aspri. Tutto le era venuto meno nello stesso giorno; ed era come se l'ultima spaccatura del guscio fosse stata suggellata, l'ultimo strato completato. Oramai ella era diventata ciò che la nonna Fontaine le aveva detto un giorno: una donna che aveva conosciuto tutto il peggio della vita e che non poteva temere nulla mai piú. Soltanto la fame e il suo incubo notturno potevano ancora spaventarla. Uno strano senso di leggerezza, di libertà la pervase ora che aveva indurito il suo cuore contro tutto ciò che la allacciava agli antichi giorni, alla Rossella di un tempo. Aveva preso una decisione e, grazie a Dio, non temeva nulla, non avendo nulla da perdere. Moglie o amante, Rhett le darebbe il denaro. Si chiese per un momento, con curiosità puramente accademica, che cosa si poteva richiedere da un'amante. Forse Rhett insisterebbe per averla ad Atlanta dove la manterrebbe come si diceva che mantenesse quella tale Watling? Se pretendeva questo, doveva pagar bene, per compensare la sua assenza da Tara. Nella sua ignoranza della vita privata degli uomini, Rossella non sapeva come la faccenda potesse sistemarsi. E se avesse un bambino? Questo sí che sarebbe terribile! «Ora non ci voglio pensare. Ci penserò piú tardi.» E respinse quel fantasma per timore che esso indebolisse la sua risoluzione. Stasera direbbe alla famiglia che intendeva andare ad Atlanta per cercare un prestito, per vedere se era possibile fare un'ipoteca. Era inutile dire altro fino al giorno in cui avrebbero saputo... Si raddrizzò. Certo la cosa non era facile. Prima era Rhett che chiedeva i suoi favori e lei che era in grado di dispensarli. Oggi lei andava a pregare; e chi prega non può dettare condizioni. - Ma non andrò da lui come una mendicante. Andrò come una regina che accorda delle grazie. Egli non saprà mai. Si avvicinò al grande specchio e si guardò attentamente. E le parve di vedere un'estranea; come se per la prima volta, da un anno, vedesse veramente se stessa. Ogni giorno si era guardata nello specchio per rassettarsi i capelli; ma aveva sempre troppa fretta per potersi veramente scrutare. Quell'estranea! No, quella donna con gli zigomi sporgenti non poteva essere Rossella O'Hara! Rossella O'Hara aveva un visetto piacente, civettuolo, dall'espressione spiritosa. La donna che vedeva adesso non era piacente e non aveva nulla del fascino che ella ricordava cosí bene. Era pallida, coi lineamenti stirati; e le ciglia nere sugli occhi verdi palpitavano sulla pelle bianca come ali di un uccello spaurito. E l'espressione era dura e simile a quella di una bestia inseguita. «Non sono abbastanza bella per riconquistarlo!» pensò disperata. «E come sono magra! Troppo magra!» Si toccò le guance, tastò le ossa del petto, sentendolo attraverso la stoffa del corpetto. I seni erano diventati piccoli, quasi come quelli di Melania. Sarebbe costretta a mettere nell'interno dell'abito dei volantini, lei che aveva sempre disprezzato le ragazze che ricorrevano a quei sotterfugi! Volantini! Questo le fece venire un altro pensiero: quello degli abiti. Guardò il suo vestito, stirando fra le mani le pieghe sgualcite. A Rhett piacevano le donne ben vestite, eleganti. Ricordò con nostalgia l'abito di mussolina verde che aveva indossato la prima volta che si era tolto il lutto, col cappellino guarnito di piume verdi che egli le aveva portato da Parigi; e ricordò i suoi elogi. Rivide con un rancore acutizzato dall'invidia l'abito di lana rossa, le scarpette coi tacchi e le punte rosse e il cappello a forma di focaccia di Emma Slattery. Roba di cattivo gusto, ma certamente nuova e costosa e che dava nell'occhio! Specialmente per un uomo come Rhett Butler. Se la vedesse cosí malvestita, capirebbe subito che a Tara le cose andavano male. E non doveva saperlo. Come poteva illudersi di andare ad Atlanta e farsi chiedere in moglie da lui con quegli occhi da gatto affamato, quel collo scarno, quegli abiti da tapina? Se non vi era riuscita quando era all'apice della sua bellezza, e vestita bene, come poteva sperare di riuscire oggi? Se quello che aveva scritto Pitty era vero, egli doveva essere l'uomo piú ricco di Atlanta e probabilmente non aveva che da scegliere fra le donne della città. - Se almeno avessi un vestito decente... Non vi era un abito a Tara che non fosse stato rivoltato almeno due volte, e pieno di rammendi e di toppe. Guardò a terra sconsolata e vide il tappeto di velluto verde muschio sciupato e consunto da tutti gli uomini che vi avevano dormito sopra; e pensò che Tara era altrettanto rovinata. Questo pensiero la avvilí maggiormente. Si avvicinò alla finestra e aperse le imposte lasciando entrare le ultime luci del crepuscolo d'inverno. Richiuse i vetri e appoggiò il capo alle tende di velluto, guardando, attraverso il pascolo invaso dalla prima oscurità, verso i cedri del cimitero. Le tende di morbido velluto le accarezzavano la fronte e il collo, ed ella vi strofinò il volto con gratitudine, come un gatto. E a un tratto le guardò. Un minuto dopo trascinava sul pavimento una pesante tavola con la superficie di marmo e la collocava dinanzi alla finestra. Vi si arrampicò raccogliendo le sue gonne e si drizzò in punta di piedi per raggiungere l'asta a cui era sospesa la tenda. Non ci arrivava; tirò allora con tanta impazienza che i chiodi si staccarono e l'asta cadde a terra insieme alla tenda, con un tonfo. Come per incanto, la porta del salotto si aperse; apparve il largo volto nero di Mammy ardente di curiosità e di sospetto. Ella guardò con disapprovazione Rossella arrampicata sulla tavola, con le gonne sollevate fino alle ginocchia, pronta a balzare a terra, e col volto ardente di un'eccitazione che insospettì maggiormente la negra. - Che cosa fare con tende di miss Elena? - chiese. - Che modo è questo di stare ad origliare alle porte? - ribatté Rossella balzando a terra e raccogliendo un lembo del velluto polveroso. - Io non avere origliato - ritorse Mammy preparandosi alla battaglia. - E tu non dovere toccare tende di miss Elena e tirar le aste e buttare sul pavimento in mezzo alla polvere. Miss Elena avere comprato tende in grande negozio e io non permettere che tu rovinare in questo modo. Rossella rivolse su Mammy i suoi occhi verdi, brillanti di febbrile gaiezza; sembravano quelli della bimba impertinente di altri tempi e Mammy sospirò. - Vai su in soffitta e cercami la mia scatola di modelli, Mammy. Mi faccio un abito nuovo! Mammy rimase senza fiato per l'indignazione: arrampicarsi in soffitta, lei che pesava un quintale! E poi, un orrendo sospetto l'attraversò... Strappò dalle mani di Rossella la tenda e se la strinse al petto monumentale, come se fosse stata una sacra reliquia. - Tu non avere nuovo vestito se dover fare con tende di miss Elena. No, finché io avere respiro! - Non fare la stupida, Mammy. Debbo andare ad Atlanta per cercare del denaro in prestito, e ho bisogno di un vestito. - Tu non avere bisogno. Tutte altre signore non avere vestiti nuovi. Portare vecchi e portare con orgoglio. Non essere nessuna ragione perché figlia di miss Elena non portare stracci; e tutti rispettare come se portare seta. - Sai benissimo, Mammy, che zia Pitty ha scritto che miss Fanny Elsing si sposa sabato; naturalmente voglio andare al matrimonio. E ho bisogno di un vestito decente! - Vestito che tu avere essere bello come abito di nozze di miss Fanny. Zia Pitty avere scritto che Elsing essere molto poveri. - Ma io ne ho bisogno! Tu non sai, Mammy, come abbiamo bisogno di denaro. Le tasse... - Sí, badrona. Io sapere storia di tasse; ma... - Lo sai...? - Dio avere dato a me orecchie, vero? Ed essere anche grandi, vero? Specialmente quando mist' Will non prendere disturbo di chiudere porte. Vi era forse cosa che Mammy non udisse? Rossella si chiese come mai quel corpo cosí pesante potesse muoversi con tanta agilità quando si trattava di origliare. - Ebbene, se hai sentito questo, immagino che avrai sentito anche Giona con quella Emma e... - Sí, badrona. - E gli occhietti di Mammy scintillarono. - E allora non essere ostinata! Non capisci che debbo andare ad Atlanta per trovare il denaro per le tasse? Bisogna, bisogna! - E batteva i piccoli pugni uno contro l'altro. - In nome di Dio, Mammy, non vedi che ci cacceranno tutti quanti? E dove andremo? Vorresti litigare con me per una cosa tanto da poco come le tende della mamma quando quella stracciona di Emma che l'ha uccisa si propone di venire qui a dormire nel suo letto? Mammy oscillò da un piede all'altro come un elefante. Cominciava a capire che forse avrebbe fatto bene a cedere. - No, badrona, io non voler vedere straccioni in casa di miss Elena e noi cacciati in strada, ma... - e fissò Rossella con occhio improvvisamente accusatore... a chi voler chiedere denaro e perché avere bisogno di abito nuovo? - Questo è affar mio. Mammy la fissò con occhio penetrante, come soleva fare quando Rossella era piccola e cercava inutilmente di trovare una giustificazione plausibile per qualche birichinata. Era come se leggesse i suoi pensieri e la giovine chinò gli occhi involontariamente, sentendo vagamente che il suo progetto non era completamente onesto. - Dunque tu avere bisogno di abito nuovo per farti prestare denaro. Questo non mi sembrare giusto. E tu non dire da chi voler denaro. - Non ti dico nulla - ribatté Rossella indignata. - È affar mio. Vuoi deciderti a darmi quella tenda e ad aiutarmi a fare il vestito? - Sí, badrona. - La voce di Mammy era dolce; la sua capitolazione cosí rapida insospettí Rossella. - Io aiutarti, e pensare che tu fare sottoveste con fodera di satèn e guarnire mutandine con merletto di tendine. Porse la tenda a Rossella con un timido sorriso. - E miss Melly venire a 'Tlanta con te? - No - rispose Rossella con asprezza, comprendendo dove voleva arrivare Mammy. - Vado sola. - Tu pensare questo - ribatté Mammy con fermezza. - Ma io venire con te e seguire tutti tuoi passi con abito nuovo. Per un attimo Rossella ebbe la visione del suo viaggio ad Atlanta e della sua conversazione con Rhett con l'accompagnamento di Mammy simile a un Cerbero nero. Sorrise di nuovo e le posò una mano sul braccio. - Cara Mammy, sei molto carina a voler venire con me per aiutarmi; ma come farebbero qui senza di te? Sai bene che il governo di Tara è nelle tue mani. - Huh! Non cercare di dirmi parole dolci, miss Rossella. Io ti conoscere da quando averti messo prime fasce. Io dire che venire a 'Tlanta con te e io venire. Miss Elena rivoltarsi nella tomba se sapere che tu andare sola in quella città piena di yankees e negri liberati e simile gente. - Ma starò da zia Pittypat! - Miss Pittypat essere brava e illudersi di vedere tutto, ma non vedere nulla. - E volgendosi con aria maestosa come se il colloquio fosse terminato, Mammy tornò nel vestibolo facendo tremare il pavimento. Subito dopo, la sua voce gridò: - Prissy, bambina! Correre a cercare scatola di modelli di miss Rossella in solaio e cercare un paio di forbici senza parlare di questo fino a stasera. «Un bell'affare!» pensò Rossella desolata. «Peggio che aver dietro un cane da caccia!»

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Spero che tu abbia un altro vestito. Non è brutto questo, ma è un po' sciupato. Sí?... hai un bel vestito? Sono contenta, perché sarà il primo matrimonio elegante dopo la caduta di Atlanta; con dolci, vino e ballo. Non so come faranno gli Elsing a fare tante spese! - E chi sposa Fanny? Credevo che dopo la morte di Dallas McLure... - Non devi criticarla. Certo non tutte rimangono fedeli al ricordo come sei tu a quello del povero Carlo. Aspetta... Come si chiama? Non mi ricordo... Conosco sua madre perché siamo state a scuola insieme. Forse... Perkins? Parkison... Sí, sí, Parkison. Di Sparta. Una buona famiglia, ma... Ecco, non so come fa Fanny a sposarlo! - Perché? Forse beve o... - Dio mio, no. È un ottimo figliuolo; ma è stato ferito... non so, lo scoppio di una granata... lo ha ferito alle gambe... Insomma, cammina tutto sciancato e questo gli dà un aspetto molto volgare. - Le ragazze devono bene sposare qualcuno. - No davvero - ribatté Pitty drizzando la cresta. - Io non ne ho sentito affatto il bisogno. - Ma chi parla di te, tesoro! Tutti sanno come eri circondata e come lo sei ancora! Mi ricordo il giudice Carlton che ti faceva gli occhi dolci... - Smettila, Rossella; quel vecchio stupido! - rise Pitty, tornando di buon umore. - Ma certo Fanny poteva fare una scelta migliore. Non credo che abbia dimenticato il povero Dallas, ma davvero non è come te, tesoro. Tu avresti potuto rimaritarti dieci volte, e sei rimasta fedele al povero Carlo. Lo abbiamo detto tante volte, Melly ed io, mentre tutti quanti affermavano che eri una civetta senza cuore. Rossella passò sopra alla mancanza di tatto di questa confidenza; e abilmente condusse Pitty a parlare dell'uno o dell'altro, attendendo con impazienza di poter giungere a parlare di Rhett. Zia Pitty chiacchierava, felice di avere qualcuno che l'ascoltasse. Le cose ad Atlanta andavano malissimo, diceva; tutto a causa dei sistemi usati dai repubblicani. - Figurati, vogliono accordare il voto ai negri! Hai mai sentito una cosa simile? Quantunque... non so... Ora che ci penso, mi pare che zio Pietro abbia molto piú buon senso di tutti i repubblicani che ho conosciuto ed è molto piú educato. Ma quest'idea ha messo sottosopra tutti i negri. Alcuni di loro sono terribilmente insolenti. In istrada, perfino di pieno giorno, spingono le signore giú dal marciapiedi nel fango. E se un gentiluomo osa protestare lo arrestano e... A proposito, ti ho detto che il capitano Butler è in prigione? - Rhett Butler? Rossella fu grata a zia Pitty di averle risparmiato di essere la prima a pronunciare quel nome. - Ma sicuro! - L'eccitazione coloriva le guance di Pitty. - È in prigione per aver ucciso un negro; e vogliono impiccarlo! Pensa, il capitano Butler impiccato! Per un attimo Rossella sentí che il respiro le mancava, e non poté fare altro che fissare la vecchia e grassa signora che era evidentemente soddisfatta dell'effetto prodotto. - Non sono ancora riusciti a provarlo, ma certo qualcheduno ha ucciso il negro che aveva insultato una donna bianca. E gli yankees sono sottosopra, perché recentemente sono stati uccisi parecchi negri. Non hanno prove contro il capitano Butler; ma desiderano dare un esempio; cosí dice il dottor Meade. E dice anche che se lo impiccano, sarà la prima buona azione degli yankees; ma veramente io non so... Pensare che il capitano Butler era stato qui una settimana fa e mi ha portato la piú bella quaglia del mondo! Mi ha anche chiesto di te, dicendo che temeva di averti offesa durante l'assedio e che tu non gli avresti mai perdonato. - E quanto tempo starà in prigione? - Chi lo sa? Forse finché lo impiccheranno; ma può darsi che non riescano a provare che è colpevole d'omicidio. Però gli yankees non si preoccupano molto se una persona è colpevole o no, quando si tratta d'impiccarla. Sono molto in pensiero... - Pitty abbassò la voce misteriosamente - per il Ku Klux Klan. L'avete anche voialtri in campagna? Sono sicura di sí; ma Ashley non ve ne avrà parlato. Vanno in giro la notte vestiti come fantasmi e vanno dai «carpetbaggers» che hanno rubato del denaro o dai negri che si sono mostrati sfacciati. A volte si limitano a spaventarli e ad imporre loro di lasciare Atlanta. Ma quando non si comportano come essi vogliono, li frustano e magari li uccidono. E li lasciano in un luogo dove possono essere trovati facilmente col biglietto del Ku Klux appuntato addosso... Gli yankees sono molto irritati di questo e vogliono dare un esempio... Ma Ugo Elsing mi ha detto che non crede che impiccheranno il capitano Butler, perché sono convinti che egli sappia dov'è il denaro e non voglia dirlo; e cercano di farlo parlare. - Che denaro? - Non lo sai? Non te l'ho scritto? Figúrati che quando il capitano Butler è tornato qui con le tasche piene di quattrini, mentre nessuno di noi sapeva come fare per mangiare, tutti quanti cominciarono a mormorare. Erano furibondi perché quello speculatore che aveva sparlato della Confederazione era cosí ricco, mentre tutti quanti erano poveri. Nessuno osava chiedergli come aveva fatto per mettere a parte quel denaro; soltanto io osai accennargliene. Egli rise e mi rispose: «Certo non in un modo onesto!» Sai che non si può mai farlo parlare ragionevolmente! - Ma era notorio che guadagnava molto col contrabbando... - Senza dubbio, tesoro. Ma è una miseria, a confronto di quello che possiede realmente! Tutti, compresi gli yankees, sono convinti che egli abbia nascosto chi sa dove dei milioni in oro, appartenenti al governo della Confederazione. - Milioni... in oro? - Diamine, tesoro, dove vuoi che sia andato tutto l'oro del nostro paese? Qualcuno deve averlo avuto; e il capitano Butler è uno di costoro. Gli yankees credevano che lo avesse portato via il presidente Davis quando lasciò Richmond; ma quando lo catturarono, il pover'uomo non aveva neanche un quattrino. E a guerra finita, si è detto che i contrabbandieri del blocco dovevano averlo portato via, e si guardavano bene dal parlare. - Milioni... in oro! Ma come... - Non portò forse il capitano Butler migliaia di balle di cotone a Nassau e in Inghilterra per venderle per conto del governo? - chiese Pitty trionfante. - Non solo cotone suo, ma anche cotone del governo? E ti ricordi a che prezzi arrivò il cotone in Inghilterra in quel periodo! Pare che Butler fosse agente del governo; che dovesse vendere il cotone ed acquistare armi per noi. In breve: quando il blocco si fece troppo stretto, egli non poté piú portare dentro armi; e siccome non poteva avere speso neanche la centesima parte del denaro riscosso per il cotone, sono semplicemente milioni di dollari depositati nelle banche inglesi da Butler e da altri come lui, in attesa che il blocco si allentasse. E certamente il denaro non è stato depositato a nome del governo ma in proprio... Tutti ne hanno parlato, dopo la resa, criticando severamente questa gente che allora faceva il contrabbando attraverso il blocco; e quando gli yankees hanno arrestato Butler sotto l'imputazione di avere ucciso il negro, le voci debbono essere giunte anche al loro orecchio; infatti hanno chiesto a Butler dov'è il denaro. Perché, sai, gli yankees dicono che tutti i fondi della Confederazione ora appartengono a loro. Ma il capitano Butler dice che non sa nulla... E il dottor Meade dice che finiranno con l'impiccarlo; ma che l'impiccagione è una pena troppo mite per un ladro e un profittatore... Dio, cara, che faccia! Ti senti male? Ti ha fatto impressione sentire questa storia? Sapevo che era un tuo spasimante, ma credevo che la cosa fosse finita da un pezzo. Personalmente non mi piaceva che ti facesse la corte, perché è un tale furfante... - Non è mio amico - profferí Rossella con sforzo. - Anzi ebbi una disputa con lui durante l'assedio, dopo che tu eri andata a Macon. E... dov'è? Nel deposito degli attrezzi dei pompieri vicino alla piazza. - Nel deposito...? Zia Pitty rise. - Sí; gli yankees lo usano come carcere militare. I soldati sono accampati nelle tende che hanno collocato intorno alla piazza; e siccome il deposito è a una delle estremità, hanno stabilito lí le prigioni. A proposito: devo raccontarti una cosa buffa riguardo al capitano Butler... non so piú chi me l'ha detta. Dunque: ti ricordi com'era elegante e accurato? Nel deposito non gli hanno permesso di fare il bagno. E siccome lui insisteva ogni giorno, finalmente lo hanno condotto fuori dalla cella nel cortile, e c'era un abbeveratoio per i cavalli dove tutto il reggimento si era lavato nella stessa acqua! E volevano che si bagnasse lí dentro; allora lui rispose che preferiva il proprio sudiciume meridionale al sudiciume yankee! E... Rossella udiva la voce continuare gaiamente; ma non distingueva piú le parole. Non riusciva a pensare che due cose: Rhett aveva piú denaro di quanto lei credesse, ed era in prigione. Il fatto che quell'uomo fosse in carcere e forse in procinto di essere impiccato mutava alquanto la prospettiva, rendendola anche piú brillante. A lei, in verità, non importava nulla che Rhett andasse a penzolare all'estremità di una forca. Condivideva, in fondo, l'opinione del dottor Meade... Ma se riusciva a sposarlo mentre era in carcere, tutti i milioni diventerebbero suoi il giorno in cui egli fosse impiccato. E se il matrimonio non era possibile, forse ella riuscirebbe ad ottenere un prestito con la promessa di sposarlo quando fosse liberato, o promettendogli... sí, promettendogli qualunque cosa! E se lo impiccavano, il giorno della restituzione non verrebbe mai. Per un momento inorridí al pensiero di diventar vedova per il benigno intervento del governo yankee. Milioni in oro! Poter riparare Tara, ingaggiare degli agricoltori, piantare miglia e miglia di cotone... E avrebbe dei bei vestiti, e tutto quello che le faceva piacere, e mangerebbe a volontà; e cosí anche Súsele e Carolene. E Wade avrebbe dei buoni cibi e ingrasserebbe un pochino; avrebbe dei vestiti caldi e una governante, e piú tardi andrebbe all'università... invece di crescere scalzo e ignorante come un boscaiolo! E potrebbe far curare il babbo da un buon medico; e per Ashley... Dio, quante cose potrebbe fare per Ashley! Il monologo di zia Pitty si interruppe bruscamente con un: - Ebbene, Mammy?, e destandosi dai suoi sogni Rossella vide Mammy sulla soglia, con le mani sotto al grembiule, che la fissava col suo sguardo penetrante. Chi sa da quanto tempo si trovava lì, e chi sa quante cose aveva udite e osservate! - Miss Rossella sembrare stanca. Essere meglio che andare a letto. - Sí, sono stanca - e Rossella si alzò e guardò Mammy con uno sguardo infantile e un po' smarrito - e temo che mi stia anche venendo un raffreddore. Zia Pitty, ti dispiace se domani rimango a letto e non ti accompagno a fare le tue visite? Vorrei proprio andare al matrimonio di Fanny domani sera; e se il mio raffreddore peggiora, non potrò uscire. Invece, con una giornata di letto me la caverò. L'espressione di Mammy mutò; ella apparve preoccupata quando prese le mani di Rossella e la guardò in faccia. Era pallida e disfatta; tutta la sua eccitazione era caduta. - Avere mani di ghiaccio, tesoro. Venire subito a letto. Io preparare tè di sassifraga e portare mattone caldo per farti sudare. - Dio, come sono sciocca! - esclamò la vecchia signorina balzando in piedi e accarezzando il braccio di Rossella. - Ho chiacchierato senza pensare alla tua stanchezza... Domani resterai a letto a riposarti e io verrò a farti compagnia... Oh Dio, no; non posso! Ho promesso alla signora Bonnell di andare da lei. Ha la grippe, e anche la sua cuoca sta poco bene. Mammy, sono felice che tu sia qui; cosí domattina verrai con me ad aiutarmi. Mammy accompagnò Rossella su per le scale, borbottando contro il raffreddore e le scarpine troppo sottili e altre osservazioni del genere. Rossella fu molto contenta pensando che forse la mattina dopo potrebbe liberarsi di Mammy e andare alla prigione yankee per vedere Rhett. Mentre saliva le scale sentì in distanza il brontolio del tuono che le ricordò il rombo lontano delle cannonate. Rabbrividì. Per tutta la vita il tuono le ricorderebbe ormai il cannone e la guerra.

