Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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C'ERA UNA VOLTA ... :FIABE

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Capuana, Luigi 1 occorrenze

- Maestà, - disse il Ministro che aveva suggerito di far divorare Topolino dai gatti - si costruisca una gran trappola, che abbia l'aspetto della camera della Reginotta, e cerchisi un Mago capace di fare una bambola grande al naturale, somigliantissima a lei, con un congegno da poter chiamare: "Topolino! Topolino!" con lo stesso tono della voce di lei. Sono sicuro che Topolino cascherà nell'inganno. Quando l'avremo in mano penseremo al da farsi. L'idea parve eccellente. Senza che ne trapelasse nulla, i magnagni di Corte costruirono una trappola, che simulava la camera della Reginotta; e un famoso Mago fece una bambola grande al naturale, da scambiarsi colla Reginotta in carne e ossa, e che diceva: "Topolino! Topolino!" con lo stesso tono della voce di questa. Collocarono la trappola nel giardino reale, ed aspettarono fino alla dimane. Tutta la notte, il congegno della bambola chiamò: "Topolino! Topolino!". Ma chi sa dove lucevano gli occhi di Topolino in quel punto? Per sei notti l'inganno non giovò. Alla settima, il povero Topolino, lusingato dalla somiglianza, era accorso alla trappola e c'era rimasto. Figuriamoci il tripudio del Re e dei Ministri, la mattina quando lo trovarono acquattato in un cantuccio presso la bambola! - Rosicchia, Topolino! Sposa la Reginotta, Topolino! Lo beffeggiavano senza pietà; e Topolino, acquattato nel suo cantuccio, li guardava e non rispondeva nulla. Giusto in quel giorno, la sua mamma, avendo bisogno d'un servigio, aveva detto: Codina, codina, Servi la tua mammina! Ma la codina non si era mossa. - Ah, codina, codina! - esclamò quella mamma desolata: - Topolino è in pericolo; andiamo a soccorrerlo, presto! E si avviarono, la codina avanti, e lei dietro, finché non giunsero alla capitale del regno e non entrarono nel giardino reale, mischiati alla folla che accorreva per la curiosità di osservare Topolino dentro la trappola. Quel giorno Topolino doveva esser bruciato. La trappola era stata unta tutta d'olio e di grasso; s'aspettava il Re e la Corte per appiccargli fuoco. La codina spiccò un salto e andò ad appiccicarsi al codone di Topolino. - Topolino ha la coda! Lascia vedere la coda, Topolino! E Topolino, che si era subito ringalluzzato, si voltava compiacente e dimenava la coda come se non avesse capito la condanna che gli stava sul capo. La gente rideva e batteva le mani. Ora che Topolino era cascato in disgrazia, nessuno più si rammentava del bene ch'egli aveva fatto, quando si chiamava Niente-con-Nulla: il mondo è così! Al suono delle trombe, ecco il Re e i Ministri e la Corte, tutti vestiti in gran gala, preceduti dal carnefice, con una torcia accesa in pugno. La Reginotta era rimasta al palazzo. Il Re, per scherno, allora disse: - Topolino, prima di morire, che grazia chiedi? E Topolino, senza scomporsi, rispose: - Maestà: Topolino non vuol ricotta; Vuol sposare la Reginotta; E se il Re non gliela dà. Topolino lo ammazzerà. E si lisciava la coda. - Date fuoco! - ordinò il Re inviperito. Ma non appena il carnefice ebbe accostata la torcia alla trappola, ecco che insieme con la trappola scoppia in fiamme il trono reale. Le vampe avvolsero il Re e i Ministri, che non trovarono scampo. La gente fuggiva, atterrita; ma Topolino, trasformato in bellissimo giovane, usciva fuori sano e salvo. Agli urli, alle strida, accorse subito la Reginotta; e, visto il disastro, si mise a piangere: - Topolino, se mi vuoi bene, risuscita mio padre! Topolino esitava. Allora si fece avanti sua madre: - Topolino, te ne prego anch'io, risuscita il Re! Poteva dire di no alla mamma e alla sua cara Reginotta? Toccò colle mani il cadavere mezzo carbonizzato del Re, e lo fece risuscitare. Ma il Re era diventato un altro. Domandò umilmente perdono del male che gli aveva fatto, e conchiuse: - Giacché questo è il volere di Dio, sposatevi e siate felici! Il popolo fece grandi feste. Dei Ministri bruciati nessuno si diè pensiero.

IL GIORNALINO DI GIANBURRASCA

683006
Bertelli, Luigi - Vamba 23 occorrenze
  • 1912
  • MARZOCCO Sessantunesima edizione
  • prosa letteraria
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Ma il fatto è che non posso star fermo e sento proprio la voglia di far qualcosa di grande, che faccia impressione a quelli che mi perseguitano, dimostrando che in certi momenti anche un ragazzo può diventare un eroe, purché abbia del sangue nelle vene come il Corsaro nero.. Ora ci penso, e qualcosa alla fine farò...

Pare dunque che la mamma abbia avvertito della cosa, con tutta la delicatezza possibile, il marito della signora Olga che è il signor Luigi, un bolognese che discorre in napoletano quando discorre, ma discorre poco perché è burbero e pare che ce l'abbia con tutti, benché invece sia il più buon uomo di questo mondo, pieno di cuore e che vuol bene ai ragazzi e li sa compatire. Il signor Luigi, a quanto ho sentito, rimase molto sorpreso della notizia che gli dètte la mamma, e stentava a crederci; ma quando toccò con mano che l'orologio della signora Olga era quello della mamma, si convinse... e, con una scusa fece visitare sua moglie da un celebre dottore, il quale sentenziò che la cosa era possibilissima trattandosi di un temperamento molto nervoso, e prescrisse una cura ricostituente. Il fatto che le hanno ordinato questa cura l'ha raccontato lei ieri sera alla mamma; ma lei crede che sia per una malattia di debolezza che il medico le ha riscontrato, e ha detto anzi, che se l'è levata di testa lui perché lei sta benissimo e che fa la cura unicamente per contentar suo marito. Naturalmente io mi son divertito molto a questa scena, e spero di divertirmi anche di più in seguito. Intanto stamani ho colto il momento che nessuno badava a me e sono andato in camera di Ada dove le ho preso tutti i fazzoletti che ho trovato; poi, passando dal salotto da pranzo, ho preso l'ampolliera d'argento e me la son nascosta sotto alla blouse; e finalmente sono andato in giardino, ho chiamata Marinella e, con la scusa di fare a nascondersi, sono andato in casa sua e ho lasciato l'ampolliera nella sua stanza da pranzo. In quanto ai fazzoletti li ho dati a Marinella dicendole di portarli in camera della sua mamma, ciò che ha fatto subito; e di lei son sicuro, perché Marinella è una bambina piuttosto silenziosa e sa tenere il segreto. E ora aspettiamo quest'altro atto della commedia!

Com'è bella Roma per uno che abbia passione per la storia! E che grande varietà di paste al caffè Aragno, dove sono stato iersera con mia sorella! Stamani andiamo con lei a fare una passeggiata a Ponte Molle. * * * Torno ora da Ponte Molle, dove sono stato in tranvai con Luisa. Le ho domandato perché si chiama Ponte Molle, ma lei non lo sapeva, e allora ci siamo rivolti a un uomo di lì il quale ha detto: - Si chiama Ponte Molle perché è sul Tevere che è sempre molle, ossia bagnato a questo modo, e non è come tanti altri fiumi che appena vien l'estate si asciugano subito. - Quando ho detto questa cosa al cavalier Metello, che è venuto poco fa per fissar la passeggiata di domani, si è messo a ridere a crepapelle, e poi, ritornato serio, ha detto: - Questo ponte si chiamava anticamente Molvius e anche Mulvius e v'è pure chi lo chiamava Milvius, a il nome che ha ora è forse una corruzione dell'antica denominazione Molvius, nome che deriva probabilmente dal colle che gli sovrasta di faccia, sebbene molti si ostinino nella denominazione Milvius, facendola derivare da Aemilius ossia da Emilio Scauro che si crede sia stato il costruttore del ponte, mentre d'altra parte è provato che lo stesso ponte esisteva un secolo prima che nascesse Emilio Scauro, tanto è vero che Tito Livio dichiara che quando il popolo di Roma andò incontro ai messi che portavano la notizia della vittoria contro Asdrubale, traversarono proprio quel ponte... - Il cavalier Metello è molto istruito, e certo pochi posson vantarsi di sapere la storia romana come la sa lui; ma in quanto a me, dico la verità, mi persuadeva più la spiegazione che mi ha dato stamani quell'uomo che tutti i Milvius, Molvius i Mulvius del cavalier Metello.

Ma l'unica cosa di divertente che abbia questa bambola è il movimento degli occhi che quando è ritta stanno aperti e quando la si mette a diacere si chiudono. Io ho voluto capacitarmi di questa cosa e le ho fatto un buco nella testa dal quale ho potuto scoprire che il movimento era regolato da un meccanismo interno molto facile a capirsi. Infatti l'ho smontato e ho spiegato a Maria come stavano le cose, ed ella si è interessata alla spiegazione, ma dopo, quando ha visto che gli occhi della bambola erano rimasti storti e non si chiudevano più, si è messa a piangere come se le fosse accaduta una disgrazia sul serio. Come sono sciocche le bambine! * * * La Maria ha fatto la spia al suo zio dell'affare della bambola, e stasera l'avvocato ,Maralli mi ha detto: - Ma dunque tu, Giannino mio, ce l'hai proprio con gli occhi degli altri!... - Però dopo un poco ha ripreso sorridendo: - Via, via, faremo accomodare gli occhi della bambola... come si sono accomodati i miei. E del resto, cara Maria, bisogna consolarsi nel pensare che tutte le disgrazie non vengono per nuocere. Guarda quella toccata a me, per esempio! Se Giannino non mi tirava una pistolettata in un occhio io non sarei stato così pietosamente ospitato e assistito in questa casa, non avrei avuto modo forse di apprezzare tutta la bontà della mia Virginia... e non sarei ora il più felice degli uomini! - A queste parole tutti si sono commossi, e Virginia mi ha abbracciato piangendo. In quel momento io avrei voluto dire tutto quello che mi passava nell'animo, ricordando le ingiustizie patite e facendo conoscere col fatto che i grandi hanno torto di perseguitare i ragazzi per ogni nonnulla, ma sono stato zitto perché ero commosso anch' io.

Mio padre si mise a ridere, e poi disse, asciutto: - Va bene: ma poiché il socialismo vuole che ciascuno abbia la sua parte di gioia nel mondo, perché l'avvocato non ti prende con sé per qualche tempo? - E perché no? - esclamò il Maralli. - Scommetto che ho la maniera di farlo diventare un omino... - Sentirai che gioia! - disse il babbo. - In ogni modo, siccome io non voglio più vederlo, per me lo scopo è ugualmente raggiunto. Piglialo pure... - E così fu conchiuso il patto: io sarei stato bandito da casa mia e tenuto in prova per un mese dal Maralli, dove potrò riabilitarmi e dimostrare che non sono, in fondo, quell'essere insopportabile che dicono tutti. * * * Virginia e suo marito, fin dal loro ritorno dal viaggio di nozze che fecero quando prese fuoco il caminetto nel salotto da ricevere, vennero ad abitare questo quartiere che è molto comodo e centrale e dove mio cognato ha messo pure il suo studio d'avvocato, che ha un ingresso a sé ma che comunica con la casa per mezzo d'un usciolino che mette nella stanza degli armadi. Io ho una cameretta piccola, ma elegante, che dà sul cortile e dove sto benissimo. In casa, oltre mia sorella e il Maralli, c'è il signor Venanzio, zio del Maralli, che è venuto da qualche giorno a passare un po' di tempo presso il nipote, perché dice che questo clima gli giova di più alla salute. Però la salute non si sa dove l'abbia: è un vecchio cadente, sordo al punto che bisogna parlargli col corno acustico, e ha una tosse che pare un tamburo. Dicono però che è ricco sfondato, e che bisogna trattarlo con tutti i riguardi. Domani ritorno a scuola.