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A quanto pare, corre voce che io abbia portato via il mitico oro della Confederazione... - E... non lo avete fatto? - Che domanda! Voi sapete meglio di me che la Confederazione aveva una macchina litografica invece di una zecca. - E da dove veniva tutto il vostro denaro? Speculazioni. Zia Pitty dice... - Che domande insidiose? Dio lo benedica! Certamente aveva il denaro... Rossella era cosí eccitata che ormai trovava difficile parlargli con dolcezza. - Rhett, sono tanto sconvolta all'idea che siate rinchiuso qui dentro... Non vi è nessuna possibilità di uscirne? - Il mio motto è "nihil desperandum". - E che significa? - Significa "forse", mia graziosa ignorantella. Rossella agitò le palpebre frangiate come ali di farfalla. - Siete troppo abile per lasciarvi impiccare! Certo troverete il modo di cavarvela. E quando sarete riuscito... - Ebbene? - chiese Rhett dolcemente, chinandosi ancor di più - Ebbene, io... - Riuscí a fingere un grazioso imbarazzo e ad arrossire. Il rossore non le riuscí troppo difficile, perché era ansimante e il cuore le batteva come un tamburo. - Rhett, sono cosí spiacente di... di quello che vi dissi quella sera... lí, sulla strada. Ero... tanto spaventata e sconvolta e voi... - Abbassò gli occhi e vide le mani brune di lui sulle sue.... E credetti... che non vi avrei mai piú perdonato! Ma quando zia Pitty ieri mi ha detto che voi... che potrebbero impiccarvi... io... io... - Gli lanciò un rapido sguardo d'implorazione in cui mise tutta l'angoscia di un cuore spezzato - Oh, Rhett, se vi impiccassero morirei! Non potrei resistere! Io... - E non potendo sostenere la luce ardente degli occhi di lui, abbassò nuovamente le palpebre. «Sento che sto per piangere» pensò eccitata, frenetica. «Debbo dar corso alle lagrime? Sembrerà piú naturale? Rhett le strinse le mani cosí forte da farle male, mentre mormorava: - Dio mio, Rossella, non volete dire che... Ella chiuse gli occhi cercando di spremerne qualche lagrima, ma volgendo lievemente in alto il viso perché egli potesse baciarla piú facilmente. Fra un secondo la sua bocca sarebbe sulla sua; quella bocca dura che improvvisamente ricordò con un'intensità che parve la svuotasse di tutto il sangue. Ma egli non la baciò. Delusa e stupita, riaperse gli occhi e arrischiò una breve occhiata. Il capo bruno era chino sulle sue mani; egli ne sollevò una e la baciò; poi, prendendo l'altra, se la posò per un momento sulla guancia. Aspettandosi qualche cosa di violento, questo gesto gentile e affettuoso la stupí. Avrebbe voluto vedere l'espressione del suo volto, ma non poté scorgerlo. Riabbassò in fretta gli occhi per timore che egli sollevasse i suoi e vedesse la sua espressione. Era sicura di non poter celare la gioia per il trionfo imminente. Certo fra un minuto le chiederebbe di sposarlo o perlomeno le direbbe che l'amava; e allora... Mentre attraverso le folte ciglia abbassate ella lo guardava, Rhett le rivoltò la mano per baciarne anche il palmo, e a un tratto respirò piú velocemente. Anche Rossella in quel momento vide il palmo della propria mano, come se non lo avesse mai visto, e si sentí mancare il cuore. Era la mano di un'estranea, non la mano bianca, morbida, tutta fossette di Rosella O'Hara. Era una mano indurita dal lavoro, arsa dal sole, screpolata e incallita. Le unghie erano spezzate e irregolari; nel pollice era una vescica in via di guarigione. La cicatrice della bruciatura prodotta il mese scorso dal grasso bollente era lucida e rossa. Rossella vide tutto ciò in un lampo, con orrore, e istintivamente strinse il pugno. Neanche adesso Rhett levò il capo. Neanche adesso ella vide il suo volto. Le riaperse il pugno senza pietà, le prese l'altra mano e rimase a fissarle senza parlare. - Guardatemi - disse finalmente alzando la testa; la sua voce era tranquilla. - E smettete quell'aria umiliata. Involontariamente ella lo guardò con un'espressione di sfida e di turbamento. Gli occhi di lui scintillavano e le sue sopracciglia brune erano inarcate. - Dunque le cose vanno benino a Tara, non è vero? E il raccolto del cotone rende tanto che voi potete andare in giro a visitare i parenti. Che cosa avete fatto con queste mani...? Vangato? Ella cercò di svincolarsi; ma Rhett la trattenne e le posò un dito sui calli. - Queste non sono le mani di una signora - e gliele posò nuovamente in grembo. - Tacete! - ella esclamò provando un attimo di sollievo nel sentirsi nuovamente capace di esprimere i propri sentimenti. - Che cosa v'importa di quello che faccio con le mani? «Che sciocca!» pensò frattanto con ira. «Dovevo farmi prestare i guanti di zia Pitty o rubarglieli. Ma non mi ero accorta che le mie mani fossero in questo stato. E ora ho perso il controllo di me stessa ed ho rovinato ogni cosa!» E questo proprio nel momento in cui stava per fare la sua dichiarazione! - Senza dubbio le vostre mani non mi riguardano - rispose Rhett freddamente e si appoggiò indolentemente alla spalliera della sua sedia con aria ingenua. La faccenda diventava difficile. Chi sa, forse parlandogli con dolcezza... - Siete poco gentile a respingere le mie povere mani, soltanto perché la settimana scorsa sono andata a cavallo senza guanti e me le sono sciupate... - Accidempoli, che cavallo! - La voce di lui era ugualmente calma e dolce. Avete lavorato come un negro, con quelle mani. Perché non dite la verità? Perché darmi ad intendere che le cose a Tara vanno bene? - Ma insomma, Rhett... - Qual'è il vero scopo della vostra visita? Avevo quasi creduto alle vostre moine e stavo per convincermi che eravate addolorata che io... - Ma sí, Rhett, sono addolorata! Davvero... - Niente affatto. Se anche mi appiccassero a non so che altezza, non ve ne importerebbe nulla. È scritto chiaramente sul vostro viso, cosí come il lavoro faticoso è scritto sulle vostre mani. Voi volete qualchecosa da me e perciò avete inscenato questa commedia. Perché non siete venuta a dirmelo francamente? Avreste avuto piú probabilità di raggiungere il vostro scopo, perché se vi è una virtú che stimo in una donna è la franchezza. Ma no: siete venuta qui a far dondolare i vostri orecchini e a fare delle smorfie come una prostituta che spera di accaparrarsi un cliente. Non aveva alzato la voce pronunciando queste ultime parole, ma per Rossella furono come una frustata; ed ella vide con disperazione il naufragio di tutte le sue speranze. Se egli avesse avuto uno scoppio d'ira come a molti altri uomini sarebbe accaduto, Rossella avrebbe ancora trovato modo di prenderlo. Ma la calma mortale della sua voce la sgomentò. Benché fosse un detenuto e nella stanza accanto vi fossero gli yankees, ella comprese improvvisamente che era pericoloso mettersi in contrasto con Rhett Butler. - Evidentemente la memoria mi ha fatto difetto. Dovevo ricordarmi che voi siete come me e non fate mai nulla senza uno scopo. Vediamo, dunque. Che diamine potevate avere in mente, signora Hamilton? Possibile che abbiate supposto che vi avrei chiesta in moglie? Ella divenne di porpora e non rispose. - Eppure non potete aver dimenticato che molte e molte volte ho affermato che non sono tipo da matrimonio! Poiché ella non rispondeva, egli riprese con subitanea violenza. - Non lo avevate dimenticato? Rispondetemi! - Non lo avevo dimenticato - rispose Rossella miserabilmente. - Siete una giocatrice, Rossella - rise Rhett. - Avete creduto che l'essere chiuso qui, lontano da ogni contatto femminile, mi avrebbe messo in tale stato che avrei abboccato all'amo come un povero pesciolino... «E se non fosse stato per le mie mani...!» pensò Rossella con ira. - Ora la verità è venuta fuori; mi manca soltanto conoscere i vostri motivi. Vedete un po' se siete capace di dirmi perché volevate accalappiarmi nella rete matrimoniale. Nella sua voce era una nota soave, quasi beffarda, ed ella riprese un po' di coraggio. Forse tutto non era ancora perduto. Certo non vi era piú da pensare al matrimonio; ma di questo, malgrado la sua disperazione, fu quasi contenta. Vi era qualche cosa, in quell'uomo immobile, che la sgomentava; sicché ora il pensiero di sposarlo le appariva spaventoso. Ma forse, con un po' di abilità e sapendo toccare il tasto dei ricordi, potrebbe ottenere il prestito. Diede al suo viso un'espressione infantile e supplichevole. - Oh, Rhett... potreste aiutarmi... se voleste esser buono! - Non c'è nulla che mi piaccia di piú che l'esser buono. - Rhett, per la nostra vecchia amicizia, vorrei che mi faceste un favore. - Oh, finalmente la signora dalle mani callose viene a dirmi il vero scopo della sua visita. Mi pareva bene che «visitare gli infermi e i carcerati» non fosse il vostro genere. Di che avete bisogno? Denaro? La rudezza di questa domanda distrusse ogni speranza di condurre la faccenda in maniera guardinga e sentimentale. - Non siate cosí cattivo, Rhett! - La sua voce era lusingatrice. - Ho bisogno di un prestito da voi... Trecento dollari. - Finalmente la verità! Si parla d'amore ma si pensa ai quattrini. Com'è femminile questo! E vi occorrono assolutamente? - Sí... Cioè, non assolutamente, ma mi farebbero comodo. - Trecento dollari. È una bella somma. Per che cosa vi serve? - Per pagare le imposte su Tara. - Dunque, vi occorre una sovvenzione. Giacché siete qui per affari, parlerò anch'io da uomo d'affari. Che garanzia mi date? - Come? - Garanzia. Sicurezza della restituzione. Non ho nessuna voglia di perdere una simile cifra. - La sua voce aveva una falsa dolcezza; ma Rossella non la rilevò. Sperava ancora che la faccenda potesse aggiustarsi. - I miei orecchini. - Non mi interessano. - Vi darò un'ipoteca su Tara. - Che volete che ne faccia di una proprietà fondiaria? - Potreste... potreste... è un'ottima piantagione. E non perderete nulla. Vi rimborserò col ricavato del prossimo raccolto. - Non ne sono molto sicuro. - Si appoggiò indietro, alla spalliera della sedia, e si mise le mani in tasca. - I prezzi del cotone stanno scendendo. I tempi sono difficili e il denaro è scarso. - Mi prendete in giro, Rhett! Coi milioni che avete... Gli occhi neri di lui brillavano maliziosamente mentre egli la fissava. - Dunque, tutto va bene e voi non avete un bisogno assoluto di questo denaro. Mi fa piacere di saperlo. Sono ben contento che per i vecchi amici la vita sia abbastanza facile. - Rhett, per l'amor di Dio... - riprese Rossella disperata, perdendo il coraggio e il controllo di sé. - Parlate piú sommessa. Spero che non vorrete che gli yankees vi sentano. Vi hanno mai detto che avete gli occhi di un gatto... di un gatto nell'oscurità? - Non mi tormentate, Rhett! Vi dirò tutto. Ho assoluto bisogno del denaro. Ho... ho mentito in tutto e per tutto. Le cose... vanno alla peggio. Il babbo è... non è piú in sé, da quando è morta la mamma; e non può aiutarmi in nessun modo; è ridotto come un bambino. Non abbiamo un solo contadino per coltivare il cotone e siamo in tanti a mangiare: tredici persone! Le tasse sono altissime. Voglio dirvi tutto, Rhett! Per un anno siamo stati sempre in procinto di morire di fame. Oh, non potete sapere! È terribile svegliarsi con la fame e andare a letto con la fame... E non avere un vestito che dia un po' di calore; i bambini sono sempre raffreddati e sofferenti... - Dove avete preso questo bel vestito? - È fatto con le tende della mamma - rispose, troppo disperata per tacere questa vergogna. - Ho resistito al freddo e alla fame, ma ora... i «carpetbaggers» hanno aumentato le tasse. E bisogna pagare! Non ho che una moneta d'oro da cinque dollari. E se non pago... mi prenderanno Tara! E io... noi non possiamo perdere la nostra terra, la nostra casa! - Perché non mi avete detto subito tutto questo invece di far languire il mio cuoricino suscettibile... sempre debole quando si tratta di belle signore? No, Rossella, non piangete. Avete usato tutti i trucchi possibili, meno questo; e non so se potrei resistere. Ho già il cuore abbastanza lacerato dalla delusione di avere scoperto che volevate il mio denaro e non la mia affascinante persona. Ella ricordò che Rhett spesso diceva delle verità scherzando e lo guardò per comprendere se egli era veramente addolorato. Si interessava davvero a lei? Era realmente stato in procinto di farle una proposta quando si era accorto delle sue mani callose? Ma gli occhi neri la guardavano con un'espressione che non era amorosa, e la bocca rideva beffarda. - Non mi piace la vostra garanzia. Non sono un piantatore. Che altro potete offrirmi? Finalmente era giunto il momento... Coraggio! Trasse un profondo respiro e lo guardò schiettamente, senza civetteria, mentre la sua mente cercava di non indietreggiare dinanzi a ciò che temeva di piú. - Ho... ho me stessa. - Davvero? La linea della mascella di lei si assottigliò e i suoi occhi divennero di smeraldo. - Vi ricordate quella sera, durante l'assedio, sotto al porticato di zia Pitty? Mi diceste... che mi desideravate. Egli si gettò nuovamente indietro, appoggiando la spalliera della seggiola alla parete; il suo volto bruno era impenetrabile. Una luce si agitò un attimo nei suoi occhi, ma egli tacque. - Diceste... che non avevate mai desiderato tanto nessuna donna. Se mi desiderate ancora, Rhett, potete avermi. Farò tutto ciò che vorrete; ma per carità, scrivetemi un ordine per il denaro! La mia parola vi deve bastare. Giuro che non mi trarrò indietro. Se volete, ve lo metterò in iscritto. Egli la guardò in modo strano, sempre impenetrabile; Rossella non avrebbe saputo dire se era divertito o disgustato. Se almeno avesse pronunciato una parola! Ella sentí le fiamme salirle al viso. - E bisogna che io abbia il denaro senza indugio, Rhett. Altrimenti ci metteranno in mezzo alla strada; quel maledetto sorvegliante che era alle dipendenze del babbo vuoi diventare proprietario di Tara... - Un momento. Che cosa vi fa credere che io vi desideri ancora? Che cosa vi fa supporre che potete valere trecento dollari? Generalmente le donne non raggiungono questo prezzo. Ella arrossí fino alla radice dei capelli; non poteva essere piú umiliata di cosí. - Perché fate questo? Perché non lasciate perdere la proprietà e non ve ne andate ad abitare con miss Pittypat? Metà della casa vi appartiene... - Dio benedetto! - esclamò Rossella. - Siete pazzo? Io non posso lasciar perdere Tara. È la mia casa. Non la lascerò finché avrò respiro! - Gli irlandesi - e riabbassò i piedi anteriori della sedia togliendosi le mani di tasca - sono la razza piú infernale che vi sia. Mettono un ardore inverosimile nelle cose piú sbagliate. Per esempio, la terra. Come se una zolla non fosse identica a un'altra zolla... Dunque, stabiliamo chiaramente questa faccenda. Siete venuta da me con una proposta commerciale. Io vi darò trecento dollari e voi diventerete la mia amante. - Sí. Ora che la parola ripugnante era stata detta, ella si sentí sollevata; la speranza si ridestò in lei. Rhett aveva detto «vi darò». Nei suoi occhi era una luce diabolica, come se la cosa lo divertisse sommamente. - Eppure, quando ho avuto la sfacciataggine di farvi la stessa proposta, mi avete messo alla porta. E mi avete gratificato di un certo numero di insulti, aggiungendo che non volevate arrischiare di mettere al mondo «un mucchio di bastardi». Questo lo dico soltanto perché sto cercando di capire le stranezze della vostra mentalità. E tutto questo mi convince una volta di piú che la virtú è semplicemente una questione di prezzo. - Oh, Rhett, continuate pure! Se avete voglia di insultarmi, dite tutto quello che volete, ma datemi il denaro! Ora si sentiva piú tranquilla. Conoscendo Rhett, era certa che egli l'avrebbe tormentata e insultata per vendicarsi del passato e anche del suo recente tentativo. Ebbene, sopporterebbe tutto. Per Tara, valeva la pena. Tutto si poteva sopportare. Rialzò il capo. - Me lo darete? Egli la fissò come se si stesse divertendo, e quando rispose la sua voce ebbe una soave brutalità: - No, non ve lo darò. Le sembrò quasi di non capire. - Non potrei darvelo, anche se volessi. Non ho un quattrino con me. E non ho un dollaro ad Atlanta. Ho un po' di denaro, sí, ma non qui. E non vi dirò quanto né dove. Ma se io cercassi di fare un assegno, gli yankees vi si avventerebbero sopra e non prenderemmo piú nulla, né voi né, io. Che ne dite? Il volto di lei divenne verdastro, e la sua bocca si contorse come quella di Geraldo in una rabbia omicida. Balzò in piedi con un grido incoerente che fece immediatamente cessare il mormorio di voci nella stanza accanto. Con un guizzo di pantera Rhett le fu vicino, mettendole una mano sulla bocca e afferrandola alla vita con l'altro braccio. Ella lottò violentemente, cercando di mordergli la mano, di dargli dei calci, di urlare la sua ira, la sua disperazione, il suo odio, la sua angoscia, il suo orgoglio ferito. Si dibatté e si torse su quel braccio di ferro, ma egli la teneva cosí stretta da farle male; anche la mano che le aveva posto sulla bocca le serrava crudelmente le mascelle. Era pallidissimo sotto il suo colore abbronzato e i suoi occhi erano ansiosi mentre la sollevava completamente da terra; sedette nuovamente, stringendosela al petto, raccogliendola sulle sue ginocchia tutta contorta. - Cara, per l'amor di Dio! Zitta! Non urlate! Altrimenti entreranno qui... Calmatevi! Volete che gli yankees vi vedano in questo stato? Non le importava nulla di essere vista da chiunque; non aveva altro che un feroce desiderio di ucciderlo. Ma si sentí prendere dal capogiro: stentava a respirare; Rhett la soffocava; il busto la stringeva come una morsa di ferro. Udí la sua voce diventare piú fievole e lontana e il volto di lui chino sul suo fu avvolto da una specie di nebbia sempre piú densa, finché non lo vide piú. Tornando in sé, fece qualche lieve movimento: le dolevano tutte le ossa e si sentiva debole e sbalordita. Semisdraiata sulla sedia, era senza cappello; Rhett le dava dei lievi colpetti sul polso, mentre i suoi occhi neri la scrutavano ansiosamente. Il giovine capitano cercava di farle inghiottire un bicchierino di acquavite; gliene aveva sparso metà sul collo. Gli altri ufficiali giravano intorno senza saper che fare, parlando sottovoce e agitando le mani. - Credo... di essere svenuta. - E la propria voce le parve cosí lontana che la spaventò. - Bevi questo - disse Rhett prendendo il bicchiere e accostandoglielo alle labbra. Ella ricordò l'accaduto e lo guardò; ma era troppo stanca per adirarsi. - Ti prego, per amor mio. Inghiottí un sorso e cominciò a tossire; ma egli la costrinse ad inghiottire ancora. Ingoiò e il liquido ardente le bruciò la gola. - Ora mi pare che stia meglio, signori - disse Rhett - ed io vi ringrazio molto. L'idea che io debba essere giustiziato l'ha sconvolta. Il gruppo in uniformi azzurre si agitò un poco confusamente; vi fu qualche sguardo imbarazzato, qualche colpetto di tosse, poi tutti uscirono. - Se posso ancora esservi utile... - disse il giovine capitano soffermandosi sulla soglia. - No, grazie. Uscí e richiuse l'uscio. - Bevete un altro sorso. - No. - Bevete. Bevve ancora; il calore si diffuse per il suo corpo e le diede un po' di forza. Fece per alzarsi in piedi, ma egli la trattenne. - Lasciatemi. Ora me ne vado. - Non ancora. Aspettate un momento. Potreste svenire di nuovo. - Preferisco svenire per istrada piuttosto che stare qui con voi. - Ma io non voglio che vi sentiate male per istrada. - Lasciatemi andare. Vi odio. Egli accennò un debole sorriso. - Questo vi somiglia. Si vede che state meglio. Rossella cercò per un momento di richiamare la sua collera; ma era troppo stanca e debole per potere odiare e provare qualsiasi sentimento violento. La sconfitta le pesava come il piombo. Aveva giocato e aveva perduto tutto. Questa era la fine della sua ultima speranza; la fine di Tara e di ogni cosa. Rimase a lungo con gli occhi chiusi, sentendo vicino a sé il respiro di lui; il calore dell'acquavite diffondendosi nel suo corpo le diede una fittizia energia. Quando finalmente riaperse gli occhi e lo vide, la collera la invase nuovamente. Vedendole aggrondare le sopracciglia, Rhett sorrise. - State meglio. Si vede dal vostro cipiglio. - Sí, sto bene. Ma voi, Butler, siete un odioso farabutto, il piú gran mascalzone che io abbia mai conosciuto! Sapevate benissimo quello che vi avrei detto e sapevate che non potevate darmi il denaro. Avreste dunque potuto evitarmi... - Evitarvi di dire quello che avete detto? Neanche per sogno. Ho cosí poche distrazioni qui! E non ho mai udito nulla di piú piacevole. - Improvvisamente rise del suo vecchio riso beffardo. Udendolo ella balzò in piedi afferrando il suo cappello. Egli la prese per le spalle. - Non ancora! Vi sentite abbastanza bene da poter parlare con un po' di senso comune? - Lasciatemi andare! - Vedo che state bene. E allora ditemi una cosa. Ero io la sola cartuccia che potevate sparare? - I suoi occhi erano attenti e pronti a spiare ogni mutamento del volto di lei. - Che volete dire? - Ero il solo uomo col quale potevate tentare...? - Che ve ne importa? - Piú di quello che immaginate. Ditemi dunque. Avete altri uomini a cui ricorrere? - No! - Incredibile. Non riesco a immaginarvi senza una riserva di cinque o sei innamorati. Certamente qualcuno potrebbe accettare la vostra proposta. Ne sono tanto sicuro che vorrei darvi un piccolo consiglio. - Non so che farmene dei vostri consigli. - Voglio darvelo lo stesso. È la sola cosa che posso darvi adesso. Quando volete ottenere qualche cosa da un uomo, non siate cosí schietta come siete stata con me. Siate piú insinuante, piú seducente. Il risultato sarà migliore. Una volta eseguivate questo gioco alla perfezione. Ma poco fa, quando mi avete offerto la vostra... hm.... garanzia per il mio denaro, siete stata troppo dura. Ho visto degli occhi come i vostri una volta, a venti passi di distanza, durante un duello alla pistola; e vi assicuro che non è una vista piacevole. Ciò non risveglia l'ardore nel petto di un uomo. Non è cosí che si trattano gli uomini, mia cara. Voi state dimenticando la vostra educazione e tutte le arti che vi sono state insegnate. - Non ho bisogno che mi diciate come devo comportarmi - replicò Rossella; e si mise il cappello con le mani tremanti di stanchezza. Fu stupita che egli avesse voglia di scherzare, sentendosi la corda intorno al collo, e sapendo lei in condizioni cosí pietose. Non si accorse neppure che egli aveva le mani sprofondate in tasca, coi pugni stretti, come se facesse uno sforzo contro la propria impotenza. - Allegra - le disse mentre ella si annodava i nastri del cappello. - Potrete venire ad assistere alla mia impiccagione; questo vi farà bene. Salderà tutti i vostri vecchi rancori contro di me... anche quest'ultimo. E io vi nominerò nel mio testamento. - Grazie; ma c'è il pericolo che vi impicchino quando sarà troppo tardi per pagare le tasse - rispose Rossella con una subitanea malizia che superò quella di lui.

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Mi pare che qualcuno mi abbia detto che state a Marietta. - Ho da fare, a Marietta; una quantità di faccende... Non ve lo ha detto miss Súsele che sono stabilito ad Atlanta? Non vi ha parlato del mio negozio? Ricordò vagamente che Súsele doveva averle detto qualche cosa in proposito; ma lei non badava mai molto ai discorsi di sua sorella. Le era bastato sapere che Franco era vivo e che un giorno o l'altro le toglierebbe il peso di Súsele. - No, non mi ha detto nulla - mentí. - Avete un negozio? Come siete bravo! Egli sembrò un po' piccato che Súsele non avesse dato la notizia, ma l'elogio gli fece piacere. - Sí, ho preso una bottega, e credo di aver fatto bene. Mi dicono che ero nato per fare il negoziante. - Rise divertito; era la sua solita risata chioccia che le aveva sempre dato noia. «Vecchio scemo presuntuoso» pensò. - Ma voi riuscite in qualsiasi cosa, signor Kennedy! E come vi è venuto in mente di aprire un negozio? Quando vi vidi a Natale diceste che non avevate il becco d'un quattrino al mondo! Egli si schiarí la voce, si tirò i baffi e sorrise col suo sorriso un po' timido. - È una storia lunga - cominciò. «Dio sia ringraziato!» pensò Rossella. E a voce alta: - Raccontate! - Vi ricordate l'ultima volta che venimmo a Tara, per cercare delle provviste? Dopo non molto andai a far parte del servizio attivo. Che volete, i commissari non erano piú molto necessari, visto che vi era cosí poco da provvedere... Pensai quindi che il posto di un uomo sano era fra i combattenti. Entrai in cavalleria e presi parte a diversi combattimenti finché mi buscai una pallottola in una spalla. Sembrava molto fiero di questo; e Rossella esclamò: - Che spavento! - No, niente di grave. Fui mandato in un ospedale al Sud, ed ero quasi guarito quando giunsero gli yankees. Che momenti! Chiunque era in grado di camminare dovette aiutare a caricare quello che esisteva di rifornimenti e di medicinali per portarlo via. Stavamo per caricare tutto su un treno quando gli yankees entrarono in città da una parte; noi uscimmo dall'altra con la maggior velocità possibile. Vi assicuro che fu ben triste cosa vedere gli yankees incendiare tutta quella roba che avevamo dovuto lasciare al deposito! Avevamo ammonticchiato ogni cosa sui marciapiedi accanto ai binari per oltre mezzo miglio; e tutto fu bruciato. Riuscimmo a stento a salvarci. - Terribile! - Sí; questa è la parola. Terribile! I nostri uomini erano rientrati in Atlanta e quindi il nostro treno fu mandato qui. Dopo poco tempo la guerra era finita e... vi era una gran quantità di porcellane, di materassi e di coperte che nessuno reclamava. Credo che come diritto appartenessero agli yankees; queste, almeno, erano le condizioni della resa, no? - Hum - fece Rossella distratta. Cominciava a riscaldarsi e si sentiva un po' stordita. - Non so ancora se ho fatto bene o male - proseguí lamentosamente. - Ma pensai che tutta quella roba non sarebbe servita in nessun modo agli yankees. Probabilmente l'avrebbero bruciata. E i nostri l'avevano pagata; quindi mi parve che, dopo tutto, appartenesse con maggior diritto alla Confederazione o ai confederati. Non sembra anche a voi? - Hum... - Sono lieto che siate d'accordo con me. È una cosa che mi è sempre rimasta un po' sulla coscienza... Molti mi dicono: «Non ci pensate, Franco!» ma non posso. Non riuscirei piú a guardare in faccia nessuno se credessi di aver commesso un'azione disonesta... Voi credete che io abbia fatto bene? - Senza dubbio - affermò Rossella, senza sapere che cosa le chiedeva quel seccatore. Certo si trattava di un caso di coscienza. Alla sua età, avrebbe ormai dovuto imparare che non valeva la pena di preoccuparsi di tante sciocchezze! Ma era sempre stato cosí nervoso e incerto! - Mi fa piacere sentirvi dir questo. Pensate che dopo la resa avevo in tutto e per tutto dieci dollari d'argento. Sapete bene che cosa fecero della mia casa e dei miei magazzini a Jonesboro! Insomma, coi dieci dollari rimisi il tetto a una vecchia bottega ai Cinque Punti, vi trasportai la mercanzia e cominciai a venderla. Tutti avevano bisogno di letti, di piatti, di materassi ed io vendevo a poco prezzo. Insomma, col denaro che incassavo comprai altra merce e il negozio a poco a poco si avviò benino. Credo che andando avanti cosí finirò col guadagnare parecchio denaro. Alla parola «denaro» la mente di lei tornò chiara come un cristallo. - Avete detto che avete guadagnato parecchio? Evidentemente egli era felice del suo interessamento. Ad eccezione di Súsele, nessuna donna aveva mai avuto verso di lui piú di una cortesia formale; ed era molto lusinghiero vedere una creatura come Rossella pendere dalle sue labbra. Fece rallentare il passo al cavallo per non arrivare a casa prima di aver finito la sua storia. - Non sono un milionario, miss Rossella, e in confronto del denaro che avevo prima, quello di adesso è ben poco. Ma quest'anno ho guadagnato mille dollari. Naturalmente cinquecento sono serviti per pagare la nuova merce, la riparazione del negozio e l'affitto. Ma cinquecento sono di guadagno netto; e siccome le cose andranno certamente meglio, l'anno venturo dovrei guadagnarne duemila. Poi ho un'altra corda al mio arco. Il discorso finanziario aveva ridestato il suo interesse. Ella velò gli occhi con le ciglia folte e gli si avvicinò un po' di piú. - Cioè? Egli rise. - Senza dubbio vi annoio parlando di affari. Una bella donnina come voi non ne capisce nulla. Vecchio imbecille! - Non ne capisco nulla, ma m'interessa tanto! Raccontatemi tutto e mi spiegherete quello che non comprendo. - Ebbene, l'altra corda che ho al mio arco è una segheria. - Che cosa? - Uno stabilimento per tagliare e piallare il legname. Non l'ho ancora comprato, ma sto per farlo. È un certo Johnson che vorrebbe venderla perché ha bisogno di denaro contanti; quindi me la venderebbe e rimarrebbe a dirigerla per mio conto con uno stipendio settimanale. È uno dei pochi laboratori rimasti in questa regione, miss Rossella. Gli yankees li hanno distrutti quasi tutti. E chi ha una segheria ha una miniera d'oro, perché il legname si vende al prezzo che si vuole. La gente ha la smania di ricostruire le case distrutte. Atlanta ricomincia ad avere una popolazione numerosa: gente che viene dalla campagna perché non può fare andare avanti piantagioni e fattorie senza schiavi; yankees e «carpetbaggers» che sciamano qui cercando di finire di spogliarci. Vi assicuro che Atlanta sarà tra breve una gran città; avranno bisogno di legname per fabbricare; quindi io comprerò questa segheria appena... sí, appena mi pagheranno certo denaro che mi devono. L'anno venturo di questi tempi, avrò un po' piú di possibilità. Credo... credo che sappiate perché desidero aver presto del denaro, non è vero? Arrossí come una zitellona e rise. «Pensa a Súsele» disse fra sé con disgusto Rossella. Per un momento considerò la possibilità di chiedergli in prestito trecento dollari; ma respinse l'idea. Si turberebbe, balbetterebbe, si scuserebbe, ma rifiuterebbe. Certamente egli pensava di sposare Súsele in primavera; privandosi di quel denaro sarebbe costretto a rimandare il matrimonio. D'altronde Súsele non glie lo permetterebbe; aveva troppa paura di diventare una zitellona, e smuoverebbe cielo e terra piuttosto che ritardare le sue nozze. Ma che aveva quella ragazza piagnucolosa perché quel vecchio imbecille fosse cosí ansioso di offrirle un morbido nido? Súsele non meritava un marito innamorato, né meritava gli utili di una bottega e di una manifattura. E quando avesse in mano del denaro, si guarderebbe bene dal contribuire al benessere di Tara! Andasse pure in rovina, Tara, purché lei avesse dei bei vestiti e «Mrs.» dinanzi al suo nome. Al pensiero dell'avvenire sicuro di Súsele e del proprio cosí precario, Rossella fu presa da una collera violenta contro l'ingiustizia della vita. Volse la testa perché Franco non vedesse la sua espressione. Ella era in procinto di perdere tutto ciò che possedeva, mentre Súsele... Improvvisamente prese una decisione. Súsele non doveva avere Franco con la sua bottega e la sua segheria! Non li meritava. Farebbe in modo di averli lei, invece. Pensò a Tara e ricordò Giona Wilkerson pieno di veleno sui gradini dell'entrata; e si afferrò all'ultima pagliuzza che galleggiava nel naufragio della sua vita. Rhett le era venuto meno, ma il Signore le aveva mandato Franco. Ma come fare? Come fargli dimenticare Súsele e indurlo a farle una dichiarazione? Lo guardò di sbieco. Certo, pensò freddamente, non è bello. Ha dei brutti denti, ha l'alito cattivo e potrebbe essere mio padre. Inoltre è nervoso e timido. Ma almeno è un gentiluomo; e credo che sopporterei piú facilmente lui di Rhett. E senza dubbio mi sarebbe piú facile dominarlo. D'altronde, i mendicanti non possono scegliere. Che egli fosse il fidanzato di Súsele non la turbava. Era già scesa cosí in basso col suo tentativo presso Rhett, che l'appropriarsi il fidanzato di sua sorella le sembrava assai meno disonesto. Col sorgere di questa nuova speranza si raddrizzò, dimenticando che aveva i piedi freddi e bagnati. Fissò Franco con gli occhi fermi, socchiudendo le palpebre in modo tale che egli si allarmò un pochino; allora ella riabbassò rapidamente lo sguardo ricordando le parole di Rhett: «Ho visto degli occhi come i vostri durante un duello alla pistola... Non risvegliano l'ardore nel petto di un uomo». - Che avete, miss Rossella? Freddo? - Sí - mormorò. - Vi dispiacerebbe... - esitò timidamente -... se mettessi la mano nella tasca del vostro pastrano? Sono gelata e il mio manicotto è tutto fradicio. - Ma... diamine! E siete senza guanti! Dio, che idiota sono stato ad andare cosí piano, mentre voi siete qui che tremate e avete bisogno di un po' di fuoco! Svelta, Sally! - e frustò la cavalla. - Ma a proposito, miss Rossella, vi ho tanto parlato di me e non vi ho neppure chiesto che cosa facevate da queste parti con una pioggia cosí terribile. - Sono stata al Quartier Generale degli yankees - rispose senza riflettere. Egli inarcò le ciglia stupito. - Ma come, miss Rossella! I soldati... Perché... «Maria, madre di Dio, fammi pensare subito una buona bugia» pregò in fretta. Bisognava che Franco non sospettasse affatto che ella era andata a visitare Rhett. - Sono andata... sono andata a chiedere se... se qualcuno degli ufficiali volesse comprare dei lavori di fantasia per le mogli, perché io ricamo molto bene. Egli si appoggiò indietro sul sedile inorridito; l'indignazione lottava in lui con lo stupore. - E siete andata dagli yankees... Ma, miss Rossella, non dovete! Certamente vostro padre non lo sa... e miss Pittypat... - Oh, morirei se lo diceste a zia Pitty! - esclamò veramente angosciata; e scoppiò in lagrime. Era facile piangere, perché aveva tanto freddo e si sentiva infelice; ma l'effetto fu straordinario. Franco non sarebbe stato piú imbarazzato o smarrito se ella avesse improvvisamente incominciato a spogliarsi. Fece scoppiettare piú volte la lingua contro i denti, mormorando: - Oh, povero me, povero me! - e fece qualche gesto goffo verso di lei. Un pensiero audace lo attraversò: avrebbe dovuto farle appoggiare la testa sulla sua spalla e accarezzarla; ma non l'aveva mai fatto con nessuna donna e non sapeva da dove rifarsi. Rossella O'Hara, cosí brillante e spiritosa, piangente nel suo carrozzino! Rossella O'Hara, la piú orgogliosa di tutte le orgogliose, che cercava di vendere i suoi ricami agli yankees! Ella singhiozzava dicendo ogni tanto qualche parola, dalle quali egli comprese che le cose a Tara non andavano molto bene. Il signor O'Hara continuava a essere «fuori di sé», e non vi erano viveri abbastanza per dar da mangiare a tutti quanti. Era quindi venuta ad Atlanta per cercare di guadagnare un po' di denaro per sé e per il suo bambino. Franco fece nuovamente scoppiettare la lingua e ad un tratto la testa di lei fu sulla sua spalla. Non seppe mai come; ma Rossella singhiozzava disperatamente contro il suo petto, dandogli una sensazione nuova ed eccitante. Le accarezzò la spalla timidamente; da principio guardingo, poi vedendo che non era respinto divenne piú audace e l'accarezzò con piú sicurezza. Era una povera creatura, dolce, femminile, abbandonata. E come era coraggiosa! Cercava di guadagnar denaro col suo ago! Ma andare a trattare con gli yankees... questo era troppo. - Non lo dirò a miss Pittypat, ma dovete promettermi che non lo farete mai piú. L'idea che la figlia di vostro padre.... Gli occhi verdi pieni di lagrime lo fissarono smarriti. - Ma, Mr. Kennedy, debbo fare qualche cosa. Devo pensare al mio povero bambino, visto che non c'è nessuno che possa aiutarci! - Siete una donnina coraggiosa; ma la vostra famiglia morirebbe di vergogna. - E allora che debbo fare? - Lo guardò ancora come se pendesse dalle sue labbra. - Adesso non lo so, ma ci penserò. - Oh, come siete buono, Franco... Non l'aveva mai chiamato per nome; e questo gli diede un'impressione di piacevole sorpresa. La povera ragazza era cosí sconvolta che probabilmente l'aveva fatto senza accorgersene. Certo, se egli potesse fare qualche cosa per la sorella di Súsele O'Hara, lo farebbe con gioia. Trasse un fazzoletto di seta rossa e glie lo porse. Rossella si asciugò gli occhi e cominciò a sorridere di un sorriso tremulo. - Sono un'ochetta - disse scusandosi. - Perdonatemi. - Non siete un'ochetta; siete una brava donnina che cercate di portare con disinvoltura un fardello troppo pesante. Temo che miss Pitty non possa esservi molto utile. Ho saputo che ha perduto quasi tutto e anche il signor Enrico Hamilton si trova in cattive acque. Vorrei soltanto avere una casa per offrirvi un ricovero. Ma ricordatevi, miss Rossella, che quando avrò sposato vostra sorella, vi sarà sempre un posto per voi sotto il nostro tetto, e anche per Wade Hamilton. Questo era il momento! Certamente gli angeli e i santi l'aiutavano; perciò le avevano dato l'opportunità. Ella fece in modo di sembrare molto stupita e imbarazzata e aperse la bocca come per parlare in fretta, ma la richiuse subito. - Non ditemi che non sapete che questa primavera diventerò vostro cognato - riprese Franco con gaiezza nervosa. Quindi, vedendo i suoi occhi pieni di lagrime, chiese spaventato: - Ma che c'è? Forse miss Súsele è ammalata? - Oh, no! No! - Ma c'è qualcosa che non va... parlate. - No, non posso! Non sapevo! Credevo che vi avesse scritto... Ma che infamia!... - Scritto che cosa? - tremava. - Fare questo a un brav'uomo come voi! - Ma che ha fatto? - Non ve lo ha scritto? Ah, certo si vergognava troppo! Ed è naturale che si vergognasse! Oh, avere una sorella cosí infame! Franco non riusciva neanche piú a parlare. Col viso color di cenere e le redini allentate fra le mani, la fissava. - Sposa Toni Fontaine il mese prossimo. Oh, come mi dispiace, Franco! Mi dispiace di essere proprio io a dirvelo! Ma era stanca di aspettare e aveva paura di rimanere zitella.

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. - Ma... mi pare che Ugo non abbia molta scaltrezza; altrimenti, anche nel suo piccolo commercio, avrebbe successo! Tommy si strinse nelle spalle. - Voi giudicate le cose con una certa severità, Rossella. Comunque, pensateci sopra. Vi potrebbe capitare di peggio. Credo che la sua onestà e il suo buon volere possano compensare la sua mancanza di scaltrezza. Rossella non rispose per non essere scortese. Ma secondo lei vi erano poche qualità - se pure ve n'erano - che potessero supplire la mancanza di scaltrezza. Dopo avere inutilmente interrogato parecchie persone e avere respinto le importune richieste di alcuni «Carpetbaggers», finalmente si decise ad accettare il suggerimento di Tommy. Ugo Elsing era stato durante la guerra un ardito e abile ufficiale; ma due gravi ferite e quattro anni di continue battaglie sembravano avergli tolto ogni abilità, lasciandolo di fronte alle difficoltà della pace sgomento e sbalordito come un bambino. «È uno stupido» pensò Rossella «e non capisce nulla di affari; scommetto che non è neanche capace di sommare le dita di una mano con quelle dell'altra. E temo che non imparerà mai! Ma almeno è onesto e non mi deruberà.» Rossella non faceva molto spreco, personalmente, di onestà; ma appunto perché la valutava poco in se stessa, la apprezzava negli altri. «Peccato che Gianni Gallegher sia legato con Tommy Wellburn» pensò ancora. «Quello è proprio l'uomo di cui avrei bisogno. Duro come il ferro e agile come un serpente; ma se io lo pagassi bene sarebbe anche onesto. Ci comprendiamo benissimo a vicenda e potremmo fare ottimi affari insieme. Forse quando la costruzione dell'albergo sarà finita potrò averlo; fino allora dovrò contentarmi di Ugo e di Johnson. Se metto Ugo nel nuovo stabilimento e lascio Johnson nel vecchio, potrò rimanere in città ad occuparmi delle vendite mentre loro si occupano della parte industriale della faccenda. Se almeno Johnson non rubasse! Potrei mettere un deposito di legname sulla metà del terreno che mi lasciò Carlo. Se Franco mi lasciasse fabbricare una bettola sull'altra metà! Oh, ma la costruirò lo stesso, non appena avrò abbastanza denaro di mio; non m'importa come la prenderà! Se non fosse cosí scrupoloso! Dio mio, se non dovessi avere un bimbo proprio in questi momenti! Fra poco sarò cosí grossa che non potrò piú uscire. Dio, se non aspettassi questo bimbo! E se questi maledetti yankees mi lasciassero tranquilla! Se...» Se...! Se...! Se...! Vi erano tanti «se» nella sua vita; nessuna sicurezza, sempre la minaccia di perder tutto, e aver nuovamente freddo e fame. Senza dubbio, Franco guadagnava un po' di piú adesso; ma era sempre in lotta coi raffreddori e spesso costretto a rimanere parecchi giorni a letto. Che disastro sarebbe se diventasse invalido! No; non poteva fare troppo assegnamento sopra di lui. Non poteva contare che su se stessa. E quello che guadagnava le sembrava tanto poco! Che farebbe se gli yankees venissero a confiscarle tutto? Se...! Se...! Se...! Metà dei suoi guadagni la spediva mensilmente a Will, a Tara; una parte andava a Rhett per scalare il debito e il resto lo metteva da parte. Nessun avaro aveva mai contato il suo oro piú spesso di lei, nessun avaro aveva maggior timore di perderlo. Non metteva il denaro alla banca per paura che questa potesse fallire o che gli yankees glielo confiscassero. Portava con sé il piú che poteva, nascosto nel busto; e celava pacchetti di banconote sotto qualche mattone sconnesso, nel sacchetto degli stracci, fra le pagine della Bibbia. E la sua preoccupazione cresceva col passare delle settimane, perché ogni dollaro che metteva da parte era un dollaro di piú che sarebbe perduto se venisse il disastro. Franco, Pitty e la servitú sopportavano le sue esplosioni con bontà irritante, attribuendo il suo umore disuguale allo stato di gravidanza. Franco sapeva che bisogna tollerare molte cose dalle donne incinte; quindi rinfoderava il proprio orgoglio e non protestava piú contro il fatto che sua moglie dirigeva i due stabilimenti e andava in città a qualunque ora, come nessuna signora avrebbe fatto. La condotta di lei lo imbarazzava; ma egli era sicuro che dopo la nascita del bimbo essa sarebbe stata nuovamente la creatura dolce e femminile che egli aveva corteggiato. Ma nonostante la docilità di suo marito, Rossella continuava ad essere di cattiv'umore e spesso a Franco sembrava che ella agisse come una ossessa. Nessuno sembrava comprendere che cosa veramente la faceva agire come una pazza. Era la smania di riuscire a mettere tutto in ordine prima di doversi rinchiudere, di avere abbastanza denaro da parte per il caso che l'uragano la travolgesse nuovamente: il denaro era l'ossessione del suo cervello in quel periodo. Quando pensava al bambino, era con una specie di collera per la sua intempestività. «La morte, le risse, i dolori del parto! Non vi è mai un momento adatto per nessuna di queste cose!»

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Voi siete la donna piú coraggiosa che io abbia mai conosciuto. Biasimo soltanto me stesso. Si volse nuovamente a guardare dalla finestra; e le sue spalle non erano piú tanto rigide. Rossella attese un lungo momento in silenzio, sperando che Ashley tornasse ad essere nello stato d'animo in cui poteva parlare della sua bellezza; e augurandosi che egli dicesse ancora delle parole di cui ella farebbe tesoro. Era tanto tempo che non lo vedeva; e tutto quel tempo aveva vissuto di ricordi! Sapeva che egli l'amava ancora. Il fatto era evidente; anche nelle sue parole amare e nel suo risentimento perché ella portava in grembo il bimbo di Franco. Anelava di sentirselo ripetere; desiderava dire lei stessa qualche cosa che provocherebbe una confessione; ma non osò. Ricordò la promessa fattagli quel giorno nel frutteto: che mai piú lo avrebbe provocato. E questa promessa doveva essere mantenuta, se voleva che Ashley le rimanesse accanto. Bastava un suo grido d'amore e di desiderio, o uno sguardo che chiedesse un abbraccio e tutto finirebbe per sempre. Ashley se ne andrebbe a Nuova York. E non doveva andare. - Oh, Ashley, non disprezzatevi! Come può essere stata colpa vostra? Ma voi verrete ad Atlanta ad aiutarmi. Non è vero? - No. - Ma, Ashley... - e la voce cominciava a tremarle per l'angoscia e la delusione -... io ho contato sopra di voi. Ne ho assoluto bisogno. Franco non può aiutarmi. Ha da fare per il negozio; e se voi non venite, non so proprio a chi rivolgermi... Ad Atlanta chiunque ha un po' di abilità è occupato a lavorare per proprio conto; e gli altri sono cosí incompetenti... - È inutile, Rossella. - Volete dire che preferite andare a Nuova York a vivere con gli yankees piuttosto che venire ad Atlanta? - Chi ve lo ha detto? - Si volse a guardarla con la fronte aggrondata. - Will. - Sí, ho deciso di andare nel Nord. Un vecchio amico che fece il giro d'Europa con me prima della guerra mi ha offerto un posto nella banca di suo padre. È meglio cosí, Rossella. Io non potrei esservi utile. Non mi intendo affatto di legnami. - Ma non vi intendete neanche di banca; ed è molto piú difficile! Ed io avrei molta piú indulgenza per la vostra incompetenza di quanta ne avrebbero gli yankees! Egli trasalí; e Rossella comprese di aver fatto un passo falso. Ashley si volse nuovamente a guardare dalla finestra. - Non desidero l'indulgenza di nessuno. Voglio reggermi da solo e per quello che valgo. Che cosa ho fatto fino ad ora? È tempo oramai che io faccia qualche cosa... o vada a picco per colpa mia. Sono già stato troppo a lungo a farmi mantenere da voi. - Ma io vi offro la cointeressenza nello stabilimento, Ashley! Vi reggereste da solo, visto... che sarebbe un'azienda vostra. - Sarebbe lo stesso. Io non posso comprare metà dell'azienda; sarebbe un regalo. E ne ho accettati già troppi da voi: vitto e alloggio e perfino abiti per me e per i miei. E non vi ho dato nulla in cambio. - Questo non è vero! Avete... - Sí, ho imparato a spaccare la legna discretamente. - Oh, Ashley! - esclamò Rossella disperata, con le lagrime nella voce. - Che vi è successo da quando me ne sono andata? Siete diventato duro e amaro come non siete mai stato! - Che cosa è successo? Una cosa molto importante. Ho riflettuto. Credo che non avevo mai piú veramente pensato da quando siamo stati sconfitti fino al momento della vostra partenza. Ero in uno stato di sospensione quasi animale; mi bastava aver da mangiare e da dormire. Ma quando siete andata ad Atlanta, caricandovi di un peso che sarebbe stato grave per un uomo, ho visto me stesso... inferiore non solo a un uomo ma perfino a una donna. Non sono pensieri piacevoli, e non voglio averli mai piú. Altri uomini sono usciti dalla guerra in condizioni peggiori delle mie; guardateli adesso! Perciò me ne vado a Nuova York. - Ma... non vi capisco! Se volete lavorare, perché Atlanta non sarebbe lo stesso di Nuova York? E la mia segheria... - No, Rossella. Questa è la mia ultima probabilità. Andrò al Nord. Se vengo ad Atlanta a lavorare per voi, sono perduto per sempre. La parola «perduto... perduto... perduto...» risuonò nel cuore di Rossella come il rintocco di una campana a morte. Fissò gli occhi in quelli di lui; ma questi erano di grigio cristallo e guardavano attraverso lei, al di là, verso un destino che ella non poteva vedere né comprendere. - Perduto? Forse... avete fatto qualche cosa per cui gli yankees di Atlanta potrebbero punirvi? Non so, forse perché avete aiutato la fuga di Toni o... Oh, Ashley, forse fate parte del Ku Klux Klan?! Il suo sguardo distante tornò rapidamente a lei; egli sorrise di un sorriso breve mentre i suoi occhi rimanevano seri. - Avevo dimenticato che prendete le cose alla lettera. No, non è degli yankees che ho paura. Voglio dire che se accetto del lavoro da voi, vengo a seppellire ogni speranza di reggermi in piedi da solo. - Oh, se è solo per questo! - sospirò Rossella con sollievo. - Solo per questo - e il suo sorriso fu ancora piú cupo. - Solo per il mio orgoglio maschile, per il rispetto di me stesso e, se lo preferite, per la mia anima immortale. - Ma - obiettò Rossella tentando un altro argomento - a poco a poco potreste acquistare da me l'azienda e allora... - Vi ho detto di no, Rossella! - la interruppe duramente. - Vi sono altre ragioni! - Quali? - Voi le conoscete meglio di chiunque altro. - Oh... per quello? Ma da quel lato, tutto andrà bene! - lo rassicurò vivamente. - Vi ricordate quello che vi promisi, nel frutteto; e manterrò la mia promessa... - Vuol dire che siete piú sicura di voi di quanto io lo sia di me. Io non sono certo di poter mantenere tale promessa. Non avrei voluto dirvelo; ma bisogna pure che vi faccia comprendere. Non ne parliamo piú, Rossella. È cosa finita. Dopo il matrimonio di Súsele partirò per Nuova York. I suoi occhi, aggrondati e tempestosi, incontrarono per un attimo quelli di lei; quindi egli attraversò rapidamente la stanza. Rossella lo fissò con angoscia mentre posava la mano sulla maniglia dell'uscio. Il colloquio era finito; la partita era perduta. Improvvisamente la forza che l'aveva sostenuta fino allora le venne a mancare; il dolore e la delusione la sopraffecero ed ella si gettò sul logoro divano scoppiando in un pianto violento. Udí il passo incerto di Ashley riavvicinarsi a lei; e udí pronunciare il proprio nome piú volte. Poi un calpestío veloce proveniente dalla cucina attraverso il vestibolo; e Melania irruppe nella stanza con gli occhi sbarrati dallo spavento. - Rossella... il bambino... Rossella si nascose il capo fra i cuscini polverosi e gridò ancora. - Ashley... cosí cattivo... caparbio e cattivo... odioso! - Che le hai fatto, Ashley? - Melania si gettò a terra accanto al divano e circondò Rossella con le braccia. - Che le hai detto? Come hai potuto...?! A rischio di far nascere il bimbo prima del tempo! Tesoro, posa la testa sulla spalla di Melania... Che è successo? - Ashley... è cosí odiosamente cocciuto! - Ashley, non ti riconosco! Metterla in questo stato sapendo in che condizione si trova... e col babbo appena sepolto! - Non lo tormentare! - gridò Rossella illogicamente, sollevando il capo dalla spalla di Melania, coi capelli neri in disordine e il viso rigato di lagrime. - Ha il diritto di fare quello che gli pare! - Melania - fece Ashley pallidissimo - lascia che ti spieghi. Rossella ha avuto la bontà di offrirmi un impiego come direttore di una delle sue aziende ad Atlanta... - Direttore! - esclamò Rossella indignata. - Gli ho offerto di cointeressarlo per metà... - Ed io le ho risposto che ho già combinato che andremo nel Nord... - Oh! - ricominciò a singhiozzare Rossella - gli ho detto e ripetuto quanto ho bisogno di lui... perché non trovo nessuno per gestire lo stabilimento... ora che dovrò rimanere in casa per il bambino... e ha rifiutato di venire! E ora... sarò costretta a vendere la segheria Dio sa a che prezzo; perderò del denaro e forse moriremo di fame; ma a lui non importa nulla! Com'è iniquo, perverso! Nascose nuovamente il viso contro la spalla di Melania e in quel momento sentí diminuire l'angoscia mentre un barlume di speranza si levava in lei. Comprendeva di avere un alleato nel cuore affettuoso di Melania; sapeva che questa sarebbe profondamente indignata del fatto che qualcuno - fosse pure il suo adorato marito - faceva piangere Rossella. Infatti Melania si lanciò verso Ashley, come una colombella che vola dritta alla sua meta, e per la prima volta in vita sua lo percosse. - Come hai potuto rifiutare, dopo tutto quello che lei ha fatto per noi? Ci fai apparire tutti quanti ingrati! Poverina, adesso che sta per avere... Come sei poco cavalleresco! Lei ci ha aiutati quando avevamo bisogno e ora che lei ha bisogno di te, tu le neghi il tuo aiuto! Rossella guardò di sottecchi Ashley e lo vide sorpreso e incerto di fronte all'attacco di sua moglie che stupí anche lei per la sua violenza, sapendo che Melania considerava suo marito superiore a qualsiasi rimprovero femminile e riteneva le sue decisioni sempre giustissime come se fossero ispirate da Dio. - Melania... - cominciò Ashley e stese le mani senza sapere che altro dire. - Ma come puoi esitare? Pensa che se non ci fosse stata lei ad Atlanta quando è nato Beau, io sarei morta! E poi... sí, ha ucciso uno yankee per difenderci! Lo sapevi? Ha ucciso, per noi! E ha lavorato come un negro prima che veniste tu e Will, per poterci dar da mangiare. Quando penso che ha arato la terra, raccolto il cotone... Tesoro! - Si curvò a baciare i capelli di Rossella con impeto e fervore. - E ora, la prima volta che ci chiede di fare qualche cosa per lei... - Non occorre che tu mi dica ciò che ha fatto per noi. - E poi, Ashley! Oltre al fatto di lavorare per lei, pensa che cosa sarebbe vivere ad Atlanta fra i nostri, invece che fra gli yankees! Con la zia, lo zio Enrico e tutti i nostri amici! Beau avrebbe tanti compagni e potrebbe andare a scuola; mentre se andiamo nel Nord non possiamo mandarlo a una scuola yankee e fargli fare amicizia con quei bambini e trovarsi in classe con dei piccoli negri! Dovremmo avere una governante e non so come potremmo... - Melania - interruppe Ashley; e la sua voce era mortalmente tranquilla - desideri proprio tanto di andare ad Atlanta? Non me lo hai mai detto quando si è parlato di andare a Nuova York. Non hai mai accennato... - Ma quando si è parlato di Nuova York credevo che per te non vi fosse alcuna possibilità ad Atlanta; e del resto non toccava a me fare obiezioni. La moglie deve seguire il marito. Ma ora che Rossella ha bisogno di noi ed ha un posto che solo tu puoi occupare, possiamo tornare a casa! A casa! - E la sua voce era estatica, mentre ella stringeva Rossella. - Rivedrò l'Albero di Pesco e i Cinque Punti... Oh, come ho sentito la mancanza di tutto questo! E forse non potremo avere una casina tutta per noi! Piccola, modesta... ma tutta nostra! I suoi occhi brillavano di entusiasmo e di gioia; i due la fissarono, Ashley con un'espressione stranamente sbalordita, Rossella con sorpresa mista a vergogna. Non aveva mai pensato che Melania potesse avere tanta nostalgia di Atlanta, tanto desiderio di una casa propria. Le era sembrata cosí contenta di vivere a Tara che per Rossella quella nostalgia fu veramente inattesa. - Come sei stata buona, Rossella, a pensare questa cosa per noi! Sapevi quanto desideravo la mia casa! Come sempre quando Melania le attribuiva dei motivi inesistenti, Rossella provò vergogna e irritazione, e si sentí nell'impossibilità di guardare in faccia marito e moglie. - Avere una casina nostra... Pensa che siamo sposati da cinque anni e non abbiamo mai avuto una casa! - Puoi stare con noi da zia Pitty. È casa tua - borbottò Rossella giocherellando con un cuscino e tenendo gli occhi bassi per non mostrare la loro espressione di trionfo nel sentire che la corrente volgeva a suo vantaggio. - No; ma grazie lo stesso, tesoro. Saremmo in troppi. Prenderemo in affitto... Oh, Ashley, acconsenti! - Guardatemi, Rossella - disse Ashley; la sua voce era senza timbro. Sgomenta ella alzò gli occhi e incontrò quelli di lui pieni di amara stanchezza. - Verrò ad Atlanta... Non posso lottare contro tutt'e due. Si volse e uscí dalla stanza. Nel cuore di lei il trionfo fu in parte offuscato da un vago senso di terrore. Gli occhi di Ashley avevano avuto la stessa espressione di quando egli aveva detto che se fosse andato ad Atlanta sarebbe stato perduto per sempre.