- Il curioso è che questo cambiamento di scena è avvenuto in seguito a un'altra mia birbanteria - per dir come dice Collalto - ma che pare abbia fatto molto piacere a mio cognato. Ed ecco come sta il fatto. Oggi, alla solita ora, cioè quando si era a colazione, è venuta la marchesa Sterzi, quella che fa la cura per non parlar più col naso. Io allora ho pensato, che, giacché il Collalto aveva scritto al babbo (allora credevo che avesse già impostata la lettera), potevo pigliarmi qualche altro divertimento senza pregiudicare di più la mia situazione; e còlto il momento propizio sono andato di corsa nella sala delle consultazioni. La marchesa stava seduta in una poltrona voltando le spalle verso la porta per la quale ero entrato io. Mi sono avvicinato piano piano alla poltrona, e, quando le sono stato proprio dietro, mi son chinato perché non mi vedesse e ho gridato: - Maramèo!..- La marchesa ha fatto un salto sulla poltrona, e quando mi ha visto accoccolato sul tappeto ha esclamato: - Chi è là? - Il gatto mammone! - ho risposto, inarcando la schiena, puntandomi sulle mani e sul piedi e sbuffando come fanno i gatti. Mi aspettavo che la marchesa Sterzi si risentisse per questo mio scherzo ma invece ella mi ha guardato un poco con ammirazione e poi si è chinata su me, mi ha rialzato, mi ha abbracciato, mi ha accarezzato, e ha incominciato a dire con voce tremante per la commozione: - Oh caro! Oh caro! Ah che gioia, che grande gioia mi hai recata, ragazzo mio!... Oh che grata sorpresa!... Parla, parla ancora... Ripeti ancora quella magica parola che mi ridà la pace dell'anima e suona al mio orecchio come una dolce promessa e il più gradito augurio ch'io possa mai desiderare...- Io, senza farmi pregare, ho ripetuto: - Marameo! - E la marchesa a raddoppiare le carezze e gli abbracci, mentre io, per farle piacere, seguitavo a ripetere: Marameo, marameo... Finalmente ho capito il motivo di tanta allegrezza: la marchesa sentendo che non discorrevo più col naso come la prima volta che mi aveva incontrato, mi credeva guarito e non finiva di domandarmi: - E quanto tempo è durata la cura? E quando hai cominciato a sentire il miglioramento? E quante inalazioni facevi al giorno? E quanti sciacqui? - Io da principio le rispondevo quel che mi veniva alla bocca; ma poi, siccome cominciavo a seccarmi, l'ho piantata li, e soltanto quando sono stato sulla porta, le ho ripetuto, sempre per farle piacere: - Marameo! - Ma proprio in quel momento stava per entrare il dottor Collalto il quale, avendo sentito quella parola, mi ha allungato una pedata nel corridoio che son riuscito a scansare per miracolo, e ha borbottato fremendo: - Canaglia, ti avevo proibito di venir qui!.. - Poi è entrato nella sala di consultazione, e io, ritornando indietro per il corridoio con l'intenzione di andare in camera mia e chiudermici dentro a scanso di altre pedate, ho sentito che diceva alla marchesa Sterzi: - Perdonerà, signora marchesa, se quel ragazzaccio maleducato... Ma la marchesa lo ha interrotto subito: - Che dice mai, caro professore! anzi non può immaginare quanto confortante sia stato per me il poter constatare i miracolosi effetti della sua cura... Quel ragazzo è guarito in pochi giorni!... - Qui ci è stata una pausa, e poi ho sentito il Collalto che diceva: - Già, già... infatti è guarito presto... Sa, un ragazzo! Ma spero col tempo di guarire anche lei... - Non ho voluto sentir altro; e invece dì andarmi a chiudere in camera, sono andato da mia sorella che ho trovato nel suo salottino da lavoro e alla quale ho raccontato tutta la scena. Che risate abbiamo fatto insieme! E così, mentre si rideva a crepapelle, ci ha sorpresi il Collalto che ha riso anche lui... e non ha spedito più la lettera al babbo. - Giannino - ha detto mia sorella - ha promesso dì esser buono, non è vero? - Sì, - ho risposto - e non dirò più bugie... nemmeno alla marchesa Sterzi. - Ah! - ha esclamato mio cognato - badiamo bene che tu non abbia a incontrarti più con lei, altrimenti c'è il caso che il bene vada a finire in male! -

Che credi che abbia fatto quella stupida?... Dalla paura ha lasciato cascare in terra il vassoio che reggeva con tutt'e due le mani... Che peccato!.. Il bricco di porcellana celeste è andato in mille pezzi; il caffè e latte si è rovesciato sul tappetino che la mamma mi aveva comprato ieri; e quella sciocca ha cominciato a urlare così forte, che il babbo, la mamma, le mie sorelle, la cuoca e Giovanni sono corsi su tutti spaventati, per vedere quello che era successo... Ci può essere una ragazza più oca di quella?... Al solito, io sono stato gridato... Ma... appena sono guarito, voglio scappare da questa casa, e andare lontano lontano, così impareranno a trattare i ragazzi come si deve!...

L'altra settimana gli detti due o tre fotografie perché si divertisse a masticarle e può essere che lui le abbia portate fuori e le abbia lasciate per la strada... - Ah, dunque le hai prese tu! - ha esclamato Luisa, rossa come la brace e coli gli occhi che le uscivano dalla testa. Pareva mi volesse mangiare. Ho avuto una paura terribile e perciò, dopo essermi empite le tasche di torrone, sono scappato su in camera. Assolutamente non voglio essere alzato quando gl'invitati se ne anderanno via. Ora mi spoglio e vo a letto.

Pare che il babbo, visto che mi son corretto dal miei difetti, abbia intenzione di mettermi un maestro in casa per farmi poi pigliar l'esame regolare a fìn d’anno. Speriamo bene! Oggi finalmente ho rivisto Gigino Balestra. Per l'appunto mia sorella ha un'amica, una certa signorina Cesira Beni, che sta di casa in un quartiere accanto a quello dove abita Gigino, e siccome oggi Ada è andata a far visita a questa sua amica io ho colto l'occasione di farne una al mio amico. Quanto abbiamo parlato delle nostre avventure passate! A un certo punto dei nostri discorsi mi s'è riaffacciata alla mente la curiosità di sapere come mai nel collegio Pierpaoli era venuto l'uso di chiamare il signor Stanislao col nome di Calpurnio. - Mi hanno detto che è levato dalla Storia Romana, e a questo ci arrivavo anche io. Ma che significa? Perché l'hanno adattato al Direttore? Lo sai tu? - Gigino Balestra si è messo a ridere; poi ha preso una Storia Romana che era nel suo scaffaletto, ha cercato un po' e mi ha messo il libro dinanzi agli occhi aperto nelle pagine dove sono raccontate le guerre di Giugurta; e lì ho letto questo pezzetto che mi son ricopiato perché volevo metterlo qui nel mio giornalino proprio tale e quale: "Dopo che Giugurta ebbe fatto torturare e uccidere il cugino profuse oro a destra e a sinistra perché il misfatto fosse taciuto. Ma il tribuno Caio Memmio manifestò dinanzi al Fòro la scelleraggine di Giugurta e il Senato bandì contro lo sleale principe numida la guerra che affidò a uno dei consoli eletti, per l'anno successivo, e che chiamavasi Lucio Calpurnio Bestia…" - Ah! - gridai smascellandomi dalle risa. - Ora ho capito finalmente! Lo chiamavano Calpurnio perché... - ... perché anche se sentiva, - concluse Gigino, non avrebbe capito che gli si dava della bestia! È un ingegnoso strattagemma, non c'è che dire. Ma sarebbe stato molto meglio che l'avessi conosciuto prima, perché allora chiamando Calpurnio il signor direttore del collegio Pierpaoli ci avrei provato più gusto. Ho parlato con Gigino Balestra anche di un altro importante argomento: dei pasticcini. - Vedi se puoi passare domattina dal negozio, verso le dieci. Il babbo a quell'ora ha una adunanza per le elezioni... Ti aspetto sulla bottega. - Infatti ho saputo che ci sono le elezioni politiche, perché quello che era deputato è diventato pazzo a un tratto, per il motivo, - dicono tutti quelli che s'intendono di politica, - che aveva preso le cose troppo sul serio. E i nuovi candidati sono il commendatore Gaspero Bellucci, zio di Cecchino, e l'avvocato Maralli mio cognato. Pensare che nel dicembre scorso, proprio il giorno prima che ci si rovinasse in quella disastrosa corsa in automobile, con Cecchino Bellucci ci pigliammo a parole appunto sulla maggiore o minore probabilità che avrebbero avuto di diventar deputati i due che oggi si trovavano in lotta davvero. A sentir Gigino Balestra parrebbe che l'elezione del Maralli fosse sicura; e lui è al caso di saperlo perché il suo babbo non solamente è un pasticciere, ma è il grande elettore del suo partito e dice che di riffe o di raffe questa volta il collegio deve essere conquistato dai socialisti e che è già sicuro della vittoria. Per questo ha messo fuori un giornaletto intitolato Il sole dell'avvenire he è in grande polemica con l'Unione Nazionale he sostiene lo zio di Cecchino. Gigino Balestra mi ha fatto vedere questi giornali e mi ha detto: - Il babbo ora non ripara a dar retta a tutte le commissioni, ed è sempre occupato a scrivere nel giornale... Domani siamo sicuri che in bottega non viene. Non mancare! -

- E questo me lo diceva con un risolino così maligno, che non so come abbia fatto a non rispondergli male. Io domando chi gli dava il diritto, a questo corvo spelacchiato che non so nemmeno come si chiama, di mettere in ridicolo la mia disgrazia, e se io non avevo tutte le ragioni d'averlo preso in uggia e di accarezzare l'idea di fargli qualche tiro che gli servisse di lezione... E il tiro gliel'ho fatto ieri ed è riuscito anche peggio di come l'avevo architettato io. Bisogna sapere prima di tutto che il bagno di luce che fa il signor marchese consiste in una specie di cassa piuttosto grande, dentro la quale il malato si mette a sedere su un apposito sedile, e ci riman chiuso dentro con tutta la persona, meno la testa, che sporge fuori da un'apertura rotonda nella parete superiore. Dentro questa cassa vi sono moltissime lampade rosse di luce elettrica che rimane accesa e nella quale dicono che il malato fa il bagno, mentre invece non si bagna per niente e resta asciutto come quando ci è entrato, se non di più. Io, dunque, avevo visto un paio di volte il signor marchese entrare in codesto cassettone, che è in una stanza molto distante da quella dove io mi facevo il massaggio, e rimanervi un'ora, trascorsa la quale l'inserviente andava ad aprir la cassa e a levarlo di dentro. E lì in quella stanza ieri si è svolta la mia feroce ma giusta vendetta. Avevo portato con me una cipolla che avevo trovato in cucina a casa di mia sorella. E dopo fatto il massaggio, invece d'andar via, sgattaiolai nella stanza del bagno di luce dove si era recato poco prima il signor marchese. Egli era là, infatti, ed era così buffa quella sua testa tutta ritinta sporgente fuori da quel cassone, che non potei fare a meno di ridere. Egli mi guardò meravigliato, e poi, col suo solito risolino canzonatorio, mi disse: - Che venite a far qui? Perché non andate a fare una passeggiata in automobile, oggi che è una bella giornata? - Io non ne potevo più dalla rabbia. Tirai fuori la cipolla e gliela stropicciai forte forte sotto il naso e tutt' intorno alla bocca; ed era buffo il sentirlo agitar gambe e braccia dentro il cassone dov'era chiuso, senza poter difendersi in nessuna maniera, e vederlo fare con la faccia le più ridicole smorfie, cercando di gridare, ma inutilmente, perché l'odore acutissimo della cipolla quasi lo soffocava... - Ed ora, - gli dissi - se permette, vado a far una giratina in automobile! - E me ne venni via, richiudendo la porta della stanza. Stamani ho saputo che, passata l'ora del bagno gli inservienti andarono per levarlo dal cassone, e vedendolo col viso rosso e tutto in lacrime, chiamarono d'urgenza il professor Perussi che esclamò subito: - Questa è una crisi nervosa... Presto, fategli una doccia... - E il signor marchese fu inaffiato ben bene, malgrado le sue proteste e le sue grida, le quali non facevano che confermar sempre più il professore nella sua opinione che si trattasse di una terribile sovraeccitazione nervosa. Inutile dire che il professor Perussi si è affrettato a informare dell'accaduto il suo amico e mio cognato Collalto, pregandolo di non mandarmi più a far la cura elettrica; ed è anche inutile aggiungere che il Collalto me ne ha dette di tutti i colori, terminando con queste parole: - Bravo davvero!... Gian Burrasca non poteva incominciar l'anno meglio di così... Ma in quanto a proseguirlo, caro mio, lo proseguirai a casa tua, perché io ne ho abbastanza! -

- Non solo l'ha visto, ma prima hanno discusso a lungo, lui e il babbo, se conveniva di farlo, e da ultimo hanno deciso di sì, perché, come ha detto il Maralli, il suo zio nel testamento stesso dichiara che lascia eredi i poveri in ossequio alle idee del nipote e sebbene abbia scritto questo per canzonarlo, da chi non conosce come stanno le cose può essere preso benissimo sul serio. "Almeno," ha detto il tuo cognato "avrò avuto un utile morale!...". - Sicché ha approvato tutto? - Ha approvato? Altro che! Anzi, il principio dell'articolo lo ha scritto il Maralli stesso... - Io sono rimasto di stucco: ma Gigino Balestra, che è più infarinato di me di cose elettorali, mi ha detto: - Ti fa meraviglia? Non è nulla ancora! Ora, vedi, incomincia la polemica con l’Unione Nazionale sentissi che cosa non si dicono!... Ma il babbo, mentre gliene scrive di quelle da levare il pelo, ci ride e ci si diverte... Se il mio babbo non facesse il pasticciere, sarebbe un giornalista di prim'ordine, lo dicono tutti: ma lui dice gli rendono più i pasticci con la crema che quelli scritti! - E come anderà a finire l'elezione? - Eh! Il Maralli ha tutte le probabilità di riuscire perché c'è l'unione dei partiti popolari... - Meno male! - Bisogna che dica la verità; io avrei piacere che il mio cognato fosse eletto deputato. Perché? Non lo so neppur io precisamente; ma mi pare che avere un deputato in famiglia sia una cosa utile e da averci delle soddisfazioni, e ho in idea che se il Maralli riuscisse, mi perdonerebbe; e allora mi piacerebbe molto d'andar con lui nei comizi elettorali dove tutti urlano, anche i ragazzi, senza che nessuno li sgridi… - Anzi, - mi ha detto Gigino - più che si urla e più ci hanno piacere. Se vuoi venire domenica si va a Collinella dove c'è una gran fabbrica con di molti operai e lì il babbo vuole che si gridi: Evviva la lega! - Ci anderei volentieri, ma non so se il babbo mi ci manderà... Vedremo.

. - A queste parole il vecchio ha dato in una tal risata che credo non ne abbia mai fatte di simili in tutta la sua vita, e poi regalandomi i suoi occhiali d'oro che gli avevo chiesto e che gli erano oramai inutili ha esclamato: - Ah, questa poi è la più carina di tutte! E ora non mi dispiace che di una cosa: di non potere, quando sarò morto, risuscitare per assistere all'apertura del testamento... Rimorirei dal ridere! - * * * È tornato Ambrogio, tutto impensierito perché il medico gli ha detto che ha una nevrastenìa acuta e gli ha ordinato di smettere di fumare e di mettersi in assoluto riposo. - Pensare - diceva quel pover'uomo - che non posso fare né una cosa né l'altra! Come fo a mettermi in riposo se ho bisogno di lavorare per vivere? E come farò io, disgraziato, a smettere di fumare... se non ho mai fumato in vita mia neppure una sigaretta? - Ma io l'ho tolto da ogni imbarazzo, e, presentandogli gli occhiali d'oro del signor Venanzio, gli ho detto : - Si provi un po' queste lenti, e vedrà che gli passerà la nevrastenìa... - Bisognava vedere la gioia d'Ambrogio! Pareva diventato pazzo e voleva sapere una quantità di come e di perché; ma io ho tagliato corto dicendogli: - Questi occhiali mi son stati regalati dal signor Venanzio e io li regalo a lei. Se li tenga e non cerchi altro!... -

Non so perché la mia mamma abbia pianto tanto, quando Gigi mi ha riportato a casa fradicio mézzo. Io stavo benissimo e glielo dicevo, ma le mie parole erano dette al vento, perché le lacrime della mamma pareva che non finissero mai. Come ero contento di essere cascato nel fiume, e di avere corso rischio di affogare! Se no, non avrei avuto tanti complimenti, né tutte quelle moine. Luisa mi ha messo subito a letto; Ada mi ha portato una tazza di brodo caldo bollente; e tutti, anche le persone di servizio, sono stati intorno a me, fino all'ora di andare a desinare. Poi, lasciandomi così infagottato nelle coperte, da farmi davvero morire di soffocazione, sono andati giù, raccomandandomi di star buono e di non muovermi. Ma era possibile questo, per un ragazzo della mia età? Che cosa ho fatto appena son rimasto solo? Mi sono levato, ho tirato fuori dall'armadio il mio vestitino buono a quadrettini, mi son vestito, e scendendo pian piano le scale per non farmi sentire, sono andato a nascondermi sotto la tenda della finestra, in salotto. Se mi avessero scoperto, quante gridate avrei avuto!... Non so come sia andata che mi sono addormentato quasi subito; forse avevo sonno, o ero stanco. Il fatto è, che dopo una buona dormita, ho aperto gli occhi; e da una fessura della tenda ho veduto Luisa seduta sul sofà, accanto al dottor Collalto, che chiacchieravano a voce bassa. Virginia strimpellava il piano, in un angolo della stanza. Ada non c'era; era andata certo a letto, perché sapeva che il Capitani non veniva. - Ci vorrà almeno un anno - diceva lui. - Il dottor Baldi, sai, comincia a diventar vecchio, e mi ha promesso di prendermi come suo aiuto. Ti dispiace di aspettare, amor mio? - Oh no: e a te? - ha risposto Luisa, e tutt'e due si son messi a ridere. - Ma non lo dire ancora a nessuno, - ha continuato lui. - Prima di dichiararci fidanzati in pubblico, voglio avere una posizione sicura... - Oh ti pare? sarebbe una sciocchezza... - Mia sorella aveva appena finito di dire così, che si alzò a un tratto, attraversò il salotto e si mise a sedere lontana dal dottor Collalto. In quel momento appunto entravano nella stanza le Mannelli. Tutti non facevano che domandare con grande interesse come stava il povero Giannino, quando la mamma si precipita in salotto, con un viso bianco da far paura, urlando che ero scappato dal letto, che mi aveva cercato dappertutto, ma che non mi aveva potuto trovare. Allora, perché non si affannasse di più, che cosa fo io? esco dal nascondiglio cacciando un grande urlo. Che paura hanno avuto tutti ! - Giannino, Giannino! - si lamentava la mamma piangendo - mi farai ammalare... - Come! Sei stato tutto questo tempo dietro la tenda? - mi ha domandato Luisa, facendosi di mille colori. - Certo: mi predicate sempre di dire la verità; e allora, perché non dite alle vostre amiche che siete promessi sposi? - ho risposto rivolgendomi a lei e al dottore. Mia sorella mi ha preso per un braccio, trascinandomi fuori della stanza, - Lasciami! Lasciami! - gridavo. - Vado da me solo. Perché ti sei rizzata in piedi quando hai sentito toccare il campanello? Collalto... - ma non ho potuto finire la frase, perché Luisa mi ha tappato la bocca, sbatacchiando l’uscio. - Avrei una gran voglia di bastonarti, - e cominciava a piangere. Collalto non te la perdonerà più - e singhiozzava, singhiozzava, poverina, come se avesse perduto il più gran tesoro del mondo. - Smetti di piangere, sorellina mia, - io le dicevo. - Ti pare che sarei venuto fuori dalla tenda senza dir nulla, se sapevo che il dottore è tanto pauroso? - In quella è venuta la mamma che mi ha riportato a letto, raccomandando a Caterina di non lasciarmi finché non fossi bene addormentato. Ma come avrei potuto dormire, giornalino mio caro, senza prima confidarti tutte le peripezie della giornata? Caterina non ne può più dal sonno, e ogni volta che sbadiglia, pare che la testa le debba cascare giù dal collo. Addio, giornalino, addio per stasera.

Un po' con l'unghie e un po' con lo scalpello mi misi a grattarla a riprese cadenzate, pensando: - Anche se di dentro sentono questo rumore crederanno che sia un tarlo e io potrò seguitare il mio lavoro fino a che non abbia raggiunto lo scopo. Difatti ho seguitato a grattare finché non ho sentito, tastando col dito sulla tela, un forellino... Ma nella stanza che era oggetto di tante faticose ricerche da parte di Maurizio Del ponte v'era buio perfetto. Allora, non essendovi per il momento altro da fare, me ne ritornai a letto soddisfatto del mio lavoro. In verità la mia coscienza non poteva rimproverarmi di essermi abbandonato all'ozio che è il padre dei vizii... e io mi addormentai placidamente pregustando già in sogno le grandi sorprese che mi riserba questo mio osservatorio che mi costa tanti sudori e per il quale ho perduto tanti sonni... Non mi par vero d'arrivare a stasera! * * * Evviva, evviva!... Oggi a desinare si è finalmente cambiato minestra!... Abbiamo avuto una eccellente pappa col pomodoro alla quale le ventisei bocche dei convittori dei collegio Pierpaoli han rivolto con ventisei sorrisi il più caldo e unanime saluto... Noi della Società segreta ci si guardava ogni tanto con un sorriso diverso da tutti gli altri perché sapevamo il mistero di questo improvviso cambiamento. Chi sa che tragedia era successa in cucina!... La signora Geltrude girava attorno alla tavola con gli occhi iniettati di sangue che pareva una belva, volgendo lo sguardo qua e là sospettosamente... Per me e per Mario Michelozzi è stata una grande soddisfazione quella di aver fatto cambiar regime ai nostri pasti, e ripensando alla nostra audace spedizione di stanotte, ai pericoli affrontati con tanto sangue freddo, mi par d'essere uno degli eroi di quelle imprese gloriose che si trovano in tutto le storie di tutti i popoli e che a farle devono essere state molto divertenti per chi le ha fatte, quanto sono noiose a leggerle per i poveri scolari perché devono poi impararle a mente con tutte le date... E alla fin dei conti non si tratta forse, sia pure in un campo più ristretto, delle medesime cause e dei medesimi fatti nei quali chi ha più core e più coraggio si sacrifica per il bene comune? Anche nelle storie delle nazioni ci sono i popoli che ogni tanto si stancano d'aver sempre minestra di riso, e allora avvengono le congiure, i complotti, e saltan fuori i Michelozzi e gli Stoppani che affrontano i pericoli finché per la loro abnegazione, non si passa alla pappa al pomodoro... Che fa se il popolo ignora chi è stato che ha fatto cambiar minestra? A noi ci basta la coscienza d'aver fatto quel che abbiamo fatto per la felicità di tutti. Però gli altri soci della nostra Società segreta ci han fatto molta festa, a me e al Michelozzi, per la riuscita dell'impresa, e Tito Barozzo stringendoci la mano ci ha detto: - Bravi! Vi nomineremo i nostri petrolieri d'onore!... - Intanto Maurizio Del Ponte ci ha fatto una comunicazione molto importante. - Ho visto la stanza sulla quale il nostro bravo Stoppani ha aperto il suo finestrino che ci sarà di una utilità incalcolabile. Ho potuto penetrarvi perché in questi giorni i muratori stanno rifacendovi un pezzo d'impiantito. È la sala particolare della direzione, quella dove il signor Stanislao e la signora Geltrude ricevono le persone più intime e di riguardo. Questa stanza a destra comunica con l'ufficio di direzione e a sinistra con la camera da letto dei coniugi direttori. In quanto al quadro che impedisce al nostro Stoppani di spingere lo sguardo su questa importante piazza nemica, è il grande ritratto a olio del professor Pierpaolo Pierpaoli, benemerito fondatore di questo collegio, zio della signora Geltrude alla quale passò in eredità... - Benissimo! Stasera mi godrò dunque lo spettacolo nella sala riservata di Pierpaolo Pierpaoli buonanima, dal mio palchetto su all'ultimo ordine stando comodamente sdraiato nel mio armadietto. - Come vorremmo essere al tuo posto! - mi hanno detto i compagni della Società Uno per tutti e tutti per uno