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Le donne non hanno piú dignità di quanto ne abbia una capra.

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Ma Johnnie Gallegher è il piú gelido sgherro che io abbia mai visto. Farete bene a sorvegliarlo davvero, altrimenti correte rischio di aver delle noie quando un ispettore capiterà da queste parti. - Occupatevi dei vostri affari e lasciatemi tranquilla - rispose indignata. - E non parliamo piú dei galeotti. Tutti quanti si sono scagliati contro di me per questa faccenda. La mia maestranza riguarda me sola... Ma non mi avete ancora raccontato che cosa avete fatto a Nuova Orléans. Vi andate tanto spesso che tutti dicono... - Si interruppe. Non aveva avuto l'intenzione di parlar tanto. - Che cosa dicono? - Che... insomma, che avete un amore laggiú. E che state per sposarvi. È vero, Rhett? Aveva da tanto tempo questa curiosità, che non si era potuta trattenere dal chiederglielo. E l'idea che Rhett prendesse moglie le diede una lieve puntura di gelosia incosciente. Egli la fissò, immediatamente all'erta, facendola arrossire alquanto. - Ve ne importerebbe molto? - Oh Dio, mi dispiacerebbe perdere la vostra amicizia - rispose ella con affettazione; e cercando di avere l'aria indifferente, si chinò ad aggiustare meglio la copertina di Ella Lorena. Egli rise; poi disse brevemente: - Guardatemi, Rossella. Rossella alzò gli occhi involontariamente; il suo rossore divenne piú intenso. - Dite pure alle vostre curiose amiche che quando mi sposerò sarà perché non ho potuto avere in altro modo la donna che desideravo. E non ho mai desiderato una donna tanto da sposarla. Rossella si sentí confusa e imbarazzata ricordando quella notte, durante l'assedio, quando egli le aveva detto: «Non sono un uomo che prende moglie»; e poi le aveva chiesto di diventare la sua amante; ricordò anche la terribile giornata in cui era andata a fargli visita in prigione, e questo ricordo le diede un intollerabile senso di vergogna. Sul volto di lui apparve lentamente un sorriso malizioso, mentre egli leggeva nei suoi occhi ciò che ella stava pensando. - Ma soddisferò la vostra volgare curiosità - riprese. - Non è una donna che mi attira a Nuova Orléans, ma un bambino. Un maschietto. - Un bambino! - Questa inattesa informazione le fece dimenticare il suo imbarazzo di poco prima. - Sí; è sotto la mia tutela ed io ho la responsabilità legale di lui. È in collegio a Nuova Orléans ed io vado spesso a vederlo. - E a portargli dei regali? - «Ecco» pensò «perché capisce cosí bene che cosa può far piacere a Wade!» - Sí. - Ma guarda! Ed è carino? - Anche troppo. - Buono? - Affatto. È insopportabile. Sarebbe meglio che non fosse mai nato. I ragazzi sono creature fastidiose. Volete sapere altro? Sembrava irritato, come se gli seccasse di aver parlato di questa faccenda. - No, se non avete voglia di parlarne - replicò Rossella con alterigia, benché ardesse di curiosità. - Ma non riesco a vedervi nella parte di tutore. - E rise, sperando di sconcertarlo. - Lo credo. Avete delle vedute troppo ristrette. Non disse altro e continuò a fumare in silenzio. Ella avrebbe voluto lanciargli qualche cosa di offensivo, ma non le venne in mente nulla. - Vi sarei grata se non ne parlaste - riprese Rhett dopo un poco. - Benché chiedere a una donna di tacere è chiedere l'impossibile. - So conservare un segreto - ribatté Rossella con dignità offesa. - Davvero? Non lo avrei mai creduto. Ora smettete codesto broncio, Rossella. Mi dispiace di essere stato sgarbato; ma ve lo siete meritato perché avete voluto ficcare il naso nelle cose che non vi riguardano. Fatemi un bel sorriso e siate carina per qualche minuto, prima che io abbordi un argomento spiacevole. «Oh Dio! Adesso parlerà di Ashley e dello stabilimento!» pensò. Si affrettò a sorridere facendo le fossette. - Dove altro siete stato, Rhett? Non sarete rimasto tutto questo tempo a Nuova Orléans? - No. Quest'ultimo mese sono stato a Charleston. Mio padre è morto. - Oh, mi dispiace... - È inutile. Sono certo che a lui non è dispiaciuto morire e a me non dispiace che sia morto. - Dite delle cose atroci, Rhett! - Sarebbe piú atroce se io fingessi di essere addolorato; non vi pare? Fra noi non vi è mai stato affetto. Io somigliavo troppo a suo padre che egli biasimava. Piú tardi il suo biasimo per me divenne antipatia; ammetto che io non feci nulla per farlo mutare. Tutto ciò che egli pretendeva da me mi annoiava terribilmente. E finalmente mi mandò fuori di casa senza un centesimo e senza alcuna capacità. Ero semplicemente un signore di Charleston, buon tiratore di pistola e ottimo giocatore di poker. E per lui fu un'offesa personale il fatto che io non morii di fame ma misi a profitto la mia abilità di giocatore, sicché il poker mi diede da vivere. L'affronto di un Butler diventato giocatore fu cosí grave che la prima volta che tornai a Charleston egli proibí a mia madre di vedermi. E durante la guerra, quando le circostanze mi portavano a Charleston, mia madre era costretta a mentire e veniva a vedermi di nascosto. Questo non accrebbe il mio affetto per lui. - Oh, non sapevo tutto questo! - Era quello che si dice un gentiluomo di vecchia scuola, cioè ignorante, testardo, intollerante e incapace di pensare diversamente dagli altri gentiluomini di vecchia scuola. Tutti i suoi amici lo ammiravano perché mi aveva scacciato e mi considerava come morto. «Se il tuo occhio destro ti offende, strappalo.» Io ero il suo occhio destro, il suo figlio primogenito ed egli mi strappò da sé. Sorrise un poco, quasi divertito. - Avrei potuto perdonare tutto questo; ma non posso perdonare ciò che fece a mia madre e a mia sorella dopo la fine della guerra. Rimasero completamente prive di mezzi: la casa incendiata e i campi di riso ridiventati terre paludose. La casa di città andò all'asta perché non avevano da pagare le tasse e loro si ridussero a vivere in due stanzucce che non sarebbero state adatte neanche per dei, negri. Mandai alla mamma un po' di denaro, ma il babbo lo rimandò indietro - denaro corrotto, capirete! - quindi andai parecchie volte a Charleston e diedi nascostamente del denaro a mia sorella. Ma il babbo lo trovava sempre e faceva l'inferno, sicché la vita era diventata insopportabile per quella povera figliuola. E il denaro mi veniva restituito. Non so come hanno vissuto... Cioè, lo so. Mio fratello dava quello che poteva, benché ne avesse pochi e neppure lui volesse accettar nulla da me. Il denaro degli speculatori è denaro maledetto! Hanno dunque vissuto della carità degli amici. Vostra zia Eulalia è stata molto buona. È una delle migliori amiche di mia madre. Le ha dato da vestire e... Dio mio! Mia madre vivere di carità! Era una delle rare volte in cui lo vedeva senza maschera, col volto indurito da un giusto odio verso suo padre e pieno di dolore per sua madre. - Zia Eulalia! Ma non credo che abbia molto piú di quanto le mando io! - Ah, è questa la provenienza! Siete poco delicata, mia cara, a dirmi questo aumentando la mia umiliazione! Permetterete che vi rimborsi! - Con piacere - rispose Rossella sorridendo; ed egli sorrise a sua volta. - Come brillano i vostri occhi, Rossella, all'idea di un dollaro! Siete sicura di non avere nelle vene del sangue scozzese o ebraico, oltre al vostro buon sangue irlandese? - Non siate odioso! Non ho avuto affatto l'intenzione di rinfacciarvi quello che passa attraverso zia Eulalia. Ma veramente, quella zia crede che io il denaro lo fabbrichi. Mi scrive sempre per averne di piú; e davvero io non sono in condizione di mantenere mezza Charleston! Di che cosa è morto vostro padre? - Di nobile inedia, credo... e spero. Gli sta bene. Voleva far morir di fame la mamma e Rosa Maria. Ora che è morto, potrò aiutarle. Ho comprato una casa per loro presso la Batteria e avranno delle persone di servizio; ma non dovranno far sapere che il denaro viene da me. - Perché no? - Voi non conoscete Charleston, mia cara! Vi siete stata soltanto in visita. La mia famiglia può esser povera, ma ha una posizione da salvaguardare. E non potrebbe conservarla se si sapesse che dietro ad essa è denaro che proviene dal gioco, dalla speculazione, dai «Carpetbaggers». No; hanno già raccontato che mio padre aveva fatto una forte assicurazione sulla vita e si è privato ed ha privato loro perfino del necessario per poter continuare nei pagamenti, in modo che dopo la sua morte esse fossero al sicuro. Cosí egli fa anche una bellissima figura... Martire della sua famiglia. Spero che si rivolterà nella sua tomba sapendo che la mamma e Rosa Maria vivono comodamente malgrado i suoi sforzi... E mi dispiace un poco che sia morto, perché so che desiderava di morire... - Perché? - In verità, egli morí il giorno in cui Lee si arrese. Non si è mai potuto adattare ai nuovi tempi ed ha passato questi ultimi anni a parlare dei tempi andati. - Ma ditemi, Rhett, sono tutti cosí i vecchi? - Pensava a Geraldo e a quello che aveva detto di lui Will. - Dio mio, no! Guardate vostro zio Enrico e quel vecchio gatto selvatico del signor Merriwether, per non nominare altri. Hanno cominciato una vita nuova il giorno in cui sono partiti con la Guardia Nazionale e mi pare che siano tornati a casa ringiovaniti e vadano diventando sempre piú vivaci. Ho incontrato il nonno Merriwether col carretto delle focacce; frustava il cavallo bestemmiando come un vecchio soldataccio. E mi ha detto che si sente ringiovanito di dieci anni da quando non è piú sotto gli artigli della nuora e va in giro col carretto. E zio Enrico si diverte a combattere gli yankees in tribunale, difendendo la vedova - credo gratuitamente - contro i «Carpetbaggers». Se non vi fosse stata la guerra, si sarebbero ritirati da un pezzo a curarsi i reumatismi. Sono nuovamente giovani perché sono utili e sentono che sono necessari. E amano quest'epoca che dà nuove possibilità ai vecchi. Ma vi sono tante persone, anche giovani, che sentono come mio padre e vostro padre. Non sanno e non vogliono adattarsi; e questo mi conduce all'argomento spiacevole che voglio discutere con voi, Rossella. - Dio mio! - fece Rossella fra se, a quell'attacco cosí improvviso. - Ci siamo. Come farò a cavarmela? - Conoscendovi come vi conosco, non mi sarei dovuto aspettare da voi né lealtà né onestà. Ma, come uno sciocco, mi sono fidato di voi. - Non vi capisco. - Può darsi. Ad ogni modo, avete l'aria molto imbarazzata. Poco fa, mentre percorrevo Via dell'Edera per venire da voi, mi sento chiamare da dietro una siepe: era la signora Melania Wilkes! Naturalmente mi sono fermato e abbiamo chiacchierato. - Davvero? - Sí; abbiamo avuto una piacevole conversazione. Mi ha detto che aveva sempre desiderato esprimermi la sua ammirazione pel fatto che anch'io mi sono unito a combattenti, sia pure nell'ultima ora. - Che stupidaggine! Melly è una sciocca. Quella notte c'è mancato poco che morisse, a causa della vostra eroica condotta. - Probabilmente avrebbe pensato che sacrificava la sua vita per la buona causa. Quando le ho chiesto che cosa faceva ad Atlanta, è rimasta sorpresa della mia ignoranza e mi ha raccontato che adesso abita qui e che voi siete stata tanto buona da associarvi il signor Wilkes nella vostra azienda. - Ebbene? - Quando vi prestai il denaro per acquistare la segheria feci un patto espresso che voi accettaste; e cioè che lo stabilimento non doveva servire per mantenere Ashley Wilkes. - State diventando insolente. Vi ho restituito il denaro; lo stabilimento è mio e ne faccio quello che mi pare. - Vorreste dirmi come avete guadagnato il denaro che mi avete restituito? - Vendendo il legname, naturalmente. - Col denaro che vi ho prestato io perché poteste cominciare. Dunque il mio denaro è stato adoperato per il mantenimento di Ashley. Siete una donna senza onore e se non mi aveste restituito quello che vi prestai, sarebbe per me una gioia richiedervelo adesso e mettere il vostro stabilimento all'asta se non poteste pagarmi. Parlava leggermente ma i suoi occhi ardevano di collera. Rossella si affrettò a portare le ostilità nel territorio nemico. -Perché odiate tanto Ashley? Siete geloso di lui? Si sarebbe morsa la lingua dopo queste parole, perché egli gettò indietro la testa e rise clamorosamente facendola arrossire di mortificazione. - Aggiungete la presunzione alla disonestà - disse poi. - Non la finirete mai di sentirvi la bella della Contea? Crederete sempre di essere la piú graziosa delle birichine, e che tutti gli uomini muoiono d'amore per voi. - Neanche per sogno! - ella esclamò con calore. - Ma non capisco perché odiate tanto Ashley; e questa è la sola spiegazione a cui posso pensare. - Bene; pensate qualche altra cosa, deliziosa incantatrice, perché questa è una spiegazione sbagliata. Quanto a odiare Ashley... non lo odio come non lo amo. Il mio solo sentimento verso di lui e verso quelli che sono come lui è la pietà. - Pietà? - Sí; e anche un po' di disprezzo. Suvvia, gonfiatevi di rabbia come un tacchino e ditemi che egli vale mille mascalzoni come me, e che io non dovrei essere presuntuoso da provare per lui pietà o disprezzo. E quando avrete finito di bollire, vi dirò il mio pensiero, se vi interessa. - Non mi interessa affatto. - Ve lo dirò lo stesso, perché non posso permettere che voi continuiate ad alimentare la vostra buffa illusione sulla mia gelosia. Ho pietà di lui perché avrebbe dovuto morire e non è morto. E lo disprezzo perché non sa che cosa fare di se stesso ora che il suo mondo è crollato. Nell'idea che egli esprimeva era qualche cosa che non le riusciva nuovo. Ricordava confusamente di aver udito delle parole simili, ma non sapeva né dove né quando. Ma la collera le impedí di fermarsi a riflettere. - Se aveste libertà d'azione, tutte le persone per bene negli Stati del Sud sarebbero morte. - E se avessero loro libertà d'azione, credo che tutti quelli come Ashley preferirebbero essere morti. Morti e collocati sotto una bella pietra su cui è scritto: "Qui giace un soldato della Confederazione morto per il suo paese" oppure "Dulce et decorum est" o qualche altro epitaffio del genere. - Non vedo il perché! - Voi non vedete mai nulla se non è scritto a lettere di scatola e a distanza del vostro naso! Se fossero morti non avrebbero pensieri, e non vi sarebbero per loro problemi insolubili. E le loro famiglie sarebbero fiere di loro per molte generazioni. Per soprappiú, ho sempre sentito dire che i morti sono felici. Voi credete che Ashley Wilkes sia felice? - Ma, certamente... - Ricordò l'espressione degli occhi di Ashley e s'interruppe. - E Ugo Elsing o il dottor Meade sono felici? Come erano felici mio padre e vostro padre? - Forse non son felici come potrebbero perché hanno perduto tutto il loro denaro. Egli rise. - Non si tratta del denaro, mia cara. Vi dico che hanno perduto il loro mondo, il mondo in cui erano cresciuti, e sono come pesci fuor d'acqua o gatti con le ali. Avrebbero dovuto fare certe date cose, occupare certe date posizioni, e cosí via. Cose, posizioni e tutto scomparvero per sempre quando il generale Lee giunse ad Appomattox. Oh, non abbiate quell'aria stupida, Rossella. Che cosa volete che faccia Ashley Wilkes, ora che la sua casa è scomparsa, la sua piantagione è stata sequestrata per via delle tasse e i gentiluomini vanno a venti per un penny? Può forse lavorare con la testa o con le mani? Scommetto che avete perduto una quantità di denaro da quando egli gestisce l'azienda. - Non è vero. - Siete molto carina. Posso venire a vedere i vostri libri qualche domenica sera quando non avete da fare? - Potete andare al diavolo. E anche adesso, per far piú presto. - Tesoro, sono stato dal diavolo ed è un compagno malinconico. Non ho affatto l'intenzione di tornarvi, neanche per voi... Dunque: voi avete preso il mio denaro perché ne avevate disperatamente bisogno. Abbiamo fatto un accordo per lo scopo a cui doveva servirvi e voi non avete mantenuto questo accordo. Ricordatevi, deliziosa creatura, che verrà il tempo in cui avrete ancora bisogno di farvi prestare da me del denaro. Mi chiederete di finanziarvi, ad interesse incredibilmente basso, per poter comprare altre aziende ed altre mule. E potete contarci poco su quei quattrini. - Quando avrò bisogno di denaro me lo farò prestare dalla banca, - ribatté Rossella freddamente, mentre dentro di sé ardeva di collera. - Davvero? Provateci. Io ho molti capitali in banca. - Proprio? - Sí; sono cointeressato in parecchie imprese. - Vi sono delle altre banche... - Oh, una quantità. E se vi riesco, farò in modo che non possiate avere un centesimo da nessuno. Se avete bisogno di denaro potrete andare dagli usurai «Carpetbaggers». - Vi andrò con piacere. - Vi andrete, ma con poco piacere quando sentirete il loro tasso d'interesse. Tesoro mio, nel mondo degli affari si paga il fio delle azioni poco oneste. Avreste dovuto giocare con me a carte scoperte. - Siete proprio un gentiluomo! Cosí ricco e potente andate a stuzzicare dei poveri diavoli come siamo Ashley ed io! - Non mettetevi al suo livello. Voi non siete ancora vinta. Nessuno può vincervi. Ma lui è completamente a terra e vi resterà finché non avrà dietro di sé una persona energica che lo guidi e lo protegga. E io non intendo che il mio denaro vada a beneficio di un simile individuo. - Eppure avete aiutato me, mentre anch'io ero a terra. - Ma voi, mia cara, eravate un rischio interessante. Perché non vi appoggiavate ai vostri parenti maschi singhiozzando nel rimpianto degli antichi tempi. Vi siete drizzata e vi siete fatta avanti a gomitate; la vostra fortuna è stata solidamente fondata sul denaro rubato dal portamonete di un morto e quello rubato alla Confederazione. Avete al vostro attivo un omicidio, il furto di un marito, un tentativo di prostituzione, e poi menzogne e durezze e altre cose che richiederebbero esame piú accurato. Tutto ciò mostra che voi siete una persona energica e risoluta; valeva la pena di arrischiare del denaro per voi, perché è divertente aiutare chi si aiuta. Presterei diecimila dollari senza neanche una ricevuta, a quella vecchia matrona romana che è la signora Merriwether. Ha cominciato con un cestello di focaccine, e guardatela adesso! Ha una pasticceria che dà lavoro a mezza dozzina di persone; il vecchio nonno è felice col suo carretto delle consegne e quel piccolo creolo indolente, Renato, lavora indefesso e con piacere... Guardate anche quel povero Tommy Wellburn, che fa il lavoro di due uomini, avendo il corpo di mezzo uomo e lo fa bene; oppure... ma non voglio continuare ad annoiarvi. - Sí, mi annoiate. Ma mi distraete - disse Rossella freddamente, sperando di irritarlo e di sviarlo dall'argomento di Ashley. Ma egli rise brevemente e rifiutò di raccogliere il guanto. - Gente come quella merita di essere aiutata. Ma Ashley Wilkes... Bah! La sua razza non ha utilità né valore in un mondo sconvolto come il nostro. In un mondo rinnovato, quelli come lui sarebbero i primi a morire. È gente che non merita di sopravvivere perché incapace di lottare. Questa non è la prima volta che il mondo è stato messo a soqquadro e non sarà l'ultima. E quando accadrà nuovamente, ciascuno perderà ogni cosa, e tutti saranno uguali: allora tutti ricominceranno dal principio senza aver nulla se non la loro scaltrezza e la forza delle loro mani. Ma vi sono di quelli, come Ashley, che non posseggono né astuzia né forza, o, se ne posseggono, hanno scrupolo ad adoperarla. E cosí vanno a fondo e meritano di andarvi. È una legge naturale e il mondo cammina meglio senza di loro. Ma vi sono sempre quei pochi che si salvano e col tempo ritornano ad essere ciò che erano prima che il mondo andasse sottosopra. - Anche voi siete stato povero; avete detto voi stesso che vostro padre vi ha messo fuori casa senza un centesimo! - disse Rossella furibonda. - Dovreste dunque comprendere Ashley e simpatizzare con lui! - Comprendo ma non simpatizzo. Dopo la resa, Ashley aveva molto di piú di quanto avevo io quando sono stato scacciato di casa. Per lo meno ha avuto molti amici che lo hanno aiutato, mentre io ero «Ismaele». Ma che cosa ha fatto Ashley? - E osate paragonarvi a lui, presuntuoso che non siete altro! Grazie a Dio, egli non vi somiglia! Non s'insudicerebbe le mani come voi, guadagnando denaro coi «Carpetbaggers» e con gli yankees! È scrupoloso e onesto. - Ma non tanto scrupoloso e onesto da non accettare denaro e aiuto da una donna. - Che altro avrebbe potuto fare? - Debbo dirlo io? Io so soltanto ciò. che ho fatto io, tanto quando sono stato scacciato da mio padre, quanto oggi. E so ciò che hanno fatto altri uomini. Nella rovina di una civiltà abbiamo visto l'opportunità di fare qualche cosa e ne abbiamo approfittato: alcuni onestamente, altri sott'acqua; e lo stiamo ancora facendo. Ma gli Ashley hanno avuto le stesse possibilità e non ne hanno approfittato. Non sono abili, Rossella, e solo chi è abile merita di sopravvivere. Ella udiva vagamente le sue parole perché ora le stava tornando preciso il ricordo che le era appena balenato, quando egli aveva cominciato a parlare. Rivide il frutteto di Tara battuto dal freddo vento invernale, e Ashley dinanzi a un mucchio di legna con lo sguardo fisso lontano. Aveva detto... che cosa? Qualche parola straniera che poi aveva spiegato e aveva parlato della fine del mondo. Allora non aveva compreso ciò che egli aveva voluto dire, ma ora cominciava a vederlo chiaramente, con un senso di sbalordimento e di stanchezza. - Eppure Ashley disse... - Che cosa? - Sí, una volta a Tara disse qualche cosa di... non so... tramonto di dèi e della fine del mondo e altre sciocchezze di questo genere. - Ah, il «Götterdämmerung!!» Gli occhi di Rhett brillarono d'interessamento. «E che altro?» - Oh, non ricordo bene. Non stavo molto attenta. Ma... sí, qualche cosa a proposito dei forti che rimangono in piedi e dei deboli che vengono stroncati. - Ah, dunque lo sa! Quindi la cosa è ancor piú penosa per lui. Molti di loro non lo sanno e non lo sapranno mai. E per tutta la vita si chiederanno come mai l'antico incanto è svanito. Lui invece sa di essere stato stroncato. - No, non lo è! E non lo sarà finché io avrò respiro! Rhett la guardò tranquillamente; il suo volto bruno era raddolcito. - Come avete fatto, Rossella, a fargli acconsentire a venire ad Atlanta a impiegarsi nella vostra azienda? Ha resistito molto? Come in un lampo ella rivide la scena dopo i funerali di Geraldo ma la ricacciò dalla sua mente. - No davvero - rispose indignata. - Gli spiegai che avevo bisogno del suo aiuto perché non mi fidavo di quel furfante che gestiva la segheria e Franco era troppo occupato... e io aspettavo Ella Lorena... Fu ben contento di venire in mio soccorso. - Com'è comoda la maternità! Vi siete dunque servita di questo... E cosí siete riuscita a condurlo, povero diavolo, dove volevate; ed eccolo lí legato a voi dalla gratitudine come i galeotti lo sono dalle loro catene. Tanti auguri a tutti e due. Ma, come vi ho detto al principio di questa discussione, non avrete mai piú un centesimo da me per nessuno dei vostri progettini cosí poco signorili, mia piccola ingannatrice. Ella si sentiva punta dalla collera e dalla delusione. Infatti, da qualche tempo. meditava di farsi prestare ancora del denaro da Rhett per comprare un terreno in città e installarvi un deposito di legname. - Non ho bisogno del vostro denaro - esclamò; - ne guadagno abbastanza con lo stabilimento gestito da Johnnie Gallegher, ora che non mi servo piú di operai negri. E poi ho dato del denaro contro ipoteche e anche il negozio rende bene, adesso. - Sicuro, l'ho sentito dire. Avete una bell'abilità nell'imbrogliare l'innocente, la vedova e l'orfano, e l'ignorante! Ma dal momento che dovete rubare, perché non derubate il ricco e forte anziché il povero e debole? Da Robin Hood in poi, questo è stato considerato altamente morale! - Perché è molto piú facile e sicuro derubare, come dite voi, i poveri. Egli rise silenziosamente, stringendosi nelle spalle. - Siete un'elegante delinquente, Rossella! Una delinquente! Strano che quel termine la offendesse. Non era una delinquente, disse fra sé con ira. Almeno, non aveva l'intenzione di esserlo. Voleva essere una gran signora. Per un attimo la sua mente tornò indietro negli anni ed ella rivide la madre col suo lieve ondeggiar di gonne e il soave profumo di verbena, le sue manine instancabili sempre occupate al servizio degli altri, amata e rispettata. E a un tratto sentí male al cuore. - È inutile che cerchiate di tormentarmi - disse stancamente. - So che non sono... scrupolosa come dovrei. E non sono buona e dolce come mi è stato insegnato ad essere. Ma non posso farne a meno, Rhett. Sinceramente, non posso. Che altro avrei potuto fare? Che sarebbe avvenuto di me, di Wade, di Tara, di tutti noi se io fossi stata... gentile quando quello yankee venne in casa? Avrei dovuto... non voglio neanche pensarlo! E se io fossi stata buona e scrupolosa quando... quando Giona Wilkerson voleva metterci in mezzo alla strada? Dove saremmo adesso? E se fossi stata semplice e tranquilla e non avessi tormentato Franco a proposito di tutti quei debitori... Beh, lasciamo andare. Può darsi che io sia una delinquente; però non lo sarò sempre, Rhett. Ma in questi ultimi anni... che avrei dovuto e potuto fare? Ho cercato di dirigere attraverso la burrasca un battello con un carico pesante. E ho avuto tanto da fare per tenerlo a galla che non potevo preoccuparmi di molte cose che non erano importanti, come buone maniere, signorilità e... sí, insomma cose di questo genere. Ho avuto troppa paura che la mia navicella andasse a fondo; quindi ho gettato a mare quello che mi sembrava peso inutile. - Cioè orgoglio, onorabilità, onestà, virtú e bontà - enumerò egli. - Avete ragione, Rossella. Non sono cose importanti quando una nave sta per affondare. Ma guardatevi attorno; osservate i vostri amici. O riescono a portare i loro battelli in porto col carico intatto, oppure preferiscono affondare con le bandiere al vento. - Sono una massa di imbecilli - replicò ella brevemente. - C'è tempo per tutto. Quando avrò messo assieme molto denaro, sarò gentile e dolce quanto vorrete. Allora me lo potrò permettere. - Vorrete permettervelo, ma non vi riuscirete. È difficile ripescare un carico gettato a mare; e quando vi si riesce, di solito lo si ritrova irreparabilmente danneggiato. E temo che quando potrete darvi il lusso di ripescare l'onore, la virtú e la bontà che avete gettato a mare, troverete che si sono mutati non precisamente in qualche cosa di bello e di strano... Si alzò improvvisamente e prese il suo cappello. - Ve ne andate? - Sí. Non siete contenta? Vi lascio coi rimasugli della vostra coscienza. Fece una pausa e guardò la bimba, tendendole un dito perché lo afferrasse. - Immagino che Franco sia gonfio di orgoglio. - Oh, senza dubbio! - Ed ha un sacco di progetti per la piccina, no? - Sapete bene come sono sciocchi gli uomini quando si tratta dei loro bimbi... - E allora ditegli... - Si interruppe bruscamente, con una strana espressione sul volto. -... ditegli che se vuole realizzare i suoi progetti per la bambina, farà bene a rimanere piú spesso a casa la sera. - Che volete dire? - Quello che ho detto. Ditegli di restare in casa. - Oh, infame creatura!... Vorreste insinuare che il povero Franco... - Oh Dio! - Rhett scoppiò in una risata clamorosa. - Non ho affatto voluto dire che va in giro con delle donne! Franco! Oh Dio! E scese i gradini continuando a ridere.

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Miss Melly crede a tutti quanti E non posso capire perché Butler abbia fatto questo... si sia messo in questo impiccio. Mi secca riferire un pettegolezzo, ma... hanno sempre parlato molto di lui e della signora Kennedy. Li ho visti tornare spesso insieme quest'anno da lunghe scarrozzate. Deve averlo fatto per lei. - Se fosse per Rossella, non avrebbe mosso un dito. Sarebbe stato ben lieto di veder impiccare Franco Kennedy. Piuttosto ritengo che sia per Melania... - Non vorrai insinuare che vi sia stato qualche cosa fra quei due! - Non dire sciocchezze! Ma lei è stata sempre stranamente affettuosa con lui, da quando egli cercò, durante la guerra, di ottenere lo scambio di Ashley contro altri prigionieri. E debbo riconoscere che quando è con lei, egli non ha mai quel sorriso impertinente. È gentile e premuroso come... Sí, come qualunque altro. Ritengo dunque che abbia fatto tutto questo per... - fece una pausa. - Certo tu non approverai la mia idea. - Non approvo niente di tutta questa faccenda. - Ebbene, io credo che egli lo abbia fatto in parte per Melly, ma soprattutto perché ha pensato di fare un cattivo scherzo a tutti noi. L'odiavamo tanto e glielo abbiamo sempre dimostrato cosi chiaramente che ora egli ci ha messi in questa condizione: o ammettere che eravate in casa della Watling e quindi lasciarvi svergognare tutti quanti - e con voi le vostre mogli - dinanzi agli yankees... oppure dire la verità ed essere impiccati. Ed egli sa che dovremo tutti essere grati a lui e alla sua... amante e che preferiremmo essere impiccati piuttosto che aver della gratitudine per loro. Oh, sono sicuro che questo lo diverte. Il dottore grugní: - Infatti, sembrava divertito quando ci condusse in quel locale. - Senti... - La signora Meade esitò. - Com'è? - Che cosa? - La casa. Com'è? Vi sono lampadari di vetro? E tende di velluto rosso e dozzine di specchiere dorate grandi come la parete? E le ragazze... erano svestite? - Dio mio! - esclamò il dottore atterrito, poiché non aveva mai supposto che la curiosità di una donna casta per le sue sorelle impudiche potesse essere cosí divorante. - Come puoi rivolgermi delle domande cosí invereconde? Sei fuori di te. Ti darò un calmante. - Non lo voglio. Voglio sapere. Dio mio, è l'unica volta che ho la possibilità di sapere com'è fatto un luogo di piacere, e tu sei tanto perverso da non volermelo dire! - Non ho osservato nulla. Ti assicuro che ero troppo imbarazzato nel trovarmi in quel luogo per badare a ciò che mi circondava - disse il dottore solennemente, piú sconvolto da quella inattesa rivelazione del carattere di sua moglie che non fosse stato dagli eventi della serata. - Ma ora scusami... vorrei cercar di dormire un poco. - E allora dormi - e nella voce di lei si sentiva la delusione. Poi, mentre il dottore si chinava a togliersi le scarpe, riprese con nuova gaiezza: - Immagino che Dolly si sarà fatta raccontar tutto dal vecchio Merriwether; e potrà dirmi ogni cosa. - Dio santissimo! Vuoi dire che fra signore per bene si parla di cose simili? - Oh, vai, vai a letto!

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. - Non lo so con certezza - rispose il nonno; - ma ho l'impressione che Melly abbia avuto la meglio. Certo andranno a far visita, almeno una volta. Però fanno molte chiacchiere, per quella vostra nipote. - Melly è una sciocca e le signore hanno ragione: Rossella è una creatura astuta e non so perché mio nipote Carlo, allora, se ne infatuò e la sposò - fece zio Enrico cupo. - Ma anche Melly ha ragione, da un certo punto di vista. È un dovere di convenienza, per le famiglie di cui il capitano Butler ha salvato marito o padre, andare a far quella visita. Per conto mio, io non ho nulla da ridire contro di lui. Si comportò molto bene quella notte in cui ci salvò la pelle. È Rossella che mi piace poco. È troppo abile e scaltra. Ma io ci andrò. Rinnegata o no, Rossella è mia nipote d'acquisto, dopo tutto. Avevo appunto l'intenzione di andarvi oggi. - Vengo con voi, Enrico. Dolly sarà furibonda quando lo saprà. Aspettate: lasciatemi bere un altro bicchierino. - No; berremo dal capitano Butler. Bisogna convenire che ha sempre degli ottimi liquori.

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- Non mi importa che tu abbia un bimbo o venti; ma mi dispiace se muori. - Morire? Io? - Sí, morire. Immagino che Mamie Bart non ti abbia detto i rischi che corre una donna facendo una cosa simile? - No - rispose Rossella riluttante. - Mi ha detto soltanto che... che si può sistemare tutto benissimo. - La ammazzerò, perdio! - La faccia di Rhett era sconvolta dall'ira. Egli fissò il volto lagrimoso di sua moglie e la sua ira si calmò alquanto; ma la sua espressione era ancora dura e irritata. A un tratto la prese fra le braccia e sedette sulla poltrona stringendola a sé, come se avesse temuto di perderla. - Ascoltami, bambina: io non voglio che tu arrischi la vita. Capisci? Santo Dio, non desidero neppur io dei bambini; ma sono in condizione di mantenerli. Non voglio piú sentire da te di queste sciocchezze e se tenti qualche cosa... Ti dico, Rossella, che una volta ho visto morire una ragazza, per questo. E non è una bella morte. Io... - Davvero?! - esclamò Rossella, strappata alla sua disperazione dall'emozione che udiva nella voce di lui. Non lo aveva mai visto cosí commosso. - Dove... chi...? - È stato a Nuova Orléans... oh, parecchi anni fa. Ero giovane e impressionabile. - Curvò improvvisamente il capo e nascose le labbra fra i capelli di lei. - Tu partorirai il tuo bambino, Rossella; dovessi incatenarti a me per nove mesi! Ella sedette sulle sue ginocchia e lo fissò con schietta curiosità. Sotto lo sguardo di lei, Rhett divenne improvvisamente indifferente, come se tutta la sua commozione fosse scomparsa per opera di magia. Aveva inarcato le sopracciglia e incurvato la bocca. - Ti importa tanto di me? - gli chiese Rossella abbassando le palpebre. Egli le lanciò un'occhiata inquisitiva come per rendersi conto di quanta civetteria fosse in quella domanda. Comprendendo il vero significato di quel contegno, rispose con indifferenza: - Sicuro. Ho investito in te un discreto capitale; e non mi piace perdere del denaro.

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Ah, mia cara, non posso sopportare che egli vi abbia resa cosí brutale, voi che eravate tanto dolce... - Chi? Che cosa? - Ve lo dico senza averne alcun diritto. Ma debbo dirvelo. Il vostro... Rhett Butler. Costui avvelena tutto ciò che tocca. E ha preso voi, cosí dolce, buona e generosa, malgrado la vostra vivacità, e vi ha fatta... vi ha resa dura e brutale col suo contatto. - Oh! - ansimò Rossella, in cui la coscienza della propria colpevolezza lottava in quel momento con la gioia che le dava il pensiero che Ashley la ritenesse ancora buona e dolce. Grazie a Dio, egli rendeva Rhett responsabile della sua avidità di guadagno. La colpa, in realtà, era sua; ma in fin dei conti, un punto nero di piú sul conto di Rhett non poteva fargli alcun male. - Se si trattasse di chiunque altro, non me ne importerebbe... ma Rhett Butler! Ho visto che vi ha ridotta a pensare come lui, senza che voi ve ne accorgeste neppure. Oh, so bene che non lo dovrei dire... Egli mi ha salvato la vita ed io gliene sono riconoscente; ma vorrei che fosse stato chiunque altro piuttosto che lui! Non ho il diritto di parlarvi come... - Sí, Ashley, voi avete il diritto... Nessun altro lo ha! - Vi dico che non posso tollerare che la vostra finezza sia trasformata da lui in grossolanità; e sapere che la vostra bellezza e il vostro fascino sono in potere di un uomo che... Quando penso che egli vi tocca... «Ora mi bacia!» pensò Rossella felice. «E non sarà colpa mia!» Fece un passo verso di lui; ma Ashley indietreggiò improvvisamente, come se si rendesse conto a un tratto di aver detto troppo... di aver detto cose che non avrebbe mai avuto l'intenzione di dire. - Vi chiedo umilmente scusa, Rossella. Ho... ho insinuato che vostro marito non è un gentiluomo; e le mie parole stanno a provare che io per primo non lo sono... Nessuno ha il diritto di criticare un marito dinanzi a sua moglie. Io non ho alcuna scusa se non... se non... - Si interruppe e il suo viso si contorse penosamente. Rossella attese col respiro sospeso. - Non ho alcuna scusa. Tornando a casa, lo spirito di Rossella non fece che correre la cavallina. Nessuna scusa, se non... che l'amava! E il pensiero che ella giacesse fra le braccia di Rhett destava in lui un furore che Rossella non avrebbe mai creduto possibile. Però lo comprendeva. Se ella non avesse saputo che le relazioni fra Ashley e Melania erano necessariamente simili a quelle che possono correre tra fratello e sorella, la vita di lei sarebbe stata un tormento. E Ashley credeva che fossero gli amplessi di Rhett che la rendevano dura e brutale! Ebbene, ella farebbe a meno di quegli amplessi. Come sarebbe dolce e romantico per entrambi rimanere fisicamente fedeli uno all'altro, pur essendo sposati ad altre persone! L'idea le piacque. E poi, aveva anche il suo lato pratico. Era il modo sicuro per non avere altri bambini. Giunta a casa, l'esaltazione che le parole di Ashley avevano fatto nascere in lei cominciò a calmarsi dinanzi alla prospettiva di dover dire a Rhett che desiderava fare camera separata, e a tutto ciò che questo implicava. Non era cosa facile. E poi, come potrebbe dire ad Ashley che per accontentarlo ella si rifiutava ai desideri di Rhett? A che scopo fare un sacrificio se nessuno doveva saperlo? Che fastidio, la verecondia e la delicatezza! Beh, pazienza. Troverebbe il modo di far capire ad Ashley la verità. Salí le scale e trovò, nella camera dei bambini, Rhett seduto accanto alla culla di Diletta, con Ella sulle ginocchia e Wade che spiegava dinanzi a lui i tesori delle sue saccocce. Che fortuna che Rhett amasse i bambini e si occupasse di loro! Alcuni padrigni sono cosí ostili ai figli dei mariti precedenti... - Desidero parlarti - gli disse e passò in camera da letto. Meglio sbrigarsela subito mentre il desiderio di non aver piú figliuoli era ancora tanto vivo in lei e mentre l'amore di Ashley le dava la forza occorrente. - Rhett - gli disse bruscamente dopo che egli ebbe chiuso l'uscio, - ho deciso che non voglio altri bambini. Se fu stupito a questa dichiarazione, Rhett non lo diede a divedere. Sedette su una sedia e spinse indietro la spalliera. - Gioia mia, come ti ho detto prima della nascita di Diletta, per me è indifferente che tu abbia un bambino o venti. Che perversità! Fingeva di non capire! - Mi pare che tre bastino. Non ho affatto l'intenzione di averne uno all'anno. - Tre mi sembra un numero giusto. - Ma sai... - arrossí imbarazzata. - Sai che cosa voglio dire? - Sicuro. E tu lo sai che potrei divorziare se tu ti rifiuti ai miei diritti coniugali? - Sei abbastanza abbietto da aver quest'idea! - gridò Rossella, seccata che le cose non andassero secondo i suoi desideri. - Se avessi un po' di spirito cavalleresco, saresti... saresti gentile come... Sicuro; guarda un po' Ashley Wilkes! Melania non può avere altri bambini e lui... - È un perfetto gentiluomo, Ashley! - E gli occhi di Rhett cominciarono a brillare stranamente. - Continua, ti prego. Rossella inghiottí, perché non aveva altro da dire. Ora comprendeva che era stata una stupida, sperando di comporre amichevolmente una cosa tanto importante, specialmente con un porco egoista come Rhett. - Sei stata allo stabilimento oggi, non è vero? - Che c'entra questo? Egli si alzò leggermente e avvicinandosi a lei le pose una mano sotto il mento e le sollevò il volto. - Che bambina! Hai vissuto con tre mariti e non conosci ancora nulla della natura degli uomini. Immagini che siano come vecchie dame dopo la menopausa... Le pizzicò il mento scherzosamente e lasciò ricadere la mano. Sollevò uno dei suoi neri sopraccigli mentre la fissava con un lungo sguardo glaciale. - Comprendimi bene, Rossella. Se tu e il tuo letto aveste ancora attrattiva per me, nessun catenaccio e nessuna proibizione potrebbe tenermene lontano. E non mi vergognerei di usare la forza, perché ho fatto con te un contratto... contratto che io ho mantenuto, e che tu stai rompendo. Conserva pure il tuo casto letto, mia cara. - Vorresti dire - esclamò Rossella indignata - che non t'importa... - Tu sei stanca di me, non è vero? Ebbene, gli uomini si stancano piú facilmente delle donne. Conserva la tua castità, Rossella. Non sarà una privazione per me. - Alzò le spalle e sogghignò. - Fortunatamente il mondo è pieno di letti... e molti di questi sono occupati da donne... - Saresti talmente volgare... - Povera innocentina! Ma sicuro. È solo da stupire che io non abbia cominciato prima. Non ho mai considerato la fedeltà come una virtú. - Chiuderò a chiave la mia porta tutte le sere! - A che scopo? Se ti desiderassi, nessuna serratura mi impedirebbe di averti. Si volse, come se l'argomento fosse esaurito, e lasciò la stanza. Rossella lo udí tornare nella camera dei bambini ove fu accolta da grida di giubilo. Ella sedette bruscamente. Aveva ottenuto ciò che desiderava. E ciò che anche Ashley desiderava. Ma la cosa non le faceva piacere. La sua vanità era mortificata e il fatto che Rhett non la desiderasse piú e la mettesse a livello di tutte le altre donne la irritava fuor di misura. Avrebbe voluto trovar la maniera di dire delicatamente ad Ashley che lei e Rhett non erano piú marito e moglie. Ma comprendeva che le era impossibile. Ora tutto le sembrava un brutto pasticcio; e con tutto il cuore avrebbe preferito non aver parlato. Sentiva che le lunghe conversazioni a letto con Rhett, con la brace del suo sigaro che brillava nell'oscurità, le sarebbero molto mancate; le sarebbe mancato il conforto delle sue braccia quando si svegliava atterrita dal sogno nel quale era circondata di nebbia fredda. Subitamente si sentí infelicissima, e posando il capo sul bracciolo della poltrona, pianse.

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. - Signora Elsing pronunciò serio - dovete credermi quando vi dico che sono piú fiero dei servigi resi alla Confederazione di qualsiasi altra cosa io abbia fatto o possa fare. Ma sento... sento... - E allora perché ne avete fatto un mistero? - Mi vergognavo di parlarne a causa... per il riverbero di alcune mie azioni precedenti. La signora Elsing riferí tutta la conversazione alla signora Merriwether. - E ti dò la mia parola, Dolly, che nel dir questo aveva le lagrime agli occhi! Sí, le lagrime! Stavo quasi per piangere anch'io! - Storie! - esclamò la signora Merriwether incredula. - Non credo alle sue lagrime come non credo che sia stato nell'esercito. Ma posso venirne a capo molto presto. Se è stato in artiglieria, posso sapere la verità dal colonnello Carleton che ha sposato una mia cugina. Gli scriverò. Scrisse al colonnello; e con sua costernazione ricevette una risposta che lodava i servigi di Rhett con espressioni che non potevano lasciar dubbio di sorta. Un artigliere nato, un ottimo soldato e un perfetto gentiluomo; un uomo modesto che non aveva accettato neanche la promozione quando gli era stata offerta. - Ah, beh! - fece la signora mostrando la lettera alla sua amica. - Sono assolutamente sbalordita! Forse abbiamo avuto torto nel credere che quel mascalzone non avesse fatto il soldato. Forse avremmo dovuto prestar fede a Rossella e a Melania quando ci hanno detto che si era arruolato il giorno in cui la città è caduta. Ma è ugualmente un rinnegato e un furfante e malgrado tutto, continua a non piacermi! - Però - mormorò la signora Elsing un po' incerta - non credo che sia tanto cattivo. Un uomo che ha combattuto per la Confederazione deve pure avere qualche qualità. È Rossella che è cattiva. Veramente, Dolly, io credo che... sicuro, che si vergogni di sua moglie; ma è troppo gentiluomo per ammetterlo. - Vergognarsi! Bah! Sono tutti e due dello stesso stampo. Come fai a dire una tale sciocchezza? - Non è una sciocchezza - ribatté la signora Elsing indignata. - Ieri, con quella pioggia dirotta, era fuori in carrozza con tutti e tre i bambini; anche con la piccola; e andava su e giú per la Via dell'Albero di Pesco. Mi accompagnò a casa. Gli dissi: «Ma che idea, capitano Butler, di tener fuori i bambini con questo tempo? Perché non li riportate a casa?» Non rispose ma rimase imbarazzato. E allora Mammy interloquí: «Casa essere piena di straccioni bianchi e bambini respirano miglio sotto la pioggia che in casa!» - E lui? - Che poteva dire? Lanciò un'occhiata di rimprovero a Mammy e cambiò discorso. Sai che Rossella aveva ieri un grande ricevimento a cui debbono essere intervenute tutte quelle donnacce... Scommetto che egli non ha voluto che baciassero la sua bambina. - Mah! - mormorò la signora Merriwether, ancora ostinata. Ma la mattina seguente capitolò essa pure. Rhett aveva ora una scrivania in banca. Gli impiegati, stupiti, non sapevano davvero quali fossero le sue mansioni; ma egli era un azionista troppo importante perché qualcuno sognasse di protestare. Era tranquillo e bene educato; e si intendeva sufficientemente di faccende bancarie. Comunque, si trovava ogni giorno al suo posto e aveva tutta l'aria di lavorare; questo perché voleva potersi mettere su un piede di uguaglianza coi rispettabili suoi concittadini che lavoravano senza tregua. La signora Merriwether desiderando ingrandire la sua panetteria, aveva cercato di avere un prestito di duemila dollari dalla banca, dando garanzia sulla sua casa: l'affare era stato rifiutato perché sulla casa gravavano già due ipoteche. La grossa signora stava uscendo impetuosamente dall'edificio quando Rhett la fermò chiedendole il motivo della sua presenza colà. Avendolo appreso cercò di rassicurarla. - Dev'esservi un errore, signora Merriwether. Voi siete una persona alla quale non si richiedono garanzie. Io vi presterei qualunque somma, sulla parola! Che diamine, una donna che è riuscita a metter su un'industria come la vostra, merita ogni fiducia. La banca non cerca di meglio che prestare denaro a gente come voi. Sedete qui al mio tavolo; vado io a sbrigare la faccenda. Tornò sorridendo innocentemente e dicendo che, come aveva immaginato, vi era stato errore. I duemila dollari erano a sua disposizione. Quanto alla casa... voleva aver la bontà di firmare quella carta? La signora, furente di dovere accettare un favore da un uomo che le era antipatico e le ispirava diffidenza, stentò a ringraziarlo. Ma egli sembrò non accorgersene. La accompagnò alla porta; quivi giunto le disse: - Signora Merriwether, io ho sempre avuto grande considerazione per le vostre cognizioni su molte cose... Potrei chiedervi un piccolo schiarimento? Le piume del cappellino si agitarono appena in segno di assenso. - Che cosa facevate quando Maribella era piccola e si succhiava il pollice? - Come? - La mia piccina si succhia il pollice. E non riesco a toglierle questo vizio. - Dovete impedirglielo. Altrimenti si rovinerà la forma della bocca. - Lo so, lo so! Ed ha una bocca tanto carina... Ma non so come fare. - Rossella dovrebbe saperlo - obiettò brevemente la signora Merriwether. - Ha avuto altri due bambini. Rhett guardò la punta delle sue scarpe e sospirò. - Ho cercato di metterle del sapone sotto le unghie - disse poi, non rilevando l'osservazione. - Sapone! È perfettamente inutile. Io mi servii del chinino e vi assicuro che Maribella non tardò a perdere il vizio di succhiarsi il pollice. - Del chinino! Non ne avrei mai avuto l'idea! Vi ringrazio infinitamente, signora, perché ero molto preoccupato. Le rivolse un sorriso cosí gentile e riconoscente che la signora Merriwether rimase un attimo incerta. Ma finí per sorridergli nel salutarlo. Non avrebbe mai riconosciuto, parlando con la sua amica Elsing, di essersi ingannata nel giudicare quell'uomo; ma nella sua onestà fu costretta ad ammettere che doveva esservi qualche cosa di buono in un uomo che amava tanto la sua creatura. Che peccato che Rossella non si interessasse di un angioletto come Diletta! Era commovente un uomo che cercava di allevare da solo la propria piccina! Rhett era ben sicuro di questa commozione; e se lo spettacolo del suo affetto paterno doveva offuscare alquanto la reputazione di Rossella, ciò lo lasciava indifferente. Quando la bimba cominciò a camminare, egli la portò sempre seco; in carrozza o sul davanti della sua sella. Al ritorno dalla banca, nel pomeriggio, la portava a passeggiare per Via dell'Albero di Pesco, dandole la mano, adattando il suo lungo passò alle brevi gambette, rispondendo con pazienza alle sue mille domande. Vi era sempre gente, al tramonto, sotto ai porticati e sugli spiazzi dinanzi alle case; e Diletta era cosí carina, con la sua massa di riccioli bruni e i grandi occhi azzurri, che pochi resistevano al desiderio di rivolgerle la parola. Rhett non cercava di prolungare le conversazioni, ma vi assisteva gonfio di orgoglio paterno, e felice dell'attenzione che tutti avevano per la sua piccina. Atlanta aveva buona memoria; inoltre era sospettosa e non mutava facilmente. Il sentimento generale era ostile verso chiunque avesse rapporti col governatore Bullock e con la sua gente. Ma Diletta riuniva in sé il fascino di Rossella e quello di Rhett; e rappresentava il piccolo cuneo che Rhett faceva penetrare entro il muro di freddezza degli abitanti della città.