- In un altro negozio siccome si disponevano a farmi la stessa accoglienza, mi son risentito e ho detto: - Che credono perché sono un ragazzo che io non abbia i quattrini? - E ho levato di tasca una manciata di biglietti. Allora il commesso del negozio ha cambiato subito maniere e mi ha dato del lei. Però non mi ha voluto dar la cassaforte, scusandosi che lui non poteva vendere ai minorenni e che perciò bisognava che ci andassi col mio babbo. Già: non ci mancherebbe altro! Per fortuna in quel momento sulla bottega ci era un giovanotto che mi guardava mentre tiravo fuori i quattrini e che appena sono uscito mi ha detto: - Ma come son buffi! Per comprar la roba da ora in avanti ci vorrà la fede di nascita... - Naturalmente io ho acconsentito a questa giusta critica, e allora questo bravo giovanotto mi ha domandato: - Ma lei che voleva comprar qualcosa? - Sì: una cassaforte, - ho risposto - ma una cassaforte piccola... - Quanto vorrebbe spendere? - Ma... non saprei. Voglio una cassaforte che sia forte davvero, capisce? - Il giovanotto ha pensato un poco, e poi ha detto guardandomi fisso: - Trecento lire?... - Eh! È un po' cara. - Cara? No davvero! Non sa che le casseforti costano delle migliaia di lire? Ma lei deve prendere una cassaforte d'occasione... se ne trovano facilmente: le costa meno e le fa lo stesso servizio. - E dove si trovano? - Lei deve venir con me. Ho diversi negozianti amici, tutte brave persone che vendono roba garantita e senza far tante storie come fanno nei negozi di lusso... - E mi ha accompagnato in diverse botteghe dove vendevano tutta roba usata e di tutte le specie. Da principio pareva difficile trovare una cassaforte: nessuno ce l'aveva. Abbiamo girato parecchio prima di trovare finalmente quel che si cercava. Quel giovanotto era proprio servizievole e non è stato contento finché finalmente non è riuscito a procurarmi quel che mi occorreva. Egli entrava via via nelle botteghe di questi negozianti suoi amici coi quali si tratteneva a parlare mentre io aspettavo sulla porta: e all'ultima bottega dove ci siamo fermati è ritornato fuori col padrone mostrandomi una cassaforte che per la misura era proprio quel che ci voleva sebbene fosse un poco arrugginita. Io naturalmente ho tirato nel prezzo, e dài, picchia e mena me l'ha rilasciata per duecentocinquanta lire. Gli ho dati tutti i quattrini che avevo in tasca e me la son fatta portare a casa per le cinque, perché sapevo che a quell'ora il babbo non c'era e la mamma e l'Ada erano a fare una visita. Difatti ho avuto la cassaforte e ho dato il resto, cioè centosessantotto lire oltre le ottantadue che avevo già date. Ma ora son contento perché il mio capitale è al sicuro e non c'è più paura!

- Ma non abbia paura, che io in casa sua non ci vado. Oramai ho promesso alla mia buona mamma e all'Ada di metter la testa a partito e di fare in modo che il babbo non abbia a mettere in esecuzione la minaccia fatta di cacciarmi in una Casa di correzione ché questo sarebbe davvero un disonore per me e per la mia famiglia; e in questi cinque giorni ho dimostrato che questa volta non si tratta di promesse da marinaro, e che se voglio so anche essere un ragazzo di giudizio. Tant'è vero che la mamma stamani mi ha abbracciato e mi ha dato un bacio dicendo: - Bravo Giannino! seguita così e sarai la consolazione dei tuoi genitori! - La frase non è nuova, ma però detta da una mamma buona come la mia fa sempre un effetto nuovo nel cuore di un figliolo per bene, e io le ho giurato di mantenermi sempre così. Io l'ho sempre detto che le mamme sono più ragionevoli dei babbi. Infatti la mamma, quando le ho raccontato dell'affare della minestra di magro che ci davano in collegio il venerdì e dell'eterno riso che si mangiava in tutti gli altri giorni della settimana mi ha dato pienamente ragione e ha detto a mia sorella: - Poverini, chi sa come si stomacavano a mangiar quelle porcherie! -

Il direttore disse a bassa voce: - Mi pare che stasera abbia gli occhi più neri… - La signora Geltrude lo guardò e schiuse le labbra in modo ch'io capii benissimo che era per dargli dell'imbecille, ma si ritenne per paura dello spirito di suo zio. E pensare che il povero sor Stanislao aveva pienamente ragione, perché i due buchi fatti da Carlino Pezzi negli occhi del ritratto, sul fondo nero dello sgabuzzino dove stavo io, dovevano fare appunto l'effetto che gli occhi del compianto fondatore del Collegio si fossero molto ingranditi! Poco dopo il Direttore, la Direttrice e il cuoco erano seduti attorno al solito tavolino, con le mani unite e stavano aspettando silenziosamente, tutti riconcentrati, che il fluido si sviluppasse. L'orologio della chiesa suonò dodici tocchi. Il cuoco esclamò: - Pierpaolo Pierpaoli! - Il tavolino dette un balzo. - C'è - mormorò la signora Geltrude Vi fu una pausa solenne. - Puoi parlare? - domandò il cuoco: e tutti e tre sbarrarono gli occhi verso il ritratto. Incominciava la mia parte. Risposi assentendo con un sì che pareva un soffio. - Ssssss... - I tre spiritisti erano così commossi che ci volle un bel pezzetto prima che ripigliassero un po' di fiato. - Dove sei? - disse finalmente il cuoco. - In Purgatorio - risposi con un fil di voce. - Ah zio! - esclamò la signora Geltrude. - Voi che eravate così buono, così virtuoso!... E per quali peccati? - Per uno solo, - risposi io. - E quale? - Quello di aver lasciato questo mio istituto a persone indegne di dirigerlo! - Dissi queste parole con voce un po' più alta e con accento adirato; e parve che esse cadessero sulla testa dei tre spiritisti come tante tegole. Si abbandonarono col capo e con le braccia stese sul piano del tavolino, affranti dalla terribile rivelazione e rimasero così sopraffatti dai loro rimorsi, per parecchio tempo. La prima a riaversi fu la signora Geltrude che domandò: - Ah zio... adorato zio... Degnatevi di dire i nostri torti e noi li ripareremo. - Li sapete! - risposi con voce grave. Ella parve riflettere; poi riprese: - Ma ditemeli... Ditemeli!... - Io non risposi. Mi ero già imposto di non rispondere che alle domande che favorivano il nostro progetto e oramai non ve n'era che una che aspettavo, e che non poteva indugiare a essermi rivolta. - Zio!... Non rispondete più?... - disse ancora la Direttrice con voce insinuante. Lo stesso silenzio. - Sei dunque molto sdegnato con noi? - aggiunse ella. E io sempre zitto. - Che sia andato via? - chiese al cuoco. - Pierpaolo Pierpaoli! - disse l'odiato manipolatore delle minestre di magro con le rigovernature. - Ci sei sempre? - Ssssss... - risposi. - C'è sempre; - disse il medium - se non risponde vuol dire che a certe domande non vuol rispondere e bisogna fargliene delle altre. - Zio, zio!... - esclamò la signora Geltrude. - Abbiate pietà di noi, poveri peccatori!... - A questo punto io mi scostai dal forellino fatto da me nella tela e piantai gli occhi nei buchi fatti da Carlino Pezzi e incominciai a roteare le pupille a destra e a sinistra e, ogni tanto, a fissarle sui tre spiritisti. Essi che tenevano sempre lo sguardo intento al ritratto, poco dopo si accorsero che esso moveva gli occhi, e presi da un gran tremito si scostarono dal tavolino e caddero in ginocchio. - Ah, zio! - mormorò la signora Geltrude. - Ah, zio!... pietà... pietà di noi!... Come potremo riparare ai nostri torti? - Era qui che l'aspettavo. - Togliete il segreto alla porta - dissi - perché io possa venire a voi... - Il cuoco si alzò e pallido, camminando a zig-zag come un ubriaco, andò a togliere il segreto alla porta. - Spengete il lume e aspettatemi tutti in ginocchio! - Il cuoco spense il lume e io sentii poi tornare a inginocchiarsi accanto agli altri due. Il gran momento era giunto. Lasciai il mio posto d’osservazione e affacciatomi all'ingresso dell'armadietto feci con la gola un suono come si fa quando si russa. Immediatamente Gigino Balestra si alzò dal mio letto ov'era ancora disteso e, senza far rumore, uscì dalla camerata. Egli andava a dar l'avviso ai compagni della Società segreta che eran tutti pronti per irrompere nel salone di Pierpaolo Pierpaoli e, armati di cinghie e di battipanni, farne le giuste vendette. Io mi rivoltai nel mio sgabuzzino e accostai l'orecchio alla tela del ritratto per godermi un po' la scena. Sentii aprire l'uscio della sala, richiuderlo col segreto, e poi ad un tratto le grida dei tre spiritisti sotto i primi colpi. - Ah! gli spiriti!... Pietà!... Aiuto!... Soccorso!... - Mi ritirai precipitosamente, e uscito di camerata accesi uno stoppino del quale mi ero provvisto, andai nella stanzetta dei lumi a petrolio, aprii con la chiave che mi aveva dato il Barozzo, staccai la grossa chiave che trovai attaccata dietro la porta secondo le istruzioni che mi aveva dato, e corsi al portone d'ingresso del collegio. Tito Barozzo era lì. Prese la chiave, aprì il portone, poi si rivolse a me e mi avvinghiò con le braccia, e mi tenne stretto stretto al suo petto; mi baciò e le nostre lacrime si confusero insieme sui nostri visi... Che momento! Mi pareva d'essere in un sogno... e quando ritornai in me io ero solo, appoggiato al portone dell'Istituto, chiuso. Tito Barozzo non c'era più. Girai la mandata e ritirai la chiave dal portone e rifacendo rapidamente la strada già fatta l'andai a rimettere al suo posto, richiusi l'uscio dello stanzino dei lumi e ritornai in camerata dove mi affacciai con la massima precauzione, assicurandomi se i miei piccoli colleghi dormivano tutti. Dormivano infatti. Il solo desto era Gigino Balestra, a sedere sul mio letto, che mi aspettava inquieto, non sapendo il motivo per il quale ero uscito. - Siamo tutti ritornati in dormitorio - mormorò. - Ah, che scena!... - Voleva parlare, ma io gli accennai di stare zitto; salii sul comodino, mi tirai su a sedere nell'armadietto e feci cenno a Gigino di venir su anche lui. Con molti sforzi si riuscì a ficcarci tutti e due nel mio osservatorio tra le cui anguste pareti, stavamo distesi, stretti l'uno all'altro come due sardine di Nantes, con la differenza che non eravamo senza testa come loro, ma anzi avevamo i nostri visi, anch'essi appiccicati insieme, dentro la finestrina da me aperta sulla gran sala di Pierpaolo che era nella più completa oscurità. - Ascolta, - dissi in un soffio di voce a Gigino. Si udiva già un singulto cadenzato. - Geltrude - sibilò il mio compagno. Doveva essere intatti la Direttrice che piangeva e ogni tanto borbottava con accento fioco: - Pietà!... Perdono!... Mi pento di tutto! Non lo farò più!... Misericordia dell'anima mia!... - A un tratto nel silenzio tragico di quel momento s'alzò una voce tremula che diceva: - Pierpaolo Pierpaoli... possiamo riaccendere il lume? - Era quel mascalzone del cuoco, inventore della minestra di rigovernatura. Non mi pareva vero di vedere come lo avevano conciato i compagni della Società segreta e mi affrettai a rispondere col solito sibilo: - Sssssss... - Si udì inciampare; poi lo sfregamento scoppiettante di un fiammifero di legno contro il muro, si vide una piccola scialba fiammella giallognola vagar qua e là nel buio come un fuoco fatuo nel cimitero e finalmente un lume si accese. Ah, che spettacolo! Non lo dimenticherò mai. Le sedie, i tavolini erano rovesciati per terra. Sulla consolle il grande orologio, i candelabri erano in bricioli. Dovunque regnava uno spaventevole disordine. Da un lato, accanto al lume acceso, appoggiato alla parete, il cuoco col faccione verde pieno di bitorzoli, vòlto verso di noi, guardava con gli occhi languidi e lacrimosi il ritratto. Dall'altra parte, accovacciata in un angolo, era la Direttrice, col viso sgraffiato, i capelli disciolti e le vesti in brandelli. Anche lei aveva gli occhi gonfi, stralunati, e fissava sul ritratto le inquiete pupille. Poi sopraffatta dal rimorso e dal dolore dètte in un pianto dirotto, balbettando sempre rivolta alla venerata effige del defunto Pierpaolo: - Ah, zio! hai avuto ragione di punirci! Sì... noi siamo indegni di questa tua grande istituzione alla quale dedicasti tutta la tua vita intemerata!... E hai fatto bene a mandarci gli spiriti a punirci, a gastigarci delle nostre colpe... Grazie, zio! Grazie... E se ci vuoi dare altri gastighi, fa' pure!... Fa' pure! Ma ti giuro che da qui in avanti noi non ricadremo più nel peccato tremendo dell'egoismo, dell'avarizia, della prepotenza... Te lo giuriamo, non è vero, Stanislao!... - E si volse lentamente alla sua destra, poi girò lo sguardo da ogni parte, sgomenta. - O Dio! Stanislao non c'è più!... - Infatti il Direttore mancava, e io sentii una stretta al cuore. Che ne avevano fatto, i compagni della Società segreta?... - Stanislao!... - chiamò con voce più alta la Direttrice. Nessuno rispose. Allora il cuoco alzò la voce verso il ritratto: - Pierpaolo Pierpaoli! Gli spiriti punitori hanno forse portato il nostro povero Direttore all'inferno?... - Io rimasi zitto. Volevo dimostrare, ora, che lo spirito del fondatore del Collegio non era più presente. E vi riuscii perché il cuoco, dopo averlo più volte chiamato, disse (e nel dir questo la sua voce aveva ripreso il suo tono calmo e naturale): - Non c'è più! - Anche la signora Geltrude fece un sospiro di sollievo e parve liberata da una gran preoccupazione. - Ma Stanislao? - disse. - Stanislao! Stanislao, dove sei?... - A un tratto dall'uscio che dalla sala mette nella camera dei due coniugi venne fuori una lunga figura così comicamente fantastica che, pur essendo recente la drammatica solennità di quel terribile convegno spiritistico, il cuoco e la direttrice non poterono frenar le risa. Il signor Stanislao pareva diventato più secco e più allampanato di prima; ma il pezzo della sua persona cui era impossibile volger lo sguardo senza ridere era la testa tutta monda e bianca come una palla di biliardo e con un occhio tutto cerchiato di nero intorno e con espressione di così comica desolazione che tanto io che Gigino Balestra, malgrado i nostri più eroici sforzi, non potemmo frenare una risata. Fortunatamente in quel momento ridevano anche il cuoco e la signora Geltrude, sicché non si accorsero di noi. Ma il direttore che non rideva dovette udire qualcosa perché volse l'atterrito occhio cerchiato di nero verso di noi... e noi ci frenammo ancora, resistendo finché ci fu possibile, ma la risata ad un tratto ci scappò via dal naso in un sordo grugnito e ci ritirammo, più in fretta che ci fu possibile in quella ristrettezza, nell'armadietto scendendo poi giù nella camerata. Gigino raggiunse il suo lettuccio e tutti e due spogliatici in un baleno ci ficcammo sotto le rispettive lenzuola palpitanti... Non ho chiuso occhio in tutta la notte, temendo sempre che tutto fosse stato scoperto e che un'improvvisa ispezione venisse a sorprenderci. Fortunatamente nulla di nuovo è accaduto e io posso stamani confidare al mio Giornalino e ultime vicende del collegio Pierpaoli.

- E cosi siamo entrati proprio dal direttore che è un uomo con una testa pulita pulita, e anzi è la sola cosa pulita che abbia perché ha un vestito che pare tessuto col sudiciume, e una cravatta nera tutta unta nel cui centro brillava uno schizzo di torlo d'uovo in modo che pareva proprio che ce lo avesse messo lì apposta per far finta d'averci uno spillo d'oro. Però è stato molto gentile e quando ha letto la mia rettifica, dopo aver riflettuto un poco ha detto: - Benissimo! La verità innanzi tutto... Ma ci vorrebbero delle prove... dei documenti... - Io allora gli ho raccontato che tutto il fatto com'era andato era descritto qui nel mio giornalino, in quelle pagine che fortunatamente avevo potuto salvare dal caminetto quando il mio cognato aveva tentato di distruggerle... - Ah! aveva tentato di distruggerle, eh? - Sicuro! Ma vede la combinazione, eh? Se io non le avessi riprese a tempo ora sarebbe peggio per lui perché non potrei dimostrare la verità di quel che io dico... - Eh già... sicuro... - Infatti il direttore dell'Unione Nazionale, ha detto che gli era necessario di vedere questo mio giornalino con la mia firma, e ho fissato di portarglielo stasera stessa, mentre egli da parte sua si è impegnato di pubblicare nel prossimo numero non solo la mia rettifica, ma anche se ci sarà bisogno la descrizione del matrimonio religioso di mio cognato... Chi sa che piacere avrà il Maralli quando leggerà l'articolo nel giornale avverso dove gli renderanno giustizia, e quando saprà che io sono stato la causa di tutto. Mi figuro già di vedermelo venire incontro con le braccia aperte a rifar la pace, e allora si metterà una pietra sul passato e l'innocenza trionferà contro tutte le calunnie... E ora, caro giornalino mio, ti chiudo e mi accingo a separarmi da te per qualche giorno, ma son contento perché tu mi aiuti a compiere una buona azione e a far rifulgere la verità contro tutte queste invenzioni tendenziose - come le chiama il mio amico Gigino Balestra! Qui termina il giornalino di Gian Burrasca; ma non terminano qui, naturalmente, le sue monellerie e le sue avventure, e a me che ho impresa la pubblicazione di queste memorie corre almeno l'obbligo immediato di completar la narrazione dell'avventura elettorale rimasta interrotta sul più bello... o sul più brutto, secondo il punto di vista politico-sociale dei miei piccoli lettori. Infatti proprio in una questione politico- sociale andò a incappare il nostro povero Giannino Stoppani, e non è da far le meraviglie se la sua buona fede fu tradita da tutte le parti e ogni suo calcolo da cima a fondo sbagliato. Vero è che il direttore dell'nione Nazionale accolse come aveva promesso la rettifica rimessagli da Gian Burrasca , ma il titolo dell'articolo in cui essa comparve basta a rivelare il secondo fine cui si faceva servire il riconoscimento della verità. L'articolo era intitolato: L'avvocato Maralli libero pensatore in città e bigotto in campagna e in esso alla dichiarazione di Giannino Stoppani si faceva seguire la descrizione del matrimonio religioso di sua sorella col Maralli fedelmente ricopiata dal Giornalino e si concludeva col dipingere il candidato socialista come un opportunista della peggiore specie, non spinto da altre molle in ogni sua attitudine nell'agone politico che da quelle di un volgare interesse e di una smodata ambizione. In casa Stoppani la notizia di questa tragedia elettorale giunse di prima mattina. Il babbo di Giannino ricevé il numero dell'Unione Nazionale con quel terribile articolo segnato con lapis bleu e con queste parole scritte nel margine dall'avvocato Maralli. - "Vostro figlio che mi aveva già rovinato come uomo facendomi perdere l'eredità di mio zio e come professionista facendomi perdere una causa importante è tornato in tempo dal Collegio per rovinarmi nella mia carriera politica... e c'è riuscito perfettamente!" - La tempesta scoppiò tremenda sul capo del povero Gian Burrasca... e anche più in giù. - Ma io ho detto la verità! - gridava egli sotto la gragnuola inaspettata. - Io credevo di far bene difendendolo da un'accusa ingiusta!... - E il padre, mentre la gragnuola rinforzava: - Stupido! Rompicollo! I ragazzi, non devono impicciarsi nelle cose che non possono capire! Cretino! Birbante! Sei la rovina di tutta la famiglia!... - E certo il nostro Giannino non poteva capire i misteri della politica per i quali a volte la difesa fatta da un'anima semplice e ingenua può recar più danno di un'offesa lanciata dall'anima più nera e perversa. Il fatto è che la rivelazione ch'egli fece all'Unione Nazionale e che questa fece al pubblico determinò la ribellione contro il Maralli di una frazione del suo stesso partito e i partiti che a quello si erano alleati, e il giorno dell'elezione fu ignominiosamente sconfitto. Ma non basta. La polemica fra l'Unione Nazionale e il Sole dell'avvenire sì inacerbì al punto che non bastando più tutte le male parole del vocabolario elettorale italiano si passò alle bastonate e un giorno la pasticceria del babbo di Gigino Balestra fu teatro di una zuffa terribile tra moderati e socialisti che si picchiarono di santa ragione, dicendosi le cose più amare su un terreno cosparso delle cose più dolci che si possano immaginare, e riducendosi scambievolmente in uno stato compassionevole e anche appetitoso, col volto ammaccato pieno di bitorzoli e di bioccoli di crema, annerito da ecchimosi e da ditate di cioccolata, gocciolante di sangue e dì alkermes... Ne vennero querele da ambe le parti, e in Tribunale uno dei documenti più importanti per stabilire l'origine dei fatti dei quali si discuteva, fu appunto il Giornalino di Gian Burrasca che il direttore dell' Unione Nazionale non aveva più restituito al suo legittimo proprietario e che rimase poi lungamente dimenticato fra gli incarti della Cancelleria giudiziaria, ciò che non farà certo maraviglia a chi sa come tutto della Giustizia italiana sia lungo e oblioso. Come alla fine il Giornalino di Gian Burrasca capitasse tra le mie mani, io non dirò: basti sapere che io, che ebbi la fortuna di scoprirlo da una portinaia moglie d'un usciere del Tribunale mentre ella lo leggeva a' suoi figliuoli, dovetti durar molta fatica e spender molti quattrini in carta bollata per ottenere - col consenso di Giannino Stoppani - la restituzione del manoscritto, non potendo il Tribunale, per regolarità, consegnare un documento processuale né a Gian Burrasca che era proprietario ma era minorenne né a me che ero purtroppo maggiorenne, ma non ero il proprietario. E neanche questo farà maraviglia a chi sappia come tutto nella Giustizia italiana sia regolarmente faticoso e costoso... Ho detto in principio che non terminato col Giornalino le avventure di Gian Burrasca... Infatti dopo che egli ebbe rovinata la posizione politica di suo cognato, il suo babbo si decise a rinchiuderlo in una Casa di correzione, e la stessa decisione nello stesso tempo era presa dal babbo di Gigino Balestra che, come avete visto, era stato complice necessario nella rettifica recata all' Unione Nazionale. Sotto questa terribile minaccia i due ragazzi concertarono una fuga e... e da questo punto si apre un altro periodo della storia di Gian Burrasca che vi racconterò un'altra volta.