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. - O sei pazza o sei la donna piú disumana che io abbia mai visto. - Non voglio che diventi nervosa e paurosa. - Paurosa? Non ha un briciolo di paura! Ma tu manchi di fantasia e perciò non puoi comprendere i tormenti di chi ne è fornito... specialmente quando si tratta di una bambina. Se un essere con corna e artigli venisse a sedersi sul tuo petto, grideresti per liberartene, non è vero? Ricordati che ti ho vista svegliarti strillando come un'aquila, semplicemente perché avevi sognato che correvi nella nebbia. E non è stato neanche molto tempo fa! Rossella rimase colpita, perché non le piaceva mai ricordare quel sogno. Inoltre, la imbarazzava il pensare che Rhett l'aveva confortata nella stessa maniera nella quale confortava Diletta. Quindi cercò di riprendere rapidamente l'attacco. - Tu la vizii e... - E intendo continuare a viziarla. In questo modo si toglierà le cattive abitudini e se ne dimenticherà. - Allora - riprese Rossella acidula - se hai l'intenzione di fare la bambinaia, dovresti cominciare col tornare a casa un po' piú presto la sera e anche col fare a meno di ubriacarti. - Tornerò di buon'ora; ma ubriaco fradicio, se mi fa piacere. Infatti, da quella sera tornò sempre a casa prima dell'ora in cui Diletta veniva coricata. Le sedeva accanto tenendole la manina finché il sonno le faceva allentare la stretta. Allora scendeva a pianterreno in punta di piedi, lasciando la lampada accesa e la porta spalancata in modo da poterla udire se si svegliava. Tutta la casa pensava a quella lampada che ardeva; Rossella, Mammy, Prissy e Pork andavano spesso cautamente ad assicurarsi che fosse sempre accesa. Rhett smise anche di tornare ubriaco; ma non perché glielo aveva detto la moglie. Da parecchi mesi egli beveva abbondantemente, e - benché non fosse proprio ubriaco - accadde una sera che l'odore del whisky si sentisse fortemente nel suo alito. Prese in braccio la bimba e le disse: - Un bacino al babbo, tesoro? - No - disse. - Brutto. - Che cosa? - Brutto odore. Zio Ashley non ha un odore cosí. - Accidenti! - mormorò mettendola a terra. - Non mi aspettavo di trovare un avvocato della temperanza proprio in casa mia! Ma da allora si limitò a bere un bicchiere di vino dopo cena. Diletta, a cui veniva sempre permesso di bere le ultime gocce del bicchiere, non trovò spiacevole l'odore del vino. Come risultato, la gonfiezza che aveva cominciato a impastare la linea delle guance di Rhett scomparve e le occhiaie scure che cerchiavano i suoi occhi neri diventarono meno profonde. Siccome Diletta amava andare sul cavallo, egli rimase a lungo all'aperto e il sole cominciò ad abbronzare il suo volto bruno. Acquistò cosí un colorito piú sano; ridiventò allegro e le sue risate ricordarono a tutti lo spavaldo contrabbandiere che aveva eccitato l'interessamento di Atlanta nei primi tempi della guerra. Coloro che non avevano mai avuto simpatia per lui presero a sorridere quando lo vedevano con la bimbetta arrampicata sulla sella. Le donne che avevano sempre ritenuto che nessuna potesse considerarsi salva accanto a lui, si fermavano a discorrergli insieme per istrada, per ammirare Diletta. Anche le vecchie dame piú severe convennero che un uomo capace di discutere dell'alimentazione e dei problemi dell'infanzia come faceva Rhett, non poteva essere tanto malvagio.

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Ella non avrebbe una sola amica per prendere le sue difese; non una voce si leverebbe a dire: «Non credo che abbia fatto qualche cosa di male». Aveva offeso per troppo tempo i vecchi amici per trovare fra loro un difensore. E i nuovi amici, che sopportavano in silenzio le sue insolenze, sarebbero ben felici di potersi vendicare. Tutti sarebbero disposti a credere il peggio sul conto suo; avrebbero solo il rincrescimento che una persona perbene come Ashley Wilkes fosse immischiato in una faccenda cosí sudicia. Come sempre, avrebbero dato tutta la colpa alla donna. E in questo caso avrebbero ragione. Era stata lei che era andata a gettarsi fra le sue braccia. Oh, poteva sopportare gli sguardi ironici, i sorrisetti nascosti, i mormorii, tutto ciò che la città avrebbe detto... ma non Melania! No, non Melania! Non sapeva perché questo pensiero la torturasse tanto; era troppo spaurita e abbattuta per cercare di comprendere. Ma scoppiò in lagrime pensando agli occhi di Melania nel momento in cui Lydia le direbbe che aveva sorpreso Ashley che abbracciava Rossella. E che farebbe Melania? Lascerebbe Ashley? Che altro potrebbe fare, per salvare la propria dignità? E che farebbero allora Ashley e lei? Le lagrime le inondavano il volto mentre questi pensieri si agitavano freneticamente nel suo cervello. «Ashley morrà di vergogna e mi odierà perché l'ho trascinato in questo impiccio.» A un tratto le sue lagrime cessarono perché un terrore mortale le aveva invaso il cuore al ricordo di Rhett. Che farebbe suo marito? Forse non saprebbe nulla. Com'era quel vecchio cinico proverbio? «Il marito è sempre l'ultimo a sapere.» Forse nessuno andrebbe a dirglielo. Bisognava avere un bel coraggio per andare a narrare una cosa simile a Rhett, dato che Rhett aveva la reputazione di ammazzare prima, e poi interrogare. Dio, Dio, fate che nessuno abbia il coraggio di dirglielo! Ma rivide il volto di Baldo sulla soglia dell'ufficio; il suo occhio freddo, chiaro, senza rimorso, pieno di odio per lei e per tutte le altre donne. Baldo non temeva né Dio né gli uomini e detestava le donne abbiette. Le aveva odiate tanto da ucciderne una. E certo parlerebbe con Rhett, malgrado tutto ciò che potrebbe fare Ashley per dissuaderlo. A meno che Ashley non lo uccidesse, Baldo parlerebbe con Rhett, ritenendo che questo fosse il suo dovere di cristiano. Si spogliò e si gettò sul letto; nel suo cervello era un turbine che mulinava vorticosamente. Se almeno potesse chiudersi a chiave e rimanere per sempre in quella stanza tranquilla senza vedere mai piú nessuno, forse Rhett non verrebbe a saper nulla stasera. Lei direbbe di avere mal di capo e di non potere perciò andare al ricevimento. E l'indomani mattina avrebbe certamente trovato il modo di difendersi. - Non voglio pensarci adesso - disse disperatamente nascondendosi il volto fra i guanciali. - Ci penserò piú tardi, quando potrò sopportare quest'idea. Udí rientrare la servitú al cader della notte e le sembrò che i preparativi della cena fossero molto silenziosi. O forse era la sua coscienza colpevole? Mammy venne a bussare all'uscio, ma Rossella la mandò via dicendole che non voleva cenare. Passò ancora del tempo e finalmente udí Rhett che saliva le scale. Lo udí passare dinanzi alla sua stanza senza fermarsi. Emise un profondo respiro. Evidentemente non sapeva nulla e, grazie a Dio, continuava a rispettare la sua gelida preghiera di non mettere piede nella sua camera; altrimenti, se egli l'avesse veduta in questo momento, avrebbe letto nel suo volto che qualche cosa di grave era accaduto. Bisognava soltanto che ella raccogliesse le sue forze per potergli dire che si sentiva troppo male per andare al ricevimento. Ma vi era tempo per calmarsi. Da quel terribile momento le era sembrato che il tempo non esistesse piú. Udí Rhett che si muoveva nella sua camera e rivolgeva ogni tanto la parola a Pork. Non ebbe il coraggio di chiamare. Rimase sul letto, tremante nell'oscurità. Dopo parecchio tempo egli bussò alla porta. - Avanti - disse Rossella cercando di dominare il tremito della sua voce. - Sono invitato ad entrare nel santuario? - chiese Rhett aprendo l'uscio. Entrò e richiuse. - Sei pronta? - Era buio e non lo vedeva; la voce le sembrò incolore. - Mi dispiace, ma ho l'emicrania. - Strano che la sua voce fosse cosí naturale! - Credo che non potrò venire. Vai tu, Rhett, e scusami con Melania. Vi fu una lunga pausa; quindi egli parlò con voce mordente. - Sei una piccola strega, vigliacca e pusillanime. Egli dunque sapeva! Rossella riprese a tremare, incapace di aprir bocca. Lo udí frugare nel buio, accendere un fiammifero, e la camera fu illuminata. Egli si avvicinò al letto e la guardò. Era in abito da sera. - Alzati. - La sua voce era sempre senza colore. - Andiamo al ricevimento. Sbrígati. - Non posso, Rhett. Devi capire... - Capisco. Alzati. - Rhett! Baldo ha osato...? - Baldo ha osato. È un uomo coraggioso, Baldo. - Avresti dovuto ucciderlo, perché ha mentito. - Non uccido le persone che dicono la verità. Ora non c'è tempo di discutere. Alzati. Ella si sollevò a sedere, stringendosi attorno le coperte, scrutandolo in viso. Era cupo e impassibile. - Non voglio venire, Rhett. Non posso finché... non si chiarisca questo malinteso. - Se non ti fai veder stasera, non potrai piú mostrarti in giro in questa città finché vivi. E se io posso sopportare di avere per moglie una sgualdrina, non sopporto di avere una codarda. Verrai stasera, anche se tutti da Alex Stephen in giú, ti negheranno il saluto, e la signora Wilkes ti metterà alla porta. - Rhett, lascia che ti spieghi. - Non ti voglio ascoltare. Non c'è tempo. Vèstiti. - È un malinteso... Lydia, Baldo e la signora Elsing. Mi odiano. Lydia mi odia talmente, che è capace anche di dir male di suo fratello pur di farmi apparire in cattiva luce. Se mi lasci spiegare... («Madre di Dio» pensò angosciata. «Se egli mi dice: "Spiègati!" che posso dirgli? Come spiegare...?») - Avranno raccontato le loro invenzioni a tutti quanti. Non posso venire. - Verrai; dovessi trascinarti per il collo e spingerti a calci per tutta la strada. Vi era una luce fredda nei suoi occhi, quando egli l'afferrò costringendola ad alzarsi. Raccolse il busto e glie lo gettò. - Mettilo. Te lo allaccerò io. Sono praticissimo. No, non chiamerò Mammy ad aiutarti; saresti capace di richiudere la porta, rintanandoti qui dentro da quella vigliacca che sei. - Non sono vile! - esclamò Rossella, punta sul vivo. - Io... - Oh, risparmiami la solita fiaba sull'uccisione del soldato yankee e sull'arrivo dell'esercito di Sherman. Oltre a tutto, sei anche vile. Se non per te, devi venire stasera per amore di Diletta. Vuoi rendere la sua posizione anche peggiore? Svelta, méttiti il busto. Ella si tolse in fretta lo scialle e rimase rigida dinanzi a lui. Forse, se egli la guardasse e la vedesse cosí bella, quell'espressione spaventosa scomparirebbe dal suo volto. Era tanto tempo che non la vedeva in camicia! Ma non la guardò. Era dinanzi all'armadio, esaminando rapidamente le vesti. Ne trasse fuori una nuova, di seta verde giada. Era molto scollata davanti e la gonna era drappeggiata dietro su un enorme sellino; su questo posava un gran ciuffo di vivide rose di velluto. - Metti questo - disse gettando l'abito sul letto e avvicinandosi a lei. - Stasera niente colori smorti: grigio tortora o viola pallido. La tua bandiera deve sventolare all'albero maestro. E metti molto belletto. Sono sicuro che la moglie del fariseo accusata di adulterio non era cosí pallida. Vòltati. Afferrò le stringhe del busto e le tirò talmente da strapparle un gemito. Era spaventata, umiliata e confusa. - Ti fa male, eh? Rise brevemente ed ella non lo vide in volto. - Peccato che questo cordone non sia attorno al tuo collo. La casa di Melania brillava di luce in tutte le stanze; ed essi udirono la musica fin dalla strada. Man mano che si avvicinavano all'ingresso, giungeva il suono eccitante e piacevole delle voci degli invitati. La casa rigurgitava. Gli ospiti sciamavano sulla veranda e molti erano seduti sui banchi alla luce fioca delle lampade sospese agli alberi dello spiazzo. «Non posso entrare, non posso» pensò Rossella seduta in carrozza, stringendo convulsamente il fazzoletto appallottolato. «Non posso. Non voglio. Salterò a terra e fuggirò, ritornerò a Tara. Perché Rhett mi ha costretta a venir qui? Che farà la gente? Che farà Melania? Non posso apparire dinanzi a lei. Voglio fuggire!» Come se le avesse letto nel pensiero, Rhett le strinse il braccio come in una morsa. - Non ho mai saputo che un'irlandese fosse vile. Dov'è il tuo coraggio tanto vantato? - Ti prego, Rhett, torniamo a casa e ti spiegherò. - Hai un'eternità per spiegarti e soltanto una sera per mostrarti come una martire nell'anfiteatro. Scendi, cara, e fammi vedere come i leoni ti divoreranno. Scendi. Percorse il viale d'accesso: il braccio a cui si appoggiava, rigido come il granito, le comunicava un certo coraggio. Sí, perdio, li affronterebbe. Che cos'erano se non un'orda di gatti malvagi urlanti e striscianti, gelosi di lei? Glie la farebbe vedere. Non le importava ciò che pensavano. Solo Melania... solo di Melania le importava. Erano giunti sotto al porticato e Rhett si inchinava a destra e a sinistra col cappello in mano. La sua voce era fredda e gentile. La musica s'interruppe quando essi entrarono. Le sembrò che dalla moltitudine sorgesse un rumore come il muggito del mare che andò diminuendo fino a spegnersi completamente. Qualcuno eviterebbe di salutarla? Ebbene, per la camicia di Giove, facessero pure! Alzò il mento e sorrise. Prima che si fosse voltata a parlare con coloro che erano piú vicini, qualcuno si fece largo fra gli invitati. Uno strano mormorio fece arrestare i battiti del suo cuore. Quindi ella vide che era Melania la quale accorreva frettolosamente per andarle incontro e salutarla prima di tutti. Le sue piccole spalle erano spinte indietro; a fronte alta ella si avvicinò a Rossella, come se questa fosse stata l'invitata piú importante, e le passò un braccio attorno alla vita dicendole con la sua voce chiara: - Che bel vestito, tesoro! Vuoi farmi un favore? Lydia non è potuta venire stasera ad aiutarmi. Vuoi avere la bontà di ricevere gli invitati insieme con me?

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Credi che abbia cosí poco affetto per mia figlia da portarla...! Dio mio, sei proprio pazza! Quanto a te, che ti dai quelle arie materne, una gatta è miglior madre di te! Che hai mai fatto per i tuoi bambini? Wade e Ella hanno paura di te; e se non ci fosse Melania Wilkes, essi non saprebbero che cos'è affetto e dolcezza. Ma Diletta, la mia Diletta! Credi che io non sappia occuparmene piú e meglio di te? Credi che ti permetterò di tiranneggiarla e intimidirla come hai fatto con gli altri due? Per l'inferno, no! Fai preparare la sua roba e che sia pronta fra un'ora; altrimenti ti avverto che ciò che è accaduto l'altra notte ti sembrerà dolce e soave a paragone di ciò che avverrà. Sono sempre stato convinto che una buona lezione a base di scudiscio ti gioverebbe immensamente. Prima che Rossella potesse parlare, era uscito dalla stanza. Lo udí attraversare il vestibolo ed entrare nella camera da gioco dei bambini. Vi fu un gaio cinguettio infantile; poi la vocetta di Diletta si levò sopra a quella di Ella. - Dove sei stato, babbo? - A caccia di conigli per averne la pelle e fare una pelliccetta alla mia piccina. Dai un bel bacio al tuo tesoro, Diletta... e anche tu, Ella.

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Pensi che io abbia dimenticato il tuo meraviglioso altruismo verso Ashley, verso Beau, verso me stessa... tutto ciò che hai fatto per salvarci e impedirci di morir di fame! Che io abbia dimenticato quando seguivi nei solchi il cavallo yankee, quasi scalza, con le mani piene di vesciche, perché il bimbo e io avessimo qualche cosa da mangiare... e potrei oggi credere simili orrende cose sul tuo conto? Non voglio udire una parola da te, Rossella O'Hara. Non una parola! - Ma... - cincischiò Rossella; e si interruppe. Rhett aveva lasciato la città un'ora prima con Diletta e Prissy; e alla vergogna e all'ira di Rossella si era aggiunta la desolazione. La sua coscienza, già gravata dal peso della sua colpa con Ashley, non poteva sopportare anche il peso della difesa di Melania. Se questa avesse creduto a Lydia e a Baldo, non le avesse rivolto la parola al ricevimento e l'avesse salutata freddamente, ella avrebbe tenuto la fronte alta e avrebbe combattuto con tutte le sue armi. Ma il ricordo di questa donna che si era posta fra lei e la sua rovina sociale come una lama sottile e lucente, con una fiamma di fede e di battaglia negli occhi, la turbava talmente che le sembrava doveroso confessare. Sí, rivelare tutto, dal principio, da quella chiara giornata di sole, sotto il porticato di Tara. La voce della sua coscienza - una coscienza cattolica - benché soffocata per lunghi anni, si ridestava. «Confessa i tuoi peccati e fanne penitenza nel dolore e nella contrizione» le aveva detto Elena centinaia di volte; e in questa crisi, l'educazione religiosa impartitale da sua madre si faceva viva nuovamente in lei. Confesserebbe tutto, sí; ogni parola ed ogni sguardo, e le poche carezze; e allora Dio allevierebbe il suo tormento e le darebbe la spaventosa visione del volto di Melania che muta la sua espressione di affetto e di fiducia in quella di orrore e di repulsione. Oh, era una penitenza troppo atroce dover ricordare per tutta la vita il volto di Melania, sapere che Melania conosceva tutta la sua infamia, tutta la slealtà e l'ipocrisia che era in lei! Una volta, il pensiero di gettare sarcasticamente in faccia a Melania la verità e di vedere il crollo del suo stupido paradiso, l'aveva eccitata, le era sembrato un gesto per il quale valesse la pena di perdere poi anche tutto quanto. Ma ora tutto era mutato; e non vi era nulla che ella desiderasse meno di questo. Non sapeva il perché: in lei era un conflitto di pensieri troppo confusi perché potesse sceverarli. Sapeva soltanto che come un tempo aveva desiderato che sua madre la credesse buona, modesta e pura di cuore, cosí oggi desiderava appassionatamente di conservare la stima di Melania. Non le importava ciò che pensava di lei il mondo, né ciò che pensavano Ashley o Rhett; ma Melania non doveva mutare l'opinione che aveva sempre avuta sul suo conto. Paventava di dire la verità; ma uno dei suoi rari istinti onesti si era destato e non le permetteva di mascherarsi ancora dinanzi alla donna che aveva lottato per lei e l'aveva difesa. Perciò si era affrettata ad accorrere a casa di Melania quella mattina, non appena Rhett e Diletta erano partiti. Ma alle prime parole balbettate da lei: «Melania, debbo spiegarti la storia dell'altro giorno...» Melania l'aveva imperiosamente interrotta. Rossella guardando piena di confusione quegli occhi neri fiammeggianti di amore e di collera, aveva compreso - sentendosi cadere il cuore - che la pace e la calma che seguono la confessione non potevano esserle riserbate. Melania aveva impedito che ella seguisse la linea di condotta che si era tracciata; e Rossella, con una delle poche vere emozioni profonde che avesse mai provato, comprese che il togliersi dal cuore torturato il peso che l'opprimeva sarebbe stato un gesto di schietto egoismo. Si sarebbe scaricata del suo fardello deponendolo nel cuore di una persona innocente e fiduciosa. Il debito di gratitudine verso Melania per la sua coraggiosa difesa non poteva essere pagato che col silenzio. Che crudeltà sarebbe rovinarle la vita con la rivelazione che suo marito le era infedele e che complice di quest'infedeltà era la sua amica piú cara! «Non posso dirglielo» pensò desolata. «Non potrò mai; neanche che se la mia coscienza mi uccidesse.» Ricordò l'osservazione fattale da Rhett ubriaco: «Ella non può concepire la disonestà nelle persone che ama... Questa sarà la tua croce». Sí, sarebbe la sua croce, fino al giorno della morte; conservare silenziosamente questo tormento, portare il cilicio dell'onta, sentirsi pungere da esso ad ogni sguardo e ad ogni parola affettuosa di Melania, dominare continuamente l'impulso di gridarle: - Non essere cosí buona! Non mi difendere! Non lo merito! «Se non fosse cosí dolce, fiduciosa, semplice, sciocchina non sarebbe tanto difficile» pensò disperata. «Ho sopportato tanti pesanti fardelli; ma questo sarà il piú pesante e il piú doloroso di tutti!» Dinanzi a lei, Melania era seduta su una poltroncina bassa, coi piedi posati su un'ottomana molto piú alta; atteggiamento che non avrebbe mai preso se non fosse stata cosí adirata da dimenticare perfino le convenienze. Aveva in mano un lavoro a maglia e spingeva i ferri lucenti con tanta furia come se fossero stati sciabole in un duello immaginario. Se Rossella fosse stata in preda a una simile collera, avrebbe pestato i piedi a terra, avrebbe strepitato come Geraldo ai suoi bei tempi, chiamando Dio a testimone della perfidia del genere umano e pronunciando sanguinose minacce di rappresaglia. Ma in Melania solo il ferro lucente e le delicate sopracciglia aggrottate rivelavano che essa bolliva internamente. La sua voce era fredda, e le parole piú taglienti del solito. Parole piene di forza, che le erano assolutamente nuove, perché Melania raramente esprimeva un'opinione propria e non pronunciava mai una frase sgarbata. Rossella si rese conto in quell'istante che i Wilkes e gli Hamilton erano capaci di collere che uguagliavano e superavano quelle degli O'Hara. - Ero stufa di sentire la gente che ti criticava, tesoro - stava dicendo Melania; - ma questa è l'ultima goccia che fa traboccare il bicchiere; e ti assicuro che provvederò io. Tutto ciò accade perché tutti sono gelosi di te, della tua abilità e dei tuoi successi. Sei riuscita dove molti uomini avrebbero fatto fiasco. Non ti irritare, cara, se dico questo. Non intendo menomare la tua femminilità, come molti hanno fatto. Non è vero. La gente non ti comprende; e poi la maggioranza non tollera che una donna sia intelligente. Ma tutto ciò non dà al pubblico il diritto di dire che tu e Ashley... Caspiterina! La lieve veemenza di quest'esclamazione assumeva, sulle sue labbra un valore specialissimo. Rossella la fissò spaventata da quell'esplosione senza precedenti. - Quanto a quelli che vengono a raccontarmi le menzogne che hanno macchinate... Baldo, Lydia, la signora Elsing! Come hanno osato...? Veramente, la signora Elsing non è venuta qui. Ma ti ha sempre odiata, cara, perché tu eri piú corteggiata di Fanny. E fu irritatissima quando tu togliesti a Ugo la direzione della segheria. Ma tu facesti benissimo, perché Ugo è un buon-a-nulla! - E cosí, in due parole, Melania liquidava il compagno della sua infanzia e il corteggiatore della sua adolescenza. - Per quanto concerne Baldo, il torto è mio. Non avrei dovuto ricoverare quel vecchio furfante. Me lo avevano detto tutti, ma non ho voluto dar retta. Egli non aveva simpatia per te, a causa di quella storia dei galeotti; ma chi è costui per permettersi di criticarti? Un assassino; e per di piú, l'assassino di una donna. E dopo tutto quello che ho fatto per lui, mi viene a dire... Ti assicuro che se Ashley lo avesse ucciso, non mi sarebbe dispiaciuto affatto! Ma l'ho messo alla porta; e so che ha lasciato la città. E quell'ignobile Lydia! Fin dalla prima volta che vi vidi insieme, tesoro, mi accorsi che era gelosa di te e ti detestava perché eri molto piú bella e avevi tanti adoratori. Ti detestava specialmente a causa di Stuart Tarleton. E ha talmente pensato al povero Stuart che... mi dispiace dirlo, trattandosi della sorella di Ashley, ma temo che abbia proprio perso il cervello! Non vi è altra spiegazione possibile per il suo modo d'agire... Le ho detto che non rimetta piú piede in questa casa; e se vengo a sapere che osa diffondere le sue infami calunnie, le darò della bugiarda in pubblica! Melania si interruppe. Improvvisamente la collera che le accendeva il volto fu sostituita da un'espressione di dolore. L'appassionato sentimento di famiglia proprio ai georgiani le faceva considerare con vero strazio una lite nel parentado. Ebbe un attimo di esitazione. Ma Rossella era piú cara; Rossella aveva il primo posto nel suo cuore, sicché ella continuò coraggiosamente. - Era perché io ti volevo piú bene, mia diletta. Ma non verrà mai piú qui ed io non entrerò mai in una casa dove lei sia ricevuta. Ashley è d'accordo con me; ma è addoloratissimo che sua sorella abbia potuto inventare una simile... Udendo il nome di Ashley, i nervi sovreccitati di Rossella cedettero, ed ella scoppiò in pianto. Possibile che ella dovesse sempre infliggergli delle pugnalate? Non aveva avuto altro pensiero che di renderlo felice; eppure lo feriva continuamente. Aveva distrutto la sua vita, il suo orgoglio e la sua dignità, frantumato quella pace interiore, quella calma basata sull'integrità e sull'onestà... Ed ora l'aveva allontanato dalla sorella che egli amava teneramente. Per salvare la propria reputazione e la felicità di sua moglie, egli aveva dovuto sacrificare Lydia, lasciare che questa apparisse una zitellona calunniatrice, quasi folle di gelosia... Lydia che era assolutamente giustificata nei sospetti che aveva sempre nutrito, e nelle parole che aveva pronunciate. Guardando negli occhi sua sorella, Ashley vi avrebbe veduto ognora la verità e il rimprovero, insieme al freddo disprezzo nel quale i Wilkes erano maestri. Sapendo che Ashley valutava l'onore piú della vita, Rossella non dubitava che egli dovesse soffrire mille morti. Anche lui era costretto a ripararsi dietro le gonnelle di Melania. Benché Rossella riconoscesse la necessità di questo e sapesse che la maggior colpa della falsa posizione di lui era sua, pure... Con logica tutta femminile, avrebbe trovato Ashley piú degno di rispetto se avesse ucciso Baldo e confessato tutto a Melania e al mondo intero. Sapeva di essere ingiusta, ma era troppo infelice per fermarsi a considerare i particolari. Qualcuna delle parole sprezzanti di Rhett le ritornò in mente; ed ella si chiese se Ashley aveva rappresentato, in quella circostanza, la parte di un vero uomo. E per la prima volta, l'aureola che lo aveva circondato da quando ella si era innamorata di lui, cominciò a oscurarsi impercettibilmente. Cercò di scacciare questo pensiero, ma non riuscí che a piangere piú forte. - No, no! - esclamò Melania lasciando cadere il suo lavoro; e gettandosi verso Rossella, l'abbracciò facendole posare il capo sulla propria spalla. - Non avrei dovuto parlare di tutto questo e darti tanto dolore. Ma non ne parleremo mai più! No; né fra noi né con nessuno. Come se non fosse mai accaduto nulla. Ma - soggiunse con tranquilla malignità - farò vedere a Lydia e alla signora Elsing chi sono io. Non debbono credere lecito spargere impunemente delle calunnie sul conto di mio marito e di mia cognata. Le metterò in condizione che non potranno piú guardare in faccia nessuno ad Atlanta! E chiunque le riceverà o crederà alle loro chiacchiere sarà mio nemico. E Rossella, guardando dolorosamente verso la lunga serie di anni futuri, comprese che per causa sua si era scavato un abisso che avrebbe diviso la città e la famiglia per intere generazioni.