La mamma mi ha accompagnato qui in camera mia, e mi ha detto semplicemente: - Procura di non farti vedere da nessuno... e prega Dio che abbia pietà di te e di me che, per causa tua, sono la donna più disgraziata di questa terra! - Povera mamma! A pensare al suo viso pieno di malinconia mi viene da piangere... Ma, d'altra parte, che ho a fare se tutte le cose, anche le più semplici, mi vanno a rovescio! Come avevo stabilito, ieri sera volli dare la rappresentazione di giuochi di prestigio, nel salotto... e in questo non c'era niente di male, tant'è vero che tutti dissero: - Vediamo, vediamo questo rivale di Morgan! - Fra gli spettatori, oltre Mario Marri che fa le poesie e porta la caramella, la signorina Sturli che le mie sorelle dicono che si stringe troppo, e l'avvocato, c'era anche Carlo Nelli, quello che va vestito tutto per l'appunto e che ha rifatto la pace dopo che s'era avuto tanto a male che Virginia gli avesse scritto sul ritratto: Vecchio gommeux. - Cominceremo dal giuoco della frittata! - dissi io. Presi dal cappellinaio il primo cappello che mi capitò fra mano, e lo posi su una sedia, a una certa distanza dal pubblico: poi presi due uova, le ruppi e versai le chiare e i torli nel cappello, mettendo i gusci in un piatto. - Stiano attenti, signori! Ora prepareremo la frittata, e poi la metteremo a cuocere!... - E con un cucchiaio mi misi a sbattere le uova dentro il cappello, avendo nell'idea, dopo, di levarci la fodera e farlo ritornar pulito come prima. Il Carli, nel vedermi sbattere le uova dentro il cappello, dètte in una gran risata e gridò: - Oh, questa è bella davvero!… - Io, sempre più incoraggiato nel vedere che tutti quanti si divertivano ai miei giuochi, per finire l'esperimento proprio alla perfezione come avevo visto fare al celebre Morgan, dissi: - Ora che le uova sono sbattute, io pregherei un signore di buona volontà a reggere il cappello mentre vado ad accendere il fuoco... - E rivolgendomi all'avvocato Maralli, che era il più vicino a me, ripresi: - Lei, signore, vuol avere la gentilezza di reggere il cappello per un minuto? - L'avvocato accondiscese, e preso il cappello nella destra vi gettò uno sguardo dentro e si mise a ridere esclamando: - Toh! Ma io credevo che ci fosse un doppio fondo... Invece ha sbattuto le uova proprio dentro il cappello!... - Carlo Nelli che sentì, dètte in un'altra risata più clamorosa della prima, ripetendo : - Ah, questa è bella!... questa è proprio graziosa!… - Io, tutto contento, presi nell'ingresso il candelliere con la candela accesa che avevo già preparato e, ritornato accanto all'avvocato Maralli, glielo misi nella sinistra, dicendo: - Ecco acceso il fuoco: ora lei, signore, favorisca di tenerlo sotto al cappello, non tanto vicino per non bruciarlo... Ecco, così... Bravo... Ora poi la frittata è bell'e cotta e spengeremo il fuoco... Ma come? Ah! Ecco qui: noi lo spengeremo con la mia pistola... - Veramente il Morgan adopera una carabina; ma io, avendo una di quelle pistole da ragazzi che si caricano con quei proiettili di piombo a punta da una parte e con uno spennacchietto rosso dall'altra, coi quali si tira nel bersaglio, avevo creduto che fosse la stessa cosa; e, impugnata la mia arma, mi impostai dinanzi all'avvocato Maralli. In questo punto, molto importante per la riuscita dell'esperimento, dovendo io spengere con un colpo della mia pistola la candela, fui distratto improvvisamente da due grida. Carlo Nelli, avendo a un tratto riconosciuto nelle mani dell'avvocato Maralli il proprio cappello, aveva smesso subito di ridere gridando con angoscia: - Uh! Ma quel cappello è il mio! - Nello stesso tempo l'avvocato Maralli, vedendomi con la pistola stesa, aveva esclamato sgranando tanto d'occhi dietro gli occhiali: - Ma è forse carica?...- In quel momento lasciai andare il colpo, e si udì un urlo: - Ah, mi ha ammazzato!... - E l'avvocato Maralli, lasciandosi cadere dalle mani il candelliere e il cappello con le uova dentro che si sparsero sul tappeto sporcandolo tutto, si gettò su una sedia premendosi il viso con tutt'e due le mani... Le signorine Mannelli si svennero, le altre si dettero a urlare, le mie sorelle si messero a piangere come fontane; Carlo Nelli si precipitò sul suo cappello, ringhiando: - Assassino!... - Mia madre, intanto, aiutata da Mario Marri, aveva afferrato l'avvocato Maralli, sorreggendolo e scostandogli le mani dal viso, dove vidi con terrore, proprio accanto all'occhio destro, lo spennacchietto rosso del proiettile a punta che gli s'era conficcato nella carne... Ebbene: posso giurare che ero il più dispiacente di tutti, ma in quel momento io non potei trattenermi dal ridere, perché il Maralli, con quello spennacchietto rosso ficcato accanto all'occhio, era proprio buffo... Allora Carlo Nelli, che in tutta quella confusione aveva sempre seguitato a ripulire il cappello col fazzoletto, esclamò al colmo dello sdegno: - Ma quello lì è un delinquente nato!... - E la signorina Sturli che si era avvicinata al Maralli per vedere che cosa gli era successo, accorgendosi d'aver macchiata la camicetta di seta bianca col sangue che usciva dall'occhio del ferito, si mise anche lei a smacchiarsi col fazzoletto, borbottando tutta stizzita: - Quel ragazzo finirà in galera!... - Io smessi di ridere, perché incominciavo a capire che la cosa era molto seria. Mario Marri, aiutato dagli altri invitati, avevano preso l'avvocato Maralli a braccia e l'avevan trasportato su nella camera dei forestieri; e intanto Carlo Nelli s'era incaricato d'andar a chiamare il dottore. Io, rimasto solo in salotto, mi misi in un cantuccio a singhiozzare e a riflettere ai casi miei... e ci rimasi così triste, dimenticato da tutti, quasi tutta la notte, finché non mi ha scoperto la mamma che mi ha accompagnato, come ho scritto prima, qui in camera mia... Pare che l'avvocato Maralli stia molto male. E io? Io finirò in galera, come dicono tutti!... Sono disperato, mi gira la testa, mi sento tutto pesto come se mi avessero bastonato... Non ne posso più, non ne posso più!... * * * Ho dormito e mi sento meglio. Che ore sono ? Dev'esser tardi perché sento venir su dalla cucina un odorino di stracotto che mi rallegra un po' lo spirito in mezzo a questo silenzio sepolcrale... Ma un'idea terribile mi perseguita sempre: quella del processo, della prigione, dei lavori forzati a vita... Povero me! Povera la mia famiglia!... Mi sono affacciato alla finestra, e ho visto giù, in giardino, Caterina in gran conciliabolo con Gigi, quello che mi salvò la vita quando ero per affogare. Caterina si sbracciava, si accalorava, e Gigi ogni tanto si tirava il cappello sugli occhi, allungava il collo e spalancava la bocca, come fa lui quando un discorso gli interessa di molto. Io li guardavo tutt'e due, e capivo benissimo che Caterina raccontava a Gigi il fatto di iersera dell'avvocato Maralli e che Gigi era molto impressionato del racconto; e capivo anelare che il far quei gesti che facevano era segno che l'affare era molto serio, e che probabilmente il povero avvocato stava molto male... A un certo punto anzi, quando Caterina ha alzato le braccia al cielo, m'è venuto anche il dubbio terribile che il povero Maralli fosse morto... Eppure bisogna, giornalino mio, che ti confessi una cosa: nel vedere quei due far tutti quei gesti, non ne potevo più dal ridere. Che io sia davvero un delinquente nato, come ha detto iersera Carlo Nelli? Ma il buffo poi è questo, caro giornalino: che ora, ripensando a questa cosa del delinquente nato, mi vien da piangere perché più ci rifletto e più mi par proprio d'essere un ragazzo venuto al mondo per soffrire e far soffrire, e dico fra me: - Oh quant'era meglio che Gigi mi avesse lasciato affogare quel giorno! - Zitti!... sento rumore nell'andito... Ah! forse il Maralli è morto davvero... forse i carabinieri vengono ad arrestarmi per omicidio... Ma che carabinieri!... Era la mamma, la mia buona mamma che è venuta a portarmi da mangiare e a darmi notizie dell'avvocato Maralli!… Ah, giornalino mio, che peso mi son levato dalla coscienza!... Salto e ballo per la stanza come un> pazzo dall'allegria... L'avvocato non è morto, e non c'è neanche pericolo di morte. Pare che tutto si ridurrà alla perdita dell'occhio, perché è rimasto offeso non so che nervo... e il dottore ha assicurato che il Maralli tra una diecina di giorni potrà andar fuori. La mamma quand'è venuta era molto seria, ma poi quando è andata via era allegra come me, certamente perché anche, lei deve aver capito la ragione. Siccome quando è entrata in camera io ero molto spaventato perché credevo che fossero i carabinieri, ella mi ha detto: - Ah, meno male che, se non altro, hai rimorso di quel che hai fatto!... Io sono stato zitto, e allora lei mi ha preso tra le braccia, e guardandomi in viso mi ha detto, ma senza sgridarmi, anzi con voce piangente: - Lo vedi, Giannino mio, quanti dispiaceri, quante disgrazie per colpa tua!... - Io allora, per consolarla, le ho risposto: - Sì, lo vedo: ma se son disgrazie, scusa, che colpa ci ho io? - Lei allora mi ha rimproverato perché io mi ero messo a fare i giochi di prestigio, e io le ho detto: - Ma se quando mi son messo a farli, tutti quelli che erano in salotto si divenivano ed erano felici e contenti!... - Perché non potevano prevedere quello che hai fatto dopo... - E io lo potevo forse prevedere? Sono forse indovino io? - Allora lei ha tirato fuori l'affare del cappello di Carlo Nelli che dice è andato via impermalito, perché gliel'ho tutto insudiciato con le uova. - Va bene - ho detto io. - Ma anche quella è stata una disgrazia, perché io ho preso un cappello qualunque dal cappellinaio, e non sapevo che fosse il suo. - Ma, Giannino mio, se fosse stato d'un altro non sarebbe stato lo stesso? - Così ha detto la mamma, ed era qui che l'aspettavo. - No, che non sarebbe stato lo stesso... per Carlo Nelli! Infatti, quando egli si è accorto che io non sapevo più come rimediare il giuoco e che il cappello ormai era rovinato, il signor Carlo Nelli rideva a crepapelle, credendo che il cappello fosse d'un altro, e diceva: - Ah, questa è bella! Questa è graziosa! - Mentre invece, quando poi s'è accorto che il cappello era suo, ha detto che io ero un delinquente nato!.. Sempre così!.. Tutti così!.. E anche il Maralli rideva e si divertiva, perché aveva visto che il cappello non era il suo, e se lo avessi poi anche sfondato con un colpo di pistola, si sarebbe divertito più che mai... Invece la disgrazia ha voluto che cogliessi lui vicino a un occhio, ed ecco che allora tutti danno addosso al povero Giannino, e tutti si mettono a gridare che Giannino finirà in galera... Sempre così!… Tutti così!.. Anche la zia Bettina mi ha detto a questo modo, e ce l'ha a morte con me... E, in fondo, che avevo fatto di male? Avevo sradicato dal vaso una pianticella di dìttamo che costerà due centesimi... Ma siccome io son nato disgraziato, per l'appunto s'è data la combinazione che quella pianta era stata data alla zia Bettina da un certo Ferdinando, e pare anzi, a quanto dice lei, che ci sia dentro, in quella pianta, lo spirito di questo signore... A questo punto la mamma mi ha interrotto piena di curiosità, dicendomi: - Come, come?... Raccontami tutto per bene: come ti disse la zia Bettina?... - E ha voluto che le dicessi tutto il fatto del dìttamo e le ripetessi quel che mi disse la zia Bettina, parola per parola; e poi s'è messa a ridere, e poi mi ha detto: - Cerca di star qui, zitto e tranquillo... Poi ritornerò, e, se sei stato buono, ti porterò per merenda un po' di conserva di pesche... - E se n'è andata giù, e ho sentito che chiamava l'Ada e la Virginia dicendo: - Ah, ve ne voglio raccontare una carina!... - Meno male. Io l'ho sempre detto: fra tutti, la mamma è quella che capisce di più la ragione, e che sa distinguere se una cosa succede per disgrazia o per cattiveria. * * * C'è stata l'Ada a portarmi la cena e ha voluto anche lei che le raccontassi il fatto del dìttamo della zia Bettina. Mi ha dato ottime notizie. Un'ora fa c'è stato il dottore daccapo e ha detto che l'avvocato Maralli va molto meglio, ma che deve stare in camera al buio almeno per una settimana. Capisco che dev'essere una cosa seccante: ma è anche più seccante il dovere stare relegati in una camera senza esser malati, come son costretto a star io. Ma ci vuol pazienza. Ada mi ha detto che il babbo è molto arrabbiato, che non mi vuol più vedere e che perciò bisogna aspettare che gli passi l'inquietudine e allora con l'intromissione della mamma tutto sarà appianato. Intanto io vo a letto, perché ho molto sonno.

E come quell'altro fatto della marchesa Sterzi alla quale ho fatto credere che tu mi abbia guarito dalla voce nasale... - Zitto! - No, non voglio stare zitto! E siccome quel fatto ti fece dimolto comodo, così tu non mandasti la lettera a casa mia, per non dare un dispiacere ai miei genitori! Succede sempre così: quando il male che può fare un ragazzo vi torna utile, voialtri grandi siete pieni di indulgenza; mentre poi se facciamo magari qualcosa a fin di bene e che ci riesce male, come è successo a me stamani, allora ci date tutti addosso senza remissione!.. - Come! Ardiresti di sostenere che quel che hai fatto stamani era a fin di bene? - Sicuro! Io volevo far godere un poca di libertà a quel povero canarino che s'era annoiato a star sempre rinchiuso in quella gabbia; è forse colpa mia se il canarino appena fuori ha sporcato il ricamo di seta della sera Matilde? Allora il gatto l'ha voluto castigare e gli è saltato addosso; è colpa mia se Mascherino è troppo severo e si è mangiato il canarino? Per questo fatto si meritava una lavata di testa e io l'ho messo sotto la cannella del bagno... È colpa mia se l'acqua gli ha fatto male allo stomaco? È colpa mia se ha rotto il vaso di vetro di Venezia? È colpa mia se, non riuscendomi di chiudere la cannella del bagno, l'acqua ha allagato il salotto e ha fatto scolorire il tappeto di Persia della sora Matilde? E poi io ho sempre sentito dire che i tappeti veri di Persia non sbiadiscono... Se è sbiadito vuol dire elle non era persiano... - Come non era persiano! - urlò in quel momento la sora Matilde entrando in camera di mia sorella come una bomba. - Anche le calunnie! E che calunnie! Si osa calunniare la buon'anima di mio zio Prospero che era un galantuomo, incapace di regalarmi un tappeto persiano falso!... Ah! Quale profanazione, mio Dio!... - E la sora Matilde appoggiò un gomito sul cassettone alzando gli occhi al cielo e prendendo una posa malinconica che mi è rimasta così impressa da poterla riprodurre come un ritratto con la fotografia, e che lì per lì mi fece proprio ridere. - Andiamo, via! - esclamò mia sorella. - Non bisogna poi esagerare: Giannino non voleva certo mancar di rispetto a tuo zio... - Non è forse mancar di rispetto a mio zio il dire che mi ingannava regalandomi dei tappeti coi colori falsi? Sarebbe come se dicessi a te che hai le gote tinte col rossetto! - Eh no! - rispose piccata mia sorella. - Non è lo stesso caso perché il tappeto alla fin fine è scolorito, mentre io ho in faccia una tinta che non sbiadisce, e, grazie a Dio, non divento mai gialla... - Dio, come prendi le cose sul serio! - esclamò la sora Matilde sempre più indispettita. - Io ho fatto un paragone, e non ho voluto dir niente affatto che tu ti tinga. Se mai lo dice qui il tuo signor fratello che mi ha raccontato che quando eri ragazza avevi il rossetto sulla toelette... - A queste parole mi sentii arrivare uno scapaccione che veniva certo da mia sorella, e corsi a chiudermi in camera mia, dalla quale sentii una gran lite che si accendeva tra le due donne che facevano a chi urlava di più, mentre ogni tanto la voce del Collalto cercava invano di calmarle esclamando: - Ma no... Ma sì... Ma senti... Ma pensa... - E rimasi nella mia camera finché non venne Pietro a prendermi per andare a pranzo, durante il quale il Collalto e Luisa, tra i quali ero a sedere, mi tenevano a turno per la giacchetta come se io fossi stato un pallone senza frenare, e loro avessero avuto paura che volassi via da un momento all'altro. La stessa scena si è ripetuta stamani per la colazione, dopo la quale Pietro mi ha riaccompagnato qui in camera dove sto aspettando l'arrivo del babbo il quale certamente considererà la cose dal lato peggiore, come fanno tutti! Intanto Pietro mi ha detto che Luisa e la sora Matilde non si parlano più da ieri... E anche di questo si dirà che la colpa è mia come se dipendesse da me il fatto di avere una sorella con la faccia troppo rossa e una cognata con la faccia troppo gialla!...

È inutile dire con quanto desiderio abbia aspettato l'ora fissata. Finalmente Caterina è venuta a chiamarmi e io sono sgusciato via di casa e son montato nella carrozza che mi aspettava con lo sportello aperto. Dentro c'era un uomo tutto vestito di nero che mi ha detto: - È lei Giovannino Stoppani? - Sì; e ho qui la lettera... - Benissimo. - Quando, poco dopo, sono entrato nello studio del notaro Ciapi c'era il sindaco, e poco dopo è arrivato il mio cognato Maralli che appena mi ha visto ha alzato tanto di muso, ma io ho fatto finta di nulla e invece ho salutato la sua donna di servizio Cesira, che è arrivata subito dopo di lui e che è venuta a mettersi a sedere accanto a me, e mi ha domandato come stavo. Il notaro Ciapi stava seduto su una poltrona, davanti a un tavolino. Questo notaro è un tipo buffo, piccolo piccolo e grasso grasso, con una faccia tonda mezza affogata dentro una papalina ricamata, con una nappa che gli vien sempre sull'orecchio e che egli cerca di cacciar via con certe scrollatine di testa come farebbe uno che avesse i capelli troppo lunghi sulla fronte per mandarseli indietro. Egli ci ha guardato tutti e poi ha suonato il campanello e ha detto: - I testimoni! - E son venuti due così neri neri, che si son messi tra me e il notaro, il quale ha preso uno scartafaccio e ha cominciato a leggere con voce nasale, come se avesse avuto da dire un'orazione: - In nome di Sua Maestà il re Vittorio Emanuele III felicemente regnante... - E giù una filastrocca di cose nelle quali non capivo niente finché poi a un certo punto incominciò a leggere proprio le parole dettate dal signor Venanzio prima di morire e quelle le capii benissimo. Naturalmente non posso ricordarmi le frasi precise, ma ricordo le cifre dei diversi làsciti, e ricordo anche che tutte quelle disposizioni testamentarie erano dettate in un modo curioso, con uno stile pieno di ironia come se il povero signor Venanzio nell'ultima ora della sua vita si fosse preso il supremo divertimento di pigliare in giro tutti quanti. La prima disposizione era di dare dal suo patrimonio la somma di diecimila lire alla Cesira, e non saprei ridire la scena che nacque quando il notaro ebbe letto questo paragrafo del testamento. La Cesira alla notizia di quella fortuna si svenne e tutti corsero attorno, fuori che il Maralli che diventò pallido come un morto e guardava la sua donna di servizio con due occhi come se la volesse mangiare. Eppure a sentire il povero signor Venanzio, che spiegava tutte le ragioni per le quali lasciava tutti quei quattrini a quella ragazza, pareva che l'avesse fatto proprio per far piacere al suo nipote. - Io lascio questa somma alla nominata Cesira Degli Innocenti (su per giù diceva così) prima di tutto per gratitudine mia verso di lei che, nella casa di mio nipote ove passai gli ultimi anni della mia vita mi trattò con ogni riguardo, superando in gentilezze perfino i miei parenti. Basta dire che ella abitualmente si limitò sempre a trattarmi col soprannome di gelatina alludendo al tremore continuo che mi dava la paralisi. - Ora io mi ricordavo benissimo che questo fatto al povero signor Venanzio l'avevo detto proprio io, ragione per cui se a Cesira ora capitava questa bella eredità doveva ringraziar me. Ma il signor Venanzio aggiungeva altre ragioni: - Inoltre, - diceva press'a poco nel suo testamento - a favorire in modo speciale questa buona ragazza son mosso dalle giuste e sane teorie politiche e sociali di mio nipote, il quale ha sempre predicato che nel mondo non vi devono essere più né servi né padroni; ed egli, io credo, accoglierà benissimo questo mezzo ch'io porgo a Cesira Degli Innocenti di non esser più serva in casa di lui e a lui di non esser più suo padrone. - L'avvocato Maralli nel sentir leggere questo paragrafo sbuffava e ripeteva a bassa voce, rivolgendosi al sindaco: - Eh!... Uhm!... Già mio zio, è stato sempre un originale!... - Il sindaco sorrideva con una certa aria canzonatoria e stava zitto. Intanto il notaro seguitava a leggere ed era arrivato a un altro paragrafo che diceva così: - Sempre per rispetto alle nobili teorie di altruismo sulle quali sono fondate le teorie politico-sociali di mio nipote, poiché mi parrebbe di recare ad esso una profonda offesa lasciando del mio capitale erede lui che fu sempre avversario accanito del capitale e dei suoi privilegi, primo dei quali è quello della eredità, lascio tutto il mio patrimonio già descritto ai poveri di questa città, dei quali il giorno della mia morte risulterà negli atti del Comune la fede di miserabilità; mentre al mio amatissimo nipote, in ricordo del suo affetto verso di me e degli auguri e voti fatti continuamente a mio riguardo, lascio per mio ricordo personale, che egli certo terrà carissimo, l'ultimo mio dente strappatomi dal suo piccolo cognato Giovannino Stoppani e che ho fatto espressamente rilegare in oro per uso di spillo da cravatta. - E il notaro levò infatti da un astuccio un enorme spillone in cima al quale era proprio il dente con le barbe che avevo pescato io nella bocca sgangherata del povero signor Venanzio. A quella vista, naturalmente, non seppi resistere e mi scappò da ridere. Non l'avessi mai fatto! l'avvocato Maralli che pareva invecchiato di dieci anni e tremava tutto per la rabbia e per lo sforzo che faceva per contenersi, scattò e tendendo una mano verso di me esclamò: - Canaglia! Ridi anche, eh? al frutto delle tue canagliate! - E c'era in queste parole tale accento di odio che tutti si son voltati a guardarlo e il notaro gli ha detto: - Sì calmi, signor avvocato! E ha fatto per porgergli l'astuccio col dente del povero signor Venanzio, ma il Maralli l'ha respinto con un gesto energico, esclamando: - Lo dia a quel ragazzo... Fu lui che lo levò al defunto e io glielo regalo! - E s'è messo a ridere. Ma si capiva che era un riso sforzato per rimediare alla scena fatta prima. Infatti, dopo aver messo la firma sotto ai fogli che gli porgeva il notaro, ha salutato e se n'è andato via. Mentre il sindaco prendeva degli accordi col notaro per distribuire ai poveri i denari lasciati loro dal povero signor Venanzio, la Cesira mi ha detto: - Ha visto, sor Giovannino, com'è rimasto il sor padrone! - Eh! il bello è che se la pigliava con me. - Già. Chi sa che scena farà a casa! Io non so come fare a andarci!.. - Che t'ímporta? Ormai tu sei una signora... Vedi che cosa vuol dire a trovar bene un soprannome a un vecchio paralitico?... - In quel momento il sindaco aveva finito di firmar fogli e fissare col notaro, e questi ha chiamato la Cesira alla quale ha detto di ritornar da lui l'indomani. Così rimasto solo nella stanza, il notaro ha aperto un cassetto della sua scrivania, ha levato fuori un involto e alzandosi gli occhiali e guardandomi fisso in faccia mi ha detto: - Il defunto signor Venanzio Maralli era veramente un originale, ma a me non sta il giudicarlo, e il mio dovere di notaro è di seguire fino all'ultimo le sue volontà testamentarie, sieno esse state espresse per iscritto che a voce. A voce dunque il signor Venanzio mi disse: - Io ho qui un involto contenente mille lire in tanti biglietti di banca da cinque che desidero, dopo la mia morte, sieno consegnati a brevimano e senza che nessuno veda e che nessuno venga a saperlo, al cognato di mio nipote, Giovannino Stoppani, col patto che egli li prenda e li tenga con sé e ne disponga a suo piacere e non dica a nessuno di possedere tale somma. - Queste parole che mi hanno empito di meraviglia il notaro le ha dette con un tono di voce uguale come se le avesse imparate a mente. Poi cambiando accento mi ha detto accarezzandomi: - Il defunto mi disse che tu eri la disperazione de' tuoi parenti... - Ora però sono diversi giorni che sono buono! - ho detto io. - Meno male! Guarda dunque di non usar male del denaro che ti consegno. Forse il defunto signor Maralli lasciandotelo senza alcun vincolo e nessuna vigilanza ha voluto darti una prova di grande stima e di grande fiducia... e sia per questo, o sia che per la sua bizzarra natura si sia divertito a pensare a quel che tu avresti potuto fare trovandoti in possesso di questi quattrini, ho creduto mio dovere di darti un consiglio che la mia qualità di notaro e di esecutore testamentario non mi vietava... - E mi ha consegnato l'involto. Poi ha aggiunto porgendomi anche l'astuccio col dente del defunto: - E questo? Tuo cognato te lo ha ceduto. Prendi; e ora ti farò riaccompagnare a casa. - Io ero così confuso da tante inaspettate sorprese che non gli dissi neppure grazie. Sull'uscio dello studio era quell'uomo tutto nero che mi aveva accompagnato fin lì e che è sceso giù con me alla porta ed è entrato con me nella carrozza che mi ha portato fino a casa. Il babbo non c'era, e la mamma e l'Ada mi son venute subito d'intorno a farmi mille domande. Quando hanno saputo che il signor Venanzio aveva lasciato tutto il suo patrimonio ai poveri del Comune e che al Maralli non era toccato che uno spillo d'oro col dente che aveva ceduto a me, hanno cominciato a scaricarmi un diluvio di esclamazioni: - Come!... Possibile!... Ma perché?... Ma come mai?... - Io però ho risposto sempre che non ne sapevo nulla, e quando alla fine ho potuto liberarmi dalle loro domande me ne son venuto qui in camera e ho riposto il mio tesoro nel cassetto del tavolino che ho chiuso a chiave. Per il resto della giornata ho fatto finta di nulla, ma era tanto il nervoso che avevo addosso che il babbo a cena se n'è accorto, e ha detto: - Si può sapere che cos'hai stasera, che mi sembri un'anguilla? - Finalmente quando sono stato solo qui nella mia cameretta, ho dato libero sfogo alla mia emozione e ho contemplato il mio tesoro, e ho contati e ricontati i duecento biglietti da cinque lire dei quali sono possessore, e li ripongo nel cassetto del tavolino e lo chiudo, e poi lo riapro e poi li ritiro fuori e li rimiro e li riconto daccapo per poi richiuderli e rilevarli senza decidermi a separarmi da loro... Mi pare d'essere diventato quel vecchio d'una operetta che ho sentita due anni fa che era intitolata Le Campane di Corneville ma però non è per avarizia che contemplo tutti questi quattrini, ma per i sogni che ci fo sopra che sono tanti e così diversi! Ho sognato più in queste poche ore che sto sveglio, che in tutte le nottate dormite da che son nato!... Basta: mi par che sia ora d'andare a letto... Chiudo la mia cassaforte e buonanotte!