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Ed io farò in modo che Beau abbia tutto ciò che merita. - Che furbacchione siete, capitano Butler! - E Melania sorrise. - Accarezzate l'orgoglio materno! Leggo in voi come in un libro! - Spero bene di no! - E per la prima volta gli occhi di Rhett brillarono. - Dunque: volete permettermi di prestarvi il denaro occorrente? - Ma dov'è l'inganno? - Dobbiamo cospirare per imbrogliare vostro marito e Rossella. - Dio mio, no! Non potrei! - Se Rossella sapesse che ho complottato alle sue spalle, sia pure per il suo bene... conoscete il suo carattere! E temo che il signor Wilkes rifiuterebbe di accettare un prestito da me. Quindi nessuno dei due deve sapere da dove proviene il denaro. - Ma sono sicura che mio marito non rifiuterebbe se sapesse il motivo. Vuol tanto bene a Rossella... - Non ne dubito. Ma rifiuterebbe lo stesso. So come sono orgogliosi tutti i Wilkes. - Povera me! - esclamò Melania desolata. - Vorrei... Ma davvero, capitano Butler, non posso ingannare mio marito. - Neanche per aiutare Rossella? - Rhett sembrò molto offeso. - E dire che lei vi vuol tanto bene! Sulle ciglia di Melania tremarono le lagrime. - Sapete che sono pronta a qualunque cosa per lei. Non potrò mai, mai sdebitarmi di ciò che lei ha fatto per me. Lo sapete! - Sí - replicò Rhett brevemente. - So quello che ha fatto per voi... Non potreste dire al signor Wilkes che il denaro vi è stato lasciato per testamento da qualche parente? - Ma i miei parenti, Dio li benedica, sono tutti senza un quattrino! - E allora, se io mando il denaro a vostro marito per posta, senza il nome del mittente, farete in modo che sia impiegato per acquistare gli stabilimenti e non... insomma, non serva per mantenere degli ex-confederati? In un primo momento Melania sembrò offesa da queste parole che implicavano una critica per Ashley; ma Rhett sorrise con tanta comprensione che ella gli ricambiò il sorriso. - Senza dubbio. - Allora siamo d'accordo? Sarà un segreto fra noi? - Pensare che non ho mai avuto segreti per mio marito! - Ne sono sicuro, miss Melly. Melania lo guardò pensando che aveva sempre avuto ragione lei nel giudicarlo, mentre tutti gli altri avevano torto. Dicevano che era brutale, beffardo, maleducato e perfino disonesto. Ebbene! Lei aveva compreso fino dal principio che era un brav'uomo. Da lui non aveva avuto che attenzioni e cortesie, rispetto e comprensione! E come amava Rossella! Com'era buono nel pensare a questo trucco per risparmiare a Rossella una parte del lavoro a cui ella si costringeva! Impulsivamente esclamò: - È ben fortunata Rossella di avere un marito che è cosí buono con lei! - Credete? Temo che essa non sia della stessa opinione. Del resto, io desidero essere buono anche con voi, miss Melly. Vi do piú di quello che do a Rossella. - A me? - chiese perplessa. - Ah, volete dire per Beau. Egli si alzò e prese il cappello. Rimase per un attimo a guardare il visino triangolare col suo lungo mazzocchio di capelli e i dolci occhi neri. Un viso cosí poco terrestre, cosí privo di difese contro la vita! - No, non per Beau. Sto cercando di darvi qualche cosa di piú grande di Beau; non indovinate? - Non posso - replicò nuovamente stupita. - Per me non vi è nulla al mondo di piú prezioso di Beau, eccetto Ash... il signor Wilkes. Rhett la fissò, calmo, senza parlare. - Siete molto buono, capitano Butler; ma vi assicuro che sono completamente felice. Ho tutto ciò che una donna può desiderare al mondo. - Benissimo - ribatté Rhett improvvisamente cupo. - Ed io intendo darvi il modo di conservarlo.

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E vi è nessuno che abbia una casa piú sfarzosa della mia, dei vestiti piú eleganti, dei cavalli migliori. Nessuno ha una tavola meglio servita né offre ricevimenti piú splendidi; e i miei bambini hanno tutto ciò che desiderano. E dove ho preso il denaro per fare tutto questo? L'ho trovato sugli alberi? Nossignore! Il lavoro dei forzati e gli utili dello spaccio... - E non dimenticare l'assassinio dello yankee - fece Rhett soavemente. - È stato il tuo punto di partenza. Rossella si volse verso di lui, pronta a ribattere aspramente. - E il denaro ti ha reso molto molto felice, non è vero, tesoro? - proseguí egli, con velenosa dolcezza. Rossella trattenne le parole che stavano per uscirle di bocca e i suoi occhi passarono rapidamente dall'uno all'altro dei tre interlocutori. Melania era quasi piangente per l'imbarazzo; Ashley era diventato improvvisamente cupo e rinchiuso in sé e Rhett la osservava, fumando, con aria tranquillamente divertita. Ebbe l'impulso di gridare: - Sicuro, mi ha resa felice! Ma non riuscí a pronunciar sillaba.

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. - Aspettate che abbia l'età di andare a caccia! - proclamava. - Non vi sarà un'altra cacciatrice come lei. La porterò nella Virginia. Quello è il paese dove si fa la caccia sul serio. E nel Kentucky, dove si apprezzano i buoni cavalcatori. Quando si trattò di farle fare il vestitino da amazzone, Diletta ebbe, come sempre, facoltà di scegliere il colore; e, come sempre, scelse l'azzurro. - Non quel velluto azzurro, tesoro! - rise Rossella. - Quello serve per farmi un abito da sera... Un bel panno nero è quel che ci vuole per una bambina. - E vedendo che le piccole sopracciglia si aggrottavano: - Per carità, Rhett; dille che non è adatto e che si insudicia subito! - Lasciala fare! - rispose Rhett. - Se si sporcherà, gliene faremo un altro. Cosí Diletta ebbe il vestito da amazzone di velluto azzurro, con la sottana che pendeva sul fianco del pony e un cappello nero con la piuma rossa, perché i racconti di zia Melly sulla piuma di Jeb Stuart avevano colpito la sua immaginazione. Nelle belle giornate si vedevano padre e figlia lungo la Via dell'Albero di Pesco; Rhett tratteneva il suo gran cavallo nero perché regolasse il suo passo su quello del pony. A volte galoppavano per le strade tranquille attorno alla città, spaventando galline cani e fanciulli; Diletta picchiava Mr. Butler col suo scudiscio e Rhett frenava il suo cavallo con mano ferma, in modo da lasciar credere alla bimba che Mr. Butler vincesse la corsa. Quando fu ben sicuro della sua saldezza in sella e della fermezza delle sue manine nel tenere le redini, Rhett pensò di insegnarle a fare i piccoli salti consentiti dalle gambe corte di Mr. Butler. A questo scopo costruí una barriera nel cortile posteriore della casa e pagò a un nipotino di zio Pietro venticinque centesimi al giorno perché insegnasse al pony a saltare. Cominciò con una barriera alta cinque centimetri dal suolo e la alzò gradatamente fino a trenta centimetri. Questa combinazione incontrò la disapprovazione dei tre interessati: Wash (il piccolo negro), Diletta e Mr. Butler. Wash aveva paura dei cavalli, e solo la somma principesca offertagli poteva indurlo a far passare il caparbio cavallino una dozzina di volte al giorno al disopra della sbarra; Mr. Butler, il quale sopportava pazientemente che la sua padroncina gli tirasse la coda e che i suoi zoccoli fossero esaminati tutti i momenti, sentiva che il Creatore dei ponies non aveva avuto affatto l'intenzione che il suo grasso corpo passasse al disopra di quel pezzo di legno; e Diletta, che non poteva tollerare di vedere un altro sul suo pony, batteva i piedini impaziente mentre Mr. Butler imparava la sua lezione. Finalmente Rhett decise che il pony era abbastanza sicuro perché si potesse affidargli la bimba; e l'eccitazione di questa non ebbe confini. Fece il primo salto con entusiasmo; e dopo d'allora le cavalcate tranquille con suo padre non ebbero piú fascino per lei. Rossella non poteva fare a meno di ridere per la fierezza e l'entusiasmo del padre e della figlia. Peraltro pensò che una volta passata la novità, Diletta avrebbe pensato ad altro e il vicinato avrebbe avuto un po' di pace. Ma il gioco continuava a divertire Diletta; e tutta la mattina il cortile risuonava di grida eccitate. Il nonno Merriwether, che aveva fatto la campagna del 1849, disse che gli sembravano le grida degli Apachi quando avevano tolto con successo la capigliatura a qualche nemico. Dopo la prima settimana, Diletta chiese una barriera piú alta: mezzo metro da terra. - Quando avrai sei anni - rispose Rhett - allora sarai abbastanza grande da poter fare dei salti piú alti, e io ti comprerò un cavallo piú grande. Le gambe di Mr. Butler non sono abbastanza lunghe. - Sí che lo sono! Ho saltato il cespuglio di rose di zia Melly; è altissimo! - No, devi aspettare. - E questa volta Rhett fu reciso. Ma la sua fermezza cominciò a poco a poco a indebolirsi davanti alle insistenze e ai capricci della bambina. - Beh, va bene! - esclamò finalmente una mattina, con una risata, collocando la sbarra bianca un po' piú in alto. - Ma se cadi, non piangere e non prendertela con me! - Mamma! - gridò Diletta volgendosi verso la camera da letto di Rossella - guardami! Il babbo ha detto che posso! Rossella che si stava pettinando, venne alla finestra e sorrise alla figuretta eccitata, cosí assurda nel suo abito azzurro tutto maculato. «Bisogna proprio farle un altro vestito» pensò. «Ma Dio sa come farò per farle lasciare quello sudicio!» - Guarda, mamma! - Sto guardando, tesoro. Quando Rhett sollevò la bimba e la mise sul pony, Rossella osservò con orgoglio il portamento dritto e la testolina eretta. - Sei veramente carina, gioia! - Anche tu! - rispose Diletta generosamente, e martellando col tacco le costole di Mr. Butler, galoppò verso la barriera. - Mamma, guarda come faccio questo salto! - gridò adoperando lo scudiscio. Guarda come faccio questo salto! La memoria andò a ricercare nel fondo della mente di Rossella. Vi era qualcosa di minaccioso in quelle parole. Che cosa? Perché non si ricordava? Guardò la sua figliuoletta cosí leggera sul cavallino che galoppava e la sua fronte si increspò mentre un brivido la percorreva tutta. Diletta procedeva con impeto, i riccioli neri al vento, gli occhi azzurri splendenti. «Somigliano agli occhi del babbo» pensò Rossella; «occhi irlandesi. E gli somiglia veramente in tutto!» Al pensiero di Geraldo, il ricordo le tornò chiaro con la rapidità del lampo, illuminando per un istante un'intera zona di campagna di una luce innaturale. Udí una voce che cantava in irlandese, udí il veloce scalpitar di zoccoli che salivano l'altura di Tara, udí una voce simile a quella della sua bambina: - Elena! Guarda come faccio questo salto! - No! - urlò. - No, Diletta! Fermati! Mentre si curvava fuori della finestra, vi fu un pauroso scricchiolío, un grido rauco di Rhett, una confusione di velluto azzurro e di zoccoli agitati sul suolo. Quindi Mr. Butler balzò in piedi e si allontanò al trotto con la sella vuota.

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. - Vai a dire a miss Rossella che il capitano Butler è d'accordo che il funerale abbia luogo domattina - sussurrò. - Dio benedetto! - esclamò Mammy. - Come diamine... - Non parlare tanto forte. Si sta addormentando. Dirai anche a miss Rossella che io rimango qui stanotte; e portami del caffè. Portamelo qui. - In questa camera? - Sí; ho promesso al capitano Butler che se va a dormire io rimarrò qui tutta la notte a vegliare. Vai ad avvertire miss Rossella perché non sia piú preoccupata. Mammy si avviò facendo tremare il pavimento sotto il suo peso; nell'interno del suo cuore, cantava: «Alleluja, Alleluja!» Si fermò a riflettere dinanzi all'uscio di Rossella, con lo spirito pieno di gratitudine e di curiosità. «Chi sa come avere fatto miss Melly. Certo Angeli avere combattuto con lei. Io dire a miss Rossella che funerale essere domani, ma credo meglio non dire che miss Melly vegliare piccola badroncina. Forse a miss Rossella non fare piacere.»

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Il romanzo della bambola

222094
Contessa Lara 1 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • paraletteratura - romanzi
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- disse con un sorriso, girando e rigirando da tutte le parti la pupattola, che sorrideva anche lei, in cuor suo, di quelle espansioni della fanciulla; alla quale saltò subito in testa una nuova idea: - Adesso voglio - diss'ella - che la Giulia abbia un mantello di velluto bianco eguale al mio. - La governante interrogò la signora in proposito. Questa rispose: - Glie lo faremo, mia carina, quando tu sarai guarita. Anzi, sarà un motivo per esercitarti un po' nel cucito. Non sei contenta di cucir tu stessa questo mantello? Oh no! I pianti ricominciarono. Alla Marietta piaceva di vedere una bella cosa addosso alla sua bambola, purchè non avesse faticato lei a farla. La Giulia, ch'era stata tutta felice al pensiero d'indossare un così elegante mantello, ebbe una stretta al cuore quando intese che la fanciulla rifiutava di lavorare per amor suo; ma, vanitosella com'era, si consolò poi quando vide la signora de' Rivani e la governante mettersi loro all'opera come due sarte di professione, prendendole tutte le misure, provando e riprovando se il modello le stava bene. Il primo giorno in cui la Marietta uscì di casa a fare una trottata a Villa Borghese, tutte e due, bambina e bambola, indossavano ciascuna un mantello di velluto bianco. Da lontano si sarebbero dette due sorelline sedute accanto, tanto la Giulia era grande, tanto aveva naturale il visetto roseo, belli i capelli. La giornata era mite, benchè il mese di gennaio fosse appena a metà, e il sole inondava dolcemente tutto, dando un verde più vivo a' grandi alberi de' viali e all'erba dei prati, dando bagliori e scintillamenti alle vasche e alle fontane. Tra i rami alti, gli uccellini non disturbati dai cacciatori, cantavano, forse, chi sa? pensando alla primavera; e già delle piccole fioraie, in costume da ciociarette, offrivano a' passeggieri le prime pallide viole della stagione, in mazzi meschini, quasi senza profumo, ma bellini e graditi. La Marietta rise come una pazzerella perchè una di queste piccole fioraie, corsa dietro alla carrozza, dopo aver presentato un mazzo alla signora e un altro a lei, era passata, sempre a corsa, dalla parte della bambola, ch'ella aveva presa per un'altra bambina, aspettando di vedere anche quella stendere la sua manina inguantata per accogliere le viole... Cotesta fu un'avventura che la Marietta raccontò poi a tutti, divertendosi molto dell'equivoco di quella contadinella. Camilla, a cui pure fu riferito il fatto, sorrise con dolcezza, e osservò con uno sguardo d'amore rivolto alla pupattola: - È vero, è quasi come una di noi. Arrivata la carrozza verso il centro della villa, la Marietta espresse il desiderio di scendere a far quattro passi sur un prato che si stendeva ampio, come dorato dal sole, davanti a loro, mentre il legno piano piano le avrebbe seguite lungo il viale. La signora de' Rivani acconsentì, col patto, però, che la passeggiata a piedi fosse davvero corta e che la fanciulla non si lasciasse andare, per nessun motivo, a qualcuno de' suoi capriccetti. La Marietta baciava le mani della mamma, promettendo con mille moine tutto ciò che questa voleva. Camminò, di fatti, tranquilla, con una serietà che in lei era cosa nuova, per sette o otto minuti. A un tratto, però, si mise a gridare: - Jenny Bilson! Jenny Bilson! - additando il viale di fondo - e prese una corsa sfrenata verso quel punto. Jenny Bilson era una cavallerizza americana di circa otto anni, che tutta Roma, allora, andava ad applaudire al Circo Reale, dove una grande compagnia equestre di Nuova York dava i suoi spettacoli serali. La maggiore attrattiva di codesti spettacoli era Jenny Bilson, che faceva far miracoli d'intelligenza a un piccolissimo cavallo tutto bianco come la neve, con lunga la coda e la criniera come d'argento. Bastava ch'ella si presentasse al pubblico, vestita a uso amazzone, co' lunghi capelli sciolti, ondeggianti

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Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222292
Misteri del chiostro napoletano 4 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
  • Paraletteratura - Romanzi
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Pagina 143