A un certo punto Gigino che si dava una cert'aria per essere il figlio di uno dei capi del partito socialista, entrò a parlare del primo maggio, della giustizia sociale e di altre cose delle quali aveva sentito parlare spesso in casa e che aveva imparato a ripetere pappagallescamente: ma ad un tratto uno della comitiva, un ragazzaccio tutto strappucchiato gli rivolse a bruciapelo questa inopportuna domanda: - Tutti bei discorsi; ma che è giusta, ecco, che tu abbia una bottega piena di paste e di pasticcini a tua disposizione, mentre noi poveri non si sa neppure di che sapore le sieno? - Gigino a questa inaspettata osservazione rimase male. Ci pensò un poco e rispose: - Ma la bottega non è mica mia: è del mio babbo!... - E che vuol dire? - ribatté il ragazzaccio. - Non è socialista anche il tuo babbo? Dunque, oggi che è la festa del socialismo dovrebbe distribuire almeno una pasta a testa a tutti i ragazzi, specialmente a quelli che non ne hanno mai assaggiate... Se non comincia lui a dare il buon esempio non si può pretendere certo che lo facciano i pasticcieri retrogradi!... - Questo tendenzioso ragionamento ebbe la virtù di convincere l'assemblea e tutta la comitiva si mise a urlare: - Ha ragione Granchio! (Era questo il soprannome del ragazzaccio tutto strappato) Evviva Granchio!... - Gigino, naturalmente, era mortificato perché gli pareva, di fronte, a tutti quei ragazzi, di farei una cattiva figura, e non solo lui ma anche il suo babbo; sicché si struggeva dentro di trovar qualche ragione colla quale ribattere il suo avversario, quando gli venne una idea che da principio lo spaventò quasi per la sua arditezza, ma che gli apparve poi di possibile esecuzione e l'unica che avesse la virtù in quel frangente di salvare la reputazione politica e sociale sua e di suo padre. Aveva pensato che in quel momento il suo babbo era alla Camera del Lavoro a fare un discorso, e che le chiavi di bottega erano in casa, nella sua camera, dentro il cassetto del comodino. - Ebbene! - gridò. - A nome mio e di mio padre vi invito tutti nel nostro negozio ad assaggiare le nostre specialità... Ma intendiamoci, eh, ragazzi! Una pasta a testa! - L'umore dell'assemblea si mutò come per incanto e un solo grido echeggiò, alto, entusiastico, ripetuto da tutte quelle bocche in ciascuna delle quali serpeggiava la medesima acquolina tentatrice. - Evviva Gigino Balestra! Evviva il suo babbo! - E tutti quanti mossero dietro di lui, compatti con l'ardore e la velocità di un eroico drappello alla conquista di una posizione lungamente vagheggiata o il cui possesso si presenti a un tratto privo dì ogni ostacolo. - Sono una ventina fra tutti - pensava intanto Gigino - e per una ventina di paste... mettiamo pure una venticinquina... dall'esserci al non esserci, in bottega dove ce ne sono a centinaia, nessuno se ne può accorgere... In verità non varrebbe la pena che per una simile miseria compromettessi il mio prestigio, quello di mio padre e perfin quello del partito al quale apparteniamo! - Arrivati in città Gigino disse ai suoi fedeli seguaci: - Sentite: ora vo a casa a pigliar le chiavi di bottega... fo in un lampo. Voialtri intanto venite dall'usciolino di dietro... ma alla spicciolata, per non dar nell'occhio! - Bene! - gridarono tutti. Ma Granchio osservò: - Ohé!... Non ci farai mica la burletta, eh? Se no, capisci?... - Gigino ebbe un gesto di grande dignità: - Sono Gigino Balestra! - disse - e quando ho dato una parola si può esser sicuri! - Andò lesto lesto a casa, dove c'era la sua mamma e una sua sorellina; senza farsi vedere sgusciò in camera del babbo, prese dal cassetto del comodino le chiavi di bottega e ritornò via di corsa lanciando alla mamma queste parole: - Vo con i miei compagni, ma tra poco ritorno a casa! - E se n'andò difilato al negozio, guardando a destra e a sinistra per paura che qualche persona di conoscenza della sua famiglia avesse a sorprenderlo durante quella manovra. Aprì la porta scorrevole di ghisa e la tirò su tanto da potere entrare in bottega, e una volta dentro la richiuse. S'era provvisto in casa di una scatola di cerini e con essi accese una candela che il babbo teneva sempre vicino alla porta; così trovò il contatore del gas, l'aprì, e accese poi le lampade della pasticceria; e fatto questo andò ad aprir l'usciolino dietro il negozio che dava in un vicolo poco frequentato. Da quell'usciolino incominciarono a entrare i compagni di Gigino, a uno, a due a tre... - Mi raccomando - badava a ripetere il figlio del pasticcere. - Uno per uno... al più due... Ma non mi rovinate! - Ma a questo punto è meglio che lasci la parola allo stesso Gigino Balestra che essendo stato il protagonista di quella avventura comica e tragica a un tempo, la racconta certamente meglio di quel che potrei fare io. - Lì per lì - dice Gigino - mi parve che il numero dei miei compagni fosse molto cresciuto. Il negozio era addirittura invaso da una vera folla che bisbigliava girando intorno sulle paste e sulle bottiglie de'rosolii certi occhi che parevan di fuoco. Granchio mi domandò se potevano prendere una bottiglia di rosolio, tanto per non murare a secco, e avendo acconsentito, me ne versò gentilmente un bicchiere pieno dicendo che il primo a bere doveva essere il padrone di casa. E io bevvi e bevvero tutti facendomi dei brindisi e invitandomi e ribere, sicché si dovette stappare un'altra bottiglia... Intanto anche le paste sparivano e i più vicini a me ne offrivano dicendomi: - Prendi, senti com'è buona questa, senti com'è squisita quest'altra - proprio come se loro fossero stati i padroni della pasticceria e io il loro invitato. Che vuoi che ti dica, caro Stoppani? Si arrivò a un punto che io non capivo più nulla; ero esaltato, mi sentivo addosso un ardore e un entusiasmo che non avevo provato mai, mi pareva d'essere in un paese fantastico tutto popolato di ragazzi di marzapane col cervello di crema e il cuore di marmellata uniti da un dolce patto di fratellanza condita con molto zucchero e rosolio di tutte le qualità... E ormai anche io seguitavo come tutti gli altri a mangiar paste a quattro ganasce e a vuotar bottiglie e boccette di tutti i colori e di tutti i sapori volgendo delle occhiate di beatitudine in quel campo aperto alla baldoria nel quale si agitavano come fantasmi tutti quei ragazzi che ogni tanto urlavano a bocca piena: - Evviva il socialismo! Evviva il primo maggio! - Io non ti so dire quanto durasse quella grande scena d'ogni dolcezza e d'ogni letizia... So che a un certo punto la musica cambiò a un tratto e una voce terribile, quella di mio padre, rimbombò nel negozio gridando: - Ah, razza di cani, ora ve lo dò io il socialismo! - e fu un diluvio di scapaccioni che piovve da tutte le parti fra le grida e i pianti di tutta quella folla di ragazzi ubriachi che si accalcava confusamente verso la porticina cercando di fuggire. Io ebbi un momento di lucido intervallo nel quale, con un volger d'occhi, abbracciai quel quadro bizzarro e sentii in un lampo tutta la terribile responsabilità che mi pesava... Il banco prima cosparso di centinaia di paste tutte messe per ordine era vuoto, gli scaffali attorno erano tutti in disordine e vi si affacciavano qua e là i colli di bottiglie rovesciate dalle quali colavano giù rosoli e sciroppi, in terra era un piaccichiccio di pasta sfoglia pesticciata, dovunque sulle sedie, nelle cornici degli scaffali e del banco eran bioccoli di crema e di panna sbuzzata fuori dalle meringhe, e ditate di cioccolata... Ma fu solo, come ho detto, in un lampo ch'io intravidi tutto questo, perché un maledetto scapaccione mi fece rotolar sotto il banco e non vidi né sentii più nulla. Quando mi svegliai ero a casa, nel mio letto, e accanto a me c'era la mia mamma che piangeva. Mi sentivo un gran peso nella testa e sullo stomaco... Il giorno dopo, 2 maggio, il babbo mi dette due once d'olio di ricino; la mattina di poi, tre maggio, mi fece vestire e mi portò qui nel collegio Pierpaoli... - Cosi Gigino Balestra ha concluso il suo racconto, con un accento comicamente solenne che mi ha fatto proprio ridere. - Vedi? - gli ho detto. - Anche tu sei vittima, com'è accaduto a me in più circostanze della vita, della tua buona fede e della tua sincerità. Tu avendo il babbo socialista hai creduto nel tuo entusiasmo di dover mettere in pratica le sue teorie distribuendo i pasticcini a que' poveri ragazzi che non ne avevan mai assaggiati, e il tuo babbo ti ha punito... È inutile: il vero torto di noi ragazzi è uno solo: quello di pigliar sul serio le teorie degli uomini... e anche quelle delle donne! In generale accade questo: che i grandi insegnano ai piccini una quantità di cose belle e buone... ma guai se uno dei loro ottimi insegnamenti, nel momento di metterlo in pratica, urta i loro nervi, o i loro calcoli, o i loro interessi. Io mi ricorderò sempre d'un fatto di quando ero piccino... La mia buona mamma, che pure è la più buona donna di questo mondo, mi predicava sempre di non dir bugie perché a dirne solamente una si va per sette anni in Purgatorio; ma un giorno che venne a cercarla la sarta col conto e che lei aveva fatto dire dalla Caterina che era uscita, io per non andare in Purgatorio corsi alla porta di casa a gridare che non era vero nulla e che la mamma era in casa... e in premio d'aver detto la verità ci presi un bello schiaffo. - E perché ti hanno messo in collegio? - Per aver pescato un dente bacato! - Come! - ha esclamato Gigino al colmo dello stupore. - Per uno starnuto d'un vecchio paralitico! - ho aggiunto io divertendomi a vederlo a sgranar tanto d'occhi. Poi, dopo averlo tenuto per un bel pezzo di curiosità, gli ho raccontato l'ultima mia avventura in casa del mio cognato Maralli, per la quale fu interrotto il mese di esperimento concesso da mio padre ed io fui accompagnato in questa galera. - Come vedi, - conclusi - anche io sono stato una vittima del mio destino disgraziato... Perché se quel signor Venanzio zio di mio cognato non avesse fatto uno starnuto proprio nel momento in cui lo avevo avvicinato la lenza con l'amo alla sua bocca sgangherata, io non gli avrei strappato quell'unico dente bacato che gli rimaneva e non sarei qui nel collegio Pierpaoli! Vedi un po', a volte, da che può dipendere la sorte e la reputazione di un povero ragazzo... - * * * Ho voluto raccontar qui le confidenze che son corse tra me e Gigino Balestra per dimostrare che siamo legati ormai in intima amicizia e che, se stamani egli era sveglio e mi guardava mentre io scrivevo nel Giornalino, non avevo nessuna ragione - come ho già detto in principio - di diffidare di lui. Anzi gli ho detto in grande segretezza di queste mie memorie che vo scrivendo, l'ho messo a parte dei miei progetti e gli ho proposto, d'entrare nella nostra Società segreta... Egli mi ha abbracciato con uno slancio d'affetto che mi ha commosso e ha detto che si sentiva orgoglioso della fiducia che rimettevo in lui. Oggi, infatti, durante l'ora di ricreazione, l'ho presentato ai miei amici che l'hanno accolto benissimo. Il Barozzo non c'era. Da quando ha dato le dimissioni egli vive solitario e pensieroso e quando ci incontra si limita a salutarci con un'aria triste triste. Povero Barozzo! Io in adunanza ho raccontato tutta la scena della seduta spiritistica di iersera e si è stabilito, di riflettere tutti seriamente per trarre partito da questa nuova situazione e per preparar qualche tiro per mercoledì notte. Domani martedì ci riuniremo per eleggere il nuovo presidente e per decidere sull'intervento dello spirito del compianto professore Pierpaoli all'appuntamento dato al signor Stanislao, alla signora Geltrude e al loro degno cuoco inventore della minestra della rigovernatura.

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