«Ah, all'enormità delle mie pene non presterà fede, se non chi ne abbia provata una parte! Esistere e credere di sognare: quel perpetuo affannarsi a sormontare il cavallone che v'incalza, e sta per ingoiarvi, senza speranza alcuna di riguadagnar la riva: quell'essere sepolto vivo e risvegliarsi inchiodato nel buio della bara, ah, mamma, credetemi, sono tormenti atroci! » Cara mamma, questa vita che voi mi deste, altro non è più per me che un supplizio. Che vale l'esistenza, se è cieca di libertà e di coscienza, se è condannata all'atrofia, mentre le altre creature di Dio respirano il nativo elemento, libere, prospere e sane quanto gli uccelli dell'aria? Siate perciò la prima a perdonarmi, e vogliate difendere la mia memoria, quando l'unica traccia, che lascerò al mondo di me, sarà la vostra commiserazione!» Terminata la lettera, che, tutta bagnata di lagrime, deposi aperta sul tavolino, aprii il baule, e tratto dal segreto lo stile, mi ferii il fianco.... - Oh, tu che leggi, non mi condannare! compiangimi; rianda colla mente tutti i miei patimenti, mettiti nel mio miserissimo stato, e piangi con me, che pure scrivendo di questo orribile momento, mi sento profondamente commossa. Ah sì, io avevo tanto patito e patito, che il lume della ragione era spento! Perdonami, lettore, come spero m'abbia perdonato Iddio! Il polso debole e tremante diede poca forza al colpo: una stecca di balena fece scivolare il ferro, che strisciando sulla pelle, la sfiorò. Avrei forse rinnovato il colpo, ma l'orrore e il ribrezzo che mi fece il freddo della lama, mi risvegliò da quel delirio. Non fa parte della legge divina anche l'istinto della propria conservazione? La voce interna che al disperato grida: Consèrvati! - non è forse quella d'un angelo custode, che il cielo invia? Lo stile mi cadde di mano: io mi posi tutta tremante a sedere. Non era scritto che dovessi morire, in un accesso di demenza, omicida di me medesima. Vissi, piansi, patii ancora; e ne sia lode alla divina Provvidenza, io sopravvissi a quell'èra d'ignominia e di servaggio! Nuovi tormenti m'aspettavano. Non paghi i preti d'avermi costretta ad incapperucciarmi nuovamente, vollero pur menarmi per confessore un religioso di loro fiducia, il padre Quaranta, Agostiniano. Trattandosi d'un'anima dannata, la cui conversione non avrebbe forse mancato d'essere ascritta a miracolo, scelsero quel religioso, come colui che, salito in grido d'ineluttabile facondia e in odore di santità, di leggieri avrebbe vinta qualunque resistenza. Risolvei di non portarmi al confessionale. Quaranta mi fu condotto in camera tutti i giorni, a mio dispetto, e ad ore indeterminate. Era egli un vecchierello smemorato, navigante a gonfie vele alla volta dell'imbecillità, il quale, troppo occupato del fervorino che recitava tutto d'un fiato e a modo di scatola musicale, dimenticava da un momento all'altro le mie obiezioni. Il cicaleccio di quel rimbambito distruggeva i beneci effetti dell'ultima crisi nella mia ragione. Protestai contro quella quotidiana molestia; mi fu risposto che io non poteva stare senza il catechismo giornaliero del confessore: mi avrebbero però mandato un tal Cutillo, che in Napoli godeva la stessa riputazione di Quaranta. "Poichè tanto lo decantate, tenetevelo per voi," risposi al prete superiore; "se mi debbo confessare, voglio una persona di mia, e non di vostra scelta." La priora m'aveva tenuto parole d'un vecchio canonico del vicinato, il quale spesso veniva a dir Messa nella chiesa del ritiro, ed informavasi ogni volta sì della mia salute, che del mio stato morale, e pietosamente a mio favore le raccomandava i riguardi che il dovere di priora e le mie peripezie richiedevano. Io lo conosceva di fama, per uomo dotto, prudente e d'illibata probità. Pregai dunque la priora di chiamarlo per confessore da parte mia; mandò in risposta che accettava l'incombenza, purchè non intendessi di valermi della sua mediazione presso il capo della Chiesa napoletana. Gli feci sapere ch'io era ben lungi dal pensiero di umiliarmi a costui. Egli venne. Ma la scelta di quell'egregia persona fu disapprovata da Sua Eminenza, non meno che dal superiore ecclesiastico dello stabilimento. E la ragione fu questa: il canonico era cristiano di cuore e di coscienza, non per ispirito di partito o per orgoglio; era ministro al servizio della sofferente umanità, e non istrumento di casta feroce. Eglino, al contrario, stavano molto al disotto di lui, e per condotta morale e per ingegno e per dottrina. Ne conseguiva che diametralmente opposta a' sentimenti del subalterno essendo la condotta de' superiori, indarno avrebbero questi tentato di penetrare per mezzo del confessore nell'anima della penitente. Senonchè, vergognosi essi stessi d'una disapprovazione che nulla poteva giustificare, furono più tardi costretti a rivocarla; e per tal modo, ne' sinceri conforti profusimi da quel buon vecchio, ebbi la prova consolante che il Cielo non mi aveva del tutto ritirata la sua clemenza. Ma lo ripeto, un malanno porta l'altro. Il generale Salluzzi, che in tante e tante occasioni mi aveva dato prove di paterno affetto, fu, dopo gli ultimi avvenimenti, sì severamente redarguito per la protezione che accordava ad una monaca cospirante contro il principe e ribelle ai voleri della Chiesa, ch'ei non osò più chiamarsi amico mio. Oltre questa perdita, che m'arrecò non piccola mortificazione, il re mi sospese ancora un assegno di annui ducati 60, ultimo mezzo del mio sostentamento. Di lì in poi, nonostante i sussidi della famiglia, furono molte le mie ristrettezze. Obbligata a farmi tutto da me stessa, benchè non assuefatta, per un'estate intera mi ristrinsi al solo pane, e per companatico a qualche frutta, serbando la carne alle domeniche. In quanto alla mia sequestrazione, essa fu completa nei primi sei mesi. Ad eccezione del medico che in sul principio mi visitò, non mi venne fatto vedere per quel tratto di tempo altra figura umana, fuorchè quella sgradevole di preti, di monaci e di monache; cosa che mi costrinse a carcerarmi nella propria stanza, e mi ridusse al compiuto isolamento. Un solo filo di comunicazione mi conservava ancora in relazione col mondo di fuori: era l'involto della biancheria, prezioso messaggiero e confidente, che mi tratteneva in sicuro carteggio con la madre. Coll'aiuto di pochi e scelti libri quale noia non si rompe, quale tristezza non si dissipa, qual muto orrore non è rianimato? Defraudata di quest'innocuo sollievo, mi fu giuocoforza ricorrere alla lettura che fornirmi poteva Mondragone. Nè mi pento d'averla accettata, anzi conserverò particolare memoria della Vita delle sante Martiri che vi trovai: libro interessante che ho letto riletto più volte con edificazione e diletto grande. La casta poesia, il puro e santo zelo di quell'èra cristiana mi serviva di calmante nella lotta interna che m'agitava. Ammirabile secolo di riscatto, in cui la donna, da ardente fede, da speranza, da carità sublimata, non solamente contese all'uomo il privilegio dell'eroismo, ma col sagrifizio della giovinezza, della beltà, degli averi, e della stessa esistenza, colla pratica d'ogni virtù seppe ancora eclissare e modestia di gerarchi, e dottrine di scuola, ed elucubrazioni di teologi. Chi può negare che uno fra i più maravigliosi prodigi della rivelazione sia questa novella devozione della donna alla riforma della società, al rinnovamento del genere umano? E questa fede, quest'abnegazione, che trae la femmina dal gineceo, per menarla gloriosa sul rogo, non è ella già degna di ammirazione, più che non lo sia l'eroismo, in grazia del quale sono i nomi d'Epaminonda e di Scipione celebrati nelle pagine di Plutarco? Questi e non altri esemplari vorrei che con mano diurna e notturna svolgessero le nostre giovinette! Che non oserebbe, a che non riuscirebbe anche la donna de' nostri giorni se quella fede pigliando per modello, deponesse, quasi offerta di primizie, il fiore degli affetti sull'altare della patria? Invece di scrivere romanzi, che con effimere commozioni mi snervano il cuore, che con effeminati affetti mi sbaldanziscono l'animo, m'isteriliscono le aspirazioni, provatevi piuttosto a ritemprarmi, se potete, il cuore a fecondi concetti, a sentimenti virili! Ecco come mi rialzerete dall'inerzia in cui giaccio, ecco come mi preparerete a secondarvi nella grande opera dell'incivilimento! Nelle ore d'ozio (e quante non ne dovetti passare in più di tre anni d'assoluto sequestramento!) materia di grata distrazione mi somministrarono gl'insetti, soli viventi compagni del mio deserto. Quante ore non passai assorta all'isocrono rosicchiare del tarlo nel fracido tavolato delle porte e del soffitto! Quante volte non tesi lungamente l'orecchio a' gorgheggi d'un canarino, la cui prigione, per quanto facessi, non m'era dato di discernere, ma la pazienza e la giubilante superiorità del quale io invidiava dal fondo del cuore! In tempo d'estate e d'autunno una porzione del mio scarso pane era religiosamente riservata alle formiche. Adescate dalla mia ospitalità, esse affluivano in differenti repubbliche e sotto capi differenti nella mia stanza, ne prendevano imperturbato possesso, si aprivano ingressi ed uscite a piacimento, montavano in lunga schiera su per le pareti, o in diverse tribù affollandosi a me d'intorno, facevano a gara l'una coll'altra per la briciola che porgeva loro. Altra volta mi divertiva, a guisa di Silvio Pellico, a contemplare la lotta della mosca caduta nelle granfie del ragno, e a quella vista ricordava la massima di Anacarsi: «che la giustizia d el principe è tale di ragno: i piccoli insetti vi restano avviluppati e catturati, i grossi la squarciano e se ne vanno.» - In tempo d'inverno poi, quello che più d'ogni altro m'aiutò a passare le lunghe ed insonni nottate fu l'esercizio mnemotecnico. A forza di moltiplicare a mente de'numeri determinati, corroborai talmente la memoria che pervenni a trovare il prodotto di due fattori di cinque cifre ciascuno. Ma riprendiamo il filo del racconto. Era già molto tempo che procedeva regolarmente il carteggio clandestino, quando m'accade di trovare nel nodo della pezzuola un dispaccio del seguente tenore: «Cerca d'ottenere un abboccamento dal nunzio apostolico: è persona dabbene. Lo potrai fare per lettera, che manderai a me.» L'abboccamento fu domandato, e prestamente ottenuto. Il nunzio venne a Mondragone non sì tosto ebbe ricevuta la mia lettera. All'annunzio della visita d'un funzionario tanto eminente della Santa Sede tutto il ritiro andò in trambusto. La priora, propensa ad arrogarsi l'onore della visita, corse precipitosa al parlatorio. Ma quale fu il suo stupore sentendo che il ministro del Sommo Pontefice domandava della sua prigioniera! Nell'incertezza se dovesse farmi scendere al parlatorio, o piuttosto rispettare la proibizione, la povera donna rimase di sasso, nè seppe che rispondere al funzionario. Io, che stava sempre in aspettazione di quella visita, appena udito un insolito andirivieni pei corridoi, uscíi ratta della mia stanza, mi precipitai per le scale urtando le monache, che sbalordite mi guardavano, e lanciandomi nel parlatorio, dissi con tuono altiero alla priora: "Le vostre faccende vi richiamano altrove: lasciatemi sola, vi prego." Essa, confusa, licenziossi dal nunzio chiamandolo signor dottore, e volte le spalle, disse a mezza voce: "E se fosse pazza un'altra volta?" Il nunzio era un uomo nel fiore degli anni e garbatissimo. Fece le più alte maraviglie al racconto della mia Odissea, ma non avendo giurisdizione diretta sul ritiro, si dolse con cortese sincerità di non potermi porgere l'aiuto, che i miei tormenti reclamavano. Ciò nonostante non prese congedo senza prima assicurarmi che avrebbe messo in opera ogni mezzo, affine di ottenere a mio favore, se non l'immediata uscita, almeno una diminuzione di rigore. Nel risalir le scale vidi la priora costernata e in parlamento colle sue monache. Approssimatami al crocchio: "Non vi date pena dell'avvenuto," dissi sorridendo alla prepositessa: "mandate pure a dire al cardinale che gli arresti li ho rotti io." Non riusciva nuova alla priora quest'aria di canzonatura. Io aveva preso da qualche tempo l'abito di burlarmi di loro, o di farle arrabbiare con ogni sorta di dispettuzzi, memore del motto di quella briccona di Capua: «per pigliar marito bisogna fare l'impertinente.» La priora fece nota al prete superiore l'avvenuta infrazione, e costui fu il primo che salì da me sbruffando fuoco e fiamme. Lo ricevei seduta ridendo, guardandolo a traverso, e dondolando una gamba sull'altra: "Chi vi ha dato l'ardire di scendere al parlatorio, nonostante gli ordini dell'arcivescovo?" "Ardire fa rima con dormire," risposi. "Sapete, mannaggia! che avendo fatto i voti, dovete prestare cieca ubbidienza a' superiori che Dio vi ha dato?" "Presso quale Evangelista si trova scritto che il Nostro Signore m'abbia dato per superiore il reverendo cavaliere Don Pietro Calandrelli?" "Io sono vostro superiore in nome della santa Chiesa cattolica." "Che cosa intendete per Chiesa cattolica?" "Intendo, signora mia, la padrona dei re, la rappresentante di Dio sulla terra: dico la Santa Sede, e l'intero cattolicismo che le ubbidisce." "Non credo nella Santa Sede, con vostro buon permesso." "Dunque voi non siete cattolica?" "Se quello che voi chiamate cattolicismo in mano al papa, ai cardinali, ad altri vescovi e preti non dovesse essere altro che un mezzo d'industria, una macchina d'ignoranza e di servaggio, per fermo, io non sarei cattolica!" "Che cosa dunque sareste?" "Cristiana; e ci guadagnerei un tanto." "Uh, che orrore, che orrore!" gridò: "Sareste voi protestante?" "Scismatica?" soggiunse la priora. "Nè l'uno, nè l'altro," ripresi io; "sarò cristiana di quel rito che favorirà la civiltà, il benessere, la libertà de' popoli. Ecco la fede mia, che pur sarà la fede dell'avvenire." "Voi siete una religiosa empia e sacrilega! - Signora priora, vi raccomando di badare bene, che il contagio di tali opinioni sataniche non infetti le giovanette innocenti del ritiro." "Non temete," soggiunsi io: "qualche anno ancora, e queste giovinette avranno scoperto e detesteranno le vostre imposture al par di me." Ben lontano però eravamo ancora da tale meta. Il ritiro componevasi quasi per intero di giovani, siffattamente allevate nel bigottismo e digiune di buona istruzione, che mal appena sapevano scrivere. E come poteva essere altrimenti, poichè Calandrelli era il collega del famigerato monsignore Francesco Saverio Apuzzo? Quelle adolescenti ogni volta che passavano davanti alla mia porta, sospirando, esclamavano: "Maronna delle Grazie, salva l'anima sua! Dio mio, convertila!" Il superiore andava intanto ghiribizzando per iscoprire con qual mezzo avessi potuto trasmettere al nunzio la mia lettera. Furono interrogate una per una tutte le converse, ma nulla si potè sapere. Avuto alfine qualche sospetto sul fagotto della biancheria, l'inquisitore, mettendo in non cale ogni riguardo di decenza, ordinò alla priora di volerlo avvertire la prima volta che i miei panni dovevano esser mandati a casa. E così fu: posto il ginocchio a terra, ebbe quel cavaliere dell'ordine di Francesco I la birresca impudenza di sciogliere il fagotto di propria mano, e sventolare partitamente tutti, senza eccezione, i miei panni. Ma io che m'aspettavo la perquisizione, gli aveva teso un bel laccio. Nella piega d'un asciugamano il reverendo trovò una lettera diretta a mia madre. Rizzatosi gongolante in piedi, e con mano tremante dall'impazienza, schiuse il corpo del delitto. "Finalmente," disse alla priora, "il topo è nella trappola!" E senza mettere tempo in mezzo, cominciò a leggere ad alta voce.... Alla quarta linea divenne pallido; a mezza lettera gli morì la voce fra i denti: e seguitò a leggere solamente cogli occhi; In quel foglio io aveva scritto di lui ogni ben di Dio: gli davo dell'impudente, dell'ubriacone, del seduttore, del tanghero; eravi, fra le altre cose, ricordato un fatto vero: cioè, che venendo ogni dopo pranzo avvinazzato, egli chiamava ora l'una ora l'altra delle monacelle nella propria stanza, e vi rimaneva lungo tempo da solo a solo col pretesto di farsi aiutare a recitare l'uffizio. La lista del bucato terminava col seguente epigramma:

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Conviene credere, che ogni persona abbia nella sua vita una qualche data nefasta, un qualche critico avvenimento e di sinistra ricordanza, che dà principio ad una serie non interrotta di susseguenti disastri. L'ora nefasta della vita mia era dall'oroscopo segnata nel mezzo di quella spaventosa notte, in cui lo squilibrio degli elementi minacciò di distruggere Reggio ed altre città delle Calabrie. Altre tristezze io non aveva provato fino allora, se non quelle inevitabili che l'amor vergine cagiona; e sa ciascuno i soavissimi compensi, di che sono rattemprate quelle mestizie. D'allora in poi ogni gioia si tace, il cielo s'imbruna d'ogni intorno, il riso non è più vivo per me: di qua comincia la mia dolorosa storia.Inde lachrymae! Per la paura de' terremoti, non potemmo tornare in casa, che la mattina del sesto giorno; non già perchè cessato del tutto fosse il pericolo, ma perchè mio padre, ormai settuagenario, e pregiudicato inoltre nella salute dal lungo disagio, accusava un malessere generale. Io amava, adorava questo padre con tenerezza non comune: l'amava più della madre, e non senza ragione. V'ha de' genitori, i quali non contenti di usare un'ingiusta predilezione a favore d'uno o di più figli, hanno pure l'imprudenza amara di farne in famiglia incauta mostra. Mia madre (aggravo con dolore la sua memoria) non andava esente di tale debolezza, giacchè, per non so quale istinto, prona alle domestiche preferenze, non si prendeva almeno la cura caritatevole di velarle agli occhi de' meno amati. Ora nel numero delle sue predilette non era io, nè scorreva giorno alcuno ch'io non me ne convincessi per novelle ed evidenti prove. Mio padre, in compenso, suppliva alla scarsezza dell'affetto materno, raddoppiandomi il suo. La sera del 21 settembre io sedeva al pianoforte, intenta a ricreare il genitore, e stava cantando un'aria della Norma, a lui diletta, quando lo udii sospirare. Credetti che qualche spiacevole pensiero l'avesse turbato di passaggio, e proseguii il canto. Un secondo sospiro, seguíto da una sommessa prece, mi giunse all'orecchio. Mi alzai tosto, ed avvicinatami a lui chiesi di ciò che tanto l'affliggesse. "Non sono afflitto," disse, "ma mi sento male, e mi rincresce di non potervi condurre al teatro stasera." "Che mai dite? di questo vi duole? Ecco levati i nastri dalla mia chioma!" E in così dire, deposi la pettinatura sopra la sedia. Chiamai Giuseppina, chiamai la madre. Il vecchio disse alla moglie sentirsi gravemente ammalato dal mezzodì in poi, e che credeva le sue sofferenze sintomi di vicina morte. Lo menammo nella sua stanza col cuore spezzato da tali detti, e si mandò a chiamare il medico. L'indomani un consiglio di professori dichiarava, che il malato era affetto da una infiammazione de' visceri. Al quarto dì perdevano i medici ogni speranza di poterlo risanare, ed al settimo ci annunziarono come, vani essendo riesciti i loro sforzi, dovevamo somministrargli gli ultimi conforti della religione. Non comprenderanno appieno la violenza de' miei singulti, la mia disperazione, se non quelle fra le orfane, che rimasero orbate d'un genitore, al cui affetto avevano esclusivamente affidata la somma de' beni presenti e futuri! L'estrema unzione d'un tale padre spande per le funeree fiaccole sull'avvenire dell'orfano riverberi tanto foschi, che verun sole avrà più la virtù di dissiparli. Terminata la lugubre funzione, volemmo essere ricondotte nella sua stanza. Lo ritrovammo poggiato sul fianco dritto, colle spalle alla porta per cui s'entrava. Il mio volto era contraffatto dal pianto: gli astanti mi fecero segno di non avvicinarmi a lui. Sedetti allora accanto alla porta, a stento frenando le lagrime. Cupo silenzio regnava, non da altro interrotto che dall'anelito affannoso di mio padre. Le sue palpebre socchiuse si riaprirono ad un tratto, e gridò: "Enrichetta!" M'avvicinai al letto, ma il letargo l'ammutolì. Dopo un tratto cercò di rialzarsi e chiamò nuovamente, e più forte: "Enrichetta!" "Son qui:" gli dissi..... "son qui. Che desiderate, padre dolcissimo?" Mi fissò con un occhio impietrito, ma tenerissimo, di cui eterna mi resterà la rimembranza; poi domandò: "Perchè mi lasci?" "Sono vicina a te," risposi con voce soffocata dal singhiozzo. Ed egli: "Sai che ho ricevuto i sacramenti?" "Lo so." "Mi sento in pace coll'anima," ripigliò. "Solo una cosa mi fa morire scontento, ed è il tuo avvenire..... Che ne sarà di te, povera figlia?" Profetiche parole, che nelle mie ulteriori vicende ebbi presenti sempre, e ad ogni passo! L'indomani egli era prossimo all'agonia. In un intervallo di lucidità chiamò mia madre a sè, e le disse in accenti male articolati: "Teresa, conduci altrove queste povere figlie! La loro vista mi opprime il cuore. Esse perdono il padre prima d'aver avuto uno sposo che possa proteggerle e soccorrerle. In questi estremi momenti debbo pensare alla divina misericordia, e lasciare ad essa la cura del resto." Mia madre ci fece cenno di approssimarci: c'inginocchiammo tutte. Egli stese le mani tremanti, e ci benedisse. Ci sogguardò una per una, poi richiuse gli occhi. Sulla sera il confessore entrò mesto nella nostra stanza, e il suo silenzio ci disse che non avevamo più padre!

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Havvi donna che non abbia amato? Tale donna, avesse pure infusa nello spirito suo tutta quanta la scienza di Platone e d'Aristotile, non conoscerebbe il mondo che per metà! La mattina seguente il mio spirito era rasserenato. Sulla tomba della mia passione posi di propria mano la funerea lapide, e vi scolpii oblio! Imitino il mio esempio le giovanette, cui la sana educazione non fa vedere nell'amante altro che lo sposo futuro! L'immagine di Carlo non mi ritornò più nella mente, se non sotto le sembianze d'un personaggio drammatico, le cui vicende m'avessero commossa non ha guari in teatro. Giunsi alla convalescenza. Una sera, a notte avanzata, udii il rumore di molte carrozze, che fermavansi a non grande distanza dalla mia casa. "Antonia!" gridai: "Antonia!" - Accorse la fantesca. "Cos'è questo fracasso in istrada? È forse lo sposo?" "Si signora. È la sposa, che viene accompagnata in casa del signor Carlo da' suoi parenti....." Ebbi una scossa elettrica. "E le nozze quando saranno celebrate?" "Stasera stessa." Poggiai di nuovo la testa sull'origliere, e mi tacqui. - Era già rassegnata. Parecchi mesi dopo il fatto sopranarrato, la città trovavasi in movimento. Reggio attendeva Ferdinando II al suo ritorno da Palermo. Mio padre fu avvertito allo spuntar del giorno che il vapore era alle viste. Vestitosi in fretta, recossi al luogo del ricevimento. La sera, una sontuosa festa da ballo fu data nel palazzo Ramirez. M'acconcia con semplicità ed eleganza. Io e Giuseppina vestimmo un abito di velo cerise col sott'abito dello stesso colore: il seno, decentemente scoverto, era guernito d'una collana d'oro, e la chioma formava una pioggia di ricci, distribuiti sull'una e l'altra parte del volto all'uso inglese. Eravamo da circa mezz'ora nella sala del ballo, quando giunse il re. Mio padre, facente parte della comitiva, ci presentò a Sua Maestà. Prima di scegliersi una compagna per la danza, volle Ferdinando starsene spettatore per qualche tempo. "Quelle due ragazze en cerise sono le vostre figlie, maresciallo?" domandò a mio padre il marito della virtuosa Cristina. "Maestà sì." "Me ne rallegro con voi: ballano a maraviglia." Finito il valtzer, fu pregato di scegliersi una compagna. Lo vidi dirigersi alla mia volta, per invitarmi egli stesso, mentre al ministro Delcaretto indicava col gesto mia sorella Giuseppina, destinata a fargli il vis-à-vis. Se Ferdinando II avesse saputo condurre il suo governo e trattare il popolo a lui soggetto coll'amabilità cavalleresca che mostrò nelle figurazioni della quadriglia, chi sa per quanto tempo ancora avrebbe l'Italia aspettato il compimento de' suoi voti! Dopo il ballo se ne partì. La politica era allora per me, come per altri moltissimi, una parola vuota di senso: poche volte sentiva parlarne, perchè la classe degli ascoltatori incuteva paura a tutti..... Chi m'avrebbe detto quella sera che avrei detestato e Ferdinando, e Francesco suo figlio, e tutti coloro che portano il nome Borbonico! Null'altro di singolare ricordo sino al 1838, tranne due fatti accaduti in mia famiglia: siami lecito di rammentarli. Eravi nel palazzo, da noi abitato, un piccolo coretto, con una grata, che dava nella chiesa di sant'Agostino: lì ascoltavamo la messa e facevamo le serali preci. Un giorno, mentre Giuseppina vi passava, parte del pavimento sprofondò. La poverina cadde tramortita; e sull'istante si credette lieve cosa quanto era successo, ma l'infelice ne rimase zoppa, anzi per effetto di quella caduta scese al sepolcro pochi anni dopo. Un'altra mattina, mi recai nella stanza di mio padre per dargli il buongiorno; gli presi riverente la mano per baciarla: egli, sollevatomi il capo, mi domando sgomentato se mi sentiva male. "Non ho nulla," risposi. "Come nulla? Tu non stai bene!" "Dio mio, è curiosa davvero! Mi sento benissimo!" "Mirati nello specchio!" M'accostai al cristallo, e vidi il mio volto coperto di macchie d'un rosso accesissimo. Ei mi fece sedere accanto a sè, ed avvertì mia madre che facesse chiamare tosto il medico. Ma qual fu la nostra sorpresa nel vedere Giuseppina, che pur usciva della sua stanza, col volto più macchiato del mio! Si comprese allora essere stato l'effetto d'una pillola di bella donna, che ci avevano somministrata in drastica dose, perchè avevamo entrambe la tosse convulsa; e ci credettero avvelenate. Il medico non giungeva; frattanto il nostro stato diveniva da momento in momento più critico. Il rosso del volto spandevasi per tutto il corpo: una gagliarda palpitazione ci sopraggiunse, e la vista ne restò oscurata. Non arrivò il professore che dopo un'ora di angustia, e con succo di limone e molta neve arrestò i progressi del veleno. Era il mese d'ottobre. Dopo la tempesta sofferta per l'inganno di Carlo, il mio cuore godeva d'una calma perfetta. Io vedeva colla massima indifferenza quell'uomo accanto alla sua sposa, la quale, o per effetto del caso, o per meditata malignità, usava al marito le più spasimanti carezze, ogni qual volta i miei sguardi cadevano involontariamente su di loro. Mia madre aveva dato alla luce altre due femmine. La cura ch'io mi prendeva delle bambine mi serviva di distrazione gradevolissima. Una sera, mio padre ricevette la visita d'un nuovo impiegato civile, il quale menava seco un figlio che sembrava aver compito il quarto lustro appena. Io mi trovava nel salotto col resto della famiglia. Il giovine, che avea nome Domenico, fermò lo sguardo su di me, senza staccarlo per tutto il tempo che durò la visita. Benchè non potesse dirsi bello di persona, pure i suoi occhi, mirabilmente conformati, sfavillavano un fascino ammaliatore. Era egli conscio di questo potere, egli che mi appuntava con siffatta tenacità? Questo solamente so, che sotto l'azione di quel fascino un disagio, un malessere, un turbamento singolare s'impadronivano di me con energia crescente. Cercava cambiar posizione, discorrere, divagarmi, ma indarno: quello sguardo inesorabile mi perseguitava in ogni luogo, m'attirava ineluttabilmente a sè, mi magnetizzava. Il giorno appresso lo rividi al passeggio: lo rividi la sera al teatro. D'allora in poi non uscíi di casa senza incontrarlo; l'occhio mio lo discerneva nella folla con penetrazione maravigliosa, ed alla sua vista il seno mi balzava con violenza. Egli, da parte sua, sollecito di seguirmi ovunque andassi, non si lasciava sfuggire veruna opportunità per farmi consapevole del sentimento che io gli aveva ispirato. - Credi dunque che gli uomini tutti siano della tempra medesima di Carlo? - mi andava dicendo un'intima voce in tuono carezzevole; no: non sono tutti d'una pasta. Se vera è la massima, che rara è la lealtà in amore e pochi son coloro che la trovano, pure l'esistenza della virtù è comprovata dalla tua propria sincerità, e ti basta fare una seconda prova per rinvenirla. Uno sguardo, che sa rimescolare fin dal più profondo le viscere, può egli non essere messaggiero d’amore, di compassione, di umanità? - Non potei resistere alla corrente di sì persuasivi suggerimenti. Riscaldato dall'immaginazione, il mio cuore infiammossi di bel nuovo, mentre la ragione, soggiogata dal sentimento, si taceva, spoglia d'ogni riparo lasciando l'anima all'invasione del fascino.

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